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inglesi, dopo la prima va in esilio volontario in Olanda, torna nel 1672 al seguito di
Guglielmo III d’Orange, ottiene incarichi di consigliere per il commercio con le
colonie, scrive il “Saggio sull’intelletto umano” 1687-90; Scrive diverse Lettere
sulla tolleranza e poi i “Due Trattati sul governo” -contro Filmer-)
Primo libro + introduzione + confutazione dei principi dell’intelletto; secondo libro;
ultimo libro capitoli 1,2,3. + slide (capitoli citati).
C’è una grande attenzione poi al linguaggio, si mette in evidenza l’esperienza come
dinamica sociale, non dal punto di vista del singolo: si studiano i linguaggi, i metodi
di comunicazione, le opinioni. Hobbes e Bacone hanno trattato gli stessi temi.
Con la gloriosa rivoluzione (la seconda rivoluzione, non consumata nel sangue) sale
al trono Guglielmo III d’Orange e vengono approvate la Dichiarazione dei diritti e il
Bill of Rights, dove viene riconosciuta la prerogativa del Parlamento e i limiti
all’autorità regia.
Locke diventa il filosofo ufficiale del gruppo che fa capo a Lord Anthony Ashley
Cooper, che rappresenta quell’aristocrazia che si oppone alla corona.
Locke va in esilio volontario in Olanda a causa del timore che nutriva per via delle
persecuzioni contro i Wighs, ma torna vincitore quando Guglielmo III d’Orange va al
trono (1672).
Si fa sostenitore del nuovo regime liberale, ottenne incarichi come consigliere per il
commercio nelle colonie. In questi anni (1689-90) scrive il Saggio sull’intelletto
umano e i Due Trattati sul governo.
Passò gli ultimi anni della sua vita serenamente nel castello di Oates, nell’Essex, dove
morì nel 1704.
Locke scrive diverse Lettere sulla tolleranza (vogliono favorire la libertà religiosa,
vanno contro il tentativo di giacomo I di ristabilire un unico testo religioso), i due
Trattati sul governo (nel primo polemizza con Robert Filmer, un assolutista, nel
secondo espone l’origine dello stato a partire dal contratto, che nasce per tutelare tutti
i diritti naturali -tra cui la proprietà-, c’è la possibilità del diritto di resistenza -
appellandosi al cielo-), il Saggio sull’intelletto umano (che funga da fondamento alle
altre opere: la conoscenza non è solo certezza ma probabilità, quindi tolleranza).
È una filosofia che mette la verità nell’esperienza, appena nasciamo conosciamo:
dobbiamo fidarci della natura. Anche nella politica ci sono già elementi di cui
bisogna fidarsi, come i diritti.
La sua filosofia è atta a fondare la necessità del consenso politico, per difendere gli
interessi del parlamento. La teoria della sovranità non ha la sua fondatezza nel
principio di eredità, ma è garantita dalla capacità del sovrano di garantire i diritti
fondamentali, alla proprietà.
1689 pubblica la prima lettera sulla tolleranza, nel 1690 pubblica la seconda lettera
sulla tolleranza, il saggio sull’intelletto umano e i due trattati sul governo.
La scrittura del saggio inizia nel 1687 in Olanda, quando era ancora in esilio. Sistema
delle conversazioni e degli appunti che aveva sviluppato già in Inghilterra.
Il volume è dedicato a Thomas Herbert, amico di Locke.
Robert Boyle (la verità deriva dall’esperimento) viene ricordato per la teoria sul
vuoto e la disputa con Hobbes. Boyle costruisce la pompa d’aria che produce il
vuoto: giunge alla dimostrazione del vuoto che negavano sia la teoria cartesiana sia
quella hobbesiana.
Per la tradizione la verità nasce dal ragionamento, dalla coerenza logica delle
affermazioni; invece, con Boyle la verità deriva dall’esperimento, dalla
dimostrazione.
Isaac Newton (si affida alla fede, a Dio; religione tollerante, ma non per gli atei)
ha anche l’idea di un rapporto deistico tra la natura e Dio; pensa, come Locke, che la
scienza e la filosofia siano attendibili perché Dio parla attraverso di loro. Si ha una
grande fiducia nei confronti di Dio, c’è una rivalutazione dell’esperienza religiosa: la
fede è un’esperienza prima a cui bisogna affidarsi. È una religione che sta dentro la
tolleranza e vuole la tolleranza: molte verità non sono oggetto di certezza.
Per gli atei non c’è tolleranza perché non condividono la fede in un dio. Dio dà
all’uomo gli strumenti più adatti alla conoscenza. L’incertezza è considerata una
conoscenza meno perfetta, ma sempre una conoscenza.
La filosofia è critica del linguaggio, del senso comune, molti problemi filosofici sono
problemi linguistici. Per Hobbes il linguaggio è strumento di potere, ha sempre un
significato politico e la sua oscurità è finalizzata alla produzione della soggezione;
per Locke è il risultato della vanità umana.
