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eISBN 978-88-58-65511-5
Fig. 10
Fig. 17: Diverse forme ieratiche della croce. Dall’alto verso destra:
romana, gerosolimitana, greca, irlandese, copta, anglosassone,
irlandese.
Ogni arte fondata su una tradizione artigianale opera con
schemi geometrici o cromatici, che non è consentito
separare dai procedimenti materiali del mestiere, ma che
nondimeno posseggono il carattere di «chiavi» simboliche
rivelanti la dimensione cosmica di ogni fase dell’opera.33
Quest’arte, dunque, è necessariamente «astratta» per il
fatto stesso che è «concreta» nei suoi procedimenti; ma gli
schemi di cui dispone, e la cui giusta applicazione
dipenderà dal sapere artigianale e insieme dall’intuizione,
potranno all’occasione trasporsi in un linguaggio figurativo
che conserverà qualcosa dello stile «arcaico» delle
creazioni artigianali. È ciò che accade nell’arte della
vetrata e anche nella scultura romanica, nata direttamente
dall’arte dei muratori di cui conserva la tecnica e le regole
di composizione, mentre per altro verso riproduce i modelli
dell’icona.
...36
Fig. 22: Timpano della porta di sinistra del portale dei Re.
Fig. 23: Timpano della porta di destra del portale dei Re.
Introduzione
1
«Ignori tu, o Asclepio, che l’Egitto è immagine del cielo e
proiezione qui in basso di tutto l’ordinamento delle cose
celesti?» (Ermete Trismegisto).
2
Gen., 1, 27.
3
Introduction générale à l’Étude des Doctrines Hindoues,
ed. 3, Éditions Véga, Parigi 1939 (trad. it.: Introduzione
generale allo studio delle dottrine indù, Ed. Studi
Tradizionali, Torino 1965); L’Homme et son Devenir selon
le Vêdânta, ed. 4, Études Traditionnelles, Parigi 1952
(trad. it.: L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, Ed.
Studi Tradizionali, Torino 1965); Le Symbolisme de la
Croix, ed. 4, Éditions Véga, Parigi 1952 (trad. it.: Il
simbolismo della Croce, Rusconi, Milano 1989); Le Règne
de la Quantité et les Signes des Temps, ed. 4, Gallimard,
Parigi 1950 (trad. it.: Il regno della quantità e i segni dei
tempi, Ed. Studi Tradizionali, Torino 1969); La Grande
Triade, ed. 2, Gallimard, Parigi 1957 (trad. it.: La grande
Triade, Atanòr, Roma 1951).
4
De l’Unité Transcendante des Religions, Gallimard, Parigi
1948 (trad. it.: Dell’unità trascendente delle religioni,
Laterza, Bari 1949); L’Oeil du Coeur, Gallimard, Parigi
1950; Perspectives spirituelles et faits humains, Cahiers
du Sud, Parigi 1953; Castes et Races, Derain, Lione 1957.
5
The Transformation of Nature in Art, Massachusetts
Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1934 (trad.
it.: La trasfigurazione della natura nell’arte, Rusconi,
Milano 1976); Elements of Buddhist Iconography,
Massachusetts Harvard University Press, Cambridge
(Mass.) 1935; Hinduism and Buddhism, The Philosophical
Library, New York 1943 (trad. it.: Induismo e buddismo,
Rusconi, Milano 1987).
6
The Hindu Temple, University of Calcutta, Calcutta 1946.
7
Zen in der Kunst des Bogenschiessens (trad. it.: Lo Zen e
il tiro con l’arco, Adelphi, Milano 1975).
I. La genesi del tempio indù
1
Nelle civiltà primitive ogni abitazione è considerata
immagine del cosmo, perché la casa o la tenda
«contiene» e «avvolge» l’uomo a guisa del grande mondo.
Tale idea si è conservata nel linguaggio dei popoli più
diversi, dato che si parla della «volta» o della «tenda» del
cielo e del suo «culmine» per indicare il polo. Quando si
tratta di un santuario, l’analogia tra questo e il cosmo è
reciproca, poiché lo Spirito divino «abita» il santuario
come «abita» l’universo. D’altra parte, lo Spirito contiene
l’universo, sicché l’analogia diventa inversa.
2
Questo aspetto delle cose corrisponde al punto di vista
vedantico secondo cui il dinamismo appartiene alla
sostanza passiva – la śakti –, mentre l’Essenza attiva è
immobile.
