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PD E, Via Tevere 54,1-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884673721-2
IN TR O D U ZIO N E
Analitici posteriori, in Id., Nuovi studi aristotelici, 4 voli., Morcelliana, Brescia 2004-
2010, IV/1, 239-254.
9 BERTI, Metafisica e dialettica nel Commento di Giacomo Zabarella, cit., 242.
10 AT IX/2: 14 (trad. it., R. DESCARTES, Principi della filosofia, in Id., Opere.
1637-1649, a cura di G. BELGIOIOSO, Bompiani, Milano 2009,2231).
11 J.-F. COURTINE, Suarez et le systèrne de la métaphysique, Presses Universitaires
de France, Paris 1990 (trad. it., Il sistema della metafisica. Tradizione aristotelica e svolta
di Suàrez, a cura di C. ESPOSITO, Vita e Pensiero, Milano 1999).
10 Sistemi filosofici moderni
25 «il sistema come complessità organizzata può essere riconosciuto per la pre
senza di interazioni forti, non lineari, e la sua totalità definisce un tipo logico superiore
rispetto alla relazione analisi-somma» (V. D e ANGELIS, La logica della complessità. Intro
duzione alle teorie dei sistemi, Bruno Mondadori, Milano 1996, 2); cf. il classico saggio
di L. VON BERTALANFFY, General System Theory. Foundations, Development, Applica
tions, Braziller, New York 1968 (trad. it., Teoria generale dei sistemi, a cura di E. BELLO
NE, Isedi, Milano 1971).
26 CHIEREGHIN, Rileggere la Scienza della logica di Hegel, cit., 17.
14 Sistemi filosofici moderni
YEtica di Spinoza, che è certo l’esempio che per primo salta alla mente
quando si pensa a un’opera filosofica dell’età moderna che non solo se
gue una metodologia altamente gerarchizzata, ma soprattutto elabora
una visione onnicomprensiva; poi anche le Meditazioni di Descartes, le
quali, sebbene non esplicitamente destinate a essere un sistema, tratta
no di «tutte le cose prime» in un rigoroso percorso analitico, nel quale
è illuminato ciascuno degli ambiti della filosofia cartesiana (Dio, uomo,
mondo); e anche il Saggio di Locke, che propone un’indagine filosofica
integrale dell’intelligenza umana e di tutto ciò che, di conseguenza, ca
de sotto la sua lente; nonché il Trattato di Hume, che pretende di com
prendere l’orizzonte dell’esperienza, indagando scientificamente la na
tura umana sotto ogni suo aspetto (cognitivo, passionale, sociale).
Dopo aver analizzato questi quattro sistemi filosofici moderni,
ho ritenuto di dover quantomeno aprire lo sguardo verso il rapporto
sussistente tra la filosofia critica e l’idea di sistema in Kant. Per fare
ciò, ho scelto di analizzare la Prefazione alla seconda edizione della
Critica della ragion pura, giacché quel testo - scritto quando oramai la
Critica della ragion pratica era stata redatta - non solo ci consente di
afferrare alcuni degli elementi basilari della filosofia critica, ma anche
di cogliere la difficoltà in cui Kant viene a trovarsi, nel dover ulterior
mente aprire e ridefinire il suo sistema.
Come il lettore potrà notare, io non mi arrischio nel ricostruire i
sistemi filosofici di questi autori moderni dall’esterno, cioè mettendo
insieme per ciascuno di costoro scritti di diversa natura, redatti e pub
blicati in epoche diverse. Tento, invece, di leggere come sistema quella
singola opera di ciascuno, che non solo rappresenta un’unità testuale
compiuta in sé, ma che ha anche la pretesa di articolare l’intero oriz
zonte del sapere all’interno di un discorso unitario. Ecco perché alcuni
importanti pensatori moderni, come ad esempio Hobbes o Berkeley,
Leibniz o Malebranche non avendo lasciato nessuna opera che - per
quanto io vedo - possa essere adeguatamente letta come un sistema fi
losofico, non cadono dentro la mia indagine.
Sebbene l’ordine dei capitoli rispecchi la cronologia di pubblica
zione delle opere in questione e queste coprano più o meno l’arco
temporale dell’età moderna, il percorso che traccio in questo libro non
ha la minima pretesa di essere una storia della filosofia moderna. Una
storia, per essere tale, deve possedere continuità tra le sue parti crono
logicamente ordinate. Il che comporterebbe la necessità di occuparsi
non solo dei grandi pensatori ma anche di quelli ritenuti minori, non
solo delle opere più note ma anche di quelle meno conosciute, e non
Introduzione 15
Opere
A Kritik der reinen Vernunft, 1781 (AA IV).
B Kritik der reinen Vernunft, 1787 (AA III).
EI-IV Essay concerning Human Understanding.
E 1-5 Ethica, ordine geometrico demonstrata (OP; G II; OS).
M Meditationes de prima philosophia (AT VII; OB I).
O Objectiones (AT VII; OB I).
R Responsiones (AT VII; OB I).
T Treatise of Human Nature (SB; OPT).
Edizioni
AA Kants gesammelte Schriften, hrsg. von der Kòniglich Preufiischen,
Deutschen, Berlin-Brandenburgischen Akademie der Wissenschaften,
28 voli., Berlin 1900-.
AT CEuvres de Descartes, par C. A d am - P. TANNERY, 12 voli., Paris 1897-
1913.
G Spinoza Opera, ed. C. GEBHARDT, 4 voli., Heidelberg 1925.
LB R. D e s c a r t e s , Tutte le lettere. 1619-1630, a cura di G. BELGIOIOSO,
Milano 2005.
OBI R. D e s c a r t e s , Opere. 1637-1649, a cura di G. BELGIOIOSO, Milano
2009.
OB II R. D e s c a r t e s , Opere postume. 1650-2009, a cura di G. BELGIOIOSO,
Milano 2009.
OP B.d.S. [Benedictus de Spinoza], Opera posthuma, [Amsterdam] 1677.
OPT D. H um e, A Treatise of Human Nature, ed. D.F. NORTON - M.J. NOR
TON, Oxford 2000.
OS B. S p in o z a , Tutte le opere, a cura di A. SANGIACOMO, Milano 2010.
SB D. Hume, A Treatise of Human Nature, ed. L.A. SELBY-BlGGE, rev.
P.H. NlDDlTCH, Oxford 1978.
Capitolo Primo
LE MEDITAZIONI DI DESCARTES
13 AT VII: 9-10 (OB I: 691-693); cf. anche AT VII: 158-159 (OB I: 889).
14 AT VI: 128 (OB I: 851); per more geometrico si intende il modo di esporre
dei trattati di geometria, sul modello degli Elementi di Euclide, che cominciavano con
una serie di definizioni (punto, linea, superficie ecc.) cui seguivano diversi postulati, as
siomi e infine teoremi dimostrabili ricorrendo a tutti gli assunti precedenti.
15 AT VII: 160-170 (OB I: 893-907).
16 Infray92-93
Le Meditazioni di Descartes 23
17 AT VII: 155 (OB I: 885); la questione delVordine delle ragioni è stata al cen
tro di un esteso dibattito acceso da M. GUEROULT, Descartes selon l’ordre des raisons. I.
LAme et Dieu. II. UAme et le corps, Aubier, Paris 1953; cf. Cahiers de Royaumont. 2.
Descartes, Minuit, Paris 1957; J.-M. BEYSSADE, La philosophie première de Descartes. Le
temps et la cohérence de la métaphysique, Flammarion, Paris 1979, 14-19; MARION, Sur le
prisme métaphysique, cit., 43-59; S. Di BELLA, Le Meditazioni metafisiche di Cartesio. In
troduzione alla lettura, La Nuova Italia Scientifica-Carocci, Roma 1997, 13-31; KAMBOU-
CHNER, Les Méditations métaphysiques, cit., 113-136.
18 AT VII: 155-156 (OB I: 885); trad. modificata.
19 Per il parallelismo tra le Meditazioni e gli Esercizi spirituali di s. Ignazio di
Loyola, cf. G. HATFIELD, The senses and thè Fleshless Eye: thè Méditations as cognitive
exercises, in A. OKSENBERG R orty (ed.), Essays on Descartes’ Méditations, University of
California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1986,45-79.
20 Questa apparente inversione è puntualmente analizzata da J.-M. BEYSSADE,
Lordre dans les Principia, in J.-L. M arion (ed.), Descartes, Bayard, Paris 2007, 101-104.
21 L’opera è menzionata per la prima volta nèh’Inventario di Stoccolma così:
«Nove quaderni rilegati insieme contenenti parte di un trattato di regole utili e chiare per
la direzione della mente nella ricerca della verità» (AT X: 9; OB II: 19). Nella corrispon
denza di quegli anni Descartes non fa mai menzione di questo testo, che venne pubbli
cato postumo in nederlandese nel 1684 e poi in latino nel 1701 nell’edizione di Amster-
24 Sistemi filosofici moderni
dam degli Opuscola posthuma, sotto il titolo Regulae ad directionem ingenti. L’assenza di
un orizzonte metafisico esplicito lascia supporre che il testo possa essere stato redatto da
Descartes tra il 1619-1628; cf. J.L . B e c k , The Method of Descartes. A Study of thè Regu
lae, Clarendon Press, Oxford 1952; J-L. M a rio n , Sur l’ontologie grise de Descartes.
Science cartésienne et savoir aristotélicien dans les Regulae, Vrin, Paris 1975.
22 Regola VI (AT X: 383 [OB II: 713)].
23 Cf. Regola X (AT X: 403-406 [OB II: 737-741]); Regola XII (AT X: 419-420.
425-426 [OB II: 757-759. 765]); per un’esemplificazione dei processi di risoluzione e
composizione di problemi empirici come l’anaclastica o l’arcobaleno, cf. D. GARBER, De
scartes et la méthode en 1637, in N. GRIMALDI - J.-L. M arion (edd.), Le discours et sa
méthode. Colloque pour le 350e anniversaire du Discours de la Méthode, Presses Univer-
sitaires de France, Paris 1987, 65-87.
24 «Atomes d’évidence» (O. H a m elin , Le système de Descartes, Alcan, Paris
1911,86).
25 Nella Regola XII Descartes ci offre una tassonomia generale delle nature
semplici, dividendole anzitutto in quelle intellettuali (es. la conoscenza, il dubbio, l’i
gnoranza, la volizione ecc.) e materiali (es. la figura, l’estensione, il movimento ecc.); poi
in comuni (es. l’esistenza, l’unità, la durata ecc.) e le logiche (es. la proprietà transitiva, le
regole della deduzione ecc.), cf. AT X: 419-420 (OB II: 757-759).
26 Cf. J.-L. MARION, Quelle est la méthode dans la métaphysique? Le róle des na-
tures simples dans les Meditationes, in J.-L. MARION, Questions cartésiennes, Presses
Universitaires de France, Paris 1991, 75-109; I d ., Cartesian metaphysics and thè role of
thè simple natures, in J. COTTINGHAM (ed.), The Cambridge Companion to Descartes,
Cambridge University Press, Cam bridge 1992, 115-139.
27 «Al contrario, invece, qui, nelle cose metafisiche, nulla richiede più impegno
Le Meditazioni di Descartes 25
del percepire chiaramente e distintamente le prime nozioni» (AT VII: 157 [OB I: 887]);
cf. quanto Descartes afferma nella Epistola dedicatoria, AT VII: 4-5 (OB I: 685).