Il saggio è una chiarificazione dei procedimenti che l’intelletto fa per produrre
un’idea complessa.
Viene adottato un historical plain method, si intende con questo come le idee si
complicano: è l’indagine del divenire della composizione delle idee.
Non è la storia dell’idea o la storia naturale di una certa idea, è un richiamo alla
filosofia baconiana e all’esempio del caldo e del freddo; è la descrizione di come si
passa dal semplice al complesso. C’è attenzione al problema del fenomeno.
Il fine della teoria della conoscenza di Locke è individuare i limiti della conoscenza
attraverso una descrizione di come la conoscenza funziona. È una descrizione del
fenomeno e di come si sviluppa, la filosofia come sintomatologia.
Si tratta anche di esaminare le convinzioni, le opinioni degli uomini.
Per Locke ci sono verità che possiamo considerare certe e ci sono anche le opinioni.
L’opinione riguarda le conoscenze politiche, l’orientamento religioso… e variano
nelle diverse parti del mondo.
Sebbene la capacità del nostro intelletto sia ridotta, abbiamo capacità sufficiente per
lodare il Creatore del nostro essere. Gli uomini hanno buone ragioni per essere
soddisfatti di ciò che Dio ha dato loro. Perché Dio ha dato agli uomini tutto quello
che è necessario per la virtù e la vita (l’utilità). Gli uomini hanno conoscenza
sufficiente per conoscere il loro Creatore e i loro doveri. Malebranche e Cartesio
limitano l’influenza divina in quello che è l’ordine naturale. Locke parte dalla
potenza divina e dà per scontato la sua imperscrutabilità.
Ci sono tante parti della natura che noi non comprendiamo, così come ci sono molti
aspetti di Dio che non comprendiamo. Noi abbiamo una conoscenza che è un
vettore che serve a capire ciò che è utile, non è la conoscenza dell’intero.
La filosofia di Locke va contro l’innatismo e contro l’idea che in noi c’è la verità. Il
punto di vista è diverso, non dobbiamo esaurire la verità, ma dobbiamo adottare certi
comportamenti che ci permettono di conoscere ciò che è utile, quello che è attorno a
noi. Cartesio se la prende con la sua costituzione fisica: la sensibilità non è affidabile,
in Locke la sensibilità è affidabile, noi però non possiamo comprendere tutto.
Locke usa l’esempio della candela per spiegare la conoscenza: non occorre fare luce
in tutta la stanza, ma è lo strumento che ci permettere di orientarci nella stanza buia;
illumina a sufficienza per i nostri scopi.
Il marinaio deve conoscere la lunghezza della sua fune anche se con essa non può
raggiungere le profondità dell’oceano. Abbiamo l’esperienza di una conoscenza che
ci permette di orientarci.
Nel passaggio da Cartesio a Locke c’è più o meno vicinanza a Dio? La filosofia di
Locke non è analizzabile con la teoria della secolarizzazione, c’è molta fede in
Locke. La teoria della secolarizzazione studia come alcune istituzioni che erano sotto
l’influenza ecclesiastica piano piano si sono emancipate; è applicabile anche ai
contesti filosofici.
Locke dà per scontato la distanza tra Dio e uomo, tra conoscenza umana e
conoscenza divina. Dio è oggetto di fede, la conoscenza si fonda su questa fede ma
poi procede in modo autonomo. In Cartesio e in altri pensatori vediamo come la
conoscenza e la natura di Dio siano contigui, molto vicini: con la conoscenza arrivo a
dimostrare l’esistenza di Dio. In Locke non c’è più il problema della dimostrazione
dell’esistenza di Dio.
L’empirismo lockiano e il meccanicismo hobbesiano sono più secolarizzati rispetto
alla filosofia di Descartes.
Capitolo II: Non esistono principi pratici innati, polemica con i neoplatonici di
Cambridge, critica dell’innatismo, non c’è connessione tra universale e innato,
innatismo attivo e passivo, principi innati teorici e principi innati pratici (Locke
considera solo l’innatismo attivo, cosciente, Leibniz farà notare come ci sia anche
un innatismo passivo, non cosciente; non c’è connessione tra universale e innato)
Locke, nella sua critica dell’innatismo, dice che esistono due tipi di principi innati: i
principi speculativi e i principi pratici. I primi sono idee come l’estensione, i secondi
sono opinioni, abitudini, costumi che vengono considerati innati. Gli innatisti
considerano delle impronte divine nella mente umana, posso trovare le idee innate in
me stesso e si distinguono da quelle che traggo dall’esterno.
Non solo l’uomo ha nella mente le idee innate, ma queste idee innate sono
consapevoli (innatismo attivo). Locke non prende in considerazione l’ipotesi che noi
abbiamo idee innate di cui noi non siamo consapevoli. Questa è la critica che gli farà
Liebniz. Non prende in considerazione l’innatismo passivo, che sarà l’innatismo
liebniziano. Scriverà i “Nuovi saggi sull’intelletto umano”.
