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JOHN LOCKE (1632-1704) (vive entrambe le rivoluzioni

inglesi, dopo la prima va in esilio volontario in Olanda, torna nel 1672 al seguito di
Guglielmo III d’Orange, ottiene incarichi di consigliere per il commercio con le
colonie, scrive il “Saggio sull’intelletto umano” 1687-90; Scrive diverse Lettere
sulla tolleranza e poi i “Due Trattati sul governo” -contro Filmer-)
Primo libro + introduzione + confutazione dei principi dell’intelletto; secondo libro;
ultimo libro capitoli 1,2,3. + slide (capitoli citati).

Locke critica l’innatismo, fonda l’empirismo. Il concetto chiave per Locke è


l’esperienza.
Che cos’è l’esperienza? È considerazione della conoscenza per come essa appare
all’intelletto che vi riflette sopra.
Locke rimuove dall’indagine filosofica il problema della genesi delle idee: dice di
occuparsi di ciò che l’intelletto conosce non da dove viene la conoscenza.
Il problema sul che cosa c’è fuori viene rimosso: è una visione fenomenica della
conoscenza, non la vuole fondare (come Cartesio).
Non è più importante la coerenza della rappresentazione.
Questo approccio recupera la centralità dell’esperienza e della sensibilità. Questa
posizione gli consente di criticare le idee innate e di recuperare la scienza probabile,
le opinioni.
Ci sono idee meno certe e idee che rimangono nella sfera delle opinioni. Il
ragionamento di Locke non cerca la certezza, ma valuta la probabilità.
C’è un’idea di conoscenza non più come scienza ma come strumento che guida
l’esperienza.
C’è una forte relazione tra l’esperienza politica di Locke e la sua teoria scientifica.
Questo atteggiamento deriva dalla tradizione inglese: Boyle, Newton… che cercano
di sistematizzare l’esperienza. Non c’è più quell’ossessione cartesiana per la certezza.

C’è una grande attenzione poi al linguaggio, si mette in evidenza l’esperienza come
dinamica sociale, non dal punto di vista del singolo: si studiano i linguaggi, i metodi
di comunicazione, le opinioni. Hobbes e Bacone hanno trattato gli stessi temi.

BIOGRAFIA DI LOCKE E GLORIOSA RIVOLUZIONE:


Locke vive la seconda rivoluzione inglese (la gloriosa rivoluzione), Hobbes aveva
vissuto la prima.
La gloriosa rivoluzione è stata consumata nel sangue reale, c’è stato il primo re
condannato a morte (Carlo I Stuart). La rivoluzione contrappone il parlamento alla
corona. Il parlamento rappresentava la nobiltà. La rivoluzione inglese scoppiò per
dissidi fra i tra regni (Irlanda, Scozia e Inghilterra) sulla direzione del paese e per
delle tensioni religiose. La prima rivoluzione porto alla decapitazione del sovrano
Carlo I Stuart e alla fondazione del Commonwealth of England (1651), con a
capo Oliver Cromwell: nasce il principio della sovranità popolare. Il figlio
cattolico di Carlo I, Giacomo II Stuart, venne esiliato.
Giacomo II è accusato di essere un cripto-cattolico.
Il parlamento si divide tra Whigs e Tory.

Con la gloriosa rivoluzione (la seconda rivoluzione, non consumata nel sangue) sale
al trono Guglielmo III d’Orange e vengono approvate la Dichiarazione dei diritti e il
Bill of Rights, dove viene riconosciuta la prerogativa del Parlamento e i limiti
all’autorità regia.

Locke diventa il filosofo ufficiale del gruppo che fa capo a Lord Anthony Ashley
Cooper, che rappresenta quell’aristocrazia che si oppone alla corona.
Locke va in esilio volontario in Olanda a causa del timore che nutriva per via delle
persecuzioni contro i Wighs, ma torna vincitore quando Guglielmo III d’Orange va al
trono (1672).

Si fa sostenitore del nuovo regime liberale, ottenne incarichi come consigliere per il
commercio nelle colonie. In questi anni (1689-90) scrive il Saggio sull’intelletto
umano e i Due Trattati sul governo.
Passò gli ultimi anni della sua vita serenamente nel castello di Oates, nell’Essex, dove
morì nel 1704.

Locke scrive diverse Lettere sulla tolleranza (vogliono favorire la libertà religiosa,
vanno contro il tentativo di giacomo I di ristabilire un unico testo religioso), i due
Trattati sul governo (nel primo polemizza con Robert Filmer, un assolutista, nel
secondo espone l’origine dello stato a partire dal contratto, che nasce per tutelare tutti
i diritti naturali -tra cui la proprietà-, c’è la possibilità del diritto di resistenza -
appellandosi al cielo-), il Saggio sull’intelletto umano (che funga da fondamento alle
altre opere: la conoscenza non è solo certezza ma probabilità, quindi tolleranza).
È una filosofia che mette la verità nell’esperienza, appena nasciamo conosciamo:
dobbiamo fidarci della natura. Anche nella politica ci sono già elementi di cui
bisogna fidarsi, come i diritti.

La sua filosofia è atta a fondare la necessità del consenso politico, per difendere gli
interessi del parlamento. La teoria della sovranità non ha la sua fondatezza nel
principio di eredità, ma è garantita dalla capacità del sovrano di garantire i diritti
fondamentali, alla proprietà.
1689 pubblica la prima lettera sulla tolleranza, nel 1690 pubblica la seconda lettera
sulla tolleranza, il saggio sull’intelletto umano e i due trattati sul governo.

Saggio sull’intelletto umano (mette in luce le capacità dell’intelletto;


iniziato a scrivere nel 1687 in Olanda; l’errore nasce nel superamento
dell’esperienza;
Nell’epistola al lettore avverte che il suo intento è quello di mettere in luce le capacità
e i limiti del nostro intelletto

La scrittura del saggio inizia nel 1687 in Olanda, quando era ancora in esilio. Sistema
delle conversazioni e degli appunti che aveva sviluppato già in Inghilterra.
Il volume è dedicato a Thomas Herbert, amico di Locke.

L’errore nasce dal tentativo di oltrepassare quello che la sensibilità ci dà; la


conoscenza si dà in modo semplice, attraverso l’esperienza.
L’esistenza delle sostanze, la dogmatica religiosa non sono conoscenze vere.
La filosofia non è più un sapere del particolare, ma la filosofia deve essere
“grossolana”, deve seguire il desiderio di considerare il senso comune e di
confrontarlo con l’esperienza con le opinioni.
L’innatismo, il dogmatismo, l’astrattezza delle idee sono i veri ostacoli della
conoscenza.
Il filosofo fa una “manutenzione del senso comune”, non fonda la certezza. È un
artigiano della conoscenza.

Personaggi citati da Locke nella lettera al lettore:


Thomas Sydenham (medicina basata sulla sintomatologia) ha pensato la medicina
come attenzione ai sintomi, il clinico basa la diagnosi sui sintomi. Il punto di partenza
dell’attività clinica è la sintomatologia. Analogamente il filosofo si occupa di ciò che
appare alla conoscenza, ovvero le idee.

Robert Boyle (la verità deriva dall’esperimento) viene ricordato per la teoria sul
vuoto e la disputa con Hobbes. Boyle costruisce la pompa d’aria che produce il
vuoto: giunge alla dimostrazione del vuoto che negavano sia la teoria cartesiana sia
quella hobbesiana.
Per la tradizione la verità nasce dal ragionamento, dalla coerenza logica delle
affermazioni; invece, con Boyle la verità deriva dall’esperimento, dalla
dimostrazione.
Isaac Newton (si affida alla fede, a Dio; religione tollerante, ma non per gli atei)
ha anche l’idea di un rapporto deistico tra la natura e Dio; pensa, come Locke, che la
scienza e la filosofia siano attendibili perché Dio parla attraverso di loro. Si ha una
grande fiducia nei confronti di Dio, c’è una rivalutazione dell’esperienza religiosa: la
fede è un’esperienza prima a cui bisogna affidarsi. È una religione che sta dentro la
tolleranza e vuole la tolleranza: molte verità non sono oggetto di certezza.
Per gli atei non c’è tolleranza perché non condividono la fede in un dio. Dio dà
all’uomo gli strumenti più adatti alla conoscenza. L’incertezza è considerata una
conoscenza meno perfetta, ma sempre una conoscenza.

La filosofia è critica del linguaggio, del senso comune, molti problemi filosofici sono
problemi linguistici. Per Hobbes il linguaggio è strumento di potere, ha sempre un
significato politico e la sua oscurità è finalizzata alla produzione della soggezione;
per Locke è il risultato della vanità umana.
Il saggio è una chiarificazione dei procedimenti che l’intelletto fa per produrre
un’idea complessa.

LIBRO I, Né principi né idee sono innati:

Capitolo I, com’è la conoscenza (la conoscenza è concordanza e relazione tra


idee), a cosa serve, i suoi limiti, cos’è un’idea (la conoscenza non è necessaria ma è
utile; filosofia come analisi delle idee in se stesse; confronto con Aristotele e
Cartesio; adotta un “historical plain method” teso a conoscere la trasformazione
delle idee e la loro essenza -nuova metafisica-; non tutta la conoscenza è certa, ci
sono anche le opinioni; la nostra conoscenza è come una luce di una candela che
ci illumina mano a mano il cammino, non va oltre, non conosciamo tutto; il
marinaio deve conoscere la lunghezza della sua fune per sondare il fondale; non
posso dimostrare l’esistenza di Dio; anche Locke come Cartesio usa Dio contro lo
scetticismo; L’idea è il puro oggetto del pensiero, tutto ciò che lo spirito percepisce
in sé stesso; le idee sono percezione e non hanno realtà fuori dal pensiero)
Il secondo saggio si compone di 4 libri: critica dell’innatismo, critica delle idee, del
linguaggio e confronti con l’opinione.

