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ISBN 978-884673721-2
IN TR O D U ZIO N E
Analitici posteriori, in Id., Nuovi studi aristotelici, 4 voli., Morcelliana, Brescia 2004-
2010, IV/1, 239-254.
9 BERTI, Metafisica e dialettica nel Commento di Giacomo Zabarella, cit., 242.
10 AT IX/2: 14 (trad. it., R. DESCARTES, Principi della filosofia, in Id., Opere.
1637-1649, a cura di G. BELGIOIOSO, Bompiani, Milano 2009,2231).
11 J.-F. COURTINE, Suarez et le systèrne de la métaphysique, Presses Universitaires
de France, Paris 1990 (trad. it., Il sistema della metafisica. Tradizione aristotelica e svolta
di Suàrez, a cura di C. ESPOSITO, Vita e Pensiero, Milano 1999).
10 Sistemi filosofici moderni
25 «il sistema come complessità organizzata può essere riconosciuto per la pre
senza di interazioni forti, non lineari, e la sua totalità definisce un tipo logico superiore
rispetto alla relazione analisi-somma» (V. D e ANGELIS, La logica della complessità. Intro
duzione alle teorie dei sistemi, Bruno Mondadori, Milano 1996, 2); cf. il classico saggio
di L. VON BERTALANFFY, General System Theory. Foundations, Development, Applica
tions, Braziller, New York 1968 (trad. it., Teoria generale dei sistemi, a cura di E. BELLO
NE, Isedi, Milano 1971).
26 CHIEREGHIN, Rileggere la Scienza della logica di Hegel, cit., 17.
14 Sistemi filosofici moderni
YEtica di Spinoza, che è certo l’esempio che per primo salta alla mente
quando si pensa a un’opera filosofica dell’età moderna che non solo se
gue una metodologia altamente gerarchizzata, ma soprattutto elabora
una visione onnicomprensiva; poi anche le Meditazioni di Descartes, le
quali, sebbene non esplicitamente destinate a essere un sistema, tratta
no di «tutte le cose prime» in un rigoroso percorso analitico, nel quale
è illuminato ciascuno degli ambiti della filosofia cartesiana (Dio, uomo,
mondo); e anche il Saggio di Locke, che propone un’indagine filosofica
integrale dell’intelligenza umana e di tutto ciò che, di conseguenza, ca
de sotto la sua lente; nonché il Trattato di Hume, che pretende di com
prendere l’orizzonte dell’esperienza, indagando scientificamente la na
tura umana sotto ogni suo aspetto (cognitivo, passionale, sociale).
Dopo aver analizzato questi quattro sistemi filosofici moderni,
ho ritenuto di dover quantomeno aprire lo sguardo verso il rapporto
sussistente tra la filosofia critica e l’idea di sistema in Kant. Per fare
ciò, ho scelto di analizzare la Prefazione alla seconda edizione della
Critica della ragion pura, giacché quel testo - scritto quando oramai la
Critica della ragion pratica era stata redatta - non solo ci consente di
afferrare alcuni degli elementi basilari della filosofia critica, ma anche
di cogliere la difficoltà in cui Kant viene a trovarsi, nel dover ulterior
mente aprire e ridefinire il suo sistema.
Come il lettore potrà notare, io non mi arrischio nel ricostruire i
sistemi filosofici di questi autori moderni dall’esterno, cioè mettendo
insieme per ciascuno di costoro scritti di diversa natura, redatti e pub
blicati in epoche diverse. Tento, invece, di leggere come sistema quella
singola opera di ciascuno, che non solo rappresenta un’unità testuale
compiuta in sé, ma che ha anche la pretesa di articolare l’intero oriz
zonte del sapere all’interno di un discorso unitario. Ecco perché alcuni
importanti pensatori moderni, come ad esempio Hobbes o Berkeley,
Leibniz o Malebranche non avendo lasciato nessuna opera che - per
quanto io vedo - possa essere adeguatamente letta come un sistema fi
losofico, non cadono dentro la mia indagine.
Sebbene l’ordine dei capitoli rispecchi la cronologia di pubblica
zione delle opere in questione e queste coprano più o meno l’arco
temporale dell’età moderna, il percorso che traccio in questo libro non
ha la minima pretesa di essere una storia della filosofia moderna. Una
storia, per essere tale, deve possedere continuità tra le sue parti crono
logicamente ordinate. Il che comporterebbe la necessità di occuparsi
non solo dei grandi pensatori ma anche di quelli ritenuti minori, non
solo delle opere più note ma anche di quelle meno conosciute, e non
Introduzione 15
Opere
A Kritik der reinen Vernunft, 1781 (AA IV).
B Kritik der reinen Vernunft, 1787 (AA III).
EI-IV Essay concerning Human Understanding.
E 1-5 Ethica, ordine geometrico demonstrata (OP; G II; OS).
M Meditationes de prima philosophia (AT VII; OB I).
O Objectiones (AT VII; OB I).
R Responsiones (AT VII; OB I).
T Treatise of Human Nature (SB; OPT).
Edizioni
AA Kants gesammelte Schriften, hrsg. von der Kòniglich Preufiischen,
Deutschen, Berlin-Brandenburgischen Akademie der Wissenschaften,
28 voli., Berlin 1900-.
AT CEuvres de Descartes, par C. A d am - P. TANNERY, 12 voli., Paris 1897-
1913.
G Spinoza Opera, ed. C. GEBHARDT, 4 voli., Heidelberg 1925.
LB R. D e s c a r t e s , Tutte le lettere. 1619-1630, a cura di G. BELGIOIOSO,
Milano 2005.
OBI R. D e s c a r t e s , Opere. 1637-1649, a cura di G. BELGIOIOSO, Milano
2009.
OB II R. D e s c a r t e s , Opere postume. 1650-2009, a cura di G. BELGIOIOSO,
Milano 2009.
OP B.d.S. [Benedictus de Spinoza], Opera posthuma, [Amsterdam] 1677.
OPT D. H um e, A Treatise of Human Nature, ed. D.F. NORTON - M.J. NOR
TON, Oxford 2000.
OS B. S p in o z a , Tutte le opere, a cura di A. SANGIACOMO, Milano 2010.
SB D. Hume, A Treatise of Human Nature, ed. L.A. SELBY-BlGGE, rev.
P.H. NlDDlTCH, Oxford 1978.
Capitolo Primo
LE MEDITAZIONI DI DESCARTES
13 AT VII: 9-10 (OB I: 691-693); cf. anche AT VII: 158-159 (OB I: 889).
14 AT VI: 128 (OB I: 851); per more geometrico si intende il modo di esporre
dei trattati di geometria, sul modello degli Elementi di Euclide, che cominciavano con
una serie di definizioni (punto, linea, superficie ecc.) cui seguivano diversi postulati, as
siomi e infine teoremi dimostrabili ricorrendo a tutti gli assunti precedenti.
15 AT VII: 160-170 (OB I: 893-907).
16 Infray92-93
Le Meditazioni di Descartes 23
17 AT VII: 155 (OB I: 885); la questione delVordine delle ragioni è stata al cen
tro di un esteso dibattito acceso da M. GUEROULT, Descartes selon l’ordre des raisons. I.
LAme et Dieu. II. UAme et le corps, Aubier, Paris 1953; cf. Cahiers de Royaumont. 2.
Descartes, Minuit, Paris 1957; J.-M. BEYSSADE, La philosophie première de Descartes. Le
temps et la cohérence de la métaphysique, Flammarion, Paris 1979, 14-19; MARION, Sur le
prisme métaphysique, cit., 43-59; S. Di BELLA, Le Meditazioni metafisiche di Cartesio. In
troduzione alla lettura, La Nuova Italia Scientifica-Carocci, Roma 1997, 13-31; KAMBOU-
CHNER, Les Méditations métaphysiques, cit., 113-136.
18 AT VII: 155-156 (OB I: 885); trad. modificata.
19 Per il parallelismo tra le Meditazioni e gli Esercizi spirituali di s. Ignazio di
Loyola, cf. G. HATFIELD, The senses and thè Fleshless Eye: thè Méditations as cognitive
exercises, in A. OKSENBERG R orty (ed.), Essays on Descartes’ Méditations, University of
California Press, Berkeley-Los Angeles-London 1986,45-79.
20 Questa apparente inversione è puntualmente analizzata da J.-M. BEYSSADE,
Lordre dans les Principia, in J.-L. M arion (ed.), Descartes, Bayard, Paris 2007, 101-104.
21 L’opera è menzionata per la prima volta nèh’Inventario di Stoccolma così:
«Nove quaderni rilegati insieme contenenti parte di un trattato di regole utili e chiare per
la direzione della mente nella ricerca della verità» (AT X: 9; OB II: 19). Nella corrispon
denza di quegli anni Descartes non fa mai menzione di questo testo, che venne pubbli
cato postumo in nederlandese nel 1684 e poi in latino nel 1701 nell’edizione di Amster-
24 Sistemi filosofici moderni
dam degli Opuscola posthuma, sotto il titolo Regulae ad directionem ingenti. L’assenza di
un orizzonte metafisico esplicito lascia supporre che il testo possa essere stato redatto da
Descartes tra il 1619-1628; cf. J.L . B e c k , The Method of Descartes. A Study of thè Regu
lae, Clarendon Press, Oxford 1952; J-L. M a rio n , Sur l’ontologie grise de Descartes.
Science cartésienne et savoir aristotélicien dans les Regulae, Vrin, Paris 1975.
22 Regola VI (AT X: 383 [OB II: 713)].
23 Cf. Regola X (AT X: 403-406 [OB II: 737-741]); Regola XII (AT X: 419-420.
425-426 [OB II: 757-759. 765]); per un’esemplificazione dei processi di risoluzione e
composizione di problemi empirici come l’anaclastica o l’arcobaleno, cf. D. GARBER, De
scartes et la méthode en 1637, in N. GRIMALDI - J.-L. M arion (edd.), Le discours et sa
méthode. Colloque pour le 350e anniversaire du Discours de la Méthode, Presses Univer-
sitaires de France, Paris 1987, 65-87.
24 «Atomes d’évidence» (O. H a m elin , Le système de Descartes, Alcan, Paris
1911,86).
25 Nella Regola XII Descartes ci offre una tassonomia generale delle nature
semplici, dividendole anzitutto in quelle intellettuali (es. la conoscenza, il dubbio, l’i
gnoranza, la volizione ecc.) e materiali (es. la figura, l’estensione, il movimento ecc.); poi
in comuni (es. l’esistenza, l’unità, la durata ecc.) e le logiche (es. la proprietà transitiva, le
regole della deduzione ecc.), cf. AT X: 419-420 (OB II: 757-759).
26 Cf. J.-L. MARION, Quelle est la méthode dans la métaphysique? Le róle des na-
tures simples dans les Meditationes, in J.-L. MARION, Questions cartésiennes, Presses
Universitaires de France, Paris 1991, 75-109; I d ., Cartesian metaphysics and thè role of
thè simple natures, in J. COTTINGHAM (ed.), The Cambridge Companion to Descartes,
Cambridge University Press, Cam bridge 1992, 115-139.
27 «Al contrario, invece, qui, nelle cose metafisiche, nulla richiede più impegno
Le Meditazioni di Descartes 25
del percepire chiaramente e distintamente le prime nozioni» (AT VII: 157 [OB I: 887]);
cf. quanto Descartes afferma nella Epistola dedicatoria, AT VII: 4-5 (OB I: 685).
28 Cf. S. GAUKROGER, Descartes' System of Naturai Philosophy, Cambridge Uni
versity Press, Cambridge 2002.
26 Sistemi filosofici moderni
1. Liberare la mente
Descartes antepone alle Meditazioni una Epistola dedicatoria indi
rizzata al decano e ai dottori della Sorbona, dai quali aveva tentato, in
vano, di ricevere approvazione per la propria pubblicazione32. Segue
una breve Prefazione per il lettore, nella quale l’autore pone il presente
scritto in relazione con il precedente Discorso sul metodo, nel quale te
mi metafisici analoghi erano stati saggiati, ma non trattati accuratamen
te. Infine, Descartes offre una Sinossi delle sei meditazioni che seguono,
scritta quando egli aveva già redatto le Meditazioni e potuto prendere
visione delle Obiezioni collezionate da padre Mersenne; da qui l’ampio
spazio dedicato in essa alla questione dell’immortalità dell’anima33.
Nell’incipit della Meditazione I Descartes sceglie immediatamen
te il tono intimo della prima persona e, soprattutto, pone la sua deci
sione iniziale nell’ora dell’atto meditativo:
oggi ho liberato la mente da ogni preoccupazione; mi sono preso un si
curo tempo libero; mi ritiro in solitudine; mi dedicherò finalmente, sul serio e
in libertà, a questo generale rovesciamento delle mie opinioni34 (MI: 17-18).
seguito finita sotto l’incauta divisa de omnibus dubitandum est (di ogni
cosa si deve dubitare), venendo ridotta di fatto a una forma moderna
dello scetticismo antico36, all’origine dello sforzo filosofico delle Medi-
tationes «non c’è una rinuncia, ma una volontà strenua di verità»37.
Sottoporre tutto l’opinabile (doxa) ai duri colpi del dubbio, serve a
provare se nell’edificio del sapere umano vi sia qualcosa che non si la
scia distruggere e nemmeno incrinare, qualcosa d’indubitabile e per
questo non imputabile di falsità. Si tratta evidentemente di una forza
tura, di cui Descartes è ben consapevole, ma, a suo giudizio, solo con
ducendo questo esperimento speculativo fino in fondo, sarà possibile
trovare un argomento anti-scettico assolutamente inoppugnabile.
Per fare ciò Descartes - in una sorta di dialogo fittizio evocato
dall’interno del suo soliloquio meditante - attacca anzitutto l’origine
stessa del sapere comune: i sensi. Dal momento che talvolta sperimen
tiamo la loro fallacia, cosa ci impedisce di considerarli in se stessi inaf
fidabili? E viceversa, in base a quale certezza possiamo affermare che
in questo stesso istante i sensi non ci stiano ingannando? Si potrebbe
rispondere che capita d’ingannarsi sulle cose difficili e lontane, ma
certo non su quelle più semplici e prossime. Eppure, ribadisce il filo
sofo, chi di noi non ha fatto l’esperienza del sogno, nella quale credia
mo che eventi, anche banali, ci accadano esattamente come se fossimo
svegli? Il fatto è che non possediamo alcun criterio sensibile in grado
di distinguere con certezza il sogno dalla veglia38. A questo punto De
scartes solleva un’ulteriore e più raffinata obiezione: ammettiamo pure
che le percezioni sensibili non ci offrano alcun appiglio per uscire dal
dilemma del sogno o della veglia, ma che dire di ciò che nelle cose ge
nerali e composte ne rappresenta la natura «più semplice e universale»
(MI: 20), come ad esempio l’estensione, la figura, il numero, il luogo,
il tempo ecc.? Non possiamo negare che queste nature semplici e tutte
le scienze che di esse si occupano, cioè la matematica, la geometria e
simili, godano di un’indubbia certezza.
Di fronte a questa obiezione, apparentemente insuperabile, De
scartes risponde con un colpo di teatro che spiazza il lettore, in quanto
39 Su questa dottrina, detta della libera creazione divina delle verità eterne e sul
l’ampio, complesso dibattito che ha sollevato, cf. J.-L. MARION, Sur la théologie bianche
de Descartes. Analogie, création des vérités éternelles et fondement, Vrin, Paris 19912.
Le Meditazioni di Descartes 31
Obiezioni e risposte
Le obiezioni direttamente dedicate alla Meditazione I sono tre:
Hobbes (OR3: 171-172), Gassendi (05: 257; R5: 348-349) e Bourdin
(OR7: 454-477). Thomas Hobbes riduce l’intero contenuto della Medi
tazione I alla questione dell’oggettività sensibile, poi ne riconosce la
«verità» e, infine, bolla il tutto come «vecchie cose», note sin da Plato
ne, che Descartes avrebbe fatto meglio a non mischiare con le sue nuo
ve speculazioni41. Al primo punto Descartes non replica, mentre si pre
mura di precisare che «Le ragioni di dubitare che qui il filosofo am
mette come vere non sono state da me proposte se non come verosimi
li» (OR3: 171). Il fatto è che per Hobbes tutta la faccenda del dubbio
si riduce in fondo alla teoria platonica del fenomeno sensibile, che a lui
appare come qualcosa di ovvio. La Meditazione I invece, ha lo scopo di
«preparare gli animi dei lettori a considerare le cose intellettuali e a di
stinguerle dalle corporee» (OR3: 172), ossia ad aiutare il lettore a sca
valcare il senso comune per accedere alla riflessione filosofica.
Le Obiezioni VII, a opera del gesuita Pierre Bourdin, redatte
sotto forma di una lunga dissertazione, sono quelle che pongono in as
soluto più argomenti contro il dubbio, ma purtroppo muovendo da un
punto di vista vetero scolastico così distante dall’argomentare cartesia
no da generare di fatto un «dialogo tra sordi»42.
Tutto il contrario con il filosofo e astronomo Pierre Gassendi, il
quale avanza delle obiezioni che si situano nel pieno solco della mo
2. Io sono
Nel secondo giorno il filosofo riprende la meditazione dal
profondo del gorgo in cui il dubbio lo aveva gettato. L’unica speranza
a questo punto è quella di trovare «qualcosa di certo (aliquid certi)»
(M2: 24), fosse anche soltanto il fatto che nulla è certo. Ma forse - si
chiede il meditante - esiste un che di divino che mette in me tutti que
sti pensieri? e come sapere che questo non sia a sua volta un mio pro
dotto? Eppure anche in questo caso - autoreplica Descartes - devo
pur esistere io che produco questo qualcosa che suppongo esterno a
me stesso: «Non sono forse, allora, almeno io qualcosa (saltem ego ali-
quid sum)ì»AA. Ma come qualificare e situare questa esistenza se, nella
Meditazione I, si è preso congedo dalla certezza delle percezioni sensi
bili? Infatti, «mi sono persuaso che assolutamente nulla esiste al mon
do: né cielo, né Terra, né menti, né corpi; forse che, allora, non esisto
neanch’io (etiam me non esse)}» (M2: 25). E questa l’estrema sospen
sione di assenso tentata dal dubbio: forse, io non sono.
Giunti a questo punto, assistiamo a una virata completa del flus
so meditativo fin qui intrapreso. Tutto il processo di rovesciamento in
tentato sin dall’inizio della Meditazione I si rovescia esso stesso, perché
la risposta di Descartes, stavolta, appare inattaccabile dalla corrosione
del dubbio: «Al contrario, esistevo certamente (certe ego eram) se mi
sono persuaso di qualcosa». Ma forse è il Genio maligno a indurre
questa falsa certezza? Qui la risposta rovescia il dubbio estremo in
un’estrema certezza:
Senza dubbio allora esisto anch’io, se egli mi fa sbagliare; e, mi faccia sba
gliare quanto può, mai tuttavia farà sì che io non sia nulla, fino a quando pen
serò di essere qualcosa. Così, dopo aver ben bene ponderato tutto ciò, si deve
infine stabilire che questo enunciato, Io sono, io esisto, è necessariamente vero
ogni volta che viene da me pronunciato, o concepito con la mente (M2: 25)45.
filosofia (I, art. 7)48 e che verrà consacrata dalla posterità: cogito ergo
sum. Di questo argomento notiamo almeno tre elementi immediati: (a)
il suo procedere dal dubbio, (b) la sua forma metalinguistica e (c) il
suo valore necessario di verità. Analizziamoli.
(a) Uno dei difetti ricorrenti nella spiegazione dell’argomento
del cogito è quello di isolarlo da quanto lo precede, come se si trattasse
di un argomento a sé stante, indipendente dal processo dubitativo
messo in atto nella Meditazione I. Invece, non dobbiamo dimenticare
di trovarci all’interno, meglio al limite estremo di un esperimento spe
culativo assai particolare, quello di distruggere ogni certezza allo sco
po di verificare se ve n’è almeno una che risulti inattaccabile da ogni
fronte possibile. Al vertice di questo esperimento sta l’ipotesi di un
Genio maligno sommamente potente che impiega ogni sua capacità
nel farmi sbagliare, personificazione della risoluzione massima di voler
negare ogni valore di verità alle proprie certezze. Oggetto del dubbio,
dunque, non sono tanto le cose del mondo, quanto i miei contenuti di
pensiero, meglio i miei giudizi, visto che la sua azione distruttiva con
cerne propriamente la capacità di verità dei miei contenuti mentali, (b)
Questo dato è ulteriormente rafforzato dalla forma metalinguistica che
assume l’argomento in tutti e tre i testi principali nei quali Descartes lo
espone, infatti parla nel primo caso di «questa verità (cette vérité)»,
poi di «questo enunciato (hoc pronunciatum)», e infine di «questa co
gnizione (haec cognitio)», oggettivando ogni volta la relativa formula
zione «je pense, donc je suis», «Ego sum, ego existo» ed «ego cogito, er
go sum»49. (c) Infine, notiamo come si tratti di un giudizio del tutto ec
cezionale, in quanto non solo è inattaccabile persino dal più sottile ar
gomento scettico, ma soprattutto ci impedisce anche solo di supporre
che noi siamo nulla, ponendo quindi come «necessariamente vero (ne
cessario esse verum)» non tanto una certa proprietà del soggetto, bensì
la sua stessa esistenza.
Ma come funziona l’argomento del cogito? Dal momento che in
que toutes les plus extravagantes suppositions des Sceptiques nétaient pas capables de l’é-
branler, je jugeai que je pouvais la recevoir, sans scrupule, pour le premier principe de la
Philosophie, que je cherchais)» (AT VI: 32 [OB I: 61]).
48 «E pertanto questa conoscenza: io penso, dunque sono, è tra tutte la prima e
la più certa che si presenti a chi filosofi con ordine (Ac proinde haec cognitio, ego cogito,
ergo sum, est omnium prima et certissima, quae cuilibet ordine philosophanti occurrat)»
(AT V ili: 7 (OB I: 1715]).
49 Sulla formulazione metalinguistica, cf. BEYSSADE, La philosophie première,
cit., 249-253.
Le Meditazioni di Descartes 35
che porre il principio stesso, o, come dice Aristotele, «proprio per di
struggere il ragionamento si avvale di un ragionamento (.anairon logon
hupomenei logon)»52. Tuttavia, una differenza basilare intercorre tra un
principio come quello di non contraddizione e un “principio” come
Yego existo. Certo, anche Descartes si esprime nettamente sul cogito
come principio nel Discorso sul metodo, definendolo «il primo princi
pio della filosofia che cercavo»53. Similmente, nei Principi della filoso
fia, il cogito ergo sum «è fra tutte [le cognitiones] la prima e la più certa
che si presenti a chi filosofi con ordine»54; tuttavia, più sotto, precisa di
non aver mai negato che prima di esso si possiedano delle nozioni sem
plici, come «cosa sia il pensiero, cosa l'esistenza, cosa la certezza»55, e
persino proposizioni, quali «che non può essere che ciò che pensa non
esista» (corrispondente alla maggiore del sillogismo di cui abbiamo po-
canzi discusso), ma subito chiarisce che «sono nozioni semplicissime, e
tali che da sole non ci fanno conoscere alcuna cosa esistente»56.
Quest’ultima affermazione è della massima importanza57, perché
focalizza con precisione il contenuto del nostro principio e il suo valo
re veritativo: l’esistenza singolare di me attualmente pensante. Non si
tratta dunque di una legge universale, ma a tutti gli effetti di un’infe
renza particolare. Di certo io penso è vero, perché performativamente
io non penso equivale immediatamente a penso che io non penso; ma,
dal momento che io sono non è identico a io penso, in quanto l’essere
non coincide e non è riducibile al pensare, è necessario che questa se
conda affermazione sia inferita dalla precedente58. Tale inferenza si dà
e si dà immancabilmente, dal momento che così come io non posso
dubitare che io penso, ugualmente non posso dubitare che io che at
tualmente penso sono, dal momento che mi è del tutto impossibile
pensare che io che sto pensando non sono. Il fatto che io sono, però, è
impossibile da cogliere indipendentemente dall’esercizio effettivo del
59 «Le cogito est en effet d ’une part horizon de tout ce qui est pensé, “limite du
monde”, comme le dira Wittgenstein [Tractatus logico philosophicus, n. 5], mais d’autre
part il est lui-mème un événement, un objet dans le monde, mème si le monde consiste
seulement en cet unique objet» (R. SPAEMANN, Le sum dans le cogito sum, in GRIMALDI-
M arion (edd.), Le discours et sa méthode, cit., 276; l’articolo è stato poi pubblicato an
che in tedesco, Id., Das Usuma im “cogito sum \ in «Zeitschrift fùr philosophische For-
schung» 41 [19871,377).
38 Sistemi filosofici moderni
nendosi esclusivamente dal punto di vista della prima (sim ego, qui
sum). La legittimità di un tale passaggio si basa sulla consapevolezza
che Vego existo è emerso come residuo dell’eversione delle certezze ope
rata dal dubbio, certezze che ora, facendo leva sul punto archimedeo
del cogito, il meditante può progressivamente tentare di recuperare:
«Mediterò ora di nuovo, quindi, su cosa io credevo un tempo di esse
re». Questa seconda fase della meditazione, non rappresenta però un
mero corollario della prima, bensì, come il titolo della Meditazione II
esplicita, il suo primo obiettivo: «La natura della mente umana; che essa
è più nota del corpo» (M2: 23 )60. Tra le cose che il meditante può recu
perare, nel tentativo di definire la propria natura, vi è «anzitutto, che
avevo volto, mani, braccia [...]» (M2: 26), insomma un corpo, e poi che
«mi nutrivo, camminavo, sentivo e pensavo [...]», tutte azioni riferibili
a un qualcosa comunemente chiamato anima. Su tutti questi aspetti
continua comunque a esercitare la sua funzione catartica il dubbio, an
cora impersonato dal Genio maligno, e ogni cosa sembra svanire nuo
vamente, tranne una: «il pensiero; esso soltanto non può essermi tolto
via» (M2: 27). Da qui il meditante può giungere a questa conclusione:
Nulla ammetto, adesso, se non ciò che è necessariamente vero; precisa-
mente, dunque, sono soltanto una cosa pensante, ossia una mente, o animo, o
intelletto, o ragione; parole di cui prima mi era ignoto il significato. Però sono
una cosa vera, e veramente esistente; ma quale cosa? L’ho detto: pensante
(M2: 27)61.
60 S. Di Bella nota acutamente come «il rilievo teorico del Cogito non risieda
tanto nella prova della propria esistenza contro lo scetticismo radicale (così inteso, è
tutt’altro che un’invenzione originale), quanto nel decisivo contributo all’indagine sulla
“natura della mente”. E attorno ad una certa intuizione del nesso tra conoscenza dell’e
sistenza e conoscenza della natura dell’io, che si organizza e trova unità tutto l’impianto
della IIMeditazione [ ...] » (Di BELLA, Le Meditazioni metafisiche, cit., 68). Questa ope
razione manifesta anche il preciso intento di Descartes di ribaltare la dottrina tradizio
nale, peripatetico scolastica, sull’anima, cf. J.P. CARRIERO, The Second Meditation and
thè essence o f thè mind, in OKSENBERG RORTY (ed.), Essays on Descartes’ Méditations,
cit., 199-221.
61 «Nihil nunc admitto nisi quod necessario sit verum; sum igitur praecise tan
tum res cogitans, id est, mens, sive animus, sive intellectus, sive ratio, voces mihi prius
significationis ignotae. Sum autem res vera, et vere existens; sed qualis res? Dixi, cogi
tans» (M2: 27).
62 Cf. S. LANDUCCI, La mente in Cartesio, Franco Angeli, Milano 2002; L. A la -
NEN, Descartes’s Concept ofMind, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2003.
Le Meditazioni di Descartes 39
saria come la verità dell’i o existo stesso, perché si tratta di due verità
coessenziali e inscindibili63; (b) dicendo di essere una cosa pensante,
ovvero «una cosa che dubita, intende, afferma, nega, vuole, non vuole,
immagina, inoltre, e sente» (M2: 28), Descartes non intende porre una
qualche sostanza al di sotto dell’atto di pensare, tanto meno un sostra
to di tipo psicofisico, bensì individuare nel pensare stesso, con tutta la
varietà dei suoi modi, la capacità di essere sostanza64; (c) dicendo poi
di essere soltanto un che di pensante, pone i presupposti per il cosid
detto dualismo tra mente e corpo, rovesciando la concezione peripate
tico scolastica basata da sempre sul primato dell’esperienza sensibile, e
gettando di fatto le basi per la fondazione della scienza cartesiana, ba
sata sull’intuito delle nature semplici65.
Sebbene il meditante abbia raggiunto questa nuova ulteriore
certezza, nella terza e ultima fase della Meditazione II si riaffaccia la
questione dei corpi: «ancora mi sembra e non posso impedirmi di
credere che le cose corporee [...] sono conosciute molto più distinta-
mente di questo non so che di me che cade sotto l’immaginazione»
(M2: 29). Questo tratto argomentativo va a toccare il secondo obietti
vo annunciato nel titolo della meditazione: la maggiore notorietà della
mente rispetto al corpo. Per fare ciò il filosofo si serve di un esempio
- divenuto molto celebre - che pone al centro della sua riflessione:
«questa cera, appena estratta dall’alveare» (M2: 30), con il suo sapo
re, odore, colore, figura, grandezza, consistenza ecc. Appena però la
si avvicina al fuoco, tutte le precedenti qualità mutano: svanisce l’o
dore, la figura si deforma, diventa liquida, trasparente ecc. Dal che ci
chiediamo, rimane o non rimane ancora la medesima cera? Rimane, a
detta di tutti, ma allora cosa ci ha permesso di definirla? «Certo, nulla
di ciò che coglievo con i sensi: infatti, tutto ciò che cadeva sotto il gu
sto, o l’odorato, o la vista, o il tatto, o l’udito, è ormai mutato, mentre
la cera rimane». Ma se nessuna delle indefinitamente mutevoli qualità
63 «Mi meraviglio che voi, qui, riconosciate che tutto ciò che considero nella ce
ra dimostra bensì che io conosco distintamente di esistere, non, però, chi o quale io sia,
poiché l’una cosa non si dimostra senza l’altra» (R5: 359); sulla distinzione e relazione
tra essenza reale ed essenza epistemica, cf. KEMMERLING, Das Existo und die Natur des
Geistes, cit., 44.
64 Sul valore di sostanza (termine non presente in M2) dell 'ego cogito disquisi
sce a lungo MARION, Sur le prisme métaphysique, cit., 137-216.
65 Cf. P.A. SCHOULS, Descartes and thè Possibility of Science, Cornell University
Press, Ithaca (NY)-London 2000, 25-62; E. SCRIBANO, Guida alla lettura delle Medita
zioni metafisiche di Descartes, Laterza, Roma-Bari 2000, 33-58.
40 Sistemi filosofici moderni
Obiezioni e risposte
Le obiezioni alla Meditazione II sono ben più numerose e consi
stenti di quelle mosse alla precedente. Le principali sono per mano di
diversi teologi, raccolte da Mersenne, ma in verità redatte da costui
(02: 122-123; R2: 129-133), di Hobbes (OR3: 172-179), di Arnauld
(04: 197-199; R4: 219), di Gassendi (05: 258-277; R5: 350-361) e di
Bourdin (OR7: 477-535).
Tra quelle che hanno fatto discutere maggiormente troviamo an
zitutto il dibattito con Hobbes, il quale, all’inizio della sua Obiezione
seconda, solleva un punto che non viene colto da Descartes, malaugu
ratamente portato a sottovalutare le argomentazioni del suo interlocu
tore d’oltremanica68. Il filosofo inglese, dopo aver ammesso che dal
fatto che io penso segue necessariamente che sono pensante, sostiene
che «Dal fatto che sono una cosa pensante segue Io sono perché ciò
che pensa non è un nulla» (OR3: 172). Però, dire non nulla non signifi
ca immediatamente dire io, potrebbe anche voler dire un certo qualco
sa, e quindi saremmo bensì autorizzati a dire ciò pensa, senza che que
sto qualcosa sia necessariamente un anima, un io, e non piuttosto qual
cosa d’impersonale, come un corpo69. E prosegue: «Io sono pensante,
dunque sono pensiero, non sembra un’argomentazione corretta. E nep
pure questa: sono uno che intende, dunque sono un intelletto. Nello
stesso modo potrei infatti affermare: sono uno che passeggia, dunque
sono una passeggiata» (OR3: 173); dal momento che tutti ammettono
che bisogna distinguere il soggetto dai suoi atti o dalle sue potenze.
La risposta di Descartes è invero assai sbrigativa, a sottolineare
che la domanda gli appare così fuorviante da non meritare una lunga
disamina: «Né affermo come identiche la cosa che intende e l’intelle
zione [atto], e neppure la cosa che intende e l’intelletto, se si prende
l’intelletto per la facoltà [potenza], ma solo quando lo si prende per la
cosa stessa che intende (re ipsa quae intelligit)» (OR3: 174). Sembra un
mero quiproquò, eppure l’obiezione di Hobbes è più raffinata e pene
trante di quello che sembra, perché in effetti accusa la Meditazione II
di non essere riuscita a dimostrare che sia possibile concepire un sog
getto pensante privo di estensione, ovvero non corporeo, e perciò on
tologicamente distinto dai suoi atti o potenze, come invece Descartes
rivendica70.
