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RENATO CARTESIO (Le Haye 1596-Stoccolma 1650)

DISCORSO SUL METODO (L’uomo è razionale per evidenza -per Hobbes è solo
un’ipotesi-; la diversità è data dal metodo; la natura è ordinata da Dio
matematicamente secondo un fine)

Prima parte (ragione universale, critica alla cultura del suo tempo, all’educazione
nozionistica, scolastica e pedante di Le Flèche, biografia di Cartesio propedeutica al
metodo, fascino per la matematica)
Il discorso sul metodo inizia con una valutazione sul buon senso, secondo Cartesio è
la cosa al mondo meglio distribuita.
Il buon senso è la capacità di usare l’intelletto, è la disciplina che l’individuo deve
avere di fronte alla natura.
La ragione è una funzione universale, uguale per tutti, i soggetti pensano allo stesso
modo. È possibile condurre una riflessione sulle modalità della riflessione. Posso
parlare dell’Io penso, che sono io, ma sto parlando di tutti.

Per Hobbes che scrive gli “Elements” e il Leviatano non è scontato che tutti gli
uomini pensino allo stesso modo. Chi ha detto che tutti gli uomini pensano e sentono
allo stesso modo? Chi ha detto che il giudizio è universale? Per Cartesio è evidente,
è chiaro che ragioniamo tutti allo stesso modo, per Hobbes no: bisogna darlo per
ipotesi, non è certo, lo vediamo per il singolo e poi estendiamo a tutti questa capacità.
Per Aristotele l’uomo è razionale per natura, per Cartesio non è proprio così, è
razionale per evidenza.

La diversità delle opinioni è data dalla diversità delle vie che percorriamo per
pensare: il problema è il metodo, la tecnica, l’ordine.

Inizia poi la riflessione biografica, la cui illustrazione è funzionale all’introduzione


del suo metodo. A Cartesio era cara la matematica per via del suo bisogno di certezze
indubitabili.
In Descartes c’è l’idea che tutto ciò che si trova nell’esperienza abbia un fine: Dio
garante del vero non è solo una risorsa logica ma è l’idea che la natura ha un ordine
matematico proprio perché è stata creata da Dio. Uscito da Le Flèche è intenzionato a
dedicarsi alla scienza che si trovava in lui e nella natura (scienza dell’uomo e di come
pensa e scienza della natura).

Dopo le guerre di religione si è stravolto il mondo, c’è uno spaesamento culturale:


c’era stata la guerra interna al cristianesimo. È stato bloccato per un inverno in
Germania in una stanza riscaldata e pensa: non aveva libri o altro.
Tutti si possono immergere nei propri pensieri: la ragione è universale

Seconda parte (regole del metodo, evidenza) (il fondamento del reale è dato
dall’estensione, dal movimento e dalle idee innate; una verità evidente è chiara e
distinta; regole del metodo -evidenza, analisi, sintesi, enumerazione-; l’evidenza si
dà nel pensiero
Qui Cartesio tratta del metodo.
Le verità prime sono definite intuitive, hanno un contenuto oggettivo non soggetto
all’errore. Queste nature semplici intuite dall’intelletto che compongono il
fondamento dell’ordine naturale sono:
 L’estensione (si presenta sempre in figure, non c’è estensione senza figura,
corpo)
 Il movimento
 Le idee innate
Il reale della natura si compone di corpi in movimento e di idee: sono verità prime
dell’intelletto non scomponibili concepite in modo intuitivo. Tutto il resto non è.
Questi sono gli elementi costitutivi di ogni scienza, di ogni rappresentazione, ai quali
arrivo attraverso l’intuizione delle mente come atto immediato e semplice che
caratterizza la mente in quanto tale.
L’intuizione non ha bisogno di prova. Una verità evidente è INDUBITABILE ed è
CHIARA E DISTINTA (non scomponibile ulteriormente e non confondibile con
un’altra figura).
Non è un carattere psicologico l’evidenza, ma è una caratteristica ontologica,
costitutiva del pensiero.
Ci sono quattro regole che non si possono trasgredire:

1. Evidenza: Non accettare mai nessuna cosa che non sia evidente, per evitare la
precipitazione e la prevenzione. Per Cartesio l’errore è sempre un errore della
volontà, mai dell’intelletto, l’intelletto non sbaglia (l’intelletto è uno strumento
che ci è dato da Dio).
2. Analisi: Bisogna suddividere ogni difficoltà in più parti possibili e semplici
per poterla risolvere.
3. Sintesi: Devo far procedere i pensieri nella risoluzione di un problema dagli
elementi più semplici a quelli più complessi per avere un sistema chiaro e
coerente.
4. Enumerazione: Revisionare tutto minuziosamente nella sua totalità per essere
sicuro di non aver commesso errori.

L’attività filosofica è sostanzialmente attività di pensiero e l’attività di pensiero è la


filosofia: nella modernità si fa largo l’idea che per indagare filosoficamente devo
partire dall’Io pensante che produce, costruisce e organizza la natura (Kant, Fichte);
non riflette solo sulla natura esteriormente come nel pensiero aristotelico: la fonte è
sempre l’unità. L’Io è universale e ha pensieri universali, è una società di individui
pensanti, non di ceti: il soggetto prende forma.
L’intuizione è la forma del pensare, non il suo contenuto, è un concetto della mente
pura e attenta, il quale nasce dalla sola luce della ragione. Essere attenti è la capacità
di riconoscere e produrre evidenza.

La certezza dell’IO penso è data dalla riflessione del pensiero su se stesso: riflette
sulla sua stessa attività. Il pensiero esiste, è un’evidenza indubitabile: quando dubito
io penso. L’ESISTENZA SI DA’ NEL PENSIERO, non esiste realtà che non sia
pensata, la mia esistenza coincide con il pensiero -> il sostrato della realtà è il
pensiero.

Terza parte (regole della morale provvisoria: conformismo dei costumi,


risoluzione nelle decisioni, cambio me stesso invece della fortuna  accetto il reale
con i suoi limiti e regole)
Qual è il rapporto del pensiero con la società? Dell’individuo con la società? Cartesio
annuncia allora le regole della morale provvisoria.
Mentre io mi occupo di altro, dopo che ho sospeso ogni atteggiamento morale, adotto
delle regole “provvisorie” di comportamento:
1. Obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese anche se non li si ritiene
giusti; si adotta un conformismo per quieto vivere. Non importa la religione: si
adotta quella del paese in cui si vive. Assume un atteggiamento moderato,
lontano dagli eccessi. Non rivendica la necessità di prendere posizione nel
dibattito politico. Conformismo politico e dei costumi
2. Si impone di essere il più fermo e risoluto possibile nelle proprie azioni, anche
in quelle più dubbie, come se fossero le più sicure (questo vale nei costumi e
negli atteggiamenti). C’è però una rigidità, una coerenza del sapere: accetto
solo quello che posso dimostrare.
3. Sforzarsi di cambiare se stessi piuttosto che la fortuna, i propri desideri
piuttosto che l’ordine del mondo: non c’è nulla in nostro potere se non il
pensiero. PER ESSERE LIBERO DEVO ACCETTARE IL REALE, LE SUE
REGOLE, I SUOI LIMITI E LE SUE NECESSITÀ. La libertà sta nella
comprensione della libertà, la negazione è sempre determinazione. Al pensiero
è concesso un’eccedenza di libertà rispetto alla natura perché è spirito, anima,
non corpo, ha una essenza diversa rispetto alla natura.
Quarta parte (dubito delle esperienze fini attraverso l’ipotesi del sogno, e poi di
tutte le idee, di tutta la realtà sospensione nel vuoto, dubbio iperbolico;3
dimostrazioni dell’esistenza di Dio)
Quinta parte (dedicata alla fisica)
Sesta parte (giustificazione di Cartesio per non avere pubblicato il suo trattato di
fisica)

MEDITAZIONI

Appunti
Prima meditazione, delle cose che si possono revocare in dubbio: Il dubbio si
distingue in tre fasi. Nella prima si mettono in dubbio tutte le cose che provengono
dai sensi perché ci possono ingannare, sono inaffidabili; io non riesco a distinguere
tra gli oggetti reali e quelli dei nostri sogni.
Nella seconda fase il dubbio investe anche le proposizioni concettuali, perché si
avanza l’ipotesi che Dio ci possa ingannare (genio maligno) e che noi siamo in ogni
caso in errore. Ogni pensiero viene accantonato.
Nella terza fase Cartesio radicalizza le sue ipotesi ed estende il suo dubbio
iperbolicamente su tutto, mettendosi al riparo dalla tentazione di ricadere
nell’abitudine.

Seconda meditazione, della natura dello spirito umano e che questo è più facile a
conoscersi che il corpo: Il dubbio assume un carattere metodico, conoscitivo, non è
solo un dubbio scettico. Non c’è dubbio che io esista se il genio maligno mi inganna:
il genio maligno non può far sì che io non sia, in nessun modo. Concludo allora che
io sono, io esisto e ciò è immediatamente evidente alla mia mente: non ha il carattere
di un sillogismo, di una dimostrazione. Non posso però ancora essere sicuro di avere
un corpo e non posso dire con certezza come mie tutte quelle cose legate al corpo e
all’anima, ad esclusione del pensiero: io non posso essere distaccato dal pensiero, io
sono una cosa che pensa.
L’immaginazione non mi restituisce nulla in più di certo su di me, io so già di esistere
con sicurezza.
A partire dal cogito stesso io arrivo a determinare come ulteriori mie caratteristiche
tutte le attività legate all’intelletto e di cui ho coscienza (compresa la volontà).
Esempio del pezzo di cera: un pezzo di cera tratto dall’alveare ha certe caratteristiche
proprie di un determinato corpo, appena lo si avvicina al fuoco questo cambia forma,
colore, odore. Cambia caratteristiche ma è ancora lo stesso pezzo di cera.
Considerando con attenzione vedo che tutto ciò che del pezzo di cera era inerente
all’immaginazione (l’immaginazione è la facoltà di rappresentarsi i corpi), ai sensi, è
mutato. Io non capirei che cosa sia questa era se non ci fosse l’intelletto a concepirla.
Il pensiero è l’unico strumento in grado di determinare il persistere di un oggetto
anche se mutano le sue qualità sensoriali.
Esempio degli automi: vedo fuori dalla finestra diverse figure in tutto e per tutto
simili all’uomo, come faccio a dire che quelli sono uomini e non invece automi? È
sempre l’intelletto che mi consente di dire con certezza che sono uomini, non i sensi.

