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György Lukács

Lukács partirà dal rapporto tra Hegel e Marx e tenterà di fornire una interpretazione
di Marx che lui definisce l’unica vera interpretazione ortodossa da Marx, utilizzando
il termine ortodosso negativamente.

Lukács vuole interpretare in modo autentico il pensiero di Marx; l’unica ortodossia


dotata di senso su Marx è l’ortodossia del metodo dialettico.

L’acquisizione materialistica della dialettica in Marx è compresa in modo errato, la


dialettica deve essere compresa come metodo di comprensione storica. Il metodo è la
dialettica nel senso tra soggetto e oggetto, non come gioco di categorie.

Lukács recupera la dialettica hegeliana soprattutto per quanto riguarda il concetto di


totalità. Solo comprendendo la totalità possiamo comprenderne poi gli elementi
salienti.

Lukács nasce a Budapest nel 1885 ma questa città è impregnata di cultura tedesca.
Inizialmente non è attratto dal marxismo ma piuttosto dal neocriticismo kantiano.
Quando scoppia la Prima guerra mondiale, essa rappresenta una fase di sviluppo
importante; in questi anni scrive molti scritti e inizia ad avvicinarsi agli scritti di
Marx. Si iscrive al partito comunista ungherese anche dopo la rivoluzione bolscevica;
Lukács vede la fine della cultura occidentale nella Prima guerra mondiale. Nel
governo di Bela Kun Lukács partecipa attivamente al nuovo potere, come
commissario politico. Va in carcere e quando esce a Vienna riprende la sua attività
intellettuale e collabora in una rivista “comunismus”; gli articoli pubblicati verranno
raccolti e pubblicati nel 1923 in Storia e coscienza di classe. Scrive diversi saggi su
Marx, Rosa Luxemburg, sulla coscienza di classe, sulla reificazione della coscienza
del proletariato.

L’opera fu molto criticata da alcuni elementi dell’internazionale comunista con la


quale voleva entrare in contatto. Lukács stesso lo criticò nella prefazione del 1967. I
manoscritti di Marx vengono pubblicati nel 1932 e verranno letti da Lukács solo
successivamente a Storia e coscienza di classe.

Lukács propone una serie di tesi dal punto di vista dell’organizzazione politica
all’interno del partito comunista ungherese che gli costeranno ancora altre critiche da
parte dell’internazionale: dovette ritrattare alcune sue tesi. Lukács torna in Germania
ma con l’avvento del nazismo scappa e va a Mosca; comincia qui a lavorare sul libro
per revisionare Hegel.
Nella seconda metà del 900’ propone un’analisi della filosofia razionalista, nel
periodo più tardo rielabora la sua filosofia materialista in un’ontologia dell’essere
sociale: ridefinisce i problemi ontologici in una prospettiva sociale.

Storia e coscienza di classe:

Engels vivrà 10 anni più di Marx, e continuerà il lavoro della risistemazione delle
opere di Marx; Engels proseguirà anche i suoi studi sulla dialettica. Scrive un libro
intitolato “Dialettica della natura”; alcuni elementi di questo libro sono presenti anche
in altre opere.
Il lavoro di Engels, svolto in collaborazione con Marx, nella divisione dei compiti, ad
Engels tocca la dialettica. Anche la natura è sottoposta alle leggi del movimento che
Hegel ha mostrato e che Marx riprende per descrivere la natura. È l’essere che
determina la coscienza, non la coscienza che determina l’essere.
In Marx non c’è una teoria della conoscenza basata su questa teoria del
rispecchiamento. Ù
Questi elementi del pensiero di Marx vengono ripresi dalla seconda Internazionale
del 1889.
Karl Kautsky fu amico e segretario personale di Engels e venne considerato il
detentore dell’ortodossia marxista.
La seconda int. È la internazionale della social democrazia, la terza sarà quella
comunista.
Nella seconda int. c’è molto dibattito sull’organizzazione politica, sul superamento
del capitalismo (si studia il modo di produzione del capitalismo).
Gli scritti filosofici più importanti di Marx ed Engels non erano ancora stati
pubblicati. La legge dell’evoluzione storica era intesa sulla scorta di altre filosofie
dell’evoluzionismo come il positivismo. La dialettica appare come un orpello inutile:
Kautsky definisce come il lato oscuro, infido, del marxismo, antiscientifico.