Per Locke non ci sono idee innate che l’uomo non pensa: l’intelletto è sempre attivo
per Locke; le idee sono percezione e sono relative al soggetto conoscente.
Locke smonta l’innatismo distinguendo prima tra innato e universale: non è detto che
ciò che è universale è innato. Dire che universale coincide con innato è considerare
solo l’innatismo attuale. Tutte le idee innate sono attive, e quindi sono universali, ma
non è detto che ciò che hanno tutti è innato… potrebbe essere effetto dell’esperienza.
Ci sono individui che non hanno le nostre stesse verità.
Locke considera le idee innate solo come attive, non come passive. Usando questo
argomento dice che non è legittimo dedurre l’innatismo dall’universalità: è evidente
che i bambini e i menomati non hanno la minima percezione di queste idee o pensiero
di queste proposizioni.
Lunedì 08/11/2021
Riassunto:
C’è in Locke una stretta connessione tra la riflessione sulla conoscenza e la
riflessione politica. La riflessione si fonda anche sull’esperienza e sulla sua
affidabilità che si basa a sua volta sulla fede. Questa esperienza deve anche avere
un peso nella riflessione sociale, politica.
La verità non coincide con la cartesiana certezza; questa posizione ha ricadute sulla
società: quali sono i nostri doveri, limiti, diritti.
L’esperienza, cuore della riflessione di Locke, è la premessa di un atteggiamento
politico, religioso, sociale che è quello del cittadino inglese della gloriosa
rivoluzione.
A Locke non interessa la certezza scientifica e nemmeno la fondazione del rapporto
tra conoscenza e religione (come era in Malebranche), ma vuole fondare l’esperienza
umana, la sua conoscenza.
C’è una grande attenzione al linguaggio e al rapporto tra certo e probabile. Cade
l’importanza cartesiana della dimostrazione dell’esistenza di Dio, è importante solo la
fede, che non è una fede razionale (com’era in Malebranche o Cartesio).
Idea: (non esistono idee di cui non siamo consapevoli; la fede in Dio ci permette di
universalizzare la nostra visione)
L’idea è al contempo un retaggio del cartesianesimo. Tutti i contenuti mentali sono
idee, l’idea coincide con i contenuti del pensiero.
L’idea coincide con la percezione intellettuale dell’idea: l’intelletto percepisce le
idee. Non esistono idee delle quali l’intelletto non è conscio.
Quando Locke si riferisce alla perfezione, si intende la percezione formale dell’idea,
mentale. Quando parliamo di esperienza parliamo di percezione di un certo contenuto
mentale.
L’intelletto percepisce e l’esperienza è percezione di idee (esempio della candela:
l’esperienza percettiva è la candela che non illumina completamente la stanza -non
c’è la ricerca della totalità come in Cartesio o in Spinoza-, ma è solo uno strumento
che ci permette di conoscere ciò che è utile per noi).
Hobbes dice che non sappiamo cosa ci sia al di là delle immagini (dei contenuti
mentali), non sappiamo se tutti gli uomini condividano le stesse immagini. Locke
dice che è la fede in Dio, non la sua dimostrazione, che ci permette di universalizzare.
Riassunto Libro I “Né principi né idee sono innati”: (si crede esistano principi
innati teorici e principi innati pratici; è opinione che siano condivisi da tutti, innati
e universali; esistono principi dai cui non si può prescindere, ma serve
l’esperienza; bambini e deficienti non conoscono questi principi; tutto ciò che è
nell’intelletto viene percepito; i sensi non ingannano; il pensiero viene dopo
l’esperienza; i principi pratici -morali- sono sempre legati al posto in cui vivo)
È opinione diffusa che esistano principi innati teorici, che sono i principi della logica
e che strutturano la nostra conoscenza del mondo (principio di identità e principio di
non contraddizione, l’idea di Dio, la nozione di sostanza…), e che esistano i principi
innati pratici che regolano la condotta pratica e su questi principi è inevitabile
convenire tutti, derivano dalla volontà di Dio.
Poiché tutti siamo concordi sulle stesse cose, allora questi principi condivisi sono
universali, innati. L’universalità dipende dal consenso universale. Far coincidere
l’innato e l’universale con ciò su cui tutti concordiamo è un passo falso dice Locke.
C’è una critica dell’innatismo attuale che considera le idee innate come sempre
consapevoli, sempre in atto (non è attuale l’innatismo di Cartesio, come quello di
Malebranche, forse solo la conoscenza imprescindibile del moto dei corpi in
Spinoza?).
La prima obiezione che Locke fa all’innatismo mette in sicurezza però l’esperienza:
ammette l’esistenza di principi da cui non si può prescindere (universale e
consapevole non vuol dire necessariamente innato).
C’è un lavoro filosofico però dietro a queste verità, devono essere elaborate per
essere universali.
