Sei sulla pagina 1di 13

RIASSUNTO SAGGIO PANOFSKY

Iconografia e Iconologia. Introduzione alla storia dell’arte del Rinascimento, 1962

L’iconologia è quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto o significato delle opere
d’arte contrapposto a quelli che sono i loro valori formali. L’autore parte con un esempio dicendo
che per strada un suo conoscente si toglie il cappello per salutarlo. Il significato di questo atto è di
natura elementare e comprensibile, si chiama significato fattuale, viene percepito con la semplice
operazione di identificare certe forme visibili con certi oggetti dell’esperienza pratica. Quando il
conoscente si toglie il cappello l’autore è in grado di distinguere se una persona è di buon umore o
meno e questo è il significato espressivo, che differisce da quello fattuale in quanto viene appreso
non per identificazione ma per empatia. La constatazione che l’atto di togliersi il cappello è un
saluto appartiene a un campo dell’interpretazione. Era una forma di saluto particolare nel mondo
occidentale. Il conoscente non penserebbe a salutare l’autore se non conoscesse il significato
dell’atto. Ma per quanto riguarda le connotazioni espressive che accompagnano il suo gesto egli
può essere o non essere consapevole di esse. Perciò quando interpreto il suo atto riconosco in esso
un significato che può essere secondario o convenzionale e differisce da quello primario o naturale.
Il significato può essere chiamato significato intrinseco o contenuto, ed è un significato essenziale,
mentre gli altri due generi di significati sono fenomenici. Questo significato intrinseco è al di sopra
della sfera della volizione nella stessa misura in cui il significato espressivo è al di sotto di questa
sfera. Trasferendo i risultati di questa analisi della vita quotidiana a un’opera d’arte possiamo
distinguere:
1. Soggetto primario o naturale, che può essere diviso in soggetto fattuale o soggetto
espressivo. Lo si apprende identificando pure forme cioè, configurazioni di linee e colori,
blocchi di bronzo, identificando le loro mutue relazioni come eventi, infine cogliendo certe
qualità espressive come il carattere doloroso di una posa o di un gesto
2. Soggetto secondario o convenzionale. Lo si apprende riconoscendo che una figura virile con
un coltello rappresenta San Bartolomeo, che una figura femminile con una pesca in mano è
una personificazione della Verità. I motivi riconosciuti per questa via possono essere
chiamati immagini e le combinazioni di immagini sono ciò che gli antichi teorici dell’arte
chiamavano invenzioni. L’identificazione di tali immagini, storie e allegorie, è competenza
della disciplina che comunemente viene indicata col nome di iconografia. Una corretta
analisi iconografica presuppone una corretta identificazione dei motivi
3. Significato intrinseco o contenuto. Lo si apprende individuando quei principi di fondo che
rivelano l’atteggiamento fondamentale: di una nazione, un periodo, una classe, concezione
religiosa. Nei secoli XIV e XV il tipo tradizionale della Natività con la Vergine sdraiata su
un letto o un giaciglio fu sostituito da una nuova raffigurazione, la Vergine inginocchiata in
adorazione al Bambino. Questo mutamento significa all’ingrosso la sostituzione di uno
schema triangolare o rettangolare; dal punto di vista iconografico, significa l’introduzione di
un nuovo tema che letterariamente troverà la sua formulazione in autori come lo pseudo –
Bonaventura e santa Brigida.
Considerando le pure forme, i motivi, le immagini, le storie e le allegorie come manifestazioni di
principi di fondo, noi veniamo a dare a tutti questi elementi il significato di quelli che Ernest
Cassirer ha chiamato ‘valori simbolici’. Se interpretiamo l’opera di da Vinci come un gruppo di 13
persone attorno a una tavola e che questo gruppo rappresenta l’ultima cena, noi consideriamo
l’opera d’arte in quanto tale e ne interpretiamo gli aspetti compositivi e iconografici come sue
proprietà e qualificazioni. Ma se tentiamo di interpretare l’affresco come un documento della
personalità di Leonardo, allora consideriamo l’opera come un sintomo di qualcosa d’altro. La
scoperta e l’interpretazione di questi valori simbolici è l’oggetto di quella che possiamo chiamare
‘iconologia’, opposta a iconografia.
Il suffisso -grafia deriva dal greco graphein e sta a significare il modo di procedere descrittivo.
L’iconografia è una descrizione e classificazione delle immagini, essa è d’aiuto per fissare date,
stabilire provenienze, assicurare l’autenticità delle opere e fornisce la base per le interpretazioni
future. Prende in considerazione solo una parte di tutti gli elementi che costituiscono il contenuto
intrinseco di un’opera d’arte e devono essere resi espliciti se la percezione di questo contenuto deve
divenire articolata e comunicabile.
Il suffisso -logia, invece indica qualcosa di interpretativo. Io intendo l’iconologia come
un’iconografia che vuol essere anche interpretazione e in questo modo diviene parte integrante dello
studio dell’arte. L’iconologia è un metodo d’interpretazione che si fonda sulla sintesi più che
sull’analisi. È la condizione preliminare della loro corretta analisi iconografica, così la corretta
analisi delle immagini, storie e allegorie è la condizione preliminare per una corretta interpretazione
iconologica di esse.
A prescindere dal fatto che oggetti, avvenimenti ed espressioni raffiguranti in un’opera d’arte
possono essere irriconoscibili per l’incompetenza o per un deliberato calcolo dell’artista, è
comunque impossibile, giungere a una corretta descrizione preiconografica, o identificazione del
contenuto primario, applicando la nostra esperienza pratica all’opera d’arte.
Una descrizione preiconografica della Visione dei Magi di Roger van der Weyden, dovrebbe evitare
termini come Magi, Bambino Gesù … dovrebbe parlare di un’apparizione di un bambino nel cielo.
Ma come capiamo che il bambino è un’apparizione? Dal fatto che è circondato da raggi d’oro non è
una prova sufficiente. Ma che è un’apparizione lo si deduce dal fatto che è sospeso in aria, è
rappresentato nello spazio senza alcun sostegno visibile. Tuttavia si possono citare numerosi esseri
umani, animali, oggetti inanimati che sono sospesi in aria senza appoggio, come Nell’Evangendario
di Ottone III alla Staatsbibliothek di Monaco, un’intera città rappresentata al centro di uno spazio
vuoto mentre le figure prendono parte all’azione appoggiando al suolo. In questo caso la mancanza
di sostegni non implica una negazione delle leggi di natura. Ma la città è proprio la città di Nain
dove avvenne la resurrezione del giovane. La forma semicircolare di quella che dovrebbe essere la
linea di base delle torri sta a dimostrare che la città poggiava su un terreno collinoso e che invece è
stata trasferita di peso in una rappresentazione nella quale lo spazio non è più concepito in termini
di realismo prospettico. L’analisi iconografica presuppone molto di più che la semplice familiarità
con gli oggetti e gli eventi che si acquista attraverso l’esperienza pratica: presuppone una familiarità
con temi specifici o concetti trasmessi dalle fonti letterarie ed acquisiti attraverso letture perfette e
attraverso la tradizione orale. È impossibile compiere una corretta analisi iconografica applicando le
nostre conoscenze letterarie ai motivi.