Edward Bernstein, protagonista della seconda internazionale è considerato l’autore


del revisionismo di Marx; il revisionismo dice che il capitalismo si assesta, le tesi che
prospettano una crisi del sistema non sembrano attendibili, Il capitalismo riesce a
produrre e redistribuire la ricchezza, sta in equilibrio. Occorre lavorare a un
programma sociale in grado di produrre una serie di riforme: l’obbiettivo del
comunismo deve essere quello del miglioramento progressivo della condizione del
proletariato rinunciando alla teoria della rivoluzione violenta.
Bernstein è influenzato dagli ambienti neokantiani e rifiuta Hegel in toto; all’oscurità
di Hegel occorre opporre la teoria della conoscenza e della storia di Kant. Il
marxismo in realtà non è prodotto necessario di un divenire storico, ma il socialismo
può essere solo un dover essere, una sorta di modello. Bernstein viene criticato da
Kautsky e da tutti gli altri teorici della socialdemocrazia tedesca, tra cui spicca Rosa
Luxemburg. Tutto il marxismo della seconda internazionale critica Bernstein. È un
dibattito poco teorico e filosofico; è più una questione di organizzazione. La
tradizione del revisionismo ha la sua origine e sviluppo in Austria.

Gli anni della terza internazionale non cambiano le cose, c’è sempre uno scontro
tra ortodossi rivoluzionari e revisionisti riformisti. Kautsky, dopo lo scoppio della
rivoluzione bolscevica, assume una posizione più morbida, antirivoluzionaria,
riformista. Lenin definirà Kautsky “il rinnegato” perché assumerà posizioni più
riformiste. C’è poca filosofia e molta teoria dell’organizzazione politica ed
economica. Lenin nel 1909 pubblicherà un testo dove non va oltre la teoria della
conoscenza del rispecchiamento di Engels: va contro tutte le teorie idealiste, dicendo
che l’essere determina la coscienza, la coscienza conosce l’essere per come è. Lenin
produrrà una sorta di autocritica dove riconsidererà la dialettica come metodo di
relazione tra soggetto e oggetto: non basta una teoria del rispecchiamento.

Kant è un antimetafisico, ci ha fornito un dover essere. Il socialismo è il dover essere


kantiano. Gli ortodossi recuperano la dialettica come strumento di interpretazione
della filosofia della natura, mentre.

Lukács scrive un saggio nel 1919 intitolato “Ricerca sul marxismo ortodosso”

La ricerca sul marxismo ortodosso non è un commento alla verità rivelata di Marx e
di Engels. Non vengono riproposti i passaggi come se fossero la verità rivelata. Ogni
marxista ortodosso serio deve accettare i nuovi risultati, essere ortodossi non significa
rifiutare di revisionare Hegel su alcuni punti dove potrebbe aver sbagliato; essere
ortodossi non significa un atto di fede. Il libro di Marx non è un libro sacro. Essere
ortodossi non significa rinunciare all’idea di revisionare Marx visti i nuovi risultati
della ricerca. Il marxismo della seconda internazionale al contrario è ortodosso e
vuole ricercare cosa veramente ha detto Marx.

L’ortodossia autentica si interroga sul metodo di Marx, non sull’opinione di Marx


attorno ad alcuni argomenti.
Il metodo di Marx è il metodo dialettico. Il marxismo è una teoria che consiste in un
metodo, che è la dialettica.
Se il metodo è la dialettica, come va inteso?

Lukács critica l’Engels dell’antiduhring, cioè un momento importante della


canonizzazione del metodo dialettico come metodo di interpretazione della filosofia
della natura. Engels non tematizza la centralità del metodo dialettico, per Lukács, ma
lo fa solo per quanto riguarda la filosofia della natura. La dialettica ci consente di
comprendere il divenire della natura (Engels la oppone alla vecchia metafisica) e la
definisce come superamento delle contraddizione, come evidenziatrice del fluire della
realtà. Nei rapporti naturali c’è la fluidità del rapporto di causa ed effetto. Manca il
rapporto tra soggetto e oggetto nel percorso storico non viene neanche posto, è questo
l’elemento più importante. La dialettica rimane in Engels uno strumento per
interpretare la realtà, un elemento di contemplazione. Non viene tematizzata
l’interazione tra soggetto e oggetto: solo se leggo la dialettica come metodo autentico
di trasformazione. La dialettica ha come fine la trasformazione della realtà.
Il problema della realtà del pensiero isolato dalla realtà è un problema scolastico,
astratto. L’insegnamento della dialettica è quello della trasformazione della realtà.
Engels seguendo il falso esempio di Hegel estende il metodo dialettico oltre la realtà
storico sociale alla filosofia della natura. Nell’applicazione delle categorie dialettiche
separo oggetto e soggetto, ma la dialettica ci aveva insegnato che l’oggetto è il
prodotto dell’attività del soggetto, dell’uomo, e quindi è storicamente determinato.
Lukács dice che Engels sta tornando alla vecchia teoria del rispecchiamento. La
dialettica deve mostrarci l’oggetto come frutto della prassi soggettiva, quindi deve
mostrarci gli oggetti che sono frutto dell’evoluzione storico sociale non deve essere
applicata alla natura.
L’obiezione contro il metodo dialettica apre la strada ai revisionisti come Bernstein
che critica completamente la dialettica e vuole recuperare Kant contro Hegel.