Dal fatto che io percepisco qualcosa o almeno penso di percepire qualcosa, ricavo che
io esisto. Non lo ricavo dall’esistenza dei corpi esterni che mi è ancora dubbia. Nulla
è più facilmente conoscibile del mio spirito.

Terza meditazione, di Dio e della sua esistenza (l’evidenza dei sensi permette di
dubitare, l’evidenza del cogito no): Tutte le cose che (così come il principio del
cogito ergo sum) concepiamo come chiare ed evidenti sono dunque vere: principio
dell’evidenza. Come si regola questo principio? L’evidenza di primo tipo permette di
mettere in discussione l’oggetto a cui si riferisce (evidenza matematica, geometrica)
mentre il secondo tipo no (evidenza del cogito). Il genio maligno è solo un’ipotesi
metafisica: senza Dio io non posso essere sicuro di niente.
Non esistono idee false, o volizioni e affezioni false (anche se sono malvage).
3 tipi di idee:
Ci sono tre tipi di idee: innate, avventizie e fittizie. Le idee innate non provengono
dagli oggetti esterni, né dalla mia volontà, ma dalla sola facoltà di pensare che è in
me.
Per ora le uniche idee vere sono quelle che provengono dal cogito, le idee innate;
l’evidenza del mondo esterno è fittizia, perché si fonda sull’istinto naturale. Dio,
principio spirituale, deve garantire il mondo esterno.
Le idee di sostanza che sono in me e che provengono da me partecipano per
rappresentazione a più gradi d’essere o perfezione che non quelle che mi
rappresentano solo modi e accidenti; l’idea di Dio infine ha più realtà, effettualità,
che né quelle che rappresentano sostanze finite.
Cartesio distingue due realtà delle idee: realtà oggettiva e realtà formale. La realtà
oggettiva riguarda il contenuto ovvero l’oggetto, che l’idea rappresenta; la realtà
formale è data invece dal loro essere nel pensiero. Dal lato della realtà formale tutti i
tipi di idee sono uguali, dal punto di vista del contenuto le idee si distinguono per
gradi di perfezione, di realtà oggettiva, degli oggetti che rappresentano.
Il principio di causa invece è utilizzato da Cartesio per dire che non può esistere una
causa meno perfetta del suo effetto, non può avere meno essere del suo effetto: la
causa è sempre più perfetta o perfetta tanto quanto il suo effetto. Questo principio
vale anche per le idee.
Io posso essere tranquillamente la causa dell’idea, ad esempio, di un cane, non
ricerco la causa di questa idea fuori di me. Ogni idea è un modo del pensiero, una
maniera di pensare.
Se riconosco che la causa di un’idea non è in me allora io non sono solo nel mondo.
Ci sono tantissime idee confuse delle cose temporali, legate ai sensi, sono oscure nel
nostro intelletto.
Non posso io, in quanto finito, produrre l’idea di una sostanza infinita. L’idea di Dio
è l’idea più reale, più perfetta e meno sospetta di errore di tutte. In Dio non c’è nulla
di potenziale, tutto è effettivo. L’essere di un’idea non può essere prodotto da un
essere solo in potenza.
Prima dimostrazione dell’esistenza di Dio: Dio deve aver messo in me l’idea di Dio,
in quanto un’idea perfetta deve essere creata da una causa altrettanto perfetta e
reale.
Seconda dimostrazione dell’esistenza di Dio: Dio esiste necessariamente perché se
non esistesse, dato che è certo che io esisto, dovrei aver tratto la mia esistenza da me
stesso o da una causa meno perfetta di Dio. Non posso essermi dato l’essere da solo
perché altrimenti mi sarei creato come Dio; anche se fosse possibile che una causa
meno perfetta mia avesse creato, dovrei comunque dare ragione dell’idea di Dio in
me.
La mia esistenza è divisibile in una infinità di parti, le une indipendenti dalle altre:
Dio garantisce la continuità della sostanza, dell’IO.
L’unità, la semplicità di tutte le cose presenti in Dio è essa stessa una sua perfezione.
L’idea di Dio non è un’idea avventizia, non è un’idea fittizia, ma è innata, è stata
messa da Dio in me al momento della nascita.
Dio non può essere ingannatore, perché Dio è perfetto e l’inganno è invece un difetto

Quarta meditazione, del vero e del falso: c’è la riabilitazione del vero in quanto
garantito da Dio. Il male, l’errore, si spiega in relazione alla natura umana, non
dipende dalla perfezione di Dio, non posso conoscere il suo piano perfetto fino in
fondo. Io mi inganno perché la mia capacità di distinguere il vero dal falso non è
infinita. L’errore dipende solo dall’uso sbagliato che faccio della volontà. La volontà
è estesa in me tanto quanto è estesa in Dio. La libertà viene contrapposta
all’indifferenza: la vera libertà è la mia capacità di assenso alla verità che ho
riconosciuto con l’intelletto (non è vincolante).
L’errore deriva dal fatto che la volontà è molto più grande dell’intelletto e si può
ingannare (cattivo uso del libero arbitrio), l’intelletto conosce solo in modo perfetto
perché conosce tramite le facoltà datemi da Dio. La luce dell’intelletto deve sempre
precedere la volontà, non posso scegliere giustamente se non ciò che è evidente; è
meglio astenersi e non usare il libero arbitrio che usarlo male.
Dio mi ha lasciato imperfetto, libero di scegliere e di agire dando il mio libero
assenso verso la cosa più giusta e certa.

Quinta meditazione, dell’essenza delle cose materiali, e di nuovo Dio e della sua
esistenza: Cartesio inizia a smontare quei dubbi che si era formato nei giorni
precedenti. Distingue tra le idee che provengono dal mondo esterno, quelle chiare e
distinte da quelle oscure e confuse. Gli enti matematici e geometrici in noi sono creati
da Dio e sono verità eterne.
Prova a priori dell’esistenza di Dio: L’idea di Dio e la sua verità sono paragonabili
all’idea del triangolo, nella misura in cui l’idea del triangolo possiede una serie di
caratteristiche che appartengono alla figura del triangolo, così l’idea di Dio possiede
in sé perfezioni, tra cui l’esistenza, che appartengono a Dio. Tutte le idee che ci
appaiono chiare e distinte esistono sicuramente nella realtà. Così come non si può
immaginare una montagna senza valle, così non si può concepire Dio senza
l’esistenza (non è il pensiero che impone alla realtà questo, ma è il contrario).
L’esistenza di Dio non può essere separata dalla sua essenza. Cartesio considera
l’esistenza una perfezione. L’esistenza di Dio è già presupposta da Cartesio, è una
realtà a cui dobbiamo adeguarci. Dio trova garanzia di esistenza nella veridicità delle
idee innate, chiare e distinte, che a loro volta sono garantite da Dio (circolo vizioso).
Se non avessi pregiudizi e non venissi condizionato conoscerei Dio in modo
semplicissimo e chiaro. Senza Dio non ci sarebbe nessuna scienza vera e sicura, ma
solo opinioni vaghe ed incostanti; Dio mi permette di non dubitare costantemente
sulle verità che riconosco.  Dio garantisce la veridicità anche delle idee del mondo
sensibile.