28 Cf. S. GAUKROGER, Descartes' System of Naturai Philosophy, Cambridge Uni
versity Press, Cambridge 2002.
26 Sistemi filosofici moderni
1. Liberare la mente
Descartes antepone alle Meditazioni una Epistola dedicatoria indi
rizzata al decano e ai dottori della Sorbona, dai quali aveva tentato, in
vano, di ricevere approvazione per la propria pubblicazione32. Segue
una breve Prefazione per il lettore, nella quale l’autore pone il presente
scritto in relazione con il precedente Discorso sul metodo, nel quale te
mi metafisici analoghi erano stati saggiati, ma non trattati accuratamen
te. Infine, Descartes offre una Sinossi delle sei meditazioni che seguono,
scritta quando egli aveva già redatto le Meditazioni e potuto prendere
visione delle Obiezioni collezionate da padre Mersenne; da qui l’ampio
spazio dedicato in essa alla questione dell’immortalità dell’anima33.
Nell’incipit della Meditazione I Descartes sceglie immediatamen
te il tono intimo della prima persona e, soprattutto, pone la sua deci
sione iniziale nell’ora dell’atto meditativo:
oggi ho liberato la mente da ogni preoccupazione; mi sono preso un si
curo tempo libero; mi ritiro in solitudine; mi dedicherò finalmente, sul serio e
in libertà, a questo generale rovesciamento delle mie opinioni34 (MI: 17-18).
seguito finita sotto l’incauta divisa de omnibus dubitandum est (di ogni
cosa si deve dubitare), venendo ridotta di fatto a una forma moderna
dello scetticismo antico36, all’origine dello sforzo filosofico delle Medi-
tationes «non c’è una rinuncia, ma una volontà strenua di verità»37.
Sottoporre tutto l’opinabile (doxa) ai duri colpi del dubbio, serve a
provare se nell’edificio del sapere umano vi sia qualcosa che non si la
scia distruggere e nemmeno incrinare, qualcosa d’indubitabile e per
questo non imputabile di falsità. Si tratta evidentemente di una forza
tura, di cui Descartes è ben consapevole, ma, a suo giudizio, solo con
ducendo questo esperimento speculativo fino in fondo, sarà possibile
trovare un argomento anti-scettico assolutamente inoppugnabile.
Per fare ciò Descartes - in una sorta di dialogo fittizio evocato
dall’interno del suo soliloquio meditante - attacca anzitutto l’origine
stessa del sapere comune: i sensi. Dal momento che talvolta sperimen
tiamo la loro fallacia, cosa ci impedisce di considerarli in se stessi inaf
fidabili? E viceversa, in base a quale certezza possiamo affermare che
in questo stesso istante i sensi non ci stiano ingannando? Si potrebbe
rispondere che capita d’ingannarsi sulle cose difficili e lontane, ma
certo non su quelle più semplici e prossime. Eppure, ribadisce il filo
sofo, chi di noi non ha fatto l’esperienza del sogno, nella quale credia
mo che eventi, anche banali, ci accadano esattamente come se fossimo
svegli? Il fatto è che non possediamo alcun criterio sensibile in grado
di distinguere con certezza il sogno dalla veglia38. A questo punto De
scartes solleva un’ulteriore e più raffinata obiezione: ammettiamo pure
che le percezioni sensibili non ci offrano alcun appiglio per uscire dal
dilemma del sogno o della veglia, ma che dire di ciò che nelle cose ge
nerali e composte ne rappresenta la natura «più semplice e universale»
(MI: 20), come ad esempio l’estensione, la figura, il numero, il luogo,
il tempo ecc.? Non possiamo negare che queste nature semplici e tutte
le scienze che di esse si occupano, cioè la matematica, la geometria e
simili, godano di un’indubbia certezza.
Di fronte a questa obiezione, apparentemente insuperabile, De
scartes risponde con un colpo di teatro che spiazza il lettore, in quanto
39 Su questa dottrina, detta della libera creazione divina delle verità eterne e sul
l’ampio, complesso dibattito che ha sollevato, cf. J.-L. MARION, Sur la théologie bianche
de Descartes. Analogie, création des vérités éternelles et fondement, Vrin, Paris 19912.
Le Meditazioni di Descartes 31
Obiezioni e risposte
Le obiezioni direttamente dedicate alla Meditazione I sono tre:
Hobbes (OR3: 171-172), Gassendi (05: 257; R5: 348-349) e Bourdin
(OR7: 454-477). Thomas Hobbes riduce l’intero contenuto della Medi
tazione I alla questione dell’oggettività sensibile, poi ne riconosce la
«verità» e, infine, bolla il tutto come «vecchie cose», note sin da Plato
ne, che Descartes avrebbe fatto meglio a non mischiare con le sue nuo
ve speculazioni41. Al primo punto Descartes non replica, mentre si pre
mura di precisare che «Le ragioni di dubitare che qui il filosofo am
mette come vere non sono state da me proposte se non come verosimi
li» (OR3: 171). Il fatto è che per Hobbes tutta la faccenda del dubbio
si riduce in fondo alla teoria platonica del fenomeno sensibile, che a lui
appare come qualcosa di ovvio. La Meditazione I invece, ha lo scopo di
«preparare gli animi dei lettori a considerare le cose intellettuali e a di
stinguerle dalle corporee» (OR3: 172), ossia ad aiutare il lettore a sca
valcare il senso comune per accedere alla riflessione filosofica.
Le Obiezioni VII, a opera del gesuita Pierre Bourdin, redatte
sotto forma di una lunga dissertazione, sono quelle che pongono in as
soluto più argomenti contro il dubbio, ma purtroppo muovendo da un
punto di vista vetero scolastico così distante dall’argomentare cartesia
no da generare di fatto un «dialogo tra sordi»42.
Tutto il contrario con il filosofo e astronomo Pierre Gassendi, il
quale avanza delle obiezioni che si situano nel pieno solco della mo
2. Io sono
Nel secondo giorno il filosofo riprende la meditazione dal
profondo del gorgo in cui il dubbio lo aveva gettato. L’unica speranza
a questo punto è quella di trovare «qualcosa di certo (aliquid certi)»
(M2: 24), fosse anche soltanto il fatto che nulla è certo. Ma forse - si
chiede il meditante - esiste un che di divino che mette in me tutti que
sti pensieri? e come sapere che questo non sia a sua volta un mio pro
dotto? Eppure anche in questo caso - autoreplica Descartes - devo
pur esistere io che produco questo qualcosa che suppongo esterno a
me stesso: «Non sono forse, allora, almeno io qualcosa (saltem ego ali-
quid sum)ì»AA. Ma come qualificare e situare questa esistenza se, nella
Meditazione I, si è preso congedo dalla certezza delle percezioni sensi
bili? Infatti, «mi sono persuaso che assolutamente nulla esiste al mon
do: né cielo, né Terra, né menti, né corpi; forse che, allora, non esisto
neanch’io (etiam me non esse)}» (M2: 25). E questa l’estrema sospen
sione di assenso tentata dal dubbio: forse, io non sono.
Giunti a questo punto, assistiamo a una virata completa del flus
so meditativo fin qui intrapreso. Tutto il processo di rovesciamento in
tentato sin dall’inizio della Meditazione I si rovescia esso stesso, perché
la risposta di Descartes, stavolta, appare inattaccabile dalla corrosione
del dubbio: «Al contrario, esistevo certamente (certe ego eram) se mi
sono persuaso di qualcosa». Ma forse è il Genio maligno a indurre
questa falsa certezza? Qui la risposta rovescia il dubbio estremo in
un’estrema certezza:
Senza dubbio allora esisto anch’io, se egli mi fa sbagliare; e, mi faccia sba
gliare quanto può, mai tuttavia farà sì che io non sia nulla, fino a quando pen
serò di essere qualcosa. Così, dopo aver ben bene ponderato tutto ciò, si deve
infine stabilire che questo enunciato, Io sono, io esisto, è necessariamente vero
ogni volta che viene da me pronunciato, o concepito con la mente (M2: 25)45.
filosofia (I, art. 7)48 e che verrà consacrata dalla posterità: cogito ergo
sum. Di questo argomento notiamo almeno tre elementi immediati: (a)
il suo procedere dal dubbio, (b) la sua forma metalinguistica e (c) il
suo valore necessario di verità. Analizziamoli.
(a) Uno dei difetti ricorrenti nella spiegazione dell’argomento
del cogito è quello di isolarlo da quanto lo precede, come se si trattasse
di un argomento a sé stante, indipendente dal processo dubitativo
messo in atto nella Meditazione I. Invece, non dobbiamo dimenticare
di trovarci all’interno, meglio al limite estremo di un esperimento spe
culativo assai particolare, quello di distruggere ogni certezza allo sco
po di verificare se ve n’è almeno una che risulti inattaccabile da ogni
fronte possibile. Al vertice di questo esperimento sta l’ipotesi di un
Genio maligno sommamente potente che impiega ogni sua capacità
nel farmi sbagliare, personificazione della risoluzione massima di voler
negare ogni valore di verità alle proprie certezze. Oggetto del dubbio,
dunque, non sono tanto le cose del mondo, quanto i miei contenuti di
pensiero, meglio i miei giudizi, visto che la sua azione distruttiva con
cerne propriamente la capacità di verità dei miei contenuti mentali, (b)
Questo dato è ulteriormente rafforzato dalla forma metalinguistica che
assume l’argomento in tutti e tre i testi principali nei quali Descartes lo
espone, infatti parla nel primo caso di «questa verità (cette vérité)»,
poi di «questo enunciato (hoc pronunciatum)», e infine di «questa co
gnizione (haec cognitio)», oggettivando ogni volta la relativa formula
zione «je pense, donc je suis», «Ego sum, ego existo» ed «ego cogito, er
go sum»49. (c) Infine, notiamo come si tratti di un giudizio del tutto ec
cezionale, in quanto non solo è inattaccabile persino dal più sottile ar
gomento scettico, ma soprattutto ci impedisce anche solo di supporre
che noi siamo nulla, ponendo quindi come «necessariamente vero (ne
cessario esse verum)» non tanto una certa proprietà del soggetto, bensì
la sua stessa esistenza.
Ma come funziona l’argomento del cogito? Dal momento che in
que toutes les plus extravagantes suppositions des Sceptiques nétaient pas capables de l’é-
branler, je jugeai que je pouvais la recevoir, sans scrupule, pour le premier principe de la
Philosophie, que je cherchais)» (AT VI: 32 [OB I: 61]).
48 «E pertanto questa conoscenza: io penso, dunque sono, è tra tutte la prima e
la più certa che si presenti a chi filosofi con ordine (Ac proinde haec cognitio, ego cogito,
ergo sum, est omnium prima et certissima, quae cuilibet ordine philosophanti occurrat)»
(AT V ili: 7 (OB I: 1715]).
49 Sulla formulazione metalinguistica, cf. BEYSSADE, La philosophie première,
cit., 249-253.
Le Meditazioni di Descartes 35
che porre il principio stesso, o, come dice Aristotele, «proprio per di
struggere il ragionamento si avvale di un ragionamento (.anairon logon
hupomenei logon)»52. Tuttavia, una differenza basilare intercorre tra un
principio come quello di non contraddizione e un “principio” come
Yego existo. Certo, anche Descartes si esprime nettamente sul cogito
come principio nel Discorso sul metodo, definendolo «il primo princi
pio della filosofia che cercavo»53. Similmente, nei Principi della filoso
fia, il cogito ergo sum «è fra tutte [le cognitiones] la prima e la più certa
che si presenti a chi filosofi con ordine»54; tuttavia, più sotto, precisa di
non aver mai negato che prima di esso si possiedano delle nozioni sem
plici, come «cosa sia il pensiero, cosa l'esistenza, cosa la certezza»55, e
persino proposizioni, quali «che non può essere che ciò che pensa non
esista» (corrispondente alla maggiore del sillogismo di cui abbiamo po-
canzi discusso), ma subito chiarisce che «sono nozioni semplicissime, e
tali che da sole non ci fanno conoscere alcuna cosa esistente»56.