Una delle più note critiche al cogito la troviamo all’inizio delle
Obiezioni V, gettata lì come fosse un’owietà: «non mi sembra che ave
ste bisogno di tutto questo apparato, quando eravate d’altronde certo,
ed era vero, che voi siete, e sareste potuto arrivare alla medesima con
clusione anche a partire da qualsiasi altra vostra azione» (05: 259), co
me ad esempio «io cammino dunque sono» (R5: 352) oppure «respiro,
dunque sono»71. Descartes rimase molto deluso dalla trivialità di que
sta obiezione e in generale dalle argomentazioni di Gassendi, assu
mendo verso di lui un tono di scherno esageratamente polemico72. Ma
il problema è tutt’altro che irrilevante, e può essere formalizzato come
73 «si la maxime pour ?narcher (respirer) il faut ètre est une proposition de mème
statut que pour penser il faut ètre, pourquoi est-il légitime d’inférer Je suis de Je pense,
mais non de Je marche (respire)}» (PARIENTE, Problèmes logiques du Cogito, cit., 253
[trad. mia]).
74 A Reneri per Pollot, aprile o maggio 1638 (AT II: 37 [LB: 651)].
75 Su questo aspetto cf. J.L . C h ÉDIN, Descartes et Gassendi: le dualisme à l’é-
preuve, in BEYSSADE-MARION (edd.), Descartes. Ohjecter et répondre, cit., 163-178.
Le Meditazioni di Descartes 43
3. Dio esiste
sciente, onnipotente e creatore di tutte le cose che sono fuori di lui, ha senz al
tro in sé più realtà obiettiva di quelle attraverso le quali mi vengono fatte ve
dere delle sostanze finite (M3: 40).
80 Questa distinzione, già complicata dal fatto che in genere noi oggi usiamo il
termine oggettivo (vs. soggettivo) per indicare la realtà extramentale di qualcosa, è ulte
riormente complicata dal fatto che talvolta Descartes chiama realtà materiale quella che
qui chiama formale, (es. AT VII: 8 [O B I: 691]), cf. V. CHAPPELL, The theory ofideas, in
O k senberg R orty (ed.), Essays on Descartes’ Méditations, cit., 177-198.
81 A proposito del ruolo della causalità nella Meditazione III, J.-L. Marion parla
di un «nuovo principio» (dopo il cogito) e quindi di un «secondo inizio» delle Medita
zioni: «L a causalité, efficiente en tant que totale, ne doit intervenir qu’au moment précis
où Yego lui-méme se met en quète du fondement de sa propre existence cogitative. Et
pour transiter d’une existence d’étant cogitatif à une existence absolument fondée, lego
doit cesser de se définir à partir de l’essence de 1’ens ut cogitatum, et en appeler à une
parole plus essentielle sur l’étant dans son ètre: Yens ut causatum, dont la formulation in
tervieni alors et alors seulement, comme une incontournable évidence. Posée comme
nouveau principe, voire comme le second commencement des Meditationes, la causa dé-
ploie immédiatement et directement son autorité sur ce qu’il s’agit de surpasser, la cogi-
Le Meditazioni di Descartes 47
tatto méme» (MARION, Sur le prisme métaphysique, cit., 119). Giustamente si tratta di un
«secondo inizio» perché così come l’atto di pensare non potendo provenire dal nulla ri
chiedeva l’esistenza dell’ago - includendo implicitamente la causalità o «dal nulla non
viene nulla» - così ora, su un livello esplicito, il principio di causalità emerge nel supera
mento riflessivo col quale Yego s’interroga sul fondamento della propria esistenza.
82 Vedi l’obiezione di Caterus (O l: 92-94; RI: 102-106), di cui parleremo più
avanti.
48 Sistemi filosofici moderni
Da una rapida rassegna delle idee che «si trovano» nella mente,
oltre all’idea dell’io, scopriamo le idee di cose corporee, inanimate o
animate, l’idea di uomini simili a noi, di angeli e l’idea di Dio. Descartes
esamina quindi la realtà obiettiva di ciascuna di queste idee, giungendo
a dimostrare che non è possibile escludere che tali idee appartengano
formalmente all'ego, ovvero siano modi di esso. Tutte tranne una. L’idea
di Dio, inteso come «una sostanza infinita, indipendente, sommamente
intelligente, sommamente potente, e dalla quale siamo stati creati sia io
stesso, sia ogni altra cosa, se qualche altra cosa c’è, quale che sia»
(M3: 45)83, tanto più vi si pone attenzione, tanto meno sembra proveni
re da noi stessi. Da tutto ciò, «si deve concludere che Dio esiste neces
sariamente (Deum necessario existere, est concludendum)».
E questa la prima84 dimostrazione dell’esistenza di Dio che tro
viamo nelle Meditazioni, la cui struttura, in sintesi, è la seguente: la
realtà obiettiva delle idee deve essere sempre riconducibile a una
qualche causa formale; ma tutte le idee che trovo nella mia mente so
no formalmente riconducibili a me stesso tranne una, l’idea di Dio, in
quanto per definizione (infinito) non può avere la sua causa formale
in me (finito); quindi Dio esiste necessariamente. Il filosofo era ben
conscio che, per quanto desiderasse ridurre la sua argomentazione al
numero di passaggi minore possibile, questa necessitava di essere ul
teriormente spiegata, soprattutto tenendo conto delle resistenze che
avrebbe sollevato nei suoi lettori contemporanei: tanto nei materialisti
atei, quanto in quei “materialisti credenti” che agli occhi di Descartes
83 Qualche riga prima Descartes aveva definito sostanza: «una cosa atta ad esi
stere per sé {per se apta est existere)» (M3: 44); nei Principia I, art. 51: «Per sostanza non
possiamo intendere altro se non una cosa che esiste in maniera tale da non aver bisogno
di alcun’altra cosa per esistere {ut nulla alia re indigeat ad existendum)» (AT V ili: 24
[OB I: 1745]); cf. J.-L. M ario n , Sostanza e sussistenza. Suàrez e il trattato della substan
tia nei Principia, I, 31-34, in J.-R. ARMOGATHE - G. BELGIOIOSO (edd.), Descartes: Prin
cipia Philosophiae (1644-1994), Vivarium, Napoli 1996, 231-254; J. SECADA, The doctri-
ne of substance, in GAUKROGER, The Blackivell Guide, cit., 67-85. Sulla definizione di
Dio come substantia infinita e sul suo confronto con le altre, ens summe perfectum e cau
sa sui, cf. J.-L. MARION, The essential incoherence of Descartes’ definition of divinity, in
B ey ssa d e -M arion (edd.), Descartes. Objecter et répondre, cit., 297-338; per un esame
capillare dell’idea chiara e distinta di Dio, cf. I. AGOSTINI, Lidea di Dio in Descartes.
Dalle Meditationes alle Responsiones, Le Monnier, Milano 2010.
84 Nelle Meditationes troviamo tre argomenti per provare l’esistenza di Dio, due
detti “a posteriori” o “argomenti causali”, uno detto “a priori” o - a partire da Kant -
“argomento ontologico” : il primo, è in genere localizzato nel testo immediatamente se
guente la conclusione appena dichiarata da Descartes (M3: 45-48); il secondo occupa la
parte finale della meditazione (M3: 48-52); il terzo lo troveremo in M5: 65-69.
Le Meditazioni di Descartes 49
85 Dal punto di vista di Descartes, scolastici e libertini sono «Due avversari ap
parentemente opposti, per lui accomunati alla radice nel primato erroneamente assegna
to alla conoscenza sensibile» (Di B el l a , Le Meditazioni metafisiche, cit., 99-100).
86 Cf. I. AGOSTINI, I! infinità di Dio. Il dibattito da Suàrez a Caterus (1597-1641),
Editori Riuniti, Roma 2008.
50 Sistemi filosofici moderni
perché - come detto - la sua finitezza e fallibilità non possono che sta
gliarsi sullo sfondo della verità, ma soprattutto perché il cogito prende
coscienza di non avere egli stesso posto tale orizzonte veritativo, bensì
di accadere in esso, ovvero di essere da esso giudicabile come vero o
come falso. In questa relazione d’alterità, la domanda di senso trova la
sua risposta: «Non è soltanto per me che io sono per me. Questo signi
fica: io sono»90.
Dal punto di vista sistemico, Dio svolge nelle Meditazioni un
ruolo primario e centrale. All’inizio della Meditazione I, l’opinione di
un «Dio che può tutto» era stato il pungolo che aveva smascherato de
finitivamente la doxa della coscienza ingenua, spingendo il meditante a
radicalizzare il dubbio; al termine della Meditazione III, l’idea di Dio
proietta la finitezza del cogito sullo sfondo assoluto della verità, met
tendolo in relazione con la certezza di una causa extramentale, che
può ora fungere da prima pietra per la ricostruzione dcWepisteme.
Dio, dunque, sta tanto all’inizio dell’itinerario decostruttivo, quanto al
l’inizio dell’itinerario ricostruttivo che - come vedremo - prenderà pie
de dalla Meditazione V in avanti.
Obiezioni e risposte
Le obiezioni sollevate verso la Meditazione III sono tra le più no
tevoli di tutta l’opera, tra esse vanno annoverate quelle di Caterus
(Ol: 91-101; RI: 101-121), di teologi vari [Mersenne] (02: 123-126;
R2: 133-145), di Hobbes (OR3: 179-189), di Arnauld (04: 206-208;
R4: 231-235) e di Gassendi (05: 277-307; R5: 361-374)91. Tra queste
una serie in particolare ha destato un approfondito dibattito, quella a
cura dell’arciprete olandese Johannes Caterus, il quale non era certo
un pensatore di grande spessore e tuttavia replica sobriamente a De
scartes, partendo proprio da quella scolastica che il filosofo francese
intendeva superare e, così facendo, lo costringe a precisare e approfon
dire ulteriormente il suo pensiero92. La prima obiezione riguarda la
realtà obiettiva delle idee: «Ma che cosa significa essere obiettivamente
nell’intelletto? L’ho appreso tanto tempo fa: terminare l’atto dell’intel
90 «Ce n’est pas seulement pour moi que je suis pour moi. Cela veut dire: je
suis» (SPAEMANN, Le sum dans le cogito sum, cit., 281 [trad. mia]; I d ., Das “sum” im “co
gito sum”, cit., 381).
91 Sul ruolo dell’idea di Dio in tale dibattito, cf. AGOSTINI, L’idea di Dio in Descar
tes, cit., 89-130 (Caterus); 131-179 (Mersenne); 180-200 (Hobbes); 201-245 (Gassendi).
92 Cf. T. V er bee k , The First Objections, in A riew -G ren e (edd.), Descartes and
his Conte?nporaries, cit., 21-33; MORI, Cartesio, cit., 151-157.
52 Sistemi filosofici moderni
93 Questa prova era stata già formulata nel Discours (AT VI: 34 [OB I: 63]) e
verrà ripresa nei Principia I, art. 20-21 (AT V ili 12-13 [OB I: 1725-1727]); cf. SCRIBA-
NO, Guida alla lettura, cit., 72-81; G . HATFIELD, Routledge Philosopby Guidebook to De
scartes and thè Méditations, Routledge, Abingdon 2003, 164-181; L. N o lan - A. N e l -
SON, Proofs for thè existence ofGod, in GAUKROGER, The Blackwell Guide, cit., 105-112;
sulle obiezioni di Caterus, cf. J.-R. ARMOGATHE, Caterus Objections to God, in ARIEW-
GRENE (edd.), Descartes and his Contemporaries, cit., 34-43.
Le Meditazioni di Descartes 53
naie della creazione continua, dimostra che Vego per essere causa di sé
dovrebbe avere la forza di sostenere la propria esistenza in ogni istan
te, ma «se una tale forza fosse in me, ne sarei senz’altro cosciente»
(M3: 49). Dunque, conclude il filosofo, se la causa dell 'ego non può
essere da sé, deve essere in altro e questo altro non può che essere Dio
stesso, perché nulla meno perfetto di Dio (es. i genitori) può aver fatto
Yego tale da possedere in sé l’idea di Dio.
Di fronte a tale prova, Caterus nota immediatamente che «Que
sta è esattamente la stessa famosa via percorsa anche da san Tommaso,
che la chiamava via dalla causalità efficiente94 e che aveva desunto dal
Filosofo [Aristotele]» (Ol: 94), e poi avanza la sua obiezione: «La pa
rola da sé viene infatti presa in due modi. In un primo modo, positiva-
mente, ossia da se stesso come da una causa [...]. In un secondo sen
so, la parola da sé viene presa negativamente, così da significare la stes
sa cosa di per se stesso, ovvero non da altro\ ed è in questo modo che,
per quanto io ricordi, essa è intesa da tutti» (Ol: 95). La tradizione era
concorde nel ritenere assurdo il senso positivo delVessere da sé (in lati
no a se), per non creare il cortocircuito di qualcosa che dovrebbe veni
re prima di se stesso95 ed essere diverso da sé; perciò era ammesso solo
il senso negativo della aseità.
Descartes risponde che l’impossibilità che qualcosa sia causa ef
ficiente di se stesso è palese e vale, tuttavia, solo se si restringe il signi
ficato di causa efficiente alle cause che avvengono nel tempo o in cui
causa ed effetto sono diversi. Ma subito aggiunge che «Il lume natura
le detta però senz’altro che non esiste cosa alcuna della quale non sia
lecito domandare perché esista» (Ri: 108), infatti ragione non coincide
con causa efficiente. Cosicché, nel caso di Dio la normale dottrina cau
sale va ribaltata, perché in Dio «si trova una potenza così grande e così
inesauribile da non aver avuto bisogno d’alcun sostegno per esistere, e
neanche da averne bisogno ora per essere conservato, così da essere in
qualche modo causa di sé (sui causa)» (RI: 109)96. Per Descartes Dio
Qui Descartes assume uno dei termini tecnici più tipici della fi
losofia aristotelica, ovvero Vabito (in greco hexis, in latino habitus), on
tologicamente il possesso di un determinato modo di essere (es. nel
mutamento si passa dalla privazione al possesso della forma), pratica-
mente la disposizione ad agire in modo costante (es. il carattere si co
stituisce grazie alla disposizione stabile a provare passioni uguali per
oggetti simili). Il fatto che qui il filosofo parli di una meditazione «più
volte ripetuta (saepius iterata)», lascia pensare a un vero e proprio eser
cizio ascetico di formazione dell’abito filosofico, da intendere in que
103 «Il primo era di non accogliere mai come vera nessuna cosa che non avessi co
nosciuto con evidenza essere tale: vale a dire, evitare con cura la precipitazione e la pre
venzione e non comprendere nei miei giudizi nulla più di ciò che si presentasse così chia
ramente e distintamente alla mia mente da non aver motivo alcuno per metterlo in dub
bio» (AT VI: 18 [OB I: 45]); cf. anche la Regola II (AT X: 362-363 [OB II: 687-689]).
58 Sistemi filosofici moderni
Obiezioni e risposte
Tra le obiezioni alla Meditazione IV troviamo anzitutto il quinto
punto indicato dai teologi vari [Mersenne] (02: 126; R2: 147-149), poi
Hobbes (OR3: 190-192), Arnauld (04: 215-217; R4: 247-248), Gas
sendi (05: 307-318; R5: 374-379) e infine il sesto scrupolo sollevato
dal circolo dei savants [Mersenne] (06: 416-417; R6: 431-433).
Sia i teologi che Arnauld invitano Descartes a sciogliere le diffi
coltà che il suo criterio di verità potrebbe recare nei confronti dell’as
senso di fede: «dal momento che quasi nulla conosciamo con quella
chiarezza e distinzione che voi richiedete ad una certezza non esposta
a dubbio alcuno» (02: 126) non solo la volontà non dovrebbe dare il
suo assenso agli oggetti di conoscenza in generale, ma, a maggior ra
gione, non dovrebbe farlo nei confronti della religione. Arnauld, citan
do s. Agostino, propone a Descartes di distinguere tra Xintendere, ba
104 S. Di Bella ha, giustamente, definito questa teoria della libertà una «autointer
pretazione delle Meditazioni», cf. Di BELLA, Le Meditazioni metafisiche, cit., 127-138.
105 Termini come continenza e incontinenza appartengono da sempre al lessico
dell’etica (cf. es. Eth. Nicom., VII), inoltre, quello della continenza contro la tendenza al-
Voltrepassajnento sarà uno dei temi basilari della filosofia di Hume, infra, 234.
106 Cf. P. H adot , Exercices spirituels et philosophie antique, Etudes augustinien-
nes, Paris 1981; Albin Michel, Paris 20022 (trad. it., Esercizi spirituali e filosofia antica,
Einaudi, Torino 1988, 20052).
Le Meditazioni di Descartes 59
107 Cf. R. IMLAY, Volontà, indifférence et mauvaise foi: Gassendi contre Descartes,
in BEYSSADE-MARION (edd.), Descartes. Objecter et répondre, cit., 337-350.
108 A Mesland, 2 m aggio 1644: «m i pare che il ricevere questa o quella idea sia
anche nell’anima una passione e che solo le sue volizioni siano azioni» (AT IV: 113 [LB:
1911]); cf. BEYSSADE, La philosophiepremière, cit., 177-179.
60 Sistemi filosofici moderni
aristotelica del tempo come numero del moto secondo il prima e il poi. Tuttavia, come
J.-L. Marion ha dimostrato, contro l’interpretazione di Heidegger (cf. MARION, Sur le
prisme métaphysique, cit., 180-202), il tempo in Descartes non è basato anzitutto sulle
cose, con l’effetto di una reificazione del soggetto, bensì sulla cogitatio: «la durée succes
sive d’une chose quelconque (cujuscunque) ne me devient connue (tnihi innotescit) qu’à
partir d’une durée plus originelle, que définit la succession de mes cogitationes» {ivi,
196; cf. Ad Arnauld, 29 luglio 1648, AT V: 223 [LB: 2581]); cf. N. GRIMALDI, Le temps
chez Descartes, in «Revue Internationale de Philosophie» 50 (1996), 163-191.
118 Cf. M i: 20; M5: 71; Colloquio con Burman (AT V: 160 [OB II: 1273]); si di
scute molto sull’uso del termine mathesis da parte di Descartes, e ancor più sull’espres
sione mathesis universalis, cf. G. CRAPULLI, Mathesis universalis. Genesi di un’idea nel
XVI secolo, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1969; D. RABOUIN, Mathesis universalis. Lidée
de «mathématique universelle» d’Aristote à Descartes, Presses Universitaires de France,
Paris 2009.
64 Sistemi filosofici moderni
119 Alcuni interpreti (es. SCRIBANO, Guida alla lettura, cit., 98-103) insistono sul
ruolo delle idee innate nella Meditazione V, tuttavia Descartes sembra sforzarsi di evita
re il termine, «quae dudum quidem in me erant» (M5: 64), «ideas veras mihi ingenitas»
(M5: 68), forse per non cadere nel rischio di attribuire tali idee alla costituzione del sog
getto, invece che a qualcosa che lo trascende; cf. A. NELSON, Cartesian innateness, in
BROUGHTON-CARRIERO (edd.), A Companion to Descartes, cit., 319-333.
120 «N e consegue un ampliamento dei significati di “verità” e di “essere”, poiché
il giudizio vero comporta sempre il riconoscimento dell’essere: in questo caso, dell’esse
re dell’essenza, ovvero di una struttura intellegibile indipendente dalle procedure costi
tutive della mente. [...] nelle Meditazioni l’essere si afferma, a tutti i livelli, attraverso
l’esperienza di una datità cogente, di una resistenza invincibile al pensiero» (Di BELLA,
Le Meditazioni metafisiche, cit., 142-143).
Le Meditazioni di Descartes 65
121 Così, ad esempio, Descartes si riferisce al proprio argomento: «lì dove ho as
serito che l’esistenza appartiene alla natura dell’ente sommamente perfetto» (RI: 114).
Su questo tipo di prova, dopo Kant nota come «prova ontologica», e sulla sua storia da
Anseimo in poi, cf. D. HENR1CH, Der ontologische Gottesbeweis. Sein Problem und seine
Geschichte in der Neuzeit, Mohr, Tubingen 1960 (trad. it., La prova ontologica dell’esi
stenza di Dio. La sua problematica e la sua storia nell’età moderna, Prismi, Napoli 1983);
E. SCRIBANO, L'esistenza di Dio. Storia della prova ontologica da Descartes a Kant, Later
za, Roma-Bari 1994; K.J. HARRELSON, The Ontological Argument from Descartes to He
gel, Humanity, Amherst (NY) 2009.
66 Sistemi filosofici moderni
garante di ogni altra certezza, anche di quella degli oggetti della mathe-
sis. Secondo Descartes, la limitatezza della mente è tale per cui l’uomo
può scivolare nel dubbio anche rispetto a ciò che un tempo aveva ap
preso chiaramente, e persino una proprietà certa, come l’uguaglianza
della somma degli angoli interni di un triangolo a due retti, se l’occhio
della mente smettesse di prestarvi attenzione e venisse sviato da altre
ragioni, potrebbe non essere più percepita chiaramente.
Invece, dopo aver percepito l’esistenza necessaria di Dio e che
tutte le altre cose dipendono da Dio, e che Dio è verace, allora il fatto
che «tutto ciò che percepisco chiaramente e distintamente è necessa
riamente vero, anche se non prestassi più attenzione alle ragioni per
cui l’ho giudicato vero, non può essere addotta alcuna ragione contra
ria che mi spinga a dubitarne» (M5: 70). Ciò accade perché l’esistenza
necessaria di Dio non è solo una verità particolare, alla stregua di
2 + 2 = 4, ma è anche allo stesso tempo la condizione di possibilità
dell’orizzonte veritativo stesso. Grazie a Dio so che la verità è possibi
le, che le mie facoltà conoscitive non sono in sé fallaci e che, anche se
mi sbaglio, ho comunque la possibilità di riparare al mio errore, senza
essere consegnato a un relativismo insensato.
Obiezioni e risposte
Le obiezioni alla Meditazione V hanno dato vita a un dibattito
sostanziale, ancora oggi non sopito: Caterus (Ol: 96-100; RI: 114-
120); il sesto punto sollevato dai teologi vari [Mersenne] (02: 127;
R2: 149-152); Hobbes (OR3: 193-194); l’ultimo, decisivo, scrupolo di
Arnauld (04: 214; R4: 245-247); Gassendi (05: 318-328; R5: 379-
384); l’ottavo scrupolo del circolo dei savants [Mersenne] (06: 417-
418; R6: 435-436). Da questo scambio emergono almeno due questio
ni talmente ampie e complesse, da non permettere qui che un rapido
disegno dei loro tratti principali: (a) la validità della prova dell’esisten
za di Dio dalla sua natura, la cosiddetta prova ontologica; (b) il proble
ma del circolo per cui Dio sarebbe garante del criterio dell’evidenza
presupposto nella dimostrazione della sua esistenza.
Le Obiezioni I di Caterus rinfocolano una querelle vecchia di
secoli, ossia la critica di Tommaso d’Aquino alla prova anselmiana, as
sumendo gli argomenti avanzati dal Dottore angelico per rilanciarli
contro Descartes123. Caterus dapprima mette in parallelo il testo di
potenza, che esso può esistere per propria forza (propria sua vi posse existere),
potremmo da qui concludere che esso esiste nella realtà ed è esistito dall’eter
nità: è infatti notissimo per lume naturale che ciò che può esistere per propria
forza esiste sempre.
126 Sul complesso intreccio delle diverse definizioni di Dio in Descartes, cf. Ma-
RION, Sur le prisme métaphysique, cit., 217-292; sinteticamente ripreso in Id., The essen-
tial incoherence of Descartes’ definition of divinity, in OKSENBERG RORTY (ed.), Essays on
Descartes’ Méditations, cit., 297-338.
127 E questa la conclusione a cui giunge E. SCRIBANO, L’existence de Dieu, in
BEYSSADE-MARION (edd.), Descartes. Ohjecter et répondre, cit., 303-304, sulla scia di
J.-L. MARION, E»tre analogie et principe de raison: la causa sui, ivi, 319-327.
128 Tralascio le importanti obiezioni di Gassendi, la cui chiave argomentativa, os
sia che l’esistenza non può essere considerata una perfezione bensì il porsi della cosa,
senza la quale nessuna perfezione può essere posta, verrà in effetti ripresa da Kant.
Le Meditazioni di Descartes 71
ma di sapere che Dio esiste, dobbiamo sapere che è vero tutto ciò che
è da noi percepito chiaramente ed evidentemente» (04: 214).
Nel rispondere ad Arnauld (R4: 245-246), Descartes rimanda a
quanto aveva già replicato ai secondi obiettori [Mersenne] (R2: 140-
146), quando, a proposito di un passo della Meditazione III, essi ave
vano sollevato la questione della circolarità tra la certezza di essere una
res cogitans e la necessità di provare l’esistenza di Dio per poter elimi
nare «completamente»129 ogni dubbio (02: 124-126). Tale circolarità,
inoltre, porterebbe alla conseguenza per cui un matematico ateo, ov
vero che nega l’esistenza di Dio, non potrebbe conoscere chiaramente
che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti e
cose simili. Il che sarebbe manifestamente assurdo. La lunga risposta
di Descartes parte da questo chiarimento:
dove ho detto che non possiamo esser certi di alcuna cosa se non abbiajno
prima conosciuto che Dio esiste, ho mostrato espressamente di non parlare se
non della scienza di quelle conclusioni che possono ritornare alla memoria, quan
do non prestiamo più attenzione alle ragioni da cui le abbiamo dedotte (R2: 140).
129 «debbo, non appena se ne darà motivo, esaminare se Dio sia e, nel caso in cui
egli sia, se possa essere ingannatore: non mi sembra infatti di poter mai essere compieta-
mente certo [piane certus esse) di alcuna cosa se ignoro questa» (M3: 36).
72 Sistemi filosofici moderni
strato la necessaria esistenza di Dio per essere certi dell 'ego sum, infatti
tale verità è di per sé inattaccabile dal dubbio. Invece la conoscenza
scientifica, data la sua natura discorsiva, è sempre esposta al dubbio di
non ricordare o mancare qualche passaggio; ed è qui che l’esistenza ne
cessaria di un Dio verace mostra il suo ruolo determinante, in quanto
garantisce che una verità certa è comunque possibile. Tramite l’esisten
za di Dio, Descartes non vuole affatto subordinare e con ciò relativiz
zare il sapere scientifico ma, al contrario, fornirgli l’unica base vera
mente certa. Egli rimane convinto che qualunque tentativo di autofon
dazione della scienza non la renderebbe del tutto immune dal dubbio.
E una risposta convincente? Il dibattito è ancora aperto130.
130 Cf. BEYSSADE, La pbilosophie première, cit., 317-338; L.E. LOEB, The Carte
siani circle, in C o ttin gham (ed.), The Cambridge Companion, cit., 200-235; L. N ewman
- A. NELSON, Circumventing Cartesian circles, in «N o u s» 33 (1999), 370-404; G . H at -
FIELD, The Cartesian circle, in GAUKROGER, The Blackwell Guide, cit., 122-141; J. C ar -
RIERO, The Cartesian circle and thè foundations of knowledge, in B ro u g h to n -C arriero
(edd.), A Companion to Descartes, cit., 302-318.
Le Meditazioni di Descartes 73
131 Faccio notare, solo per inciso, quanto radicale sia il ribaltamento dell'ordine
delle ragioni operato dalla metafisica cartesiana, che giunge a trattare per ultimo ciò
che Aristotele trattava per primo: «Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Se
gno ne è l’amore per le sensazioni (xcóv alaGiìaewv àydjerjaLg)» (Metaph., A l, 980a 21
[trad. it., cit., II, 3]).
74 Sistemi filosofici moderni
riprenderà i diversi motivi critici nei confronti dei sensi già esaminati
nelle Meditazioni precedenti; non è un caso che alla fine questa risul
terà essere la più estesa delle sei meditazioni. Nella Meditazione I, ave
vamo visto quanto i sensi possano essere inaffidabili: non solo circa le
cose esterne (es. le illusioni ottiche), ma anche circa quelle interne (es.
il dolore che provano taluni in una parte del corpo amputata). Nella
Meditazione III, poi, avevamo escluso che le idee avventizie potessero
provare l’esistenza di qualcosa di extramentale. Infatti, avevamo nota
to che non era in base al lume della ragione che eravamo indotti a rite
nere avventizie le idee simili alle cose extramentali, bensì solo in base a
un «impulso naturale», cioè irrazionale. Perciò, il sorgere in noi delle
idee avventizie poteva benissimo essere generato da «una qualche fa
coltà a noi ignota» e non dalla realtà. Tuttavia ora, visto che al termine
della Meditazione V abbiamo provato che Dio è verace e garantisce
che noi siamo capaci di verità, non possiamo più ritenere di per sé
dubbiose tutte le sensazioni e, inoltre, se possedessimo una qualche fa
coltà nascosta certamente ne saremmo consapevoli. Quindi, il caratte
re avventizio delle sensazioni, cioè il fatto che siamo passivi rispetto al
loro presentarsi alla mente (es. sento caldo, dolore ecc., che lo voglia o
meno), denota che dall’altra parte ci deve essere una qualche facoltà
attiva, capace di produrre tali idee:
E questa non può certo trovarsi in me, perché non presuppone assoluta-
mente intellezione alcuna e queste idee sono prodotte senza che io vi contribui
sca [...]; rimane dunque che essa si trovi in una qualche sostanza diversa da me
e, poiché in questa deve inerire, o formalmente o eminentemente, tutta la realtà
che è obiettivamente nelle idee prodotte da questa facoltà (come ho già osserva
to sopra132), o questa sostanza è corpo [...]; o certamente è Dio (M6: 79).
mie idee, né avermi dato una tendenza naturale a credere che tale origi
ne sia altra da quella vera. Ergo: «le cose corporee esistono (res corpo-
reae existunt)» (M6: 80)134. Tuttavia, questa conclusione non significa
affatto sancire l’infallibilità della conoscenza sensibile, di fatto Descar
tes si affretta a puntualizzare che «questa comprensione dei sensi è in
parecchi aspetti molto oscura e confusa». Bisogna tener presente che i
sensi ci accertano dell 'esistenza dei corpi, ma ciò non significa che essi
siano in grado di renderci accessibile la loro essenza. Su quest’ultimo,
delicato, punto il filosofo aggiunge una sentenza di non facile compren
sione: «ma in esse [cose corporee] c’è almeno tutto quello che intendo
chiaramente e distintamente, ossia, considerato in generale, tutto ciò
che è compreso nell’oggetto della pura Mathesis»135. Ciò significa che
la conoscenza certa dei corpi - ovvero la fisica e tutte le scienze da essa
dipendenti136 - è limitata alle loro qualità primarie generali (estensione,
figura, movimento), mentre le qualità secondarie (colori, sapori, rumori
ecc.) e anche le percezioni quantitative particolari (misura, distanza, vo
lume ecc.) non sono oggetto di scienza certa137.
143 A Elisabetta, 28 giugno 1643: «non ritengo la mente umana capace di conce
pire distintamente, e nello stesso tempo, la distinzione tra l’anima e il corpo, e la loro
unione; questo perché è necessario, per tal fine, concepirli come una cosa sola e al tem
po stesso concepirli come due, il che è contraddittorio» (AT III: 693 [LB: 1783]); una
difficoltà dunque insita nella nostra comprensione, non nella cosa stessa, cf. Di BELLA,
Le Meditazioni metafisiche, cit., 198-199. Sui problemi sollevati dall’argomento cartesia
no sull’unione mente corpo, cf. J. COTTINGHAM, The mind-body relation, in G aukro -
GER, The Blackwell Guide, cit., 183-186.
Le Meditazioni di Descartes 79
145 Ciò che qui Descartes chiama «minuscola parte» del cervello, nelle Passioni
dell’anima I, art. 31-32. 35, descriverà come «piccola ghiandola» (AT XI: 351-353. 355-
356 [OB I: 2361. 2365-2367]), e altrove chiamerà anche «ghiandola pineale» (es. AT III:
263 [LB: 1349]), espressione con cui è universalmente conosciuta. E questo l’organo in
cui avviene la comunicazione tra mente e corpo, cf. AUCANTE, La philosophie médicale
de Descartes, cit., 239-246.
146 «Ad esempio nella corda A, B, C, D, se si tira la sua parte estrema, D, la pri
ma, A, non si muoverà in modo diverso da come anche potrebbe muoversi nel caso in
cui venisse tirata una fra quelle intermedie, B o C, e l’ultima, D, rimanesse ferma. In mo
do non dissimile, quanto sento dolore nel piede, la fisica m’insegna che quella sensazio
ne avviene attraverso i nervi situati all’interno del piede che, estesi come corde da lì sino
al cervello, mentre sono tirati nel piede, tirano anche le parti interne del cervello cui
giungono e vi suscitano un certo movimento» (M6: 87).
147 L’espressione «bontà di Dio» ricorre all’inizio (Mi: 21), ma solo per sentito
dire, e alla fine, positivamente (M6: 83. 85. 87. 88).