Un quadro del veneziano Francesco Maffei, raffigura una donna giovane e bella con una spada nella
mano sinistra e nella destra un bacile su cui posa la testa umana, è stato pubblicato come una
Salomè con la testa di san Giovanni Battista. La Bibbia dice che la testa di san Giovanni fu recata a
Salomè su un bacile. Ma la Bibbia ci parla anche di un’altra donna coinvolta nella decapitazione di
un uomo, Giuditta. La spada nel quadro di Maffei sarebbe appropriata in quanto Giuditta decapitò
lei stessa Oloferne, ma il bacile non si accorderebbe con il tema di Giuditta in quanto nel testo si
dice che la testa di Oloferne fu messa in un sacco. Abbiamo quindi due fonti letterarie che possono
essere riferite al nostro quadro con eguale diritto e eguale incoerenza. Nel casi in questione
dobbiamo chiederci se si abbiano rappresentazioni di Giuditta sicure nelle quali si veda anche un
bacile non giustificato oppure rappresentazioni di Salomè con una spada non giustificata. In
Germania e Italia del Nord abbiamo diversi quadri del 500 raffiguranti Giuditta con un bacile, ma
non ne esistevano di Salomè con spada. Quindi possiamo concludere che il quadro di Maffei
rappresenta Giuditta e non Salomè. Dobbiamo chiederci perché agli artisti si sono sentiti autorizzati
a trasferire il motivo del bacile da Salomè a Giuditta e non invece quello della spada da Giuditta a
Salomè. Una è che la spada era attributo stabile e onorifico di Giuditta, di certe virtù come Giustizia
e Fortezza. L’altra è che nel corso del XIV e XV secolo il bacile con la testa del Battista era
immagine devozionale a se stante, molto popolare nei paesi settentrionali e nell’Italia del Nord.
L’interpretazione iconologica infine richiede qualcosa di più della familiarità con temi e concetti
specifici quali sono trasmessi dalle fonti letterarie. Quanto più soggettiva e irrazionale è questa
fonte d’interpretazione tanto più necessario sarà l’intervento di quei correttivi e di quei controlli che
si sono rivelati indispensabili quando si trattava semplicemente dell’analisi iconografica e della
descrizione preiconografica. Se la nostra esperienza pratica e la nostra conoscenza delle fonti
letterarie possono fuorviarci, tanto più sarà pericoloso fidarsi della pura intuizione. Pertanto gli
oggetti e i fatti sono espressi in forme diverse e la nostra conoscenza delle fonti letterarie deve
essere corretta da uno studio del modo in cui, mutuando le condizioni storiche, allo stesso modo la
nostra intuizione sintetica deve essere corretta da uno studio del modo in cui muta anche la maniera
in cui le tendenze generali ed essenziali dello spirito umano sono espresse attraverso temi e concetti
specifici. Questo non è altro che ‘simboli’, nel significato di Ernst Cassirer. Lo storico d’arte deve
definire quel che egli crede essere il significato intrinseco dell’opera cui dedica la sua attenzione.
Dobbiamo distinguere tre gradi di soggetto o significato, dei quali il primo è confuso con la forma,
il secondo è il campo specifico dell’iconografia contrapposta all’iconologia. Ad ognuno di questi
gradi le nostre identificazioni e interpretazioni dipenderanno dallo nostra soggettività e proprio per
questo dovranno essere integrate e corrette da uno studio dei processi storici il cui insieme può
essere chiamato tradizione.
Gli antichi storici dell’arte come Alberti, Ghiberti e Vasari pensavano che l’arte classica fosse
morta all’inizio dell’era cristiana e che non fosse rinata finché non servì da fondamento allo stile
rinascimentale. Le cause di questa fine erano da vedere nelle invasioni dei barbari e nelle ostilità dei
primi sacerdoti cristiani. Quegli antichi scrittori avevano ragione e torto. Avevano torto perché non
c’era stata una rottura completa nel Medioevo, ma allo stesso modo avevano ragione per il fatto che
il generale atteggiamento verso l’antichità era radicalmente mutato nel Rinascimento.
È significativo il fatto che non si usassero motivi classici per la rappresentazione di temi classici e il
contrario. Sulla facciata di San Marco a Venezia si possono vedere due grandi rilievi di eguale
formato, uno opera romana del secolo III d.C, l’altro eseguito a Venezia mille anni dopo. Mentre il
rilievo romano rappresenta Ercole che reca il cinghiale Erimanto a re Euristeo, il maestro medievale
sostituendo un panneggio svolazzante alla pelle di leone e mettendo un dragone al posto del re
impaurito, ha trasformato la scena mitologica in una allegoria della Redenzione. Si trovano molti
casi analoghi.
L’Adorazione dei Magi di Nicola Pisano raffigura la Vergine e il Bambino, l’opera mostra
l’influenza del sarcofago di Fedra ancora conservato nel Camposanto di Pisa. Ancora più frequenti
sono gli esempi di una continua e tradizionale sopravvivenza di motivi classici, alcuni dei quali
furono impiegati per raffigurazioni cristiane diverse tra loro. È il caso della figura di Orfeo che
servì a rappresentare David, oppure Ercole che trae Cerbero dall’Ade che fu utilizzato per
rappresentare Cristo che trae Adamo dal Limbo. Gli artisti che usavano elementi di un Ercole per
un’immagine di Cristo o quelli di un Atlante per le immagini degli Evangelisti agivano sotto
l’impressione di modelli figurativi che avevano sotto gli occhi.