Quest’ultima affermazione è della massima importanza57, perché
focalizza con precisione il contenuto del nostro principio e il suo valo
re veritativo: l’esistenza singolare di me attualmente pensante. Non si
tratta dunque di una legge universale, ma a tutti gli effetti di un’infe
renza particolare. Di certo io penso è vero, perché performativamente
io non penso equivale immediatamente a penso che io non penso; ma,
dal momento che io sono non è identico a io penso, in quanto l’essere
non coincide e non è riducibile al pensare, è necessario che questa se
conda affermazione sia inferita dalla precedente58. Tale inferenza si dà
e si dà immancabilmente, dal momento che così come io non posso
dubitare che io penso, ugualmente non posso dubitare che io che at
tualmente penso sono, dal momento che mi è del tutto impossibile
pensare che io che sto pensando non sono. Il fatto che io sono, però, è
impossibile da cogliere indipendentemente dall’esercizio effettivo del
59 «Le cogito est en effet d ’une part horizon de tout ce qui est pensé, “limite du
monde”, comme le dira Wittgenstein [Tractatus logico philosophicus, n. 5], mais d’autre
part il est lui-mème un événement, un objet dans le monde, mème si le monde consiste
seulement en cet unique objet» (R. SPAEMANN, Le sum dans le cogito sum, in GRIMALDI-
M arion (edd.), Le discours et sa méthode, cit., 276; l’articolo è stato poi pubblicato an
che in tedesco, Id., Das Usuma im “cogito sum \ in «Zeitschrift fùr philosophische For-
schung» 41 [19871,377).
38 Sistemi filosofici moderni
nendosi esclusivamente dal punto di vista della prima (sim ego, qui
sum). La legittimità di un tale passaggio si basa sulla consapevolezza
che Vego existo è emerso come residuo dell’eversione delle certezze ope
rata dal dubbio, certezze che ora, facendo leva sul punto archimedeo
del cogito, il meditante può progressivamente tentare di recuperare:
«Mediterò ora di nuovo, quindi, su cosa io credevo un tempo di esse
re». Questa seconda fase della meditazione, non rappresenta però un
mero corollario della prima, bensì, come il titolo della Meditazione II
esplicita, il suo primo obiettivo: «La natura della mente umana; che essa
è più nota del corpo» (M2: 23 )60. Tra le cose che il meditante può recu
perare, nel tentativo di definire la propria natura, vi è «anzitutto, che
avevo volto, mani, braccia [...]» (M2: 26), insomma un corpo, e poi che
«mi nutrivo, camminavo, sentivo e pensavo [...]», tutte azioni riferibili
a un qualcosa comunemente chiamato anima. Su tutti questi aspetti
continua comunque a esercitare la sua funzione catartica il dubbio, an
cora impersonato dal Genio maligno, e ogni cosa sembra svanire nuo
vamente, tranne una: «il pensiero; esso soltanto non può essermi tolto
via» (M2: 27). Da qui il meditante può giungere a questa conclusione:
Nulla ammetto, adesso, se non ciò che è necessariamente vero; precisa-
mente, dunque, sono soltanto una cosa pensante, ossia una mente, o animo, o
intelletto, o ragione; parole di cui prima mi era ignoto il significato. Però sono
una cosa vera, e veramente esistente; ma quale cosa? L’ho detto: pensante
(M2: 27)61.
60 S. Di Bella nota acutamente come «il rilievo teorico del Cogito non risieda
tanto nella prova della propria esistenza contro lo scetticismo radicale (così inteso, è
tutt’altro che un’invenzione originale), quanto nel decisivo contributo all’indagine sulla
“natura della mente”. E attorno ad una certa intuizione del nesso tra conoscenza dell’e
sistenza e conoscenza della natura dell’io, che si organizza e trova unità tutto l’impianto
della IIMeditazione [ ...] » (Di BELLA, Le Meditazioni metafisiche, cit., 68). Questa ope
razione manifesta anche il preciso intento di Descartes di ribaltare la dottrina tradizio
nale, peripatetico scolastica, sull’anima, cf. J.P. CARRIERO, The Second Meditation and
thè essence o f thè mind, in OKSENBERG RORTY (ed.), Essays on Descartes’ Méditations,
cit., 199-221.
61 «Nihil nunc admitto nisi quod necessario sit verum; sum igitur praecise tan
tum res cogitans, id est, mens, sive animus, sive intellectus, sive ratio, voces mihi prius
significationis ignotae. Sum autem res vera, et vere existens; sed qualis res? Dixi, cogi
tans» (M2: 27).
62 Cf. S. LANDUCCI, La mente in Cartesio, Franco Angeli, Milano 2002; L. A la -
NEN, Descartes’s Concept ofMind, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2003.
Le Meditazioni di Descartes 39
saria come la verità dell’i o existo stesso, perché si tratta di due verità
coessenziali e inscindibili63; (b) dicendo di essere una cosa pensante,
ovvero «una cosa che dubita, intende, afferma, nega, vuole, non vuole,
immagina, inoltre, e sente» (M2: 28), Descartes non intende porre una
qualche sostanza al di sotto dell’atto di pensare, tanto meno un sostra
to di tipo psicofisico, bensì individuare nel pensare stesso, con tutta la
varietà dei suoi modi, la capacità di essere sostanza64; (c) dicendo poi
di essere soltanto un che di pensante, pone i presupposti per il cosid
detto dualismo tra mente e corpo, rovesciando la concezione peripate
tico scolastica basata da sempre sul primato dell’esperienza sensibile, e
gettando di fatto le basi per la fondazione della scienza cartesiana, ba
sata sull’intuito delle nature semplici65.
Sebbene il meditante abbia raggiunto questa nuova ulteriore
certezza, nella terza e ultima fase della Meditazione II si riaffaccia la
questione dei corpi: «ancora mi sembra e non posso impedirmi di
credere che le cose corporee [...] sono conosciute molto più distinta-
mente di questo non so che di me che cade sotto l’immaginazione»
(M2: 29). Questo tratto argomentativo va a toccare il secondo obietti
vo annunciato nel titolo della meditazione: la maggiore notorietà della
mente rispetto al corpo. Per fare ciò il filosofo si serve di un esempio
- divenuto molto celebre - che pone al centro della sua riflessione:
«questa cera, appena estratta dall’alveare» (M2: 30), con il suo sapo
re, odore, colore, figura, grandezza, consistenza ecc. Appena però la
si avvicina al fuoco, tutte le precedenti qualità mutano: svanisce l’o
dore, la figura si deforma, diventa liquida, trasparente ecc. Dal che ci
chiediamo, rimane o non rimane ancora la medesima cera? Rimane, a
detta di tutti, ma allora cosa ci ha permesso di definirla? «Certo, nulla
di ciò che coglievo con i sensi: infatti, tutto ciò che cadeva sotto il gu
sto, o l’odorato, o la vista, o il tatto, o l’udito, è ormai mutato, mentre
la cera rimane». Ma se nessuna delle indefinitamente mutevoli qualità
63 «Mi meraviglio che voi, qui, riconosciate che tutto ciò che considero nella ce
ra dimostra bensì che io conosco distintamente di esistere, non, però, chi o quale io sia,
poiché l’una cosa non si dimostra senza l’altra» (R5: 359); sulla distinzione e relazione
tra essenza reale ed essenza epistemica, cf. KEMMERLING, Das Existo und die Natur des
Geistes, cit., 44.
64 Sul valore di sostanza (termine non presente in M2) dell 'ego cogito disquisi
sce a lungo MARION, Sur le prisme métaphysique, cit., 137-216.
65 Cf. P.A. SCHOULS, Descartes and thè Possibility of Science, Cornell University
Press, Ithaca (NY)-London 2000, 25-62; E. SCRIBANO, Guida alla lettura delle Medita
zioni metafisiche di Descartes, Laterza, Roma-Bari 2000, 33-58.
40 Sistemi filosofici moderni
Obiezioni e risposte
Le obiezioni alla Meditazione II sono ben più numerose e consi
stenti di quelle mosse alla precedente. Le principali sono per mano di
diversi teologi, raccolte da Mersenne, ma in verità redatte da costui
(02: 122-123; R2: 129-133), di Hobbes (OR3: 172-179), di Arnauld
(04: 197-199; R4: 219), di Gassendi (05: 258-277; R5: 350-361) e di
Bourdin (OR7: 477-535).
Tra quelle che hanno fatto discutere maggiormente troviamo an
zitutto il dibattito con Hobbes, il quale, all’inizio della sua Obiezione
seconda, solleva un punto che non viene colto da Descartes, malaugu
ratamente portato a sottovalutare le argomentazioni del suo interlocu
tore d’oltremanica68. Il filosofo inglese, dopo aver ammesso che dal
fatto che io penso segue necessariamente che sono pensante, sostiene
che «Dal fatto che sono una cosa pensante segue Io sono perché ciò
che pensa non è un nulla» (OR3: 172). Però, dire non nulla non signifi
ca immediatamente dire io, potrebbe anche voler dire un certo qualco
sa, e quindi saremmo bensì autorizzati a dire ciò pensa, senza che que
sto qualcosa sia necessariamente un anima, un io, e non piuttosto qual
cosa d’impersonale, come un corpo69. E prosegue: «Io sono pensante,
dunque sono pensiero, non sembra un’argomentazione corretta. E nep
pure questa: sono uno che intende, dunque sono un intelletto. Nello
stesso modo potrei infatti affermare: sono uno che passeggia, dunque
sono una passeggiata» (OR3: 173); dal momento che tutti ammettono
che bisogna distinguere il soggetto dai suoi atti o dalle sue potenze.
La risposta di Descartes è invero assai sbrigativa, a sottolineare
che la domanda gli appare così fuorviante da non meritare una lunga
disamina: «Né affermo come identiche la cosa che intende e l’intelle
zione [atto], e neppure la cosa che intende e l’intelletto, se si prende
l’intelletto per la facoltà [potenza], ma solo quando lo si prende per la
cosa stessa che intende (re ipsa quae intelligit)» (OR3: 174). Sembra un
mero quiproquò, eppure l’obiezione di Hobbes è più raffinata e pene
trante di quello che sembra, perché in effetti accusa la Meditazione II
di non essere riuscita a dimostrare che sia possibile concepire un sog
getto pensante privo di estensione, ovvero non corporeo, e perciò on
tologicamente distinto dai suoi atti o potenze, come invece Descartes
rivendica70.
Una delle più note critiche al cogito la troviamo all’inizio delle
Obiezioni V, gettata lì come fosse un’owietà: «non mi sembra che ave
ste bisogno di tutto questo apparato, quando eravate d’altronde certo,
ed era vero, che voi siete, e sareste potuto arrivare alla medesima con
clusione anche a partire da qualsiasi altra vostra azione» (05: 259), co
me ad esempio «io cammino dunque sono» (R5: 352) oppure «respiro,
dunque sono»71. Descartes rimase molto deluso dalla trivialità di que
sta obiezione e in generale dalle argomentazioni di Gassendi, assu
mendo verso di lui un tono di scherno esageratamente polemico72. Ma
il problema è tutt’altro che irrilevante, e può essere formalizzato come
73 «si la maxime pour ?narcher (respirer) il faut ètre est une proposition de mème
statut que pour penser il faut ètre, pourquoi est-il légitime d’inférer Je suis de Je pense,
mais non de Je marche (respire)}» (PARIENTE, Problèmes logiques du Cogito, cit., 253
[trad. mia]).