Le Meditazioni di Descartes 81
Obiezioni e risposte
Le Obiezioni alla Meditazione VI denotano in alcuni interlocuto
ri una certa stanchezza: Caterus concede solo poche righe all’essenza
dell’anima e alla sua distinzione dal corpo, confessando: «questo gran
de ingegno mi ha ormai così spossato che quasi non ce la faccio più»
(Ol: 100; RI: 120-121); anche Hobbes si limita ad avanzare un paio di
pallide obiezioni, ricevendo telegrafiche risposte (OR3: 194-196). Chi
invece si è gettato con passione in ampio e approfondito dibattito Sul
la natura della mente umana è Arnauld (04: 197-205; R4: 219-231), se
guito in ciò da Gassendi (05: 328-345; R5: 384-391). Mersenne, rac
cogliendo e guidando dapprima le Obiezioni II e poi le VI, sottoli
neerà a più riprese la sua perplessità circa la distinzione reale tra men
te e corpo, inducendo Descartes a una risposta originale (02: 123;
R2: 131-133; 06: 413-414; R6: 422-427)150.
punto è chiaro, come sottolinea nella sua accurata analisi dei testi
V. Chappell: «Descartes non dice mai, né in questo testo né altrove in
altri scritti, che le cose che sono unite sostanzialmente formino una so
stanza, o che la mente e il corpo umani lo facciano»156. Ergo, l’uomo
non è una sostanza individuale, bensì un composto formato dall’unio
ne sostanziale di mente e corpo. Tuttavia, il filosofo non descrive mai
direttamente le ragioni e le modalità di tale unione, quanto piuttosto la
assume come un fatto, la cui evidenza maggiore consiste nella partico
lare interazione causale che sussiste tra mente e corpo157. La mente
non è semplicemente collocata accanto al corpo come un osservatore
estraneo, che da un momento all’altro potrebbe decidere di andarsene;
neppure è posta al di sopra di esso come uno che soltanto la dirige,
potendo imprimere qualsiasi movimento riesca a concepire; ma è an
che posta al suo interno, dal momento che ne subisce gli stimoli anche
quando vorrebbe farne a meno. E dunque l’insieme di tutti questi
aspetti causali a determinare quella particolare «unione sostanziale»
che, a giudizio di Descartes, sussiste tra mente e corpo, e che propria
mente qualifica ciò che è essere uomo.
Bibliografia
Opere
1637 Discours de la méthode pour bien conduire sa raison et chercher la vé-
rité dans les sciences. Plus La dioptrique, Les météores et La géomé-
trie, qui sont des essais de cete Méthode, Maire, Leyde [anonimo].
1641 Renati Des-Cartes Meditationes de prima philosophia, in qua Dei
existentia et animae immortalitas demonstratur, Soly, Paris.
1642 Renati Des-Cartes Meditationes de prima philosophia, in quibus Dei
existentia et animae humanae a corpore distinctio, demonstrantur.
His adjunctae sunt variae objectiones doctorum virorum in istas de
Deo et anima demostrationes, cum responsionibus authoris. Secunda
editio septimis objectionibus antehac non visis aucta, Elzevier, Am
sterdam [contiene la Epistola ad P. Dinet S.I.].
156 «Descartes ne dit jamais, ni dans ce texte ni ailleurs dans ses écrits, que les
choses qui sont unies substantiellement forment une substance, ou que l’esprit et le cor-
ps humains le fassent» (V. CHAPPELL, Lhomme cartésien, in BEYSSADE-MARION [edd.],
Descartes. Objecter et répondre, cit., 409 [trad. mia]); per una diversa prospettiva, cf.
D.M. C lark e , Descartes s Theory ofMind, Clarendon Press, Oxford 2003.
157 Cf. P. HOFFMAN, The union and interaction of mind and body, in BROUGH-
TON-CARRIERO (edd.), A Companion to Descartes, cit., 390-403; J. SKIRRY, Descartes and
thè Metaphysics of Human Nature, Continuum, London-New York 2005.
Le Meditazioni di Descartes 85
Opere postume
1650 Renati Des-Cartes Musicae compendium, Zijll-Ackersdijk, Utrecht.
1664 Le Monde de Mr. Descartes, ou Traiti de la lumière et des autres
principaux objets des sens, Bobin-Le Gras, Paris.
1664 LHomme de René Descartes, et un traité de la formation du fcetus,
Angot, Paris.
1667 Lettres de Mr Descartes, par C. CLERSELIER, 3 voli., Angot, Paris
16673 (16571), 16662 (16591), 1667.
1668 Traité de la mécanique, composépar Mr Descartes, Angot, Paris.
1684 Renatus Descartes, Brieven, 3 voli., ed. J.H . GLASEMAAKER,
Rieuwertsz, Amsterdam, 1661-1684 [contiene trad. nederlandese
di Regulae ad directionem ingenti; La recherche de la vérité].
1691 La vie de Monsieur Des-Cartes, par A. BAILLET, 2 voli., Horthe-
mels, Paris [contiene testi di Descartes altrimenti perduti: Olympi-
ca; Experimenta ecc.].
1701 R. Des-Cartes Opuscula posthuma, physica et mathematica, Blaev,
Amsterdam [contiene: Excerpta mathematica; Regulae ad directio
nem ingenti; trad. latina di La recherche de la vérité\.
86 Sistemi filosofici moderni
Edizioni moderne
1897-1913 CEuvres de Descartes, par C. A d AM et P. TANNERY, 12 voli., Cerf,
Paris; nouvelle présentation par J. BEAUDE - P. COSTABEL - A. G ab-
BEY - B. R o c h o t , 11 voli., Vrin, Paris 1964-74; anast. Vrin, Paris
1996.
1973 CEuvres, par F. A lq u iÉ , 3 voli., Garnier, Paris.
2002 La recherche de la vérité par la lumière naturelle, a cura di E. LOJA-
c o n o - E.J. Bos - F.A. M e sc h in i - F. S a it a , Franco Angeli, Milano.
2005 Tutte le lettere. 1619-1650, testo francese, latino e olandese a fron
te, a cura di G. BELGIOIOSO, con la collaborazione di I. AGOSTINI -
F. M a r r o n e - F.A. M e sc h in i - M . Savin i - J.R. A r m o g a th e , B o m
piani, M ilano [in appendice: Indice biografico dei corrispondenti,
Bibliografia, Lessico, Indice dei nomi del volum e].
2009 Opere. 1637-1649, testo francese e latino a fronte, a cura di G.
BELGIOIOSO, con la collaborazion e di I. AGOSTINI - F. MARRONE -
M . SAVINI, Bom piani, M ilano.
2009 Opere postume. 1650-2009, testo francese, latino e olandese a fronte,
a cura di G. BELGIOIOSO, con la collaborazione di I. AGOSTINI - F.
M a r r o n e - F.A. M e sc h in i - M. Savini, Bompiani, Milano [in appen
dice: Lessico delle opere, Bibliografia, Indice dei nomi dei tre volumi].
Studi generali
1986 COTTINGHAM J., Descartes, Blackwell, Oxford; trad. it., Cartesio, Il
Mulino, Bologna 1991.
1988 CRAPULLI G., Introduzione a Descartes, Laterza, Roma-Bari.
1991 MARION J.-L., Questions cartésiennes, Presses Universitaires de
France, Paris.
1992 COTTINGHAM J. (ed.), The Cambridge Companion to Descartes,
Cambridge University Press, Cambridge.
1996 MARION J.-L., Questions cartésiennes II, Presses Universitaires de
France, Paris.
2001 BEYSSADE J.-M., Études sur Descartes, Seuil, Paris.
2007 MARION J.-L. (ed.), Descartes, Bayard, Paris.
2008 B r o u g h t o n J. - CARRIERO J. (edd.), A Companion to Descartes,
Blackwell, Malden (MA).
2010 MORI G., Cartesio, Carocci, Roma.
Fonti bibliografiche
1972- Bulletin cartésien, in «Archives de Philosophie» [pubblicazione an
nuale, consultabile anche on-line dal 2003: www.archivesdephilo.
com].
Capitolo Secondo
L'ETICA DI SPINOZA
4 Cf. Simon de Vries a Spinoza, 24 febbraio 1663 (Ep. 8 in G IV: 38-41 [OS:
1838-1843]).
5 Cf. B. SPINOZA, Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand
- Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene, introduzione, edizione, traduzione e com
mento di E M ig n in i , Japadre, L’Aquila 1986; E MlGNINI (ed.), Dio, l'uomo, la libertà.
Studi sul «Breve Trattato» di Spinoza, Japadre, L’Aquila 1990.
6 Verosimilmente Jarig Jellesz e Lodewijk Meyer.
7 O P [39], in italiano: «ETICA, dimostrata in ordine geometrico, e, divisa in
cinque parti, nelle quali si tratta: I. Di Dio. II. Della Natura e Origine della MENTE. III.
Dell’Origine e Natura degli AFFETTI. IV. Della SCHIAVITÙ umana, ossia delle FORZE DE
GLI a f f e t t i . V. Della P o te n z a d e l l ’I n t e l l e t t o , ossia della L ib e rtà umana».
L'Etica di Spinoza 91
13 Supra, 22.
14 Cf. F. MlGNINI, L'Etica di Spinoza. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma
1995, 30-34; S. NADLER, Spinoza s Ethics. An Introduction, Cambridge University Press,
Cambridge 2006, 35-51; P. STEENBAKKERS, The Geometrical Order in thè Ethics, in Koi-
STINEN (ed.), The Cambridge Companion to Spinoza s Ethics, cit., 42-55.
15 Cf. S. N adler , Spinoza. A life, Cambridge University Press, Cambridge 1999,
198. 205-206 (trad. it., Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento, Einaudi, Torino 20092,
218. 228-229).
16 G l : 127 (OS: 371).
17 Si discute sul valore puramente nominale oppure reale delle definizioni, se
condo una distinzione avanzata dallo stesso Spinoza in una lettera A Simon de Vries,
febbraio 1663 (Ep. 9 in G IV: 42-44 [OS: 1845]); cf. M. GUEROULT, Spinoza. I. Dieu
(Éthique, I), Aubier-Montaigne, Paris 1968, 19-40; N adler , Spinoza s Ethics, cit., 46-48.
L'Etica di Spinoza 93
18 Per dare un’idea della distribuzione di questi elementi nel complesso dell 'Etica:
I II III IV V Tot.
definizioni 8 711 3 8 - 27
assiomi 7 515 - 1 2 20
postulati - -16 2 - - 8
proposizioni 36 49 59 73 42 259
corollari 15 18 14 17 8 72
scolti 14 22 37 39 17 129
94 Sistemi filosofici moderni
19 Nella prima riga della V Parte dell 'Etica si legge: «Transeo tandem ad alteram
Ethices partem, quae est de modo sive via quae ad libertatem ducit». Questa è l’unica oc
correnza nel corpo del testo (titoli esclusi) in cui compare il termine Ethica (in tutto il
manoscritto Vaticano il termine appare solo in questo luogo). Tale brano può essere in
teso in due sensi: (a) «Passo infine all’altra parte dell’etica, la quale tratta del modo o via
che conduce alla libertà», in questo caso la V Parte (libertà) è l’altra rispetto alla IV Par
te (schiavitù), intendendo che queste due parti formano un sottoinsieme ove si trattano
temi etici; (b) «Passo infine alla seguente parte dell’Etica [...]», intendendo così la V
Parte come l’ultima nel complesso di un’opera dal nome Etica. Tuttavia, il fatto che Spi
noza nelle righe immediatamente seguenti al passo citato parli della matematica e della
logica, per distinguere il loro oggetto da quello della V Parte, lascia decisamente propen
dere a favore di (a).
20 «le projet global d ’une éthique, dont la servitude humaine (servitus humana)
constitue le point de départ et la liberté humaine (libertas humana) l’aboutissement» (P
MACHEREY, Introduction à /'Éthique de Spinoza, 5 voli., Presses Universitaires de France,
Paris 1994-1998, V, 29 [trad. mia]).
21 «il faut que soit substituée aux forces des affects (vires affectuum) - et ici le
pluriel désigne une dispersion dispensatrice d’une multiplicité de conflits potentiels -,
une nouvelle puissance [potentia), dont la présentation au singulier exprime à l’inverse
la fonction unificatrice» (MACHEREY, Introduction à /'Éthique, cit., V, 29 [trad. mia]).
L'Etica di Spinoza 95
Per lungo tempo, i lettori dell 'Etica, fermandosi alla lettura della
sola I Parte, hanno compreso l’insieme dell’opera come se fosse nul-
l’altro che un puro trattato di metafisica23. In effetti, la prospettiva top-
down che l’opera induce nel lettore sembra ridurre l’intero contenuto
a ciò che costui incontra immediatamente, cioè a Dio. E vero che se si
prescinde da quanto dimostrato nella I Parte, le seguenti mancano di
ogni fondamento argomentativo; ed è anche vero che i rimandi interni
al testo sono per lo più all’indietro, ovvero a ciò che è stato già dimo
strato. E tuttavia, se ci limitassimo alla I Parte dell 'Etica, ovvero a sta
bilire ciò che Dio è e fa, la domanda sorgerebbe spontanea: ma tutto
ciò, cosa ha a che fare con noi? Inoltre, tutto ciò che lì è pensato e det
to su Dio, come è stato possibile pensarlo e dirlo? ovvero, quale rela
zione sussiste tra la nostra intelligenza e Dio, tale da renderci in grado
di affermare tutto ciò? E perché, anche se magari comprendiamo e sia
mo persino convinti della verità di tale dottrina su Dio, continuiamo a
vivere e a comportarci come se la ignorassimo del tutto? Queste e altre
domande mostrano quanto sia insufficiente leggere l'Etica come se fos
se un’opera metafisica non solo nel suo oggetto ma nella sua stessa for
ma: dotata di un inizio assoluto, totalmente autofondante. Quasi essa
non fosse stata scritta da un’intelligenza umana, ma fosse frutto di una
sorta di “autorivelazione” ontologica.
23 Nel giugno del 1678, sei mesi dopo la pubblicazione degli Opera posthuma,
un decreto degli Stati generali vietò nelle province d’Olanda YEtica e le altre opere di
Spinoza. L’accusa di ateismo, che aveva perseguitato l’autore già in vita, si abbatté sul
l’insieme delle sue opere e persino sulla filosofia ritenuta alla base di tale pensiero, quel
la di Descartes. Essere “spinozista” era divenuta un’accusa infamante. Da lì in avanti
YEtica divenne di fatto un’opera clandestina e il pensiero di Spinoza fu noto ai più tra
mite soprattutto il lungo articolo che P. Bayle gli aveva dedicato nel suo Dictionnaire hi-
storique et critique (1697), coniando la celeberrima definizione di «ateo virtuoso». Tutta
via, nel 1785, con la pubblicazione del volume Sulla dottrina di Spinoza in lettere al Si
gnor Moses Mendelssohn, F.H. Jacobi offrì un’esposizione del sistema spinoziano, che
suscitò nella filosofia e nella letteratura tedesca un notevole clamore - sfociato nel
Pantheismusstreit (controversia sul panteismo) - ma anche una sua vera “rinascita”, ca
pace di esercitare un profondo influsso su filosofi come Fichte, Schelling, Hegel e Scho
penhauer. Sulla scia di questo dibattito, nel 1802-03 le opere di Spinoza furono ripub
blicate a Jena. Cf. H. Han-D ing, Spinoza und die deutsche Philosophie. XJntersuchung
zur metaphysischen Wirkungsgeschichte des Spinozismus in Deutschland, Scientia, Aalen
1989; P.-F. MOREAU, Spinozas reception and influence, in D. Garrett (ed.), The Cambrid
ge Companion to Spinoza, Cambridge University Press, Cambridge 1996, 408-433; Id.,
Spinoza et le spinozisme, Presses Universitaires de France, Paris 20072, 109-124; F. Ml-
GNINI, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2006, 173-208; E. SCRIBANO, Guida
alla lettura dell'Etica di Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2008, 164-176.
L'Etica di Spinoza 97
1. Nozioni prime
La I Parte dell’E x ha, in breve, la seguente struttura: inizia
dando 8 definizioni e 7 assiomi, in base a questi dimostra 36 proposi
zioni - divisibili in due grandi sviluppi successivi: da 1-15 quelle che
trattano di tutte le cose che «sono in Dio {in Deo sunt)», da 16-36
quelle che trattano di tutte le cose che «da Dio dipendono {a Deo de-
pendent)»24 - e si conclude infine con una lunga Appendice, dedicata a
smascherare la falsità del pregiudizio teleologico.
Le prime otto definizioni sono di estrema importanza, non solo
perché costituiscono la base speculativa originaria del sistema, ma so
prattutto perché contengono in nuce l’itinerario complessivo del De
Deo23. Queste definizioni - delle quali, in questo caso particolare, pre
ferisco riportare il testo - vanno lette secondo quattro blocchi succes
sivi, dei quali il primo comprende Eldl-2:
1. Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza; ossia ciò
la cui natura non può esser concepita se non come esistente.
2. Si dice finita nel suo genere quella cosa che può essere delimitata da
un’altra della medesima natura. Per esempio, un corpo è detto finito, perché
ne concepiamo un altro sempre maggiore. Del pari, un pensiero è delimitato
da un altro pensiero. Ma un corpo non è delimitato da un pensiero, né un
pensiero da un corpo26.
24 «M a tutte le cose, che sono, sono in Dio {At omnia, quae sunt, in Deo sunt) e
da Dio dipendono a tal punto {et a Deo ita dependent), che senza di esso non possono
essere, né essere concepite {ut sine ipso nec esse, nec concipipotest)» (Elp28s). È in base
a questo testo cruciale che la I Parte dell'Etica può essere divisa in due grandi sviluppi
successivi, cf. MACHEREY, Introduction à /'Éthique, cit., I, 23-24.
25 Cf. GUEROULT, Spinoza. I. Dieu, cit., 83-84.
26 «1. Per causam sui intelligo id, cujus essentia involvit existentiam; sive id,
cujus natura non potest concipi, nisi existens. 2. Ea res dicitur in suo genere finita, quae
alia ejusdem naturae terminari potest. Ex. gr. corpus dicitur finitum, quia aliud semper
majus concipimus. Sic cogitatio alia cogitatione terminatur. At corpus non terminatur
cogitatione, nec cogitatio corpore» (E ldl-2).
27 «Quando si ricerca il perché delle cose, si ricerca sempre perché qualcosa ap
partiene a qualcos’altro» {Metaph., Z ìi, 1041a 10-11 [trad. it., ARISTOTELE, Metafisica, a
cura di G. REALE, 3 voli., Vita e Pensiero, Milano 1993, II, 361]).
100 Sistemi filosofici moderni
28 Supra, 53-54.
29 A Jarig Jellesz, 2 giugno 1674 «Quanto al fatto che la figura sia una negazione
e non già qualcosa di positivo, è evidente ché l’intera materia, considerata indefinita
mente, non può avere alcuna figura e che la figura può aver luogo soltanto nei corpi fini
ti e limitati. [...] Poiché dunque la figura non è altro che la determinazione, e la deter
minazione è negazione, [la figura] non potrà essere altro, come ho detto, che una nega
zione» (Ep. 50 in G IV: 240 [OS: 2077]). Sarà poi Hegel a consacrare tale idea con la
nota formula: omis determinatici est negatio-, cf. Y.Y. MELAMED, «Omnis determinatio est
negatio»: determination, negation, and self-negation in Spinoza, Kant, and Hegel, in E.
F ò RSTER - Y.Y. M elam ed (edd.), Spinoza and German Idealism, Cambridge University
Press, Cambridge 2012, 175-196.
L'Etica di Spinoza 101
due conclusioni principali: (a) «Sostanza è quella detta nel senso più
proprio e in senso primario e principalmente, la quale né si dice di
qualche soggetto né è in qualche soggetto: ad esempio, un certo uomo
o un certo cavallo»35 (es. il predicato ‘bianco’ è in Socrate e ‘uomo’ si
dice di Socrate); (b) sostanza prima è la forma di una certa materia (es.
per Socrate è la sua anima, in quanto forma del corpo, a essere causa
dell’essere Socrate)36. Aristotele giunge alla prima conclusione nelle
Categorie, ovvero nel contesto dello studio della predicazione, dove
Yousia viene fatta precipitare verso Yhupokeimenon, cioè verso ciò che
sostiene tutte le proprietà. Egli giunge poi alla seconda conclusione nel
libro Z della Metafisica, perché consapevole dell’insufficienza dello
sguardo meramente predicativo e deciso ad andare oltre, alla ricerca
della causa dell’essere37, che trova infine nella forma individua di una
certa materia. In entrambi i casi - dobbiamo notare - la sostanza è de
finita nella sua relazione con gli accidenti o la materia, e questo signifi
ca che per sostanza non si intende affatto un qualcosa di perfettamen
te completo e a se stante, sul quale verrebbero a cadere determinate
proprietà rispetto alle quali esso resterebbe del tutto indifferente, ben
sì una relazione di sostanzialità (es. l’anima di Socrate è forma di quel
particolare corpo materiale che è il corpo di Socrate). Per Aristotele,
dunque, sostanza e accidenti sono entrambi principi che nella loro cor
relazione spiegano perché le cose, che sono, sono ciò che sono.
Nei Principia philosophiae Descartes definisce, invece, la sostan
za come un tutto a se stante, in sé e per sé: «Per sostanza non possia
mo intendere altro se non una cosa che esiste di maniera tale da non
aver bisogno di alcun’altra cosa per esistere (nulla alia re indigeat ad
existendum)»^*. Da ciò egli deve immediatamente concludere che: «c’è
certo un’unica sostanza che può essere intesa come tale da non aver
bisogno di alcun’altra cosa, Dio». Con la conseguenza che Descartes è
39 Per Tommaso d’Aquino, Dio non può essere propriamente detto sostanza,
perché in lui non vi sono accidenti, cf. STh I, q. 29, a. 3.
40 Talvolta Spinoza usa i termini ?nodificazione o affezione come sinonimi di mo
do, mentre accidente è usato, quasi sempre, nell’espressione avverbiale per accidente vs
per sé o per natura. Per non rendere la vita troppo complicata al lettore alle prime armi,
non tratterò della questione, assai complessa, dei modi infiniti, mediati e immediati, cf.
E. GlANCOTTI, On thè problem o f infinite modes, in Y. Y o vel (ed.), God and Nature.
Spinoza s Metaphysics, Brill, Leiden 1991, 97-118; N a dler , Spinoza s Ethics, cit., 87-98.
41 Secondo quanto Descartes afferma nei Principia I, art. 53: «È ben vero che
una sostanza è conosciuta a partire da un qualunque suo attributo; ma tuttavia ogni so
stanza ha una sola proprietà principale, che costituisce la sua essenza o natura, e alla
quale si rapportano tutte le altre sue proprietà» (AT V ili: 25 [OB I: 1747]).
104 Sistemi filosofici moderni
quella certa essenza, ovvero è ciò che è. Nella sua definizione Spinoza
riferisce l’attributo alla «percezione» che l’intelletto ha della sostanza.
Questo aspetto ha acceso un dibattito circa il ruolo da attribuire
a tale percezione, in quanto sono possibili almeno due posizioni, una
più “soggettivista”, l’altra più “oggettivista”: (a) la sostanza è di per sé
neutra e indifferente, perciò l’attributo dipende solo dalla percezione
che l’intelletto ha di essa e non è in sé qualcosa di reale; (b) l’attributo
è percezione immediata della sostanza, perciò non si dà mai alcuna
concezione di essa prescindendo dall’attributo, il quale possiede per
tanto un proprio valore ontologico. Senza entrare nei dettagli di que
sto annoso dibattito42, si può dire che la soluzione più equilibrata sem
bra essere quella che comprende entrambe le posizioni: la sostanza è
l’identica unità d’esistenza degli attributi che si esprime simultanea
mente in ciascuno di essi. Dal canto suo, l’intelletto, in quanto incapa
ce di comprendere tale infinita simultaneità attributiva, coglie la so
stanza sempre sotto un determinato attributo. L’infinità degli attributi
emerge più chiaramente solo con la definizione sesta:
6. Intendo Dio come ente assolutamente infinito, ossia sostanza che
sta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna e infinita43.
45 «per naturam enim, generaliter spectata, nihil nunc aliud quam vel Deum,
ipsum, vel rerum creatarum coordinationem a Deo institutam intelligo» (AT VII: 80
[OB I: 787]).
46 II termine stesso panteismo è ignoto a Spinoza, in quanto è stato coniato nel
1709 da J. de la Faye in uno scritto polemico contro J. Toland, il quale in Socinianism
truly stated (1705) aveva professato di appartenere ai panteisti.
47 Comunque lo si voglia interpretare, rimane il fatto che, durante la sua vita,
Spinoza si sia difeso più volte dall’accusa di ateismo, respingendola (es. Ep 43 in G IV:
219-226 [OS: 2049-2057]); cf. R. CAILLOS, Spinoza et l’atkéisme, in E. GlANCOTTI (ed.),
Spinoza nel 350° anniversario dalla nascita. Atti del Congresso di Urbino, 4-8 ottobre
1982, Bibliopolis, Napoli 1985, 3-33; N a dler , Spinozas Ethics, cit., 112-121.
48 «U n’ultima domanda: questo dio è qualcosa di diverso dall’universo stesso
con le sue leggi necessarie? Se - come io credo - non lo è, appare più chiaro farne cadere
anche il termine, non corrispondendovi più il concetto» (E. GlANCOTTI, Il Dio di Spinoza,
in Id. (ed.), Spinoza nel 350° anniversario dalla nascita, cit., 50); subito prima la studiosa
aveva affermato che il Dio di Spinoza si identifica con le «infinite forme finite riscontrabi
li nell’universo infinito», il che equivale a dire che esso è null’altro che la somma infinta
delle cose finite esperibili. Dubito che Spinoza avrebbe accettato una tale posizione.
49 Giustamente S. Nadler usa Nature per intendere il concetto spinoziano, sino
nimo di «sostanza eterna e infinita», mentre nature per intendere il concetto ordinario
di «insieme dei fatti e processi empiricamente osservabili», cf. N adler , Spinozas Ethics,
cit., 52. 81-83.
L'Etica di Spinoza 107
te. Vale la pena infine notare che ciò che quel passo di E4praef vuole
sottolineare non è tanto l’identità tra Dio e natura, quanto piuttosto
l’identità tra la necessità per la quale Dio è ciò che è (la sua natura) e la
necessità per la quale Dio agisce (è causa)', il che non significa che la
causa venga a identificarsi con i propri effetti.
L’ultimo blocco di definizioni è costituito dalle due rimanenti
Eld7-8:
7. Sarà detta libera quella cosa che esiste per la sola necessità della sua
natura e che da sé sola si determina ad agire; necessaria invece, o meglio co
stretta, quella che è determinata da altro a esistere e ad operare per una certa e
determinata ragione.
8. Per eternità intendo l’esistenza stessa, in quanto si concepisce neces
sariamente derivante dalla sola definizione di cosa eterna50.
50 «7. Ea res libera dicetur quae ex sola suae naturai necessitate existit et a se so
la ad agendum determinatur. Necessaria autem, vel potius coacta, quae ab alio determi-
natur ad existendum et operandum certa ac determinata ratione. 8. Per aeternitatem in-
telligo ipsam existentiam, quatenus ex sola rei aeternae definitione necessario sequi con-
cipitur» (Eld7-8).
51 A Georg H. Schuller, ottobre 1674: «Vedi dunque che io pongo la libertà non
in un libero decreto ma in una libera necessità (libera necessitate)» (Ep. 58 in G IV: 265
[OS: 2111]).
108 Sistemi filosofici moderni
finita, sia quanto alla sua esistenza che quanto al suo agire od operare.
Interessante notare la difficoltà nella quale si trova Spinoza nel defini
re la cosa libera come necessitata da sé e, allo stesso tempo, il suo op
posto la cosa necessaria come necessitata da altro. Paradossalmente, è il
libero a essere pienamente necessario, in quanto determinato da sé ov
vero incondizionato, mentre il necessario non è propriamente necessa
rio, in quanto è determinato da altro ovvero è condizionato.
L’ultima definizione, quella di eternità, risulta di primo acchito
alquanto enigmatica, in quanto identifica l’eternità con l’esistenza ne
cessariamente derivante dall’essenza stessa di cosa eterna (rei seternse),
dando così l’impressione di un circolo vizioso. Non è un caso che l’au
tore abbia avvertito il bisogno di aggiungere una spiegazione, nella
quale precisa che «l’esistenza si concepisce in quanto verità eterna»
(Eld8e). Ora, una verità eterna è quella che si deduce dall’essenza
stessa della cosa (es. in base alla natura stessa del triangolo è eterna
mente vero che la somma dei suoi angoli interni è uguale a due angoli
retti)52, pertanto eterno equivale a «derivante dalla sola definizione
dell’essenza» e, conseguentemente, eternità, in quanto qualifica una
esistenza eterna, equivale a «esistenza derivante dalla sola definizione
di una certa essenza». Ebbene, l’esistenza che deriva dalla sola defini
zione dell’essenza di un qualcosa è causa sui (Eldl). Con ciò Spinoza
traccia un’equivalenza tra eternità, esistenza necessaria, e causa sui; nel
senso che ciò che è causa di sé, ovvero la cui esistenza segue necessa
riamente dalla propria essenza, è eterno53.
In Eld8e Spinoza nomina anche la durata e il tempo, per esclude
re che l’eternità possa essere considerata come una durata estesa in mo
do indefinito e anche che possa essere in qualche modo compresa in
modo temporale, col che potrebbe darsi un prima e un poi in cui risulti
non esistente. La durata, infatti, è propriamente l’esistenza di ciò la cui
definizione dipende da altro, cioè dei modi54; mentre il tempo è la
52 Cf. E lp l7 s .
53 «in quanto concepisce che esso stesso esprime l’infinità e la necessità dell’esi
stenza, ossia (E ld 8) l’eternità» (Elp23dem); «L’eternità è l’essenza stessa di Dio, in
quanto essa implica l’esistenza necessaria (E ld8)» (E5p30dem).
54 All’inizio della II Parte Spinoza ne dà la definizione: «La durata è continua
zione indefinita dell’esistere» (E2d5); e spiega: «Dico indefinita, poiché non può in al
cun modo essere determinata dalla natura stessa della cosa esistente» (E2d5e). Infatti, la
continuazione o meno dell’esistenza è sempre determinata da altre cause attualmente
esistenti (es. per l’uomo l’aria pone continuità alla sua esistenza, mentre l’acqua la toglie;
per un pesce vale il contrario).
L'Etica di Spinoza 109
2. Dio
59 «in thè Ethics it is stili exasperatingly unclear what Spinoza means by saying
that “whatever is, is in G od.” What can it mean to say that something is in God? There
are many ways in which something can be in something else: it can be thè way in which
parts are in thè whole that they compose, or thè way in which an object is in a container
that holds it (which is akin to thè way in which Newton, for example, conceived of
things to be in absolute space), or thè way in which properties or qualities belong to a
subject (such as wisdom is in Socrates or hardness is in thè rock)» (N a d ler , Spinoza s
Ethics, cit., 74).
60 Una dottrina già evocata da Descartes, supra, 52-53.
61 Tale interpretazione è stata recentemente sostenuta es. da MACHEREY, Intro-
duction à /'Éthique, cit., I, 148-149; NADLER, Spinoza s Ethics, cit., 79-80.
62 Q uesta è l’interpretazione “classica” , proposta es. da GUEROULT, Spinoza. I.
112 Sistemi filosofici moderni
Dieu, cit., 295-296, il quale cita a supporto un passo della lettera A Henry Oldenburg,
novembre 1675: «Io, infatti, sostengo che Dio, come si dice, è causa immanente di tutte
le cose, e non transitiva: con Paolo - e forse anche con tutti gli antichi filosofi, benché in
altro modo, e oserei dire anche in accordo con tutti gli Ebrei, per quanto sia lecito con
getturare da alcune tradizioni, sia pure adulterate in molte maniere - affermo che tutte
le cose sono in Dio e si muovono in Dio» (Ep. 73 in G IV: 307 [OS: 2177]); il riferimen
to neotestamentario è a un passaggio del discorso di san Paolo all’Areopago: «In lui in
fatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (Atti 17,28).
63 A Hugo Boxel, ottobre 1674: «Io so questo: tra il finito e l’infinito non v’è al
cuna proporzione, quindi la differenza che c’è tra Dio e la creatura massima e più eccel
lente, non è diversa dalla differenza che c’è tra Dio e la creatura più bassa» (Ep. 54 in G
IV: 253 [OS: 2091]).
64 Classiche le critiche di Bayle all’inerenza dei m odi alla sostanza, cf. P. BAYLE,
Spinoza, in Id., Dizionario storico-critico, a cura di G. CANTELMI, Laterza, Roma-Bari
1976, 355-459.