La filosofia greca aveva cominciato a interpretare gli dei e semidei pagani come semplici
personificazioni o di forze naturali o di qualità morali. Nell’ultimo secolo dell’impero romano
queste tendenze si erano rafforzate. I Padri della Chiesa cercavano di provare che gli dei pagani
erano semplici illusioni o demoni maligni, ma le persone colte ricorsero a poemi didattici, romanzi,
trattati mitologici, commentari fioriti intorno a poeti classici … Di particolare importanza sono le
Nuptiae Mercurii et Philologiae di Marziano Capella, le Mitologiae di Fulgenzio. Nel Medioevo
questi scritti furono utilizzati, l’informazione mitografica sopravvisse e fu accessibile ai poeti e agli
artisti del Medioevo. Lo furono nelle enciclopedie, il cui sviluppo cominciò con scrittori dei primi
secoli del Medioevo come Beda e Isidoro di Siviglia, Rabano Mauro, Vincenzo di Beauvais. In
secondo luogo furono accessibili commentari medievali come le Nuptiae di Capella. In terzo luogo
le Mytographi I e II si fondano su Fulgenzio e Servio, ma l’opera più importante è Mythographus
III attribuita a Alexander Neckham. Il testo fu utilizzato da Petrarca per descrivere le figure degli
dei pagani nella sua Africa. Nel tempo intercorso tra le Mythographus III e il Petrarca un passo
importate era stato compiuto nella via della moralizzazione delle divinità classiche. Le figure
mitologiche antiche furono riferite in modo preciso alla fede cristiana. Una svolta originale si ebbe
col Boccaccio nell’opera Genealogia Deorum, in cui egli cercò di risalire alle fonti antiche
autentiche collazionandole con molta cura. Il suo trattato segna l’inizio di un atteggiamento critico o
scientifico verso l’antichità classica. Fino alle Genealogia Deorum il centro della mitografia
medievale sono l’Irlanda, la Francia del Nord e l’Inghilterra.
Gli artisti cercarono di tradurre in immagini quei testi proto umanistici, non poterono rappresentarli
se non in un modo diverso dalle tradizioni classiche. Una miniatura del 1100 circa, che raffigura le
divinità classiche secondo le descrizioni del Commento a Marziano Capella di Remigio. Si vede
Apollo raffigurato su un rustico carro che regge con una mano una specie di mazzo di fiori formato
dai busti delle tre Grazie. Saturno è raffigurato come una statua di portale romanico che come il
padre delle divinità olimpie, e lo sparviero di Giove appare munito d’uno grossa aureola come
l’aquila di san Giovanni Evangelista. Immagini classiche compiano nelle illustrazioni a testi che
erano stati illustrati già nella tarda antichità. È il caso delle commedie di Terenzio, dei tempi
incorporati nel De Universo di Rabano Mauro, della Psichomachia di Fulgenzio, in cui immagini
mitologiche appaiono sia fra le costellazioni sia a simbolizzare i pianeti. In questi casi è possibile
constatare che le immagini classiche sono copiate fedelmente. In illustrazioni delle IX secolo a un
testo di astronomia figure mitologiche come Boote, Persio, Ercole o Mercurio sono rese in modo
perfettamente classico come avviene anche per le divinità pagane nell’enciclopedia di Rabano
Mauro. Le quali figure non sono derivate da semplici descrizioni letterari ma si legano a prototipi
classici. Tuttavia qualche secolo più tardi queste immagini autentiche erano cadute in oblio ed erano
state sostituite da altre che nessun moderno riconoscerebbe come divinità classiche. Venere è
raffigurata come una elegante giovane dama che suona il liuto o odora una rosa, Giove come un
giudice con i guanti in mano, Mercurio come un vecchio dotto o come vescovo. Tutto questo
dimostra che la separazioni tra temi classici e motivi classici non si verificò solo per la mancanza di
tradizione figurale ma addirittura a vergogna di essa. Nei casi in cui un immagine classica, cioè
fusione di tema classico e motivo classico, era stata copiata nell’epoca Carolingia, questa immagine
fu abbandonata quando la civiltà medievale raggiunse la sua maturità. Fu un privilegio del
Rinascimento di reintegrare temi classici con motivi classici. In molti il mondo classico aveva un
carattere remoto per altri era la fonte prima di un sapere altamente apprezzato e di istituzioni rese
venerabili dal tempo. Una volta che il Medioevo ebbe realizzato una sua civiltà e trovati i suoi
modo di espressione artistica, fu impossibile apprezzare o comprendere ogni fenomeno che non
avesse un denominatore comune con i fenomeni del mondo contemporanei. La persona colta del
pieno Medioevo poteva apprezzare una bella figura classica se essa era presentata come Vergine di
Maria. Mentre il paganesimo greco considerava l’uomo come una integrale unità di corpo e di
anima al contrario la concezione ebreo-cristiana dell’uomo si fondava sull’idea della zolla di terra
unita a forza con un anima immortale. Per questo punto di vista le formule artistiche dell’arte greca
e romana avevano espresso l’organica bellezza e le passioni animali solo se investite da un
significato più che organico e più che naturale. Nelle scene profane queste formule dovevano essere
sostituite da altre.
In un una miniatura di Ovide Moralisè del 300, il Ratto di Europa ha per attori figure che
esprimono l’agitazione appassionata. Europa, vestita in modo tardo medievale, siede si un piccolo
toro come una signora che fa un cavalcata mattutina. Le compagne sulla riva si suppone che siano
costernate e che gridino. Un disegno di Durer accentua la vitalità passionale che mancava nella
rappresentazione medievale, l’opera è copiata da un prototipo italiano. La fonte dell’autore non
sono i versi di Ovidio ma due ottave di Angelo Poliziano. La posizione di Europa, i capelli sciolti,
le vesti respinte dal vento rivelano il corpo armonioso. Questo confronto prova che la reintegrazione
dei temi classici con i motivi classici non è un solo un avvenimento umanistico ma anche umano,
elemento definito ‘la scoperta sia del mondo che dell’uomo’ dichiara da Burckhardt e Michelet. È
evidente che questa reintegrazione non poteva essere un semplice ritorno al passato classico.
L’epoca intercorsa aveva cambiato lo spirito degli uomini, i quali non potevano ridiventare pagani,
aveva cambiato i loro gusti e le loro tendenze creative; per cui la loro arte non poteva essere una
semplice ripresa dell’arte greco e romana. Essi dovevano cercare una nuova forma di espressione
stilisticamente e iconograficamente da quella classica.
