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Marcello Mustè
La filosofia della prassi. Questo studio di Gentile era distruttivo nei confronti
della filosofia di Marx, eppure esercitò una discreta influenza nella storia del
marxismo italiano, a cominciare dai due scritti di Rodolfo Mondolfo su
Feuerbach e Marx del 1909. Anche la sua genesi è caratteristica. Nel gennaio
del 1898 Gentile aveva ricevuto in dono da Croce l’edizione italiana del ter-
zo saggio marxista di Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, che
in due luoghi indicava nella filosofia della praxis (adoperando per la prima
volta questa espressione) il «nocciolo» o il «midollo» del materialismo stori-
co. Gentile diede il massimo rilievo a tale indicazione, rendendo esplicite
due premesse che Labriola non aveva dichiarate. In primo luogo la relazione
tra la filosofia della praxis e la filosofia di Bertrando Spaventa, che proprio
in quei giorni Gentile cominciava a studiare sistematicamente per l’edizione
degli Scritti filosofici, che apparve nel 1900 per l’editore Morano con una
lunga e importante introduzione. In secondo luogo, Gentile collegò la filoso-
fia della praxis alle Tesi su Feuerbach del giovane Marx, proponendone la
prima (assai discutibile) traduzione italiana, nella versione (per altro non
coincidente con il manoscritto di Marx) che Engels aveva resa disponibile
nella «Neue Zeit» nel 1886, poi in appendice al Ludwig Feuerbach nel 1888.
Labriola, che aveva ricevuto le Tesi su Feuerbach in dono da Engels, non
aveva dato particolare rilievo a questo testo del giovane Marx. Gentile invece
lo considerò come l’alfa e l’omega del marxismo teorico, inaugurando una
tradizione di pensiero (da Mondolfo a Gramsci e oltre) che aveva al suo cen-
tro il concetto del «rovesciamento della prassi».
centro della sua riflessione. Dopo avere chiarito questo principio nelle due
lettere a Vilfredo Pareto del maggio e dell’ottobre del 1900, Croce si dedicò
all’elaborazione della sua estetica, che venne svolta dapprima nelle Tesi di
estetica del 1900, poi nella grande Estetica del 1902, dove per la prima volta
compariva il principio dell’intuizione e la tesi dell’identità di estetica e lin-
guistica. Insieme ai saggi di critica sulla letteratura della nuova Italia, che
vennero pubblicati nella «Critica» a partire dal 1903, i nuovi princìpi di este-
tica inaugurarono il periodo della maggiore collaborazione con Gentile e di
una profonda influenza sulla cultura italiana. Una influenza non sempre lim-
pida, di cui lo stesso Croce si accorse, specie quando, nel 1907, con l’articolo
Di un carattere della più recente letteratura italiana, segnò un severo punto
di confine, richiamando al «metodo storico o metodo filologico» nella lette-
ratura e arrivando a rifiutare con nettezza ogni tendenza irrazionale.