L'Etica di Spinoza 113
Dal che - a mio giudizio - il senso più corretto della tanto di
scussa immanenza spinoziana ce lo offre il filosofo stesso quando dice:
«nel senso in cui Dio si dice causa di sé, va detto anche causa di tutte
le cose» (Elp25s), ora il senso in cui Dio è causa sui, è quello per cui
l’essenza implica (involvit) l’esistenza, ovvero c’è tra di esse una rela
zione necessaria; ergo, il senso in cui Dio è causa omnium rerum deve
essere quello per cui Dio implica (involvit) l’essenza e l’esistenza delle
cose, cioè è causa necessaria di esse: «data la natura divina, se ne devo
no necessariamente dedurre l’essenza e l’esistenza delle cose»
(Elp25s). Il fatto che Spinoza ci tenga a distinguere questi due aspetti
è confermato da un notissimo scolio, ove egli precisa che:
per natura naturante [Natura naturami dobbiamo intendere ciò che è
in sé e per sé si concepisce, ossia quegli attributi della sostanza che esprimono
un’essenza eterna ed infinita, cioè (E lp l4 c e Elpl7c2) Dio in quanto conside
rato come causa libera. Per naturata [Natura naturata0 intendo invece tutto ciò
che deriva dalla necessità della natura di Dio o di ciascuno dei suoi attributi,
cioè tutti i modi degli attributi di Dio, in quanto considerati come cose che so
no in Dio e che senza Dio non possono essere né concepirsi (Elp29s)67.
65 Cf. R. SCHNEPF, Die eine Substanz und die endlichen Dirige (lp 16-28), in
H ampe -S ch n epf (edd.), Baruch de Spinoza. Ethik, cit., 37-57; N a d ler , Spinoza s Ethics,
cit., 73-80.
66 «H ic sequitur, Deum non tantum esse causam, ut res incipiant existere; sed
etiam, ut in existendo perseverent, sive (ut termino Scholastico utar) Deum esse causam
essendi rerum» (Elp24c [trad. modificata]).
67 Trad. modificata.
114 Sistemi filosofici moderni
cose sono in Dio e da lui dipendono così da non poter essere né essere conce
pite senza di lui; e infine che tutte le cose sono state predeterminate da Dio,
ma non da libera volontà, ovvero assoluto arbitrio, bensì dall’assoluta natura
di Dio, ossia dalla sua infinita potenza (Elap).
3. ha mente umana
76 Cf. MACHEREY, Introduction à /'Éthique, cit., II, 78; N adler, Spinoza s Ethics,
cit., 146.
77 Basti pensare ai primi capitoli della Genesi o a uno scritto filosofico come la
Oratio de hominis dignitate di Pico della Mirandola.
78 È chiaro che Spinoza ritiene del tutto invalido lo strumento principe della
metafisica e della teologia classica, cioè l’analogia. Sull’ampissimo dibattito sull’analogia
che fino a oggi contrappone medievali e moderni, cf. V. MELCHIORRE, La via analogica,
Vita e Pensiero, Milano 1996; J.F. COURTINE, Inventio analogiae: métaphysique et on-
tothéologie, Vrin, Paris 2005.
120 Sistemi filosofici moderni
dea non tanto perché costituisce la natura della mente umana, ma perché insie
me con la mente umana ha anche l’idea di un’altra cosa, allora diciamo che la
mente umana percepisce la cosa parzialmente, ossia inadeguatamente (E2pllc).
79 E 2 {)llc verrà ripreso per ben tredici volte nella II Parte, cf. MACHEREY, In-
troduction à /'Éthique, cit., I, 293; II, 107-113.
L'Etica di Spinoza 121
filosofo chiarisce nell’excursus sulla fisica dei corpi80, ogni corpo non è
che un modo dell’estensione che si costituisce mediante l’azione di altri
corpi, all’interno di una concatenazione infinita. Il corpo umano, in par
ticolare, è un individuo «composto da moltissimi individui (di diversa
natura), ognuno dei quali è assai composito» (E2postl); e, simultanea
mente, la mente umana è «composta da moltissime idee» (E2pl5). In
più, la mente umana ha la caratteristica di percepire «non soltanto le af
fezioni del corpo, ma anche le idee di queste affezioni» (E2p22), in altre
parole, sa di conoscere il corpo. E tuttavia, è solo e soltanto grazie alla
conoscenza del corpo proprio che essa può conoscere «se stessa»
(E2p23) e anche tutti i possibili «corpi esterni» (E2p26).
A partire da ciò, Spinoza avanza la sua teoria della conoscenza81,
che si snoda tra E2p24-47 e trova un momento riassuntivo in E2p40s2,
dove egli pone una scala ascendente di tre generi di conoscenza: 1. im
maginazione; 2. ragione; 3. scienza intuitiva. Vediamoli in dettaglio. 1.
immaginazione, detta anche opinione, deriva (a) da «esperienza va
ga», ossia dalla rappresentazione di singole cose che, in modo fram
mentario e confuso giunge all’intelletto mediante i sensi; oppure (b)
«da segni» mediante i quali liberamente associamo immagini diverse,
come ad esempio le parole, i segnali convenzionali ecc. 2. La ragione si
manifesta nel possesso di «nozioni comuni e idee adeguate delle pro
prietà delle cose». 3. La scienza intuitiva, detta anche intelletto, è cono
scenza adeguata dell’essenza delle cose in relazione al loro attributo82.
ti, ma che ora sono disposte in un elenco che vorrebbe far cogliere più
facilmente il loro ordine92.
Prima di passare a spiegare alcuni tratti salienti della III Parte, è
indispensabile un chiarimento semantico. Il termine latino affectus, è
participio passato del verbo afficere, composto da ad-facere, cioè lette
ralmente «fare a» ovvero «toccare con la propria azione qualcosa, pro
durre un effetto su di essa», cioè «influire, colpire». Ora affectus può
significare: (a) in generale affetto nel senso di «colpito, influenzato»
(es. i corpi sono affetti dalla forza di gravità); mentre (b) per quanto ri
guarda in specifico la sfera di quegli influssi da cui l’animo umano è
toccato, affetto nel senso di «emozione» o, come Spinoza stesso dirà,
«commozione»93 (es. odio, ira, paura, amore, compassione, gratitudi
ne). Sia emozione che commozione, sono composti del verbo latino mo
vere, cioè «muovere»: in un caso ex-movere, cioè «muovere via, smuo
vere, sollevare», nell’altro cum-movere, «muovere insieme, sconvolge
re». In entrambi i casi il significato verte su un moto che viene ad alte
rare, turbare, scuotere lo stato psichico. A ragione, perciò, Cristofolini
traduce affetto con «moto dell’animo»94.
Nella prefazione l’autore parte immediatamente all’attacco della
maggior parte di coloro che, finora, hanno scritto sugli affetti e sulle
regole di vita degli uomini, giacché «sembrano trattare non di cose na
turali (rebus naturalibus) che seguono le comuni leggi della natura, ma
di cose alla natura estranee (extra naturam sunt)» (E3praef). Questa
pretesa di sottrarsi alla natura finisce nella contraddizione di conside
rare l’uomo «veluti imperium in imperio», ossia capace di dominio nel
dominio della natura, con la conseguenza di porlo allo stesso tempo
troppo in alto e troppo in basso. Infatti costoro, facendo fede alla loro
immaginazione, si illudono che l’uomo abbia una «potenza assoluta
nelle sue azioni», e poi, non riuscendo a spiegarsi come mai egli risulti
spesso così impotente, attribuiscono ciò a una qualche ridicola e dete
stabile patologia della natura umana. L’errore di fondo di questi “mo
ralisti” è quello di vedere l’uomo in un modo euforico e disforico allo
stesso tempo, cioè di giudicare affettivamente gli affetti. Ecco perché è
indispensabile, invece, assumere uno sguardo razionale verso gli affet
ti, per poterli finalmente «capire (intelligere)». In realtà, al di sotto
dell’apparente anarchia degli affetti, che la nostra esperienza ci testi
monia quotidianamente, soggiace una logica ferrea e rigorosa. Spinoza
ci ricorda quanto stabilito nella I e II Parte, ovvero che la natura è
«una sola e identica a se stessa», e che quindi gli affetti non sono altro
che conseguenze della necessità della natura, e quindi non debbono
essere spiegati con un metodo differente da quello usato nello studio
di Dio e della mente, ma considerati «come se si trattasse di linee, di
figure piane, o di corpi».
Ecco la definizione che Spinoza ne dà all’inizio della III Parte:
3. Per affetto/moto dell’animo intendo quelle affezioni del corpo
quali la potenza d’agire del corpo stesso è aumentata o diminuita, favorita od
ostacolata e, simultaneamente, le idee di queste affezioni.
Da ciò capiamo che nelYEtica gli affetti non sono sentimenti più
o meno vaghi, ma ciò che è in grado di aumentare o diminuire, facilita
re od ostacolare, l’essere attuale di una singola cosa, cioè la sua perfe
zione dinamicamente intesa, ossia la tendenza ad autorealizzarsi, a es
sere effettivamente e pienamente ciò che essa è. Non dimentichiamo
che una «cosa finita» è ciò che è in quanto «può essere delimitata (ter
minati potest) da un’altra della medesima natura» (Eld2), ovvero è
«determinata a esistere e ad operare da un’altra causa anch’essa finita»
(Elp28). Ciò significa che ogni cosa si trova all’interno di un campo
antagonistico di forze, ciascuna delle quali tende ad affermare e a con
servare se stessa (E3p4-5). Ecco perché, per una singola cosa essere si
gnifica in fondo tendere, cioè fare forza per non lasciarsi sopraffare
dalla miriade di forze contrarie che la circondano, ossia letteralmente
sforzarsi (conati) di conservare se stessa96.
Un secondo decisivo elemento della definizione dell’affetto è che
esso si produce simultaneamente (simul) nell’estensione e nel pensie
ro. Come abbiamo chiarito nella II Parte (es. E2p7 o E2pl3c) corpo e
mente, e quindi anche affezioni corporee e idee, non sono elementi se1
parati da porre in una qualche relazione estrinseca, bensì la stessa co
sa, colta ora sotto l’attributo dell’estensione, ora sotto quello del pen
siero. Anche gli affetti, perciò, sono idee della mente (eventi mentali al
pari di tutti gli altri), e sono moti cioè modificazioni corporee (eventi
cerebrali, nervosi e somatici al pari di tutti gli altri). Il tutto, senza che
vi sia il minimo influsso reciproco97. Ciò è ulteriormente confermato
dalla teoria del conatus. Quando Spinoza sostiene che la inseità di una
cosa singola98, cioè la sua essenza attuale di cosa finita, è la sua tensio
ne (conatus) a perseverare nel proprio essere (E3p6), non dice altro se
non che tale cosa è un «modo» della sostanza, ovvero un’espressione
positiva della sostanza, cioè un qualcosa che necessariamente segue
dalla potenza d’agire della sostanza stessa, nei suoi infiniti attributi.
Ergo, il conatus, in quanto essenza dell’affetto, non può che esprimersi
simultaneamente in ciascun attributo.
Un ulteriore elemento da notare è quanto Spinoza precisa nella
nota esplicativa aggiunta alle tre definizioni'. «Se dunque noi possiamo
essere causa adeguata di tali affezioni, allora per affetto/moto dell’ani
mo intendo un’azione, altrimenti una passione». Qui l’autore raccoglie
in un’unica proposizione tutte e tre le definizioni precedenti: per «cau
sa adeguata» (E3dl) aveva appena definito quella il cui effetto può es
sere percepito in modo chiaro e distinto mediante se stessa soltanto,
mentre inadeguata quella che comporta un’altra causa; e per «nostro
agire» (E3d2), l’accadere di qualcosa di cui noi siamo causa adeguata,
mentre per «patire» inadeguata. Pertanto, ogni qualvolta noi percepia
mo che un’affezione capace di modificare la nostra potenza di agire è
chiaramente e distintamente causata da noi stessi, si tratta di «azione»;
al contrario, quando percepiamo che tale affezione non si produce so
lo da noi stessi, si tratta di «passione». Con ciò, non solo appare in
modo evidente che per Spinoza gli affetti non coincidono con le pas
sioni, bensì esistono affetti-passione ed affetti-azione99, ma soprattutto
emerge ulteriormente la nostra interazione con la natura. Infatti, anche
le azioni sono dirette verso modificazioni che in parte sono subite,
mentre le passioni manifestano comunque un’azione riconducibile al
nostro essere. In altre parole, la sfera affettiva è il luogo dove si palesa
il nostro essere radicalmente “intrecciati” col mondo, in un reticolo di
azioni e reazioni fatte e subite.
Da ciò, tuttavia, emerge un problema100. Viene da chiedersi, infatti,
98 Qui è chiaramente detto che cose particolari hanno un essere in sé, ovvia
mente non hanno anche un essere per sé, cioè non si concepiscono per sé, bensì da altro,
altrimenti sarebbero a sé e perciò sostanza; cf. E ld3.
99 «E questo è quanto riguarda gli affetti/moti dell’animo che si riferiscono al
l’uomo in quanto è passivo (<quatenus patitur). Rimangono da aggiungere poche cose su
quelli che a lui si riferiscono in quanto attivo (<quatenus agit)» (E3p57s).
100 Cf. MACHEREY, Introduction à /'Éthique, cit., Ili, 43-44; MlGNINI, Introduzio
ne a Spinoza, cit., 132-133; O. KoiSTINEN, Spinoza on action, in KoiSTINEN (ed.), The
Cambridge Companion to Spinozas Ethics, cit., 167-187.
L'Etica di Spinoza 129
se per noi uomini esista la possibilità di compiere anche una sola azione
pienamente definibile come tale. Dato che l’uomo è una cosa finita, cioè
imprescindibilmente determinata dalTagire delle altre cose, sembra che
la sua natura sia incompatibile con un agire “puro”, e sia invece inesora
bilmente destinata a un agire inficiato dall’interazione, più o meno anta
gonistica, con le altre cose. Il che equivale a dire che un’azione umana,
solo umana, non sembra possibile; e nemmeno sembra che l’uomo possa
dirsi libero, giacché «libera» è quella cosa «che da sé sola si determina
ad agire» (Eld7). In che senso allora, nell 'Etica, Spinoza intenda parlare
di «libertà umana», è un punto che va ulteriormente chiarito.
A partire da E3p9 inizia la deduzione geometrica degli affetti,
dei quali il primo, in tutti i sensi, è il desiderio (cupiditas). La mente
umana, come sappiamo da E2p23, è consapevole di sé, dunque è an
che consapevole della sua tensione (conatus) a perseverare nell’essere.
Come spesso accade, le cose più succose - almeno per noi poveri let
tori - Spinoza le consegna allo scolio, in questo caso uno dei più illu
minanti dell’opera:
Questa tensione (conatus), quando si riferisce alla sola mente, si chiama
volontà (Voluntas); ma quando si riferisce simultaneamente alla mente e al cor
po, si chiama voglia (Appetitus), che non è dunque altro se non l’essenza stessa
dell’uomo (ipsa hominis essentia), dalla cui natura necessariamente derivano
quelle cose che servono alla sua conservazione; e quindi l’uomo è determinato
a farle (E3p9s).
101 È questa non solo la prima definizione di un affetto che incontriamo nella III
Parte, ma è anche la definizione del primo affetto. Nell’elenco delle definizioni degli af
fetti,, al n. 1 troviamo: «Il desiderio (cupiditas) è l’essenza stessa dell’uomo, in quanto la
si concepisce determinata da una qualunque sua affezione data a compiere un’azione»
(E3dal). Per un’esegesi approfondita di questa definizione, nelle sue differenze con la
precedente, cf. MACHEREY, Introduction à l’É thique, cit., Ili, 99-107.
102 «Infatti che l’uomo sia consapevole della sua voglia {sui appetitus sit con-
130 Sistemi filosofici moderni
ogni altra intellezione, idea o giudizio: «a nulla noi tendiamo, nulla vo
gliamo, appetiamo, desideriamo, per il fatto che lo giudichiamo essere
buono; ma, al contrario, giudichiamo qualcosa essere buono perché vi
tendiamo, lo vogliamo, appetiamo e desideriamo»103. Difatti, alla fine
della II Parte, Spinoza aveva stabilito anzitutto che per volontà bisogna
intendere «la facoltà di affermare e di negare e non il desiderio»
(E2p48s), quindi volere o non volere coincidono con affermare o nega
re il vero e il falso, e pertanto intelletto e volontà non sono affatto due
facoltà distinte, bensì «un’unica e identica cosa» (E2p49c), e le volizio
ni nient’altro che idee. Ciò con cui la mente «vuole o rifiuta le cose {res
appetti, vel adversatur)» non è la volontà, bensì il desiderio. Ora, soltan
to il desiderio è autocoscienza della originaria tensione d’essere nell’o
rizzonte polemico della finitezza. Ergo, affermare o negare consapevol
mente che qualcosa «è buono», non può che seguire, ovvero essere de
terminato da quella tensione originaria. Mai viceversa. Questa tesi - co
me vedremo - giocherà un ruolo decisivo nelle parti etiche dell’opera.
Nello scolio di E 3pll Spinoza individua in gioia (leetitia) e tri
stezza (tristitia) gli affetti principali che derivano immediatamente dal
desiderio (cupiditas) e che, insieme a esso, vanno a costituire la struttu
ra basilare di tutti gli altri affetti. In base all’unità di mente e corpo
sancita in E2p7, qualunque cosa accresce o diminuisce la potenza d’a
gire del nostro corpo, accresce o diminuisce la potenza di pensare del
la nostra mente (E3pll). Perciò, quando un’azione ha successo, ovve
ro la mente percepisce un accrescimento della propria potenza d’agire,
passando da una minore a una maggiore perfezione, è affetta da un
moto di gioia; al contrario, quando fallisce, ovvero percepisce un detri
mento, passando da una maggiore a una minore perfezione, è affetta
da un moto di tristezza. Sappiamo anche che l’essenza della mente
umana è l’idea del corpo umano esistente in atto (E2pll-13), perciò
«un’idea che nega l’esistenza del nostro corpo è contraria alla nostra
mente» (E3pl0dem) e pertanto non può affatto derivare da questa. In
vece, in base a E 3pll, la mente può tendere a immaginare cose che ac
crescono o favoriscono la potenza d’agire del corpo; oppure tendere a
ricordarsi di cose che escludono l’esistenza del corpo, immaginando
cose che riducono od ostacolano la potenza d’agire di esso (E3pl2-
13). Ebbene quando la mente tende ad aver presenti e conservare
scius), o che non lo sia, la voglia rimane sempre la stessa (manet tamen appetitus unus,
idemque)» (E3dale).
103 Cf. anche E3p39s.
L'Etica di Spinoza 131
5. Schiavitù e libertà
104 Spinoza ne elenca 48, ammettendo che potrebbero essere ben di più (E3p49s).
Per una loro tavola riassuntiva e/o comparativa, cf. MlGNINl, L'Etica di Spinoza, cit., 134-
135; F. A mann , Liebe und Hass (3pl3-21), in HAMPE-SCHNEPF (edd.), Baruch de Spinoza.
Ethik, cit., 176-177; M. LEBUFFE, The anatomy of thè passions, in KoiSTINEN (ed.), The
Cambridge Companion to Spinozas Ethics, cit., 204-205; per un repertorio delle princi
pali figure dell’affettività, con i rimandi interni all 'Etica, cf. M a ch erey , Introduction à
/'Éthique, cit., Ili, 391-405.
105 «On thè whole, twentieth-century interest in Spinozas writings has focused -
in contrast with Spinozas own priorities - more on his metaphysics and epistemology
(especially in thè English-speaking world) and on his social and politicai theory (espe-
cially on thè European continent) than it has on his ethical theory proper. It is not, of
course, uncommon for a later generation of readers to neglect an aspect of a philoso-
pher’s work that thè philosopher valued most highly» (D. GARRETT, Spinozas ethical
132 Sistemi filosofici moderni
theory, in GARRETT (ed.), The Cambridge Companion to Spinoza, cit., 269); cf. «Studia
Spinozana» 7 (1991), dedicato a The Ethics in thè “Ethics”.
106 «While Parts One and Two should be understood primarily in a Cartesian
framework, with Spinoza offering a kind of criticai commentary on Descartes’s concep-
tion of substance and thè human being, Parts Three and Four clearly owe a debt to
Spinozas study of Hobbes and of ancient Stoic thinkers» (N a dler , Spinozas Ethics,
cit., 248 [trad. mia]).
107 Della filosofia giudaica e delle sue relazioni con Spinoza, uno dei massimi
specialisti odierni è S. NADLER, cf. Spinozas Heresy. Immortality and thè Jewish Mind,
Oxford University Press, Oxford 2002 (trad. it., L'eresia di Spinoza, Einaudi, Torino
2005); I d ., Baruch Spinoza and thè naturalization ofjudaism, in I d . (ed.), The Cambridge
Companion to Modem Jewish Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 2007,
14-34; I d . - T. RUDAVSKY (edd.), The Cambridge History of Jewish Philosophy, Cambrid
ge University Press, Cambridge 2008; cf. anche M. CHAMLA, Spinoza e il concetto della
tradizione ebraica, Franco Angeli, Milano 1996.
L Etica di Spinoza 133
Non si dà in natura alcuna cosa singola di cui non se ne dia un’altra più
potente e più forte. Ma data una qualunque cosa se ne darà un’altra più po
tente, da cui quella data può essere distrutta (E4a).
113 In E4p37s2 Spinoza espone l’origine e la natura dello Stato, cf. Trattato teolo-
gico-politico, cap. 16 (G III: 189-200 [OS: 1003-1029]); Trattato politico, capp. 1-5 (G
III: 273-297 [OS: 1631-1671]); sugli influssi hobbesiani di questa teoria, cf. D. Bo-
STRENGHI (ed.), Hobbes e Spinoza. Scienza e politica, Bibliopolis, Napoli 1992; sulla natu
ra politica della IV Parte dell’Etica, cf. S. JAMES, Freedom, slavery, and thè passions, in
KoiSTINEN (ed.), The Cambridge Companion to Spinoza’s Ethics, cit., 223-241.
L'Etica di Spinoza 137
nella misura in cui provoca gioia, ossia accresce la nostra potenza d’a
gire, e siccome il desiderio (E3adl) «non è altro se non la stessa ten
sione ad agire», la ragione è in grado di “innescare” il desiderio al pari
delle passioni, e persino indipendentemente da esse.
Ciò che fa la differenza tra la determinazione all’azione derivante
da una passione e quella derivante dalla ragione consiste nel fatto che
la passione (data la sua natura immaginativa) concerne per lo più una
parte del corpo (E4p44s), mentre la ragione (data la sua capacità di co
gliere ciò che è comune) ha di mira l’utilità dell’uomo nella sua tota
lità. Inoltre, mentre per ciò che deriva dall’immaginazione fa una gran
differenza se l’oggetto immaginato è passato, presente o futuro; invece
«Allorché la mente concepisce le cose secondo i dettami della ragione
ne viene presa allo stesso modo (.seque afficitur), sia che si tratti di idea
di cosa futura, o passata, o presente» (E4p62). Perciò, solo seguendo
la ragione possiamo trascurare un bene minore presente in vista di uno
maggiore futuro (es. il piacere di un cibo in vista della salute) o, persi
no, accettare un «male minore in vista di un bene maggiore» (es. il do
lore di una medicina in vista della guarigione) o, al contrario, «trala
sciare un bene minore che è causa di un male maggiore» (E4p65c) e
così via. In altre parole, grazie alla ragione possiamo ambire a superare
le ristrettezze dell’immaginazione, le quali ci impediscono di esprime
re appieno la nostra natura, ovverosia di essere liberi114.
Con le ultime sette proposizioni della IV Parte entriamo di fatto
già nel tema della V Parte: l’uomo libero; Yexemplar annunciato nella
prefazione. La più celebre di tali proposizioni - anche per il tono pole
mico che assume nei confronti di una lunga tradizione filosofica115 - è
la seguente: «Un uomo libero a nulla pensa meno che alla morte: la sua
sapienza non è meditazione sulla morte, ma sulla vita» (E4p67). Infatti:
L’uomo libero, ossia colui che vive sotto i soli dettami della ragione, non
è guidato dalla paura della morte (E4p63), ma desidera direttamente il bene
114 «Se dunque si confrontano queste cose con quelle che abbiamo mostrato in
questa parte, fino alla proposizione 18, sulle forze degli affetti/moti dell’animo, vedremo
facilmente che differenza ci sia tra un uomo guidato dai soli affetti/moti dell’animo, ossia
dall’opinione, e un uomo guidato dalla ragione. Quello infatti, voglia o non voglia, fa co
se di cui non sa nulla, mentre questo non obbedisce ad altri che a se stesso, e fa soltanto
quelle cose che sa essere le prime nella vita, e che perciò anzitutto desidera; pertanto
chiamo servo quello, e libero questo» (E4p66s [trad. modificata, sottolineature mie]).
115 All’origine di tale tradizione sta di certo il Fedone di Platone (cf. Phaed., 64a-
b); cf. il classico S. Z a c , L’idée de vie dans la philosophie de Spinoza, Presses Universitai
res de France, Paris 1963.
138 Sistemi filosofici moderni
(E4p63c), ossia (E4p24), agire, vivere, conservare il proprio essere sulla base
della ricerca del proprio utile; e dunque a nulla pensa meno che alla morte, ma
la sua sapienza è meditazione sulla vita (E4p67dem).
116 «In spite of many years of study, I stili do not feel that I understand this part
of thè Ethics at all adequately. I feel thè freedom to confess that, of course, because I al-
so believe that no one else understands it adequately either» (E. CURLEY, Behind thè
Geometrical Method. A Reading of Spinoza s Ethics, Princeton University Press, Prince
ton 1988, 84).
117 «If God is conceived as traditionally minded Jews and Christians conceive
him, Spinoza denies his existence, and can legitimately be accused of atheism. Not of
idolatry; for he does not offer to his “G o d ” thè sort of worship that pagan polytheists
offered to theirs. Spinoza’s God, however, is more like thè Jewish and Christian one
than like those of paganism; and thè intellectual love Spinoza thinks due to his God,
while unlike monotheistic worship, has some analogy to it. Spinoza can legitimately
claim that his absolutely infinite being is sufficiently like thè Jewish and Christian God,
and thè attitude it would be rational to take to such a being sufficiently like worship, for
it to be proper to describe it as “G od”» (A. DONAGAN, Spinoza s Theology, in G arrett
(ed.), The Cambridge Companion to Spinoza, cit., 357).
140 Sistemi filosofici moderni
l’uomo a considerare le sue nozioni vaghe e casuali come una base va
lida per giudicare se stesso, Dio e la natura delle cose. Di fronte alla
forza dell’immaginazione, espressa negli affetti, sta la potenza della ra
gione, la quale è in grado di esercitare un’azione inibitrice e modera
trice nei suoi confronti. Ciò, come abbiamo visto alla fine della IV Par
te, è sufficiente a delineare i tratti dell’uomo libero e persino le basi
della sua convivenza civile. In un certo senso, l'Etica potrebbe termi
nare lì. Invece Spinoza aggiunge un’altra Parte, nella quale dapprima
approfondisce il potere della ragione e poi lo oltrepassa. Tutto il pro
blema mi sembra risiedere nel capire perché Spinoza non si sia accon
tentato della ragione, ma abbia avvertito l’esigenza del suo superamen
to nell’intelletto o scientia intuitiva.
Nella prefazione alla V Parte, Spinoza si dilunga in un’accesa cri
tica nei confronti della tesi, sostenuta classicamente dagli stoici ma so
prattutto recentemente da Descartes118, secondo la quale noi abbiamo
un «potere assoluto (imperium absolutum)» sugli affetti. Sembra stra
no leggere una critica così netta dalla penna di un filosofo che appare,
in fondo, come uno che per larga parte ha riproposto i contenuti dello
stoicismo in una forma argomentativa cartesiana, eppure questa presa
di distanza dai suoi punti di riferimento massimi è funzionale all’affer
mazione di un caposaldo irrinunciabile del suo sistema: il potere della
ragione nei confronti degli affetti è quello di «contenerli e moderarli
(icoèrcendum et moderandum)», mai di dominarli completamente.
La forma che assume la soluzione spinoziana alla questione del
l’influsso degli affetti sulla nostra esistenza non è né quella di un domi
nio assoluto (razionalismo), né quella di una resa assoluta (fatalismo),
bensì di un “governo” di essi, da perpetrare mediante una sorta di “te
rapia” della mente, da attuare mediante la ragione119. Appare chiaro
allora che la critica a Descartes si spiega nel fatto che per Spinoza gli
affetti/moti dell’animo sono modi del pensiero, al pari delle altre idee
della mente, e non una specie di sottostruttura inferiore, perciò essi
non sono mai scindibili e dunque interamente determinabili da parte
della ragione. Un io assoluto, pura fonte di idee chiare e distinte, ovve
ro una mente senza passioni, non può esistere.
121 «Quanto più questa conoscenza, che cioè le cose sono necessarie, verte intor
no a cose singole che immaginiamo in maniera più distinta e più vivida, tanto maggiore
è questa potenza della mente sugli affetti/moti dell’animo, come pure attesta l’esperien
za stessa. Vediamo infatti che la tristezza per la perdita di un bene si mitiga non appena
l’uomo che l’ha perduto capisce che non avrebbe potuto in alcun modo conservare quel
bene» (E5p6s).
122 «I don’t think that thè final three doctrines [The mind’s eternity; Intuitive
knowledge; The intellectual love of God] can be rescued. [...] After three centuries of
failure to profit from it, thè time has come to admit that this part of thè Ethics has noth-
ing to teach us and is pretty certainly worthless» (BENNETT, A Study of Spinoza s Ethics,
cit., 372). Per una posizione più moderata e che sa trarre profitto dalle fonti giudaiche,
cf. N a d le r , Spinoza s Heresy, cit., 94-156; Id., Eternity and immortality in Spinoza s
Ethics, in «Midwest Studies in Philosophy» 26 (2002), 224-244; altro interprete di riferi-
144 Sistemi filosofici moderni
mento della questione è A. MATHERON, Remarques sur l'immortalità de lam e chez Spin
oza, in «Les Études Philosophiques» 3 (1972), 369-378 (trad. tedesca, in HAMPE-
SCHNEPF (edd.), Baruch de Spinoza. Ethik, cit., 297-307); I d ., La vie éternelle et le corps
selon Spinoza, in «Revue Philosophique de la France et de l’Étranger» 120 (1995), 229-
237; cf. anche R. SCHNEPF, Wer oder was ist unsterblich (wenn uberhaupt)? Spinozas The-
orie des ewigen Teils des endlichen Geistes, in «Archiv fùr Geschichte der Philosophie»
88 (2006), 189-215.
123 Supra, 21, 76-78.
124 II cap. 23 della II Parte del Breve trattato è dedicato a: «L ’immortalità della
mente (Van desZiels Onsterfelykheid)» (G I: 102 [OS: 323]).
125 Cf. N a d ler , Spinozas Ethics, cit., 259-272; D. GARBER, «A free man thinks of
nothing less than o f death». Spinoza on thè eternity o f mind, in C. MERCER (ed.), Early
Modem Philosophy. Mind, matter, and metaphysics, Oxford University Press, Oxford
2005,103-118.
L'Etica di Spinoza 145
questo e di quel corpo umano» (E5p22). Ogni corpo (non solo quello
umano) in quanto cosa finita ha una durata che può essere determina
ta dalla sua interazione con le altre cose finite. Tuttavia, ogni corpo è
un certo modo dell’attributo dell’estensione e, direttamente in relazio
ne a esso, possiede un’essenza che non sottosta alla durata temporale,
in quanto non dipende dalla sua interazione con le altre cose (es. que
sto libro ha una sua figura e dimensione esprimibile da una pura for
mula matematica che lo identifica come questa certa porzione dell’e
stensione). Tale essenza è eterna e permette di considerare ogni corpo
sub specie seternitatis. Tale eternità appartiene anche al corpo umano e
perciò: «La mente umana non può essere assolutamente distrutta con
il corpo; ma di essa rimane qualcosa, che è eterno (aliquid remanet,
quod deternum est)» (E5p23).
Tuttavia in E5p39 Spinoza sostiene che «Chi ha un corpo capace
della più grande quantità di cose ha una mente la cui più gran parte è
eterna», infatti un corpo più attivo è un corpo le cui affezioni sono
maggiormente ordinate secondo l’ordine dell’intelletto, ossia si riferi
scono maggiormente a Dio. Di conseguenza anche la mente possiederà
una parte eterna più grande. Nello scolio il filosofo aggiunge che col
passare dall’infanzia all’età adulta è possibile raggiungere una sempre
maggiore consapevolezza di sé, di Dio e delle cose e quindi “aumenta
re” l’eternità della propria mente. Questa teoria, già sufficientemente
oscura in se stessa, sembra inoltre essere incompatibile con quella ap
pena menzionata, giacché l’essenza di un corpo è qualcosa di stabile,
non certo ingrandibile o diminuibile. Allora, a che titolo Spinoza può
parlare di maggiore o minore eternità di una mente?