RIASSUNTO SAGGIO ERNST H. GOMBRICH,
Aspirazioni e limiti dell’iconologia, in Immagini simboliche, 1972
Introduzione
Al centro di Piccadilly Circus, sorge la statua di Eros. La statua fu messa a riparo per lo scoppio
della prima guerra mondiale, i festeggiamenti popolari furono nel 1947 e rivelarono il significato
che aveva assunto questo simbolo per i londinesi. La fontana fu eretta tra 1886 e 1893 come
monumento al settimo conte di Shaftesbury, la cui azione di coraggioso pioniere nel campo della
legislazione l’aveva reso un esempio per il suo ordine, una benedizione per questa gente. Si dice che
la fontana di Alfred Gilbert è simbolica e illustra la Carità cristiana. Secondo le parole dello stesso
autore egli ha voluto simboleggiare l’attività di Shaftesbury “L’Amore bendato che lancia
indiscriminatamente i suoi dardi di gentilezza, sempre con la rapida leggerezza che all’uccello
assicurano le sue ali, ma sempre volando oltre senza curarsi dei pericoli e dei rischi”. Otto anni
dopo, un’altra dichiarazione dell’artista ce lo mostra un po’ più vicino a quella che è
l’interpretazione popolare della figura “Il conte aveva molto a cuore l’elevazione delle masse e so
che egli si preoccupava molto della popolazione femminile e della sua occupazione. Ho concepito
la fontana in modo che una qualche imitazione della festosità di fuori potesse trovare posto nella
triste Londra”. Una voce insistente aveva attribuito all’artista l’intenzione di alludere al nome di
Shaftesbury mostrando l’arciere con l’arco puntato in basso come se la freccia si fosse confitta nel
terreno (infatti Shaft significa freccia e to bury significa seppellire). Un testimone oculare dice di
aver ascoltato nel 1947 queste parole dall’autore, ma lo stesso Gibert nel 1903 annoverava ‘questo
sciocco gioco di parole’.
Quanti e quali erano i significati che Gilbert aveva avuto in mente? Si era fatto la sua notorietà
come scultore di temi mitologici, come Icaro. Ma quali che siano state le ragioni che hanno spinto
Gilbert a scegliere il suo tema? Un fatto è che egli doveva pur convincere il Comitato adattando i
suoi desideri a una data commissione e a una data situazione, a questo punto potremmo discutere se
sia stato il Comitato o l’artista a preoccuparsi del vero significato della scultura. Significato è un
termine sfuggente, infatti l’iconologo può gettare uno sguardo inquieto sull’epigrafe di Gladstone,
non c’è dubbio su quello che significa: Shaftesbury era stato un esempio per il suo ordine. Le
immagini sembrano occupare una curiosa posizione a mezzo tra le affermazioni verbali e gli oggetti
di natura, ai quali solo noi possiamo attribuire un significato. Quando fu scoperta la statua uno degli
oratori la definì come un monumento apprezzabile conveniente alla figura del lord in quanto
fornisce acqua ai ricchi e ai poveri.
Eros viene utilizzato come simbolo della Carità, non appena ci poniamo delle domande l’apparente
banalità del significato scompare. I mostri decorativi che corrono intorno alla base certamente
vogliono rappresentare creature marine. L’artista è legato a quello che nell’opera Arte e illusione
Gombrich chiama ‘parte dell’osservatore’. È proprio della rappresentazione che l’interpretazione
non possa mai essere portata oltre un certo livello di genericità. È chiaro che ci sono alcuni aspetti
della figura che mirano a facilitarne l’identificazione: il giovane alato rappresentato come arciere
richiama la figura di Cupido. Non è possibile da una sola opera d’arte ricostruire il testo che essa
può illustrare. Eros significava una cosa per i guadenti londinesi e un’altra per il Comitato della
celebrazione. Il gioco di parole tra shafts e to bury non è un mero caso.
Nel saggio Validity in Interpretation di D. E. Hirsch si cerca di riaffermare e giustificare la vecchia
opinione di buon senso, secondo cui un’opera significa ciò che l’autore ha voluto che essa
significasse, e che è questa interpretazione che l’interprete deve cercare di chiarire meglio che può.
Hirsch introduce quindi due termini che possono servire all’interprete: quello di significazione e
quello di implicazione. La significazione della figura di Eros è cambiata fino a essere del tutto
irriconoscibile. Hirsch respinge l’idea che un’opera significhi semplicemente ciò che significa per
noi. Il problema delle implicazioni rimane comunque aperto. Gladstone voleva esaltare la figura di
lord come una persona che i suoi colleghi Pari potevano e dovevano emulare. Hirsch giunge a
conclusione che il significato intenzionale di un’opera può essere definito solo quando si sia
stabilito in quale categoria o genere letterario si voleva che l’opera in questione rientrasse. Se non
cerchiamo di accertare se una certa opera letteraria voleva essere una tragedia seria o invece una
parodia, la nostra interpretazione corre effettivamente il rischio di risultare del tutto errata. Hirsch
dimostra in modo convincente quanto sia difficile per l’interprete ritornare sui suoi passi una volta
presa una falsa direzione. Una volta accertato che Eros rientra nella tradizione delle fontane
celebrative, non corriamo pericoli di sbagliare. Se invece partiamo dal presupposto che si tratti di
un’insegna pubblicitaria per il quartiere dei teatri, allora non ci sarà mai possibile trovare la strada
che ci porti a quello che era il significato voluto.
Iconografia e iconologia.
I principi metodologici affermati dallo Hirsch vale per l’arte rinascimentale anche più che non per
quella dell’Ottocento. L’autore ci pone l’esempio di uno studioso che interpretò una Santa Caterina
con la ruota come immagine della Fortuna. La santa appariva sull’anta di un polittico raffigurante
l’Epifania, fu per questo che fantasticò sul ruolo del Fato nella vicenda della Redenzione: una
connessione di concetti che avrebbe portato facilmente a postulare una setta eterodossa se non fosse
stato avvertito del suo errore iniziale. L’identificazione dei testi illustrati in un quadro religioso o
profano è considerata correntemente parte dell’iconografia. Se una complessa illustrazione regge
perfettamente il confronto con un testo che ne spiega i tratti essenziali, si può dire che l’iconologo
ha toccato il segno. Se si ha una intera serie di illustrazioni che coincidono con un’analoga serie di
un testo, allora la possibilità che la coincidenza sia fortuita è quanto mai improbabile.
Noi intendiamo iconologia, dopo Panofsky come ricostruzione di un programma più che la sua
identificazione di un particolare testo. L’interpretazione diventa ricostruzione di una prova perduta.
Questa prova dovrebbe aiutare l’iconologo a identificare la storia che può essere stata illustrata
nell’opera. Egli infatti deve arrivare al significato di quella storia in quel particolare contesto.
La teoria del decorum
Fortunatamente gli autori del Rinascimento non hanno mancato di esprimere loro opinioni sui
principi secondo i quali questi soggetti dovevano essere impiegati in determinati contesti.
Ovviamente essi si basavano su quella preoccupazione che ha dominato tutta la tradizione classica,
la nozione del decorum. Significava ciò che conviene.