3
Anche la costruzione del tempio cristiano simboleggia la
trasmutazione del
«secolo» presente nel «secolo» futuro:
l’edificio sacro rappresenta la Gerusalemme celeste, la
cui forma è anch’essa quadrata.
4
Ciò ricorda lo smembramento del corpo di Osiride
secondo il mito egizio.
5
Secondo la terminologia delle religioni monoteiste, i deva
corrispondono agli angeli in quanto rappresentano degli
aspetti divini. Il mito dell’immolazione di Prajāpati per
opera dei deva è dunque analogo alla dottrina sufi
secondo cui Dio manifestò l’universo molteplice in virtù
dei suoi molteplici Nomi; questi, infatti, «esigono» in un
certo senso la diversità del mondo. L’analogia è ancora
più sorprendente dove si dice che Dio manifesta se stesso
nel mondo in virtù dei suoi Nomi. Cfr. T. BURCKHARDT,
Introduction aux Doctrines Ésotériques de l’Islam,
Derain, Lione 1955; ID., MUHYI-D-DĪN IBN’ARABĪ,
Fuçūç al-Hikam (La Sagesse des Prophètes), Albin
Michel, Parigi 1955 e 1974 (trad. dall’arabo).
6
Se l’uomo è superiore agli animali in virtù del suo
«mandato» celeste, l’animale ha però una relativa
superiorità sull’uomo nella misura in cui questi si
allontana dalla sua natura primordiale, poiché l’animale
non è soggetto alla medesima corruzione in rapporto alla
sua norma cosmica. Il sacrificio dell’animale al posto
dell’uomo è ritualmente giustificato soltanto per una
certa condensazione qualitativa.
7
L’unione con l’Essenza divina implica sempre, come fasi o
aspetti del medesimo atto spirituale, la reintegrazione di
tutti gli aspetti positivi del mondo – o dei loro equivalenti
interiori – in un «fuoco» simbolico; implica pure il
sacrificio dell’anima sotto il suo aspetto limitato e la sua
trasformazione mediante il fuoco dello Spirito.
8
Cfr. R. GUÉNON, L’uomo e il suo divenire secondo il
Vêdânta, trad. it. cit.
9
Śatapatha Brāhmaṇa, VII, 1,1,37.
10
«La forma quadrata dell’altere Āhavanīya, dell’Uttara
Vedi e degli altri centri sacri e utensili rituali non può
avere come alternativa la forma circolare, mentre il
Gārhapatya, che di per sé è rotondo, può esser edificato
sia su un’area circolare sia su un’area quadrata, secondo
le diverse scuole. Ciò significa che la “terra” può esser
concepita come rotonda secondo la sua forma propria, o
come quadrata secondo la sua figura ordinata dalla legge
del “mondo celeste”...»: STELLA KRAMRISCH, The
Hindu Temple, cit., vol. I, p. 28.
11
Cfr. N.K. MAJUMDAR, Sacrificial Altars: Vedis and Agnis,
in «Journal of the Indian Society of Oriental Art»,
Calcutta, giugno-dicembre 1939.
12
Per tutto quel che concerne i rapporti fra il simbolismo
dell’altare e quello del tempio indù, ci riferiamo
all’eccellente libro di Stella Kramrisch, già citato, che
attinge largamente ai śāstra dell’architettura sacra e si
riferisce agli scritti di Ananda K. Coomaraswamy.
13
I patriarchi di Israele, nomadi, edificavano altari
all’aperto, con pietre grezze. Quando Salomone fece
costruire il tempio di Gerusalemme, consacrando con ciò
lo stato sedentario del popolo, le pietre furono composte
senza usare strumenti di ferro, in ricordo dell’altare
primitivo.
14
ALCE NERO, La Sacra Pipa, trad. it., Rusconi, Milano
1986, p. 124.
15
«Tutto ciò che il Potere del Mondo fa, lo fa in un circolo.
Il cielo è rotondo... Il vento, quando è più potente, gira in
turbini. Gli uccelli fanno i loro nidi circolari, perché la
loro religione è la stessa nostra... Le nostre tende erano
rotonde, come i nidi degli uccelli, e inoltre erano sempre
disposte in circolo, il cerchio della nazione, un nido di
molti nidi, dove il Grande Spirito voleva che noi
covassimo i nostri piccoli»: Alce Nero parla, trad. it.,
Adelphi, Milano 1968, pp. 197-198.