74 A Reneri per Pollot, aprile o maggio 1638 (AT II: 37 [LB: 651)].
75 Su questo aspetto cf. J.L . C h ÉDIN, Descartes et Gassendi: le dualisme à l’é-
preuve, in BEYSSADE-MARION (edd.), Descartes. Ohjecter et répondre, cit., 163-178.
Le Meditazioni di Descartes 43
3. Dio esiste
sciente, onnipotente e creatore di tutte le cose che sono fuori di lui, ha senz al
tro in sé più realtà obiettiva di quelle attraverso le quali mi vengono fatte ve
dere delle sostanze finite (M3: 40).
80 Questa distinzione, già complicata dal fatto che in genere noi oggi usiamo il
termine oggettivo (vs. soggettivo) per indicare la realtà extramentale di qualcosa, è ulte
riormente complicata dal fatto che talvolta Descartes chiama realtà materiale quella che
qui chiama formale, (es. AT VII: 8 [O B I: 691]), cf. V. CHAPPELL, The theory ofideas, in
O k senberg R orty (ed.), Essays on Descartes’ Méditations, cit., 177-198.
81 A proposito del ruolo della causalità nella Meditazione III, J.-L. Marion parla
di un «nuovo principio» (dopo il cogito) e quindi di un «secondo inizio» delle Medita
zioni: «L a causalité, efficiente en tant que totale, ne doit intervenir qu’au moment précis
où Yego lui-méme se met en quète du fondement de sa propre existence cogitative. Et
pour transiter d’une existence d’étant cogitatif à une existence absolument fondée, lego
doit cesser de se définir à partir de l’essence de 1’ens ut cogitatum, et en appeler à une
parole plus essentielle sur l’étant dans son ètre: Yens ut causatum, dont la formulation in
tervieni alors et alors seulement, comme une incontournable évidence. Posée comme
nouveau principe, voire comme le second commencement des Meditationes, la causa dé-
ploie immédiatement et directement son autorité sur ce qu’il s’agit de surpasser, la cogi-
Le Meditazioni di Descartes 47
tatto méme» (MARION, Sur le prisme métaphysique, cit., 119). Giustamente si tratta di un
«secondo inizio» perché così come l’atto di pensare non potendo provenire dal nulla ri
chiedeva l’esistenza dell’ago - includendo implicitamente la causalità o «dal nulla non
viene nulla» - così ora, su un livello esplicito, il principio di causalità emerge nel supera
mento riflessivo col quale Yego s’interroga sul fondamento della propria esistenza.
82 Vedi l’obiezione di Caterus (O l: 92-94; RI: 102-106), di cui parleremo più
avanti.
48 Sistemi filosofici moderni
Da una rapida rassegna delle idee che «si trovano» nella mente,
oltre all’idea dell’io, scopriamo le idee di cose corporee, inanimate o
animate, l’idea di uomini simili a noi, di angeli e l’idea di Dio. Descartes
esamina quindi la realtà obiettiva di ciascuna di queste idee, giungendo
a dimostrare che non è possibile escludere che tali idee appartengano
formalmente all'ego, ovvero siano modi di esso. Tutte tranne una. L’idea
di Dio, inteso come «una sostanza infinita, indipendente, sommamente
intelligente, sommamente potente, e dalla quale siamo stati creati sia io
stesso, sia ogni altra cosa, se qualche altra cosa c’è, quale che sia»
(M3: 45)83, tanto più vi si pone attenzione, tanto meno sembra proveni
re da noi stessi. Da tutto ciò, «si deve concludere che Dio esiste neces
sariamente (Deum necessario existere, est concludendum)».
E questa la prima84 dimostrazione dell’esistenza di Dio che tro
viamo nelle Meditazioni, la cui struttura, in sintesi, è la seguente: la
realtà obiettiva delle idee deve essere sempre riconducibile a una
qualche causa formale; ma tutte le idee che trovo nella mia mente so
no formalmente riconducibili a me stesso tranne una, l’idea di Dio, in
quanto per definizione (infinito) non può avere la sua causa formale
in me (finito); quindi Dio esiste necessariamente. Il filosofo era ben
conscio che, per quanto desiderasse ridurre la sua argomentazione al
numero di passaggi minore possibile, questa necessitava di essere ul
teriormente spiegata, soprattutto tenendo conto delle resistenze che
avrebbe sollevato nei suoi lettori contemporanei: tanto nei materialisti
atei, quanto in quei “materialisti credenti” che agli occhi di Descartes
83 Qualche riga prima Descartes aveva definito sostanza: «una cosa atta ad esi
stere per sé {per se apta est existere)» (M3: 44); nei Principia I, art. 51: «Per sostanza non
possiamo intendere altro se non una cosa che esiste in maniera tale da non aver bisogno
di alcun’altra cosa per esistere {ut nulla alia re indigeat ad existendum)» (AT V ili: 24
[OB I: 1745]); cf. J.-L. M ario n , Sostanza e sussistenza. Suàrez e il trattato della substan
tia nei Principia, I, 31-34, in J.-R. ARMOGATHE - G. BELGIOIOSO (edd.), Descartes: Prin
cipia Philosophiae (1644-1994), Vivarium, Napoli 1996, 231-254; J. SECADA, The doctri-
ne of substance, in GAUKROGER, The Blackivell Guide, cit., 67-85. Sulla definizione di
Dio come substantia infinita e sul suo confronto con le altre, ens summe perfectum e cau
sa sui, cf. J.-L. MARION, The essential incoherence of Descartes’ definition of divinity, in
B ey ssa d e -M arion (edd.), Descartes. Objecter et répondre, cit., 297-338; per un esame
capillare dell’idea chiara e distinta di Dio, cf. I. AGOSTINI, Lidea di Dio in Descartes.
Dalle Meditationes alle Responsiones, Le Monnier, Milano 2010.
84 Nelle Meditationes troviamo tre argomenti per provare l’esistenza di Dio, due
detti “a posteriori” o “argomenti causali”, uno detto “a priori” o - a partire da Kant -
“argomento ontologico” : il primo, è in genere localizzato nel testo immediatamente se
guente la conclusione appena dichiarata da Descartes (M3: 45-48); il secondo occupa la
parte finale della meditazione (M3: 48-52); il terzo lo troveremo in M5: 65-69.
Le Meditazioni di Descartes 49
85 Dal punto di vista di Descartes, scolastici e libertini sono «Due avversari ap
parentemente opposti, per lui accomunati alla radice nel primato erroneamente assegna
to alla conoscenza sensibile» (Di B el l a , Le Meditazioni metafisiche, cit., 99-100).
86 Cf. I. AGOSTINI, I! infinità di Dio. Il dibattito da Suàrez a Caterus (1597-1641),
Editori Riuniti, Roma 2008.
50 Sistemi filosofici moderni
perché - come detto - la sua finitezza e fallibilità non possono che sta
gliarsi sullo sfondo della verità, ma soprattutto perché il cogito prende
coscienza di non avere egli stesso posto tale orizzonte veritativo, bensì
di accadere in esso, ovvero di essere da esso giudicabile come vero o
come falso. In questa relazione d’alterità, la domanda di senso trova la
sua risposta: «Non è soltanto per me che io sono per me. Questo signi
fica: io sono»90.
Dal punto di vista sistemico, Dio svolge nelle Meditazioni un
ruolo primario e centrale. All’inizio della Meditazione I, l’opinione di
un «Dio che può tutto» era stato il pungolo che aveva smascherato de
finitivamente la doxa della coscienza ingenua, spingendo il meditante a
radicalizzare il dubbio; al termine della Meditazione III, l’idea di Dio
proietta la finitezza del cogito sullo sfondo assoluto della verità, met
tendolo in relazione con la certezza di una causa extramentale, che
può ora fungere da prima pietra per la ricostruzione dcWepisteme.
Dio, dunque, sta tanto all’inizio dell’itinerario decostruttivo, quanto al
l’inizio dell’itinerario ricostruttivo che - come vedremo - prenderà pie
de dalla Meditazione V in avanti.
Obiezioni e risposte
Le obiezioni sollevate verso la Meditazione III sono tra le più no
tevoli di tutta l’opera, tra esse vanno annoverate quelle di Caterus
(Ol: 91-101; RI: 101-121), di teologi vari [Mersenne] (02: 123-126;
R2: 133-145), di Hobbes (OR3: 179-189), di Arnauld (04: 206-208;
R4: 231-235) e di Gassendi (05: 277-307; R5: 361-374)91. Tra queste
una serie in particolare ha destato un approfondito dibattito, quella a
cura dell’arciprete olandese Johannes Caterus, il quale non era certo
un pensatore di grande spessore e tuttavia replica sobriamente a De
scartes, partendo proprio da quella scolastica che il filosofo francese
intendeva superare e, così facendo, lo costringe a precisare e approfon
dire ulteriormente il suo pensiero92. La prima obiezione riguarda la
realtà obiettiva delle idee: «Ma che cosa significa essere obiettivamente
nell’intelletto? L’ho appreso tanto tempo fa: terminare l’atto dell’intel
90 «Ce n’est pas seulement pour moi que je suis pour moi. Cela veut dire: je
suis» (SPAEMANN, Le sum dans le cogito sum, cit., 281 [trad. mia]; I d ., Das “sum” im “co
gito sum”, cit., 381).
91 Sul ruolo dell’idea di Dio in tale dibattito, cf. AGOSTINI, L’idea di Dio in Descar
tes, cit., 89-130 (Caterus); 131-179 (Mersenne); 180-200 (Hobbes); 201-245 (Gassendi).
92 Cf. T. V er bee k , The First Objections, in A riew -G ren e (edd.), Descartes and
his Conte?nporaries, cit., 21-33; MORI, Cartesio, cit., 151-157.
52 Sistemi filosofici moderni
93 Questa prova era stata già formulata nel Discours (AT VI: 34 [OB I: 63]) e
verrà ripresa nei Principia I, art. 20-21 (AT V ili 12-13 [OB I: 1725-1727]); cf. SCRIBA-
NO, Guida alla lettura, cit., 72-81; G . HATFIELD, Routledge Philosopby Guidebook to De
scartes and thè Méditations, Routledge, Abingdon 2003, 164-181; L. N o lan - A. N e l -
SON, Proofs for thè existence ofGod, in GAUKROGER, The Blackwell Guide, cit., 105-112;
sulle obiezioni di Caterus, cf. J.-R. ARMOGATHE, Caterus Objections to God, in ARIEW-
GRENE (edd.), Descartes and his Contemporaries, cit., 34-43.
Le Meditazioni di Descartes 53
naie della creazione continua, dimostra che Vego per essere causa di sé
dovrebbe avere la forza di sostenere la propria esistenza in ogni istan
te, ma «se una tale forza fosse in me, ne sarei senz’altro cosciente»
(M3: 49). Dunque, conclude il filosofo, se la causa dell 'ego non può
essere da sé, deve essere in altro e questo altro non può che essere Dio
stesso, perché nulla meno perfetto di Dio (es. i genitori) può aver fatto
Yego tale da possedere in sé l’idea di Dio.