La conoscenza viene eguagliata alla visione, per definirne il carattere di


immediatezza contro il quale si era posto Cartesio. Il soggetto conoscente è l’occhio.
Non c’è in Locke una necessità della verità, ma c’è la bellezza, la gioia e l’utilità
della visione, della conoscenza. Il pubblico di Locke ha come scopo primario della
vita il raggiungimento dei propri obbiettivi: l’utile è l’importante.
Quello che a Locke interessa non è l’anatomia dell’occhio ma indagare come
funziona la visione, la percezione. L’analisi della conoscenza è il ripiegarsi sulla
conoscenza per vedere come si comporta attraverso la descrizione dei “sintomi”.
Cartesio aveva tentati di fare un’anatomia del cervello.
L’occhio è un veicolo di consumo, è una conoscenza piacevole. A Locke non
interessa lavorare sull’occhio, sull’origine della conoscenza, ma sulla conoscenza in
sé.
L’attenzione alla conoscenza come fenomeno deriva in realtà da Cartesio: lui ha
risolto la filosofia nell’analisi del pensiero. In Locke la filosofia è analisi delle idee
che però vengono analizzate in se stesse, senza la cornice dell’io penso, di Dio.
L’analisi delle idee era quindi già presente in Cartesio.
Il rapporto con la sensibilità non viene problematizzato da Locke, ma si parte
direttamente dalle idee, da un dato del pensiero.
Pensa l’esperienza come atto del pensiero. In Aristotele era un prelevare la ratio dalla
natura, in Cartesio come la nostra ratio si potesse accordare con quella della natura e
in Locke si analizza solamente la visione, le nostre idee nella mente, si guarda lo
strumento della conoscenza. Non si fa del mondo esterno un problema: viene pulito
lo sguardo.
L’origine diventa il rapporto tra il semplice e il complesso; quali sono le idee
affidabili e quelle non affidabili?
Viene rimossa tutta la fisiologia, che era il grande problema di Cartesio e
Malebranche.

Viene adottato un historical plain method, si intende con questo come le idee si
complicano: è l’indagine del divenire della composizione delle idee.
Non è la storia dell’idea o la storia naturale di una certa idea, è un richiamo alla
filosofia baconiana e all’esempio del caldo e del freddo; è la descrizione di come si
passa dal semplice al complesso. C’è attenzione al problema del fenomeno.

Il fine della teoria della conoscenza di Locke è individuare i limiti della conoscenza
attraverso una descrizione di come la conoscenza funziona. È una descrizione del
fenomeno e di come si sviluppa, la filosofia come sintomatologia.
Si tratta anche di esaminare le convinzioni, le opinioni degli uomini.
Per Locke ci sono verità che possiamo considerare certe e ci sono anche le opinioni.
L’opinione riguarda le conoscenze politiche, l’orientamento religioso… e variano
nelle diverse parti del mondo.

Sebbene la capacità del nostro intelletto sia ridotta, abbiamo capacità sufficiente per
lodare il Creatore del nostro essere. Gli uomini hanno buone ragioni per essere
soddisfatti di ciò che Dio ha dato loro. Perché Dio ha dato agli uomini tutto quello
che è necessario per la virtù e la vita (l’utilità). Gli uomini hanno conoscenza
sufficiente per conoscere il loro Creatore e i loro doveri. Malebranche e Cartesio
limitano l’influenza divina in quello che è l’ordine naturale. Locke parte dalla
potenza divina e dà per scontato la sua imperscrutabilità.
Ci sono tante parti della natura che noi non comprendiamo, così come ci sono molti
aspetti di Dio che non comprendiamo. Noi abbiamo una conoscenza che è un
vettore che serve a capire ciò che è utile, non è la conoscenza dell’intero.
La filosofia di Locke va contro l’innatismo e contro l’idea che in noi c’è la verità. Il
punto di vista è diverso, non dobbiamo esaurire la verità, ma dobbiamo adottare certi
comportamenti che ci permettono di conoscere ciò che è utile, quello che è attorno a
noi. Cartesio se la prende con la sua costituzione fisica: la sensibilità non è affidabile,
in Locke la sensibilità è affidabile, noi però non possiamo comprendere tutto.

Locke usa l’esempio della candela per spiegare la conoscenza: non occorre fare luce
in tutta la stanza, ma è lo strumento che ci permettere di orientarci nella stanza buia;
illumina a sufficienza per i nostri scopi.
Il marinaio deve conoscere la lunghezza della sua fune anche se con essa non può
raggiungere le profondità dell’oceano. Abbiamo l’esperienza di una conoscenza che
ci permette di orientarci.

Nel passaggio da Cartesio a Locke c’è più o meno vicinanza a Dio? La filosofia di
Locke non è analizzabile con la teoria della secolarizzazione, c’è molta fede in
Locke. La teoria della secolarizzazione studia come alcune istituzioni che erano sotto
l’influenza ecclesiastica piano piano si sono emancipate; è applicabile anche ai
contesti filosofici.
Locke dà per scontato la distanza tra Dio e uomo, tra conoscenza umana e
conoscenza divina. Dio è oggetto di fede, la conoscenza si fonda su questa fede ma
poi procede in modo autonomo. In Cartesio e in altri pensatori vediamo come la
conoscenza e la natura di Dio siano contigui, molto vicini: con la conoscenza arrivo a
dimostrare l’esistenza di Dio. In Locke non c’è più il problema della dimostrazione
dell’esistenza di Dio.
L’empirismo lockiano e il meccanicismo hobbesiano sono più secolarizzati rispetto
alla filosofia di Descartes.

Allo scetticismo Cartesio risponde con le meditazioni metafisiche (noi conosciamo


come conosce Dio); Locke risponde allo scetticismo con la fede che Dio non ci
inganna. Entrambi usano Dio, ma in Cartesio Dio è raggiungibile con la ragione, in
Locke con la fede.

Locke vuole fondare la verità ma perché è utile, piacevole.


“Chiamo idea tutto ciò che lo spirito percepisce in se stesso, o che è l’oggetto
immediato della percezione, del pensiero o dell’intelletto.”
La realtà oggettiva dell’idea è la cosa rappresentata, ma nell’idea: non c’è più
distanza in Locke tra oggetto, ideato e idea. L’idea è puro oggetto del pensiero.
Quello che interessa a Locke è la percezione.
Il rapporto fondamentale non è il rapporto con l’oggetto esterno ma il rapporto con il
soggetto percipiente.
Questo è un tema in comune con Cartesio. L’esperienza non è più esperienza
aristotelica. L’esperienza è un atto del pensiero.
Locke, come Berkeley, pensano le idee come atti di percezione.
Non esistono idee indipendenti dal soggetto che pensa: non esistono le idee innate
perché hanno una realtà che precede l’esperienza. Affinché si dia l’idea ci vuole l’atto
di percezione.
La legge di gravità prima di essere pensata regolava il mondo della natura, ma non
aveva un’esistenza formale, come idea. Per Cartesio la conoscenza deve arrivare alla
coincidenza, per Locke la conoscenza non può conoscere tutto.

Viene radicalizzato il rapporto tra soggetto pensante e idea: idea è percezione.


La percezione è il nome in generale per definire tutti gli atti del pensiero. Le idee non
hanno realtà al di fuori del pensiero, esistono solo in quanto percepite. È impossibile
che un’idea possa essere altro da come noi l’apprendiamo.

Capitolo II: Non esistono principi pratici innati, polemica con i neoplatonici di
Cambridge, critica dell’innatismo, non c’è connessione tra universale e innato,
innatismo attivo e passivo, principi innati teorici e principi innati pratici (Locke
considera solo l’innatismo attivo, cosciente, Leibniz farà notare come ci sia anche
un innatismo passivo, non cosciente; non c’è connessione tra universale e innato)
Locke, nella sua critica dell’innatismo, dice che esistono due tipi di principi innati: i
principi speculativi e i principi pratici. I primi sono idee come l’estensione, i secondi
sono opinioni, abitudini, costumi che vengono considerati innati. Gli innatisti
considerano delle impronte divine nella mente umana, posso trovare le idee innate in
me stesso e si distinguono da quelle che traggo dall’esterno.
Non solo l’uomo ha nella mente le idee innate, ma queste idee innate sono
consapevoli (innatismo attivo). Locke non prende in considerazione l’ipotesi che noi
abbiamo idee innate di cui noi non siamo consapevoli. Questa è la critica che gli farà
Liebniz. Non prende in considerazione l’innatismo passivo, che sarà l’innatismo
liebniziano. Scriverà i “Nuovi saggi sull’intelletto umano”.
Per Locke non ci sono idee innate che l’uomo non pensa: l’intelletto è sempre attivo
per Locke; le idee sono percezione e sono relative al soggetto conoscente.

Locke smonta l’innatismo distinguendo prima tra innato e universale: non è detto che
ciò che è universale è innato. Dire che universale coincide con innato è considerare
solo l’innatismo attuale. Tutte le idee innate sono attive, e quindi sono universali, ma
non è detto che ciò che hanno tutti è innato… potrebbe essere effetto dell’esperienza.
Ci sono individui che non hanno le nostre stesse verità.
Locke considera le idee innate solo come attive, non come passive. Usando questo
argomento dice che non è legittimo dedurre l’innatismo dall’universalità: è evidente
che i bambini e i menomati non hanno la minima percezione di queste idee o pensiero
di queste proposizioni.