16
Sono pure rotondi i santuari preistorici chiamati
cromlech, i cui cerchi in pietre erette imitano le divisioni
cicliche del cielo.
17
Talvolta la perfezione statica del quadrato o del cubo si
trova combinata con il simbolismo dinamico del cerchio.
È il caso della Ka‘ba, che costituisce il centro di un rito di
circumambulazione ed è senza dubbio uno dei santuari
più antichi;
è stata più volte ricostruita, ma la sua forma
cubica leggermente irregolare non è stata alterata a
memoria d’uomo. I quattro angoli (arkān) della Ka‘ba
sono orientati verso le regioni cardinali del cielo. Il rito di
circumambulazione (tawāf), che fa parte del
pellegrinaggio alla Ka‘ba, e che l’Islam ha semplicemente
continuato, esprime chiaramente la relazione esistente
fra il santuario e il movimento celeste: la
circumambulazione viene compiuta sette volte – secondo
il numero delle sfere celesti –, tre volte di corsa e quattro
a passo normale.
Secondo la leggenda, la Ka‘ba fu originariamente
costruita da un angelo, o da Seth figlio di Adamo; essa
aveva allora la forma di una piramide. Il diluvio la
distrusse e Abramo la ricostruì in forma di cubo (ka‘bah).
È situata sull’asse del mondo; il suo prototipo è nel cielo
e gli angeli vi compiono il tawāf all’intorno. Sempre
secondo la leggenda, la presenza divina (sakīnah) si
manifestò sotto l’aspetto di un serpente che guidò
Abramo verso il luogo dove doveva costruire la Ka‘ba,
quindi si attorcigliò intorno all’edificio. Ciò ricorda in
maniera impressionante il simbolismo indù del serpente
Ananta o Śesa, che si muove intorno al Vāstu-Puruṣa-
maṇḍala. Vedremo più avanti che anche il tempio indù è
oggetto di un rito di circumambulazione.
18
Ricordiamo qui il simbolismo indù della suṣumnā, il
raggio che unisce ogni essere al Sole spirituale.
19
Il motivo del pesce formato dalle intersezioni di due
cerchi, così come lo schema del triplice pesce formato da
tre cerchi intersecantisi, si ritrovano nell’arte
ornamentale di popoli diversi e specialmente nell’arte
egizia e nelle arti merovingia e romanica.
20
Cfr. P.K. ACHARYA, A Summary of the Mānasāra, Leida
1918.
21
Nella costruzione dell’altare vedico, Agni-Prajāpati in
quanto vittima sacrificale è configurato col viso rivolto al
cielo. Tale è anche la posizione del Crocifisso,
incorporato, secondo Onorio d’Autun, nel piano della
cattedrale. La posizione «capovolta» del Vāstupuruṣa si
riferisce al suo aspetto asurico, di cui parleremo più in là.
22
Ṛg Veda, X, 90,5.
23
Un occidentale parlerebbe di «materia bruta»
trasformata in puro simbolo per ispirazione divina o
angelica. L’idea indù dell’esistenza (vāstu) implica in
qualche modo il concetto di «materia bruta» ma va molto
più lontano: l’esistenza è qui considerata come il
principio metafisico della separazione.
24
È la trasformazione del caos in cosmo, il fiat lux, per il
quale la terra «informe e vuota» sarà riempita di riflessi
divini.
25
Cfr. H. BURR ALEXANDER, L’Art et la Philosophie des
Indiens de l’Amérique du Nord, Ernest Leroux, Parigi
1926.
26
Ivi.
27
Costumanza che si ritrova nel folclore romeno.
28
Nel rito solstiziale della «danza del sole», gli Indiani
Arapaho costruiscono una grande capanna nel centro
della quale si innalza l’albero sacro, equiparato all’asse
del mondo; la capanna è formata da ventotto pali piantati
in cerchio e sorreggenti le aste del tetto, che si
congiungono al centro con l’albero.
Invece presso gli Indiani Crow la tenda del sole rimane
aperta in alto, mentre lo spazio intorno all’altare centrale
viene suddiviso in dodici reparti per i danzatori. Nell’un
caso come nell’altro la forma del santuario si riferisce ai
cicli del sole e della luna: nel primo caso, il ciclo lunare è
rappresentato dai ventotto pali del recinto corrispondenti
alle ventotto posizioni lunari; nel secondo, dal duodenario
dei mesi.