Di fronte a tale prova, Caterus nota immediatamente che «Que
sta è esattamente la stessa famosa via percorsa anche da san Tommaso,
che la chiamava via dalla causalità efficiente94 e che aveva desunto dal
Filosofo [Aristotele]» (Ol: 94), e poi avanza la sua obiezione: «La pa
rola da sé viene infatti presa in due modi. In un primo modo, positiva-
mente, ossia da se stesso come da una causa [...]. In un secondo sen
so, la parola da sé viene presa negativamente, così da significare la stes
sa cosa di per se stesso, ovvero non da altro\ ed è in questo modo che,
per quanto io ricordi, essa è intesa da tutti» (Ol: 95). La tradizione era
concorde nel ritenere assurdo il senso positivo delVessere da sé (in lati
no a se), per non creare il cortocircuito di qualcosa che dovrebbe veni
re prima di se stesso95 ed essere diverso da sé; perciò era ammesso solo
il senso negativo della aseità.
Descartes risponde che l’impossibilità che qualcosa sia causa ef
ficiente di se stesso è palese e vale, tuttavia, solo se si restringe il signi
ficato di causa efficiente alle cause che avvengono nel tempo o in cui
causa ed effetto sono diversi. Ma subito aggiunge che «Il lume natura
le detta però senz’altro che non esiste cosa alcuna della quale non sia
lecito domandare perché esista» (Ri: 108), infatti ragione non coincide
con causa efficiente. Cosicché, nel caso di Dio la normale dottrina cau
sale va ribaltata, perché in Dio «si trova una potenza così grande e così
inesauribile da non aver avuto bisogno d’alcun sostegno per esistere, e
neanche da averne bisogno ora per essere conservato, così da essere in
qualche modo causa di sé (sui causa)» (RI: 109)96. Per Descartes Dio
Qui Descartes assume uno dei termini tecnici più tipici della fi
losofia aristotelica, ovvero Vabito (in greco hexis, in latino habitus), on
tologicamente il possesso di un determinato modo di essere (es. nel
mutamento si passa dalla privazione al possesso della forma), pratica-
mente la disposizione ad agire in modo costante (es. il carattere si co
stituisce grazie alla disposizione stabile a provare passioni uguali per
oggetti simili). Il fatto che qui il filosofo parli di una meditazione «più
volte ripetuta (saepius iterata)», lascia pensare a un vero e proprio eser
cizio ascetico di formazione dell’abito filosofico, da intendere in que
103 «Il primo era di non accogliere mai come vera nessuna cosa che non avessi co
nosciuto con evidenza essere tale: vale a dire, evitare con cura la precipitazione e la pre
venzione e non comprendere nei miei giudizi nulla più di ciò che si presentasse così chia
ramente e distintamente alla mia mente da non aver motivo alcuno per metterlo in dub
bio» (AT VI: 18 [OB I: 45]); cf. anche la Regola II (AT X: 362-363 [OB II: 687-689]).
58 Sistemi filosofici moderni
Obiezioni e risposte
Tra le obiezioni alla Meditazione IV troviamo anzitutto il quinto
punto indicato dai teologi vari [Mersenne] (02: 126; R2: 147-149), poi
Hobbes (OR3: 190-192), Arnauld (04: 215-217; R4: 247-248), Gas
sendi (05: 307-318; R5: 374-379) e infine il sesto scrupolo sollevato
dal circolo dei savants [Mersenne] (06: 416-417; R6: 431-433).
Sia i teologi che Arnauld invitano Descartes a sciogliere le diffi
coltà che il suo criterio di verità potrebbe recare nei confronti dell’as
senso di fede: «dal momento che quasi nulla conosciamo con quella
chiarezza e distinzione che voi richiedete ad una certezza non esposta
a dubbio alcuno» (02: 126) non solo la volontà non dovrebbe dare il
suo assenso agli oggetti di conoscenza in generale, ma, a maggior ra
gione, non dovrebbe farlo nei confronti della religione. Arnauld, citan
do s. Agostino, propone a Descartes di distinguere tra Xintendere, ba
104 S. Di Bella ha, giustamente, definito questa teoria della libertà una «autointer
pretazione delle Meditazioni», cf. Di BELLA, Le Meditazioni metafisiche, cit., 127-138.
105 Termini come continenza e incontinenza appartengono da sempre al lessico
dell’etica (cf. es. Eth. Nicom., VII), inoltre, quello della continenza contro la tendenza al-
Voltrepassajnento sarà uno dei temi basilari della filosofia di Hume, infra, 234.
106 Cf. P. H adot , Exercices spirituels et philosophie antique, Etudes augustinien-
nes, Paris 1981; Albin Michel, Paris 20022 (trad. it., Esercizi spirituali e filosofia antica,
Einaudi, Torino 1988, 20052).
Le Meditazioni di Descartes 59
107 Cf. R. IMLAY, Volontà, indifférence et mauvaise foi: Gassendi contre Descartes,
in BEYSSADE-MARION (edd.), Descartes. Objecter et répondre, cit., 337-350.
108 A Mesland, 2 m aggio 1644: «m i pare che il ricevere questa o quella idea sia
anche nell’anima una passione e che solo le sue volizioni siano azioni» (AT IV: 113 [LB:
1911]); cf. BEYSSADE, La philosophiepremière, cit., 177-179.
60 Sistemi filosofici moderni
aristotelica del tempo come numero del moto secondo il prima e il poi. Tuttavia, come
J.-L. Marion ha dimostrato, contro l’interpretazione di Heidegger (cf. MARION, Sur le
prisme métaphysique, cit., 180-202), il tempo in Descartes non è basato anzitutto sulle
cose, con l’effetto di una reificazione del soggetto, bensì sulla cogitatio: «la durée succes
sive d’une chose quelconque (cujuscunque) ne me devient connue (tnihi innotescit) qu’à
partir d’une durée plus originelle, que définit la succession de mes cogitationes» {ivi,
196; cf. Ad Arnauld, 29 luglio 1648, AT V: 223 [LB: 2581]); cf. N. GRIMALDI, Le temps
chez Descartes, in «Revue Internationale de Philosophie» 50 (1996), 163-191.
118 Cf. M i: 20; M5: 71; Colloquio con Burman (AT V: 160 [OB II: 1273]); si di
scute molto sull’uso del termine mathesis da parte di Descartes, e ancor più sull’espres
sione mathesis universalis, cf. G. CRAPULLI, Mathesis universalis. Genesi di un’idea nel
XVI secolo, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1969; D. RABOUIN, Mathesis universalis. Lidée
de «mathématique universelle» d’Aristote à Descartes, Presses Universitaires de France,
Paris 2009.
64 Sistemi filosofici moderni
119 Alcuni interpreti (es. SCRIBANO, Guida alla lettura, cit., 98-103) insistono sul
ruolo delle idee innate nella Meditazione V, tuttavia Descartes sembra sforzarsi di evita
re il termine, «quae dudum quidem in me erant» (M5: 64), «ideas veras mihi ingenitas»
(M5: 68), forse per non cadere nel rischio di attribuire tali idee alla costituzione del sog
getto, invece che a qualcosa che lo trascende; cf. A. NELSON, Cartesian innateness, in
BROUGHTON-CARRIERO (edd.), A Companion to Descartes, cit., 319-333.
120 «N e consegue un ampliamento dei significati di “verità” e di “essere”, poiché
il giudizio vero comporta sempre il riconoscimento dell’essere: in questo caso, dell’esse
re dell’essenza, ovvero di una struttura intellegibile indipendente dalle procedure costi
tutive della mente. [...] nelle Meditazioni l’essere si afferma, a tutti i livelli, attraverso
l’esperienza di una datità cogente, di una resistenza invincibile al pensiero» (Di BELLA,
Le Meditazioni metafisiche, cit., 142-143).
Le Meditazioni di Descartes 65
121 Così, ad esempio, Descartes si riferisce al proprio argomento: «lì dove ho as
serito che l’esistenza appartiene alla natura dell’ente sommamente perfetto» (RI: 114).
Su questo tipo di prova, dopo Kant nota come «prova ontologica», e sulla sua storia da
Anseimo in poi, cf. D. HENR1CH, Der ontologische Gottesbeweis. Sein Problem und seine
Geschichte in der Neuzeit, Mohr, Tubingen 1960 (trad. it., La prova ontologica dell’esi
stenza di Dio. La sua problematica e la sua storia nell’età moderna, Prismi, Napoli 1983);
E. SCRIBANO, L'esistenza di Dio. Storia della prova ontologica da Descartes a Kant, Later
za, Roma-Bari 1994; K.J. HARRELSON, The Ontological Argument from Descartes to He
gel, Humanity, Amherst (NY) 2009.
66 Sistemi filosofici moderni
garante di ogni altra certezza, anche di quella degli oggetti della mathe-
sis. Secondo Descartes, la limitatezza della mente è tale per cui l’uomo
può scivolare nel dubbio anche rispetto a ciò che un tempo aveva ap
preso chiaramente, e persino una proprietà certa, come l’uguaglianza
della somma degli angoli interni di un triangolo a due retti, se l’occhio
della mente smettesse di prestarvi attenzione e venisse sviato da altre
ragioni, potrebbe non essere più percepita chiaramente.
Invece, dopo aver percepito l’esistenza necessaria di Dio e che
tutte le altre cose dipendono da Dio, e che Dio è verace, allora il fatto
che «tutto ciò che percepisco chiaramente e distintamente è necessa
riamente vero, anche se non prestassi più attenzione alle ragioni per
cui l’ho giudicato vero, non può essere addotta alcuna ragione contra
ria che mi spinga a dubitarne» (M5: 70). Ciò accade perché l’esistenza
necessaria di Dio non è solo una verità particolare, alla stregua di
2 + 2 = 4, ma è anche allo stesso tempo la condizione di possibilità
dell’orizzonte veritativo stesso. Grazie a Dio so che la verità è possibi
le, che le mie facoltà conoscitive non sono in sé fallaci e che, anche se
mi sbaglio, ho comunque la possibilità di riparare al mio errore, senza
essere consegnato a un relativismo insensato.
Obiezioni e risposte
Le obiezioni alla Meditazione V hanno dato vita a un dibattito
sostanziale, ancora oggi non sopito: Caterus (Ol: 96-100; RI: 114-
120); il sesto punto sollevato dai teologi vari [Mersenne] (02: 127;
R2: 149-152); Hobbes (OR3: 193-194); l’ultimo, decisivo, scrupolo di
Arnauld (04: 214; R4: 245-247); Gassendi (05: 318-328; R5: 379-
384); l’ottavo scrupolo del circolo dei savants [Mersenne] (06: 417-
418; R6: 435-436). Da questo scambio emergono almeno due questio
ni talmente ampie e complesse, da non permettere qui che un rapido
disegno dei loro tratti principali: (a) la validità della prova dell’esisten
za di Dio dalla sua natura, la cosiddetta prova ontologica; (b) il proble
ma del circolo per cui Dio sarebbe garante del criterio dell’evidenza
presupposto nella dimostrazione della sua esistenza.
Le Obiezioni I di Caterus rinfocolano una querelle vecchia di
secoli, ossia la critica di Tommaso d’Aquino alla prova anselmiana, as
sumendo gli argomenti avanzati dal Dottore angelico per rilanciarli
contro Descartes123. Caterus dapprima mette in parallelo il testo di
potenza, che esso può esistere per propria forza (propria sua vi posse existere),
potremmo da qui concludere che esso esiste nella realtà ed è esistito dall’eter
nità: è infatti notissimo per lume naturale che ciò che può esistere per propria
forza esiste sempre.