Lunedì 08/11/2021

Riassunto:
C’è in Locke una stretta connessione tra la riflessione sulla conoscenza e la
riflessione politica. La riflessione si fonda anche sull’esperienza e sulla sua
affidabilità che si basa a sua volta sulla fede. Questa esperienza deve anche avere
un peso nella riflessione sociale, politica.
La verità non coincide con la cartesiana certezza; questa posizione ha ricadute sulla
società: quali sono i nostri doveri, limiti, diritti.
L’esperienza, cuore della riflessione di Locke, è la premessa di un atteggiamento
politico, religioso, sociale che è quello del cittadino inglese della gloriosa
rivoluzione.
A Locke non interessa la certezza scientifica e nemmeno la fondazione del rapporto
tra conoscenza e religione (come era in Malebranche), ma vuole fondare l’esperienza
umana, la sua conoscenza.

C’è una grande attenzione al linguaggio e al rapporto tra certo e probabile. Cade
l’importanza cartesiana della dimostrazione dell’esistenza di Dio, è importante solo la
fede, che non è una fede razionale (com’era in Malebranche o Cartesio).

Idea: (non esistono idee di cui non siamo consapevoli; la fede in Dio ci permette di
universalizzare la nostra visione)
L’idea è al contempo un retaggio del cartesianesimo. Tutti i contenuti mentali sono
idee, l’idea coincide con i contenuti del pensiero.
L’idea coincide con la percezione intellettuale dell’idea: l’intelletto percepisce le
idee. Non esistono idee delle quali l’intelletto non è conscio.
Quando Locke si riferisce alla perfezione, si intende la percezione formale dell’idea,
mentale. Quando parliamo di esperienza parliamo di percezione di un certo contenuto
mentale.
L’intelletto percepisce e l’esperienza è percezione di idee (esempio della candela:
l’esperienza percettiva è la candela che non illumina completamente la stanza -non
c’è la ricerca della totalità come in Cartesio o in Spinoza-, ma è solo uno strumento
che ci permette di conoscere ciò che è utile per noi).
Hobbes dice che non sappiamo cosa ci sia al di là delle immagini (dei contenuti
mentali), non sappiamo se tutti gli uomini condividano le stesse immagini. Locke
dice che è la fede in Dio, non la sua dimostrazione, che ci permette di universalizzare.

Non è tanto Cartesio l’obbiettivo critico di Locke, ma sono i “neoplatonici” di


Cambridge. Locke cita nel primo capitolo Edward Herbert. Per lui esistono principi
universali veri per tutti, perché tutti concordano sulla loro verità.
L’esperienza è affidabile ma ciò non significa che tutti abbiamo delle idee innate, che
ci siano delle esperienze che non derivano dalla natura.
Per Locke le idee possono essere rimandate, una volta scomposte, all’esperienza della
sensibilità che le costituisce.

Riassunto Libro I “Né principi né idee sono innati”: (si crede esistano principi
innati teorici e principi innati pratici; è opinione che siano condivisi da tutti, innati
e universali; esistono principi dai cui non si può prescindere, ma serve
l’esperienza; bambini e deficienti non conoscono questi principi; tutto ciò che è
nell’intelletto viene percepito; i sensi non ingannano; il pensiero viene dopo
l’esperienza; i principi pratici -morali- sono sempre legati al posto in cui vivo)
È opinione diffusa che esistano principi innati teorici, che sono i principi della logica
e che strutturano la nostra conoscenza del mondo (principio di identità e principio di
non contraddizione, l’idea di Dio, la nozione di sostanza…), e che esistano i principi
innati pratici che regolano la condotta pratica e su questi principi è inevitabile
convenire tutti, derivano dalla volontà di Dio.
Poiché tutti siamo concordi sulle stesse cose, allora questi principi condivisi sono
universali, innati. L’universalità dipende dal consenso universale. Far coincidere
l’innato e l’universale con ciò su cui tutti concordiamo è un passo falso dice Locke.

C’è una critica dell’innatismo attuale che considera le idee innate come sempre
consapevoli, sempre in atto (non è attuale l’innatismo di Cartesio, come quello di
Malebranche, forse solo la conoscenza imprescindibile del moto dei corpi in
Spinoza?).
La prima obiezione che Locke fa all’innatismo mette in sicurezza però l’esperienza:
ammette l’esistenza di principi da cui non si può prescindere (universale e
consapevole non vuol dire necessariamente innato).
C’è un lavoro filosofico però dietro a queste verità, devono essere elaborate per
essere universali.
Se ricaviamo qualcosa dall’esperienza non è detto che abbia un consenso
universale: serve un lavoro filosofico, e non è detto che tutti facciano questo
lavoro.
L’universale è frutto dell’esperienza, e proprio per questo non è scontato che tutti
posseggano queste verità.
La volontà generale è retta anche se non ha il consenso di tutti e nemmeno della
maggioranza (Rousseau).

I bambini o i deficienti (gli ignoranti, non i folli) non hanno pensiero o percezione di
queste proposizioni. Proprio loro, per esperienza, possiamo dire che non sanno cosa
sia il principio d’identità o di non contraddizione.
Le idee innate in Cartesio erano giocate contro l’esperienza per emendarla, in Locke,
al contrario, l’esperienza è usata per confutare l’innatismo.
L’esperienza è la consapevolezza, la percezione è l’autocoscienza: non esistono idee
innate perché non ne faccio esperienza e quindi non ne sono consapevole. È
contraddittorio per Locke dire che c’è nell’intelletto ma non è percepito. Liebniz
invece apre la possibilità di spazi non consce dell’intelletto: non tutti i contenuti
dell’intelletto sono consci: c’è differenza tra ciò che c’è nella mente e ciò che viene
percepito nella mente. Descartes parla di tipi di idee, non considera la loro
consapevolezza, sarebbe d’accordo con Locke ma direbbe che non sarebbe rilevante
il fatto che pensiamo le idee innate o meno. Per Cartesio l’esperienza è ancora
l’esperienza sensibile, aristotelica.

Non basta per Locke dire che l’uomo dà il suo assenso alle verità innate quando
arriva all’età della ragione.
Non ci sono conoscenze che lo spirito non riconosce: ammettere l’esistenza delle idee
innate inconsapevoli, ammetterebbe contraddizione, perché vorrebbe dire che ci sono
idee che la mente ha, e quindi conosce, ma che allo stesso tempo non ne è
consapevole, e quindi non le conosce. Questo sillogismo è valido solo se
identifichiamo Consapevolezza con la conoscenza.
Perché Dio dovrebbe averci dato dei principi senza averci dato la loro evidenza, la
possibilità di conscerli?
Nella filosofia di Locke non c’è spazio per le idee innate, perché la loro esistenza
implicherebbe il tema tra conoscenza e percezione. Non c’è scarto tra sensibilità e
ragione, i sensi non ingannano. Esiste un’immediatezza della percezione sensibile del
tutto affidabile. Il presupposto della verità non è l’idea innata, ma la certezza
dell’esperienza sensibile.

Anche per i principi pratici vale quello che è stato detto per i principi teorici. Anche i
principi pratici sono soggetti all’opinione, non si dà su di loro il consenso universale.
La ragione ci può dare delle conoscenze di carattere universale, ma non è detto che
siano conoscenze innate.
Quelle che noi pensiamo idee innate, sono idee sulle quali abbiamo una familiarità,
una maggiore consapevolezza. Diciamo che è innato quello che conosciamo da più
tempo (storicamente). “Storico” significa che comincio dall’esperienza e vedo quello
che viene prima nell’esperienza.
L’intelletto ha dei dati dalla percezione sensibile sui quali lavora. Ai confronti, alle
associazioni che fa, dà dei nomi; i principi di non contraddizione, di identità, sono
risultato del lavoro immediato che l’intelletto fa sui dati sensibili, costruisce una
relazione tra sensazioni.
Dire che esiste un intelletto e dire che esistono delle idee innate per Liebniz è la
stessa cosa. Le idee innate diventano gli strumenti che organizzano il pensiero. In
Locke invece il lavoro dell’intelletto viene dopo l’esperienza, è secondario, senza
l’esperienza sensibile non esiste il soggetto, l’intelligenza, l’io penso. Locke va verso
una realtà del pensiero che si costituisce a partire dal rapporto con il mondo esterno,
non c’è più il primato dell’intelletto. C’è un’origine fenomenica del pensiero astratto.

Spesso si dice che per scoprire i principi pratici che sono già in noi, serve un
insegnamento morale. Ma non so ora se quell’insegnamento morale li scopre o li
infonde direttamente in me. Se le verità morali fossero già in noi, perché ci
dovremmo comportare male?
Se serve insegnare le norme morali, allora vuol dire che non sono innate.
Quando la morale deve definire un contenuto universale incontra dei problemi (Kant
si fermerà all’universalità della forma).

Cosa significa l’espressione lockiana di “guardare al di là del fumo del proprio


cammino”? I principi pratici che condividiamo sono sempre frutto della storia del
posto dove vivo, della mia tradizione: ciò che è universale, è universale per me.