Se ricaviamo qualcosa dall’esperienza non è detto che abbia un consenso
universale: serve un lavoro filosofico, e non è detto che tutti facciano questo
lavoro.
L’universale è frutto dell’esperienza, e proprio per questo non è scontato che tutti
posseggano queste verità.
La volontà generale è retta anche se non ha il consenso di tutti e nemmeno della
maggioranza (Rousseau).
I bambini o i deficienti (gli ignoranti, non i folli) non hanno pensiero o percezione di
queste proposizioni. Proprio loro, per esperienza, possiamo dire che non sanno cosa
sia il principio d’identità o di non contraddizione.
Le idee innate in Cartesio erano giocate contro l’esperienza per emendarla, in Locke,
al contrario, l’esperienza è usata per confutare l’innatismo.
L’esperienza è la consapevolezza, la percezione è l’autocoscienza: non esistono idee
innate perché non ne faccio esperienza e quindi non ne sono consapevole. È
contraddittorio per Locke dire che c’è nell’intelletto ma non è percepito. Liebniz
invece apre la possibilità di spazi non consce dell’intelletto: non tutti i contenuti
dell’intelletto sono consci: c’è differenza tra ciò che c’è nella mente e ciò che viene
percepito nella mente. Descartes parla di tipi di idee, non considera la loro
consapevolezza, sarebbe d’accordo con Locke ma direbbe che non sarebbe rilevante
il fatto che pensiamo le idee innate o meno. Per Cartesio l’esperienza è ancora
l’esperienza sensibile, aristotelica.
Non basta per Locke dire che l’uomo dà il suo assenso alle verità innate quando
arriva all’età della ragione.
Non ci sono conoscenze che lo spirito non riconosce: ammettere l’esistenza delle idee
innate inconsapevoli, ammetterebbe contraddizione, perché vorrebbe dire che ci sono
idee che la mente ha, e quindi conosce, ma che allo stesso tempo non ne è
consapevole, e quindi non le conosce. Questo sillogismo è valido solo se
identifichiamo Consapevolezza con la conoscenza.
Perché Dio dovrebbe averci dato dei principi senza averci dato la loro evidenza, la
possibilità di conscerli?
Nella filosofia di Locke non c’è spazio per le idee innate, perché la loro esistenza
implicherebbe il tema tra conoscenza e percezione. Non c’è scarto tra sensibilità e
ragione, i sensi non ingannano. Esiste un’immediatezza della percezione sensibile del
tutto affidabile. Il presupposto della verità non è l’idea innata, ma la certezza
dell’esperienza sensibile.
Anche per i principi pratici vale quello che è stato detto per i principi teorici. Anche i
principi pratici sono soggetti all’opinione, non si dà su di loro il consenso universale.
La ragione ci può dare delle conoscenze di carattere universale, ma non è detto che
siano conoscenze innate.
Quelle che noi pensiamo idee innate, sono idee sulle quali abbiamo una familiarità,
una maggiore consapevolezza. Diciamo che è innato quello che conosciamo da più
tempo (storicamente). “Storico” significa che comincio dall’esperienza e vedo quello
che viene prima nell’esperienza.
L’intelletto ha dei dati dalla percezione sensibile sui quali lavora. Ai confronti, alle
associazioni che fa, dà dei nomi; i principi di non contraddizione, di identità, sono
risultato del lavoro immediato che l’intelletto fa sui dati sensibili, costruisce una
relazione tra sensazioni.
Dire che esiste un intelletto e dire che esistono delle idee innate per Liebniz è la
stessa cosa. Le idee innate diventano gli strumenti che organizzano il pensiero. In
Locke invece il lavoro dell’intelletto viene dopo l’esperienza, è secondario, senza
l’esperienza sensibile non esiste il soggetto, l’intelligenza, l’io penso. Locke va verso
una realtà del pensiero che si costituisce a partire dal rapporto con il mondo esterno,
non c’è più il primato dell’intelletto. C’è un’origine fenomenica del pensiero astratto.
Spesso si dice che per scoprire i principi pratici che sono già in noi, serve un
insegnamento morale. Ma non so ora se quell’insegnamento morale li scopre o li
infonde direttamente in me. Se le verità morali fossero già in noi, perché ci
dovremmo comportare male?
Se serve insegnare le norme morali, allora vuol dire che non sono innate.
Quando la morale deve definire un contenuto universale incontra dei problemi (Kant
si fermerà all’universalità della forma).
Ci son condizioni in cui emerge il male radicale (sacco di una città) dove emerge le
falsità dell’universalità dei principi morali.
Nel secondo trattato sul governo Locke dice che esistono diritti naturali: vita, libertà e
proprietà che il sovrano deve difendere. Se noi leggiamo come Locke giustifica la
loro esistenza, allora vediamo che li giustifica con l’esperienza che ce li consegna
come i più immediati. Anche i diritti naturali non sono innati ma il risultato
dell’esperienza prima che la vita presenta.