Lukács dice che quando si rinuncia completamente alla dialettica dicendo che è un
laccio metafisico si fa la fine di Bernstein, cioè si diventa revisionisti. Solo il metodo
dialettico applicato alla realtà storico sociale mi mostra che esiste una relazione tra
soggetto e oggetto: attraverso la dialettica giungo a una teoria della rivoluzione di
trasformazione della realtà. Bernstein rinuncia alla rivoluzione perché rinuncia alla
dialettica. I revisionisti sono definiti “opportunisti”: hanno fondato una teoria dello
sviluppo fondato solo sulle riforme.
Non dobbiamo rinunciare però al piano speculativo del metodo dialettico; questo
metodo ha anche un portato che si attesta solo sul terreno speculativo. La dialettica è
il metodo di superare ogni ingenuo empirismo.
La dialettica oltrepassa le ingenue acquisizioni dell’empirismo.

Dietro i fatti bruti si nasconde un essenza più profonda sul piano concettuale. Contro
il positivismo la dialettica ci mostra che non esistono fatti bruti, ma questi sono
sempre interpretati secondo categorie astratte, cioè gli si interpreta seconda la teoria
della totalità: ciascun fatto non è isolato ma è inserito in una relazione con altri fatti.
Io posso comprendere un fatto particolare solo comprendendo la totalità completa
nella quale il fatto è inserito.
La realtà è la totalità, solo attraverso la totalità comprendo i singoli fatti. Qui c’è
molto Hegel. La dialettica è il metodo di conoscenza storico sociale che Marx ha
usato per comprendere i singoli fatti come momenti di una totalità concreta.

Si parte dall’astratto, dalla totalità, perché solo l’elemento della totalità ci consente di
comprendere i fatti nella loro articolazione.

20/04/2022
La domanda che Lukács si pone trova una domanda che trova risposta nelle prime
pagine del saggio di carattere metodologico.
Se siamo alla ricerca di un’ortodossia per il marxismo questa ortodossia deve
interessare solo il piano metodologico.
Lukács è un uomo di prassi che partecipa anche all’avventura sovietica in Ungheria,
guarda a Lenin, all’Unione sovietica, come esempio della rivoluzione proposta da
Marx. D’altra parte, Lukács si oppone all’ortodossia in quanto secondo lui ha dei
limiti metodologici. Il limite è l’uso errato e dannoso della dialettica: questa viene
estesa alla filosofia della natura e così facendo si demolisce la sua potenza. Solo
applicata al piano storico, sociale la dialettica esprime tutta la sua potenza. Lukács
critica Engels che pretende di superare anche la scienza borghese, intellettualistica,
che studia la natura. Il primo limite di questa applicazione è un tornare indietro ad
Hegel che applicava la dialettica come strumento per comprendere l’intera realtà,
Marx invece rovescia la dialettica e la applica allo studio della società e alla storia; il
secondo limite è limitare la dialettica solo sul piano della conoscenza, togliendone il
potere rivoluzionario. Le determinazioni fondamentali della dialettica sono
l’interazione tra soggetto e oggetto, l’unità di teoria e praxis, la modificazione storica
del sostrato delle categorie come base della loro modificazione nel pensiero. La
coscienza è il riflesso soggettivo di determinate condizioni oggettive.

Non ci si può liberare della dialettica considerandola come inutile orpello, inutile
complicazione propria di una metafisica idealista. Il concreto dal punto di vista di
Marx non è una realtà che possa essere raggiunta in modo immediato, ma è frutto di
una molteplicità di determinazioni: non esiste un concreto se prima non è mediato da
un astratto.
Occorre partire dall’astratto, dalle categorie. È inutile affidarsi a un ingenuo
empirismo o a un materialismo antidialettico. I neokantiani si liberano di Hegel e
dicono che la storia non può essere interpretato secondo metodi dialettici: occorre
procedere alla riorganizzazione politica del passaggio al comunismo che dovrà
raffigurarsi come un dover essere, una propensione pacifica di carattere morale.
Posso ritenere che il tutto sia qualitativamente diverso dalla somma delle sue parti,
sia una totalità organica e concreta che a sua volta determina le parti. La totalità
concreta funziona come il corpo.

Categoria di totalità:
Fino ad ora le categorie dialettiche sono utilizzate come strumento di comprensione
della realtà organica. La dialettica è un metodo della conoscenza ma non è solo
esclusivamente un metodo di conoscenza.