126 Sul complesso intreccio delle diverse definizioni di Dio in Descartes, cf. Ma-
RION, Sur le prisme métaphysique, cit., 217-292; sinteticamente ripreso in Id., The essen-
tial incoherence of Descartes’ definition of divinity, in OKSENBERG RORTY (ed.), Essays on
Descartes’ Méditations, cit., 297-338.
127 E questa la conclusione a cui giunge E. SCRIBANO, L’existence de Dieu, in
BEYSSADE-MARION (edd.), Descartes. Ohjecter et répondre, cit., 303-304, sulla scia di
J.-L. MARION, E»tre analogie et principe de raison: la causa sui, ivi, 319-327.
128 Tralascio le importanti obiezioni di Gassendi, la cui chiave argomentativa, os
sia che l’esistenza non può essere considerata una perfezione bensì il porsi della cosa,
senza la quale nessuna perfezione può essere posta, verrà in effetti ripresa da Kant.
Le Meditazioni di Descartes 71
ma di sapere che Dio esiste, dobbiamo sapere che è vero tutto ciò che
è da noi percepito chiaramente ed evidentemente» (04: 214).
Nel rispondere ad Arnauld (R4: 245-246), Descartes rimanda a
quanto aveva già replicato ai secondi obiettori [Mersenne] (R2: 140-
146), quando, a proposito di un passo della Meditazione III, essi ave
vano sollevato la questione della circolarità tra la certezza di essere una
res cogitans e la necessità di provare l’esistenza di Dio per poter elimi
nare «completamente»129 ogni dubbio (02: 124-126). Tale circolarità,
inoltre, porterebbe alla conseguenza per cui un matematico ateo, ov
vero che nega l’esistenza di Dio, non potrebbe conoscere chiaramente
che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti e
cose simili. Il che sarebbe manifestamente assurdo. La lunga risposta
di Descartes parte da questo chiarimento:
dove ho detto che non possiamo esser certi di alcuna cosa se non abbiajno
prima conosciuto che Dio esiste, ho mostrato espressamente di non parlare se
non della scienza di quelle conclusioni che possono ritornare alla memoria, quan
do non prestiamo più attenzione alle ragioni da cui le abbiamo dedotte (R2: 140).
129 «debbo, non appena se ne darà motivo, esaminare se Dio sia e, nel caso in cui
egli sia, se possa essere ingannatore: non mi sembra infatti di poter mai essere compieta-
mente certo [piane certus esse) di alcuna cosa se ignoro questa» (M3: 36).
72 Sistemi filosofici moderni
strato la necessaria esistenza di Dio per essere certi dell 'ego sum, infatti
tale verità è di per sé inattaccabile dal dubbio. Invece la conoscenza
scientifica, data la sua natura discorsiva, è sempre esposta al dubbio di
non ricordare o mancare qualche passaggio; ed è qui che l’esistenza ne
cessaria di un Dio verace mostra il suo ruolo determinante, in quanto
garantisce che una verità certa è comunque possibile. Tramite l’esisten
za di Dio, Descartes non vuole affatto subordinare e con ciò relativiz
zare il sapere scientifico ma, al contrario, fornirgli l’unica base vera
mente certa. Egli rimane convinto che qualunque tentativo di autofon
dazione della scienza non la renderebbe del tutto immune dal dubbio.
E una risposta convincente? Il dibattito è ancora aperto130.
130 Cf. BEYSSADE, La pbilosophie première, cit., 317-338; L.E. LOEB, The Carte
siani circle, in C o ttin gham (ed.), The Cambridge Companion, cit., 200-235; L. N ewman
- A. NELSON, Circumventing Cartesian circles, in «N o u s» 33 (1999), 370-404; G . H at -
FIELD, The Cartesian circle, in GAUKROGER, The Blackwell Guide, cit., 122-141; J. C ar -
RIERO, The Cartesian circle and thè foundations of knowledge, in B ro u g h to n -C arriero
(edd.), A Companion to Descartes, cit., 302-318.
Le Meditazioni di Descartes 73
131 Faccio notare, solo per inciso, quanto radicale sia il ribaltamento dell'ordine
delle ragioni operato dalla metafisica cartesiana, che giunge a trattare per ultimo ciò
che Aristotele trattava per primo: «Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Se
gno ne è l’amore per le sensazioni (xcóv alaGiìaewv àydjerjaLg)» (Metaph., A l, 980a 21
[trad. it., cit., II, 3]).
74 Sistemi filosofici moderni
riprenderà i diversi motivi critici nei confronti dei sensi già esaminati
nelle Meditazioni precedenti; non è un caso che alla fine questa risul
terà essere la più estesa delle sei meditazioni. Nella Meditazione I, ave
vamo visto quanto i sensi possano essere inaffidabili: non solo circa le
cose esterne (es. le illusioni ottiche), ma anche circa quelle interne (es.
il dolore che provano taluni in una parte del corpo amputata). Nella
Meditazione III, poi, avevamo escluso che le idee avventizie potessero
provare l’esistenza di qualcosa di extramentale. Infatti, avevamo nota
to che non era in base al lume della ragione che eravamo indotti a rite
nere avventizie le idee simili alle cose extramentali, bensì solo in base a
un «impulso naturale», cioè irrazionale. Perciò, il sorgere in noi delle
idee avventizie poteva benissimo essere generato da «una qualche fa
coltà a noi ignota» e non dalla realtà. Tuttavia ora, visto che al termine
della Meditazione V abbiamo provato che Dio è verace e garantisce
che noi siamo capaci di verità, non possiamo più ritenere di per sé
dubbiose tutte le sensazioni e, inoltre, se possedessimo una qualche fa
coltà nascosta certamente ne saremmo consapevoli. Quindi, il caratte
re avventizio delle sensazioni, cioè il fatto che siamo passivi rispetto al
loro presentarsi alla mente (es. sento caldo, dolore ecc., che lo voglia o
meno), denota che dall’altra parte ci deve essere una qualche facoltà
attiva, capace di produrre tali idee:
E questa non può certo trovarsi in me, perché non presuppone assoluta-
mente intellezione alcuna e queste idee sono prodotte senza che io vi contribui
sca [...]; rimane dunque che essa si trovi in una qualche sostanza diversa da me
e, poiché in questa deve inerire, o formalmente o eminentemente, tutta la realtà
che è obiettivamente nelle idee prodotte da questa facoltà (come ho già osserva
to sopra132), o questa sostanza è corpo [...]; o certamente è Dio (M6: 79).
mie idee, né avermi dato una tendenza naturale a credere che tale origi
ne sia altra da quella vera. Ergo: «le cose corporee esistono (res corpo-
reae existunt)» (M6: 80)134. Tuttavia, questa conclusione non significa
affatto sancire l’infallibilità della conoscenza sensibile, di fatto Descar
tes si affretta a puntualizzare che «questa comprensione dei sensi è in
parecchi aspetti molto oscura e confusa». Bisogna tener presente che i
sensi ci accertano dell 'esistenza dei corpi, ma ciò non significa che essi
siano in grado di renderci accessibile la loro essenza. Su quest’ultimo,
delicato, punto il filosofo aggiunge una sentenza di non facile compren
sione: «ma in esse [cose corporee] c’è almeno tutto quello che intendo
chiaramente e distintamente, ossia, considerato in generale, tutto ciò
che è compreso nell’oggetto della pura Mathesis»135. Ciò significa che
la conoscenza certa dei corpi - ovvero la fisica e tutte le scienze da essa
dipendenti136 - è limitata alle loro qualità primarie generali (estensione,
figura, movimento), mentre le qualità secondarie (colori, sapori, rumori
ecc.) e anche le percezioni quantitative particolari (misura, distanza, vo
lume ecc.) non sono oggetto di scienza certa137.
143 A Elisabetta, 28 giugno 1643: «non ritengo la mente umana capace di conce
pire distintamente, e nello stesso tempo, la distinzione tra l’anima e il corpo, e la loro
unione; questo perché è necessario, per tal fine, concepirli come una cosa sola e al tem
po stesso concepirli come due, il che è contraddittorio» (AT III: 693 [LB: 1783]); una
difficoltà dunque insita nella nostra comprensione, non nella cosa stessa, cf. Di BELLA,
Le Meditazioni metafisiche, cit., 198-199. Sui problemi sollevati dall’argomento cartesia
no sull’unione mente corpo, cf. J. COTTINGHAM, The mind-body relation, in G aukro -
GER, The Blackwell Guide, cit., 183-186.
Le Meditazioni di Descartes 79
145 Ciò che qui Descartes chiama «minuscola parte» del cervello, nelle Passioni
dell’anima I, art. 31-32. 35, descriverà come «piccola ghiandola» (AT XI: 351-353. 355-
356 [OB I: 2361. 2365-2367]), e altrove chiamerà anche «ghiandola pineale» (es. AT III:
263 [LB: 1349]), espressione con cui è universalmente conosciuta. E questo l’organo in
cui avviene la comunicazione tra mente e corpo, cf. AUCANTE, La philosophie médicale
de Descartes, cit., 239-246.
146 «Ad esempio nella corda A, B, C, D, se si tira la sua parte estrema, D, la pri
ma, A, non si muoverà in modo diverso da come anche potrebbe muoversi nel caso in
cui venisse tirata una fra quelle intermedie, B o C, e l’ultima, D, rimanesse ferma. In mo
do non dissimile, quanto sento dolore nel piede, la fisica m’insegna che quella sensazio
ne avviene attraverso i nervi situati all’interno del piede che, estesi come corde da lì sino
al cervello, mentre sono tirati nel piede, tirano anche le parti interne del cervello cui
giungono e vi suscitano un certo movimento» (M6: 87).
147 L’espressione «bontà di Dio» ricorre all’inizio (Mi: 21), ma solo per sentito
dire, e alla fine, positivamente (M6: 83. 85. 87. 88).
Le Meditazioni di Descartes 81
Obiezioni e risposte
Le Obiezioni alla Meditazione VI denotano in alcuni interlocuto
ri una certa stanchezza: Caterus concede solo poche righe all’essenza
dell’anima e alla sua distinzione dal corpo, confessando: «questo gran
de ingegno mi ha ormai così spossato che quasi non ce la faccio più»
(Ol: 100; RI: 120-121); anche Hobbes si limita ad avanzare un paio di
pallide obiezioni, ricevendo telegrafiche risposte (OR3: 194-196). Chi
invece si è gettato con passione in ampio e approfondito dibattito Sul
la natura della mente umana è Arnauld (04: 197-205; R4: 219-231), se
guito in ciò da Gassendi (05: 328-345; R5: 384-391). Mersenne, rac
cogliendo e guidando dapprima le Obiezioni II e poi le VI, sottoli
neerà a più riprese la sua perplessità circa la distinzione reale tra men
te e corpo, inducendo Descartes a una risposta originale (02: 123;
R2: 131-133; 06: 413-414; R6: 422-427)150.
punto è chiaro, come sottolinea nella sua accurata analisi dei testi
V. Chappell: «Descartes non dice mai, né in questo testo né altrove in
altri scritti, che le cose che sono unite sostanzialmente formino una so
stanza, o che la mente e il corpo umani lo facciano»156. Ergo, l’uomo
non è una sostanza individuale, bensì un composto formato dall’unio
ne sostanziale di mente e corpo. Tuttavia, il filosofo non descrive mai
direttamente le ragioni e le modalità di tale unione, quanto piuttosto la
assume come un fatto, la cui evidenza maggiore consiste nella partico
lare interazione causale che sussiste tra mente e corpo157. La mente
non è semplicemente collocata accanto al corpo come un osservatore
estraneo, che da un momento all’altro potrebbe decidere di andarsene;
neppure è posta al di sopra di esso come uno che soltanto la dirige,
potendo imprimere qualsiasi movimento riesca a concepire; ma è an
che posta al suo interno, dal momento che ne subisce gli stimoli anche
quando vorrebbe farne a meno. E dunque l’insieme di tutti questi
aspetti causali a determinare quella particolare «unione sostanziale»
che, a giudizio di Descartes, sussiste tra mente e corpo, e che propria
mente qualifica ciò che è essere uomo.