Sesta meditazione, dell’esistenza delle cose materiali e della reale distinzione tra
l’anima e il corpo: Viene esaminata l’esistenza dei corpi presi nella loro singolarità,
corpi dei quali posseggo un’idea chiara e distinta. L’immaginazione è una certa
applicazione della facoltà conoscitiva al corpo che le è intimamente presente, che
esiste. Ma l’immaginazione è diversa dall’intelletto, non appartiene alla definizione
della mia essenza. L’intelletto si rivolge a se stesso, alle idee che sono in lui,
l’immaginazione si rivolge ai corpi e considera in questi i tratti conformi alle idee che
dei corpi i è fatta o che ha ricevuto dai sensi.
Mathesis: scienza generale che si occupa di spiegare tutto ciò che può essere
indagato riguardo all’ordine e alla misura.
Cartesio critica, parlando del suo passato, la filosofia scolastica, secondo la quale
nulla è nell’intelletto se prima non è stato nei sensi (impianto aristotelico); è una
posizione acritica.
I sensi a volte mi ingannano. Nel sogno percepiamo le cose come quando siamo
svegli ma non provengono dall’esterno.
Forse in me c’è una causa involontaria (ancora non scoperta) che produce queste idee
delle cose sensibili senza riferimento alla sensazione.
La mia essenza è il pensiero. La cosa pensante è distinta dalla cosa estesa che è il
corpo. La facoltà di immaginare e di sentire dipendono dall’intelligenza a cui sono
unite, non appartengono alla definizione della mia essenza.
Siccome alcune idee mi appaiono anche contro la mia volontà, la capacità attiva di
produrre idee deve trovarsi in qualche sostanza diversa da me (corpo) dove siano
contenute tutte le realtà formali di quelle idee prodotte.
I corpi esistono perché producono idee; queste idee non vengono prodotte da Dio
perché Dio non mi inganna.
Dio mi ha dato sicuramente gli strumenti per conoscere con certezza, non mi inganna.
La natura, ovvero il complesso delle facoltà della persona umana mi insegna 3 cose:
che ho un corpo, che in esso è presente distintamente un’anima, che esistono le cose
materiali.
Io compongo con il mio corpo un’unità.
Per Cartesio non esiste il vuoto: anche laddove non percepisco alcunché non devo
concludere che lì non esistano corpi. I sensi sono utili, non hanno funzione di verità.
L’idropico non è paragonabile a un orologio rotto, perché in quest’ultimo le leggi di
natura funzionano correttamente, vengono solo applicate diversamente. Nel caso
dell’idropico invece le sue sensazioni producono stimoli contrari alla salute della
persona. Non è spiegabile, è un errore di natura, è come se si autodistruggesse.
Lo spirito non è divisibile in parti.
Lo spirito riceve le impressioni dalla parte del cervello dove risiede il senso comune.
Tutti i sensi della nostra natura fanno emergere la bontà di Dio che ci ha creati, i
sensi sono utili alla nostra conservazione. Ci sono comunque casi eccezionali dove
i sensi operano in una direzione che è dannosa per l’organismo. Noi siamo composti
di corpo e anima, siamo dunque soggetti all’errore.
Infine Cartesio rigetta tutti i dubbi iperbolici che aveva assunto precedentemente,
scioglie anche la confusione che l’aveva portato a non distinguere il sonno dalla
veglia, perché nel sonno la memoria non collega il sogno al resto della vita.
Grazie alla memoria riesco a definire il contesto delle cose, da dove vengono.
Cartesio termina riconoscendo la limitatezza della natura umana, sottolinea il fatto
che l’uomo si può sbagliare spesso nelle cose particolari (l’azione viene prima della
riflessione spesso).
Dio, in sintesi, mi garantisce la verità laddove le idee mi appaiono evidenti, dove
non sono evidenti mi garantisce gli strumenti per raggiungere la certezza e
l’evidenza, mentre nei casi come quello dell’idropico bisogna riconoscere che è
meglio essere ingannati dalla natura in quei casi eccezionali rispetto a quelli ordinari.
Cartesio in ultima istanza sottolinea la centralità e allo stesso tempo i limiti delle
risorse umane.

LEZIONI:
Introduzione:
L’analisi è il fulcro del metodo, la sintesi è il fine. È possibile elaborare una morale
che proceda secondo il metodo geometrico, che arrivi a delle certezze. La morale ha
bisogno anche di una conoscenza metafisica; prima di giungere alla metafisica ho
bisogno delle norme nella mia attività di ricerca.

Le meditazioni vengono pubblicate nel 1641 a Parigi, sono concluse nel 1640,
Marsenne si occupa di divulgare l’opera ai principali intellettuali dell’epoca e
Cartesio pubblica nel 41 l’opera con le considerazioni.
Elabora un testo in latino che considera destinato ai dotti, agli accademici, ai
religiosi. Queste persone si rifacevano alla tradizione scolastica.
L’opera è la cornice metafisica che risolve il problema della corrispondenza tra
necessità naturale e rappresentazione scientifica. Vuole dimostrare che la natura è
governata da leggi esprimibili in linguaggio matematico e l’uomo riconosce queste
leggi come evidenti non solo soggettivamente ma anche oggettivamente. Occorre
costruire un quadro metafisico. La mente ha una natura diversa dai corpi ma conosce
i corpi secondo verità.
Cartesio scrive un secondo testo latino che esce nel 1644: “Principia philosophiae”. È
un sunto della sua filosofia attuato attraverso un linguaggio scolastico: Spinoza
prenderà spunto da quest’opera.
A partire dalle ultime meditazioni, il tema cruciale della ricerca cartesiana diventa la
relazione tra le sostanze e la definizione di alcune condizioni come quella passionale
(Le passioni dell’anima, 1650). La passione è uno sguardo sulla realtà, ha una natura
ideale, ma anche corporea. Il dualismo lascia aperto il problema della comunicazione
delle due sostanze, la comunicazione tra corpo e anima occorre una soluzione
intermedia, uno spazio dedicato.
L’ultima sua opera è il trattato sull’anima.

Tra il 1638 e 1640 scrive le meditazioni; l’11 novembre del 1640 Cartesio manda il
testo a Marsenne, lui lo divulga e vengono raccolte le diverse risposte e opinioni.
Nella seconda lettera sulle meditazioni Cartesio fa riferimento a Pierre Bourdin, con
il quale ha una disputa sul trattato della diottrica, e Gijsbert Voet.

Nei Principi troviamo la famosa metafora dell’albero: le radici sono la metafisica,


il tronco la fisica e i rami tutte le altre scienze (che si riducono a Medicina,
Meccanica e Morale).
Nelle meditazioni c’è la dimostrazione dell’esistenza di Dio e dell’anima. Dio è un
Dio filosofo, non è più il Dio delle scritture, ma garantisce la verità, consente
l’indagine matematica della natura, non è Colui che ama e promette. Garantisce i
principi e le leggi della natura, immutabili. La volontà di Dio è immutabile, non ha
più libertà.
Dio è garante della Verità, della necessità, non sappiamo perché non muta, potrebbe
farlo ma non lo fa: noi non sappiamo il perché. Io vedo le leggi immutabili, allora
penso che anche Dio lo sia. Dio è libero, può fare miracoli, ma la sua potenza è
imperscrutabile, non posso dirlo con certezza. Cartesio lascio uno spazio per la fede,
Spinoza toglie questo spazio. Sarebbe temerario affermare che Dio non possa fare
quello che noi non possiamo comprendere.
La metafisica non deve occuparci troppo tempo, è solo la base, la mente non deve
distrarsi dal vero obbiettivo che è la ricerca scientifica; una volta acquisita la
sicurezza dell’evidenza mi posso dedicare alla ricerca.

I MEDITAZIONE; “DELLE COSE CHE SI POSSONO REVOCARE IN


DUBBIO” (Il mondo si è ampliato, si ridiscute tutto e il dubbio scettico ritorna; il
dubbio libera dai pregiudizi, dal falso, ma ha anche un valore normativo nello
stabilire la verità; riconosco l’evidenza con la volontà; dubito delle esperienze fini,
il senso ci inganna, ipotesi del sogno; nel sogno però le verità rimangono tali, usa
il Genio maligno per dubitare delle idee innate; sospensione in un acqua
profondissima; nel 600’ c’è grande interesse per la demonologia)
Dalla terza meditazione si cerca di dare un contenuto al pensiero attraverso
l’introduzione di Dio come garante della verità, dell’evidenza, delle idee. La quarta
parla del vero e del falso. La quinta parla dell’essenza delle cose, di Dio e della sua
esistenza e la sesta dell’esistenza delle cose e delle reali distinzioni tra anima e corpo.
Il dubbio era il grande protagonista del dibattito filosofico: lo scetticismo rinasce in
quell’epoca, come in altre epoche di crisi. Lo scetticismo di Montaigne: il mondo si è
geograficamente ampliato, le esplorazioni avevano evidenziato come le verità della
natura e anche i principi della società potevano essere messi in discussione. Nascono
il relativismo e lo scetticismo. Cartesio inizia a dialogare con queste realtà, con il
dubbio.

All’inizio della prima meditazione dice che nella sua pacifica solitudine si dedica al
rovesciamento di tutte le sue antiche opinioni attraverso il dubbio. Il dubbio ha una
duplice funzione: libera dai pregiudizi, dal falso, ha una funzione critica, ma allo
stesso tempo ha un valore normativo, non dubita della verità poiché la verità è
indubitabile: il dubbio è finalizzato alla Verità. L’indubitabile non è un indubitabile
psicologico ma normativo: il fondamento della verità è l’indubitabile.
Io arrivo al secondo passo (Dio) attraverso il primo (Io penso), ma non è detto che il
secondo sia più generale del primo. Questo procedimento parte dal dubbio e passa per
l’indubitabile, per che cosa è indubitabile, per Dio.
Quando incontro l’indubitabile io lo riconosco come vero con un gesto della volontà
(riconosco l’evidenza).
La prima cosa che si dubita è l’esperienza, la conoscenza dei sensi, il dubbio
dell’esperienza sensibile ha un doppio snodo:
 si dubitano prima le esperienze fini (esperienze che posso mettere in dubbio
con l’ipotesi del dubbio).
 e poi le idee innate, le verità matematiche e geometriche (valide anche nei
sogni, ma dubitabili attraverso l’ipotesi del genio maligno che ci inganna).
I sensi non sono del tutto affidabili, però non ingannano sempre, ma è poco prudente
fidarsi di chi ci ha ingannato una volta; devo dire che però ci sono esperienze evidenti
che orientano la mia vita. Cartesio ricorre all’ipotesi del sogno per dire che i sensi ci
ingannano, non considera la follia, non la prende come possibile contestazione dei
sensi (ci sono i folli ma rimangono fuori da questo ragionamento; il folle rimane
escluso dalla razionalità moderna. Cartesio riconosce l’universalità della ragione
escludendo la follia). Anche le esperienze più evidenti possono essere dubitate
ricorrendo all’ipotesi del sogno: mentre sogno vivo esperienze della sensibilità come
quando sono sveglio, mentre sono sveglio le relaziono al mondo esterno, mentre
dormo non posso dire che provengono dal mondo esterno: i sensi nel sogno non
hanno alcun rapporto con la realtà, creano sensazioni che sono da rimandare al
pensiero. Anche nel sogno ci sono delle rappresentazioni che possono sembrare reali,
esistenti. Ad esempio, un tavolo, un corpo, mi appare nel sogno così come è nella
realtà. Per sognare un corpo o per apprendere un corpo attraverso la sensibilità questo
deve essere dotato di caratteristiche particolari, come ad esempio l’estensione: non
posso sognare o percepire un corpo non esteso, analogamente è sempre dotato di
figura, ovvero è sempre in quiete o in movimento. Lo penso secondo il numero,
l’estensione, la figura, il movimento. Non posso concepire un triangolo senza tre lati
o tre vertici. Queste sono idee innate, io potei dire di iniziare da qui perché sono
indubitabili, sia nel sogno sia nella realtà. Per dubitare delle idee innate Cartesio usa
l’ipotesi del Genio maligno per dubitare anche dei principi matematici. Ciò che mi
appare nella ragione come evidente potrebbe non corrispondere alla realtà, al mondo
esterno. Il genio maligno potrebbe darci una realtà lontana dall’evidenza razionale.
Chi mi dice di non stare sragionando? Che l’evidenza, la certezza, non sia tale? Ciò
che mi appare vero potrebbe essere falso. Per ipotizzare il genio maligno è necessaria
l’esistenza di Dio, se Dio non c’è non c’è perfezione, non c’è verità da conoscere,
l’uomo senza Dio non può conoscere la verità.