Il Lomazzo nel libro VI del suo Trattato ci fornisce un elenco di suggerimenti per diversi tipi di
luoghi, iniziando da luoghi come i cimiteri, dove sono ricordati alcuni fatti della Bibbia, la Morte
della Vergine, la Morte di Lazzaro, la deposizione della croce. Invece per le sale del consiglio
raccomanda soggetti come Cicerone che parla contro Catilina in Senato, il Consesso dei Greci
prima di partire per Troia, i conflitti di condottieri e sapienti come Licurgo, Platone e Demostene.
Segue un elenco anche più lungo di soggetti biblici e antichi per gli edifici di corte, mentre le
fontane e i giardini richiedono le favole degli amori e delle varie trasformazioni delle Dee e delle
ninfe.
La fontana d’Orione del Montorsoli a Messina è uno dei tanti esempi in cui è possibile cogliere
chiaramente questo principio in atto, con i suoi decorativi in marco, si vedono venti episodi
mitologici in cui entra l’acqua, Europa che attraversa il mare, Icaro che precipita nell’Oceano,
divinità fluviali e mostri marini che completano la decorazione seguendo le norme del decorum.
L’episodio di Icaro non ha un unico significato, ma tutta una serie di significati. Lomazzo utilizzava
questo tema per il fatto che è legato all’acqua, invece l’umanista che ha suggerito il programma
della decorazione del Palazzo Pubblico di Amsterdam lo ha scelto per il Tribunale dei fallimenti
come monito contro le ambizioni eccessive.
Il camino di Benedetto da Rovezzano ci fornisce l’esempio di una interazione anche più ricca:
chiaramente per un camino era de rigueur qualcosa in cui entrasse il fuoco, e il soggetto più
tradizionale in questo senso era l’officina di Vulcano. Invece qui abbiamo la storia di Creso e Ciro
con la pira, e la storia di Solone che ammonisce di non dimenticarsi della fine, che rappresenta la
specificazione non meno importante per una storia con un insegnamento morale.
I programmi che Annibale Caro apprestò per le decorazioni di Taddeo Zuccari al Palazzo di
Caprarola sono significativi. La camera da letto con figure mitologiche connesse con la notte e il
sonno si può trovare nella vita di Taddeo del Vasari. L’altro per lo studio del principe merita
attenzione forse anche maggiore da parte dell’iconologo. I loro scritti tendono a mettere a dura
prova la pazienza del lettore moderno. Caro prosegue proponendo la principale figura della
solitudine che è quella della nostra religione, ci sarà al centro Cristo e poi San Paolo, San Giovanni
Battista, San Gerolamo e altri santi. Fra i pagani che si ritirano in solitudine suggerisce alcuni dei
platonici che si cavarono gli occhi perché la vista non li distraesse dalla filosofia. Nei dieci riquadri
Caro propone delle figure sdraiate di filosofi e santi, ognuno con una scritta appropriata, mentre nei
sette per ritto porrebbe figure realmente vissute che si sono ritirate in solitudine. Negli altri sei
riquadri abbiamo un serpente, un passero solitario, una civetta, un eritarco, un pellicano e una lepre.
Ma senza l’aiuto di questo testo saremmo stati in grado di scoprire il significato dei dipinti e
avremmo ricostruito il programma delle immagini? Se la risposta è negativa, risulta chiederci
perché questo non è stato possibile. Potremmo ancora restare perplessi di fronte al significato da
attribuire ai singoli simboli se non ci fosse rimasto ad illuminarci il testo del Caro.
La non infallibilità del dizionario
Bisogna cercare le giuste parole per tradurre, così noi dobbiamo trovare la giusta interpretazione
delle immagini. Gladstone definendo Shaftesbury dice che è un esempio per il suo ordine, ma
ordine assume questo preciso significato solo dal contesto in cui si trova. Se isoliamo il termine
potrebbe intendere comando, disposizione regolare o decorazione al merito. Ciò che dallo studio
delle immagini in contesti noti si può dedurre è solo che questa molteplicità di significati è ancora
più rilevante per lo studio dei simboli di quanto non lo sia per il linguaggio quotidiano. La
documentazione che essi forniscono nel testo e nelle note tende a contestare il significato che un
determinato simbolo può avere. Esistono molti testi medievali che sono dedicati all’interpretazione
dei simboli e sono talvolta citati come veri dizionari. Possiamo citare l’Iconologia di Cesare Ripa il
quale elenca personificazioni di concetti in ordine alfabetico e indica in che modo siano
contrassegnati da attributi simbolici. Si da il caso che tra i simboli da lui illustrati figuri anche
quello della solitudine e che la sua descrizione appaia come un compendio della caratterizzazione
tanto più ampia del Caro. Ma se ogni lepre o ogni passero che troviamo in un dipinto rinascimentale
dobbiamo interpretarlo come simbolo della similitudine allora ci sbagliamo di grosso. Il Ripa
afferma che i simboli che usa come attributi sono metafore illustrate. La lepre e il passero possono
essere utilizzate per i riferimenti alla solitudine che certo presentano, però è indubbio che hanno
anche altre caratteristiche, e la lepre può essere associata alla concordia.
Filosofie del simbolismo
Il simbolo è visto come il linguaggio misterioso del divino. In un passo di San Tommaso si legge
“Ogni verità può manifestarsi in due modi: mediante le cose e mediante le parole. Le parole
significano le cose e ogni cosa può significarne un’altra. È per questo che la Scrittura contiene una
duplice verità che risiede una nelle parole, cioè il senso letterale. L’altra nel modo in cui le cose
divengono figure di altre cose e in questo consiste il senso spirituale”. San Tommaso ci mette in
guardi dal prendere questa tecnica come un metodo per tradurre segni non ambigui in termini
discorsivi. Non esiste un vocabolario, che faccia testo, dei significati delle cose in quanto distinte
dalle parole e un vocabolario del genere non può esistere.
Livelli di significato?
I recenti studi iconologici hanno prestato attenzione alle potenzialità simboliche delle cose
rappresentate nei dipinti religiosi, soprattutto quelli tardo Medievali. Panofsky ha insistito
sull’importanza di quello che egli chiama il simbolismo celato. Cose rappresentate in certi dipinti
religiosi assecondano o rendono più complesse il significato. La luce che scende attraverso la
finestra della chiesa dell’Annunciazione Friedsam di Van Eyck , è una metafora dell’Immacolata
Concezione, e i due stili dell’edificio stanno a simboleggiare il Vecchio e Nuovo Testamento. È
indubbio che i quadri religiosi contengono in se cose con valore di simboli.