Il punto di vista empirista, ingenuo, immediatistico, ti dice che la dialettica è un


inutile strumento; in verità la concezione della dialettica che comprende la realtà mi
fa cogliere la complessità delle mediazioni della realtà. Le categorie sono l’unico
modo per cogliere la realtà e riprodurla nel pensiero. Il metodo della totalità concreta
è un metodo corretto in quanto è applicato al sostrato reale che è la società capitalista,
che è il teatro di un antagonismo tra forze produttive e rapporti di produzione. Se non
ci si mette dal punto di vista della totalità e si guarda la contraddizione come fatto da
superare, invece dal punto di vista della totalità la contraddizione si rivela necessaria
come fondamento di questo modo di produzione.

Lukács dice: noi possiamo applicare il metodo della totalità concreta laddove Marx ci
ha mostrato che il capitale è contraddizione in atto (per un verso è destinato dalla
sua natura a proseguire nella sua autovalutazione e dall’altro mette in atto una serie di
tendenze, come l’accumulazione del capitale costante, che porteranno al crollo della
legge del valore e alla fine del sistema).
Il riferimento al marxismo volgare è un riferimento al marxismo che allontana la
dialettica, il marxismo che propone il matrimonio tra Kant e Marx.

La dialettica è il metodo di conoscenza della scienza storica e della scienza sociale.


Solo la dialettica a partire dalla categoria di totalità si mostra come le singole parti
siano parti di un sistema organico che dà senso alle parte. La dialettica ci fa
comprendere l’unitarietà dei processi.

CI sono i fenomeni per come si manifestano superficialmente, fuori dalla totalità


concreta, mentre la dialettica comprende l’essenza delle cose.
La dialettica mostra il punto di vista della totalità e mostra il divario tra
l’immediatezza della percezione, del fenomeno e la concretezza della realtà.
Il senso comune crede che le merci abbiano valore dalla loro composizione fisica,
mentre il metodo dialettico svela l’arcano che sta dietro l’apparenza sensibile. La
realtà è formata da contraddizioni che rivelano la concretezza della realtà come ha
mostrato Hegel.
La vicenda singola si comprendere a partire da uno sguardo complesso.
È un conflitto tra punti di vista, non è casuale. Non ci può essere un confronto tra
punti di vista: Lukács dirà che questi punti di vista sono irriducibili l’uno all’altro. Il
punto di vista della totalità è il punto di vista del proletariato, mentre il punto di vista
del fatto particolare è quello della borghesia.
La scienza borghese deve partire dal punto di vista della particolarità perché se
partisse dalla totalità scoprirebbe che il soggetto della storia è il proletariato; la
coscienza di classe borghese non può rinunciare al punto di vista della non totalità
perché altrimenti scoprirebbe, nell’analisi che anche Marx ha compiuto, il carattere
transeunte della sua formazione sociale.
Io posso cogliere un evento in modo corretto a partire dalla sua singolarità, ma non
arrivo alla sua realtà effettiva, alla funzione reale che quell’oggetto svolge nel
percorso storico.

Un elemento che oltre alla totalità offre scientificità alla dialettica è il rapporto tra
realtà e apparenza. Qualcosa considerato nella sua immediatezza potrebbe rivelarsi
solo come apparenza e quindi ci porta verso la realtà concreta. L’apparenza feticistica
(per Marx è la merce che sembra avere un valore in sé, naturale) ha un valore
occultante: non cela solo il carattere storico, la storicità determinata propria della
merce, ovvero il lavoro umano astratto, ma il carattere occultante dell’apparenza
feticistica diventa possibile in quanto tutte le forme dell’oggettualità, le categorie
economiche, occultano il loro rapporto con l’uomo, appare solo come rapporto tra
cose. I rapporti tra gli essere umani sono rapporti mediati dalle merci e questi fanno
apparire che le merci abbiano un valore in sé. Il metodo dialettico deve lacerare il
velo che ci mostra il rapporto umano come astorico, immobile, e deve lacerare l’idea
che la verità delle categorie riposi nella cosalità. Che le categorie siano il frutto del
riconoscimento di qualità che appartengono alle cose.
L’unico metodo che mostra che le cose sono il prodotto di un soggetto che lavora è la
dialettica.

Il nervo hegeliano che resta ancora scoperto è il fatto che la dialettica è un metodo di
conoscenza della realtà: resta un elemento di separatezza. La specificità di Marx
rispetto a Hegel è il fatto che la dialettica ha un sostrato e che la dialettica introduce
al tema della prassi. Marx si confronta fino a raggiungere all’autocomprensione di sé
dove dice che si separa da diversi autori che viene maturata dal confronto con diversi
autori, partendo da Hegel, poi Feuerbach ecc. Marx si confronta con un movimento
regressivo dell’hegelismo.
Assume il metodo avanzato della dialettica per comprendere la realtà. Il limite del
materialismo è che la realtà è intesa non come oggetto del lavoro umano, ma è mero
oggetto (Objeckt). Nelle tesi su Feuerbach riprende Hegel. L’oggetto è frutto
dell’oggettivazione del concetto, ma come prassi non come oggettivazione
dell’astratto, del pensiero.
Recuperando Hegel si distingue dai seguaci di Hegel e ha trasformato tuti i problemi
della storia e dell’uomo associato in problemi storici. Marx ha intuita anche
l’inadeguatezza di Hegel. Hegel non intravede le forze reali che muovono la storia,
rimane quella di Hegel una concezione astratta. Lukács dice che Hegel non poteva
cogliere la dinamica storica come Marx perché al tempo di Hegel non esiste una
società capitalistica matura (le teorie filosofiche e politiche sono frutto di un
determinato contesto storico-produttivo). Per Lukács, nonostante i suoi sforzi, Hegel
rimane nella dualità tra pensiero ed essere, materia e forma, nell’impostazione
platonico-kantiana.
Marx scopre le vere dinamiche e forze della storia.