In sintesi, ci sono due momenti in cui questo ragionamento procede: prima usa gli
strumenti dello scetticismo classico, del pirronismo, dicendo che i sensi non sono
attendibili e poi sulle le cose evidenti di cui possiamo fare esperienza dice che
possono essere dubitate attraverso l’ipotesi del sogno. Questo scetticismo ha avuto
una rinascita nel 500’ con Montaigne.
Richard Popkin scrive su Descartes che nel biennio 1628-29 si accorse della forza del
dubbio, dello scetticismo. A Parigi mette in atto una nuova ricerca che produsse la
svolta storica del cogito come evidente, certo. Cartesio viene invitato ad una riunione
di dotti del Cardinal Bagni dove ascolta il chimico Chandu che critica su alcuni punti
la filosofia aristotelica. Cartesio non applaude e poi parlò del fatto che Chandu e
l’auditorio si affidavano troppo alla probabilità, al caso: il falso poteva diventare
facilmente vero e viceversa. Espone il suo metodo. Potrebbe essere stata la causa
occasionale dell’inizio delle sue ricerche in campo metafisico, prima non se ne era
mai occupato. L’esigenza delle meditazioni metafisiche nasce dalla delusione nei
confronti del metodo sperimentale che non aveva dato i frutti sperati. Cartesio è
convinto che la speculazione spetti al cogito e procede verso una fondazione
metafisica, teologica, del cogito. La coscienza del singolo è sola davanti alla fede,
non basta la solitudine, occorre fondare il pensiero in posizioni
metafisiche/teologiche considerate come vere. L’IO viene riconosciuto e ha un ruolo:
c’è però l’idea di universalizzare la ragione per evitare scetticismo e relativismo.
Cartesio vuole evitare alla fine scetticismo e relativismo.

Oltre lo scetticismo classico Cartesio fa riferimento anche a un Genio maligno che


serve per mettere indubbio le verità di ragione, le idee innate, ovvero quelle verità
che sono tali anche nel sogno. Attraverso l’ipotesi del genio maligno Cartesio sta
confutando la facoltà umana del conoscere, confuta il fatto che noi possediamo delle
facoltà razionali affidabili: il ragionamento non è certo perché potrei essere ingannato
in profondità.
Le fonti del genio maligno: c’è un richiamo all’Occamismo scolastico che aveva
riflettuto sulla potenza di Dio e aveva detto che Dio era tal punto potente da poter
rendere il falso vero e da far concepire alla mente umana il falso come vero. C’è un
grande problema relativo ai demoni, Bodin scrive sui demoni e sugli indemoniati.
Il genio maligno revoca in dubbio l’evidenza: abbandona la posizione delle Regulae
dove diceva che la critica matematica era il fondamento di ogni certezza.

È arrivato al punto dove non c’è più nulla di certo, come se fosse sospeso in
“un’acqua profondissima”. Anche il tema degli indemoniati e i processi contro
posseduti rientra nella speculazione cartesiana.

Se non esiste Dio, e quindi nemmeno il genio maligno, non esiste allora nemmeno la
conoscenza perfetta, l’uomo imperfetto non può dimostrare da solo la certezza della
conoscenza. L’uomo da solo non può raggiungere la verità, la certezza.
II MEDITAZIONE: SULLA NATURA DELLO SPIRITO UMANO E DI
COME SIA PIU’ FACILE DA CONOSCERSI DEL CORPO esempi della cera e
degli automi, riabilitazione delle idee innate (io devo essere qualche cosa per
essere ingannato- o il corpo o il cogito, ma il corpo non esiste-; l’IO PENSO è
indubitabile; il pensiero è il fondamento perché sta alla base di ogni cosa -Cartesio
risponde all’obiezione di Gassendi; per Hobbes a pensare potrebbe essere anche il
corpo, per Cartesio è evidente che le due sostanze agiscono nella natura che è loro
appropriata; l’immaginazione non appartiene al pensiero puro, si appoggia al
corpo; esempio della cera; la verità non è più nelle cose ma è posta, in maniera
oggettiva e certa, dal pensiero; esempio degli automi; per Hobbes quando esprimo
le idee io dico dei nomi; la verità è verità per me nel pensiero, non vuol dire
corrispondenza: ho bisogno di Dio)

Tutto è falso, dubitabile.


Qui avviene la svolta: non sono io dunque qualche cosa? Il genio maligno deve pur
ingannare qualcosa, ma questo qualcosa non può essere un corpo, ne abbiamo
dubitato. O inganna un corpo o inganna me, ma il corpo non esiste. Ho dubitato di
tutto, ma non ho mai dubitato di esistere, non dubito dell’esistenza dell’IO. La
fondazione non è nel pensiero, ma nell’IO CHE PENSA.
Io esistevo dal momento che mi sono persuaso di qualcosa, che l’ho pensata: il
pensiero rivela l’esistenza di qualcosa di indubitabile, dell’IO. Posso pensare male,
eppure penso. NON C’È DUBBIO CHE IO ESISTA SE IL GENIO MALIGNO MI
INGANNA: non può mai far sì che io sia nulla se penso qualcosa.
L’io penso è indubitabile, io sono una cosa vera se lo dico, o ancora di più se lo
penso. L’Io è un Io pensante, il soggetto è pensante. Ogni realtà è una realtà pensata:
Heidegger individua qui l’origine del pensare inteso come esistenza, l’essere nel
tempo è la forma del pensare. PENSIERO ED ESISTENZA GIUNGONO AD
IDENTITÁ NELL’IO. Hegel e numerosi filosofi dopo Cartesio prendono le mosse
da questa svolta: prima c’è il soggetto, poi l’oggetto che è reso accessibile
attraverso il soggetto.

Obiezioni:
Gassendi dice: perché proprio il pensare? perché si dànno numerose azioni attraverso
le quali si rivela l’esistenza. Perché gli altri atti non hanno la stessa potenza
dimostrativa del pensiero? È manifesto che ogni azione manifesta un’esistenza.
Descartes risponde che se io dico: camminare, giocare, parlare ecc… in verità la sto
pensando: accedi sempre a quella realtà attraverso il pensare. Il pensiero è alla base di
ogni realtà. Tutte le azioni, le cose, vengono riconosciute perché pensate (idealismo).
Non esiste una realtà che non mi si dia come pensiero e non posso pensare senza Io.
Del camminare non è vero il movimento del corpo, non posso dedurne la mia
esistenza, ma del fatto che io penso di passeggiare sì. IL PENSIERO PRECEDE E
FONDA LA REALTÁ: inverso della filosofia realista aristotelica.

Hobbes critica Cartesio e non si comprendono a vicenda. Per Hobbes quell’Io


potrebbe essere corpo, perché c’è sempre uno schema dualistico? Perché la materia
non può produrre pensiero? Per Cartesio c’è un salto di sostanza. Per Hobbes
Cartesio scambia l’intellezione con il soggetto che compie l’azione: l’Io è l’io
pensante. Tutti i filosofi distinguono il soggetto dalle sue facoltà: il pensiero non è il
pensare. Cartesio non dimostra che il corpo non pensi.
Descartes replica dicendo che in natura esistono due sostanze: ciascuna cosa presente
in natura si fa conoscere attraverso i suoi attributi, sono azioni diverse che hanno una
natura diversa. Il movimento ha come natura il corpo, il pensare ha il pensiero.
Nessun pensiero esiste senza una cosa che pensa, senza una sostanza immediatamente
per se stessa (res cogitans).
Cartesio deve ancora dimostrare che l’Io penso è una sostanza diversa e distinta dal
corpo e che si può meglio individuare rispetto al corpo.
Per Hobbes la conoscenza è solo uno strumento che ha l’uomo per arrivare
pragmaticamente ai suoi obbiettivi, serve per vivere e stabilisce delle convenzioni
secondo l’uso delle cose. Cartesio fonda metafisicamente il pensiero: affinché io
possa pensare occorre un Io che pensa, un’anima diversa dal copro, occorre Dio.
L’ipotesi del genio maligno viene confutata nella terza meditazione.
L’unica causa della conoscenza è l’io pensante, se Dio non esiste. Non c’è l’ente
perfetto per antonomasia.