Bibliografia
Opere
1637 Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la vé-
rité dans les sciences. Plus La dioptrique, Les météores et La géomé-
trie, qui sont des essais de cete Méthode, Maire, Leyde [anonimo].
1641 Renati Des-Cartes Meditationes de prima philosophia, in qua Dei
existentia et animae immortalitas demonstratur, Soly, Paris.
1642 Renati Des-Cartes Meditationes de prima philosophia, in quibus Dei
existentia et animae humanae a corpore distinctio, demonstrantur.
His adjunctae sunt variae objectiones doctorum virorum in istas de
Deo et anima demostrationes, cum responsionibus authoris. Secunda
editio septimis objectionibus antehac non visis aucta, Elzevier, Am
sterdam [contiene la Epistola ad P. Dinet S.I.].
156 «Descartes ne dit jamais, ni dans ce texte ni ailleurs dans ses écrits, que les
choses qui sont unies substantiellement forment une substance, ou que l’esprit et le cor-
ps humains le fassent» (V. CHAPPELL, Lhomme cartésien, in BEYSSADE-MARION [edd.],
Descartes. Objecter et répondre, cit., 409 [trad. mia]); per una diversa prospettiva, cf.
D.M. C lark e , Descartes s Theory ofMind, Clarendon Press, Oxford 2003.
157 Cf. P. HOFFMAN, The union and interaction of mind and body, in BROUGH-
TON-CARRIERO (edd.), A Companion to Descartes, cit., 390-403; J. SKIRRY, Descartes and
thè Metaphysics of Human Nature, Continuum, London-New York 2005.
Le Meditazioni di Descartes 85
Opere postume
1650 Renati Des-Cartes Musicae compendium, Zijll-Ackersdijk, Utrecht.
1664 Le Monde de Mr. Descartes, ou Traiti de la lumière et des autres
principaux objets des sens, Bobin-Le Gras, Paris.
1664 LHomme de René Descartes, et un traité de la formation du fcetus,
Angot, Paris.
1667 Lettres de Mr Descartes, par C. CLERSELIER, 3 voli., Angot, Paris
16673 (16571), 16662 (16591), 1667.
1668 Traité de la mécanique, composépar Mr Descartes, Angot, Paris.
1684 Renatus Descartes, Brieven, 3 voli., ed. J.H . GLASEMAAKER,
Rieuwertsz, Amsterdam, 1661-1684 [contiene trad. nederlandese
di Regulae ad directionem ingenti; La recherche de la vérité].
1691 La vie de Monsieur Des-Cartes, par A. BAILLET, 2 voli., Horthe-
mels, Paris [contiene testi di Descartes altrimenti perduti: Olympi-
ca; Experimenta ecc.].
1701 R. Des-Cartes Opuscula posthuma, physica et mathematica, Blaev,
Amsterdam [contiene: Excerpta mathematica; Regulae ad directio
nem ingenti; trad. latina di La recherche de la vérité\.
86 Sistemi filosofici moderni
Edizioni moderne
1897-1913 CEuvres de Descartes, par C. A d AM et P. TANNERY, 12 voli., Cerf,
Paris; nouvelle présentation par J. BEAUDE - P. COSTABEL - A. G ab-
BEY - B. R o c h o t , 11 voli., Vrin, Paris 1964-74; anast. Vrin, Paris
1996.
1973 CEuvres, par F. A lq u iÉ , 3 voli., Garnier, Paris.
2002 La recherche de la vérité par la lumière naturelle, a cura di E. LOJA-
c o n o - E.J. Bos - F.A. M e sc h in i - F. S a it a , Franco Angeli, Milano.
2005 Tutte le lettere. 1619-1650, testo francese, latino e olandese a fron
te, a cura di G. BELGIOIOSO, con la collaborazione di I. AGOSTINI -
F. M a r r o n e - F.A. M e sc h in i - M . Savin i - J.R. A r m o g a th e , B o m
piani, M ilano [in appendice: Indice biografico dei corrispondenti,
Bibliografia, Lessico, Indice dei nomi del volum e].
2009 Opere. 1637-1649, testo francese e latino a fronte, a cura di G.
BELGIOIOSO, con la collaborazion e di I. AGOSTINI - F. MARRONE -
M . SAVINI, Bom piani, M ilano.
2009 Opere postume. 1650-2009, testo francese, latino e olandese a fronte,
a cura di G. BELGIOIOSO, con la collaborazione di I. AGOSTINI - F.
M a r r o n e - F.A. M e sc h in i - M. Savini, Bompiani, Milano [in appen
dice: Lessico delle opere, Bibliografia, Indice dei nomi dei tre volumi].
Studi generali
1986 COTTINGHAM J., Descartes, Blackwell, Oxford; trad. it., Cartesio, Il
Mulino, Bologna 1991.
1988 CRAPULLI G., Introduzione a Descartes, Laterza, Roma-Bari.
1991 MARION J.-L., Questions cartésiennes, Presses Universitaires de
France, Paris.
1992 COTTINGHAM J. (ed.), The Cambridge Companion to Descartes,
Cambridge University Press, Cambridge.
1996 MARION J.-L., Questions cartésiennes II, Presses Universitaires de
France, Paris.
2001 BEYSSADE J.-M., Études sur Descartes, Seuil, Paris.
2007 MARION J.-L. (ed.), Descartes, Bayard, Paris.
2008 B r o u g h t o n J. - CARRIERO J. (edd.), A Companion to Descartes,
Blackwell, Malden (MA).
2010 MORI G., Cartesio, Carocci, Roma.
Fonti bibliografiche
1972- Bulletin cartésien, in «Archives de Philosophie» [pubblicazione an
nuale, consultabile anche on-line dal 2003: www.archivesdephilo.
com].
Capitolo Secondo
L'ETICA DI SPINOZA
4 Cf. Simon de Vries a Spinoza, 24 febbraio 1663 (Ep. 8 in G IV: 38-41 [OS:
1838-1843]).
5 Cf. B. SPINOZA, Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand
- Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene, introduzione, edizione, traduzione e com
mento di E M ig n in i , Japadre, L’Aquila 1986; E MlGNINI (ed.), Dio, l'uomo, la libertà.
Studi sul «Breve Trattato» di Spinoza, Japadre, L’Aquila 1990.
6 Verosimilmente Jarig Jellesz e Lodewijk Meyer.
7 O P [39], in italiano: «ETICA, dimostrata in ordine geometrico, e, divisa in
cinque parti, nelle quali si tratta: I. Di Dio. II. Della Natura e Origine della MENTE. III.
Dell’Origine e Natura degli AFFETTI. IV. Della SCHIAVITÙ umana, ossia delle FORZE DE
GLI a f f e t t i . V. Della P o te n z a d e l l ’I n t e l l e t t o , ossia della L ib e rtà umana».
L'Etica di Spinoza 91
13 Supra, 22.
14 Cf. F. MlGNINI, L'Etica di Spinoza. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma
1995, 30-34; S. NADLER, Spinoza s Ethics. An Introduction, Cambridge University Press,
Cambridge 2006, 35-51; P. STEENBAKKERS, The Geometrical Order in thè Ethics, in Koi-
STINEN (ed.), The Cambridge Companion to Spinoza s Ethics, cit., 42-55.
15 Cf. S. N adler , Spinoza. A life, Cambridge University Press, Cambridge 1999,
198. 205-206 (trad. it., Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento, Einaudi, Torino 20092,
218. 228-229).
16 G l : 127 (OS: 371).
17 Si discute sul valore puramente nominale oppure reale delle definizioni, se
condo una distinzione avanzata dallo stesso Spinoza in una lettera A Simon de Vries,
febbraio 1663 (Ep. 9 in G IV: 42-44 [OS: 1845]); cf. M. GUEROULT, Spinoza. I. Dieu
(Éthique, I), Aubier-Montaigne, Paris 1968, 19-40; N adler , Spinoza s Ethics, cit., 46-48.
L'Etica di Spinoza 93
18 Per dare un’idea della distribuzione di questi elementi nel complesso dell 'Etica:
I II III IV V Tot.
definizioni 8 711 3 8 - 27
assiomi 7 515 - 1 2 20
postulati - -16 2 - - 8
proposizioni 36 49 59 73 42 259
corollari 15 18 14 17 8 72
scolti 14 22 37 39 17 129
94 Sistemi filosofici moderni
19 Nella prima riga della V Parte dell 'Etica si legge: «Transeo tandem ad alteram
Ethices partem, quae est de modo sive via quae ad libertatem ducit». Questa è l’unica oc
correnza nel corpo del testo (titoli esclusi) in cui compare il termine Ethica (in tutto il
manoscritto Vaticano il termine appare solo in questo luogo). Tale brano può essere in
teso in due sensi: (a) «Passo infine all’altra parte dell’etica, la quale tratta del modo o via
che conduce alla libertà», in questo caso la V Parte (libertà) è l’altra rispetto alla IV Par
te (schiavitù), intendendo che queste due parti formano un sottoinsieme ove si trattano
temi etici; (b) «Passo infine alla seguente parte dell’Etica [...]», intendendo così la V
Parte come l’ultima nel complesso di un’opera dal nome Etica. Tuttavia, il fatto che Spi
noza nelle righe immediatamente seguenti al passo citato parli della matematica e della
logica, per distinguere il loro oggetto da quello della V Parte, lascia decisamente propen
dere a favore di (a).
20 «le projet global d ’une éthique, dont la servitude humaine (servitus humana)
constitue le point de départ et la liberté humaine (libertas humana) l’aboutissement» (P
MACHEREY, Introduction à /'Éthique de Spinoza, 5 voli., Presses Universitaires de France,
Paris 1994-1998, V, 29 [trad. mia]).
21 «il faut que soit substituée aux forces des affects (vires affectuum) - et ici le
pluriel désigne une dispersion dispensatrice d’une multiplicité de conflits potentiels -,
une nouvelle puissance [potentia), dont la présentation au singulier exprime à l’inverse
la fonction unificatrice» (MACHEREY, Introduction à /'Éthique, cit., V, 29 [trad. mia]).