Non è un caso che Botticelli ha rappresentato il Bambino in atto di benedire le spighe e i grappoli,
simbolo di Eucarestia e che gli alberi sul fondo della Madonna di Berlino siano stati intesi come
simboli ripresi dalla Scrittura ‘un cedro sul Libano e come un cipresso sulle montagne’. La
possibilità di rendere significanti le cose non andò perduta nemmeno in Leonardo il quale
rappresentò il Gesù Bambino in atto di giocare con un arcolaio che richiama la forma della croce.
Questo simbolismo può funzionare solo a rincalzo di quello che abbiamo proposto di chiamare il
significato dominante, cioè il significato che ci si proponeva di esprimere nel quadro. Se il quadro
non rappresentasse l’Annunciazione, le finestre non sarebbero un significato di per se, e se le spighe
non fossero oggetto di benedizione non si trasformerebbero in simbolo di Eucarestia.
Leonardo dipinge Sant’Anna, vediamo la madonna che prende il bambino che sta giocando con
l’agnellino che significa la Passione. Sant’Anna levandosi da sedere vuole ritirare la figlia dall’atto,
in quanto Sant’Anna rappresenta la Chiesa che non vorrebbe fosse impedita la Passione.
Interpretare le azioni reciproche delle figure in termini del dramma della Redenzione ancora a
venire, non rappresenta l’introduzione di un diverso livello di significato. Il gruppo tradizionale non
era mai stato concepito come un rappresentazione realistica. Non si pensava affatto che qualcuno
credesse che la Vergine si fosse mai seduta in grembo a sua madre col Bambino tra le braccia. Il
Bambino è l’attributo simbolico della Vergine e la Vergine è l’attributo di sant’Anna. Il suo
simbolismo non è celato anzi palese, ma l’identificazione di Sant’Anna con la Chiesa introduce un
elemento estraneo. Ma l’interpretazione di Pietro da Novellara differisce da quella di Girolamo
Casio in cui si dice che Sant’Anna avesse doti profetiche o interpretasse i segni promonitori delle
cose all’istante. L’opera potrebbe essere visto come una duplice illustrazione di un’allegoria.
L’accostamento psicoanalitico.
Freud vide in quest’opera il ricordo della fanciullezza di Leonardo, figlio illegittimo, egli era stato
adottato dalla sua famiglia e così aveva avuto due madri, una delle quali può aver avuto ragione di
nascondere la sua amarezza dietro un sorriso forzato. Si può dimostrare che Freud era influenzato
dal romanzo di Merezkovskij. Ma dobbiamo dire che il dipinto vuole riferirsi a Sant’Anna e alla
Vergine. La psicanalisi ama parlare di iperdeterminazione e il concetto ha un suo valore in quanto
richiama le molte motivazioni di tutto ciò che diciamo, facciamo o sogniamo. Se le esperienze
d’infanzia dovessero essere veramente state per Leonardo causa determinante per fargli accettare la
commissione del quadro di Sant’Anna e la Vergine allo stesso modo dovremmo supporre
l’esistenza di altre spinte. Quel che importa è che le infinite cause che hanno portato all’opera non
devono essere confuse con il significato di essa. Hirsch afferma che il significato intenzionale non
fa parte della categoria psicologica.
La descrizione di Benvenuto Cellini alla sua Saliera può servirci a chiarire questo punto. Si tratta
dell’applicazione del decorum. Essendo destinata a contenere sale e pepe, prodotti del mare e della
terra, egli sceglie la figura di Nettuno e la personificazione della Terra. L’artista ha tutto il diritto di
arzigogolare a posteriori sulle sue idee e di razionalizzare ciò che egli ha fatto con spiegazioni del
genere. Ciò che qui interessa è il fatto che l’opera non ripugna a questa particolare proiezione di
significato. L’interpretazione non provoca contraddizioni ne stridori.
Codici e Allusioni
Vincenzo da San Gimignano realizzò un affresco su una facciata di palazzo su disegno di Raffaello
e che vi si vedevano i Ciclopi in atto di preparare il folgore di Giove e Vulcano intento ad
apprestare le frecce di Cupido. Queste immagini dovevano essere allusioni al nome del proprietario
della casa Battiferro. Il soggetto fu scelto come araldico (stemma nobiliare, titoli gentilizi).Vasari ci
descrive l’apparato progettato da Aristotile da Sangallo nel 1539 per le nozze del duca Cosimo dei
Medici e di Eleonora di Toledo. Le pitture che attingevano a un vasto repertorio storico, araldico e
simbolico, illustravano episodi della ascesa della famiglia Medici e della carriera dello stesso duce.
Ma tra la scena dell’elevazione di Cosimo al ducato e quella della presa di Montemurlo era
interpolato un episodio del libro XX delle Storie di Tito Livio, in cui si vedevano tra arroganti
ambasciatori venuti dalla Campania che erano cacciati dal Senato romani, allusione, secondo
Vasari, ai tre cardinali che pensavano di allontanare il duca Cosimo dal potere. Si tratta di una
lettura allegorica dell’episodio.
Un giorno negli anni della seconda guerra mondiale, uno scienziato in Inghilterra ricevette un
telegramma da parte di Niels Bohr in cui gli si chiedevano notizie di Maud. Bohr era stato uno dei
primi che parlò della fissione nucleare per costruire una super bomba, lo scienziato pensò che il
telegramma fosse in cifra. Bohr desiderava avere notizie del MAUD cioè del Military Application
of Uranium Disintegration. L’interpretazione fu ritenuta appropriata e la parola fu usata come cifra
per indicare il lavoro intorno alla bomba atomica. Però questa interpretazione era errata. Bohr
desiderava realmente avere notizie di una vecchia balia che abitava nell’Inghilterra meridionale che
si chiamava Maud. Si può sempre andare a supporre che Bohr volesse intendere sia la balia che la
bomba, ma non è facile confutare un’interpretazione del genere, per quanto riguarda l’iconologia,
dovrebbe essere esclusa a meno che non esiste un esempio documentato.
Ne Vasari ne alcun altro testo del 400-500 dicono che un quadro o una statua possa avere due
significati, il tratto ingegnoso sta nell’assegnare un significato a un’immagine che si potrebbe veder
funzionare in una luce inattesa.
I generi
Il giocare sull’ambiguità, il mostrare una pregnanza di significati aveva un posto nella cultura
rinascimentale. Il simbolo e la metafora sono cosa differente, come strutture e come fine, dall’opera
d’arte commissionata a un maestro. L’iconologo deve prestare attenzione alla tecnica dell’impresa e
alle sue applicazioni ma non deve tralasciare il libero gioco della forma e la grottesca. Le grottesche
sono figure che non hanno significato, prendono il nome dalla domus aurea di Roma. Le grottesche
si potevano dispiegare liberamente e agli artisti era consigliato di sbrigarsi e dar libero corso al loro
capriccio. L’aspetto enigmatico, i mostri e le contaminazioni delle grottesche, sono il prodotto di
un’immaginazione irresponsabile lasciata libera a se stessa. La grottesca diventerà un geroglifico
(secondo Pietro Vigorio) che richiede di essere decifrato. A differenza dei letterati seri i dilettanti si
limitavano a godersi il gioco di forme e l’incoerenza, di significati cui esse davano luogo. Giovanni
Rucellai ci ha lasciato dei cespugli tagliati ad arte, i quali furono osservati da tutti i forestieri.