D’altronde, gli scritti sulla estetica e sulla critica letteraria erano stati pen-
sati e scritti da Croce, fra il 1900 e il 1904, quando sostanzialmente ignorava
la filosofia di Hegel. Come egli stesso chiarì nel Contributo alla critica di me
stesso (1915), fu solo nel 1905 che si immerse nello studio delle opere di
Hegel, con la traduzione della Enciclopedia delle scienze filosofiche e con il
libro su Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel, che uscì per
Laterza nello stesso 1906. Come Marx (attraverso la mediazione di Labriola)
aveva rappresentato il punto di avvio del loro pensiero, così il confronto con
Hegel significò, sia per Croce che per Gentile, il passaggio decisivo della ri-
spettiva evoluzione intellettuale. Nel caso di Croce, il confronto con Hegel e
la sua critica, modificò profondamente la struttura del sistema: la critica degli
aspetti «sistematici» dello hegelismo – la filosofia della storia, la filosofia
della natura, la filosofia dell’arte – lo portò a enucleare il centro speculativo
della sua filosofia, opponendo alla dialettica hegeliana, al suo «panlogismo»
(come scrisse), la realtà delle forme distinte: le categorie, insomma, portava-
no dentro di sé l’energia dialettica degli opposti, ma la dialettica, a differenza
di quanto aveva ritenuto Hegel, non poteva essere considerata la regola della
relazione reciproca tra le categorie stesse. Questa acquisizione cambiava la
stessa trama concettuale dell’Estetica, anche se Croce (pur introducendo im-
portanti quanto per lui faticose revisioni per la terza edizione dell’opera, che
apparve nel 1908) non ne avviò mai la riscrittura. Ma le novità, derivanti dal
confronto con Hegel, pesarono sui volumi successivi della Filosofia dello
spirito: sulla Logica, anzi tutto, dove Croce arrivò a cogliere nel giudizio in-
dividuale, storico e percettivo, cioè nella sintesi a priori di intuizione e con-
cetto, il supremo atto teoretico. Quindi sulla Filosofia della pratica, dove la
struttura della realtà era ripensata come un circolo del teoretico e del pratico,
come un presupporsi reciproco dell’azione e del conoscere, della prassi e del
giudizio. Fino al quarto volume della Filosofia dello spirito, cioè Teoria e
storia della storiografia, che precisava le tesi della contemporaneità di ogni
storia e dell’identità di filosofia e storiografia. Insomma il suo storicismo.
Lo stesso discorso deve ripetersi per Gentile. Anche qui, come era acca-
duto a proposito di Marx, le loro analisi si mossero in una direzione diversa,
anche se parallela e, dirò così, in costante conversazione reciproca. Fin
dall’articolo del 1909 sulle forme assolute dello spirito – arte, religione, filo-
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sofia – Gentile negò alla radice il concetto crociano della distinzione: come
aveva insegnato Hegel, ciascuna forma dello spirito arrivava a contraddirsi,
fino a mostrarsi, nella sfera conclusiva della filosofia, solo come un momen-
to dell’assoluto. Però il confronto con Hegel cominciò a prendere quota con
la costruzione dell’attualismo, cioè con la memoria del 1911 su L’atto del
pensare come atto puro e nel saggio del 1912 su La riforma della dialettica
hegeliana. Qui Gentile insisté sulla incapacità di Hegel di giustificare la de-
duzione trascendentale del determinato e, riprendendo la linea che era stata
di Kuno Fischer e di Bertrando Spaventa, arrivò a concepire la dialettica
nell’atto del pensare, nella perenne dialettica del concreto e dell’astratto,
dell’actus e dell’actum. Nessuna distinzione, dunque, e nessuna tetrade delle
categorie: ma infinite categorie, sempre sgorganti dall’energia originaria del
pensare. Era la linea del formalismo assoluto, che Gentile compirà nelle ope-
re teoretiche maggiori, dalla Teoria generale del 1916 alla seconda edizione
del Sistema di logica del 1922.
Da questi brevi cenni appare chiara la differenza di fondo tra le filosofie
di Croce e di Gentile. E questo spiega le tensioni che più volte si determina-
rono nel loro carteggio e nel corso del lavoro comune per la «Critica». E
inoltre le tensioni e le insofferenze che sorgevano, nei confronti di Croce,
nell’àmbito della prima scuola gentiliana. Ma soprattutto spiega come si ar-
rivò, nel 1913, alla prima polemica pubblica sulla «Voce» di Prezzolini, alla
controversia tra i «filosofi amici» a proposito dell’unità e delle distinzioni
dello spirito, con le accuse di misticismo e di positivismo empirico che allora
si scambiarono. Ma a questa pubblica discussione del 1913, se ne sovrappose
presto un’altra, che ebbe conseguenze più distruttive, quella sull’intervento
italiano nella grande guerra, che cominciò a rivelare in maniera sempre più
netta la diversa visione che essi avevano della storia d’Italia.
lenta di Gentile il 15 aprile 1944, e dalla reazione di Croce, che venne affida-
ta a una travagliata pagina dei suoi Taccuini di lavoro: una pagina drammati-
ca, che Croce scrisse in tre diverse versioni, e che solo ora conosciamo nella
sua genesi e nelle diverse varianti.