Cartesio distingue l’io pensante dal soggetto d’esperienza. Inizia a descrivere l’io
pensante dopo che ha detto che esiste. Alla fine della seconda meditazione riconosce
anche l’esistenza delle idee (esempio del pezzo di cera che riconosco solo perché lo
concepisco con l’intelletto, noi concepiamo i corpi con l’intelletto e non con
l’immaginazione o i sensi).
Dice che cosa l’io pensante non è. Non è un animale ragionevole. Non è corpo, non
può pensare il corpo, il pensiero non è una proprietà del corpo. Per corpo si intende
tutto ciò che può essere conchiuso in una figura. Non è nemmeno anima intesa come
fiammella, materia immateriale.
Riconosco parte del mio io solo il pensiero e non i corpi. Se tolgo il pensiero non
posso concepire, non posso concepire quindi Dio.
Cartesio distingue il pensare dall’immaginare: l’immaginare è un modo di pensare, il
pensare vuol dire molte cose, sono operazioni con le idee, prova la passioni.
L’immaginare è una forma di pensiero che, come la passione, si appoggia a un
corpo, utilizza un corpo. L’immaginazione produce idee fittizie. Immaginare vuol
dire contemplare una cosa come corporea, come dotata di corpo. Quando mi
immagino qualcosa me lo immagino dotato di corpo, qualsiasi cosa mi immagini.
La caratteristica ella conoscenza immaginativa è quel processo di figurazione, legato
alla nostra esperienza particolare. Il pensare, l’io penso, deve avere un’attività che lo
definisce in quanto esistente e questa attività non può essere l’immaginare perché
questa attività ha bisogno di un qualcosa fuori dall’io, ovvero il corpo. L’io penso
immagina ma non è l’immaginazione, è il pensiero puro, è il pensare le idee innate. È
un pensare che prescinde dal corpo. Ci deve essere una parte del pensiero che non è
immaginazione e che io conosco con maggior distinzione. Quello che viene prima
contiene già quello che viene dopo.

Le forme pure del pensiero, le idee innate, sono essenziali per poter pensare, sentire,
immaginare i corpi. Il mio io è ciò che rende possibile l’immaginare e il sentire.

Esempio della cera:


Io continuo a riconoscere, oggettivare, un dato pezzo di cera nonostante sia mutato,
abbia perso le sue caratteristiche. Nel mio pensiero ci sono determinate idee come la
figura, il movimento, l’estensione che fanno sì che io possa riconoscere lo stesso
pezzo di cera anche in due stadi diversi, perché li vedo in continuità.
L’io pensante forma la realtà (idealismo) e la dispone in categorie. L’io non è solo
esistenza ma è anche contenuto, contenuto di idee innate. Non solo ha ribaltato il
rapporto tra SOGGETTO E OGGETTO, ma dice anche che l’idea innata viene prima
del corpo, c’è una precedenza logica. Io conosco il corpo non perché ne faccio
esperienza ma perché in me c’è qualcosa lo costituisce come oggetto di pensiero (idee
innate). Senza queste forme pure non conoscerei la realtà. IL PENSIERO PRECEDE
L’ESSERE, io penso la realtà attraverso il solo pensiero, che non è corpo (res
cogitans). Ha recuperato le idee innate che prima aveva rimosso. Mi riserve Dio per
affermare la corrispondenza tra me e il mondo che è fuori di me. Le idee innate sono
chiare, evidenti, distinte; non possono essere ulteriormente scomposte.
La conoscenza precede l’esperienza e la fonda. L’io penso è questa forma di pensiero.
Io conosco prima e meglio il mio spirito dei corpi che posso conoscere tramite
questo.

Il pensiero è solius mentis inspectio, se ragiono in questi termini sposto l’attenzione


sulle idee innate:
LA VERITÁ NON È Più DENTRO ALLE COSE, NON SONO IO CHE LA VADO A
RACCOGLIERE: LA CERTEZZA SCIENTIFICA È CERTA PERCHÉ HA BISOGNO
DEL PENSIERO, IL QUALE PRECEDE L’ESPERIENZA E LA RENDE POSSIBILE.
LA CONOSCENZA OGGETTIVA DELLE COSE È UNA CONOSCENZA
COSTRUITA, PRODOTTA, DAL SOGGETTO.
Se io mi affaccio alla finestra e vedo dei cappotti con dei cappelli che si muovono
posso pensare che quella visione possano essere degli automi oppure degli esseri
umani, sono identici. Questa ipotesi è il contrario di quella del pezzo di cera. La
conoscenza, le idee innate, il mio pensiero, mi aiuta a distinguere che non sono
automi ma uomini: mi fa riconoscere i movimenti che vedo come umani, non di una
macchina. Se io analizzo con attenzione suscitando le idee innate, posso distinguere
chiaramente tra gli automi e gli uomini. A livello di percezione vediamo la stessa
cosa: le idee innate ci fanno giudicare correttamente, l’errore è un giudizio sbagliato.
L’errore è un atto della volontà che esprime un giudizio senza idee chiare e distinte.
Quello che a lui interessa è la verità non il modo con cui si percepisce. Se mi
appaiono fino in fondo uguali vuol dire che sono rimasto al livello
dell’immaginazione.
Io dico che una cosa è triangolare perché io ho l’idea del triangolo. Una figura
triangolare che vedo da piccolo non poteva insegnarmi che cosa fosse un triangolo
perfetto, perché non era essa stessa perfetta. Con un accumulare esperienze io non
posso raggiungere la perfezione dell’idea innata. Per Hobbes il triangolo è un nome
che io do a figure che mi appaiono simili.
I modelli che abbiamo innati condizionano la nostra esperienza quotidianamente, non
tutto si può ottenere attraverso l’esperienza senza mediazioni.
È possibile avere idee innate ma non riconoscerle oppure non saperle definire.

Ciò che appare all’io penso come chiaro e distinto è vero, vero non vuol dire che ha
una corrispondenza con qualcosa fuori di me, ma è vero per il pensiero. Queste idee
chiare e distinte non sono prodotte dai corpi ma sono idee che ci permettono di
conoscere i corpi. Per arrivare alla corrispondenza tra la verità del mio pensiero e il
mondo esterno devo ricorre a Dio. Devo partire dall’idea di Dio, da Dio come causa.

III MEDITAZIONE 3 tipi di idee, 2 prove dell’esistenza di Dio (occorre smentire


l’idea del Genio maligno, che è stata momentaneamente sospesa; tutti i contenuti
di pensiero sono idee -il giudizio e le emozioni sono idee-; ci sono 3 tipi di idee:
innate, avventizie e fittizie; ogni idea ha un contenuto, è impossibile pensare il
nulla; prima prova esistenza di Dio -idea di Dio-; obiezione di Gassendi -non posso
avere un’idea chiara e distinta dell’infinito-, per Cartesio ho un’idea chiara e
distinta di Dio ma non lo colgo nella sua infinità; seconda prova esistenza di Dio -
non posso essermi creato da solo e la mia vita è divisibile all’infinito, ma ha
bisogno di continuità-)

Si inizia a delineare uno schema tra idee innate e realtà; si capisce anche cosa si
intende con immaginazione: l’immaginazione sono idee che si appoggiano a
un’esperienza fisica.
La terza meditazione riprende dall’evidenza del cogito, dall’identità tra esistenza e
pensiero. Io ho l’evidenza dell’io penso, ma cosa significa? Se esiste l’io penso allora
esistono anche le attività che sono legate all’io penso (amare, odiare, volere…).
Occorre smentire il genio maligno per rendere certa anche la realtà fuori di me.
L’esistenza dell’io penso porta con se la verità delle idee che l’io penso concepisce.
Le idee innate sono idee la cui verità non dipende da qualcosa che sta fuori, sono vere
in sé, basta la chiarezza e la distinzione; c’è ancora un problema di corrispondenza
con la realtà causato dall’ipotesi del genio maligno.
Nei Principia c’è la definizione di chiaro e distinto: la chiarezza è il sinonimo
dell’attenzione, è ciò che viene prodotto dallo sguardo della mente, la distinzione è la
comprensione delle ovvietà che distinguono l’idea, della razionalità dell’idea, è
quello che per Spinoza è l’adeguatezza.
Io ho la chiarezza e la distinzione, il problema è il genio maligno. Liebniz distingue
tra verità di ragione e verità di fatto, queste ultime soggiacciono al principio di
ragione, sono verità date, verità causate.

Per dimostrare Dio abbiamo bisogno dell’idea di Dio, si tratta di vedere se tra le idee
della ragione c’è l’idea di Dio. Ci sono dei principi logici che l’intelletto riconosce
come veri a prescindere dalla loro connessione con la realtà. Le idee sono sempre un
contenuto mentale; ci sono le idee di uomo (che può essere un’idea avventizia o
fattizia), di chimera (fattizia). Ci sono le idee, le emozioni, i giudizi: sono tutte idee.
Ogni espressione della mente è idea: ci sono corpi e idee, non altro. Tutto ciò che non
è corpo è idea: tutta la vita del soggetto è idea. L’occasionalismo di Malebranche è
già in Cartesio.
Un’idea può essere contraddittoria ma mai falsa in sé può essere falso solo in
rapporto con l’oggetto, con la realtà oggettiva dell’idea. La realtà obbiettiva dell’idea
è il contenuto interno dell’idea. Il problema della verità è sempre un problema di
verità di giudizio, di attribuzione di verità ad un oggetto.