Tolleranza: (non serve solo per evitare il conflitto, ma è la condizione per


raggiungere la verità; i diritti fondamentali sono evidenziati dall’esperienza)
Dev’essere l’esperienza a fondare il principio pratico, il fondamento del principio
pratico deve essere frutto di una riflessione che parte dall’esperienza. Il confronto
delle opinioni, anche in ambito religioso, produce consenso: la tolleranza non è solo
uno strumento per evitare il conflitto (come era in Spinoza), ma è la condizione per
raggiungere la verità. La tolleranza è l’ambito nel quale si costruisce la verità
insieme a partire dalla fede e dall’esperienza.
Gli atei hanno delle verità che sono fuori da ciò che l’esperienza circoscrive, ovvero
la necessità della fede.
I principi pratici non devono essere posti come innati.

Ci son condizioni in cui emerge il male radicale (sacco di una città) dove emerge le
falsità dell’universalità dei principi morali.
Nel secondo trattato sul governo Locke dice che esistono diritti naturali: vita, libertà e
proprietà che il sovrano deve difendere. Se noi leggiamo come Locke giustifica la
loro esistenza, allora vediamo che li giustifica con l’esperienza che ce li consegna
come i più immediati. Anche i diritti naturali non sono innati ma il risultato
dell’esperienza prima che la vita presenta.

L’ammissione di principi innati è sempre foriera di lotta, faziosità, superiorità:


ognuno arroga a sé il diritto di determinare i principi innati.

Idea di Dio: (anche l’idea di Dio non è innata -ci sono popoli senza religione-; la
verità esiste, va solo ricercata, ma non è innata)
L’idea di Dio è un’idea innata? Tra tutte le idee innate, quella di Dio è quella che
potrebbe essere effettivamente innata. Ma anche questa deriva dall’esperienza: ci
sono nazioni che non hanno l’idea di Dio. L’esperienza viene chiamata in causa per
contestare l’essere innata dell’idea di Dio.
La negazione dell’innatismo e dell’innatismo pratico non conduce al relativismo: c’è
differenza tra legge innata e legge naturale. Esistono regole, verità, naturali ma ciò
non vuol dire che siano innate: l’intelletto deve “conquistare” l’universalità delle
verità naturali.
Se anche qualcuno non ne è consapevole, non le conosce, ciò non va contro
all’universalità delle verità universali, le leggi di natura che esistono sia sul piano
teorico che pratico.
È il confronto, la riflessione sull’esperienza, che ci può fondare una verità al
contempo universale e vera in sé, come la verità di natura.
La critica dell’innatismo arriva alla teoria politica: centralità dell’esperienza e
universalità della verità, esistenza della legge di natura.
Argomento oltre il primo libro: Come si attua questo processo per quanto concerne la
conoscenza? Che cosa nell’esperienza è vero per tutti? Che cosa è opinione? C’è la
distinzione tra verità, opinione e falsità.

Mercoledì 10/11/2021

Riassunto libro I:
A partire dalla critica all’innatismo, sviluppa una critica del dogmatismo; c’è uno
spazio importante dedicato al confronto delle opinioni, alla tolleranza religiosa,
politica e filosofica.

Esistono 2 tipi di idee innate: principi speculativi innati e i principi pratici innati
(principi pratici, etici, religiosi). Locke ricorre ad un “trucco” per criticare
l’innatismo: considera le idee innate come sempre percepite, si confronta con un
innatismo attivo; esclude l’esistenza di idee innate latenti. Sembra a Locke una
contraddizione che possano esistere nell’anima verità che non vengono percepite.
Le idee innate sono sempre attive, sempre percepite. Per confutare l’innatismo dei
principi speculativi Locke dice che se tutti avessero questi tipi di idee allora anche i
bambini e tutti coloro che hanno un’anima dovrebbe assentire e riconoscerle. C’è
un’eco baconiana: viene fatto riferimento al fatto che i bambini, deficienti,
selvaggi… non sono influenzati dalle “dottrine estranee”, che ostacolano la
conoscenza.
Se l’insegnamento è necessario non potremo mai stabilire se queste conoscenze sono
state instillate dalla formazione o meno.
I principi morali hanno ancora meno titolo di quelli speculativi ad essere innati. Se
non è evidente l’innatezza dei principi teorici, tanto meno quella dei principi pratici.

Non c’è nessun tipo di principio pratico universale, sul quale ogni uomo abbia dato
il proprio assenso.
Non ci sono principi morali di cui non dobbiamo dare spiegazione.
La morale, la religione sono ambiti dell’esperienza nei quali è necessaria la
discussione, il confronto.

Nella guerra, gli individui sono portati a fare atti che sono fuori da ogni principio
morale innato. Se la morale fosse già in ogni uomo allora non si potrebbero
compiere questi atti.

3 temi fondamentali delle idee innate in Cartesio.


I elemento: a cosa servono le idee innate? A non cadere nell’errore (esempio della
candela, automi)
II elemento: in che cosa consiste la natura delle idee innate? In che cosa si
distinguono, come si riconoscono. Confronto con Malebranche (le idee innate sono
in Dio).
III elemento: idea di Dio.

In Malebranche viene concepita la filosofia come percorso di ascesi a Dio: vengono


collocate le idee innate in Dio, viene data alle idee innate una forza ontologica
perché coincidono con Dio. Il sapere logico, l’essere scientifico e l’essere di Dio
coincidono.

Locke dice che non esistono idee innate, ma questo non implica che non ci siano
leggi naturali. Le idee vere sono vere poiché frutto dell’elaborazione dell’esperienza
da parte del nostro intelletto. Le leggi di natura non sono immediatamente
conosciute all’uomo, ma sono conoscibili attraverso l’applicazione corretta e
circoscritta delle nostre facoltà (intelletto e sensibilità).
Dal punto di vista di Locke, i Vangeli sostengono la tolleranza.

Le idee semplici sono dati immediati dell’esperienza che noi percepiamo


immediatamente veri e affidabili (colore, durezza, suono…), le idee complesse sono
idee che l’intelletto forma a seguito di una riflessione.
Cartesio fa partire la conoscenza dall’io penso, dalla res cogitans, che per Locke è
inconoscibile, noi non riusciamo a dimostrare la sua esistenza.
Concepisce la conoscenza come un fascio di percezioni, non c’è più il soggetto
sostanza, ma è un insieme di esperienza. Cartesio ha una prospettiva di fondazione
della verità, dice che l’io penso esiste e su questo incardina la sua idea di verità.
Locke, al contrario, sostiene che la sostanza è inafferrabile, allora si circoscrivono i
limiti della conoscenza, si lavora sui limiti conoscitivi.
Noi dobbiamo capire quali sono le operazioni sono legittime per la conoscenza e
quali no. Il modo empirista è diverso dal modo cartesiano di concepire il rapporto di
pensiero e realtà. Locke limita la ricerca della verità alla ricerca dei limiti della
conoscenza.
Questa diversa impostazione ha una ricaduta sulla visione delle idee.
Per Cartesio bisogna scomporre le idee fino a giungere all’idea chiara e distinta, si
lavora sulla natura formale delle idee.
Locke ci invita ad adottare un metodo storico: descrive come nell’esperienza si
generano le idee. Quanto più l’idea è esperita, si avvicina alla semplicità della
sperimentazione, tanto più è chiara, invece più l’idea è pensata, astratta, tanto più è
confusa, meno chiara.
L’empirismo guarda alla concretezza, alla singolarità

In Locke l’uomo ha dei limiti: l’esperienza, ma questo limite è anche ciò che
possiamo considerare vero. Il pensiero non è l’essenza dell’uomo, ma è solo una
facoltà capace di ricombinare le idee semplici.

LIBRO II, delle idee, idee semplici e complesse (esclude in problema


dell’essenza dei corpi, considera solo i fenomeni; dopo le prime sensazioni, nasce
la riflessione e da questa la generalizzazione, in seguito si sviluppano il linguaggio
e l’affettività; il dubbio è insensato perché non posso mai prescindere dalle
sensazioni)
Due sono le attività dell’intelletto: sensazione e riflessione.
Locke condivide con Hobbes la visione “fenomenologica” dell’esperienza: non
sappiamo come è la realtà materiale, ma abbiamo le sensazioni, le immagini nel
pensiero. In Hobbes non conosciamo nemmeno come lavorano i nostri sensi.
Esclude il problema dell’essenza dei corpi, cosa c’è al di là del fenomeno.
Poi c’è la riflessione che è il confronto, l’associazione, che succedono dopo la
sensazione. Il soggetto viene ridotto a un insieme di sensazione e riflessione.
L’oggetto viene quasi dematerializzato (non bisogna fare confusione tra empirismo
e materialismo).
Il punto di vista Lockiano non è esattamente come quello hobbesiano dove si
incomincia dubitando. Dobbiamo riflettere sull’origine delle idee, non la loro
attendibilità.

Immaginiamo lo spirito come un foglio bianco, privo di ogni carattere: da dove


proviene il suo contenuto? Dall’esperienza.
Fare un’analisi della conoscenza significa fare la storia dell’esperienza, partendo da
un punto 0 ipotetico dove immaginiamo di non avere ancora nessuna impressione
dall’esterno. Non c’è nulla di trascendente oltre al mondo oggettivo dove c’è la
conoscenza.
Tutto ciò che ricaviamo dall’esperienza proviene o dalla sensazione o dalla
riflessione.
La sensazione è il particolare rispecchiarsi in cui ci si presentano le modificazioni
della vita interiore (è rispecchiamento di ciò che avviene come vita interiore).
La sensazione è ricezione del dato materiale, e anche la riflessione è passività: la
riflessione, infatti, scaturisce da come le sensazioni si combinano; è la compresenza
nell’intelletto di più sensazioni.