Per rispondere a questa domanda è indispensabile riprendere e
chiarire in cosa consista il terzo genere di conoscenza, intelletto o
scientia intuitiva. Infatti, «La tensione massima e la forza suprema del
la Mente stanno nel comprendere le cose con il terzo genere di cono
scenza [Summus Mentis conatus, summaque virtus est res intelligere ter-
tio cognitionis genere)» (E5p25). Come già sappiamo da E2p40s, per
Spinoza intelligere significa conoscere l’essenza delle cose relazionan
dola direttamente con l’attributo di cui esse sono idea adeguata. Per
ciò egli stabilisce questa importantissima distinzione:
Noi concepiamo le cose come attuali in due modi, in quanto le conce
piamo o [a] come esistenti in relazione a un dato tempo e luogo (cum relatione
ad certum tempus, et locum esistere), o [b] come contenute in Dio e derivanti
dalla necessità della natura divina (ex naturae divinde necessitate consequi). Ora
quelle che sono concepite come vere, ossia reali, in questo secondo modo, le
146 Sistemi filosofici moderni
concepiamo sotto specie di eternità (sub getermtatis specie), e le loro idee im
plicano l’eterna e infinita essenza di Dio (E5p29s).
126 E bene notare che con la morte, svanendo il corpo, svanisce anche ogni co
scienza, ricordo, dolore e fragilità. In tal senso, non si può dire che ciò che, secondo Spi
noza, permane oltre la morte sia un qualcosa di personale. «An eternai mind looks like
L'Etica di Spinoza 147
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nection within consciousness between thè mind in duration and thè postmortem mind
sub specie aeternitatis, and consequently no abiding sense of personhood. For Spinoza,
what survives death is not a self» (N a d ler , Spinoza’s Ethics, cit., 271). Sebbene con esiti
diametralmente opposti, la posizione di Spinoza di fatto anticipa la teoria dell’identità
personale di Locke, cf. M. LlN, Memory and personal identity in Spinoza, in «Canadian
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148 Sistemi filosofici moderni
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Capitolo Terzo
IL SAGGIO DI LOCKE
3 Cf. J.R. MlLTON, Locke s life and times, in V. CHAPPELL (ed.), The Cambridge
Companion to Locke, Cambridge University Press, Cambridge 1994,5-25.
4 Dalla corrispondenza e dal diario personale che Locke tenne assiduamente
durante la sua permanenza in Francia per motivi di salute (la «vacanza solitaria» menzio
nata nella Epistola al lettore), sappiamo che egli s’interessò a diversi ambiti scientifici nei
quali era già versato in patria, particolarmente chimica e medicina, nonché alla filosofia e
fisica cartesiana, di cui egli lamentava lo scarso studio nella sua formazione a Oxford,
dove ci si basava in larga parte sulle opere di Aristotele, anzi, per lo più, su alcune sintesi
Il Saggio di Locke 153
scolastiche di esse a opera di autori come P. Du Trieu S.I., M. Smigleckius S.I. o F. Bur-
gersdijk: «by Locke’s day none of thè works of early modern philosophers such as Ba
con, Descartes, Hobbes, and Gassendi would have been included as texts» (G.A.J. Ro-
GERS, The intellectual setting and aims o f thè Essay, in L. NEWMAN [ed.], The Cambridge
Companion to Locke’s “Essay concerning Human Understanding , Cambridge University
Press, Cambridge 2007, 10); cf. anche J.R. MlLTON, Locke at Oxford, in G.A.J. ROGERS
(ed.), Locke s Philosophy. Content and Context, Clarendon Press, Oxford 1994, 29-47. In
Francia, lesse tra gli altri, B. PASCAL, Pensées (1670), approfondi la querelle sulle idee in
tercorsa tra N. MALEBRANCHE, La recherche de la vérité (1674-1675) e A. ARNAULD, Des
vraies et des fausses idées (1683), ma soprattutto studiò a fondo l’approccio materialista
di Gassendi, tramite soprattutto F. BERNIER, Abrégé de la philosophie de Gassendi (1678);
cf. J.R. MlLTON, Locke and Gassendi. A Reappraisal, in M.A. STEWART (ed.), English Phi
losophy in thè Age of Locke, Clarendon Press, Oxford 2000, 87-109.
5 Cf. J. L e C l er c , Éloge du feu Mr. Locke, in «Bibliothèque Choisie» 6 (1705),
342-411 (trad. it., Elogio [storico] del defunto signor Locke, in LOCKE, Scritti etico-religio-
si, cit., 733-777).
6 Locke, educato nella tradizione puritana della Chiesa d’Inghilterra, aveva
una solida formazione teologica e scritturistica. L’incontro con Le Clerc suscitò in lui
nuove riflessioni, soprattutto sulla questione dell’ispirazione e della rivelazione, alcune
di esse palpabili nel Libro IV del Saggio, di cui tratteremo alla fine del nostro Capitolo.
7 J. LOCKE, Estratto del Saggio sull’intelletto umano, in Id., Scritti etico-religio
si, cit., 217-278; è questa la prima opera pubblicata da Locke, anche se di fatto compen
diata da un’altra. Una traduzione inglese uscirà nel 1692, ma il manoscritto originale
verrà ritrovato e pubblicato solo più tardi da P. King, in appendice a The Life o f John
Locke, Colburn, London 1829, 362-398.
8 «Era infatti naturale che gli uomini di cultura del primo Settecento che non
erano filosofi di professione preferissero questa sintetica presentazione apparsa sulle pa
gine della “Bibliothèque Universelle” [...] alle centinaia di pagine delle edizioni integra
li in traduzione francese o latina» (M. SlNA, Nota introduttiva, in LOCKE, Scritti etico-re
ligiosi, cit., 215). La traduzione francese integrale del Saggio, redatta da P. Coste e rivista
154 Sistemi filosofici moderni
I. O f Innate Notions
II. O f Ideas
III. OfWords
IV. OfKnowledge and Opinion
da Locke stesso, uscì ad Amsterdam nel 1700; la traduzione latina, De intellectu huma-
no, di E. Burridge, venne pubblicata a Londra nel 1701.
9 L o c k e , Estratto del Saggio sull’intelletto umano, cit., 278.
10 «A reader might well wonder whether thè sequence of topics in thè Essay is
Il Saggio di Locke 155
controlled by any rational or systematic pian at all, so loose and rambling and uneven
does Locke’s discussion sometimes seems. [...] But thè Essay does have a controlling
pian, one that, besides being coherent is quite highly structured» (V. CHAPPELL, Introduc-
tion, in V. CHAPPELL [ed.], Locke, Oxford University Press, Oxford-New York 1998,4).
11 «For thè whole of his life he [Locke] was quite sure that for large sections of
human enquiry thè outcomes could never be anything other than provisional. The state
of ‘mediocrity’ - a word Locke often uses - in which we find ourselves was for him cen
trai to thè human condition, and with it carne a very clear view about thè fallibility of
thè human intellect. Certainty was possible, but only in rather small quantities and in
very particular areas of enquiry. [...] He was therefore interested in arguing from
known self-evident principles to conclusions known equally to be certainly true in only
three areas: mathematics, morals, and some few but important aspects of religion»
(R o g er s , The intellectual setting and aims o f thè Essay, cit., 14).
12 Sulla storia della recezione del Saggio, cf. M. SlNA, Introduzione a Locke,
156 Sistemi filosofici moderni
Dopo la prima edizione, uscita già nel dicembre del 1689, sebbene il
frontespizio riporti la data 1690, Locke stesso curò altre tre edizioni dell’Es
say: la seconda uscì nel 1694 «with large Additions»; la terza, del 1695, ripor
tava lo stesso testo della seconda; la quarta vide la luce nel 1700, anch’essa con
aggiunte (di queste modifiche Locke tiene nota nei paragrafi finali dell’Episto
la al lettore aggiunti col succedersi delle edizioni). Una quinta edizione, postu
ma, venne pubblicata nel 1706; una sesta nel 1710. Qualche anno dopo uscì la
prima edizione delle opere: The Works of John Locke Esq., 3 voli., London
1714. Di un secolo più tardi, The Works ofjohn Locke, 10 voli., London 1823,
è rimasta a lungo l’edizione di riferimento, fino a quando nel 1975 è iniziata la
Clarendon Edition of thè Works o f John Locke, a oggi non terminata e di cui
sono previsti 30 volumi. Il primo di essi è l’edizione storico-critica di An Essay
concerning Human Understanding edited with an introduction, criticai appa-
ratus and glossary by P.H. NlDDlTCH, Clarendon Press, Oxford 1975 (abbre
viata con la sigla E). E è basata sulla quarta edizione originale dell’Essay, l’ulti
ma licenziata in vita da Locke. Nel 1979, Nidditch ha curato una versione di E
emendata e alleggerita dellTntroduzione, del Glossario e di parte del materiale
editoriale, ma dotata di un’apposita breve Prefazione.
In italiano non esiste un’unica edizione completa delle opere di Locke,
abbiamo però tre traduzioni integrali dell9Essay. La più antica è quella di
C. Pellizzi, Saggio sull’intelligenza umana, 2 voli., Laterza, Roma-Bari 1951, ri
vista da G. Farina nel 1988; di venti anni più tarda, Saggio sull’intelletto uma
no, a cura di M. e N. ABBAGNANO, Utet, Torino 1971. La più recente, l’unica
ad avere il testo E a fronte (senza però riportarne la paginazione), è Saggio sul
l’intelletto umano, traduzione e note di V. CICERO - M.G. D ’AMICO, Bompiani,
Milano 2004. Io citerò da quest’ultima edizione, mantenendo tuttavia corsivi e
maiuscoletti di E, e riservandomi di modificarne la traduzione, spesso troppo
libera rispetto all’originale.
Per il testo originale dell Essay io mi rifarò a E, nell’edizione del 1979.
Per le citazioni userò il metodo, comunemente adottato, d’indicare il numero
del Libro, del Capitolo e della sezione, in più aggiungerò anche la paginazione
E (solo quando indispensabile, indicherò anche i numeri delle righe, con una
virgola dopo il numero di pagina). Ad esempio, E II.xxi.56: 270, significa: pa
gina 270 dell’edizione Nidditch, Sezione 56 del Capitolo xxi del Libro II del
Saggio.
Il Saggio di Locke 159
1. Tabula rasa
Il Libro I del Saggio, di gran lunga il più corto, comprende solo
quattro capitoli. Dopo una breve Introduzione, di fatto utile per l’in-
sieme dell’opera18, Locke nega l’esistenza di principi innati, sia specu
lativi (E I.ii) che pratici (E I.iii), e infine, dopo aver associato l’innatez-
za dei principi a quella delle idee che li compongono, nega l’esistenza
di idee innate, come: identità, tutto, Dio (E I.iv).
Nell 'Introduzione Locke ci mette in mano alcune chiavi per apri
re la sua opera. Anzitutto, egli suggerisce una metafora assai istruttiva:
«L’intelletto, come l’occhio, sebbene ci permetta di percepire tutto
quanto è intorno a noi, non si accorge di se stesso» (E I.i.l: 43). Per
ciò, se vogliamo gettare lo sguardo nel “cono d’ombra” della nostra in
telligenza, cioè comprendere come funziona la stessa facoltà di com
prendere, dobbiamo usare un metodo indiretto. Ecco perché egli, po
co sotto, sostiene che «basterà considerare le facoltà di discernimento
dell’uomo, così come sono impiegate (employd) relativamente agli og
getti con cui sono in relazione» (E I.i.2). Locke preciserà più avanti
che il discernimento riguarda in generale quella capacità della mente di
«percepire in modo distinto» (E II.xi.1: 155) se due suoi oggetti sono
identici oppure differenti. Senza di essa non vi è conoscenza, né è pos
sibile formulare giudizi. Dunque, scopo del Saggio sarà esaminare co
me la mente concretamente usa la sua capacità di discernere.
Per fare ciò, Locke dice di volersi avvalere di un «metodo stori
co e semplice (Historical, plain Method)» (E I.i.2: 43), ovverosia di de
scrivere come la nostra intelligenza effettivamente giunga ad acquisire
le nozioni che ha delle cose. Egli decide di seguire sistematicamente
tre tappe (E I.i.3): 1. indagare Xorigine dei contenuti mentali che sap
piamo di possedere; 2. mostrare i diversi generi di conoscenza ai quali
la mente perviene basandosi su quei contenuti; 3. esaminare i diversi
gradi di assenso della mente e, particolarmente, l’opinione, cioè l’as
senso veritativo concesso a proposizioni per le quali non si ha certezza.
L’indagare da dove, come e sino a che punto si estende la nostra intelli
genza ha anche un risvolto morale, nella misura in cui dovrebbe con
durre a «imparare ad accontentarci» (E I.i.4: 45) di ciò che è alla por
tata della nostra condizione umana, evitando con ciò pretese esagerate
e dannosi fanatismi.
d’intendere l’idea allo stesso tempo come percetto e come concetto (es. E II.viii.8: 134), cf.
E.J. Lowe, Locke on Human Understanding, Roudedge, London-New York 1995, 15-33.
Per un quadro complessivo della questione, cf. M. AYERS, Locke. Epistemology and Onto-
logy, 2 voli., Roudedge, London-New York 1991,1, 13-77.
20 Supra, 43.
21 Nel Libro I Locke critica anzitutto i principi innati e secondariamente le idee
innate che li compongono. Per inquadrare gli argomenti di Locke contro l’innatismo, cf.
S.C. RlCKLESS, Locke s polemic against nativism, in NEWMAN (ed.), The Cambridge Com
panion, cit., 33-66.
22 Tra questi, soprattutto H. More sosteneva che l’uomo possiede una nozione
di Dio e delle verità eterne innata.
23 Supra, 24.
24 L’unico a essere nominato (E I.iii.15: 77) è E. Herbert di Cherbury, autore del
De Ventate. Prout distinguitur a Revelatione, a Verisimili, a Possibili, et a Falso (1624), ove
afferma che l’uomo sin dalla nascita abbia ricevuto da Dio delle verità fondamentali sotto
forma di xoival svvoiai (cf. E I.ii.l: 48) cioè «notizie comuni» (Locke traduce primary
Notions), quali: l’esistenza di Dio, la necessità della devozione verso Dio ecc.
162 Sistemi filosofici moderni
25 Sulle fallacie degli argomenti di Locke contro l’innatismo, cf. LOWE, Locke
on Human Understanding, cit., 22-25.
26 «Innanzitutto è evidente che tutti i bambini e gli idioti [ignoranti] non hanno
la benché minima percezione o comprensione di tali principi, e questa mancanza è suffi
ciente a distruggere quel consenso universale che dovrebbe essere il dato concomitante
e necessario di tutte le verità innate» (E I.ii.5: 49).
27 «[Teofilo] Concludo che un consenso molto generale fra gli uomini è un in
dizio e non una dimostrazione di un principio innato, ma che la prova esatta e decisiva
di questi principi consiste nel far vedere che la loro certezza non viene se non da ciò che
è in noi. [...] Così si impiegano queste massime senza considerarle espressamente: pres
sappoco come quando si hanno virtualmente nella mente le proposizioni soppresse negli
entimemi, proposizioni che si lasciano in disparte non solo nella comunicazione diretta
all’esterno, ma anche nel nostro pensiero» (LEIBNIZ, Nouveaux Essais, cit., 1.1, 76 [trad.
it., cit., 147]).
Il Saggio di Locke 163
idee impresse nell’anima non sono attualmente evidenti, bensì solo po
tenzialmente evidenziabili; non a caso esse devono essere riattualizzate
mediante la reminiscenza. Uno dei passi più celebri lo troviamo nel
Menone, laddove Socrate riesce a condurre uno schiavetto, privo di
ogni istruzione, alla dimostrazione di un teorema di geometria28.
Locke sembra aver ben presente quel testo di Platone e dirigere il suo
attacco proprio contro di esso (E I.ii.5). Eppure, tutto quello che rie
sce a controbattere è che a lui «sembra quasi contraddittorio (seeming
to me near a Contradiction) affermare che ci sono verità impresse nel
l’anima che però questa non percepisce» (E I.ii.5: 49). Con ciò egli ar
guisce di fatto un’identità tra idea e contenuto mentale conscio; ovve
ro, presuppone già come valido il proprio concetto di idea.
Per Locke, infatti, le idee sono sempre legate alla coscienza im
mediata: quando la mente smette di percepirle, esse smettono di esi
stere. A proposito di memoria/reminiscenza, più avanti dirà: «le no
stre idee non sono nient’altro che percezioni realmente presenti nella
mente, che perdono ogni genere di consistenza non appena si dilegua
la percezione che di esse abbiamo» (E II.x.2: 150). La memoria possie
de delle idee, solo nella misura in cui «ha il potere di ravvivare le per
cezioni, che una volta ha avuto nella mente, con in più la consapevo
lezza di aver già avuto in precedenza quel genere di percezioni»29. Per
tanto, non solo dobbiamo già almeno una volta essere stati consci di
qualcosa per poterla riportare alla mente, ma, soprattutto, se nella no
stra mente ci fosse di per sé impressa una qualche idea, questa non po
trebbe non esprimersi generando un consenso universale su di sé.
Di fronte alle fin troppo evidenti fragilità argomentative del Libro
I sono state ipotizzate diverse giustificazioni. L’assenza della trattazione
sulle idee innate nei diversi Drafts ha fatto ipotizzare che Locke abbia
aggiunto il Libro I per non scoraggiare il grande pubblico dalla lettura
del Saggio, offrendo così una sorta d’introduzione, scritta in un linguag
gio più popolare e con una funzione, per così dire, pedagogica30. Altri
hanno, d’altronde, sottolineato come il vero bersaglio polemico sotteso a
tutta l’argomentazione siano in verità i principi pratici, e pertanto la
confutazione di quelli speculativi sia a ciò indirettamente funzionale31.
Più interessante, però, sembra essere una terza ipotesi, ossia che il Li
bro I apra una grande questione di fondo, che in realtà il Saggio nel
suo insieme s’incarica di affrontare32. Tale questione è lapidariamente
espressa da Locke all’inizio d él’Estratto, laddove, dovendo riassumere
il contenuto del Libro I, tutto ciò che ha da dire su di esso è che: «Ho
cercato innanzi tutto, in queste mie considerazioni sul nostro intellet
to, di provare che il nostro spirito all’inizio è ciò che si suol chiamare
una tabula rasa»33. Qui la posizione di Locke suona come un presup
posto, contrario all’opinione di molti filosofi, ma che l’evidenza sem
bra invece confermare, grazie soprattutto all’assenza del consenso uni
versale. Presupposto che, in realtà, funziona come una vera e propria
ipotesi di partenza, consistente in un determinato modo di concepire
in generale la natura dell’intelligenza umana34. Ipotesi che solo il Sag
gio, nel suo complesso, potrà adeguatamente verificare e corroborare
come quella che meglio di ogni altra giustifica la nostra conoscenza.
2. Idee
Il Libro II, di gran lunga il più ampio e articolato dell’intero Sag
gio, è suddiviso in 33 Capitoli, alcuni di essi brevi, altri estesi persino a
una settantina di sezioni. Per Locke le idee, oggetto del Libro II, sono
gli elementi (materials) basilari della nostra intelligenza. Esse possono
sia originare che combinarsi tra di loro in diverse maniere. Dell 'origine
delle idee Locke tratta in E ILi; delle idee semplici in E Il.ii-xi; delle
idee complesse in E Il.xii-xxviii; nei capitoli rimanenti, E Il.xxix-
xxxiii, aggiunge altre considerazioni concernenti le idee.
bianco, privo di ogni carattere, senza alcun idea. In che modo giunge a esserne
fornita? [...] Da dove ha ricavato tutti gli elementi della ragione e della cono
scenza? Rispondo con una sola parola: dall 'esperienza. In ciò tutta la nostra
conoscenza è fondata; e da ciò ultimamente essa stessa deriva (E II.i.2: 104).
35 «Queste due sono le fonti della conoscenza, dalle quali scaturiscono tutte le
idee {all thè Ideas) in nostro possesso o che naturalmente possiamo avere» (E II.i.2: 104).
Dicendo «naturalmente», Locke non esclude che alcune idee soprannaturali, come i con
tenuti della rivelazione, possano presentarsi a noi, cf. E IV.xviii.2-3; «The possibility of
God’s producing ideas directly in us is not, I think, ruled out by Locke’s attack on innate
ideas nor by his censure of enthusiasm» (M. BOLTON, The taxonomy of ideas in Locke s
Essay, in NEWMAN [ed.], The Cambridge Companion, cit., 72).
166 Sistemi filosofici moderni
37 «Le due azioni più importanti e principali proprie della mente [...] sono:
percezione o pensare e volizione o volere» (E II.vi.2: 128).
168 Sistemi filosofici moderni
38 Sebbene Locke sin dall’inizio (E I.i.2) dichiari di non voler occuparsi della
componente fisiologica della mente (come invece aveva fatto Descartes, supra, 79-80),
egli compie di fatto una digressione fisica su come le qualità producano in noi le idee in
E ILviii. 11-21. Tale descrizione di come i corpuscoli agiscono sui nostri sensi sta alla ba
se dell’interpretazione “letterale” delle idee come copie/immagini delle cose, classica-
mente proposta da T. Reid e, più recentemente, assunta da H. PUTNAM, Keason, Tmth,
and History, Cambridge University Press, Cambridge, 1981, 57-58; nonché da Ay ers ,
Locke, cit., I, 63-65.
39 Per un’approfondita analisi della questione della rappresentazione nel Saggio,
cf. M. LENNON, Locke on ideas and vepresentation, in NEWMAN (ed.), The Cambridge
Companion, cit., 233-257.
40 «Now , things that can stand in a genuine relationship to one another are nor-
mally - indeed, perhaps always and necessarily - logically independent of one another,
in thè sense that either could, logically (even if not naturally), exist in thè absence of thè
other» (LOWE, Locke on Human Understanding, cit., 41 [trad. mia]).
41 «there is something seriously wrong with thè indirect realist’s “reification” of
ideas as things of a peculiar sort» (LOWE, Locke on Human Understanding, cit., 42 [trad.
mia]).
Il Saggio di Locke 169
chiata, non sarebbe in grado di dire con sicurezza quale dei due oggetti
sia la sfera e quale il cubo» (E II.ix.8: 146). Notiamo bene i termini:
«dopo la prima occhiata {at first sight) [...] in grado di dire con sicu
rezza (with certainty)». Lo stato primitivo, quasi di tabula rasa, in cui
verrebbe a trovarsi un cieco che ipoteticamente riacquistasse la vista,
non gli consente di incrociare e sommare adeguatamente due diversi
dati d’esperienza, visione e tatto. Solo l’abitudine, acquisita mediante
la ripetizione e verifica di diverse esperienze, permette di giudicare a
colpo d’occhio e con sicurezza che una certa sensazione immediata
mente presente (es. vista) coinvolge una al momento assente (es. tatto),
la cui somma consente un giudizio migliore e più completo della realtà.
• Idee semplici
- di Sensazione
* da un senso
* vista colori (es. rosso, blu)
* udito suoni (es. campana, fischio)
* gusto sapori (es. ananas, amaro)
* odorato odori (es. rosa, cannella)
* tatto stimoli tattili (es. caldo, ruvido)
* da più di un senso spazio, figura, moto
- di Riflessione percezione/pensiero, volizione/volere
- di Sensazione e Riflessione piacere/dolore, esistenza, unità,
potere
corpo, le quali, penso, possiamo osservare produrre in noi idee semplici, es. so
lidità, estensione, figura, movimento o riposo e numero. [...] In secondo luogo,
quelle qualità che in verità non sono nulla nei corpi stessi, ma poteri di produr
re in noi varie sensazioni a partire dalle loro qualità primarie, cioè dalla grandez
za, figura, struttura e movimento delle loro particelle impercettibili, come colo
ri, suoni, sapori ecc. Queste chiamo qualità secondarie (E II.viii.9-10: 134-135).
teso secondo il senso assai ristretto del termine supposto da molti in
terpreti, renderebbe semplicemente assurde affermazioni come quelle
appena lette, ossia che le qualità secondarie empiricamente sensibili,
es. colori, suoni ecc., «in truth are nothing in Objects», mentre le qua
lità primarie sono inseparabili dai corpi anche quando sono impercetti
bili. A ben vedere, la stessa distinzione tra qualità primarie e seconda
rie non è ammissibile nei confini di una “radicale” posizione empiri
sta56. Ma il problema non è affatto capire se e come la filosofia di
Locke rimanga coerente con un concetto di empirismo formulato indi
pendentemente da essa. Il problema è piuttosto capire che la filosofia
di Locke è già da sempre al di là degli angusti confini in cui un certo
concetto o, meglio, preconcetto di empirismo vorrebbe confinarla.
Vale la pena ribadire, nel modo più chiaro possibile, che l’intento
di Locke non è stato quello di fondare l’empirismo, bensì indagare «ori
gine, certezza ed estensione della conoscenza umana», cioè capire in che
modo la nostra intelligenza si fa strada nel mondo e ci consente di agire
in esso. Ora, se per empirismo intendiamo che la mente debba ultima
mente fare riferimento all’esperienza, ossia alle fonti dalle quali derivano
i materiali che essa possiede ed elabora, ebbene anche la distinzione tra
qualità primarie e secondarie sembra rispondere a tale criterio. Di fatto,
il succitato esperimento del «chicco di grano» si basa anzitutto sulla per
cezione empirica che quel piccolo corpo possiede una determinata gran
dezza, figura ecc. Quanto, in base a ciò, viene poi inferito o dedotto, se
gue un processo razionale - di fatto analogico - in base al quale giungia
mo ad arguire che anche le più infinitesimali e insensibili divisioni di tale
corpo dovranno ancora possedere una qualche grandezza, figura, ecc.
Queste non sono attualmente determinate, bensì determinabili e, in ogni
caso, non separabili, giacché, per Locke, un corpo senza grandezza né
figura ecc. non è più semplicemente un corpo57. Di contro, le qualità se-
Descartes than he does with another philosopher who is supposedly a fellow “empiri-
cist”» (LOWE, Locke on Human Understanding, cit., 12); cf. anche L. KRUGER, War John
Locke ein Empirist?, in U. THIEL (ed.), John Locke. Essay uber den menschlichen Ver-
stand, Akademie Verlag, Berlin 20082, 65-88; L.E. Loeb giunge a ritenere che tali termi
ni abbiano falsato il nostro modo di comprendere la filosofia moderna, cf. From Descar
tes to Hume. Continental Metaphysics and thè Developement o f modem Philosophy, Cor
nell University Press, Ithaca 1981.
56 Cf. B. KlENZLE, Vrimare und Sekundàre Qualitàten, in THIEL (ed.), John
Locke. Essay, cit., 115-117.
57 «it is thè determinables of these properties, and not thè particular determina-
tes, that are inseparable from bodies» (McCANN, Locke’s philosophy o f body, cit., 62); cf.
E IV.iii.25.
176 Sistemi filosofici moderni
2.3. Potere
In E Il.xii Locke giunge a trattare delle idee complesse e, dopo
averle distinte in tre tipi principali, modi, sostanze, relazioni
(E II.xii.3), le passa in rassegna con tutti i loro relativi sottotipi, ossia i
modi semplici, composti sia di certe idee semplici di sensazione, come
spazio, tempo, infinità ecc. (E II.xiii—xviii), che di riflessione, come
sensazione, ricordo, contemplazione ecc. (E ILxix); i modi misti
(E Il.xxii), le sostanze singole (E ILxxiii) e collettive (E Il.xxiv); infine
le relazioni, come causalità, identità ecc. (E Il.xxv-xxviii). Possiamo, a
questo punto, completare il dettaglio dello schema precedente così:
• Idee complesse
- Modi
* Modi semplici distanze, durate, numeri
* Modi misti obbligo, ubriachezza, bugia
- Sostanze corpi individui, spiriti finiti, Dio
- Relazioni causalità, identità, rettitudine morale
Nella prima edizione del Saggio, Locke aveva posto alla base del
la non libertà delle volizioni la struttura deterministica della mente
umana: le volizioni sono azioni, cioè operazioni della volontà o atti di
volere che a loro volta generano azioni, le quali pertanto sono dette
volontarie; ma le volizioni stesse non sono volontarie, nella misura in
cui esse stesse non possono essere ulteriormente causate da volizioni
bensì da qualcos’altro, pena un regresso all’infinito. A partire dalla se
conda edizione, egli ha modificato o - secondo alcuni - esteso e perfe
zionato la sua teoria, ponendo alla base delle determinazioni della vo
lontà il disagio (uneasiness). L’autore confessa che «Dopo aver di nuo
vo pensato a ciò (second thoughts)», è giunto a supporre che ciò che
determina la volontà riguardo alle nostre azioni «non sia, come gene
ralmente si crede, il maggior bene che si ha in vista, piuttosto un qual
che (e spesso il più urgente) disagio da cui un uomo è afflitto al mo
mento presente» (E II.xxi.31: 250-251).
Questo disagio può anche essere chiamato desiderio, nella misu
ra in cui il desiderio non è altro che «un disagio della mente che cerca
un certo bene ora assente». Desiderio e disagio sono intimamente le
gati l’uno all’altro, giacché non esiste desiderio che non ambisca a ri
Il Saggio di Locke 181
64 Come esempi di disagi mentali o immaginari, Locke elenca «la smania per
l’onore, il potere o la ricchezza» (E II.xxi.45: 261).
65 Unendo provvidenza teologica e conservazione della specie, Locke sostiene
che «il nostro Creatore, con tutta la Sua saggezza, conformemente alla nostra costituzio
ne e struttura, e sapendo cosa determini la volontà, ha posto negli uomini il disagio pro
vocato dalla fame e dalla sete e altri desideri, che ricorrono secondo cicli naturali, per
muovere e determinare le loro volontà affinché preservino loro stessi e la continuazione
della loro specie» (E II.xxi.34: 252).
66 «Vedo il bene e l’approvo, ma seguo il male» (OVIDIO, Metamorfosi, VII, 20-
21), citato in E II.xxi.35: 254.
182 Sistemi filosofici moderni
senti tendono a determinare la nostra volontà più dei grandi disagi as
senti. La promessa del paradiso, per alcuni, può ben valere meno del
piacere di un bicchiere di vino (E II.xxi.38). Il fatto è che la pressione
dei disagi immediati e il loro incalzante susseguirsi uno dopo l’altro
tendono a determinare la volontà in modo tale da non lasciarci liberi
di allungare il nostro sguardo e le nostre aspettative oltre di essi. Tutta
via, per Locke ciò accade «nella maggior parte dei casi, ma non sem
pre» (E II.xxi.47: 263).
Infatti, come risulta evidente dall’esperienza, la mente in molti casi ha il
potere di sospendere la realizzazione e la soddisfazione di uno qualunque dei
suoi desideri, e può tenerli in sospeso tutti, uno dopo l’altro, di modo che sia
nella libertà di considerare gli oggetti, di esaminarli da ogni lato e di confron
tarli con altri.
2.4. Sostanza
Il Capitolo xxiii del Libro II del Saggio tratta «Delle nostre idee
complesse di sostanze». La teoria lì proposta è tra le più note e proble
matiche dell’intera opera. L’affermazione che la sostanza è un nonso-
ché, sostenuta da Locke con l’icastica storiella dell’indiano e della tar
taruga, con la quale egli ironizza sulle insensate pretese dei peripateti
ci, fece scalpore e divenne oggetto di un acceso dibattito già nella con
troversia con Edward Stillingfleet, vescovo di Worcester. Le critiche
sono perdurate sino a oggi, divenendo uno dei luoghi ricorrenti nel re
cente dibattito sulla sostanza, rinnovato da autori come P.F. Strawson
o D. Wiggins70. Oggi gli studiosi sono soliti distinguere l’interpretazio
ne tradizionale della teoria lockeana sulla sostanza da altri e più raffi
nati modelli interpretativi71. Senza scendere nei minimi dettagli di
questo annoso dibattito - lo stesso Locke sostiene che per sapere che
ore sono è più utile saper leggere il quadrante che conoscere ogni mi
nimo meccanismo dell’orologio72 - proviamo a focalizzare almeno gli
elementi basilari del discorso lockeano sulla sostanza. Anzitutto, meri
ta di essere citato il primo e più noto testo al riguardo:
Se si domandasse a uno quale sia il soggetto cui ineriscono colore o pe
so, egli non avrebbe niente da dire se non le parti solide ed estese; e se gli ve
nisse chiesto a cosa siano inerenti quella solidità e quella estensione, in tal caso
non si troverebbe in una posizione migliore dell 'indiano menzionato prima
[E II.xiii.19], al quale, poiché affermava che il mondo era sostenuto da un
grande elefante, fu domandato su cosa poggiasse l’elefante, al che la sua risposta
fu: su una grande tartaruga, ma poiché si insisteva per sapere che cosa sostenes
se quella tartaruga dalla schiena così ampia, rispose, un nonsoché (.something,
he knew not what). [...] Dunque, Videa che abbiamo, alla quale diamo il nome
generale di sostanza, non essendo null’altro che il supposto ma ignoto supporto
di quelle qualità, che scopriamo esistenti e che immaginiamo non possano sussi
stere, sine re substante, senza qualcosa che le supporti (.something to support
them), quel supporto lo chiamiamo substantia\ una parola il cui significato effet
tivo è semplicemente star sotto o sostenere (E II.xxiii.2: 295-296).
73 Locke si oppone anche alla posizione cartesiana, in quanto nega che le idee
complesse, compresa quella di sostanza, possano essere innate, cf. LOWE, Locke on Hu
man Understanding, cit., 77.