L’idea vera è chiara e distinta: la chiarezza è sinonimo di attenzione, ma io posso


avere delle idee chiare non distinte, ad esempio il dolore fisico, non è identificabile
con precisione. Le idee distinte sono idee che mostrano la propria singolarità. Il
cogito ha lavorato su queste idee e le ha ripulite da tutto ciò che non era necessario.

Cartesio distingue la verità dell’idea nel pensiero e la sua adeguazione nella realtà: la
verità dell’idea di Dio serve per smentire l’ipotesi del genio maligno.

Una volta stabilità l’esistenza di Dio il mio giudizio è più sicuro. Ci sono 3 tipi di
idee:
 Innate: sono nate in me, il contenuto è dato e la mente è attiva quando le pensa.
 Avventizie: la mente è sempre passiva, sono idee che vengono da fuori.
 Fattizie: la mente è attiva per ciò che concerne il contenuto e passiva per
quanto riguarda la forma, quando le pensa.

Il tema di questa lezione è l’idea perché su questa si basa la dimostrazione di Dio a


posteriori. C’è una distinzione tra 2 concezioni dell’idea: nella prima Cartesio include
tutti gli atti della mente (passioni, volizioni, giudizi…), l’altra è utile per giungere
alla dimostrazione a posteriori di Dio. Nella seconda considera solo le idee che
rappresentano un contenuto, che hanno un contenuto rappresentativo (Innate,
avventizie e fattizie).

Ci sono due aspetti importanti: per Descartes la definizione di idea comprende solo
idee rappresentative, le altre non rappresentative non le considera. Ad esempio, l’idea
del vuoto, del nulla, non sono considerate. È impossibile pensare il nulla, un non-
contenuto. L’idea di infinito è sempre precedente rispetto all’idea di finito, l’idea di
infinito è innata.
In Cartesio c’è una connessione stretta con la filosofia scolastica; infatti, per la
scolastica si pensa sempre l’ente, l’essere; la filosofia è il pensare la realtà.

La realtà oggettiva si distingue dalla realtà formale. Per realtà oggettiva dell’idea si
intende il contenuto interno, rappresentativo, dell’idea, per realtà formale si intende
un contenuto esterno al quale questa realtà rappresentativa fa riferimento. Tutte le
idee hanno sempre una natura formale: sono enti, realtà di pensiero.

Prima prova a posteriori di Dio:


Si costituisce su due elementi: Cartesio afferma la constatazione della realtà dell’idea
dell’infinito, è nella mente dell’uomo. L’idea di Dio è nella mente dell’uomo, è una
traccia che dobbiamo seguire per arrivare alla certezza dell’esistenza di una causa
esterna che l’ha posta in noi.

Per il principio di causalità, riconosciuto come vero dal lume naturale, il contenuto
oggettivo dell’idea deve avere una causa che ha un grado di realtà maggiore o uguale
al contenuto oggettivo, rappresentativo. Un’idea non mi può rappresentare una
perfezione senza che ci sia una causa esterna che ha dato questo contenuto: posso
essere io o una causa esterna. Se in me c’è una idea oggettiva alla quale io riconosco
un grado di perfezione superiore a quella che io attribuisco all’io penso, allora l’io
penso non può essere la causa di questa idea.
Dal mio io pensante posso aver ricavato quasi tutte le idee corporee, dei sensi; le idee
innate sono in me (pg 155-156).
La sola idea di Dio è stata creata da una causa esterna che deve essere
necessariamente Dio, in quanto ente perfettissimo. L’unica proprietà che Cartesio
evidenzia dell’idea di Dio è l’infinità. Non posso considerare l’infinito come un finito
negato, sottratto dalla sua determinazione.
Cartesio dice: io posso negare Dio, quello che non posso negare è la presenza nella
mia mente dell’idea di Dio: il pensiero è il fondamento della dimostrazione
dell’esistenza di Dio. L’esistenza di Dio deriva dall’idea di Dio. Io posso dire con la
volontà che Dio non esiste, ma se lascio agire l’intelletto non posso non riconoscerla.

Questo è un modo di ragionare che ribalta il modo di ragionare degli scolastici: Dio è
inconoscibile e possiamo avvicinarci a lui solo per analogia. Cartesio si discosta da
questa visione.
Obbiezione di Gassendi:
Gassendi replica che l’uomo in verità non ha l’idea di infinito, lo comprende solo per
approssimazione. Cartesio dice che noi possiamo avere l’idea chiara e distinta di
infinito ma ciò non implica che noi conosciamo interamente l’infinito, Dio. Noi
possiamo avere una idea chiara e distinta della natura senza conoscere la totalità delle
leggi che la governano.
È proprio della natura dell’infinito che il finito non possa comprenderlo nella sua
totalità; anche Spinoza dice che non possiamo conoscere tutti gli infiniti attributi
della sostanza, ma abbiamo un’idea chiara e distinta di cosa è.

Se Dio esiste secondo le caratteristiche della perfezione allora non mi può ingannare.

Seconda dimostrazione a posteriori dell’esistenza di Dio:


Si avvicina alla dimostrazione classica, scolastica, dell’esistenza di Dio: se c’è una
cosa allora ci deve essere un’altra cosa che l’ha causata: applichiamo il principio di
causa all’io pensante e alla natura. L’attenzione alla natura mi porta all’attenzione su
me stesso: io che l’idea di Dio, se Dio non esistesse, potrei essere causa di me stesso?
Posso essere auto sussistente?

Qui si ha come oggetto l’io, senza corpo, io pensante, non più Dio in sé. È necessario
che riconosca Dio come autore della mia esistenza. La mia vita può essere divisa in
una infinità di parti, tali che, in successione, nella loro singolarità non fanno sì che io
debba continuare ad esistere. Per dare una continuità all’io penso, per dargli una
storia, ho bisogno di Dio come garante della continuità dell’io penso nel tempo. Ci
deve essere una causa che mi crei e che mi conservi. Una sostanza richiede di essere
confermata nel tempo come è stato necessario l’inizio. Dio non solo è garante della
corrispondenza tra mondo esterno e io ma è anche colui che ha creato tutto e che lo
mantiene.
Io posso credere di essere il creatore del reale, io posso creare i corpi e le idee dei
corpi, ma non posso creare la continuità dell’io penso. Chi dà la continuità è anche
colui che crea effettivamente.
Berkeley critica dicendo che la creazione si distingue dal loro mantenimento.
Si passa dalla dimostrazione dell’io penso, a quella della sua necessità, alla necessità
di Dio per questa continuità.
Questa definizione di Dio lascia aperta la possibilità che Dio sia causa sui; gli
scolastici evitavano il problema dicendo che Dio non è causato.

La causa che mi ha generato deve essere pensante e deve contenere in sé tutte le idee
di perfezione che io attribuisco alla natura divina. Tale causa è Dio, sia che sia causa
di se stesso, sia che non sia effetto di nessuna causa.

L’idea innata di Dio insieme alle altre idee innate, sono state create nel momento in
cui sono nato. Malebranche ribalterà questa posizione. Nel momento in cui Dio crea
l’uomo crea anche le idee innate per Cartesio.

QUARTA MEDITAZIONE: Sul vero e sul falso, Dio, intelletto e volontà (Non
posso pensare il falso; l’errore è non riuscire a far trasparire il vero, è lo scarto tra
l’infinità della volontà e la finitezza dell’intelletto, è sempre un errore di giudizio;
il male è l’incapacità di vedere il reale, la verità, la perfezione; peccato e male sono
molto simili; dobbiamo conoscere la natura secondo cause efficienti, non secondo
la causa finale; sospensione del giudizio per evitare l’errore)
Io non posso pensare il falso, il falso non è ontologicamente esistente. Tutta la
filosofia di Cartesio è filosofia del positivo, la non verità è l’autoinganno, il
pregiudizio. L’imperfezione è il non riconoscimento di ciò che la realtà è.
Io mi riconosco come imperfetto, pieno di errori; l’idea di imperfezione e di nulla
sono in me. Io sono il termine medio tra l’essere supremo che è Dio e il nulla. Io
partecipo in qualche modo al nulla, al non essere. Mi vedo esposto a una serie di
manchevolezze. La possibilità di sbagliare non è una possibilità che mi ha dato Dio,
ma è un difetto, una mancanza. L’errore non è negazione, qualcosa di reale in me, ma
incapacità di lasciar trasparire il vero. L’essere umano è vero in sé, conosce secondo
verità, il male è l’incapacità di vedere il reale, la verità, perfezione che è davanti a
noi.
In me non c’è l’immediata conoscenza di tutto.
Dio è causa efficiente, causa prima, ma non riusciamo a conoscere integralmente le
sue finalità, non possiamo comprendere la natura usando il concetto di finalità (c’è
già Kant). Rischiamo di sostituire i nostri fini con quelli di Dio, mettiamo i nostri fini
perché così riusciamo a spiegare meglio la natura. Non possiamo usare la causa
finale, solo quella efficiente (nel 600’ Dio è causa efficiente), perché non possiamo
conoscere integralmente Dio e i suoi piani.
L’errore è un giudizio in cui si mal connettono la capacità di conoscere e la capacità
di scegliere: è sempre un problema di libero arbitrio. Elaboriamo un giudizio e
attribuiamo un predicato a qualcosa a cui non si addice.