Quando parlerà di sostanza dirà che essa è la combinazione di sensazioni che ci dà


l’illusione di un sostrato, è il riflesso di una combinazione sulla quale noi non
possiamo appoggiarci. È un presupposto della conoscenza che ci serve per dare
appoggio alla conoscenza stessa, ma è un reticolo di categorie che si viene a formare
dall’esperienza (vicino alla dialettica trascendentale kantiana dove vengono trattate
quelle cose necessarie ma non certe).
Quando troviamo due sensazioni diverse, ad esempio, cominciamo a riflettere sul
numero…

Dopo le prime sensazioni nel bambino nasce la riflessione, dalla quale,


sviluppandosi, nascono delle generalizzazioni. Nasce poi l’affettività e il linguaggio.
L’iniziale formazione dell’attività riflessiva nasce però dalla sensibilità.

L’ipotesi della revoca in dubbio non ha senso perché non si può mai rinunciare alle
sensazioni. L’ipotesi cartesiana è un’ipotesi astratta, di scuola, nella realtà non
possiamo prescindere dalla sensibilità: appena il pensiero si accende è condizionato e
formato dalla sensibilità.
Non ci sono idee complesse della sensazione, ma nascono dall’attività riflessiva,
come unione di idee semplici. La riflessione produce anche idee semplici. Le idee
semplici sono idee della sensazione.

Giovedì 11/11/2021

Nel secondo libro c’è la critica di Locke dove dice che l’anima deve essere sempre
attiva: il contestare l’idea che il pensiero sia sempre in azione implica la revoca delle
idee innate.
Critica anche il concetto di sostanza: Cartesio parlava di estensione, Locke di
continuità che fa da sfondo al movimento dei corpi. Non c’è identificazione tra spazio
ed estensione, tra spazio e corpo in Cartesio, in Locke sì.

Esistono 2 forme dell’attività del pensiero: la sensazione e la riflessione. La


sensazione è l’apprensione degli oggetti esterni attraverso la sensibilità, il riflessivo è
la restante parte dell’attività mentale (passioni, desideri, pensiero riflessivo).

IDEE SEMPLICI E IDEE COMPLESSE: (le idee semplici sono sempre passive,
l’intelletto percepisce; il pensiero non è continuo, non è un flusso, posso anche
non pensare; ci sono 4 tipi di idee semplici; idea di solidità -impedisce il
compenetrarsi di due corpi; la realtà è un insieme di corpi solidi separati dal vuoto;
viene presupposto un vuoto di pensiero, come quello nella materia, per distinguere
e far confrontare le idee; le idee di volontà e potere sono idee semplici di riflessione
che ricaviamo dal nostro poter muovere il corpo -sono una rappresentazione di un
atto-; qualità primarie e secondarie)
Nella prima parte del secondo libro vengono definite le idee semplici.
I modi sono idee complesse di riflessione.

Ogni tipo di conoscenza per Locke ha la sua origine nell’esperienza. Anche le idee
complesse, le idee semplici di riflessione, hanno avuto origine dalla sensibilità.
Le idee riflessive si formano in un secondo momento però rispetto alla percezione.

Il carattere delle idee semplici (della riflessione e della sensazione) è sempre


passivo, sono sempre prodotte passivamente.
L’atto del pensare in riferimento alle idee semplici è sempre un atto percettivo. L’io
non è costantemente preso in un’attività di pensiero. Viene distinta l’atto riflessivo da
quello riflessivo. Poiché il pensiero si costituisce con il risultato delle sensazioni, le
quali sono singoli atti; tra gli atti singoli si determinano delle situazioni di non
pensiero. Non è che dimostra che il pensiero non è un flusso, ma parte dalla
considerazione che il pensiero non è un flusso, così come la materia non è continua.
La capacità riflessiva è un prodotto derivato dalla sensibilità che lascia le prime idee
di sensazione; quando queste idee sono molteplici arriva la riflessione e poi
l’esperienza stessa
L’intelletto è sempre passivo nelle idee semplici, quando si presentano all’intelletto le
sensazioni, non può rifiutarle. Le idee semplici sono come la materia, non possono
essere create, alterate, condizionate…
L’attività dello spirito è sostanzialmente un’attività di combinazione di idee semplici
in aggregazioni; queste possono riprodurre qualcosa che è fuori, oppure non hanno
nessuna corrispondenza.

Locke ci dice che le qualità non si presentano mai separatamente, almeno in origine.
Nelle cose le qualità sono fuse, e come tali vengono percepite. Anche se vengono
percepite fuse, l’intelletto ha la capacità di distinguerle. I sensi operano una sorta di
filtraggio, scompongono le qualità che poi vengono ricomposte a livello intellettuale.
L’esperienza è così una fotografia realistica di ciò che vi è fuori.

Le idee semplici della sensazione sono il risultato di questa scomposizione. Sono il


materiale che viene fornito alla mente.

All’inizio del capitolo III Locke distingue le idee semplici della sensazione:
1. Le idee che provengono da un solo senso. (estensione, figura, movimento…)
2. Entrano nella mente per mezzo di più sensi. (solidità?)
3. Idee che provengono per mezzo della riflessione. (ricordo, ragionamento,
giudizio, fede…)
4. Idee che vengono per mezzo di tutte le vie di sensazione e riflessione. (dolore,
piacere, esistenza, unità, potere, successione…)

Le idee semplici di sensazione sono immediatamente riscontrabili e prodotte


nell’esperienza, considero i corpi senza relazione all’io.
Le idee semplici di riflessione derivano dalla visione che ho di me stesso e delle
impressioni che i corpi esterni hanno generato in me.
Il capitolo IV parla della solidità ed è il cardine della polemica con Cartesio
sull’estensione.
Apparentemente sembra coincidere con l’estensione cartesiana. È la sensazione
maggiormente costante, sempre presente all’intelletto.

L’idea della solidità è un’idea semplice che deriva dal tatto:


La solidità è sinonimo della impenetrabilità. Ma il termine impenetrabilità dà una
connotazione solo negativa, evidenzia solo il limite della nostra azione.
La solidità è ciò che impedisce la penetrazione tra due corpi. L’universo è composta
da corpi solidi dove ognuno ha una distanza rispetto a un altro. Tra due corpi c’è il
vuoto.
In Cartesio lo spazio coincideva con l’estensione, i corpi erano dentro una
connessione di reciproco movimento (non c’è il vuoto, lo spazio è un pieno penetrato
da altri corpi in movimento).
Se la quantità di movimento è costante, e in questo “magma” i corpi procedono in
modo inerziale, sorge il problema della stabilità dell’universo. Cartesio lo giustifica
con l’esistenza dei “vortici”.
Locke dice che i corpi sono distinti, ciascuno con un grado di impenetrabilità rispetto
a un altro corpo.
La materia non è un insieme estensivo, ma è un insieme di corpi solidi: noi ne
percepiamo solo alcuni ma possiamo estendere questa visione anche ai corpi più
piccoli. La materia è corpo e figura.
Locke non vuole discutere sul vuoto, non vuole discutere sul movimento dei corpi. Si
domanda se si può avere l’idea di un corpo in movimento se tutti gli altri non lo sono.
Il vuoto che il corpo in movimento, in questo sistema, lascia, allora abbiamo la
visione di uno spazio puro, senza estensione.

Per contare, quantificare, misurare, è necessario identificare, e per identificare è


necessario separare, distinguere. Il modello lockiano ha come cardine dell’esperienza
non il pensiero, ma l’idea intesa come concetto determinato.
Ci sono le idee anche in Cartesio, ma ciò che permette la conoscenza è la continuità
dell’io penso.

In Locke viene presupposto un vuoto di pensiero dove le idee possono confrontarsi e


discutere così come nella realtà gli oggetti si muovono in un vuoto che li distingue.
La fisica cartesiana dopo un po’ fallisce, anche se è una visione più vicina alla
metafisica, alla filosofia.
L’attività di pensiero sulle idee semplici produce le idee complesse.
L’idea semplice della sensazione è il corpo preso senza alcuna relazione con l’io, le
idee semplici della riflessione invece sono viste in relazione all’io. Locke riduce
molto la riflessione cartesiana e spinoziana (l’odio non è forse semplicemente il
prodotto di un corpo appreso).

Tutto questo spettro di emozioni vengono risolte in gradi di piacere e di dolore. C’è
un carattere di sensismo radicale in tutto il saggio.

La riflessione è il particolare rispecchiarsi in cui ci si rappresentano le modificazioni


della vita interiore.
Volontà e potere: idee semplici di riflessione e sensazione (sono idee che implicano
un atto cosciente):
La volontà e il potere sono idee semplici di riflessione, sono il riflesso che noi
abbiamo della capacità di mettere in movimento un corpo. È la capacità di un atto di
volontà. Il corpo si muove e riflette l’idea di volontà e quella di potere.
L’idea della volontà e del potere che noi abbiamo è la rappresentazione di un atto: è
passiva perché è una rappresentazione. C’è il mondo della natura dentro al quale le
cose e gli uomini si muovono, questo movimento produce delle idee, delle visioni,
che sono il potere e il volere.
L’esperienza coma approccio alla conoscenza è un approccio passivo: lasciamo
parlare l’esperienza.
La conoscenza è un momento secondo rispetto a ciò che avviene in natura.