Il vero motivo della rottura fu dunque politico. Ma la diversa scelta poli-
tica, che entrambi maturarono tra il 1923 e il 1925, ebbe conseguenze di ri-
lievo anche sullo sviluppo delle loro filosofie. Come è noto, Gentile aderì al
Partito Nazionale Fascista, di cui accettò la tessera ad honorem, con una let-
tera a Mussolini del 31 maggio 1923, dopo l’esperienza come ministro della
Pubblica Istruzione e dopo avere dedicato allo stesso Mussolini, nel marzo, il
libro sui Profeti del Risorgimento italiano. Per tutti gli anni Venti, almeno
fino alla vicenda del concordato, acquistò nel regime una posizione di asso-
luto rilievo, come presidente della commissione dei quindici (poi allargata a
diciotto membri) per la riforma dello Statuto Albertino, come presidente
dell’Istituto nazionale fascista di cultura, come direttore scientifico della En-
ciclopedia Italiana. I motivi che lo avvicinarono al fascismo, e soprattutto
alla figura di Mussolini (a cui confermò la sua fedeltà ancora il 17 novembre
1943, nel drammatico incontro a Gardone Riviera, sul lago di Garda, quando
accettò la presidenza dell’Accademia d’Italia), – questi motivi non erano le-
gati alla struttura della sua filosofia, cioè dell’attualismo: erano legati, piutto-
sto, alla sua visione della storia d’Italia, in particolare del Risorgimento e del
post-Risorgimento. Non è un caso che molti di coloro che si erano formati
alla scuola dell’attualismo (come Giuseppe Lombardo Radice, Adolfo Omo-
deo, Guido Calogero) si trovarono subito dall’altra parte della barricata e fe-
cero una pronta scelta antifascista. L’attualismo non fu dunque (come pure
Croce ritenne) il motivo determinante della scelta fascista di Gentile. Però, a
partire dal 1923 (quando era già stata pubblicata la seconda edizione del Si-
stema di logica, e l’attualismo era ormai compiuto nelle linee fondamentali)
Gentile cercò in diverse maniere di trascrivere, per dire così, il suo attuali-
smo nella forma di una dottrina del fascismo. Come si vide non solo nel fa-
moso manifesto del 21 aprile 1925 degli intellettuali fascisti, ma poi anche
nella voce Fascismo del 1932 (scritta insieme a Mussolini) e in tanti altri
scritti di questi anni. Questo tentativo di trascrivere la filosofia
dell’attualismo in una dottrina del fascismo riuscì fino a un certo punto. Anzi,
negli sviluppi più importanti del suo pensiero, Gentile non mancò di manife-
stare novità autentiche: come si vide nella stessa Filosofia dell’arte, che, al
di là delle pagine polemiche, conteneva spunti nuovi sul tema del sentimen-
to; e come si vide, in maniera ancora più netta, nell’ultima sua opera, in Ge-
nesi e struttura della società, dove aspetti che provenivano dal fascismo e
dal corporativismo si univano a fermenti originali, che riguardavano la natu-
ra dell’individuo e il suo rapporto con la struttura sociale, fino alle pagine
conclusive sul tema della morte e dell’immortalità.
Lungo linee ovviamente diverse, lo stesso discorso dovrebbe essere ripe-
tuto per Croce. La scelta di opposizione al fascismo, che Croce compì dopo
un periodo di incertezze, che si prolungarono fra il 1922 e il 1924, comportò
novità sostanziali nella sua filosofia. Non solo per la composizione delle
grandi opere storiche – la Storia del regno di Napoli, la Storia dell’età ba-
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