Gombrich dice che l’interpretazione procede per gradi e il primo da cui tutto il resto dipende, è
decidere a quale genere si debba assegnare una data opera. La storia delle interpretazioni è lastricata
di fallimenti dovuti a un solo errore iniziale. Se si scambiano gli stemmi in filigrana dei libri del 500
per il codice di un setta segreta, l’interpretazione di tali stemmi potrà risultare, possibile o facile.
L’iconologia deve partire da uno studio delle istituzioni anziché da uno studio dei simboli.
Dobbiamo sempre chiedere all’iconologo se programmi come quelli che lui ha ricostruito possono
essere documentati attraverso fonti primarie o risultano solo dalle opere dei suoi colleghi iconologi.
Altrimenti si corre il rischio di costruire una forma mitica di simbolismo.
RIASSUNTO SAGGIO ROBERTO SALVINI
Iconologia e critica, 1987

Il saggio inizia con le parole di Salvino “Intendo per iconologia lo studio dei valori simbolici che
stanno a fondamento dell’aspetto iconografico di un’opera d’arte e che possono far luce si
atteggiamenti ideologici dell’artista. Intendo per critica l’arte di giudicare e distinguere,
quell’operazione che conduce lo studioso a dichiarare se il tale manufatto rientri o no nella
categoria delle opere d’arte, e come e perché vi appartenga. Appartengono alla critica lo studio delle
manifestazioni artistiche di un’epoca, del pensiero, della religione, di un determinato ambiente, o
l’indagine delle medesime quali esponenti culturali delle stratificazioni sociali di una comunità”.
Salvini affronta nel saggio il rapporto che c’è tra indagine e giudizio critico, cioè se l’iconologia
può servire alla critica. Panofsky vede l’opera d’arte in modo dualistico: ha valore estetico che si
esprime nello spettacolo della forma ma possiede anche un significato che va oltre i valori formali.
Egli intende per forma la forma astratta del Wolfflin mentre il contenuto non è per lui l’aspetto
interno della forma ma il tema dell’opera. Nel 1932 parlando della Giuditta del Maffei che venne
erroneamente interpretata come Salomè si osservò quanto essenziale fosse l’elemento iconografico
per la comprensione dei valori estetici. Perché chi concepisce un quadro come la rappresentazione
di una ragazza dedita ai piaceri dovrà giudicare anche esteticamente in modo molto diverso da
quello secondo cui giudicherà colui che vede nella ragazza un’eroina protetta da Dio con in mano la
testa di un sacrilegio. Questa osservazione scompare nel saggio del 1939. Panofsky giunge a
cogliere il senso essenziale dell’opera quando si riuscirà a rilevare la totalità dei momenti della sua
emanazione.
L’indagine iconologica viene abbandonata nel momento in cui si è raggiunta l’interpretazione del
contenuto simbolico o vi si accompagnano osservazioni sulla forma e sulla tecnica che non hanno
alcun rapporto con i risultati raggiunti dall’indagine sul contenuto. Tra le eccezioni troviamo un
saggio di Kronig sulla Resurrezione di Piero della Francesca, in questo saggio viene identificato il
messaggio della resurrezione affrescata a Sansepolcro nell’affermazione del carattere pasquale
dell’eucarestia. La forma del sarcofago che non ha il coperchio è un’allusione all’altare. Lo studioso
prende in esame la struttura compositiva del quadro. La severità della composizione, la sua
architettonica compattezza fanno si che l’elemento temporale appaia bloccato e proiettato
nell’eterno. Quindi non si narra solo una storia evangelica ma se ne estrae e se ne rende visibile il
vero significato. L’autore conclude che forma artistica e contenuto spirituale sono divenuti unità,
compenetrandosi ed esaltandosi a vicenda. L’analisi di Kronig ha mostrato come il significato
attribuito alla scena della resurrezione sia divenuto profondo motivo di ispirazione della fantasia del
pittore.
La forma è il concreto linguaggio espressivo, la scelta di un soggetto significa poco nelle epoche di
più ferree tradizioni iconografiche, e che uno stesso soggetto può dar luogo a opere diverse nei loro
valori espressivi. Due studiosi si sono occupati della famosa stampa del Durer nota con il titolo Il
cavaliere, la morte e il diavolo. Wofflin non ignorava che la critica aveva messo in rapporto questa
raffigurazione con il testo di Erasmo (milite cristiano) e con le tradizioni figurative popolari del
cavaliere di Cristo, e del pellegrino minacciato dalla Morte e dal Diavolo. Ritiene che l’intenzione
prima dell’artista fosse la raffigurazione chiara e proporzionata di un uomo a cavallo e che solo a
posteriori egli abbia conferito un significato morale alla composizione, aggiungendo immagini della
Morte e del diavolo. Il risultato estetico sarebbe secondo Wofflin sensibilmente negativo perché
solo a fatica Durer sarebbe riuscito a conferire un’evidenza della Morte, irrilevante per dimensione,
attraverso la serrata e torreggiante costruzione del paesaggio nello sfondo. Panofsky osserva che
Durer era alla ricerca di un tema che gli permettesse di dar voce ai risultati raggiunti nei suoi studi
sull’anatomia e le proporzioni del cavallo. Una volta scoperto il suo tema nell’idea del cavaliere
cristiano, l’immagine visiva del perfetto cavaliere venne a fondersi in un concetto artistico.
Panofsky chiarisce che la fusione delle due tradizioni del soldato cristiano e del pellegrino
minacciato dalla Morte e dal diavolo avviene per un passo di Erasmo, in cui si legge che il milite
cristiano non deve lasciarsi deviare dalle anime diaboliche. Ciò che impedisce a Wofflin di cogliere
la sostanziale coerenza espressiva è la considerazione astratta della forma, la concezione dei valori
visivi in se stessi. Mentre le osservazioni, giuste, di Panofsky traducono perfettamente il pensiero di
Erasmo del soldato cristiano che non si deve lasciare atterrire dalle ombre dell’inferno.