L’idea di potere la riceviamo dalla sensazione, dalla riflessione. In Hobbes il potere è


legato all’ingegno, all’astuzia, in Locke il potere è un’idea che deve rispecchiare
l’ordine naturale. La natura è un ordine che viene recepito e che deve essere rispettato
(politica).

Le qualità: sono qualità quando sono riferite al corpo, idee quando sono riferite al
soggetto che percepisce:
Qualità primarie: sono inseparabili dal corpo, che si conservano nei mutamenti.
Qualità secondarie: per mezzo delle qualità primarie producono in noi sensazioni di
colore, suono, gusto…

IDEE COMPLESSE in generale: (3 modi per collegare tra loro le idee:


combinazione, relazione e astrazione; unità, spazio e tempo  idee di modi
semplici)
I modi possono essere semplici o misti: il modo semplice è la variazione di una stessa
idea ripetuta più volte. Il modo misto è l’accostamento di più idee, la relazione tra più
idee.
Le idee complesse dei modi semplici sono l’idea di spazio, tempo, operazioni della
mente, numero e infinito.

L’intelletto ragiona sulle idee semplici in 3 modalità:


 Il combinare varie idee semplici per formare una idea complessa.
 Relazionare un’idea semplice con una complessa.
 Separare un tipo di idea da tutte le altre che la accompagnano nella sua
esistenza reale: questo è un processo astrattivo.

L’idea di unità è un’idea di modo semplice, come il tempo e lo spazio.


Lo spazio è un’idea complessa di modo semplice derivante dalla combinazione di più
idee semplici (dalla vista e dal tatto semplicemente). È lo sfondo non continuo del
movimento dei corpi solidi. L’intelletto si applica alle idee, le compone, le relaziona
o le astrae.
Lo spazio è quell’idea complessa che io faccio derivare dalla percezione simultanea
di idee: lo spazio è come lo sfondo necessario affinché io possa percepire
contemporaneamente più oggetti.

Il tempo è analogo allo spazio: è una rappresentazione di un oggetto percepito, in


sequenza. Vedo un oggetto, vedo dei mutamenti e costituisco l’idea del tempo che si
lega appunto al mutamento; lo spazio si legava alla simultaneità. Le diversità
presuppongono il modo del tempo.
Il tempo è quel “senso interno” che si costituisce dal momento che si susseguono
percezioni diverse.

C’è un primato dell’essere sulla conoscenza, in Cartesio la conoscenza, l’io penso,


aveva la prevalenza sull’essere. In Locke viene anteposto l’essere al pensiero, la
concretezza rispetto ai processi astrattivi.

L’eternità è l’eterna durata, è l’astrazione del tempo indefinita. È il contrario


dell’eternità spinoziana: la conoscenza sub specie aeternitatis è la comprensione della
singolarità nella sostanza e si può dare solo in un orizzonte di pienezza che non
presuppone nessuno scarto ontologico tra la parte e il tutto.
L’eternità in Spinoza è un modo immaginativo di concepire la sostanza: la sostanza è
un continuo di modificazioni, il modo fa parte della totalità invece.

In Locke io concepisco tutto come corpo, distinto, separato, l’eternità è allora


l’indefinito, ciò che non ha tempo, è un’astrazione.

In Locke la conoscenza è sempre relativa, l’uomo non può iscriversi completamente


nel movimento del divenire, ha solo atti percettivi che poi deve razionalizzare.
Il tentativo cartesiano vuole superare queste differenze, Spinoza poi rimuoverà la
differenza tra le sostanze.

Lunedì 15/11/2021

Sintesi:
Intelletto e percezione non costituiscono un processo continuo, ci sono dei momenti
dove non agisce.
Il capitolo IV è concentrato sulla solidità: viene espressa la differenza tra solidità ed
estensione. Quelli che in Cartesio erano corpi estesi, sono corpi solidi; da qui emerge
una qualificazione del rapporto tra corpo e spazio. I corpi sono da pensare in uno
spazio come sfondo non continuo che si allontana dalla visione cartesiana e si
avvicina a quella newtoniana.

La gioia (come il piacere e il dolore) è un’idea semplice di riflessione (sono quelle


idee che si trovano sia nella riflessione che nella sensazione, IV tipo): io rifletto sulla
sensazione che un oggetto percepito mi dà e provo gioia. Le idee semplici di
sensazione elaborate dentro l’io diventano idee semplici di riflessione.
Anche l’esistenza e l’unità sono idee semplici di riflessione.

Anche il potere è una di quelle idee semplici che otteniamo per mezzo della
sensazione e della riflessione.

Il potere deriva dalla riflessione di poter attuare la volontà.

Le qualità:
Quando Locke parla di qualità si riferisce ai corpi; esce dal mondo dell’esperienza
per qualificare ciò che l’esperienza percepisce.
Distingue due specie di qualità: primarie e secondarie. Quelle primarie si riferiscono
al corpo (figura, estensione, movimento), quelle secondarie sono gli effetti che il
corpo esterno produce sulla sensazione (colore, suono, odore).

L’idea è ciò che la mente percepisce in se stessa o che è immediatamente oggetto


della riflessione.
Le qualità è il potere di un certo oggetto di produrre un’idea.

Sono qualità quando le riferisco al corpo percepito, sono idee quando le riferisco al
soggetto che le percepisce.
Queste qualità sono il corrispettivo delle idee innate.

La distinzione tra i due tipi di qualità serve per distinguere quelle qualità che possono
essere oggetto di rappresentazione scientifica. La scienza si occupa solo di qualità
primarie: quelle secondarie sono troppo dipendenti dal soggetto che le percepisce.

La qualità secondaria è la qualificazione di un carattere della percezione: ciò che


emerge dal suono, il gusto, il colore…
Idee complesse in particolare:
Tipi di idee complesse che incontriamo: idee complesse di modi, sostanze,
relazioni.
Pongono il problema della corrispondenza, a differenza delle idee semplici
presuppongono un certo grado di astrazione rispetto alla percezione.
Spazio e tempo sono risultati della nostra elaborazione: la natura non ha propriamente
uno spazio e il tempo, sono i modi in cui noi sistemiamo i modi.

Io percepisco solo qualità, semplici o complesse, poi le traduco in idee semplici e


infine le elaboro in idee complesse.

IDEE DI MODI: modi semplici e modi misti (non sussistono di per sé, sono
considerate come affezioni di una sostanza; idee complesse di modo di spazio e
tempo)
Modi sono le idee complesse che non contengono in sé la supposizione di esistere per
sé, ma sono considerate come dipendenze o affezioni delle sostanze. Un corpo può
avere il modo della forma triangolare ad esempio. La forma di triangolo è un modo
che non può esistere senza il corpo, non possiamo analogamente concepire l’omicidio
senza l’esempio che lo caratterizza.

Elaboro l’idea di modo spazio come coesistenza di oggetti percepiti, elaboro l’idea
di modo tempo come successione di oggetti percepiti.

IDEE DI SOSTANZA: (rappresentano cose particolari sussistenti di per sé)


Le idee di sostanza sono combinazioni di idee semplici di cui si assume che
rappresentino cose particolari distinte che sussistono per sé.
Se uniamo diverse idee semplici di certe caratteristiche ottengo l’idea di sostanza di
qualcosa (del piombo o dell’uomo ad esempio).

IDEE DI RELAZIONE: (sono i rapporti tra le cose, confronti tra le idee -come
l’idea di causa-)
Le idee di relazione riguardano i rapporti tra le cose, è il confrontare tra di loro le
idee.

Una cosa è causa di un’altra significa che io percepisco sempre quella cosa prima
dell’altra. L’uomo è sostanza perché io percepisco diverse caratteristiche costanti e
do loro il nome di uomo.
CONFRONTO CON CARTESIO: (Locke mette le qualità primarie nelle cose e le
fa trarre dalla percezione; Cartesio le mette nell’intelletto e le fa trarre
dall’intelletto stesso; tutte le idee sono nomi che noi diamo a un “grappolo” di
sensazione; Dio fa da garante alle nostre percezioni; Locke desostanzializza l’io
penso)
Sia Locke che Cartesio avevano qualificato questo tema (delle idee complesse
fondate sull’esperienza e delle idee innate) come frutto di una elaborazione.
Noi abbiamo le percezioni e il nostro intelletto le monta per poter conoscere e
orientare. Si costruisce un metodo che è la conoscenza.

Cartesio aveva distinto tra idea e ideato, tra corpi e l’affiorare di questi come idee
avventizie, ma inchioda questa rappresentazione alla realtà: fa di questa
rappresentazione una corrispondenza alla realtà. Locke dice che le nostre
rappresentazioni servono per orientare noi e la nostra conoscenza.

Locke mette le qualità primarie nelle cose e le fa trarre dalla percezione, Cartesio
le mette nella mente e le fa trarre dell’intelletto. Entrambi le mettono prima, al
sicuro, per poter distinguere tra ciò che è soggettivo e ciò che non lo è. Cartesio
chiama queste idee innate, Locke qualità primarie e le mette nei corpi.

L’elemento decisivo è che il tempo, lo spazio, la causa, la sostanza (tutte le idee della
tradizione e del razionalismo) non sono altro che nomi che noi diamo a dei “grappoli”
di percezioni. Non sono altro che associazioni di idee. La sostanza è un’aggregazione
arbitraria dell’intelletto di una serie di percezioni. Tutto questo è una supposizione,
non è in natura realmente.