Sintesi quarta meditazione


Il problema della quarta meditazione è l’errore, l’idea innata di Dio e l’esistenza di
Dio. L’idea innata di Dio permette a Descartes di scartare l’ipotesi del genio maligno.
All’inizio della quinta meditazione tornerà sulle idee innate, per ora si è occupato
solamente dell’idea innata di Dio.
Se Dio quindi non ci inganna, da dove viene l’errore? La conoscenza non è sempre
certa, infallibile.
Può essere l’errore considerato una mancanza di verità? Come il nulla?
Cartesio dice che noi siamo il termine medio tra Dio e il nulla. Io per natura derivo
dall’essere sovrano, ma non sono io stesso l’essere sovrano; quindi, se mi considero
da questo punto di vista mi accorgo di essere esposto a un’infinità di manchevolezze.
Il vuoto non esiste, è il nulla sul piano fisico, tutto è corpo. Il nulla in sé e per sé è il
non-essere.

La mia conoscenza non è infinita come quella di Dio. Dio avrebbe potuto crearmi in
modo tale da non potermi ingannare. Dio però fa sempre ciò che è più giusto.
L’errore non è una mancanza di conoscenza, ma devo ammettere di non avere una
conoscenza infinita: ci sono cose che non riesco a spiegare.
Non ho la conoscenza perfetta dell’agire di Dio: posso rimuovere la mia pretesa di
conoscenza di cause finali. La conoscenza scientifica cartesiana è una conoscenza di
cause efficienti. Spinoza dice antropologicamente che l’uomo è portato a cercare la
finalità nelle cose, è il suo modo di comportarsi. Cartesio aveva evidenziato come il
concetto di causa finale fosse un concetto sbagliato per spiegare la natura.

Descartes si pone una questione: perché Dio ci ha creato incapaci di avere una
conoscenza immediata della realtà? Perché Dio ci ha fatto peccatori, imperfetti?
L’errore c’è solo perché penso che ci sia; l’errore ha una sua ragione all’interno
dell’armonia del tutto. Agli occhi di Dio ha senso, noi non riusciamo a vedere il
senso.
Da dove nasce l’errore? Descartes distingue tra intelletto (capacità finita) e volontà
(capacità infinita). L’errore è sempre un errore di giudizio, non è un errore di
concepimento, non è nemmeno nella cosa stessa. Si tratta sempre di definizioni
errate.
Si devono pensare tutte le creature di Dio nel loro insieme: un singolo può essere
imperfetto, nel tutto ha il suo senso.
All’intelletto spetta l’analisi e il lavoro sulle idee fino a giungere all’idea chiara e
distinta, all’evidenza. Quando giungo all’evidenza c’è accordo tra volontà e intelletto,
la volontà non può non accordarsi. La volontà però è infinita e può esprimere un
giudizio su qualsiasi cosa; l’intelletto ha invece dei limiti. La volontà può dire come
vero il falso e viceversa; ha la prevalenza sull’intelletto. Non possiamo lamentarci del
fatto che l’intelletto è finito e la volontà è infinita.
Dalla libertà deriva il peccato; in Cartesio errore e peccato hanno la stessa origine,
sono molto simili.
La mia volontà infinita è ciò che mi accomuna a Dio: è la nostra possibilità di fare o
non fare una cosa, di affermarla o negarla. La volontà ha permesso a Cartesio di
mettere in dubbio. La volontà fa emergere l’evidenza dell’io penso ma ci fa cadere in
errore.

Cartesio ha come riferimento Agostino, sono tutti temi che trae da fonti agostiniane
che ha letto durante la sua formazione a Le Flèche.

La libertà della volontà non è libertà di indifferenza, non coincide con l’indifferenza.
Siamo sempre portati verso un giudizio. La volontà come forza infinita si traduce con
un moto rettilineo, sul piano del pensiero si traduce invece alla continua verifica e
alla continua produzione di giudizi. Dobbiamo accompagnare l’intelletto con la
formulazione di giudizi. Il pensiero è sempre animato dalla volontà, ricerca sempre la
verità, anche a costo di cadere in errore.
Dalla tensione infinita della volontà che produce giudizio nascono gli errori. Da sola
la volontà è incapace di limitarsi, di circoscriversi alla verità. All’intelligenza spetta il
compito di circoscrivere e dirigere i giudizi.

Il segreto è quello di arrestare il giudizio, se così faccio sono sicuro di non usare male
il mio giudizio. Ma se mi decido a negare o affermare allora uso male il mio libero
arbitrio.

Noi abbiamo ora la conoscenza dell’io penso e di Dio. Dobbiamo definire le restanti
idee innate e definire la materia, il mondo esterno.

QUINTA MEDITAZIONE: sull’essenza delle cose materiali e, ancora, su Dio e


sulla sua esistenza (se immagino un corpo e me ne formo l’idea immagino delle
qualità che sono indipendenti dall’esistenza dell’oggetto
Posso conoscere qualcosa di certo dalle cose materiali? So che posso conoscere bene,
ma cosa posso conoscere?
Prima di occuparci dei corpi dobbiamo occuparci delle idee dei corpi che sono nel
mio pensiero.
Ciò che Cartesio ha conseguito fino ad adesso sono la verità delle facoltà del
pensiero. Ora ricorre alla facoltà più vicina alla sensibilità: l’immaginazione.
L’immaginazione si rappresenta i corpi con il pensiero.
Quando immagino un corpo immagino sempre un’estensione. Posso pensare il
numero, le parti, il movimento, la figura, la durata.
Immagino i corpi e immagino anche tutte le idee che vanno a definire i corpi. C’è
l’esempio opposto della cera: parte dall’immaginazione qui, non più dall’esterno, dai
sensi.
Le idee della razionalità, le idee innate che definiscono scientificamente i corpi, sono
date una volta per tutte.
Io trovo in me un’infinità di idee che non possono essere ridotte a un puro niente,
anche se non avessero alcuna esistenza fuori di me.
Quando immagino il triangolo, anche se questo non esistesse nella realtà, resterebbe
una figura dotata di determinate proprietà e caratteristiche che non dipendono dalla
mia mente. Lo vedo chiaro e distinto.
Le idee innate sono da sempre nell’intelletto e vengono messe nell’intelletto nel
momento della nascita quando viene creato.
In Platone l’uomo scopre l’idea innata nel momento del ricordo. Lo scoprire è un
ricordare in realtà.

Le idee avventizie le devo percepire, le idee fattizie le devo pensare; le idee innate
esistono indipendentemente dal fatto che le pensi o meno.

Prova a priori di Dio:


Le prime due prove che abbiamo considerato sono definite a posteriori perché
l’esistenza di Dio è definita come causa, si appoggiavano al concetto di causa. Dio è
causa dell’idea di Dio che ho in me, dall’effetto risalgo alla causa.
Dall’idea innata di Dio che penso ricavo come effetto (e non come causa) l’esistenza
di Dio. Io non posso pensare Dio senza pensarlo come esistente. Ora so che le idee
innate non mi ingannano e mi dicono qualcosa sulla realtà. Tutte volte che penso la
montagna penso la valle, se penso Dio come non esistente penso un Dio imperfetto.
Se sto sopra l’idea di Dio vedo la sua perfezione e devo arrivare all’esistenza di Dio.
Penso un triangolo e so che la somma dei suoi angoli interni è 180°. L’esistenza di
Dio è l’effetto dell’idea di Dio.

Anselmo dice che se io penso Dio lo penso come infinito, ma se penso questo infinto
come inesistente allora può esistere un infinito superiore esistente. Tommaso obietta
ad Anselmo una cosa: io posso pensare a un Dio infinito, ma non posso dedurne
l’esistenza a partire dal pensiero di Dio. Io ho provato solo l’esistenza del pensiero di
Dio.

Analogamente l’obiezione che Caterus muove a Cartesio è che io provo così solo
l’esistenza dell’idea di Dio. Cartesio dice che la prova a priori è valida perché esiste
Dio, del quale se ne era già provata l’esistenza dalle prove a posteriori. La prova a
priori di Dio dimostra Dio perché Dio esiste; c’è un rimando alla prova a posteriori. È
una conferma delle altre due prove.
Dio necessariamente esiste, non è contingente come i corpi che possono esserci come
non esserci.

Cartesio anticipa un problema che gli verrà fatto presente. Nulla per lui è più chiaro
dell’esistenza di Dio, anche prima di ogni esperienza sensibile.
Per pensare la natura come meccanica, nel suo funzionamento, io ho bisogno delle
idee innate per concepirla. Ho bisogno di Dio per concepire la natura in questo modo;
ho bisogno anche delle idee della natura e di Dio. L’esistenza di Dio è un corollario
che io ricavo dall’idea di Dio.
Questo modo di vedere la natura attraverso leggi è il modo che è compatibile e
analogo alla dimostrazione di Dio.
Le idee innate definiscono un sistema che dimostra Dio e mi dà fede, ciò mi serve per
analizzare la natura attraverso le idee innate, per capire come funziona
meccanicamente. C’è una differenza reale, essenziale, tra le sostanze.
La verità dell’idea di Dio fa da garante a tutte le altre idee innate.
Ora si può formare una scienza perfetta, non solo su Dio ma anche sulla natura. La
dimostrazione dell’esistenza di Dio è una dimostrazione a more geometrico.