Il materialismo storico riconosce adeguatamente che le teorie sorgono solo sullo


sfondo di determinati contesti oggettivi. Anche al materialismo storico si può
applicare la scoperta marxista materialista della storicità delle teorie. Il metodo
marxista ha un senso se non si limita a un canone di interpretazione della realtà, ma il
marxismo non è un metodo neutro ma è un prodotto della lotta di classe, il momento
teorico che serve per fondare e spingere in una direzione la lotta di classe. Lukács
attribuisce la radicalità di una teoria politica al marxismo. Impadronendosi di questo
metodo di interpretazione il proletariato ottiene una giustificazione, una spinta alla
consapevolezza, e avendo consapevolezza aumenta le sue possibilità rivoluzionarie.
Se il proletariato non conosce il suo ruolo nella totalità concreta ha molte meno
possibilità di realizzare la rivoluzione.
Il marxismo rende il proletariato consapevole delle proprie possibilità. I revisionisti
depotenziando l’aspetto dialettico del marxismo riducono le possibilità
dell’autocoscienza del proletariato; elidono la consapevolezza, la coscienza,
attraverso uno sterile dover essere.
La teoria si trasforma in potenza materiale non appena ha presa sulle masse.

21/04/2022

Il marxismo ha una posizione eminentemente storica, nasce nello sviluppo della


società capitalista. Marx ha illustrato che ogni teoria è storicamente determinata. Il
materialismo storico come conoscenza può sorgere quando si siano create le
condizioni formali oggettive per il suo sviluppo. La teoria del marxismo descrive una
struttura sociale, il proletariato, e può nascere solo all’altezza dello sviluppo della
stessa struttura sociale che descrive.
Il revisionismo opera il divorzio tra Marx e la dialettica, distruggendo la categoria
della totalità; non attribuisce il ruolo fondamentale al proletariato come fece Marx.
C’è solo un dover essere moralistico accompagnato da movimenti contingenti. Tutto
questo porta alla rinuncia della comprensione della totalità della totalità concreta.
Il revisionismo sostiene contro la teoria ortodossa che non è detto che il capitalismo
crolli perché il capitalismo contemporaneo reagisce alle sue crisi e va avanti.
Possiamo aspirare moralisticamente a un superamento delle condizioni della classe
operaia e intanto dobbiamo strutturare e organizzare la classe operaia all’interno della
società capitalista attraverso una serie di riforme. Tutto questo però è un irretimento
della potenza del proletariato.
Il capitale è autocontraddizione in movimento per Lukács: la contraddizione del
capitale non toglie che il processo possa essere più o meno lungo. Da un lato resta
convinto dell’impostazione dialettica e dello sviluppo delle condizioni di
superamento che poi i soggetti della storia devono realizzare. Il rapporto tra
soggettività e oggettività sarà diverso in Storia e coscienza di classe. Qui l’analisi
della totalità concreta si spinge di più verso il polo soggettivo rispetto a quello
oggettivo.

Lukács vuole individuare l’essenza pratica della teoria, quello della teoria e della
prassi è un problema. Il metodo dialettico è radicalmente compreso nella sua verità
quando diventa concretamente reale. Il fine è potenzialmente indicato in modo chiaro
e che questo fine possa essere concretamente raggiunto non dipende dall’arbitrio
umano, dalla volontà dello spirito umano: il fine è contenuto già nelle condizioni
materiali. La coscienza di classe è la conoscenza esatta della totalità concreta.

Storia e coscienza di classe: la falsa coscienza


Ciascuna classe sociale forma su di sé alcune idee illusorie: gli esseri umani non sono
generalmente consapevoli della derivazione materiale delle idee dalla struttura
materiale in cui sono inseriti. Come è possibile superare il problema della falsa
coscienza? Il materialismo storico ci insegna che in generale la coscienza è una falsa
coscienza. La coscienza degli individui è formata dalla loro posizione sociale. Dentro
la totalità concreta, al di là del fatto che le idee siano appropriate al ruolo che gli
individui occupano nella società, queste idee si trasformano in prassi. La coscienza
pur essendo falsa può diventare prassi e condizionare il processo storico.