Idea di Dio: (anche l’idea di Dio non è innata -ci sono popoli senza religione-; la
verità esiste, va solo ricercata, ma non è innata)
L’idea di Dio è un’idea innata? Tra tutte le idee innate, quella di Dio è quella che
potrebbe essere effettivamente innata. Ma anche questa deriva dall’esperienza: ci
sono nazioni che non hanno l’idea di Dio. L’esperienza viene chiamata in causa per
contestare l’essere innata dell’idea di Dio.
La negazione dell’innatismo e dell’innatismo pratico non conduce al relativismo: c’è
differenza tra legge innata e legge naturale. Esistono regole, verità, naturali ma ciò
non vuol dire che siano innate: l’intelletto deve “conquistare” l’universalità delle
verità naturali.
Se anche qualcuno non ne è consapevole, non le conosce, ciò non va contro
all’universalità delle verità universali, le leggi di natura che esistono sia sul piano
teorico che pratico.
È il confronto, la riflessione sull’esperienza, che ci può fondare una verità al
contempo universale e vera in sé, come la verità di natura.
La critica dell’innatismo arriva alla teoria politica: centralità dell’esperienza e
universalità della verità, esistenza della legge di natura.
Argomento oltre il primo libro: Come si attua questo processo per quanto concerne la
conoscenza? Che cosa nell’esperienza è vero per tutti? Che cosa è opinione? C’è la
distinzione tra verità, opinione e falsità.
Mercoledì 10/11/2021
Riassunto libro I:
A partire dalla critica all’innatismo, sviluppa una critica del dogmatismo; c’è uno
spazio importante dedicato al confronto delle opinioni, alla tolleranza religiosa,
politica e filosofica.
Esistono 2 tipi di idee innate: principi speculativi innati e i principi pratici innati
(principi pratici, etici, religiosi). Locke ricorre ad un “trucco” per criticare
l’innatismo: considera le idee innate come sempre percepite, si confronta con un
innatismo attivo; esclude l’esistenza di idee innate latenti. Sembra a Locke una
contraddizione che possano esistere nell’anima verità che non vengono percepite.
Le idee innate sono sempre attive, sempre percepite. Per confutare l’innatismo dei
principi speculativi Locke dice che se tutti avessero questi tipi di idee allora anche i
bambini e tutti coloro che hanno un’anima dovrebbe assentire e riconoscerle. C’è
un’eco baconiana: viene fatto riferimento al fatto che i bambini, deficienti,
selvaggi… non sono influenzati dalle “dottrine estranee”, che ostacolano la
conoscenza.
Se l’insegnamento è necessario non potremo mai stabilire se queste conoscenze sono
state instillate dalla formazione o meno.
I principi morali hanno ancora meno titolo di quelli speculativi ad essere innati. Se
non è evidente l’innatezza dei principi teorici, tanto meno quella dei principi pratici.
Non c’è nessun tipo di principio pratico universale, sul quale ogni uomo abbia dato
il proprio assenso.
Non ci sono principi morali di cui non dobbiamo dare spiegazione.
La morale, la religione sono ambiti dell’esperienza nei quali è necessaria la
discussione, il confronto.
Nella guerra, gli individui sono portati a fare atti che sono fuori da ogni principio
morale innato. Se la morale fosse già in ogni uomo allora non si potrebbero
compiere questi atti.
Locke dice che non esistono idee innate, ma questo non implica che non ci siano
leggi naturali. Le idee vere sono vere poiché frutto dell’elaborazione dell’esperienza
da parte del nostro intelletto. Le leggi di natura non sono immediatamente
conosciute all’uomo, ma sono conoscibili attraverso l’applicazione corretta e
circoscritta delle nostre facoltà (intelletto e sensibilità).
Dal punto di vista di Locke, i Vangeli sostengono la tolleranza.
In Locke l’uomo ha dei limiti: l’esperienza, ma questo limite è anche ciò che
possiamo considerare vero. Il pensiero non è l’essenza dell’uomo, ma è solo una
facoltà capace di ricombinare le idee semplici.
L’ipotesi della revoca in dubbio non ha senso perché non si può mai rinunciare alle
sensazioni. L’ipotesi cartesiana è un’ipotesi astratta, di scuola, nella realtà non
possiamo prescindere dalla sensibilità: appena il pensiero si accende è condizionato e
formato dalla sensibilità.
Non ci sono idee complesse della sensazione, ma nascono dall’attività riflessiva,
come unione di idee semplici. La riflessione produce anche idee semplici. Le idee
semplici sono idee della sensazione.
Giovedì 11/11/2021
Nel secondo libro c’è la critica di Locke dove dice che l’anima deve essere sempre
attiva: il contestare l’idea che il pensiero sia sempre in azione implica la revoca delle
idee innate.