186 Sistemi filosofici moderni
Qui Locke sembra dire che noi abbiamo idee semplici, cioè dati
cane da un cavallo, Toro dal carbone oppure che non abbiamo una co
scienza o introspezione di noi stessi. Per lo più noi ci orientiamo in un
contesto sufficientemente chiaro e distinto, nel quale i termini che noi
usiamo per descrivere il mondo e noi stessi risultano efficaci. Il punto
è un altro. La questione sorge quando ci domandiamo quale sia la cau
sa dell’estensione di un qualcosa di esteso o del pensiero di un qualco
sa di pensante. Solo allora:
quando la mente cerca di guardare oltre le idee originarie che riceviamo
dalla sensazione o dalla riflessione, per penetrare nelle loro cause e nella ma
niera in cui si producono, scopriamo che essa giunge a rivelare a se stessa solo
la propria miopia (E II.xxiii.28: 312).
79 «Dopo tutto, se della nostra idea complessa volessimo avere, e avessimo effet
tivamente, una collezione esatta di tutte le qualità secondarie o dei poteri di una qualsiasi
sostanza, con ciò non avremmo ancora un’idea dell’essenza di quella cosa. Poiché i poteri
o qualità da noi osservabili non costituiscono l’essenza reale di quella sostanza, ma dipen
dono e discendono da essa (depend on it, and flow from it), quale che sia la raccolta di tali
qualità, essa non può essere l’essenza reale di quella cosa» (E II.xxxi.13: 383).
80 Cf. E. B erti , Struttura e significato della Metafisica di Aristotele, Edusc, Roma
2006, 95-96.
81 «Chi potesse scoprire i vincoli che legano assieme così saldamente i gruppi di
questi piccoli corpi sciolti [le molecole di acqua solidificate nel ghiaccio], chi riuscisse a
Il Saggio di Locke 189
2.5. Identità
Strettamente connessa alla questione della sostanza è quella
«Dell’identità e diversità», che Locke tratta nel Capitolo xxvii del Li
bro II, interamente aggiunto nella seconda edizione del Saggio, su sol
lecitazione di Molyneux. Come al solito, il filosofo inizia la sua analisi
indagando l’origine e la natura delle idee, in questo caso di quelle par
ticolari idee di relazione che sono identità e diversità (E II.xxvii. 1-8),
ma successivamente il discorso s’infittisce attorno al suo vero obietti
vo: uno studio sistematico della questione dell 'identità personale
(E II.xxvii.9-29). Le considerazioni lì avanzate segnano una vera e
rendere noto il cemento che li unisce così saldamente l’uno all’altro, rivelerebbe un se
greto importante e tuttora sconosciuto, e tuttavia, qualora ciò capitasse, costui sarebbe
ancora assai lontano dal rendere intellegibile l’estensione di un corpo (che è la coesione
delle sue parti solide), fino a quando non potesse mostrare in cosa consista l’unione o il
consolidamento delle parti di quei vincoli o di quel cemento o delle più piccole particel
le esistenti di materia. Dal che si rileva che questa qualità primaria dei corpi, che si cre
de ovvia, qualora venga esaminata si rivelerà incomprensibile (incomprehensible) quanto
qualsiasi cosa appartenga alla nostra mente» (E II.xxiii.26: 310).
82 Di questa tensione costante nel Saggio, tra una genuina tendenza metafisica e
un’altrettanto convinta modestia epistemica, tratta a fondo L. DOWNING, Locke s onto-
logy, in NEWMAN (ed.), The Cambridge Companion, cit., 352-380.
190 Sistemi filosofici moderni
85 Cf. V. CHAPPELL, Locke on thè ontology ofmatter, living things and persons, in
«Philosophical Studies» 60 (1990), 19-32; LOWE, Locke on Human Understanding, cit.,
97-102; YAFFE, Locke on ideas ofidentity and diversity, cit., 201-205.
86 Cf. LOWE, Locke on Human Understanding, cit., 102.
192 Sistemi filosofici moderni
sia presenti che remote. Perciò, ricollegandoci con quanto detto a pro
posito della volontà e della libertà, persona è colui che è capace di di
scernere il bene dal male e ha coscienza del propria felicità o miseria,
sia in questa vita presente che in quella futura. L’identità della persona
riguarda non solo la comparazione del proprio io presente con quello
passato, ma anche di quello futuro col presente. In tal senso, felicità o
miseria si traducono in salvezza o condanna. Queste, per Locke, sono
legate non solo alla coscienza in prima persona, ma anche alla legge
naturale, cioè a Dio, il quale «relativamente alla felicità e al dolore del
le sue creature sensibili non trasferirà mai dall’uno all’altro, in seguito
a un fatale errore, quella consapevolezza che porta con sé il castigo o il
perdono» (E II.xxvii.13: 338), infatti nel giorno del giudizio «nessuno
sarà chiamato a rispondere di quel che gli è del tutto sconosciuto, ma
riceverà quel che è dovuto e la sua coscienza lo accuserà o lo giustifi
cherà» (E II.xxvii.22: 344).
Sin dai tempi di Thomas Reid e Joseph Butler, gli interpreti non
hanno risparmiato critiche a tale nozione lockeana di identità persona
le89. L’obiezione sollevata da Reid riguarda la questione della transiti
vità del criterio di identità personale. Immaginiamo un vecchio gene
rale (x) che ricorda di aver compiuto un gesto eroico in battaglia
quando era un giovane ufficiale (y); questo giovane ufficiale all’epoca
ricordava poi di aver rubato delle mele quando era bambino (z). Ora
secondo la proprietà transitiva, se x=y e y=z allora x=z. Tuttavia, se
condo la teoria lockeana, se il vecchio generale non ricorda più di aver
rubato delle mele da bambino, questo significherebbe che x=y e che
y=z e tuttavia x*z. Il che sarebbe ovviamente assurdo. L’obiezione
classicamente avanzata da Butler, riguarda invece la circolarità tra
identità e coscienza. Se l’identità della persona consiste nella sua me
moria degli atti passati, si presume che tale memoria riguardi ricordi
veri e non fittizi, come talvolta accade. Ma per poter distinguere tra un
ricordo vero e uno falso è necessario presupporre un’identità della
persona che precede i puri dati della sua memoria ed è indipendente
da essi. Ma se si ritiene che l’identità coincida con la memoria stessa, si
cade in un vizio di circolarità. Altri interpreti hanno continuato ad at
taccare duramente la concezione lockeana dell’identità della persona;
alcuni, invece, ne hanno preso strenuamente le difese90. A oggi, il
3. Parole
Il Libro III del Saggio, dedicato alle parole, sembra quasi un’in-
terpolazione tra la trattazione delle idee (Libro II), intese come mate
riale della conoscenza, e l’uso che di tale materiale facciamo nella co
noscenza vera e propria (Libro IV). Locke stesso confessa: «quando
da principio cominciai questo discorso sull’intelletto, e per un certo
periodo a seguire, io non avevo il minimo sospetto che per il mio sco
po sarebbe stato necessario uno studio sulle parole» (E III.ix.21: 488).
Perché allora il filosofo ha avvertito l’esigenza di aggiungere questa
trattazione? Il fatto è che:
Low e, Subjects o f Experience, Cambridge University Press, Cambridge 1996; Id., Locke
on Human Understanding, cit., 114-118; A. ALLEGRA, Dopo l’anima. Locke e la discussio
ne sull’identità personale alle origini del pensiero moderno, Studium, Roma 2005. In dife
sa della posizione lockeana, mediante una più raffinata interpretazione della sua conce
zione della coscienza, cf. K.P. WlNKLER, Locke on personal identity, in CHAPPELL (ed.),
Locke, cit., 149-174; o mediante una focalizzazione più precisa della sua concezione fo
rense della persona, YAFFE, Locke on ideas o f identity and diversity, cit., 223-229.
91 «On this topic, at least, it can be truly said that all subsequent writing has
consisted merely of footnotes to Locke» (H.W. NOONAN, Locke on personal identity, in
FULLER-STECKER-WRIGHT [edd.], John Locke, cit., 210 [trad. mia]).
92 Novum Organum, I, 43. 59-60.
196 Sistemi filosofici moderni
93 Altri autori moderni, tra questi notoriamente Hobbes, si erano occupati del
linguaggio, nessuno però in modo così sistematico come Locke; cf. P. GUYER, Locke’s
philosophy of language, in C happell (ed.), Locke, cit., 115-145. Sull’influsso di Locke
nella “svolta linguistica” della filosofia contemporanea, cf. M. LOSONSKY, Linguistic
Turns in Modem Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge 2006.
94 Con language Locke intende il «linguaggio verbale» o «lingua» (es. inglese,
italiano).
Il Saggio di Locke 197
tilizzo del linguaggio. Dal momento che usare un segno unico per ogni
idea renderebbe il linguaggio talmente esteso da essere ingestibile, è
indispensabile che (e) singoli segni possano comprendere molte idee.
Ovvero, abbiamo bisogno di «termini generali (generai Terms), ricor
rendo ai quali con una sola parola si ottiene un segno distintivo per
una moltitudine di entità particolari» (E III.i.3: 402). Nasce così la di
stinzione tra i nomi propri (es. Lucia, Mario, Saturno, Roma ecc.) e i
nomi comuni (es. donna, uomo, pianeta, città ecc.).
Da questi elementi possiamo trarre alcune considerazioni preli
minari. Anzitutto dobbiamo notare che la teoria del linguaggio lockea
na è focalizzata sull’esigenza umana delYespressione, ovvero della rela
zione tra idee e parole. Diversi interpreti convergono nel notare che,
quando Locke parla di significato o significare, non intende una rela
zione di tipo semantico, ovverosia che riguarda il rapporto tra parole e
cose (così come nella filosofia del linguaggio contemporanea siamo
abituati a intendere), bensì una relazione di tipo espressivo95. Alla fine
del Libro IV, nel Capitolo xxi, dedicato alla «Divisione delle scienze»,
dopo la fisica o filosofia della natura e la pratica, che comprende anche
l’etica, Locke individua una scienza di nome semiotica:
La terza branca può essere chiamata or] |j£ia)Tixf|, oppure dottrina dei
segni ed essendo le parole la componente più usuale di tale branca, è opportu
namente denominata anche X,oyixf|, logica. Il suo compito è considerare la na
tura dei segni dei quali la mente fa uso per comprendere le cose o per trasmet
tere ad altri la propria conoscenza (E IV.xxi.4: 720).
gine acustica, grafema ecc.) determinate idee o relazioni d’idee che co
gliamo con la nostra mente96. Ad esempio, avendo notato una somi
glianza tra numerose piante che producono frutti simili, fissiamo tale
somiglianza dando a tutte un certo nome: ciliegio, melo ecc. Poi, dato
che «lo scenario delle idee che compongono i pensieri di ogni uomo
non può essere dispiegato alla vista immediata di un’altra persona»
(E IV.xxi.4: 721), usiamo i segni per comunicare i nostri pensieri ad al
tri. Rispetto alla semiotica che si occupa di tutti i segni, la logica si oc
cupa dei segni verbali o parole.
In genere, si intende per segno un certo fenomeno immediata
mente esperibile capace di rimandare a un altro fenomeno non imme
diatamente esperibile. Si è soliti, perciò, dividere i segni in due specie:
quelli naturali (es. la presenza del fumo rimanda a quella del fuoco) e
quelli artificiali (es. portare una fascia nera al braccio rimanda alla per
dita recente di una persona cara). Ora, per Locke le parole sono dei
segni artificiali delle idee. Segni che sono stati arbitrariamente elabora
ti e formulati dalle comunità umane affinché i loro membri potessero
comunicare tra loro i propri pensieri:
Questo accade non per una qualsiasi connessione naturale che possa
esistere fra particolari suoni articolati e determinate idee, poiché, in un tal ca
so, non esisterebbe fra gli uomini che un solo linguaggio; bensì per una impo
sizione volontaria, per cui una certa parola è assunta arbitrariamente come se
gno di una certa idea. L’utilità delle parole è dunque di essere segni sensibili
delle idee\ e le idee che rappresentano sono il loro significato proprio e imme
diato (E III.ii.1: 405).
Dal momento che i precetti della religione naturale sono evidenti e del
tutto intellegibili al genere umano e raramente vengono dibattuti, mentre le al
tre verità rivelate, convogliate a noi dai libri e dalle lingue, sono soggette alle
comuni e naturali oscurità e difficoltà collegate alle parole, penso noi dovrem
mo diventare più attenti e diligenti nell’osservare i primi, e meno dogmatici,
affermativi e autoritari nell’imporre il proprio senso e la propria interpretazio
ne dei secondi (E III.ix.23: 490).
4. Proposizioni
4 . 1. Conoscenza
Locke definisce anzitutto la conoscenza in questi termini: «Mi
sembra che la conoscenza non sia altro che la percezione della connes
sione e dell'accordo, o del disaccordo e della ripugnanza, fra qualsiasi
delle nostre idee» (E IV.i.2: 525). Una definizione di non facile com
prensione e che, non a caso, ha suscitato notevoli perplessità. Provia
mo a decifrarla: (a) la conoscenza consiste in una certa percezione ri
flessiva, ovverosia nell’atto della mente di cogliere ovvero attestare un
determinato contenuto mentale che si rende evidente in essa; (b) tale
contenuto non consiste in una idea, bensì in una certa relazione che in
tercorre tra idee98; (c) tale relazione può essere o positiva, nella misura
in cui evidenzia la connessione o l’accordo tra idee, o negativa, in
quanto mostra la ripugnanza o il disaccordo tra idee; (d) tutte le idee e
solo le idee sono passibili di tali relazioni99. In somma, la conoscenza
98 Locke specifica che tali relazioni si riducono a quattro tipi: « 1. Identità o diver
sità. 2. Relazione. 3. Coesistenza o connessione necessaria. 4. Esistenza reale» (E IV.i.3: 525),
spiegate nelle sezioni successive (E IV.i.4-7); cf. L. Newman, Locke on Knowledge, in
Newm an (ed.), The Cambridge Companion, cit., 327-333.
99 Sebbene il dettato lockeano non lasci molti margini (vedi anche
E IV.iii.l: 538), alcuni interpreti hanno tentato di dimostrare che tale relazione può in
cludere anche non idee, cioè oggetti esterni; cf. YOLTON, Locke and thè Compass, cit.,
110-112; N. JOLLEY, Locke. His Rhilosophical Thought, Oxford University Press, Oxford
1999, 185-187; LOWE, Locke, cit., 53-55.
Il Saggio di Locke 205
E poco più avanti, nel Libro III, egli ribadisce che, se non si ana
lizzassero attentamente il linguaggio e le parole, «poco si potrebbe di
re in modo chiaro e pertinente riguardo alla conoscenza, la quale, poi
ché concerne la verità {being conversant about Truth)yha a che fare co
stantemente con le proposizioni» (E3.9.21: 488). Infatti, la verità o la
falsità, secondo Locke, suppone sempre una qualche affermazione o
negazione:
Poiché non si possono trovare verità o falsità se non accompagnate da
una certa affermazione o negazione, espressa o tacita, non si troverà l’una o l’al
tra se non dove dei segni siano congiunti o separati, a seconda dell’accordo o
disaccordo delle cose per cui stanno. I segni che noi principalmente usiamo
sono o idee o parole, con le quali costruiamo proposizioni o mentali o verbali
(E II.xxxii.19: 391).
100 Come ha cercato di mostrare R. MATTERN, Locke: «Our Knowledge, which all
consists in propositions», in CHAPPELL (ed.), Locke, cit., 226-241; cf. anche D. SOLES,
Locke on knowledge and propositions, in «Philosophical Topics» 12 (1985), 19-30.
206 Sistemi filosofici moderni
102 «sensitive knowledge essentially involves dual cognized relations arising from
thè twofold nature of ideas of sensation. Ideas of sensation function as vendicai links to
thè external world. They also function as ideas that can stand in perceivable agreement
with other ideas» (NEWMAN, Locke on Knowledge, cit., 350); qui chiaramente riemerge
tutto il problema del fatto che Locke assume per idea indistintamente concetti (le idee
prese per sé) e percetti (le idee in quanto relative a una causa esterna); una confusione
che Kant reputerà giustamente inaccettabile, conducendolo alla distinzione netta e com
plementare tra intuizioni e concetti; infra, 289-290.
103 «In alcune delle nostre idee ci sono determinate relazioni, attitudini e connes
sioni così visibilmente incluse nella natura delle idee stesse che non possiamo concepirle
separabili da esse mediante qualsivoglia potere. Solo in queste noi siamo capaci di una
conoscenza certa e universale» (E IV.iii.29: 559); cf. NEWMAN, Locke on Knowledge, cit.,
333-342-
208 Sistemi filosofici moderni
zione, quando una delle due idee consiste nella percezione attuale di
una cosa particolare e, quindi, dipende dall’esistenza della causa ester
na per la sua eventuale verifica (E IV.iii.2). In conseguenza di ciò, se
condo Locke, tra le cose attualmente e realmente esistenti abbiamo
una «conoscenza intuitiva della nostra propria esistenza, una cono
scenza dimostrativa delYesistenza di Dio, e delYesistenza di qualunque
altra cosa abbiamo solo una conoscenza sensibile, che non si estende
oltre gli oggetti presenti ai nostri sensi» (E IV.iii.21: 552-553)104.
La conseguenza principale che il filosofo trae da questa imposta
zione è che l’estensione della nostra conoscenza è ben più ristretta di
quanto si sia solitamente portati a pensare. Infatti, la conoscenza intui
tiva non tocca tutte le nostre idee, perché ci è impossibile percepire
tutte le relazioni possibili tra di esse; nemmeno la conoscenza razionale
comprende tutte le nostre idee, giacché assai spesso non siamo in gra
do di percepire quali idee possano fungere da tramite per la dimostra
zione di altre; la conoscenza sensibile, infine, è la più ristretta di tutte,
giacché è limitata alla nostra percezione attuale dell’esistenza delle co
se. Se tutto ciò è vero, «risulta evidente che Vestensione della nostra co
noscenza non è soltanto inferiore alla realtà delle cose, ma è inferiore
anche all’estensione delle nostre idee» (E IV.iii.6: 539). Agli occhi di
Locke, questa scoperta - dal tenore volutamente socratico105 - è più
importante delle singole scoperte che permettono di aumentare il no
stro sapere, giacché mette in luce l’entità stessa della nostra conoscen
za, ossia la sua radicale limitatezza106. Così, mentre la matematica e la
104 In E IV.ix Locke segue Descartes per la certezza dell’i o sum, mentre in
E IV.x critica apertamente le sue argomentazioni per la dimostrazione dell’esistenza di
Dio, scegliendo piuttosto la linea di un argomento cosmologico, la cui debolezza è però
ben evidenziata da Leibniz (Nouveaux essais, cit., IV.10, 436 [trad. it., cit., 1137]) cf. M.
A yers, Mechanism, superaddition, and thè proof of God}s existence in Locke s Essay, in
«Philosophical Review» 90 (1981), 210-251; vedi anche Id., Locke, cit., II, 169-183.
105 «Chi conosce qualcosa sa innanzitutto questo: che non ha bisogno di cercare
a lungo per trovare prove della propria ignoranza» (E IV.iii.22: 553).
106 In E IV.iii.6 Locke sostiene, a comprova della limitatezza della nostra cono
scenza, l’incapacità di sapere «se un qualunque essere puramente materiale sia dotato di
pensiero oppure no, essendo impossibile per noi, mediante la sola contemplazione delle
nostre idee, senza alcuna rivelazione, scoprire se l’Onnipotente abbia dato a certi sistemi
di materia opportunamente disposti la facoltà di percepire e pensare, oppure non abbia
congiunto e associato alla materia disposta in tal modo una sostanza pensante immate
riale» (E IV.iii.6: 541), la “scandalosa” ipotesi di una materia pensante provocò un acce
so dibattito; cf. J.W. YOLTON, Thinking Matter. Materialism in Eighteenth-Century Bri-
tain, University of Minnesota Press, Minneapolis 1984.
Il Saggio di Locke 209
109 Cf. R. MATTERN, Moral Science and thè concept of person in Locke, in CHAP
PELL (ed.), Locke, cit., 261-278.
Il Saggio di Locke 211
ma ancor prima sul diritto che Dio, in quanto nostro creatore, ha d’im
porre la sua legge e che noi, sue creature, riconosciamo a lui in quanto
superiore110.
Ora, il lume naturale è solo una delle due fonti mediante le quali
ci è resa accessibile la legge divina, l’altra fonte è la rivelazione, la qua
le, secondo Locke, ha raggiunto la sua maggior chiarezza nel Nuovo
Testamento. La rivelazione diviene oggetto di discussione nell’ultima
parte del Livro IV.
4.2. Opinione
All’inizio di E IV.xiv, Locke sostiene che «Dio ha posto alcune
cose in piena luce; e ci ha dato qualche conoscenza determinata sep
pure limitata [...], come fosse un assaggio di ciò di cui sono capaci le
creature intellettuali» (E IV.xiv.2: 652). La pur limitata conoscenza che
possediamo ci spinge tuttavia a ritenere che vi sia certezza anche in
quella gran parte del nostro sapere, ove avanziamo grazie all’incerta
luce della probabilità. La facoltà che ci permette di orientarci in modo
certo, anche laddove non c’è certezza, è il giudizio: «con il quale la
mente presume che le sue idee siano in accordo o in disaccordo; o, il
che è lo stesso, che una proposizione qualsiasi sia vera o falsa, senza
percepire un’evidenza dimostrativa nelle prove» (E IV.xiv.3: 653). In
tal modo, Locke fa risalire le due classiche forme del sapere, Vepisteme
e la doxa, alle due principali facoltà che la nostra mente possiede nel-
l’intendere il vero e il falso:
Primo, la conoscenza, mediante la quale [la mente] percepisce con cer
tezza ed è persuasa al di là di ogni dubbio dell’accordo o del disaccordo di
idee qualsiasi. Secondo, il giudizio, che consiste nel combinare insieme nella
mente le idee o nel separade l’una dall’altra, quando il loro accordo o disac
cordo certo non è percepito, ma presunto essere tale (E IV.xiv.4: 653).
110 «W hen Locke says that morality is dem onstrable, he may have had thè fol-
lowing in mind. First, he thought that he could demonstrate thè existence o f a wise,
good and powerful G o d , of ourselves as rational beings, o f our relationship of depen-
dence on G od. He could then appeal to thè truth that G o d has a right to be obeyed. He
may have also thought it self-evident that a wise, good creator who has a right to be
obeyed would issue laws to motivate us to obey them - by attaching rewards for obedi-
ence and penalties for disobedience. He may have regarded these ‘self-evident’ proposi-
tions as conceptual truths» (FULLER-STECKER-WRIGHT [edd.], John Locke, cit., 17); cf.
M. M e r lo , La legge e la coscienza. Il problema della libertà nella filosofia politica di John
Locke, Polimetrica, Padova 2006, 126-156; vedi anche i manoscritti sull’etica tradotti e
raccolti in LOCKE, Scritti etico-religiosi, cit., 145-174.
212 Sistemi filosofici moderni
111 assenso è sinonimo del giudizio, con la differenza che questo si esercita di
rettamente nei confronti delle cose, mentre quello nei confronti di verità espresse a pa
role; cf. E IV.xiv.3.
112 Cf. J. PASSMORE, Locke and thè ethics of belief, CHAPPELL (ed.), Locke, cit., 279-
299 (anche in FULLER-STECKER-WRIGHT [edd.], John Locke, cit., 187-209); N. WOLTER-
SDORFF, John Locke and thè Ethics of Belief, Cambridge University Press, Cambridge 1996.
Il Saggio di Locke 213
bile che può intercorrere tra idee. A seconda della loro relazione con la
ragione, è possibile distinguere diversi tipi di proposizioni:
1. Conformi alla ragione sono certe proposizioni la cui verità possiamo
scoprire con l’esaminare e il derivare le idee che otteniamo dalla sensazione e
dalla riflessione, e, mediante deduzione naturale, scopriamo essere vere o pro
babili. 2. Superiori alla ragione sono le proposizioni la cui verità o probabilità
non possiamo derivare da quei principi mediante la ragione. 3. Contrarie alla
ragione sono quelle proposizioni che si presentano incoerenti o inconciliabili
con le nostre idee chiare e distinte (E IV.xvii.23: 687).
114 L’intero Capitolo è aggiunto a partire dalla quarta edizione dell’Essay', ma, già
in precedenza, Locke aveva segnalato i pericoli connessi a una labile demarcazione dei
confini tra fede e ragione, giacché «là dove manchino, è possibile che si crei la causa se
non di grandi disordini, almeno di grandi dispute e forse di errori che si diffondono nel
mondo» (E IV.xviii.l: 688); cf. N. JOLLEY, Locke on faith and reason, in NEWMAN (ed.),
The Cambridge Companion, cit., 446-451.
115 «H is evident purpose in thè chapters ‘O f Faith and Reason’ and ‘O f Enthu-
siasm’ was to clip thè wings of revelation by subordinating it to ‘reason’, i.e. to thè natu
rai faculties in generai» (AYERS, Locke, cit., I, 121).
Il Saggio di Locke 215
Bibliografia
Opere
1688 Extrait d’un Livre Anglois qui n est pas encore publié, intitulé «Essai
philosophique concernant l’Entendement», où l’on monte quelle est l’é-
tendue des nos connoissances certaines, et la manière dont nous y par-
venons, in «Bibliothèque Universelle et Historique» 8, pp. 49-142;
trad. ingl., An Extract of a Book, Entituled, A Philosophical Essay
upon Human Understanding, Dunton, London 1692.
1689 Epistola de Tolerantia, J. ab Hoeve, Gouda [sotto pseudonimo]; trad.
ingl., A Letter concerning Toleration, tr. by W. POPPLE, Churchill,
London 1689.
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1694; 3a ed. 1698; 4a ed. 1713 [appare il nome dell’autore].
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sul frontespizio]; 2a ed., Churchill, London 1694; 3a ed. 1695; 4a ed.
1700; 5a ed. 1706.
1690 A Second Letter concerning Toleration, Churchill, London.
1692 A Third Letter for Toleration, Churchill, London.
1692 Some Considerations of thè Consequences of thè Lowering of Interest,
and Raising thè Value of Money, Churchill, London [anonimo].
1693 Some Thoughts concerning Education, Churchill, London.
1695 The Reasonableness of Christianity, as deliver’d in thè Scriptures,
Churchill, London [anonimo].
1695 A Vindication of «The Reasonableness of Christianity etc.» from Mr
Edward’s Reflections, Churchill, London.
1695 Further Considerations concerning Raising thè Value of Money, Chur
chill, London.
1697 A Second Vindication of « The Reasonableness of Christianity etc.»,
Churchill, London.
1697 A Letter to thè Right Reverend Edward, Lord Bishop of Worcester, con
cerning some Passages relating to Mr Locke s «Essay o f Humane Un
derstanding»: in a late Discourse of His Lordship, in Vindication of thè
Trinity, Churchill, London.
1697 Mr Locke’s Reply to thè Right Reverend thè Lord Bishop of Worcester s
Answer to his «Letter [...]», Churchill, London.
1699 Mr Locke’s Reply to thè Right Reverend thè Lord Bishop of Worcester s
Answer to his «Second Letter [...]», Churchill, London.
216 Sistemi filosofici moderni
Opere postume
1705-07 A Paraphrase and Notes on thè Epistle of St. Paul to thè Galatians
(1705), to thè I Corinthians (1706), to thè II Corinthians (1706), to thè
Romans (1707), to thè Ephesians (1707), Churchill, London.
1706 Posthumous Works of Mr. John Locke, Churchill, London [contiene:
O f thè Conduct of thè Understanding; An Examination ofP. Malebran
che’s Opinion of Seeing all things in God\ A Discourse ofMiracles; A
part of a fourth Letter for Toleration; Memoirs relating to thè Life of
Anthony, first Earl of Shaftesbury. To which is added\ His new Method
o f a Common-Place-Book, written originally in French and noto tran-
slated into English].
1714 The Remains of John Locke Esq., Curii, London.
1720 A Collection ofSeveral Pieces ofMr. John Locke, never before printed, or
not extant in his Works, ed. by P. D es M a ize a u x , Francklin, London.
Edizioni moderne
1714 The Works of John Locke Esq., 3 voli., Churchill-Manship, London.
1823 The Works of John Locke, a new edition, corrected, 10 voli., Tegg,
London; rprt., Scientia Verlag, Aalen, 1963.
1975- The Clarendon Edition of thè Works ofjohn Locke [30 voli, previsti]:
1975 An Essay concerning Human Understanding, edited with an introduc-
tion, criticai apparatus and glossary by P.H. NlDDITCH, Clarendon
Press, Oxford, 1979 [paperback edition with corrections and a new
foreword].
1976-89 The Correspondence of John Locke, edited by E.S. de Beer, 8 voli.,
Clarendon Press, Oxford [voi. IX di Indici, in preparazione].
1987 A Paraphrase and Notes on thè Epistles of St. Paul, 2 voli., edited by
A.W. WAINRIGHT, Clarendon Press, Oxford.
1989 Some Thoughts concerning Education, edited by J.W. YOLTON - J.S.
YOLTON, Clarendon Press, Oxford.
1990 Drafts for thè Essay concerning Human Understanding and Other Phi-
losophical Writings. I. Drafts A and B, edited by P.H. NlDDITCH -
G.A.J. ROGERS, Clarendon Press, Oxford [3 voli, previsti].
1991 Locke on Money, edited by P.H. K e l l y , 2 voli., Clarendon Press,
Oxford.
2000 The Reasonableness of Christianity as Delivered in thè Scriptures, edi
ted by J.C. H ig g in s -B id d l e , Clarendon Press, Oxford.
2006 An Essay concerning Toleration, and Other Writings on Law and Poli-
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2010 S av o n iu s -W r o t h S.-J. - S c h u u r m a n P. - WALMSLEY J . (edd.), The
Continuum Companion to Locke, Continuum, London-New York.
Ponti bibliografiche
1975- John Locke Bibliography, www.libraries.psu.edu/tas/locke/bib/index.
html
Capitolo Quarto
IL TRATTATO DI HUME
Hume, con una serie di argomenti oggi unanimemente condivisi; cf. D. Hume, Estratto
di un Trattato della natura umana, con un’introduzione di J.M. KEYNES - P. SRAFFA, a cu
ra e con un saggio di A. A tta n a sio , Utet Libreria, Torino 1999.
3 Sulla storia della concezione, delle diverse fasi redazionali dei Libri del
Trattato, nonché degli esiti fallimentari dell’opera, cf. J.P. WRIGHT, H um es 'A Treati
se o f Human Nature\ An Introduction, Cambridge University Press, Cambridge 2009,
1-39.
4 A Gilbert Elliot di Minto, marzo-aprile 1751, in HUME, Opere filosofiche, cit.,
IV, 293.
5 «Io credo che i Saggi filosofici contengono tutti i punti più importanti intor
no all’intelletto che potreste incontrare nel Trattato, ed io vi suggerisco di non leggere
quest’ultimo. Riducendo e semplificando i problemi, in verità, io li rendo molto più
Il Trattato di Hume 221
completi: Addo dum minuo. I principi filosofici sono gli stessi in entrambi» (A Gilbert
Elliot di Minto, marzo-aprile 1751, in HUME, Opere filosofiche, cit., IV, 293).
6 «Most of thè principles, and reasonings, contained in this volume, were pub-
lished in a work in three volumes, called A Treatise o f Human Nature: A work which thè
Author had projected before he left College, and which he wrote and published not
long after. But not finding it successful, he was sensible of his error in going to thè press
too early, and he cast thè whole anew in thè following pieces, where some negligences in
his former reasoning and more in thè expression, are, he hopes, corrected» (D. Hume,
An Enquiry concerning Human Understanding, ed. T.L. BEAUCHAMP, Oxford University
Press, Oxford 1999, 83).
7 Cf. R. R ead - K. Richm an (edd.), The New Hume Debate, Routledge, Lon
don 2007.
222 Sistemi filosofici moderni
d’accordo, e tuttavia si tratta pur sempre di un sistema - Hume stesso usa frequente
mente tale termine (cf. «System» nélTndex OPT) - anche se di un tipo differente.
10 Hume sembra accettare due usi di morals: in un senso più ampio e comune
mente in uso nella filosofia del tempo, si tratta della scienza altra rispetto a quella della
natura, e che si occupa perciò dell’uomo nel suo complesso, così è da intendere ad
esempio l’espressione moral subjects nel sottotitolo del Trattato; in un senso più ristretto,
si tratta della scienza che studia l’origine e la natura dei giudizi morali, secondo un signi
ficato più prossimo all’uso odierno del termine.
11 Da intendere nel senso odierno di estetica o critica letteraria.
12 E quanto si tenta di fare in un saggio dal titolo assai eloquente, D. PEARS,
Hume’s System. An Examination of thè First Book o f his Treatise, Oxford University
Press, Oxford 1990.
13 II termine non è di Hume, ma è comunemente accettato nella letteratura spe
cialistica.
14 Per una breve storia del progressivo imporsi, tra gli specialisti, di una lettura
sistematica del Trattato cf. L. GRECO, Lio morale. David Hume e l’etica contemporanea,
Liguori, Napoli 2008,56-57.