L'Etica di Spinoza 95
Per lungo tempo, i lettori dell 'Etica, fermandosi alla lettura della
sola I Parte, hanno compreso l’insieme dell’opera come se fosse nul-
l’altro che un puro trattato di metafisica23. In effetti, la prospettiva top-
down che l’opera induce nel lettore sembra ridurre l’intero contenuto
a ciò che costui incontra immediatamente, cioè a Dio. E vero che se si
prescinde da quanto dimostrato nella I Parte, le seguenti mancano di
ogni fondamento argomentativo; ed è anche vero che i rimandi interni
al testo sono per lo più all’indietro, ovvero a ciò che è stato già dimo
strato. E tuttavia, se ci limitassimo alla I Parte dell 'Etica, ovvero a sta
bilire ciò che Dio è e fa, la domanda sorgerebbe spontanea: ma tutto
ciò, cosa ha a che fare con noi? Inoltre, tutto ciò che lì è pensato e det
to su Dio, come è stato possibile pensarlo e dirlo? ovvero, quale rela
zione sussiste tra la nostra intelligenza e Dio, tale da renderci in grado
di affermare tutto ciò? E perché, anche se magari comprendiamo e sia
mo persino convinti della verità di tale dottrina su Dio, continuiamo a
vivere e a comportarci come se la ignorassimo del tutto? Queste e altre
domande mostrano quanto sia insufficiente leggere l'Etica come se fos
se un’opera metafisica non solo nel suo oggetto ma nella sua stessa for
ma: dotata di un inizio assoluto, totalmente autofondante. Quasi essa
non fosse stata scritta da un’intelligenza umana, ma fosse frutto di una
sorta di “autorivelazione” ontologica.
23 Nel giugno del 1678, sei mesi dopo la pubblicazione degli Opera posthuma,
un decreto degli Stati generali vietò nelle province d’Olanda YEtica e le altre opere di
Spinoza. L’accusa di ateismo, che aveva perseguitato l’autore già in vita, si abbatté sul
l’insieme delle sue opere e persino sulla filosofia ritenuta alla base di tale pensiero, quel
la di Descartes. Essere “spinozista” era divenuta un’accusa infamante. Da lì in avanti
YEtica divenne di fatto un’opera clandestina e il pensiero di Spinoza fu noto ai più tra
mite soprattutto il lungo articolo che P. Bayle gli aveva dedicato nel suo Dictionnaire hi-
storique et critique (1697), coniando la celeberrima definizione di «ateo virtuoso». Tutta
via, nel 1785, con la pubblicazione del volume Sulla dottrina di Spinoza in lettere al Si
gnor Moses Mendelssohn, F.H. Jacobi offrì un’esposizione del sistema spinoziano, che
suscitò nella filosofia e nella letteratura tedesca un notevole clamore - sfociato nel
Pantheismusstreit (controversia sul panteismo) - ma anche una sua vera “rinascita”, ca
pace di esercitare un profondo influsso su filosofi come Fichte, Schelling, Hegel e Scho
penhauer. Sulla scia di questo dibattito, nel 1802-03 le opere di Spinoza furono ripub
blicate a Jena. Cf. H. Han-D ing, Spinoza und die deutsche Philosophie. XJntersuchung
zur metaphysischen Wirkungsgeschichte des Spinozismus in Deutschland, Scientia, Aalen
1989; P.-F. MOREAU, Spinozas reception and influence, in D. Garrett (ed.), The Cambrid
ge Companion to Spinoza, Cambridge University Press, Cambridge 1996, 408-433; Id.,
Spinoza et le spinozisme, Presses Universitaires de France, Paris 20072, 109-124; F. Ml-
GNINI, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2006, 173-208; E. SCRIBANO, Guida
alla lettura dell'Etica di Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2008, 164-176.
L'Etica di Spinoza 97
1. Nozioni prime
La I Parte dell’E x ha, in breve, la seguente struttura: inizia
dando 8 definizioni e 7 assiomi, in base a questi dimostra 36 proposi
zioni - divisibili in due grandi sviluppi successivi: da 1-15 quelle che
trattano di tutte le cose che «sono in Dio {in Deo sunt)», da 16-36
quelle che trattano di tutte le cose che «da Dio dipendono {a Deo de-
pendent)»24 - e si conclude infine con una lunga Appendice, dedicata a
smascherare la falsità del pregiudizio teleologico.
Le prime otto definizioni sono di estrema importanza, non solo
perché costituiscono la base speculativa originaria del sistema, ma so
prattutto perché contengono in nuce l’itinerario complessivo del De
Deo23. Queste definizioni - delle quali, in questo caso particolare, pre
ferisco riportare il testo - vanno lette secondo quattro blocchi succes
sivi, dei quali il primo comprende Eldl-2:
1. Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza; ossia ciò
la cui natura non può esser concepita se non come esistente.
2. Si dice finita nel suo genere quella cosa che può essere delimitata da
un’altra della medesima natura. Per esempio, un corpo è detto finito, perché
ne concepiamo un altro sempre maggiore. Del pari, un pensiero è delimitato
da un altro pensiero. Ma un corpo non è delimitato da un pensiero, né un
pensiero da un corpo26.
24 «M a tutte le cose, che sono, sono in Dio {At omnia, quae sunt, in Deo sunt) e
da Dio dipendono a tal punto {et a Deo ita dependent), che senza di esso non possono
essere, né essere concepite {ut sine ipso nec esse, nec concipipotest)» (Elp28s). È in base
a questo testo cruciale che la I Parte dell'Etica può essere divisa in due grandi sviluppi
successivi, cf. MACHEREY, Introduction à /'Éthique, cit., I, 23-24.
25 Cf. GUEROULT, Spinoza. I. Dieu, cit., 83-84.
26 «1. Per causam sui intelligo id, cujus essentia involvit existentiam; sive id,
cujus natura non potest concipi, nisi existens. 2. Ea res dicitur in suo genere finita, quae
alia ejusdem naturae terminari potest. Ex. gr. corpus dicitur finitum, quia aliud semper
majus concipimus. Sic cogitatio alia cogitatione terminatur. At corpus non terminatur
cogitatione, nec cogitatio corpore» (E ldl-2).
27 «Quando si ricerca il perché delle cose, si ricerca sempre perché qualcosa ap
partiene a qualcos’altro» {Metaph., Z ìi, 1041a 10-11 [trad. it., ARISTOTELE, Metafisica, a
cura di G. REALE, 3 voli., Vita e Pensiero, Milano 1993, II, 361]).
100 Sistemi filosofici moderni
28 Supra, 53-54.
29 A Jarig Jellesz, 2 giugno 1674 «Quanto al fatto che la figura sia una negazione
e non già qualcosa di positivo, è evidente ché l’intera materia, considerata indefinita
mente, non può avere alcuna figura e che la figura può aver luogo soltanto nei corpi fini
ti e limitati. [...] Poiché dunque la figura non è altro che la determinazione, e la deter
minazione è negazione, [la figura] non potrà essere altro, come ho detto, che una nega
zione» (Ep. 50 in G IV: 240 [OS: 2077]). Sarà poi Hegel a consacrare tale idea con la
nota formula: omis determinatici est negatio-, cf. Y.Y. MELAMED, «Omnis determinatio est
negatio»: determination, negation, and self-negation in Spinoza, Kant, and Hegel, in E.
F ò RSTER - Y.Y. M elam ed (edd.), Spinoza and German Idealism, Cambridge University
Press, Cambridge 2012, 175-196.
L'Etica di Spinoza 101
due conclusioni principali: (a) «Sostanza è quella detta nel senso più
proprio e in senso primario e principalmente, la quale né si dice di
qualche soggetto né è in qualche soggetto: ad esempio, un certo uomo
o un certo cavallo»35 (es. il predicato ‘bianco’ è in Socrate e ‘uomo’ si
dice di Socrate); (b) sostanza prima è la forma di una certa materia (es.
per Socrate è la sua anima, in quanto forma del corpo, a essere causa
dell’essere Socrate)36. Aristotele giunge alla prima conclusione nelle
Categorie, ovvero nel contesto dello studio della predicazione, dove
Yousia viene fatta precipitare verso Yhupokeimenon, cioè verso ciò che
sostiene tutte le proprietà. Egli giunge poi alla seconda conclusione nel
libro Z della Metafisica, perché consapevole dell’insufficienza dello
sguardo meramente predicativo e deciso ad andare oltre, alla ricerca
della causa dell’essere37, che trova infine nella forma individua di una
certa materia. In entrambi i casi - dobbiamo notare - la sostanza è de
finita nella sua relazione con gli accidenti o la materia, e questo signifi
ca che per sostanza non si intende affatto un qualcosa di perfettamen
te completo e a se stante, sul quale verrebbero a cadere determinate
proprietà rispetto alle quali esso resterebbe del tutto indifferente, ben
sì una relazione di sostanzialità (es. l’anima di Socrate è forma di quel
particolare corpo materiale che è il corpo di Socrate). Per Aristotele,
dunque, sostanza e accidenti sono entrambi principi che nella loro cor
relazione spiegano perché le cose, che sono, sono ciò che sono.
Nei Principia philosophiae Descartes definisce, invece, la sostan
za come un tutto a se stante, in sé e per sé: «Per sostanza non possia
mo intendere altro se non una cosa che esiste di maniera tale da non
aver bisogno di alcun’altra cosa per esistere (nulla alia re indigeat ad
existendum)»^*. Da ciò egli deve immediatamente concludere che: «c’è
certo un’unica sostanza che può essere intesa come tale da non aver
bisogno di alcun’altra cosa, Dio». Con la conseguenza che Descartes è
39 Per Tommaso d’Aquino, Dio non può essere propriamente detto sostanza,
perché in lui non vi sono accidenti, cf. STh I, q. 29, a. 3.
40 Talvolta Spinoza usa i termini ?nodificazione o affezione come sinonimi di mo
do, mentre accidente è usato, quasi sempre, nell’espressione avverbiale per accidente vs
per sé o per natura. Per non rendere la vita troppo complicata al lettore alle prime armi,
non tratterò della questione, assai complessa, dei modi infiniti, mediati e immediati, cf.
E. GlANCOTTI, On thè problem o f infinite modes, in Y. Y o vel (ed.), God and Nature.
Spinoza s Metaphysics, Brill, Leiden 1991, 97-118; N a dler , Spinoza s Ethics, cit., 87-98.
41 Secondo quanto Descartes afferma nei Principia I, art. 53: «È ben vero che
una sostanza è conosciuta a partire da un qualunque suo attributo; ma tuttavia ogni so
stanza ha una sola proprietà principale, che costituisce la sua essenza o natura, e alla
quale si rapportano tutte le altre sue proprietà» (AT V ili: 25 [OB I: 1747]).
104 Sistemi filosofici moderni
quella certa essenza, ovvero è ciò che è. Nella sua definizione Spinoza
riferisce l’attributo alla «percezione» che l’intelletto ha della sostanza.
Questo aspetto ha acceso un dibattito circa il ruolo da attribuire
a tale percezione, in quanto sono possibili almeno due posizioni, una
più “soggettivista”, l’altra più “oggettivista”: (a) la sostanza è di per sé
neutra e indifferente, perciò l’attributo dipende solo dalla percezione
che l’intelletto ha di essa e non è in sé qualcosa di reale; (b) l’attributo
è percezione immediata della sostanza, perciò non si dà mai alcuna
concezione di essa prescindendo dall’attributo, il quale possiede per
tanto un proprio valore ontologico. Senza entrare nei dettagli di que
sto annoso dibattito42, si può dire che la soluzione più equilibrata sem
bra essere quella che comprende entrambe le posizioni: la sostanza è
l’identica unità d’esistenza degli attributi che si esprime simultanea
mente in ciascuno di essi. Dal canto suo, l’intelletto, in quanto incapa
ce di comprendere tale infinita simultaneità attributiva, coglie la so
stanza sempre sotto un determinato attributo. L’infinità degli attributi
emerge più chiaramente solo con la definizione sesta:
6. Intendo Dio come ente assolutamente infinito, ossia sostanza che
sta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna e infinita43.