Per comprendere le idee io devo ricondurle al loro momento generico: la struttura


della società. Le idee non albergano nel cielo astratto della teoria ma hanno una
genesi storico-sociale (come pensava Marx). Ciascun individuo non indaga la genesi
delle proprie idee. Noi possiamo intendere la coscienza sul terreno soggettivo: la
coscienza è una falsa coscienza. La vita soggettiva è anche una vita oggettiva: passa a
fianco del mondo oggettivo non cogliendone la profonda verità; tuttavia, che la
coscienza sia più o meno chiara a se stessa, è una forza storica. La coscienza della
Rivoluzione francese è una coscienza vera nel senso che è autenticamente posta come
tale, ma è falsa nella misura in cui gli individui costruiscono illusioni su di loro e
perseguono uguaglianza, libertà e fraternità solo su un piano formale, teorico. La
rivoluzione politica è una rivoluzione che non realizza l’universale (Marx), ma
contemporaneamente quella falsa coscienza agisce comunque nella storia come forza
effettiva.
La coscienza falsa è un prodotto quasi meccanico delle condizioni materiali che
l’hanno prodotta, ma questo non le è chiaro: questo non vuol dire che questa
coscienza non abbia degli scopi e per i quali non agisca. Questa duplice
determinazione dialettica della coscienza (la falsa coscienza, la dimensione
dell’arbitrio e la dimensione della concretezza) non può limitarsi alla descrizione di
ciò che gli uomini, sotto certe condizioni storiche, hanno di fatto pensato, sentito e
voluto. Dove occorre andare?

Il rapporto con la totalità concreta e le determinazioni dialettiche che ne conseguono


rimandano alla categoria della possibilità oggettiva. Non ci interessa la coscienza
come prodotto, come effetto, ma come possibilità attiva, come fonte di effetti che
hanno peso sul piano oggettivo, concreto. Nella misura in cui la coscienza viene
riferita all’intero della società, si riconoscono quelle idee, sentimenti, ecc. che gli
uomini avrebbero avuto in una determinata situazione di vita se fossero stati in grado
di cogliere questa situazione e gli interessi da essa emergenti. Tendenzialmente la
coscienza non è consapevole del suo carattere storicamente determinato: la coscienza
è una falsa coscienza tendenzialmente. La coscienza è anche forza oggettiva, pone
degli effetti.
La coscienza riferita all’intero della società guarda la totalità concreta nella quale è
inserita e comincia a diventare consapevole di sé. La teoria può scoprire che c’è la
falsa coscienza e i falsi sentimenti, ma ci sono una serie di idee e sentimenti che una
classe dovrebbe avere se fosse in grado di cogliere pienamente i suoi interessi. Le
idee adeguate alla condizione oggettiva del proletariato non sono le idee dei
revisionisti (del socialismo come dover essere morale). È possibile creare una
coscienza di classe consapevole della propria condizione e dei propri specifici
interessi in rapporto all’intero della società.
La formazione della coscienza di classe è un lavoro di educazione del proletariato, è
il prodotto di una mediazione.

Gli esseri umani tendenzialmente hanno una loro concezione del mondo: la coscienza
di classe non è la somma di queste concezioni, potrebbe essere anche raggiunta da un
solo individuo di una classe. C’è solo un criterio che definisce la coscienza di classe
ed è quello dell’adeguatezza di questa coscienza alla sua condizione oggettiva.
Non è un processo necessario che venga formata una coscienza adeguata; è un dover
essere perché questa coscienza non è data immediatisticamente; la realtà a volte ci
impedisce di vedere la realtà dei rapporti sociali.

22/04/2022

La coscienza di classe è il passaggio attraverso cui ci si emancipa dalla condizione


immediatistica e produce degli effetti anche non positivi. La falsa coscienza
raggiunge degli effetti che possono essere fallimentari rispetto ai propri interessi. La
coscienza non è la sommatoria di ciò che pensano gli individui, ma può essere
guadagnata soggettivamente; è la coscienza di come una classe si orienta nella prassi.
Solo superando la condizione immediatistica della falsa coscienza, si può maturare la
coscienza di classe; se non si raggiunge una classe partecipa alla prassi solo in modo
passivo.
Lukács fa un esempio del carattere oggettivo della falsa coscienza borghese. La
borghesia non può cogliere la consapevolezza che il dominio del capitale è transeunte
e che il capitalismo è contraddittorio. La classe borghese deve produrre
necessariamente una coscienza falsa, incapace di cogliere il punto di vista della
totalità. Nessuna classe può fare questo perché dovrebbe rinunciare al proprio
dominio. Il limite della coscienza di classe della borghesia ha un limite oggettivo,
perché se pensasse secondo la totalità non penserebbe secondo il proprio interesse.
Il contrasto tra coscienza di classe e interesse di classe sono in contrapposizione
anche nel caso della borghesia: il contrasto però non è contraddittorio, ma è
dialettico (oggettivo, necessario).