15 Questo aspetto è molto ben messo in rilievo da A. ATTANASIO, Gli istinti del
la ragione. Cognizioni, motivazioni, azioni nel Trattato della natura umana di Hume, Bi-
bliopolis, Napoli 2001.
16 II termine soggetti non è da intendere qui nel senso degli «individui», bensì
226 Sistemi filosofici moderni
in quello dei «temi o questioni» concernenti la morale, ovverosia - come già detto -
l’uomo nel suo complesso.
17 Per un sintetico confronto tra il progetto fondativo cartesiano e quello hu-
meano cf. WRIGHT, Hume’s A Treatise o f Human Nature’, cit., 41-47.
18 Per avere un’idea delle divergenti posizioni, dalle massimaliste alle minimali
ste, cf. N. C a p a ld i, David Hume, thè Newtonian Philosopher, Twayne, Boston 1975; J.P.
WRIGHT, The Sceptical Realis?n o f David Hume, Manchester University Press, Manche
ster 1983.
Il Trattato di Hume 227
2. Logica
2.1. Elementi
«Tutte le percezioni della mente umana si riducono a due specie
distinte, che io chiamerò IMPRESSIONI e ID EE» (T l. 1 .1 .1 : 1). È questa la
proposizione che apre il Trattato. Con essa Hume esprime senza indu
gio la sua concezione basilare della mente-percezione: se qualcosa si
presenta alla mente non può essere che una percezione e, se è una per
cezione, non può essere che impressione o idea. Tertium non datur.
Ma non dobbiamo immaginarci la mente come una sorta di recipiente
nella quale vengono a cadere degli oggetti inerti quali le percezioni (es.
rosso, mela, tondo, dolce ecc.), che la mente avrebbe poi solo il com
pito di collegare, ordinare e così via. Più avanti infatti l’autore dirà:
«Odiare, amare, pensare, sentire, vedere: tutto ciò non è altro che per
cepire» (Tl.2.6.7: 67). Quando si parla di percezione, quindi, si tratta
di ogni azione od operazione mentale nell’esercizio del suo attuarsi19.
La mente non è da considerare come un contenitore quanto piuttosto
come un sistema vivente cioè un organismo di cui cerchiamo di «ana
tomizzare»20 le parti, le funzioni, le leggi, i principi.
Di contro, Hume ammette un altro tipo di distinzione basilare,
quella tra impressioni e idee. Il criterio dirimente sta «nei gradi di forza
e vivacità con cui esse colpiscono la nostra mente e arrivano al nostro
pensiero o coscienza» (T 1.1.1.1: l)21. Sono dette impressioni tutte le
«sensazioni, passioni o emozioni, nel loro primo presentarsi alla mente»
(es. il calore che sento ora qui accanto al radiatore); le idee invece sono
«le immagini evanescenti di esse [delle impressioni] sia nel pensare che
19 «Si è già osservato che nulla è mai presente alla mente se non le sue percezio
ni; e tutte le azioni di vedere, udire, giudicare, amare, odiare e pensare cadono sotto
questa denominazione» (T3.1.1.2: 456); supra, 43-44.
20 Hume paragona ripetutamente la sua filosofia a una «anatomia» della mente
o natura umana; cf. Tl.4.6.23: 623; T3.3.6.6: 620; Abstract 2: 646 (trad. it., cit., 37).
21 «in thè degrees of force and liveliness, with which they strike upon thè mind,
and make their way into our thought or consciousness»; subito sotto, Hume parla di
«degree of force and vivacity» (T. 1.1.1.1: 2).
228 Sistemi filosofici moderni
22 Supra, 165-167.
23 Cf. M. F rasca -Spada , Simple Perceptions in Humes Treatise, in E. MAZZA -
E. RONCHETTI (edd.), New Essays on David Hume, Franco Angeli, Milano 2007,37-54.
24 «Quando chiudo gli occhi e penso alla mia stanza, le idee che mi formo sono
esatte rappresentazioni delle impressioni che ne ho ricevuto; non c’è circostanza nell’u-
na che non si ritrovi nell’altra» (Tl.1.1.3: 3).
Il Trattato di Hume 229
25 «Per dare a un bambino l’idea del rosso scarlatto o dell’arancione, del dolce
230 Sistemi filosofici moderni
o dell’amaro, gli presento oggetti, o, in altre parole, gli procuro queste impressioni; ma
non commetto l’assurdità di produrre le impressioni suscitandone le idee» (Tl. 1.1.8: 5).
26 Notiamo che Hume nel Trattato non parla mai di induzione, il termine ricor
re solo un paio di volte e nel significato generico di inferenza.
27 In realtà un problema si pone a un livello più profondo, ed è quello che tocca
la circolarità tra la validità del proprio discorso filosofico e i limiti entro i quali Hume
stabilisce che sia possibile validare una argomentazione scientifica in generale. Se - co
me vedremo - la ratio definitiva delle connessioni causali è Vabitudine, ciò deve valere
anche per le analoghe teorie filosofiche argomentate nel Trattato, quali ad esempio la re
lazione di causa tra impressioni e idee. Se ciò non fosse vero, avremmo che la filosofia
humeana risulterebbe trans-epistemica rispetto all’epistemologia stessa che intende sta
bilire; ovvero avremmo una metafisica della ingiustificatezza della metafisica.
28 Si è soliti tradurre Understanding con intelletto, ma, in base a quanto abbia
mo finora spiegato, è più corretto tradurre con intelligenza, come anche propone Atta
nasio: «1) “intelletto” è di tradizione idealistica e kantiana, molto lontana da Hume; 2)
in Hume la “facoltà terza” tra i “sensi” e la “ragione” non è quella dello “intelletto”,
bensì quella della “immaginazione” i cui soli elementi sono le “percezioni” (impressioni
e idee). Il termine quindi è riferito alle “capacità e operazioni della mente”, cioè alla “in
telligenza”» (A. ATTANASIO, Nota alla presente edizione, in HUME, Estratto, cit., 1).
Il Trattato di Hume 231
2.2. Processi
La sezione seconda della l a parte è tanto breve quanto densa e
introduce una ulteriore - ben nota - suddivisione anatomica: «Le im
pressioni si possono dividere in due specie: quelle di SENSAZIONE e
quelle di RIFLESSIONE» (T 1.1.2.1: 7). Nel descriverne le peculiarità,
Hume ci offre un quadro sintetico dei processi mentali meritevole di
essere riportato nella sua interezza:
La prima specie [impressioni di sensazione] sorge nell’anima originaria
mente, da cause sconosciute. La seconda [impressioni di riflessione] è derivata
in gran parte dalle nostre idee, nell’ordine che segue. Un’impressione dappri
ma colpisce i nostri sensi, facendoci percepire caldo o freddo, fame o sete, pia
cere o dolore di un tipo o di un altro. Di questa impressione c’è una copia rite
nuta dalla mente, che rimane anche quando l’impressione cessa, e questa noi
chiamiamo idea. Tale idea di piacere o dolore, quando torna ad agire sull’ani
ma, produce nuove impressioni di desiderio e di avversione, speranza e timo
re, le quali possono essere chiamate propriamente impressioni di riflessione,
perché ne derivano. Queste di nuovo vengono copiate dalla memoria e dal
l’immaginazione, e divengono idee; il che probabilmente dà origine ad altre
impressioni e altre idee (Tl. 1.2.1: 7-8).
(Tl.1.3.2: 9)32 (es. la fiaba che invento per far addormentare un bimbo).
Tale indipendenza però non è assoluta, bensì sottomessa a una se
rie di principi associativi. Tali principi svolgono un ruolo della massima
importanza nell’economia del Trattato33. Secondo Hume essi sono uni
versali, in quanto «rendono [l’immaginazione], in una certa misura,
uniforme con se stessa in ogni tempo e in ogni luogo» (T 1.1.4.1: 10);
ma soprattutto sono essi a dirigere i processi che legano le idee tra di lo
ro, ovverosia i modi, come dice l’autore, attraversi i quali «un’idea con
duce naturalmente a un’altra (one idea naturally introduces another)».
Questa - a mio giudizio - è una delle espressioni chiave dell’opera.
Quando Hume dice di voler trattare della natura umana, e qui nel Li
bro I particolarmente dell’intelligenza, intende propriamente studiare la
“vita” delle idee, ossia spiegare le loro relazioni, cioè il modo come esse
naturalmente si legano e si associano, si evocano o si respingono luna
l’altra.
Nella memoria i legami sono stabiliti dal vincolo della successio
ne nella quale si sono presentate le impressioni. L’immaginazione inve
ce è libera. Perciò, in essa agisce quella che il filosofo chiama, con un
ricercato ossimoro, «una forza delicata che solitamente prevale {a gen-
tle force, which commonly prevails)», con la quale la natura si limita a
«indicare {pointing out)» a ciascuno di noi quali idee semplici sono le
più adatte a legarsi in idee complesse. Hume cerca qui un non facile
equilibrio tra la piena libertà dell’immaginazione, «nulla è più libero
di questa facoltà», e le indicazioni tramite le quali l’immaginazione
34 II tema della limitazione delle pretese della metafisica, in senso non solo ne
gativo ma anche positivo, sarà uno dei temi focali che Kant riprenderà dal filosofo scoz
zese; infra, 293-299.
Il Trattato di Hume 235
35 Tre di queste sette relazioni arbitrarie o filosofiche sono anche naturali o fon
date su principi associativi; esse perciò sono allo stesso tempo naturali e filosofiche, il
che rende assai complessa la loro trattazione. Il fatto poi che Hume opponga arbitrario a
naturale, non deve farci intendere quest’ultimo termine come necessario, bensì - come
sopra abbiamo spiegato - fondato su quella gentle force che cerca di salvaguardare la li
bertà di fondo dell’immaginazione.
36 Nel senso, ovviamente, della natura della mente umana: «per quanto riguar
da la mente, questi [principi associativi] sono i soli legami che tengono insieme le parti
dell’universo, o che ci collegano con ogni persona o oggetto esterno a noi. E considerato
che ogni cosa agisce sulle nostre passioni e, considerato che questi principi sono le sole
connessioni tra i nostri pensieri, essi sono realmente per noi il cemento dell’universo, e
tutte le operazioni della mente debbono dipendervi in grande misura» (Abstract 35: 662
[trad. it., cit., 71]).
37 «thè association of ideas is thè basis for our inductive inferences, thè belief in
causation, in an external world, in material substances, and in personal identity. [...]
generates thè indirect passions of pride, shame, esteem and contempt. It is also thè
source of our simpathy with others, and allows us to enter into their feelings. [...] is thè
basis for our moral judgements» (WRIGHT, Hume’s A Treatise of Human Nature’, cit.,
50 [trad. mia]).
236 Sistemi filosofici moderni
Dato che - sin dalla prima riga del Trattato - alla mente non si
presentano che percezioni e queste sono o impressioni o idee, ergo la
sostanza deve essere una di queste. Impressione non può essere, in
quanto la sostanza per definizione non è i suoi fenomeni (nessuno
tocca o vede la sostanza di qualcosa), dunque deve essere un’idea, ma
certo non un’idea semplice, giacché come detto manca l’impressione
semplice corrispondente. Perciò non potrà essere che un’idea com
plessa, ovvero una collection of simple ideas. Hume precisa poi che la
peculiarità dell’idea di sostanza sta nel fatto che in essa i modi «si ri
feriscono comunemente a un qualcosa di sconosciuto». Più sotto, ri
prendendo gli stessi argomenti nella sua polemica con La filosofia an
tica, rea di aver inventato la nozione di sostanza, dirà che «l’immagi
nazione è atta a fingere qualcosa di ignoto e invisibile, che suppone
continuare identico attraverso tutte queste variazioni; e questo intelle-
gibile qualcosa lo chiama sostanza o materia prima e originaria»
(Tl.4.3.4: 220)38. Ancora oltre, nella sezione dedicata all’Immortalità
deir anima, che precede quella su Identità personale ove Hume ri
prenderà e approfondirà la questione della sostanza, leggiamo che «se
[...] volessimo eludere la difficoltà definendo la sostanza come qual
cosa che può esistere da sé (something which may exist by itself)\ e dicen
do che questa definizione deve bastarci: in questo caso, dunque, io os
serverei che questa definizione concorda con tutto ciò che è possibile
concepire» (Tl.4.5.5: 233), cioè tutte le percezioni sono sostanze39.
tutte le idee generali non sono altro che idee particolari, connesse a un
certa parola (terni), che conferisce loro un significato più estensivo e, all’oc-
correnza, permette di richiamare (recali) altre idee individuali, che sono simili
a loro.
chiaramente in un certo modo, può esistere in quel modo. Questo è un principio che
abbiamo già riconosciuto. Ancora, tutto ciò che è diverso è distinguibile; e tutto ciò che
è distinguibile è separabile dall’immaginazione. Questo è un altro principio. Da entram
bi questi principi io concludo che, poiché differiscono le une dalle altre e da qualsiasi al
tra cosa nell’universo, le nostre percezioni sono anche distinte e separabili, e possono
venir considerate come esistenze separate e possono esistere separatamente, senza aver
bisogno di altro per sostenere la loro esistenza. Per quanto concerne questa definizione
di sostanza, dunque, le percezioni sono sostanze» (Tl.4.5.5: 233).
40 Supra, 184-189.
41 Al di là di chi ritiene che Hume abbia definitivamente debellato la sostanza
(es. ATTANASIO, Gli istinti della ragione, cit., 60) altri vedono abbastanza chiaramente i
limiti di una tale impostazione: «How else can a set of qualities cohere together than by
being properties of one and thè same subject? Or, abandoning that line of defence as
question-begging, let us ask what sort of a collection it was that Hume had in mind.
How is it to be specified? Either thè kind of collection Hume speaks of is specified by
reference to some subject of thè properties, or else it is specified enumeratively by refer-
ence to thè properties that are members of thè collection. In thè first case, Hume does
not escape thè questions that come with thè idea of thè subject of thè properties. In thè
second case, every new property and every old property deleted must result in a new
collection of thè kind Hume proposes» (D. WlGGINS, Substance, in K. TRETTIN [ed.],
Substanz. Neue Uberlegungen zu einer klassischen Kategorie des Seienden, Klostermann,
Frankfurt a.M. 2005, 107).
238 Sistemi filosofici moderni
42 Più sotto, con una bella espressione Hume dirà «in maniera insufficiente, ma
utile agli scopi della vita {in such an imperfect manner as may serve thè purposes of life)»
(T l.1.7.7: 20).
Il Trattato di Hume 239
ci capitano dinnanzi, diamo a tutti lo stesso nome, quali che siano le differenze
che possiamo osservare nei gradi della loro quantità e qualità [...]. Acquisita
una tale abitudine (custom), nell’udire quel nome si risveglia l’idea di uno di
quegli oggetti, e si induce l’immaginazione a concepirlo in tutte le sue partico
lari circostanze e proporzioni (Tl. 1.7.7: 20).
43 «la parola, poiché non è in grado di ridestare l’idea di tutti questi individui, si
limita a toccare l’anima {only touches thè soul), se così posso esprimermi, e fa rivivere l’a
bitudine che abbiamo acquisito neU’esaminarli. Essi non sono realmente, di fatto presen
ti alla mente, ma solo in potenza; né li esibiamo tutti distintamente nell’immaginazione,
ma ci teniamo solamente pronti a considerarli tutti nel caso che un qualche intento o ne
cessità presente ci spinga a farlo» (Tl.1.7.7: 20). Commenta A. Attanasio: «L’immagina
zione non dispone di un catalogo morto di nomi, parole, cose, tutti gerarchicamente or
dinati nella mente, bensì di esperienze vive, sedimentate in modo imperfetto, ma pronte
a riemergere in vista di un progetto presente» {Gli istinti della ragione, cit., 68-69).
44 Supra, 165.
240 Sistemi filosofici moderni
45 Una trattazione più approfondita, nella sezione dedicata allo Scetticismo ri
spetto ai sensi Tl.4.2. (specialmente 18-24: 194-199), è annunciata da Hume in nota
(Tl.2.6.9: 68).
46 Cf. M. F r a sca-S p ad a , Space and thè Self in Hume’s Treatise, Cambridge Uni
versity Press, Cambridge 1998; L. FALKENSTEIN, Space and Time, in S. TRAIGER (ed.),
The Blackwell Guide to Hume’s Treatise, Blackwell, Oxford 2006, 59-76; D. BAXTER,
Hume’s theory of space and time in its skeptical context, in NORTON-TAYLOR (edd.), The
Cambridge Companion, cit., 105-146.
47 Qui Hume prende una chiara posizione riguardo l’infinito attuale o potenzia
le, oggetto di un dibattito antico almeno quanto la critica di Aristotele a Zenone (Phys.,
VI 2, 233a), che aveva recentemente coinvolto tra gli altri Locke e Berkeley, ma anche
Il Trattato di Hume 241
Hutcheson e soprattutto Bayle, nella voce Zenone del suo celebre Dictionnaire historique
et critique (1697), al quale Hume deve in gran parte la propria posizione; cf. V. FANO, I
paradossi di Zenone, Carocci, Roma 2012. A mio giudizio, la posizione di Hume conver
ge con la teoria della gravità quantistica a loop (LQG), che presuppone una concezione
“granulare” dello spazio.
48 Nella 2a parte del Libro I, Hume inizia trattando della divisibilità infinita del
le nostre idee di spazio e tempo (T 1.2.1) per passare poi alla divisibilità infinita di spazio
e tempo (Tl.2.2) tout court, e lo fa con questo celeberrimo passaggio: «Tutte le volte
che le idee sono rappresentazioni adeguate degli oggetti, anche le loro relazioni, con
traddizioni e concordanze sono in ogni caso applicabili agli oggetti stessi: questo è, in
generale, il fondamento di tutta la conoscenza umana. Ora, poiché le nostre idee sono
rappresentazioni adeguate delle parti anche più piccole dell’estensione, e poiché queste,
per quanto grande sia il numero delle suddivisioni a cui si può pensare di arrivare, non
possono mai diventare inferiori alle idee che possiamo formarcene, la chiara conseguen
za di tutto ciò è che tutto ciò che appare impossibile e contraddittorio dal confronto fra
queste idee, deve essere realmente impossibile e contraddittorio, senz’altra scusa o via
d ’uscita» (T l.2.2.1: 29). Per un’esegesi approfondita di questo brano cf. BAXTER, Hu-
m es theory of space and time, cit., 112-121.
242 Sistemi filosofici moderni
51 Qui «present with thè mind» (Tl.2.6.7: 67), a sottolineare il lato autocosciente
di tale presenza, altrove: «Chiamo percezione qualsiasi cosa presente alla mente {present to
thè mind), quando usiamo i nostri sensi, quando siamo mossi dalla passione, o nell’eserci
zio del nostro pensiero e della nostra riflessione» {Abstract 5: (A l [trad. it., cit., 39]).
52 Per Wright, la posizione di Hume è chiaramente quella di un realismo indi
retto; cf. WRIGHT, Hume’s ‘A Treatise of Human Nature\ cit., 58; supra, 168-169. Per ap
profondire la questione, cf. Id., The Sceptical Kealism of David Hume, cit.; P. K a il,
Projection and Realism in Hume’s Philosophy, Oxford University Press, Oxford 2007; E.
RADCLIFFE (ed.), A Companion to Hume, Blackwell, Oxford 2007, 441-456.
53 Hume qui sta molto attento a non scrivere causa, perché in un certo senso le
vere cause dell’attività percettiva (vedere, sentire, amare, odiare ecc.) siamo noi in quan
to percipienti e non gli oggetti esterni. Per occasione, infatti, si intende normalmente un
fatto che favorisce il verificarsi di un evento senza esserne direttamente la causa.
54 «è impossibile concepire o formare un’idea di qualcosa specificamente di
verso dalle idee o impressioni» (T l.2.6.8: 67); «Il limite più estremo nella concezione
di oggetti esterni supposti come specificamente differenti dalle nostre percezioni»
(T l.2.6.9: 68).
244 Sistemi filosofici moderni
ben più importante delle altre due» (Tl.3.2.11: 77)64. Ma proprio que-
st’ultima relazione, quella decisiva, solleva un’aporia apparentemente
insormontabile: da un lato l’osservazione degli eventi mi mostra solo la
contiguità e la successione, eppure queste non sono sufficienti a deter
minare la causalità, in quanto due oggetti possono ben essere contigui
e successivi senza essere affatto l’uno la causa dell’altro; dall’altro lato,
proprio la necessità della connessione, che risulta veramente essenziale
alla causalità, non mi è dato di osservarla mediante l’esperienza: nessu
no vede o tocca la necessità.
Per sormontare questa impasse Hume imbastisce una prolungata
disamina - vero cuore speculativo del Libro I del Trattato - nella quale
riprende da capo diverse nozioni basilari stabilite nelle parti precedenti
e, in particolar modo, individua, come prerequisito basilare per la de
terminazione della connessione necessaria, la memoria dell’esperienza
passata, ovvero il «ricordo del costante congiungimento» (T 1.3.6.4: 88)
tra due eventi. Tuttavia, noi non ci limitiamo a registrare ricordi, ma ra
gioniamo in modo tale che «i casi di cui non abbiamo mai avuto espe
rienza devono assomigliare a quelli che abbiamo già incontrato, e che il
corso della natura continua in modo uniforme» (Tl.3.6.4: 89). Da dove
nasce questo ragionamento? Dall’intelletto o dall’immaginazione? Sic
come, da tutto quanto detto finora, non esistono argomenti dimostrati
vi che possano giustificare la somiglianza necessaria tra eventi passati e
futuri, di conseguenza non rimane che l’immaginazione:
quando la mente passa dall’idea o impressione di un oggetto all’idea o
credenza (belief) di un altro, essa non è affatto determinata dalla ragione, ma
soltanto da certi principi che associano fra loro le idee di questi oggetti e le
uniscono nell’immaginazione (Tl.3.6.12: 92).
65 Cf.Tl.3.6.14.
66 «Siamo determinati soltanto dall’ABITUDINE (by CUSTOM alone) a supporre
che il futuro sarà conforme al passato. Quando vedo una palla da biliardo muoversi ver
so un’altra, la mia mente è immediatamente portata per abito all’effetto consueto, e anti
cipa la mia vista rappresentandosi la seconda palla in movimento. Non c’è nulla in que
sti oggetti, considerati in astratto e indipendenti dall’esperienza, che mi induca a trarre
una tale conclusione e, anche dopo aver avuto esperienza di molti ripetuti effetti di que
sto tipo, non c e argomento che possa determinarmi a supporre che l’effetto sarà confor
me all’esperienza passata. Le forze attraverso cui i corpi operano ci sono del tutto sco
nosciute. Noi percepiamo solo le loro qualità sensibili, e quale ragione abbiamo di pen
sare che le stesse forze saranno sempre congiunte alle stesse qualità sensibili?» (Abstract
15: 652 [trad. it., cit., 49]).
67 «Hume’s thesis is that mental energy or force and vivacity is transferred from
one perception to another via thè associational links, generating belief in unobserved
objects, thè indirect passions, and sympathy with other human beings» (WRIGHT, Hu
me s A Treatise of Human Nature\ cit., 51).
Il Trattato di Hume 249
chiude il Libro I, che sembra essere quasi una sorta di versione tragica
della metafora platonica della filosofia come navigazione:
Ora, io ho di me stesso l’immagine di un uomo, il quale, dopo aver coz
zato contro molti scogli, ed evitato a malapena il naufragio passando in una sec
ca, conservi ancora la temerarietà di mettersi per mare con lo stesso battello
sconquassato [...]. Il ricordo degli errori e delle difficoltà e delle perplessità
passate mi inducono a diffidare dell’avvenire. [...] E l’impossibilità di fare am
menda o correggerle mi riduce quasi alla disperazione, al punto che preferirei
morire all’istante, sulla nuda pietra in cui mi trovo ora, piuttosto che avventu
rarmi in quell’oceano sconfinato, che prelude all’immensità (Tl.4.7.1: 263-264).
finali del Libro I appariranno in tedesco nella rivista «Kònigsberger gelehrte Zeitung»
nel 1771, destando l’interesse di Kant; infra, 280.
73 «H is goal is to show that reason itself can never find its own way out of skep-
ticism» (WRIGHT, Hume’s A Treatise o f Human Nature\ cit., 130 [trad. mia]); questa
posizione appare opposta a quella di Descartes; supra, 29-33.
Il Trattato di Hume 251
74 Per analizzare più in dettaglio questi due «sistemi di realtà», cf. ATTANASIO,
Gli istinti della ragione, cit., 133-163.
252 Sistemi filosofici moderni
te è sulla via di osservare una uniformità tra gli oggetti, la continua naturalmen
te fino a rendere quell’uniformità la più completa possibile (T1.4.2.22: 198).
75 «come una galea messa in movimento dai remi prosegue il suo corso senza
ulteriore spinta» (Tl.4.2.22: 198).
Il Trattato di Hume 253
76 «Un oggetto, le cui diverse parti coesistenti siano legate insieme da una stret
ta relazione, agisce sull’immaginazione in modo estremamente simile a un oggetto sem
plice e indivisibile» (T l.4.6.22: 263).
77 «devono essere le nostre diverse percezioni individuali a comporre la mente.
Dico, comporre la mente, non appartenere alla mente. La mente non è una sostanza a cui
le nostre percezioni ineriscono» (Abstract 28: 658 [trad. it., cit., 61]). Sulla questione as
sai complessa, sollevata da Hume stesso nell 'Appendice (TA10-22: 633-635), circa la
254 Sistemi filosofici moderni
vare per la mente umana è quello di una repubblica, i cui diversi mem
bri sono posti in relazione tra loro da vincoli reciproci di governo e su
bordinazione; i membri poi generano altri membri, muoiono e si
scambiano, «perpetuando la stessa repubblica nell’incessante cambia
mento delle sue parti» (Tl.4.6.19: 261).
3. Psicologia
Il Libro II del Trattato è, tra i tre, quello storicamente più igno
rato e frainteso. Una ragione di tale emarginazione è data sicuramente
dal fatto che - come abbiamo visto - negli anni successivi alla sua pri
ma opera, Hume scrisse due Ricerche, una sull’intelligenza e una sulla
morale, le quali poi sono state spesso ripubblicate insieme, quasi rap
presentassero il nuovo sistema filosofico humeano; mentre alle passio
ni egli dedicò poi solo una breve Dissertazione. Inoltre, gli studiosi, al
meno fino al capitale saggio di N.K. Smith78, o hanno totalmente igno
rato il Libro sulle passioni o sono stati aspramente critici verso di es
so79. Solo negli ultimi decenni, gli interpreti si sono resi conto della
centralità delle passioni nella struttura del Trattato80. Un indizio di ciò
può esserci offerto da due illuminanti passaggi che letteralmente “in
corniciano” il Libro II. Alla fine del Libro I, infatti, leggiamo:
la nostra identità rispetto alle passioni serve a corroborare quella del
l’immaginazione, facendo in modo che le percezioni distanti si influenzino tra
loro, e ci conferiscano un interesse presente per i nostri dolori o piaceri passati
o futuri (Tl.4.6.19: 261).
81 «Ciò che viene prima si chiarisce solo alla luce di ciò che segue, per acquista
re un ruolo all’interno di un sistema coerente. [...] Il Trattato - che può essere innalzato
a paradigma esaustivo di tutta la filosofia di Hume - è comprensibile solo se lo si osser
va nella sua completezza» (GRECO, L io morale, cit., 56).
82 LECALDANO, Hume e la nascita dell etica, cit., 78.
256 Sistemi filosofici moderni
83 Sulle diverse tassonomie delle passioni nel Trattato cf. GRECO, L’io morale,
cit., 64, n. 7.
84 OPT: 148.
Il Trattato di Hume 257
85 Supra, 124-131.
86 Ad esempio: «D ato che le passioni dell’ORGOGLlO e delTuMILTÀ sono im pres
sioni semplici e uniformi, è impossibile, quale che sia la quantità delle parole che utiliz
ziamo, riuscire a darne una precisa definizione, come del resto è per tutte le altre passio
ni. Al massimo, possiam o aspirare a darne una descrizione, enumerando le circostanze
che le accom pagnano» (T2.1.2.1: 277).
87 «L ’anatomista non dovrebbe mai emulare il pittore: e nelle sue accurate dis
sezioni e nelle descrizioni delle parti più minute del corpo umano non dovrebbe mai
pretendere di conferire alle sue figure un’attitudine o un’espressione graziose o attraen
ti» (T3.3.6.6: 621).
88 Su questa giustificazione metodologica delle complicazioni del Libro II, cf.
LECALDANO, Hume e la nascita dell’etica, cit., 75-78; L au d isa, Hume , cit., 81-83.
89 123 pagine su 179, secondo la numerazione SB.
258 Sistemi filosofici moderni
90 Secondo ÀRDAL, Passion and Value, cit., 34, il termine che rende corretta-
mente il significato humeano di humility, è shame «vergogna»; mentre con orgoglio è
chiaro che non dobbiamo intendere qualcosa di negativo, come « l’eccessiva considera
zione di sé che ci porta a ritenerci superiori agli altri», bensì qualcosa di positivo, come
«onore, dignità, fierezza». Dal momento che il termine inglese pride deriva, attraverso il
francese prud, dal latino prodesse cioè «avere valore», mentre humility, dal latino burni
tis, cioè «poco elevato da terra», s’intuisce che Hume assuma il primo per il suo signifi
cato euforico di crescita di valore, o prodezza, e il secondo per il significato disforico di
abbassamento di valore o umiliazione.
Il Trattato di Hume 259
101 Così anche WRIGHT, Hume’s (A Treatise of Human Nature’, cit., 204-207; in
fatti la simpatia non è essa stessa una passione, ma un «principio» che anima una con
versione di vitalità, cf. LECALDANO, Hume e la nascita dell’etica, cit., 97-98.
102 «Ciò che è particolarmente notevole in tutta questa faccenda è la forte confer
ma che tutti questi fenomeni danno al precedente sistema dell’intelletto, e conseguente
mente anche a questo delle passioni; essendo entrambi analoghi fra loro» (T2.1.2.8: 319);
di conseguenza, avendo precedentemente sostenuto che il belief-custom è quel «nuovo
fondamento» che Hume ritiene di aver scoperto per l’intelligenza, il suo analogo passio
nale, la sympathy, assume lo stesso ruolo fondamentale e vitale di trasmettitore/converti
tore di forza e vivacità.
103 «Una perfetta solitudine è, forse, la punizione più dura da scontare. Ogni
piacere languisce se ne godiamo senza compagnia, e ogni dolore si acuisce e diventa più
intollerabile. Qualunque sia la passione che ci muove, orgoglio, ambizione, avarizia [...]
di tutte queste l’anima o principio animatore (thè soul or animating principle) è la simpa
tia» (T2.2.5.15: 363).
Il Trattato di Hume 263
104 Questa brano è noto tra gli specialisti come slave passage, la sua interpretazio
ne ha dato vita a un vivace dibattito, cf. R.M. K y d d, Reason and Conduct in Hume’s Trea
tise, Clarendon Press, Oxford 1946, 143-152; A r d a l, Passion and Value, cit., 95-107; esso
è ritenuto essere la chiave della filosofia di Hume dal classico saggio di SMITH, The Philo
sophy of David Hume, cit; di opinione opposta è D.F. NORTON, David Hume, Common
Sens Moralist, Sceptical Metaphysician, Princeton University Press, Princeton 1982.
105 Cf. A.O. LOVEJOY, The Great Chain o f Being. A Study of thè History o f an
Idea, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1937; R. BODEI, Geometria delle pas
sioni, Feltrinelli, Milano 1991; J. ELSTER, Alchemies of thè Mind. Rationality and Emo-
tions, Cambridge University Press, Cambridge 1999.
106 Rare le voci contrarie, tra queste spicca quella di P. Nicole, il quale aveva re
centemente sostenuto, e Hume ne era a conoscenza in quanto ne aveva letto le opere,
che l’uso che noi ordinariamente facciamo della ragione è di servire le passioni, cf. De la
faiblesse de l’homme, primo degli Essais de morale (1671).
107 Questo secondo punto, in effetti, ne include due: (2.1) la ragione non può
guidare la volontà; (2.2) la ragione non può entrare in conflitto con la passione.
108 «D i tutti gli effetti immediati di dolore e piacere, nessuno è più notevole del
la VOLONTÀ; e per quanto, propriamente parando, non sia inclusa fra le passioni, tutta
via, siccome per la loro stessa spiegazione è necessaria la comprensione della sua natura
e delle sue proprietà, noi la assumeremo qui come argomento della nostra indagine»
(T2.3.1.2: 399).
264 Sistemi filosofici moderni
sopraggiunge «un nuovo movimento del nostro corpo o una nuova per
cezione della nostra mente» (T2.3.1.2: 399). Anche qui l’autore ribalta
va completamente il punto di vista classico: la volontà non è più conce
pita come causa che muove le azioni, bensì come effetto di esse, in
quanto percezione che deriva da un nuovo evento somatico o mentale.
Da ciò il filosofo traeva una considerazione ancora più sorprendente: il
potere del pensiero non è in nulla superiore al potere della materia.