Dobbiamo scivolare nello scetticismo? No, c’è la FEDE; noi dobbiamo credere
nell’esperienza usando questi concetti, con la consapevolezza che non sono altro che
concetti, non esauriscono il nostro rapporto con il mondo, sono solo degli strumenti
che noi usiamo per organizzare le nostre percezioni, le emozioni, la volontà…

In natura esistono solo i corpi e quello che imprimono su di noi al momento della
percezione.

Locke critica l’io penso, lo desostanzializza, è solo un’idea complessa, un fascio di


percezioni.
La percezione si attiva in certi momenti: non c’è un io penso continuo, ma noi siamo
fatti di percezioni più o meno ordinate. Il pensiero non è altro che l’ordine delle
percezioni.
In Locke non esiste verità di cui noi non facciamo esperienza, lavora solo sui limiti
della conoscenza.

La declinazione malebranchiana dove il pensiero diventa Dio non è avvicinabile a


Locke: il pensiero per lui è sempre umano.
La causa è l’interpretazione di una percezione; è diversa dalla causa cartesiana. In
Cartesio ci permette di dimostrare la prima prova dell’esistenza di Dio, è una realtà
prima (vera subito dopo l’io penso e l’io sono). È ciò che sta all’inizio, ancor prima di
Dio.
Anche in Spinoza possiamo mettere il principio di causalità all’inizio.

In Locke invece la sostanza è solo un’ipotesi per sostenere la nostra rappresentazione;


la causa è la rappresentazione di due cose che percepiamo più o meno vicine.

LIBRO TERZO, delle parole (convenzionalismo): (linguaggio e


conoscenza certa e incerta; Locke è un convenzionalista; le idee generali diventano
tali quando vengono astratte dalle circostanze di tempo e luogo)
Gli ultimi due libri sono dedicati al linguaggio e alla differenza tra conoscenza certa
e incerta.

Le parole sono applicate dagli uomini per rappresentare le loro idee, i segni non
corrispondono naturalmente alle loro idee. Locke è un convenzionalista: le parole
sono segni attribuiti a concetti arbitrariamente secondo una certa convenzione.
Le parole ci servono per indicare le diverse idee.
Diventano generali quando diventano segni di idee generali.
Le idee generali vengono ricavate per astrazione da una cosa, diventano tali quando
vengono separate dalle circostanze di tempo e di luogo.

Locke definisce il linguaggio sempre a partire dall’esperienza: è il risultato di un


processo di elaborazione, della cui esigenza nasce nell’esperienza. Serve per
comunicare ed è lo strumento grazie al quale l’uomo sopravvive e dialoga.
Al linguaggio attribuisce anche un valore conoscitivo, non serve solo per organizzare
i nostri rapporti sociali. È uno strumento di conoscenza perché si compone di
segni, l’usare il linguaggio significa attribuire segni alle cose; l’attribuzione di
segni è l’individuazione di generalità. Il linguaggio riesce ad essere strumento di
dialogo e di conoscenza perché è formato da segni generali, dotati di similarità.
Le parole diventano generali quando diventano segni di idee generali, le idee
diventano generali quando vengono separate da contesti di spazio e di luogo.
I termini generali si riferiscono alle idee, non alle cose.
Questo modo di intendere il linguaggio, la riflessione su ciò che è certo e ciò che è
opinione, è l’atteggiamento che si ritrova nel pensiero politico di Locke, che si
presenta come una critica del potere costituito e mette in evidenza i limiti del potere
(contrariamente a tutta l’argomentazione di Hobbes). Hobbes mette in evidenza la
pericolosità della condizione naturale dell’uomo.
Locke non fa coincidere lo stato di natura con lo stato di guerra, e l’atteggiamento
verso il potere deve essere critico e deve metterne in luce i limiti. Le istituzioni sono
degli strumenti che l’uomo si è dato.
Verso le idee complesse e verso il potere c’è un lavoro volto a far emergere i limiti.
Locke è uno dei primi teorici a sostenere la divisione dei poteri. Il potere sovrano è
dato al parlamento, non al re; il parlamento rappresenta meglio i veri bisogni e le
esigenze di coloro che abitano nello “stato di natura” nella società.

LIBRO QUARTO, della conoscenza e della probabilità: (la


conoscenza è una concatenazione di idee più o meno certa; 4 modi di conoscere
attraverso le idee; la fisica non è una scienza certa, è solo probabile; le conoscenze
certe sono conoscenze solo di carattere intellettuale; 3 tipi di conoscenza -sensibile,
Intuitiva, dimostrativa-)
L’oggetto del quarto libro è la conoscenza considerata nel suo fondamento, nella sua
estensione e nei suoi gradi.
La conoscenza consiste nella concatenazione tra le idee, che a sua volta può essere
più o meno certa. Ci sono concatenazioni certe e altre probabili.
La conoscenza che si può acquisire si ottiene con l’indagare la concordanza o
discordanza tra le idee, la loro concatenazione.
La concordanza o discordanza può essere di 4 modi
 Identità (tutte le idee concordano con se stesse e discordano con le altre)
 Relazione (vengono confrontate idee diverse qualsiasi)
 Coesistenza o non coesistenza (certe idee coesistono o non coesistono in uno
stesso soggetto -oro: comprende malleabilità, giallo, peso solubilità ecc.-)
 Corrispondenza, attestazione di esistenza reale (si attesta l’esistenza di
un’idea)

Per stabilire la certezza di una concatenazione devo indagare la relazione tra le idee.
Questo montaggio della conoscenza è affidabile o no? Questo è oggetto di
discussione dell’ultimo capitolo.
Che cos’è che ci fa dire che una conoscenza è vera o falsa? Noi riflettiamo sempre sul
rapporto, sulla percezione intellettuale rispetto a una certa connessione tra due
sensazioni o tra due idee complesse: conoscere significa costruire ordini di relazioni.
La conoscenza è costruire ordini di relazioni: quando dico che la somma degli
angoli interni del triangolo è la somma di due angoli retti sto mettendo in relazione
due cose, sto facendo una relazione. Devo stabilire poi se questa relazione mi appare
come soddisfacente.
Il primo grado della certezza è sempre l’intuizione.

Le tre forme fondamentali attraverso le quali il soggetto produce pensiero:


 Conoscenza intuitiva (percepisce l’accordo o il disaccordo fra due idee
immediatamente per se stesse)
 Conoscenza dimostrativa (dimostra le verità attraverso idee intermedie, alla
fine c’è la conoscenza intuitiva che dà certezza a questa dimostrativa
 Conoscenza sensibile (percezione di oggetti esterni particolari, coscienza
dell’ingresso in noi delle idee che vengono da questi)
Sono tutte e tre limitate e non si estendono a tutte le nostre idee
Dobbiamo limitarci in molte cose alla fede e alla probabilità.

La probabilità (è una verità che si costruisce con il tempo, sulle condizioni


presenti, basato sulla fede e sul principio di autorità)

La probabilità è un grado di affidabilità che non comprende né l’intuizione né la


conoscenza razionale, è quella conoscenza per “sentito dire”, seguendo l’autorità.
Seguo i dogmi della fede semplicemente perché ci credo, e credo altre cose solo
perché l’esperienza si ripete (ad esempio quando applico una formula senza
spiegarla).
La probabilità non è la certezza, non è un sapere che so che non muterà, ma è una
verità che si costruisce sul tempo, sulle condizioni presenti.
Ciò che mi fa credere è estraneo alla cosa che credo.

Come stabilisco una cosa quando non la stabilisco intellettualmente? Lo faccio per
esperienza obbedendo al sapere fisico, o per la fede: in entrambi i casi ho solo un
sapere probabile che non si basa su ragionamenti logici e deduzioni.
Io stabilisco il principio di autorità attraverso il numero, l’integrità, l’abilità del
testimone, l’intenzione dell’autore, la coerenza fra le parti e la circostanza delle
relazioni, le testimonianze contrarie. Sono tutti elementi però che costituiscono un
sapere solo probabile, non certo.

Fisica (si basa su qualità secondarie, non è un sapere certo, è più probabile ci
siano errori, l’identità è sempre intuita):
Nel quarto libro prende in considerazione le discipline e annovera la fisica tra i
saperi probabili, non certi. Il sapere fisico, come quello teologico, viene annoverato
tra quelli incerti.
La fisica non è un sapere certo come la geometria o la morale, non è un sapere che
costruisce connessioni certe tra le proprie parti. Si basa tutto sull’esperienza e sul
dato percepito, sulle qualità secondarie. Vedo il mondo, ho dei dati d’esperienza che
vengono montati nella conoscenza stabilendo delle connessioni necessarie, delle
esistenze, delle identità o relazioni: non posso stabilire con certezza se quello che
percepisco abbia una esistenza fuori di me.
Io vedo l’oro giallo ma non riesco a dire perché sia così.
La sensibilità ci dice che esiste un mondo naturale, ma la sensibilità non offre uno
sguardo chiaro.

L’identità è sempre qualcosa di intuito; quando noi dobbiamo stabilire la proprietà di


un corpo allora sorgono dubbi. Quando mi interfaccio alle proprietà secondarie e alla
definizione dell’idea allora arriva l’errore.
Non riesco a capire perché quello stare insieme sia così: non so perché la materia
pensa, non so perché io veda così la natura.
È vero il magnetismo, ma non se a questa certezza logica corrisponda un
fenomeno.