Il dominio della borghesia può essere anche un dominio della minoranza


nell’interesse della minoranza. La borghesia ha interesse che i propri interessi
diventino anche quelli del proletariato. Al contrario solo per il proletariato la verità, la
giusta comprensione dell’essenza della verità, porta al potere di prim’ordine.

Se è vero che è iniziata la crisi economica finale del marxismo, allora il destino della
rivoluzione, dell’umanità, dipende dalla maturità ideologica del proletariato, dalla
sua coscienza di classe.
Se il proletariato rinuncia alla dialettica per la comprensione della realtà, la lotta, il
materialismo storico, priva di dialettica diventa “ideologia”.

Reificazione della coscienza del proletariato:


I rapporti tra gli uomini, una volta che entra in gioco il valore che appare intrinseco
alle merci, diventano rapporti tra le cose; la cosificazione dei rapporti investe la
totalità dei rapporti. La vita spirituale nella sua interezza è oggettificata. Tutta la vita
umana è reificata nelle sue infinite articolazioni.
C’è una legalità autonoma, rigorosa, razionale, che appartiene alle cose. Il valore
delle cose è il loro rapporto con gli uomini, ma tutto ciò è velato da una oggettività
spettrale. Le merci sono cose morte, non esistono in natura, con la reificazione, con il
feticismo delle merci, i morti tornano in vita e diventano spettri. I rapporti tra le
persone diventano rapporti tra le cose. Il rapporto sociale assume valore in base a ciò
che scambiamo.
Il carattere falsificato della merce è quando viene colta come se avesse un valore in
sé: se vogliamo coglierla realmente dobbiamo coglierla come categoria universale
dell’essere social-totale.
Dobbiamo cogliere cioè la merce dal punto di vista astratto, dalla categoria
universale. Se non partiamo dall’universale partiamo dalla immediatezza della merce,
dalla concretezza; immediatamente la merce ci appare sul mercato, come dotata di un
valore, la colgo nel suo carattere feticistico, non possedendo le categorie universali
che mi permettono di comprenderla correttamente.
Hegel mi dà il metodo delle categorie, che poi io devo applicare all’essere sociale.
Se non parto dalla totalità, dall’universalità, dalle categorie astratte, dalla merce che
imemdiatamente si pone sul mercato (concepita astrattamente), queste merci
diventano una seconda natura. Solo cogliendo il carattere feticistico della merce io
posso liberarmene.
Posso essere dalla parte della reificazione, della seconda natura, per cui tutto ciò che
mi circonda è come la natura, come seconda natura avendo un valore in sé, oppure
posso avere consapevolezza della verità, mi tolgo dal punto di vista ingenuo
dell’immediatezza: mi tolgo l’obbiettivo di dominare la seconda natura, ma non mi
lascio condizionare.
Il proprio lavoro vi è reso oggettivo e mi domina mediante leggi autonome
(alienazione). Le leggi autonome funzionano in modo naturale, il mercato funziona
così perché oggettivamente si muove in un determinato modo.

La potenza della seconda natura finisce per dominare tutte le articolazioni della vita.

La teoria lukacciana della reificazione non è sovrapponibile al feticismo delle merci


in Marx, il processo di reificazione è un processo che ha investito l’intera dimensione
della vita spirituale, annientandola.
Solo la coscienza di classe può interrompere il dominio della seconda natura, delle
cose stesse. Dobbiamo interrompere l’illusione del feticismo delle merci. La
coscienza di classe è l’antefatto di una possibile trasformazione della realtà, perché la
coscienza ha anche una possibilità oggettiva di cambiare la realtà.
L’autocoscienza del proletariato è la coscienza oggettiva della realtà al contrario della
coscienza borghese, perché acquisisce il punto di vista della totalità concreta, sa che
le cose sono prodotte dal lavoro umano e le merci non hanno valore naturale in sé; sa
anche che il capitalismo è autocontraddizione in atto. La coscienza del proletariato
sostiene gli interessi del proletariato che a loro volta sono. Perseguire i fini della
coscienza del proletariato significa cosciente realizzazione dei fini dello sviluppo
oggettivo della società.
Senza la presa di coscienza io agisco comunque, ma in maniera disarticolata. I
membri di una classe sono condannati a rimanere nelle condizioni di possibilità. Il
capitale ha dei limiti oggettivi.
Se la reificazione diventa la regola dei rapporti sociali, se la realtà è immediata per
ogni uomo che vive nel capitalismo, come se ne esce? La soluzione deve essere una
tensione dissolutiva continua verso la struttura completamente reificata della realtà,
che si attua attraverso la presa di coscienza della reificazione. Non posso agire alla
cieca tanto per soddisfare una esigenza volontaristica di prassi, ma la prassi deve
essere guidata dalla teoria. La teoria si trasforma in prassi, in trasformazione del
mondo. La prassi non è rigetto della filosofia. La via è prendere consapevolezza e
mostrare che la dialettica oggettiva va in una direzione e io comprendendo questo
agisco in quella direzione.