Detto in altri termini, la mente non è affatto superiore e staccata rispet
to alla natura, ma è parte di essa, ossia è del tutto contigua al corpo e
agli oggetti materiali109. Da questa convinzione, Hume prendeva le
mosse per una tanto affascinante quanto complessa discussione sul li
bero arbitrio, cioè sul rapporto tra libertà e necessità (T2.3.1-2)110,
giungendo alla seguente conclusione: «la libertà, rimuovendo la neces
sità, rimuove le cause, e perciò libertà e caso risultano identici»
(T2.3.1.18: 407). In effetti, data la perfetta contiguità di naturale e
mentale, il «fantasioso sistema di libertà» (T2.3.1.15: 404) ingegnato
dai filosofi, preoccupati di garantire a essa una indipendenza dalle cau
se, deve più modestamente essere ricondotto entro i limiti della mate
ria, nella quale l’assenza di determinismo è detta propriamente caso.
Tornando alle succitate tesi di T2.3.3.1, la prima di esse è dimo
strata facendo ricorso alla distinzione tra dimostrazione e probabilità
elaborata in T.1.3. Dal momento che il ragionamento per dimostrazio
ne si basa su puri rapporti tra idee, esso non è di per sé in grado di
motivare la volontà, giacché questa «ci colloca sempre nel mondo del
le cose reali» (T2.3.3.2: 413). Nemmeno il ragionamento per probabi
lità, che invece di cose reali si occupa, è però in grado di motivare la
volontà «da solo»; affinché siamo concretamente mossi all’azione ab
biamo bisogno infatti di un impulso, di attrazione o di repulsione, che
«non sorge dalla ragione, ma è solo diretto da essa» (T2.3.3.3: 414).
Ebbene, se è vero quanto appena dimostrato, è allora falso ritenere -
come solitamente si è fatto - che la ragione possa confliggere con le
passioni.
Il fatto che la ragione non interferisca con le passioni, tuttavia,
non impedisce alla passione di essere in qualche modo razionale essa
4. Morale
II Libro III del Trattato fu pubblicato - come sappiamo - quasi
due anni dopo l’uscita dei primi due. NeNAvvertenza, Hume informa i
suoi lettori che questo libro è «in qualche misura indipendente dagli al
tri due». Ciò non significa che i suoi contenuti siano estranei a quelli
dei Libri precedenti, bensì che questo Libro possiede una sua autono
mia, al punto da poter essere letto anche da coloro che non si sono già
impegnati a leggere e comprendere tutti gli argomenti dei primi due.
Questa notazione toglie ulteriore terreno alla consuetudine di leggere
in modo lineare il Trattato, facendo dipendere le parti successive dalle
precedenti. Anzi, è chiaro che questo libro possiede semmai un certo
primato rispetto agli altri, e lo stesso Hume non manca di dichiararlo
apertamente, già nella prima pagina: «La morale è un soggetto che ci
interessa più di ogni altro» (T3.1.1.1: 455). Ma cosa intende egli qui per
morale? e perché gli interessa a tal punto? Sappiamo infatti che l’intero
Trattato è un tentativo d’introdurre il metodo sperimentale di ragiona
mento nei soggetti morali, cioè nello studio della natura umana. Per
comprendere adeguatamente il senso specifico della morale del Libro
III, dobbiamo perciò focalizzare il contributo che questa è in grado di
apportare per corroborare quanto stabilito nei Libri precedenti114.
Dando uno sguardo sommario ai contenuti delle tre parti in cui
è strutturato il Libro III, vediamo che l’autore nella l a parte si dedica
a una sorta di premessa metodologica generale, volta a ribadire - se
condo quanto già discusso nel finale del Libro precedente - l’incapa
cità della sola ragione a motivare e guidare l’agire e, dunque, la neces
sità di basare i giudizi morali su un’altra fonte, che vedremo essere il
senso morale (moral sense). Nelle restanti parti, Hume tratterà delle
virtù e dei vizi, ovvero delle condizioni che rendono possibile l’emer
gere del senso morale: delle condizioni esterne o artificiali, nella 2a, e
di quelle interne o naturali nella 3a. Ma se leggiamo più attentamente,
ci accorgiamo che la parte 3a, in verità, tratta genericamente di Altre
virtù e altri vizi, che - come vedremo - si baseranno sostanzialmente
su quelle passioni calme che l’autore ha già esaminato nel Libro II.
Così appare chiaramente che l’argomento centrale - in tutti i sensi -
dell’intero Libro III sta nella parte 2a, la quale - sulla scia della più an
tica e consolidata tradizione della filosofia morale, almeno dalla Re
pubblica di Platone e dall'Etica Nicomachea di Aristotele in poi - è
principalmente dedicata a una virtù: la giustizia.
Analogamente al Libro II, nel quale l’autore faceva di una con
creta passione indiretta, l'orgoglio (e l’umiltà/vergogna), il vero perno
114 Come già rilevato, Hume spera che «i ragionamenti sulla morale posano cor
roborare tutto quel che abbiamo detto sull’intelligenza e sulle passioni» (T3.1.1.1: 455).
Il Trattato di Hume 267
115 Per farsi un’idea sommaria della vastità di problemi sollevata, cf. D.F. NOR
TON, The foundations o f morality in Hume’s Treatise, in NORTON-TAYLOR (edd.), The
Cambridge Companion, cit., 270-310; per approfondire, cf. J.L. MACKIE, Hume’s Moral
Theory, Roudedge, London 1980; A.C. BAIER, A Progress of Sentiments. Reflections on
Hume’s Treatise, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1991.
116 Tra i protagonisti di tale ampio e articolato dibattito, iniziato in Gran Breta
gna una ventina d’anni prima del Trattato, c’erano: W. WOLLASTON, con The Religion of
Nature Delineated (1722); B. DE MANDEVILLE, con The Fable of thè Bees, or, Private Vi-
ces, Publick Benefits (1705-1723) e qui soprattutto An Inquiry into thè Origin o f Moral
Virtue\ F. HUTCHESON, con An Inquiry into thè Origin of Ideas of Beauty and Virtue
(1725), e An Essay on thè Nature and Conduct o f thè Passions and Affections, with Illu-
strations upon thè Moral Sense (1728); S. CLARKE, The Foundation of Morality in Theory
and Practice (1726); J. BuTLER, con i suoi Fifteen Sermons Preached at The Rolls Chapel
(1726).
268 Sistemi filosofici moderni
124 Per un’analisi punto per punto di questo brano, che è tra i più citati e chiosa
ti dell’intero Trattato, cf. WRIGHT, Hume’s ‘A Treatise o f Human Nature\ cit., 245-251.
125 Nota bene: «Hume distingue tra il sentimento morale e il giudizio morale: il
primo è un’impressione originaria, e dunque è indivisibile, mentre il secondo è la verba-
lizzazione di una idea morale, copia dell’impressione morale di partenza» (GRECO, Lio
morale, cit., 153).
126 Cf. WRIGHT, Hume’s (A Treatise o f Human N a t u r e cit., 249.
272 Sistemi filosofici moderni
127 II che ovviamente non vale viceversa, in quanto non ogni piacere riferito a
noi, come potrebbe essere quello della bellezza di un oggetto inanimato (es. casa), ri
guarda vizio o virtù. Inoltre, come sappiamo, gli effetti immediati di piacere e dolore so
no le passioni dirette (desiderio, avversione ecc.); mentre le passioni indirette sono effet
ti mediati da una qualità.
128 Cf. J. MclNTYRE, Character. A Humean Account, in «History of Philosophy
Quarterly» 7 (1990), 193-206; E. L e c a ld a n o , Lio, il carattere e la virtù nel Trattato di
Hume, in A. SABBATUCCI (ed.), Filosofia e cultura nel Settecento britannico. II. Hume e
Hutcheson, Il Mulino, Bologna 2000, 143-166; GRECO, Lio jnorale, cit., 125-138.
129 Cf. GRECO, Lio Jnorale, cit., 127.
274 Sistemi filosofici moderni
Libro III, che l’oggetto focale della dottrina delle passioni, il nostro io,
è in grado di acquistare piena stabilità e consistenza. Ma affinché que
sto processo sia interamente compiuto, c’è bisogno non solo di prova
re orgoglio o umiltà/vergogna in questa o quella determinata circo
stanza in base al proprio carattere riconosciuto, ma anche di avere
consapevolezza di essere veramente degni, ovvero di meritare una tale
stima. Ma perché questo sia possibile, bisogna poter astrarre dal pro
prio interesse particolare e possedere dei punti di vista fermi e
generali130. Come si legge più oltre:
Dunque per prevenire queste continue contraddizioni, e conseguire un
maggiore grado di stabilità nei nostri giudizi sulle cose, noi fissiamo certi punti
di vista fermi e generali (steady and generai points ofview)\ e nei nostri pensie
ri ci rapportiamo sempre a essi, qualunque possa essere la nostra situazione
presente (T3.3.1.15: 582-583).
130 Cf. CHAZAN, Pride, Virtue and Self-Hood, cit.; E.S. R a d c liff e , Hume on Mo-
tivating Sentiments, thè General Point ofView, and thè Inculcation of Morality, in «H u
me Studies» 20 (1994), 37-58; GRECO, L io morale, cit., 146-161.
131 Cf. WRIGHT, Humes A Treatise of Human Nature\ cit., 270-275.
nessuno, ma come la convergenza reale di molti sguardi concreti che
storicamente e praticamente sono convenuti su determinati punti fissi.
Parlando di generale, allora, non si intende affatto un qualcosa di uni
versalmente oggettivo e normativo, bensì l’esito e la sedimentazione
del confronto avvenuto in una determinata comunità, attraverso un
processo contingente di errori, tentativi e miglioramenti.
Questo processo però non è del tutto casuale e arbitrario o, co
me si suol dire, meramente convenzionale o contrattuale, ma guidato
(non determinato) da quella gentle force che sono le passioni calme
(benevolenza, amore per la vita, inclinazione per il bene e avversione
per il male in se stessi), che stanno alla base delle virtù. Dire calme,
non significa dire deboli, anzi «la caratteristica delle passioni calme è
quella di essere forti, cioè persistenti, durature, continue nel loro in
flusso sulla volontà»132. Il loro ruolo è quello di contrastare l’immedia
tezza delle passioni violente, che per definizione non riescono a conse
guire alcun punto di vista fisso e generale, per strutturare e garantire
l’interesse che ciascuno prova per se stesso, coniugandolo a lungo ter
mine e a largo raggio con gli interessi degli altri. E così che Hume
giunge a darci una definizione della persona giusta, in base al principio
che «un merito o un demerito accompagna la giustizia o l’ingiustizia».
Infatti:
Chiunque abbia un qualche rispetto per il suo carattere, o intenda vive
re in buoni rapporti con il genere umano, deve fissarsi come legge inviolabile
di non essere mai indotto, da nessuna tentazione, a violare i principi che sono
essenziali affinché un uomo sia probo e onorevole (T3.2.2.27: 501).
Bibliografia
Opere
1739 A Treatise o f Human Nature: Being an Attempt to Introduce thè Expe-
rimental Method of Reasoning into Moral Subjects. I. O f thè Under
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1740 A Treatise of Human Nature: Being an Attempt to Introduce thè Expe-
rimental Method o f Reasoning into Moral Subjects. III. O f Morals,
Longman, London [anonimo].
1740 An Abstract of a Book lately Published, Entituled A Treatise of Hu
man Nature, &c. Wherein thè Chief Argument of that Book is farther
Illustrated and Explained, Borbet [Corbet], London [anonimo].
1741 Essays, Moral and Politicai, Kincaid, Edinburgh [1 voi. di 15 saggi,
anonimo].
1742 Essays, Moral and Politicai, Kincaid, Edinburgh [2a ed. del voi. 1 del
1741, più voi. 2 di nuovi 12 saggi, anonimo].
1748 Essays, Moral and Politicai, Millar, London [3a ed. del voi. 1 del 1741,
2a ed. del voi. 2, in tutto 26 saggi].
1748 Philosophical Essays concerning Human Understanding. By thè Author
of thè Essays Moral and Politicai, Millar, London [dal 1758 intitolati
An Enquiry concerning Human Understanding.
1751 An Enquiry concerning thè Principles of Morals, Millar, London.
1752 Politicai Discourses, A. Donaldson, Edinburgh.
1757 Four Dissertations, Millar, London [comprende: Naturai History of
Religion ; Dissertation on thè Passions; OfTragedy ; O f thè Standard of
Taste].
Philosophy of Common Life, University of Chicago Press, Chicago 1984; J. T aylor, Ju-
stice and thè Foundations of Social Morality in Humes Treatise, in «Hume Studies» 24
(1998), 5-30; ATTANASIO, Gli istinti della ragione, cit., 239-274.
135 Cf. LECALDANO, Hume e la nascita dell’etica, cit., 195-241; WRIGHT, Humes
4A Treatise of Human Nature’, cit., 270-275.
Il Trattato di Hume 277
Edizioni moderne
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1932 The Letters of David Hu?ne, edited by J.Y.T. G r e ig , 2 voli., Claren
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1998- The Clarendon Edition of thè Works of David Hume, edited by T.L.
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2012 GARRETT D., Hume, Roudedge, London.
Ponti bibliografiche
1975- «Hume Studies» [bibliografia annuale].
Capitolo Quinto
CRITICA E SISTEMA IN KANT
1 Sulla genesi della Critica della ragion pura, cf. F.C. BEISER, Kant’s intellectual
development: 1746-1781, in P. GUYER (ed.), The Cambridge Companion to Kant, Cam
bridge University Press, Cambridge 1992, 26-61; R. ClAFARDONE, La Critica della ragion
pura di Kant. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma 1996, 21-15.
280 Sistemi filosofici moderni
1996, 13 [AA IV: 260]). Sulla complessa questione del superamento del dogmatismo gra
zie all’influsso di Locke e, soprattutto, di Hume, cf. K.P. WlNKLER, Kant, thè empiricists,
and thè enterprise o f deduction, in P. GUYER (ed.), The Cambridge Companion to Kant’s
Critique of Pure Reason, Cambridge University Press, Cambridge 2010,41-72.
8 Per valutare l’influsso della filosofia di G.W. Leibniz e C. Wolff, nonché dei
loro epigoni, sul giovane Kant, cf. J.V. BUROKER, Space and Incongruence. The Origin of
Kant’s Idealism, Reidei, Dordrecht 1981; G . TONELLI, Da Leibniz a Kant, a cura di C. CE
SA, Prismi, Napoli 1988; D. HOGAN, Kant’s Copernican turn and thè rationalist tradition,
in GUYER (ed.), The Cambridge Companion to Kant’s Critique of Pure Reason, cit., 21-40.
9 «Seit der Zeit dafi wir von einander getrennt sind haben meine ehedem
Stiickweise auf allerley Gegenstànde der philosophie verwandte Untersuchungen syste-
matische Gestalt gewonnen und mich allmàhlig zur Idee des Ganzen gefùhrt, welche al-
lererst das Urtheil ùber den Werth und den wechselseitigen Einflus der Theile mòglich
macht» (A Marcus Herz, 20 agosto 1777 [AA X: 231; trad. mia]).
10 Come Kant stesso sintetizzerà all’inizio del § 6 dellTntroduzione alla Critica
della Ragion pura: «il vero problema della ragion pura è contenuto nella domanda: c o -
m e s o n o p o s s i b i l i g i u d i z i s i n t e t i c i a p r i o r i ? » ; cf. P. GUYER, Kant,
Routledge, London-New York 2006, 45-51; G . San s, Sintesi a priori. La filosofia critica
di Immanuel Kant, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2013, 11-27.
282 Sistemi filosofici moderni
Evidentemente, qui Kant lascia intuire che la Critica della ragion pura
ambisca a un sapere capace non solo di possedere la stessa sicurezza
della logica aristotelica, dal momento che ne condivide la formalità
epistemica (in tal senso la ragione è considerata in quanto pura), ma in
più capace di compiere finalmente passi in avanti, dal momento che si
occupa anche delle pretese nei confronti dei possibili contenuti ogget
tivi (in tal senso tale indagine è una critica). Ebbene, è la ragione che si
occupa formalmente o - come dice Kant - a priori di oggetti, ed essa
può farlo in due modi:
o semplicemente per d e t e r m i n a r e quest’oggetto e il suo concetto
(il quale deve essere dato in un altro modo), oppure anche per r e a l i z z a r -
1o . La prima è la conoscenza t e o r e t i c a della ragione, la seconda è quella
p r a t i c a (B ix-x)17.
17 Cf. l’inizio della Prefazione alla Fondazione della metafisica dei costumi (AA
IV: 387).
Critica e sistema in Kant 287
18 Diversi studiosi hanno sostenuto che tale esperimento, così come altri de
scritti da Galileo, siano ideali, ovvero avvenuti solo nella mente del loro autore, cf. es. A.
KOYRÉ, Études galiléennes, 3 voli., Hermann, Paris 1939; altri hanno cercato di rico
struire realisticamente taluni esperimenti, tra i quali anche quello del piano inclinato,
giungendo invece a risultati più che soddisfacenti e realistici, cf. es. T.B. SETTLE, An ex-
periment in thè history of Science, in «Science» 133 (1961), 19-23.
19 L’espressione ricorre per ben sei volte nella Prefazione (B vii. xiv. xiv. xv. xix.
xxxvi).
288 Sistemi filosofici moderni
23 «The Copernican example, after all, does not reduce planetary motion to thè
observer’s consciousness in an idealist way. It is rather that thè physical motion of thè
observer is an essential part of thè explanation of his conscious perception and of thè re
ai world of thè solar system. The parallel would be not that Kant proposes to reduce ob
jects, or thè rules they obey, to a subjects consciousness, but that he treats thè latter as a
vital part of thè explanation of thè former» (G. BlRD, The Revolutionary Kant. A Com-
mentary on thè Critique of Pure Reason, Open Court, Chicago 2006, 31); sul confronto
tra il vecchio e il nuovo paradigma filosofico, cf. E. BENCIVEGNA, Kant’s Copernican Re
volution, Oxford University Press, Oxford 1987 (trad. it., La rivoluzione copernicana di
Kant, Bollati Boringhieri, Torino 2000); sul corretto modo d’intendere la metafora co
pernicana, cf. I. KANT, Theoretische Philosophie, Texte und Kommentar hrsg. von G.
MOHR, 3 voli., Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2004, III, 70-74.
290 Sistemi filosofici moderni
24 Nella Critica della ragion pura queste due parti della metafisica corrispondo
no alle due parti della Logica trascendentale: 1. L’Analitica trascendentale, che tratta dei
concetti puri dell’intelletto, detti categorie; 2. La Dialettica trascendentale, che tratta del
le idee inferite dalla ragione: anima, mondo, Dio.
Critica e sistema in Kant 291
nato. Ora, le possibilità sono due: o tale esigenza della ragione è del
tutto ingiustificata e contraddittoria; o tale esigenza trova un qualche
fondamento che la renda ammissibile. Nel primo caso, ci troveremmo
consegnati al destino tragico di una ragione alienante, sempre protesa
verso un compimento di per sé irraggiungibile. Nel secondo caso, inve
ce, la ragione sarebbe la facoltà che dischiude all’uomo la piena realiz
zazione della sua destinazione. Non è difficile capire che qui è in gioco
la validità stessa della filosofia nelle sue originarie, massime aspirazioni.
Di fronte a tutto ciò, Kant sostiene che, solo ammettendo la ri
voluzione da lui ipotizzata, è possibile sciogliere la contraddizione del
la ragione. Se accettiamo che la nostra conoscenza «arriva solo a quel
lo che ci appare - vale a dire ai fenomeni - e lascia invece che la cosa
in sé, che pure esiste realmente di per se stessa, resti però sconosciuta
da parte nostra» (B xx), allora possiamo ammettere come legittima la
pretesa della ragione di trovare l’incondizionato, in quanto questo ri
guarderebbe gli oggetti considerati come cose in sé, non come feno
meni. Qui Kant fa leva su una delle distinzioni più discusse - e frainte
se - della sua filosofia: fenomeno e cosa in sé. Per fenomeno (Erschei-
nung) s’intende l’oggetto indeterminato di un’intuizione empirica, ov
vero l’oggetto di conoscenza in quanto appare al soggetto percipiente
mediante una sensazione e, dunque, relativamente alle facoltà percetti
ve del soggetto. Per cosa in sé (Ding an sich), invece, si intende l’ogget
to in quanto pensato in se stesso, come condizione di possibilità del-
l’apparire del fenomeno. In altre parole, quello di fenomeno è un con
cetto relativo, in quanto richiede, come sua condizione di possibilità,
un qualcosa di non conoscibile, di cui il fenomeno è fenomeno, cioè la
cosa in sé25.
Tuttavia, dobbiamo distinguere attentamente questi due concet
ti, dal momento che il fenomeno è qualcosa di conosciuto, mentre la
cosa in sé è qualcosa di pensato: non a caso Kant la chiama noumenon,
cioè, letteralmente, «ciò che è pensato». L’espressione - alquanto infe
lice - di cosa in sé ha fatto purtroppo pensare molti lettori della prima
Critica che si trattasse di una specie di “cosa” nascosta dietro alle cose.
Di conseguenza, a costoro è parso che Kant abbia sdoppiato l’oggetto
di conoscenza, in un vero oggetto sconosciuto e in un oggetto cono
alla posterità. Infatti, pare che la purificazione imposta dalla critica ab
bia esaurito a tal punto le pretese della ragione da ridurle di fatto al
nulla. Per tutta replica, Kant ribalta completamente la questione: vera
mente negative e distruttive sono le “chimere” della metafisica, ovvero
le pretese indebite di oltrepassare i confini dell’esperienza. In effetti,
tali false risposte alle aspirazioni della ragione impediscono che altre,
vere soluzioni possano essere avanzate. Perciò, i confini posti dalla fi
losofia critica hanno sì una funzione restrittiva, ma non meramente re
strittiva, giacché mediante essi la critica è in grado di tutelare la ragio
ne pratica dall’azione contraria esercitata da quella speculativa.
A questo punto l’autore riprende alcuni contenuti basilari della
Critica. Per facilitarne la comprensione è possibile avvalersi del se
guente schema30, che visualizza i contenuti principali solo della prima
- preponderante31 - parte dell’opera:
30 Lo schema è tratto da GARDNER, Kant and thè Critique of Pure Reason, cit., 25.
31 La Prima parte, 'Dottrina trascendentale degli elementi (A 17-704/B 31-732),
occupa circa l’80% del testo complessivo; la Seconda parte, Dottrina trascendentale del
metodo (A 705-856/B 733-884), il restante 20%. Quest’ultima intende determinare «le
condizioni formali di un sistema completo della ragion pura» (A 707/B735), e compren
de nell’ordine: 1. Disciplina della ragion pura; 2. Canone della ragion pura; 3. Architetto
nica della ragion pura\ 4. Storia della ragion pura\ cf. ClAFARDONE, La Critica della ragion
pura di Kant, cit., 195-201; BlRD, The Revolutionary Kant, cit., 739-756; A.W. MOORE,
The transcendental doctrine of method, in GUYER (ed.), The Cambridge Companion to
Kant’s Critique of Pure Reason, cit., 310-326.
Critica e sistema in Kant 295
33 Nello Scolio che spiega la Legge fondamentale della ragion pura pratica, si leg
ge: «La coscienza di questa legge fondamentale si può chiamare un fatto della ragione
(ein Factum der Vernunft), non perché si possa dedurre per ragionamento da dati prece
denti della ragione, per es., dalla coscienza della libertà (poiché questa coscienza non ci
è data prima), ma perché essa ci s’impone per se stessa come proposizione sintetica a
priori» (I. KANT, Critica della ragion pratica, a cura di F. CAPRA - S. LANDUCCI, Laterza,
Roma-Bari 1997, 67 [AA V: 31]). Ciò significa che tale legge si dà (è un fatto) in quanto
è prodotta (è fatta), infatti essa è propriamente un’azione della ragione, nella quale la ra
gione prende atto di se stessa; cf. M. IVALDO, Ragione pratica. Kant, Reinhold, Fichte,
Edizioni ETS, Pisa 2012, 92-107.
34 Nella Critica della ragion pratica si dice chiaramente che la legge morale è co
noscibile, altrimenti sarebbe qualcosa d’innominabile e agirebbe in noi come una sorta
d’impulso o istinto, e tuttavia non è una conoscenza empirica. Kant precisa ulteriormen
te che non si tratta della stessa conoscenza del soprasensibile vietata dalla Critica della
ragion pura e considerata meramente chimerica, altrimenti le due Critiche sarebbero in
contraddizione tra di loro. La differenza sta in ciò: mentre la - inammissibile - pretesa
della conoscenza speculativa soprasensibile riguarda enti (anima, mondo, Dio), la - le
gittima - conoscenza pratica non empirica riguarda norme (la legge morale).
Critica e sistema in Kant 297
«se non del fatto che la libertà non contraddica se stessa, e dunque pos
sa essere per lo meno pensata senza che sia necessario esaminarla più a
fondo, e che in tal modo essa non ponga alcun ostacolo al meccanismo
naturale di una medesima azione» (B xxix). Sotto l’aspetto fenomenico,
l’azione resta determinata, sotto l’aspetto noumenico la stessa azione
può essere considerata libera. Questi due ambiti sono e rimangono in
dipendenti o, meglio, ciascuno dei due «mantiene il suo posto», senza
alcuna possibilità d’invadere l’altro ambito.
In tutto ciò, Kant lascia intendere che la cifra essenziale su cui
regge e si costruisce il suo sistema filosofico è la separazione insor
montabile tra ambito fenomenico e ambito noumenico. Questa sepa
razione verrà ribadita, con estrema chiarezza, nellTntroduzione alla
Critica del giudizio, in un passo divenuto, giustamente, assai celebre, e
che - nonostante la sua lunghezza - merita di essere citato per intero:
L’intelletto è legislativo a priori per la natura come oggetto dei sensi, in
vista di una sua conoscenza teoretica in un’esperienza possibile. La ragione è
legislativa a priori per la libertà e per la sua propria causalità, in quanto sopra-
sensibile nel soggetto, in vista di una conoscenza pratica incondizionata. Il do
minio del concetto della natura, sotto la prima legislazione, e quello del con
cetto della libertà, sotto la seconda, sono del tutto separati, a dispetto di ogni
influsso reciproco che essi di per sé potrebbero avere l’uno sull’altro (ciascuno
secondo le proprie leggi fondamentali), dal grande abisso che divide il sopra-
sensibile dai fenomeni. Il concetto della libertà non determina nulla riguardo
alla conoscenza teoretica della natura; allo stesso modo il concetto della natura
non determina nulla riguardo alle leggi pratiche della libertà: e in questo senso
non è possibile gettare un ponte da un dominio all’altro35.
Con ciò, Kant non dice che la natura e la libertà non hanno alcu
na relazione tra loro. Se così fosse, gli effetti posti dalla libertà, cioè le
azioni volontarie, non accadrebbero nella natura; viceversa, gli eventi
naturali non potrebbero provocare alcuna reazione da parte della li
bertà. E pertanto, l’uomo sarebbe un essere schizofrenico, con un
aspetto morale e uno conoscitivo che si ignorano del tutto. Kant, al
contrario, è convinto che l’uomo è uno, ed è allo stesso tempo immer
so nella natura e dotato di libertà36. Il punto è un altro. L’intento del
filosofo è affermare che all’intelletto non spetta minimamente determi
37 Con la sua fede moral-razionale Kant si oppone sia alla fede speculativo-dog-
matica, che pretende di trascendere i limiti dell’esperienza, sia alla concezione irraziona
listica della fede, in quegli anni avanzata da F.H. JACOBI; cf. FÒRSTER, Die Vorreden, cit.,
52-53; KUEHN, Kant, cit., 305-311 (trad. it., cit., 448-456).
Critica e sistema in Kant 299
38 Di tutto ciò Kant tratta nella seconda Critica, e particolarmente nella Dia
lettica della ragion pura pratica, in diretta simmetria con la Dialettica trascendentale
della prima Critica. La piena realizzazione di sé è identificata da Kant nel «sommo be
ne», vedi la sez. II del Canone della ragion pura (A 804/B 832 ss) e il cap. II della Dia
lettica della ragion pura pratica (AA V: 110 ss), cf. F.C. BEISER, Moral faith and thè hi-
ghest good, in GUYER, (ed.), The Cambridge Companion to Kant and Modem Philo
sophy, cit., 588-629.
39 Nel 1784, in risposta alla domanda Cos’è l’illuminismo, Kant aveva risposto:
« l’uscita dell’uojno dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è
l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se
stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d ’intelligenza, ma
dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere
guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligen
za!» (I. K a n t, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, in Id., Scritti politici e di
filosofia della storia e del diritto, a cura di G. SOLARI - N. B obbio - L. FlRPO - V.
M ath ieu , Utet, Torino 19652, 141 [AA V ili: 35]).
300 Sistemi filosofici moderni
41 Non è un caso che nella seconda edizione della Critica della ragion pura, Kant
abbia aggiunto all’inizio dell’opera un motto (B ii), che è tratto dalla chiusa della Prefa
zione alla Instaurano magna di Francis Bacon, ove l’opera di ricostruzione, intesa dall’u
no e dall’altro, non deve essere compresa come qualcosa che sopravanza le capacità
umane, bensì le riconduce nel loro legittimo alveo.
42 Questo capitolo già presente in A, rimarrà pressoché immutato in B.
302 Sistemi filosofici moderm
anzitutto apprendiamo che per architettonica egli intende «l’arte dei si
stemi» (A 832/B 860), e che per sistema intende: «l’unità di molteplici
conoscenze sotto un’idea». Ebbene, secondo Kant, tale idea è «il con
cetto razionale della forma di un tutto, in quanto mediante tale con
cetto viene determinata a priori l’estensione del molteplice, come pure
la collocazione delle parti tra loro», perciò il concetto della forma co
stituisce anche il fine del tutto, ovverosia ciò a cui le diverse parti sono
ordinate. Come egli stesso immediatamente precisa, aggiungendo tra
parentesi alcuni termini latini di matrice biologistica:
L’intero è quindi articolato (articulatio) e non ammucchiato (coacervatici)'.
esso può certo crescere internamente (per intus susceptionem), ma non esterna
mente (per appositionem), come accade in un corpo animale, la cui crescita non
aggiunge alcun membro, bensì, senz’alcun mutamento delle proporzioni, rende
ogni membro più forte e più capace in vista dei propri fini (A 833/B 861 )43.
43 Più sotto Kant scrive che l’idea che sta alla base del concetto del tutto «si tro
va nella ragione come un germe (Keirn), nel quale stanno nascoste - ancora allo stato
embrionale e appena riconoscibili ad una osservazione microscopica - tutte le parti» (A
834/B 862); su questa concezione organicistica dell’idea di sistema nellArch{tettonica in
siste O. H ò FFE, Architektonik und Geschichte der reinen Vernunft, in MOHR-WlLLA-
SCHEK (edd.), Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft, cit., 615-636.
44 R.-P. Horstmann sottolinea come l’idea kantiana di sistema sia di per sé pro
blematica: «[Kant] approves of thè representation of rational unity as a rule only in thè
status of a regulative idea (cf. A671/B699), which is indeed indispensable for hypotheti-
cal use through reason, but which may not be misinterpreted as a constitutive principle
of reason: “Systematic unity (as mere idea)” - rational unity, therefore - is “only a pro-
jected unity, which one must regard not as given in itself, but only as a problem” (cf.
A647/B675)» (The unity of reason and thè diversity of life. The idea of a system in Kant
Critica e sistema in Kant 303
Bibliografia
Opere principali di Kant
1770 De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, Kanter, Kònig-
sberg.
1781 Kritik der reinen Vernunft, Hartknoch, Riga.
1783 Prolegomena zu einer jeden kunftigen Metaphysik, die als Wissenschaft
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1793 Die Religion innerhalb der Grenzen der blofien Vernunft, Nicolovius,
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1795 Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf Nicolovius, Kònig
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1797 Die Metaphysik der Sitten. I. Metaphysische Anfangsgrunde der Recht-
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Editio princeps
1900- Kants gesammelte Schriften, hrsg. von der Kòniglich PreuEischen,
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Introduzioni studi e commenti alla Critica della ragion pura
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306 Sistemi filosofici moderni
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Ponti bibliografiche
1969- Kant-Bibliographie, in «Kant Studien» [bollettino annuale nel quarto fa
scicolo, pre-consultabile on-line: www.kant.uni-mainz.de].
CONCLUSIONE
Introduzione
Sigle
Capitolo Primo
LE MEDITAZIONI DI DESCARTES
1. Liberare la mente
Obiezioni e risposte
2. Io sono
Obiezioni e risposte
3. Dio esiste
Obiezioni e risposte
4. Cosa devo evitare e cosa devo fare per raggiungere la
Obiezioni e risposte
5. Tutto ciò che è vero è qualcosa
Obiezioni e risposte
6. Immagino, sento, soffro
Obiezioni e risposte
Bibliografia
Capitolo Secondo
L’ETICA DI SPINOZA
1. Nozioni prime
2. Dio
3. La mente umana
4. Gli affetti o moti dell’animo
5. Schiavitù e libertà
6. L’eternità della mente
Bibliografia
Capitolo Terzo
IL SAGGIO DI LOCKE
1. Tabula rasa
2. Idee
320 Sistemi filosofici moderni
Conclusione 307