Io non riesco a stabilire la connessione tra il pensiero e la cosa, tra la qualità


secondaria (come affiora la cosa e come viene elaborata dal pensiero) e la qualità
primaria (la materia stessa): il sapere fisico non è completamente certo, anche se non
è un’opinione. Non ci è certo che quello che sia vero nel pensiero lo sia anche nella
cosa.

Nei saperi certi la connessione tra le cose è tutta di carattere intellettuale, non mediata
dalla sensibilità (un giorno potremmo vedere un ferro non attratto da un magnete,
mentre non può mai essere che la somma degli angoli interni del triangolo non sia
180°).
Sono elaborazioni dell’esperienza che giungono a una conoscenza certa: ma partono
comunque dall’esperienza. Noi non abbiamo innata l’idea di triangolo: attraverso
l’esperienza ci facciamo l’idea del triangolo e poi noi elaboriamo questa idea in modo
da farci una conoscenza certa.

Dalla sensibilità recepiamo le idee semplici, vengono montate in idee complesse


dall’intelletto (modo, sostanza o relazione), di queste idee alcune le vediamo come
certe, altre come dubbie, probabili, ma solo attraverso l’intuizione dell’intelletto. C’è
un fondamento della verità che è di carattere intuitivo.

Mercoledì 17/11/2021
Idea di sostanza (importante, approfondire) (l’idea alla quale diamo il nome di
sostanza è quella da cui non possiamo prescindere e che fa da sostrato alle mie
rappresentazioni; noi non conosciamo le sostanze, ma dobbiamo ipotizzarne la
presenza, Locke non nega la loro esistenza)
Tradizione:
Nella Metafisica di Aristotele la sostanza è definita come ciò che l’essere era.
L’accidente è ciò che definisce la cosa in modo temporaneo, la sostanza descrive ciò
che rimane.
La sostanza è ciò che sta sotto, che rimane invariato, è il substrato.
Platone invece aveva convogliato gli elementi veri nelle idee, in elementi che
trascendono la realtà empirica.
Il termine sostanza è decisivo nella riflessione cartesiana; Cartesio distingue
l’esistenza di tre sostanze: la realtà è composta di queste 3 sostanze ontologiche che
non si sovrappongono (sono pensiero, estensione e Dio).

La definizione di Cartesio non si allontana da quella di Aristotele: la sostanza è


realmente il soggetto del quale noi concepiamo gli attributi e le proprietà, si
manifesta alla nostra conoscenza come attributo o come proprietà. La res cogitans è il
soggetto sostanziale che sta sotto ogni pensiero particolare. Le idee sono
manifestazioni, accidenti, proprietà, attributi, di ciò che sta sotto essi che è la
sostanza.

Anche Spinoza distingue tra sostanza, attributo e modo: l’attributo è ciò che noi
percepiamo della sostanza, è la forma della sostanza; il modo è la determinazione che
la sostanza ha nel momento in cui si presenta secondo un grado di esistenza naturale.
La sostanza è il riferimento ultimo di quello che ci appare nella percezione.
Rispetto a questi schemi la proposta lockiana non si discosta di molto; la sua
definizione almeno apparentemente è in continuità con la tradizione. Definisce la
sostanza come sostrato.
L’idea alla quale diamo nome di sostanza non è altro che il sostegno delle cose
che non possiamo immaginare senza alcun sostegno.

Cartesio, Spinoza, Locke… prendono la stessa categoria concettuale, la stessa idea


della tradizione aristotelica, e dietro a questa idea costruiscono una visione della
natura e una epistemologia profondamente diversa. Spinoza usa la definizione di
sostanza per presentare una teoria filosofica che spieghi il rapporto tra finito e infinito
(la sostanza è la possibilità di rintracciare il divino nella realtà naturale, bisogna
produrre un’idea di natura che subisce una sorta di spiritualizzazione); usa l’idea di
sostanza per esprimere il rapporto tra gli attributi: le cose natura non si dànno solo in
sé ma anche per sé, la natura è vivente, si lascia conoscere.
Cartesio quando usa il termine sostanza sostiene che tutto ciò che è natura, realtà, o è
pensiero o è res extensa: costruisce un modello metafisico per legittimare la
rappresentazione geometrico-matematica della natura.
In Locke la sostanza è il posizionamento di una critica alla conoscibilità della
sostanza: noi non conosciamo le sostanze, ma ne presupponiamo l’esistenza.
Facciamo solo un’esperienza intellettuale della sostanza: dobbiamo ipotizzarla per
poter dare ordine.

Locke non mette in discussione l’esistenza delle sostanze, ma nega solo che siano
conoscibili.

La certezza è la qualità della nostra conoscenza, è il risultato di come noi otteniamo


la conoscenza. Al contrario di Cartesio non c’è la cornice metafisica: per Locke ciò
che è certo nel pensiero è solo molto probabilmente vero in natura, noi siamo certi
solo che sia certo nel pensiero.
Locke parte dalla sensibilità, da una tabula rasa che si attiva sulla sensibilità e ha la
certezza della conoscenza sulla ricezione dell’oggetto sensibile.
Possiamo dire che i risultati dell’elaborazione concettuale sono veri anche nella realtà
solo attraverso la fede, non siamo certi in noi stessi.

ERRORE: (l’errore nasce dalla complessità, da assemblaggi sbagliati e arbitrari di


idee;
L’errore nasce da due momenti: quando sbagliamo un giudizio o quando nella
conoscenza razionale montiamo più intuizioni. I saperi complessi sono insiemi di
intuizioni e qui si può introdurre l’errore.
L’uomo non può darsi una certezza maggiore che quella del conoscere.
I principi che fondano la conoscenza razionale sono principi veri intuitivamente, la
loro verità si disvela immediatamente all’intelletto.
Dall’intuizione si passa alla conoscenza razionale, che è un sapere complesso dove
vengono messi in relazioni intuizioni diverse. La razionalità è una conoscenza
mediata, nel rapporto tra le idee.
L’errore può essere dove deduco arbitrariamente o assemblo male le idee (tutti
gli uomini hanno la barba, è sbagliata).

La ragione è il comporre una molteplicità di intuizioni.


Ogni conoscenza è o intuizione e ragione, o opinione e fede.

La sensazione, come la conoscenza razionale, è una conoscenza alla quale possiamo


conferire un certo grado di certezza.
Giovedì 18/11/2021
La conoscenza è sempre connessione di idee (di 4 tipi).

I modi della conoscenza (sono 3) sono i modi con cui verifico questo tipo di
conoscenza.

La certezza come corrispondenza (siamo dotati di una evidenza che ci pone al di


là del dubbio, supera Cartesio che usa l’ipotesi del sogno;

Questo problema viene indagato da Locke in 4 ambiti: certezza della sensibilità


(corrispondenza dei sensi), certezza della scienza fisica, certezza della scienza morale
e come si definisce la conoscenza probabile (opinione).

Locke si confronta con la posizione cartesiana del sogno: è intuitivamente evidente


che io mi trovo in una realtà che non è sogno. Siamo forniti di una evidenza che ci
pone al di là del dubbio.
La distinzione della sensazione è intuitivamente vera rispetto al pensiero e al sogno.
Critica chi sostiene che il sogno può produrre idee senza l’oggetto. Dal punto di vista
razionale non ci sono elementi di scarto, ma intuitivamente sappiamo sempre quando
stiamo sognando e quando no.

Non possiamo avere una conoscenza che va al di là delle idee che abbiamo. Riparte
dalla connessione tra le idee.

Nel paragrafo sesto Locke affronta il tema del sapere fisico: non possiamo stabilire
con certezza se la materia pensa o non pensa; c’è uno scarto tra la connessione delle
idee e la materia stessa (c’è un divario incolmabile tra l’esperienza del nostro
pensiero e le cose). Nella conoscenza non abbiamo mai una perfetta visione della
realtà (come per il fatto che non possiamo dimostrare che la materia non pensa).
Non sappiamo bene come il mondo esterno si rifletta nel pensiero, c’è caso che la
materia stessa pensi. Non sappiamo in che cosa consista il pensiero.
Ci sono ipotesi che non possiamo affermare e negare.

Morale (è una conoscenza certa, perché parla di leggi e azioni prodotte dall’uomo,
ha un carattere deduttivo; la morale opera per relazione):
La morale è una conoscenza certa, sicuramente certa. Non ha il problema di
corrispondenza della fisica. È una conoscenza certa perché ci parla di leggi e azioni
che sono prodotte dall’uomo; la morale ha un carattere deduttivo.
Qui è il rapporto di relazione che è importante. Il carattere della morale è di relazione,
e connette leggi e opere che sono opere del soggetto.
La morale è tutta dentro l’esperienza, è sempre la codificazione di una legge.

Il carattere della conoscenza lockiana è diversa da quella hobbesiana. Qual è il


risultato della conoscenza.?

Che utilità ha questo sapere? Ma se io non so se queste connessioni sono “in re”, a
cosa mi serve sapere tutte queste connessioni? Si riferisce infine a Dio.
Rievoca tutti i casi cartesiani.
L’ipotesi evocata è quella del genio maligno (se tutto è dentro la conoscenza, chi mi
dice che non mi stia ingannando? Chi mi garantisce la corrispondenza?); risponde che
se fosse così i ragionamenti più seri sarebbero solo fantasie di un pazzo.
Il grado di verità a cui Locke vuole aspirare è andare semplicemente un po’ oltre
l’immaginazione: se abbiamo uno strumento così efficace, dovrà pur avere una sua
funzione, una sua efficacia.
Dio non ci inganna, ci garantisce l’esperienza. Dio ci ha dato lo strumento della
conoscenza.

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