Solo se fa questo la coscienza del proletariato si trasforma in coscienza del processo


stesso: il proletariato si presenta come soggetto oggetto identico della storia. Io sono
il soggetto della conoscenza e sono oggetto della conoscenza stessa. La
contraddizione c’è e affinché arrivi al suo superamento serve la prassi del
proletariato, la quale ha bisogno di una presa di coscienza adeguata.
Solo la coscienza di classe del proletariato possiede questa funzione trasformatrice.
Questo è il vero modo di agire realmente pratico.

C’è un modo di comportarsi che è irrealmente pratico?


La prassi sbagliata è quella orientata da una falsa coscienza; la liberazione può essere
attuata quando l’educatore stesso può essere educato. Lukács dice che solo la prassi
del proletariato può trasformare il mondo; l’educatore che deve essere educato
(riprende la terza tesi su Feuerbach). La dottrina materialistica della modificazione
delle circostanze: l’uomo è ciò che mangia, tutto ciò che è oggetto che ci circonda ci
determina e ci educa, la natura ci educa. Il materialismo classico però dimentica che
le circostanze che ci modificano non sono una natura immodificabile: l’essere umano
a sua volta modifica la realtà. Questo lato attivo è stato individuato da Hegel, ma solo
in modo astratto (l’attività che modifica è quella del pensiero). La realtà materiale è
modificata dagli esseri umani. La prassi può modificare le circostanze e per farlo
deve essere consapevole di sé.

Autocritica di Lukács:
Verso la fine degli anni 60’ Lukács compie un’autocritica, si rimprovera alcune cose:
Lukács rivede criticamente le sue tesi dove sosteneva che la dialettica doveva essere
limitata alla sfera storica-sociale, la natura rimane importante.
Escludendo la natura dalla dialettica si esclude l’applicazione dell’ontologia marxista.
Escludendo la natura dall’indagine si esclude di comprendere il rapporto organico di
scambio tra uomo e natura. Lukács era partito da Lenin che propone una teoria della
conoscenza che sottolinea la necessità che la coscienza debba essere introdotta. La
coscienza di classe può essere indotta. La vera coscienza, quella di diritto, appare
come un vero e proprio miracolo, non sono chiari i passaggi tra la falsa coscienza e la
vera coscienza, non è chiaro come quest’ultima si produca.
Storia e coscienza di classe viene riconosciuta infine come un’opera più hegeliana
che marxiana. Il sorgere della coscienza in Hegel è storico e filosofico, in Storia e
coscienza di classe è storico e sociale: Hegel sembra essere rimesso in piedi. Il
soggetto-oggetto che sa se stesso va molto al di là di un postulato metafisico?
L’autoconoscenza del proletariato può arrivare alla produzione di un’autocoscienza
trasparente a se stessa? Lukács darà una risposta negativa: ha tentato di dare
un’interpretazione materialistica dell’idea hegeliana del soggetto-oggetto che sa se
stesso. Lukács riconoscerà di essere stato più hegeliano di Hegel, nel suo tentativo di
superare Hegel in senso materialistico. Lukács è stato molto ardito, più di Hegel.

Lukács fonda la sua autocritica sul concetto di reificazione. Parte da Marx, sul
capitolo della reificazione delle merci. Cosa diventa disumanizzante ed estraniante
nel testo sulla reificazione? Gli oggetti stessi, il rapporto stesso con l’oggettività,
perché tutto è estraniato (Manoscritti economico filosofici di Marx). Il rapporto con le
cose in sé non è estraniante, è necessario, come l’oggettivazione. Hegel pretende che
il rapporto con l’oggettività sia estraniante in quanto tale: lo Spirito deve togliersi
dalla sua estraniazione nell’oggetto. L’estraniazione in Marx non è nel rapporto con
la cosalità, il rapporto con il mondo è nella natura umana: è estraniante quando c’è il
furto del prodotto del lavoro.
Anche in Storia e coscienza di classe, come in Hegel, l’estraniazione viene messa
sullo stesso piano dell’oggettivazione. Nell’oggettività invece noi realizziamo noi
stessi. L’oggettivazione non è da condannare in quanto tale, mentre l’estraniazione è
un certo tipo di oggettivazione che si realizza in condizioni particolari (questa
distinzione era già in Marx). Lukács assume un punto di vista hegeliano e non
marxiano.

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