Possiamo considerare acquisito che l’indagine iconologica è strumento utile, come premessa alla
critica, volta a cogliere e definire i valori artistici dell’opera. Sono frequenti i casi in cui i contenuti,
imposti dal committente abbiano lasciato indifferente l’artista o lo hanno ostacolato. Esempi di
questo tipo si colgono nelle decorazioni della Cappella Sistina. Secondo Steinmann, il tema scelto
da Sisto IV del parallelismo fra la vita di Mosè e la vita di Cristo ponevano in parallelo Antico e
Nuovo Testamento. Mosè ponendosi come la figura più alta dell’antico Testamento e Cristo
protagonista del Nuovo Testamento. Ma è chiaro che la prima intenzione del papa era quella di
proclamare dalle pareti della sua cappella privata la legittimità incrollabile dell’autorità del
pontefice, come salvatore del popolo ebraico. La figura di Mosè è presentata in quel ciclo come
quella di fondatore della Legge antica in parallelo con Cristo fondatore della legge nuova. Di questa
legge è depositario il papa investito direttamente da Cristo. Si può dimostrare che fra tutti i pittori
solamente il Perugino creò un’opera che avesse legami col tema del ciclo, la maggior parte degli
artisti si trovò in difficoltà, costretta a rappresentare una molteplicità di scene incongrue dal punto
di vista delle occasioni figurative. Pittori come il Ghirlandaio, il Pinturicchio, Cosimo Rosselli e
Signorelli Luca, pittori fiorentini e umbri, mostrano di non essersi neppure posti il problema di un
adeguamento espressivo al significato simbolico delle storie che erano chiamati a dipingere. Anche
Botticelli non dà prova di aver tratto ispirazioni dal contenuto ideologico dei temi che era chiamato
a illustrare. Solamente il Perugino, che realizza Cristo che consegna le chiavi a San Pietro, nella sua
rappresentazione esprime un’emozione poetica sorta dallo humus del significato ideologico del
tema. Chiara è l’organizzazione compositiva la consegna delle chiavi, la tentata lapidazione di
Gesù, il tributo a Cesare, sarebbero la premessa del principio fondamentale dell’autorità del
pontefice. Ettlinger dice che la lapidazione di Gesù è in parallelo con quella di Mosè e alluderebbe
alle opposizioni incontrate dalla predicazione di Cristo come quelle di Mosè, mentre il tributo a
Cesare serve per mostrare la supremazia del potere spirituale del papa sul potere politico. Secondo
Salvini la lapidazione di Gesù intende alludere alla natura divina del Cristo, perché gli ebrei lo
vogliono uccidere, e dice che il tributo a Cesare vada inteso come esortazione all’obbedienza
all’autorità civile, ma anche come riaffermazione della legittimità del potere temporale del papa. Il
richiamo alla divinità di Gesù nella lapidazione e all’allusione al potere temporale del papa come
tributo a Cesare rappresenterebbero la premessa e la conseguenza dell’investitura divina del
pontefice simboleggiata nella Consegna delle chiavi di Pietro. La costruzione prospettica tende ad
assumere un aspetto di totalità, la consegna delle chiavi non è la narrazione di una storia ma il
traslato figurativo delle parole di Gesù in Matteo ‘ti davo le chiavi dei regni celesti’. Il Perugino ha
assorbito e reso il significato ideologico del tema secondo le intenzioni del pontefice committente.
La critica può trarre dei vantaggi dalla ricerca iconologica. Non di rado le indagini sulle fonti
letterarie e filosofiche di un tema portano a risultati incerti. Salvini ritiene metodologicamente
corretto quelle interpretazioni che appaiono conciliabili con il tono lirico.
L’incisione del 1497 con la sigla del Durer che presenta quattro donne nude reca il titolo le quattro
streghe. Alcuni studiosi hanno supposto che non si tratta di streghe ma di Grazie come si dice nei
distici De Charitibus composti nel 1494 da Pirkheimer. Il riferimento ai versi latini non regge
perche da essi emergono tre e non quattro figure. E che di femmine diaboliche si tratta identificate
con le Ore, ministre della vita e della morte, come si vede anche dall’affacciarsi a sinistra di un
diavoletto tra le fiamme infernali. Essa si inquadra in un aspetto della poetica giovanile del Durer,
quello rivolto allo studio del nudo in gara. Nell’opera Bagno di uomini e nei disegni di Brema si
vede come Durer abbia ripreso forme ispirate al Mantegna. In questa carica di vitalità è la risposta
del maestro tedesco al nudo eroico degli italiani, che conosceva dal Mantegna e dal Pollaiolo. La
sostanza poetica impone di cercare il tema nel mondo della magia nera piuttosto che in quello della
mitologia antica.
Altro esempio è quello della volta Sistina i quali molti studioso hanno cercato di interpretare
seguendo due diverse vie: verso sistemi ideologici di impronta religiosi oppure verso teorie
neoplatoniche. Pensiero di stampo neoplatonico relativi all’identità del Bene e del Bello e
all’irradiarsi della luce di Dio nell’anima dell’uomo riecheggiano l’ultimo verso delle Rime di
Michelangelo. Questo rende altamente probabile che il concetto neoplatonico del riflettersi su Dio
nell’uomo in diversi gradi abbia potuto trovare espressione nella pittura della volta Sistina. Se la
decorazione voluta da papa Sisto IV esaltava l’autorità del pontefici contenendo la storia antica
dell’umanità a partire da Mosè allora quella programmata da papa Giulio doveva trasformare la
cappella in una sintesi di storia universale dell’uomo che troverà conclusione al tempo di Paolo III,
nell’affresco del Giudizio. Il significato anagogico dell’intera figurazione doveva essere la
rigenerazione dell’uomo attraverso la Redenzione. Per questo le storie bibliche sono affiancate da
figurazioni allusive all’attesa della redenzione cristiana. La presenza delle Sibille significava
l’inclusione del mondo classico nella preisotoria del cristianesimo, e come allusione al mondo
classico greco-romano sentito come depositario di un insuperato ideale di bellezza. Questa
interpretazione rende ragione all’apparente contrasto che colpisce ogni osservatore al primo
sguardo: da un lato l’agitazione drammatica dall’altra l’elevata rasserenante bellezza.
Ogni indagine iconologica non può mancare di arricchire il quadro storico della civiltà cui si
riferisce. Se l’autore dell’indagine abbia anche mentalità di critico, dovrà porsi il problema del
rapporto fra l’artista e il programma a lui offerto o da lui stesso elaborato. La ricerca iconologica
esercitata non come fine a se stessa ma in funzione critica dimostrerebbe come anche un contenuto
di pensiero possa farsi poesia. L’iconologia contribuirebbe al progresso della storia e della critica
dell’arte.

Potrebbero piacerti anche