SESTA MEDITAZIONE, Sull’esistenza delle cose materiali e sulla reale


distinzione fra l’anima e il corpo:
È integralmente dedicata alla sensibilità e ai corpi; gli manca di risolvere il problema
dell’errore di natura.
Il primo titolo delle meditazioni era: “Meditazioni sulla filosofia prima nelle quali si
dimostra l’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima”, successivamente viene
mutata la seconda parte, e dice che si dimostra invece la distinzione tra anima e
corpo, tra res cogitans e res extensa; non è sostanziale l’immortalità dell’anima,
quello che Cartesio spiega è la distinzione ontologica tra queste due sostanze.
La differenza tra anima e corpo è il cuore della sesta meditazione, è il tema sul quale
tutta la filosofia cartesiana prende posizione, anche oltre lo stesso Cartesio.
Si crea un problema di comunicazione nell’uomo tra anima e corpo, è il problema del
dualismo (ancora oggi irrisolto).
Anche Malebranche costruirà la sua filosofia a partire da questo problema.
Cartesio ritiene di aver dimostrato la differenza reale tra corpo e anima, ci dice anche
che in quanto sostanze sia l’una che l’altra sono eterne. È più complesso spiegare
invece che cosa significa che l’anima è sostanza: non possiamo usare lo stesso
metodo dei corpi. L’anima non è un aggregato, un composto, ma è una sostanza di se
stessa. Il corpo può essere modo o accidente della sostanza, l’anima non può essere
modo della sostanza perché altrimenti sarebbe composta (Cartesio non si occupa di
questo problema).

Nella sesta meditazione il problema è l’esistenza dei corpi.


Si parte inizialmente dall’Io penso e dal suo modo più vicino alla sensibilità:
l’immaginazione.
Io conosco attraverso le idee innate le forme, ma devo riempire queste forme di un
contenuto corporeo immaginando queste forme in natura.
Io dall’immaginazione ho una risposta positiva sul fatto che in natura esistano i corpi.
Immaginare è un’attività mentale in cui la forma del triangolo, come idea, prende
corpo, me lo raffiguro.
L’immaginare non si identifica come attività con l’io penso, non lo caratterizza, ma
dipende da una condizione esterna: l’esistenza dei corpi esterni. Nell’immaginazione
le idee vengono rese corporee. Lo stesso atto immaginativo ci suggerisce che noi
abbiamo un corpo, svela l’unione dell’anima con una realtà che le consente di
immaginare. L’immaginazione è legata al corpo, non è una facoltà dell’anima, non la
definisce.
Si fa riferimento al proprio corpo, non ancora ai corpi esterni, sono ancora nei limiti
del mio pensiero.
L’immaginazione però ci dà una conoscenza del corpo solo di natura probabile.
Il corpo nell’immaginazione rimane come un’traccia, come un’impronta, rimane
internamente all’atto del pensiero.

Mathesis è la conoscenza intellettuale, la conoscenza delle idee innate chiara e


distinta; non è solo conoscenza matematica e geometrica. È anche corpo, infinità,
sostanza, io…
L’uomo quando conduce un’esperienza sensibile viene affetto dai corpi esterni, è in
una condizione di passività, subisce una modificazione che poi l’io penso rielabora. Il
primo carattere della sensibilità è la passività.
L’io penso continuo ha memoria e ha sensazione delle idee passate: le affezioni si
presentano nella memoria, anche le passioni. Il passato è il composto della nostra vita
emotiva e passionale. La memoria sta dentro al corpo è la traccia che le affezioni
lasciano in noi.
Le sensazioni sono orientate dalla struttura del corpo che si è formata da altre
esperienze.
La memoria è molto influente nella conoscenza dei corpi esterni, anche le passioni e
le affezioni di conseguenza.
Le passioni sono date da Dio per orientare la prassi: il piacere e il dolore sono dati da
Dio per indicare ciò che fa bene e ciò che è dannoso. Queste inclinazioni naturali
come la fame, la sete, la tristezza, la collera, sono conseguenze della memoria.
Le idee avventizie sono pura ricezione, passività, sono involontarie e non affidabili,
non distinte, sempre confuse. Sono sempre confuse perché nella sensibilità c’è il
corpo come mezzo, è la mediazione del corpo che rende inaffidabili i sensi e confuse
le idee avventizie. Percepisco sempre su uno sfondo percettivo che è il mio Io sento,
le mie proprie esperienze, che causano una torsione. L’io penso è la capacità di
pensare e di prevedere, l’io sento è più personale, legato alla sensibilità e
all’esperienza.

Le sensazioni e le passioni sono tali per ordine naturali, sono potenza ordinata di Dio.
Dio ha una potenza assoluta (capacità di agire senza mediazioni) e una potenza
ordinata (Dio usa questa potenza per manifestarsi nei nessi causali, nell’ordine
naturali). Le passioni e le sensazioni hanno un’utilità che risale all’ordine naturale.
Perché a certe percezioni corrispondono certe risposte e certi bisogni dell’individuo?
È la potenza ordinata di Dio che si risolve. Così Cartesio risolve la comunicazione tra
le sostanze.
Anche se Dio ci ordina a certe percezioni, non sempre queste percezioni sono
costruttive, ci sono dei casi nei quali le sensazioni ci ingannano e ci producono del
dolore fisico. (Caso dell’idropico).
La conoscenza sensibile passiva ha forse una certa utilità ma:
Non è certa, può essere risultato di un sogno, potrebbe esserci il genio maligno.
Il genio maligno mi inganna, mi fa come sognare. Dio non può avermi dato le
sensazioni senza che ci sia un corpo percepito. Tutte queste tre ipotesi però sono
sconfessate perché Dio c’è ed è perfetto, vero. La confusione delle sensazioni non è
sufficiente per dire che Dio inganna. Dio rende il confuso utile e vero. Se io
percepisco delle cose, seppur in modo confuso, percepisco qualcosa di vero e inoltre
anche utile perché la sensazione altrimenti non avrebbe senso. Dio orienta il mio
corpo nella natura di modo da aiutare la mia conservazione.
La sensazione mi rivela l’esistenza dei corpi, anche se sono confusi. La sensazione è
utile e i corpi che esistono fuori di me esistono veramente.
Affinché possa concepire come distinte due cose, mi basta percepirle come distinte.

Non solo io riconosco l’io penso, ma riconosco anche la sensibilità come facoltà
dell’io penso.

Dentro la realtà c’è la verità delle idee innate, nonostante la sensazione confusa sia
alla base delle idee innate. Perché io posso dire che il corpo percepibile anche
confusamente è la verità delle idee innate? Cartesio dice che se io applico il metodo
sui corpi che percepisco, io arrivo all’idea innata. L’intelligenza è una facoltà
attendibile. Dio è anche garante della corrispondenza tra idee innate e mondo esterno.
Dio non è genio maligno, non inganna. In Spinoza non c’è questa garanzia, come si
passa dal primo al secondo genere di conoscenza? Sono le nozioni comuni che mi
permettono di lavorare sulla percezione che mi fanno fare il passaggio alla
razionalità: dentro alla sensibilità ci sono degli elementi che si fanno intuire, il
passaggio è immanente.

Perché allora ci sono malfunzionamenti, disfunzioni, malformazioni nella natura?


Perché Dio governa per potenza ordinata, questa potenza non è sempre in contatto
diretto, non è sempre causa diretta: c’è ogni tanto qualche ingranaggio che si rompe,
che non funziona rettamente. L’ordine naturale non è Dio, ma è governato da Dio,
ogni tanto non funziona correttamente. È la sequenza di cause ed effetti che ha
portato un determinato corpo a una certa condizione che ha determinato il
malfunzionamento. Il malfunzionamento non mette in discussione la potenza di Dio o
l’ordine complessivo della natura; l’errore e il difetto sta nel mezzo, non
nell’intenzione di Dio. Se l’ordine fosse stato perfetto allora non sarebbe un ordine
materiale, soggetto a corruzione; sarebbe solo un mondo di idee. L’errore deriva dal
corpo e dalla sensazione corporea. La malattia è un problema che attiene alla natura
dei corpi, la cui sostanza è soggetta a corruzione, a mutamento. Il piano delle idee
non è soggetto a corruzione (ad eccezione dell’immaginazione).

La natura umana in quanto composta da spirito e corpo è soggetta all’errore,


nonostante sia creata da Dio.

La passione ha un utile, la sensibilità, il piacere, il dolore, servono per la salute del


corpo, per indirizzarci nella natura.

Cartesio ha dimostrato Dio, ha dato affidabilità ai sensi, ha spiegato l’utilità delle


passioni, ha mostrato che possiamo raggiungere una conoscenza razionale della
natura e in che cosa consista, ha dimostrato che cosa sia l’errore.

RICEZIONE DELL’OPERA:
Hegel riconosce molto a Cartesio: è l’inizio della modernità e del pensiero come
centrale nella filosofia.
Per Aristotele la verità si fonda sull’esperienza. Cartesio costruisce una immagine
razionale del mondo: riproduce i fenomeni naturali in un linguaggio diverso, questa
operazione coglie i rapporti tra i corpi e forma delle rappresentazioni, che si
distinguono dall’incasellare. Le idee innate colgono l’universale, ciò che non
cambia, ciò che è esprimibile in una legge. La conoscenza razionale del reale
significa cogliere i rapporti del reale.
Le idee innate sono inesauribili, possono essere determinate in molti modi, questo
non vuol dire che non siano chiare e distinte.
Per Husserl, Cartesio è il filosofo dell’epoché, colui che ha segnato la cesura con
tutta la filosofia precedente. Rimette in discussione tutto in modo radicale, dalle
scienze al mondo della vita. Rompe con l’idea del mondo come immediatezza. La
filosofia è sempre indagine tra ciò che è fenomenico, ciò che appare, e ciò che sta al
di là del fenomeno. Io che opero l’epoché non rientro tra i suoi oggetti, sono colui
che la opera: è un dubbio che arriva a fondare la verità della certezza dell’Io. Trovo
così quel terreno apodittico che cercavo.

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