Critica anche il concetto di sostanza: Cartesio parlava di estensione, Locke di
continuità che fa da sfondo al movimento dei corpi. Non c’è identificazione tra spazio
ed estensione, tra spazio e corpo in Cartesio, in Locke sì.
IDEE SEMPLICI E IDEE COMPLESSE: (le idee semplici sono sempre passive,
l’intelletto percepisce; il pensiero non è continuo, non è un flusso, posso anche
non pensare; ci sono 4 tipi di idee semplici; idea di solidità -impedisce il
compenetrarsi di due corpi; la realtà è un insieme di corpi solidi separati dal vuoto;
viene presupposto un vuoto di pensiero, come quello nella materia, per distinguere
e far confrontare le idee; le idee di volontà e potere sono idee semplici di riflessione
che ricaviamo dal nostro poter muovere il corpo -sono una rappresentazione di un
atto-; qualità primarie e secondarie)
Nella prima parte del secondo libro vengono definite le idee semplici.
I modi sono idee complesse di riflessione.
Ogni tipo di conoscenza per Locke ha la sua origine nell’esperienza. Anche le idee
complesse, le idee semplici di riflessione, hanno avuto origine dalla sensibilità.
Le idee riflessive si formano in un secondo momento però rispetto alla percezione.
Locke ci dice che le qualità non si presentano mai separatamente, almeno in origine.
Nelle cose le qualità sono fuse, e come tali vengono percepite. Anche se vengono
percepite fuse, l’intelletto ha la capacità di distinguerle. I sensi operano una sorta di
filtraggio, scompongono le qualità che poi vengono ricomposte a livello intellettuale.
L’esperienza è così una fotografia realistica di ciò che vi è fuori.
All’inizio del capitolo III Locke distingue le idee semplici della sensazione:
1. Le idee che provengono da un solo senso. (estensione, figura, movimento…)
2. Entrano nella mente per mezzo di più sensi. (solidità?)
3. Idee che provengono per mezzo della riflessione. (ricordo, ragionamento,
giudizio, fede…)
4. Idee che vengono per mezzo di tutte le vie di sensazione e riflessione. (dolore,
piacere, esistenza, unità, potere, successione…)
Tutto questo spettro di emozioni vengono risolte in gradi di piacere e di dolore. C’è
un carattere di sensismo radicale in tutto il saggio.
Le qualità: sono qualità quando sono riferite al corpo, idee quando sono riferite al
soggetto che percepisce:
Qualità primarie: sono inseparabili dal corpo, che si conservano nei mutamenti.
Qualità secondarie: per mezzo delle qualità primarie producono in noi sensazioni di
colore, suono, gusto…
Lunedì 15/11/2021
Sintesi:
Intelletto e percezione non costituiscono un processo continuo, ci sono dei momenti
dove non agisce.
Il capitolo IV è concentrato sulla solidità: viene espressa la differenza tra solidità ed
estensione. Quelli che in Cartesio erano corpi estesi, sono corpi solidi; da qui emerge
una qualificazione del rapporto tra corpo e spazio. I corpi sono da pensare in uno
spazio come sfondo non continuo che si allontana dalla visione cartesiana e si
avvicina a quella newtoniana.
Anche il potere è una di quelle idee semplici che otteniamo per mezzo della
sensazione e della riflessione.
Le qualità:
Quando Locke parla di qualità si riferisce ai corpi; esce dal mondo dell’esperienza
per qualificare ciò che l’esperienza percepisce.
Distingue due specie di qualità: primarie e secondarie. Quelle primarie si riferiscono
al corpo (figura, estensione, movimento), quelle secondarie sono gli effetti che il
corpo esterno produce sulla sensazione (colore, suono, odore).
Sono qualità quando le riferisco al corpo percepito, sono idee quando le riferisco al
soggetto che le percepisce.
Queste qualità sono il corrispettivo delle idee innate.
La distinzione tra i due tipi di qualità serve per distinguere quelle qualità che possono
essere oggetto di rappresentazione scientifica. La scienza si occupa solo di qualità
primarie: quelle secondarie sono troppo dipendenti dal soggetto che le percepisce.
IDEE DI MODI: modi semplici e modi misti (non sussistono di per sé, sono
considerate come affezioni di una sostanza; idee complesse di modo di spazio e
tempo)
Modi sono le idee complesse che non contengono in sé la supposizione di esistere per
sé, ma sono considerate come dipendenze o affezioni delle sostanze. Un corpo può
avere il modo della forma triangolare ad esempio. La forma di triangolo è un modo
che non può esistere senza il corpo, non possiamo analogamente concepire l’omicidio
senza l’esempio che lo caratterizza.
Elaboro l’idea di modo spazio come coesistenza di oggetti percepiti, elaboro l’idea
di modo tempo come successione di oggetti percepiti.
IDEE DI RELAZIONE: (sono i rapporti tra le cose, confronti tra le idee -come
l’idea di causa-)
Le idee di relazione riguardano i rapporti tra le cose, è il confrontare tra di loro le
idee.