I riti che accompagnano l’erezione dell’albero della
«danza del sole» offrono singolari analogie con i riti indù
per l’erezione del palo del sacrificio, che è ugualmente
l’asse del mondo e l’Albero Cosmico.
29
Nel rito del dīkṣā il fuoco sacrificale viene trasferito dal
nuovo altare Gārhapatya all’altare del fuoco (Agni) in una
padella di terra cotta che ha la forma di
un cubo ed è
chiamata la «matrice» del fuoco in quanto contiene tutto
l’universo manifesto, come la «caverna» del cuore;
quest’ultima è anche rappresentata dalla stanza centrale
del tempio, il garbhagṛha, la cui forma è cubica (cfr.
STELLA KRAMRISCH, op cit.).
30
In certi diagrammi cosmologici dell’esoterismo
musulmano le fasi dei cicli celesti sono regolate da
angeli, che a loro volta manifestano dei Nomi divini. Cfr.
T. BURCKHARDT, Une Clé Spirituelle de l’Astrologie
Musulmane, in «Études Traditionnelles,» Parigi 1950.
31
Ricordiamo che il diagramma tradizionale dell’oroscopo,
il tracciato dell’eclittica, è anch’esso quadrato.
32
Le direzioni dello spazio corrispondono nettamente agli
aspetti o qualità divine, perché risultano da una
polarizzazione dello spazio illimitato e indifferenziato
come tale in riferimento a un dato centro. Questo centro
corrisponderà quindi al «germe» del mondo. Notiamo in
margine che il «quadrato magico», che serve a
«coagulare» delle forze sottili in vista di una determinata
operazione, è un lontano derivato del Vāstu-maṇḍala.
33
Da notare l’analogia fonetica e semantica tra agnus e
ignis, da una parte, e ignis e Agni, dall’altra.
Aggiungiamo che, nel simbolismo indù, ram è il bijā-
mantra del fuoco, rappresentato da un montone, e che in
inglese ram vale montone.
34
In questo caso, l’altare corrisponde al centro della
Gerusalemme celeste, occupato dall’Agnello.
35
Cfr. JEANNINE AUBOYER, Le Trône et son Symbolisme
dans l’Inde ancienne, Presses Universitaires de France,
Parigi 1949, p. 51.
36
Gli asura sono le manifestazioni coscienti – dunque, in un
certo senso personali – di tamas, la tendenza
«discendente» dell’esistenza. Cfr. R. GUÉNON, Il
simbolismo della Croce, trad. it. cit.
37
Quando i due partiti opposti rappresentano due differenti
sistemi tradizionali, ognuno di essi sarà per l’altro
un’espressione della dissoluzione «asurica».
38
Secondo il re Alfonso il Saggio i 4 × 8 pezzi devono
recare i colori verde, rosso, nero e bianco, che
corrispondono alle quattro stagioni: primavera, estate,
autunno e inverno, e ai quattro elementi: aria, fuoco,
terra e acqua (Cfr. ALFONSO EL SABIO, Libro de
Acedrex, a cura di Arnold Staiger, Eugen Rentsch, Zurigo
1941).
39
Cfr. T. BURCKHARDT, Le Symbolisme du Jeu des Échecs,
in «Études Traditionnelles», Parigi ottobre-novembre
1954.
40
A proposito di questa posizione, vedi sopra, nota 21.
41
Cfr. R. GUÉNON, Il simbolismo della Croce cit.
42
Cfr. STELLA KRAMRISCH, op. cit.
43
Il Kāla-mukha è anche la faccia di Rāhu, il demone delle
eclissi. Cfr. ANANDA K. COOMARASWAMY, The Face of
Glory, s.l.s.d.
44
Tale metodo ha un qualche rapporto con il senso della
«fissazione» alchemica.
45
L’origine «celeste» della danza indù è indirettamente
provata dalla sua diffusione e dal fascino che ha
esercitato attraverso i secoli. In una forma adattata al
buddismo, la danza indù ha influenzato lo stile
coreografico del Tibet e di tutta l’Asia orientale,
compreso il Giappone; a Giava è sopravvissuta
all’islamizzazione dell’isola e sembra aver determinato
anche la danza spagnola tramite la danza zigana.
46
Cfr. ANANDA K. COOMARASWAMY, The Dance of Śiva,
New York 1918.
II. Fondamenti dell’arte cristiana
1
Si può dire altrettanto dei germi di razionalismo filosofico
infiltratisi nel pensiero cristiano. Il che corrobora ciò che
diciamo dell’arte.
2
«La gnosi, per il fatto stesso che è un “conoscere” e non
un “volere”, si incentra su “ciò che è” e non su “ciò che
dovrebbe essere”. Ne risulta una maniera di considerare
il mondo e la vita che differisce notevolmente dalla
maniera, forse più “meritoria” ma meno “vera”, con cui i
volontaristi guardano alle vicissitudini dell’esistenza» (F.
SCHUON, Sentiers de Gnose, La Colombe, Parigi 1957, c.
«La gnose, langage du Soi»).
3
Va notato che la forma generale del tempio cristiano non
perpetua quella del tempio greco-romano, bensì le forme
della basilica con abside e degli edifici a cupola, che
apparvero a Roma in epoca relativamente tarda.
L’interno del Pantheon, con il suo immenso spazio
illuminato attraverso l’«occhio solare», non è certo privo
di grandiosità che però viene neutralizzata dal carattere
antropomorfo e banale dei particolari. È una sorta di
grandezza filosofica, se si vuole, ma che non ha nulla a
che vedere con la contemplazione.
4
Nella festa ortodossa dell’Esaltazione della Croce la
liturgia celebra il potere universale della croce, che «fa
rifiorire la vita incorruttibile, comunica alle creature la
deificazione e schiaccia definitivamente il demonio». Si
riconoscerà in queste parole l’analogia con l’Albero del
Mondo, asse immutabile del cosmo.
5
Dante fa di Cesare l’artefice del mondo destinato a
ricevere la Luce del Cristo (Par., VI, 55-57).
6
Gv. 2,19-21.
7
La vita nomade, l’assenza di un santuario fisso e la
proibizione delle immagini sono in rapporto con la
purificazione del popolo di Israele.
8
1 Re, 8,12 s.
9
Ivi, vv. 26 s.
10
2 Cron. 7,1 s.
11
Secondo sant’Agostino, Salomone costruì il tempio come
«tipo» della Chiesa e del corpo del Cristo (Enarr. in Ps.
126). Secondo Teodoreto, il tempio di Salomone è il
prototipo di tutte le chiese edificate sulla terra.
12
Sant’Agostino paragona il tempio di Salomone alla
Chiesa, le cui pietre di costruzione sono i credenti e le
fondamenta sono i profeti e gli apostoli. Tutti questi
elementi sono legati insieme dalla carità (Enarr. in Ps.
39). Tale simbolismo è stato sviluppato da Origene. San
Massimo Confessore vede nella chiesa costruita sulla
terra il corpo del Cristo, come anche l’uomo e l’universo.
13
Così Massimo Confessore.
14
Così sant’Agostino. Cfr. anche SIMEONE DI
TESSALONICA, De divino templo.
15
Cfr. P. NAUDON, Les Origines Religieuses et Corporatives
de la Franc-Maçonnerie, Dervy, Parigi 1953.
16
Cfr. E. MOESSEL, Die Proportion in Antike und
Mittelalter, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung,
Monaco 1926.
17
Lo strumento – e anche l’arma divina – per eccellenza è il
lampo, che simboleggia il Verbo o Intelletto primo, ed è a
sua volta simboleggiato da scettri rituali, come il vajra
nell’iconografia indù e buddista. Ricordiamo pure la
potenza leggendaria di certe spade famose.
18
L’agricoltura è spesso concepita come arte di origine
divina. Fisicamente, l’atto di arare la terra ha l’effetto di
aprirla all’aria che favorisce la fermentazione
indispensabile perché i vegetali assimilino la terra.
Simbolicamente, la terra è aperta agli influssi del cielo, e
l’aratro è l’agente attivo o l’organo generatore di
quest’ultimo. In margine osserviamo che la sostituzione
dell’aratro con le macchine ha ridotto molte terre fertili
alla sterilità e le ha così trasformate in deserti: è la
maledizione inerente alle macchine di cui parla René
Guénon nel libro Il regno della quantità e i segni dei
tempi già citato.