Una cosa è causa di un’altra significa che io percepisco sempre quella cosa prima
dell’altra. L’uomo è sostanza perché io percepisco diverse caratteristiche costanti e
do loro il nome di uomo.
CONFRONTO CON CARTESIO: (Locke mette le qualità primarie nelle cose e le
fa trarre dalla percezione; Cartesio le mette nell’intelletto e le fa trarre
dall’intelletto stesso; tutte le idee sono nomi che noi diamo a un “grappolo” di
sensazione; Dio fa da garante alle nostre percezioni; Locke desostanzializza l’io
penso)
Sia Locke che Cartesio avevano qualificato questo tema (delle idee complesse
fondate sull’esperienza e delle idee innate) come frutto di una elaborazione.
Noi abbiamo le percezioni e il nostro intelletto le monta per poter conoscere e
orientare. Si costruisce un metodo che è la conoscenza.
Cartesio aveva distinto tra idea e ideato, tra corpi e l’affiorare di questi come idee
avventizie, ma inchioda questa rappresentazione alla realtà: fa di questa
rappresentazione una corrispondenza alla realtà. Locke dice che le nostre
rappresentazioni servono per orientare noi e la nostra conoscenza.
Locke mette le qualità primarie nelle cose e le fa trarre dalla percezione, Cartesio
le mette nella mente e le fa trarre dell’intelletto. Entrambi le mettono prima, al
sicuro, per poter distinguere tra ciò che è soggettivo e ciò che non lo è. Cartesio
chiama queste idee innate, Locke qualità primarie e le mette nei corpi.
L’elemento decisivo è che il tempo, lo spazio, la causa, la sostanza (tutte le idee della
tradizione e del razionalismo) non sono altro che nomi che noi diamo a dei “grappoli”
di percezioni. Non sono altro che associazioni di idee. La sostanza è un’aggregazione
arbitraria dell’intelletto di una serie di percezioni. Tutto questo è una supposizione,
non è in natura realmente.
Dobbiamo scivolare nello scetticismo? No, c’è la FEDE; noi dobbiamo credere
nell’esperienza usando questi concetti, con la consapevolezza che non sono altro che
concetti, non esauriscono il nostro rapporto con il mondo, sono solo degli strumenti
che noi usiamo per organizzare le nostre percezioni, le emozioni, la volontà…
In natura esistono solo i corpi e quello che imprimono su di noi al momento della
percezione.
Le parole sono applicate dagli uomini per rappresentare le loro idee, i segni non
corrispondono naturalmente alle loro idee. Locke è un convenzionalista: le parole
sono segni attribuiti a concetti arbitrariamente secondo una certa convenzione.
Le parole ci servono per indicare le diverse idee.
Diventano generali quando diventano segni di idee generali.
Le idee generali vengono ricavate per astrazione da una cosa, diventano tali quando
vengono separate dalle circostanze di tempo e di luogo.
Per stabilire la certezza di una concatenazione devo indagare la relazione tra le idee.
Questo montaggio della conoscenza è affidabile o no? Questo è oggetto di
discussione dell’ultimo capitolo.
Che cos’è che ci fa dire che una conoscenza è vera o falsa? Noi riflettiamo sempre sul
rapporto, sulla percezione intellettuale rispetto a una certa connessione tra due
sensazioni o tra due idee complesse: conoscere significa costruire ordini di relazioni.
La conoscenza è costruire ordini di relazioni: quando dico che la somma degli
angoli interni del triangolo è la somma di due angoli retti sto mettendo in relazione
due cose, sto facendo una relazione. Devo stabilire poi se questa relazione mi appare
come soddisfacente.
Il primo grado della certezza è sempre l’intuizione.
Come stabilisco una cosa quando non la stabilisco intellettualmente? Lo faccio per
esperienza obbedendo al sapere fisico, o per la fede: in entrambi i casi ho solo un
sapere probabile che non si basa su ragionamenti logici e deduzioni.
Io stabilisco il principio di autorità attraverso il numero, l’integrità, l’abilità del
testimone, l’intenzione dell’autore, la coerenza fra le parti e la circostanza delle
relazioni, le testimonianze contrarie. Sono tutti elementi però che costituiscono un
sapere solo probabile, non certo.
Fisica (si basa su qualità secondarie, non è un sapere certo, è più probabile ci
siano errori, l’identità è sempre intuita):
Nel quarto libro prende in considerazione le discipline e annovera la fisica tra i
saperi probabili, non certi. Il sapere fisico, come quello teologico, viene annoverato
tra quelli incerti.
La fisica non è un sapere certo come la geometria o la morale, non è un sapere che
costruisce connessioni certe tra le proprie parti. Si basa tutto sull’esperienza e sul
dato percepito, sulle qualità secondarie. Vedo il mondo, ho dei dati d’esperienza che
vengono montati nella conoscenza stabilendo delle connessioni necessarie, delle
esistenze, delle identità o relazioni: non posso stabilire con certezza se quello che
percepisco abbia una esistenza fuori di me.
Io vedo l’oro giallo ma non riesco a dire perché sia così.
La sensibilità ci dice che esiste un mondo naturale, ma la sensibilità non offre uno
sguardo chiaro.
Nei saperi certi la connessione tra le cose è tutta di carattere intellettuale, non mediata
dalla sensibilità (un giorno potremmo vedere un ferro non attratto da un magnete,
mentre non può mai essere che la somma degli angoli interni del triangolo non sia
180°).
Sono elaborazioni dell’esperienza che giungono a una conoscenza certa: ma partono
comunque dall’esperienza. Noi non abbiamo innata l’idea di triangolo: attraverso
l’esperienza ci facciamo l’idea del triangolo e poi noi elaboriamo questa idea in modo
da farci una conoscenza certa.
Mercoledì 17/11/2021
Idea di sostanza (importante, approfondire) (l’idea alla quale diamo il nome di
sostanza è quella da cui non possiamo prescindere e che fa da sostrato alle mie
rappresentazioni; noi non conosciamo le sostanze, ma dobbiamo ipotizzarne la
presenza, Locke non nega la loro esistenza)
Tradizione:
Nella Metafisica di Aristotele la sostanza è definita come ciò che l’essere era.
L’accidente è ciò che definisce la cosa in modo temporaneo, la sostanza descrive ciò
che rimane.
La sostanza è ciò che sta sotto, che rimane invariato, è il substrato.
Platone invece aveva convogliato gli elementi veri nelle idee, in elementi che
trascendono la realtà empirica.
Il termine sostanza è decisivo nella riflessione cartesiana; Cartesio distingue
l’esistenza di tre sostanze: la realtà è composta di queste 3 sostanze ontologiche che
non si sovrappongono (sono pensiero, estensione e Dio).
Anche Spinoza distingue tra sostanza, attributo e modo: l’attributo è ciò che noi
percepiamo della sostanza, è la forma della sostanza; il modo è la determinazione che
la sostanza ha nel momento in cui si presenta secondo un grado di esistenza naturale.
La sostanza è il riferimento ultimo di quello che ci appare nella percezione.
Rispetto a questi schemi la proposta lockiana non si discosta di molto; la sua
definizione almeno apparentemente è in continuità con la tradizione. Definisce la
sostanza come sostrato.
L’idea alla quale diamo nome di sostanza non è altro che il sostegno delle cose
che non possiamo immaginare senza alcun sostegno.
Locke non mette in discussione l’esistenza delle sostanze, ma nega solo che siano
conoscibili.
I modi della conoscenza (sono 3) sono i modi con cui verifico questo tipo di
conoscenza.
Non possiamo avere una conoscenza che va al di là delle idee che abbiamo. Riparte
dalla connessione tra le idee.
Nel paragrafo sesto Locke affronta il tema del sapere fisico: non possiamo stabilire
con certezza se la materia pensa o non pensa; c’è uno scarto tra la connessione delle
idee e la materia stessa (c’è un divario incolmabile tra l’esperienza del nostro
pensiero e le cose). Nella conoscenza non abbiamo mai una perfetta visione della
realtà (come per il fatto che non possiamo dimostrare che la materia non pensa).
Non sappiamo bene come il mondo esterno si rifletta nel pensiero, c’è caso che la
materia stessa pensi. Non sappiamo in che cosa consista il pensiero.
Ci sono ipotesi che non possiamo affermare e negare.
Morale (è una conoscenza certa, perché parla di leggi e azioni prodotte dall’uomo,
ha un carattere deduttivo; la morale opera per relazione):
La morale è una conoscenza certa, sicuramente certa. Non ha il problema di
corrispondenza della fisica. È una conoscenza certa perché ci parla di leggi e azioni
che sono prodotte dall’uomo; la morale ha un carattere deduttivo.
Qui è il rapporto di relazione che è importante. Il carattere della morale è di relazione,
e connette leggi e opere che sono opere del soggetto.
La morale è tutta dentro l’esperienza, è sempre la codificazione di una legge.
Che utilità ha questo sapere? Ma se io non so se queste connessioni sono “in re”, a
cosa mi serve sapere tutte queste connessioni? Si riferisce infine a Dio.
Rievoca tutti i casi cartesiani.
L’ipotesi evocata è quella del genio maligno (se tutto è dentro la conoscenza, chi mi
dice che non mi stia ingannando? Chi mi garantisce la corrispondenza?); risponde che
se fosse così i ragionamenti più seri sarebbero solo fantasie di un pazzo.
Il grado di verità a cui Locke vuole aspirare è andare semplicemente un po’ oltre
l’immaginazione: se abbiamo uno strumento così efficace, dovrà pur avere una sua
funzione, una sua efficacia.
Dio non ci inganna, ci garantisce l’esperienza. Dio ci ha dato lo strumento della
conoscenza.