19
Il simbolismo del calamo e del libro – o del calamo e della
tavoletta – ha una parte rilevante nella tradizione
islamica. Secondo la dottrina sufi, il «calamo supremo»
è
l’«Intelletto universale» e la «tavoletta segreta», su cui il
calamo incide i destini del mondo, corrisponde alla
materia prima, la sostanza increata – o non manifestata –
che sotto gli impulsi dell’Intelletto o dell’Essenza produce
tutto quello che la «creazione» implica. Cfr: T.
BURCKHARDT, Introduction aux Doctrines Ésoteriques
de l’Islam cit.
20
Si può anche dire che questi strumenti corrispondono alle
diverse «dimensioni» della conoscenza. Cfr. F. SCHUON,
De l’Unité Transcendante des Religions cit., c. «Des
dimensions conceptuelles».
21
Purg., XXVII, 139-142.
22
Cfr. R. GUÉNON, L’esotérisme de Dante, Études
Traditionnelles (Chacornac), Parigi 1939; trad. it.:
L’esoterismo di Dante, Atanòr, Roma 1951.
23
Secondo le parole dell’apostolo Pietro: «Voi stessi, simili
a pietre vive, siate edificati come edificio spirituale» (1
Piet. 2,5).
24
Alberto Magno scrive: «Sappi che non si diventa filosofo
completo se non conoscendo le due filosofie di Platone e
di Aristotele» (cfr. E. GILSON, Lo spirito della filosofia
medioevale, trad. it., ed. 2, Morcelliana, Brescia 1964). E
san Bonaventura: «Tra i filosofi, Platone ha ricevuto la
parola della Saggezza, Aristotele la parola della Scienza.
Platone considerava principalmente le ragioni superiori,
Aristotele le inferiori». I sufi erano della medesima idea.
25
Gv. 1,3.
26
Ivi, v. 9.
27
BOEZIO, De Unitate et Uno.
28
Insieme con Isidoro di Siviglia e Marziano Capella.
29
Cfr. anche R. GUÉNON, Il simbolismo della Croce, trad.
it. cit., c. «Il simbolismo della tessitura».
30
Bisogna fare eccezione per certe chiese impiantate su
antichi santuari greci o romani; diciamo «eccezione» in
senso molto relativo, trattandosi di santuari.
31
Si è sostenuto che la forma tradizionale dell’iconostasi,
con le sue colonnine che inquadrano delle icone, deriva
dalla scena del teatro antico, la cui parete di fondo era
ornata di immagini e fornita di porte dalle quali gli attori
entravano e uscivano. L’analogia ha un fondamento di
verità soltanto perché la forma del teatro antico si
ispirava a un modello cosmico: le porte della scena
simboleggiano le «porte del cielo», da cui gli dèi
discendono nel mondo o le anime ascendono al cielo.
32
In queste diverse forme di croce, tutte dei primi secoli del
cristianesimo, ora predomina l’aspetto dinamico della
croce (derivante dalla sua disposizione a raggiera), ora
l’aspetto statico del quadrato; in genere i due elementi si
combinano in vari modi con il cerchio o il disco. Per
esempio, la croce di Gerusalemme, dai cui bracci partono
altrettante croci minori, richiama, con il riflesso multiplo
del centro divino, l’onnipresenza della Grazie; al tempo
stesso riallaccia misteriosamente la croce al quadrato.
Nell’arte celto-cristiana la croce e la ruota solare si
fondono in una sintesi piena di evocazioni spirituali.
La forma ieratica della tiara e della mitra rievoca
anch’essa dei simboli solari. Infine, il pastorale del
vescovo termina sia in due teste di serpente affrontate,
come il caduceo, sia in una spirale; quest’ultima è a volte
stilizzata in un drago che spalanca la bocca sull’Agnello
pasquale: immagine del ciclo cosmico che «divora» la
vittima sacrificale, ossia il sole o l’Uomo-Dio.
33
Per esempio, la croce inscritta nel cerchio, che può esser
considerata come la figura chiave dell’architettura sacra,
rappresenta anche lo schema dei quattro elementi
raggruppati intorno alla «quintessenza» e tenuti insieme
dal movimento circolare delle quattro qualità naturali: il
caldo, l’umido, il freddo e il secco, che corrispondono ai
principi sottili da cui, secondo l’alchimia, è governata la
trasmutazione dell’anima. Sicché in un solo simbolo sono
messi in relazione reciproca gli ordini fisico, psichico e
spirituale.
34
Una copia del Mandilion è conservata nella cattedrale di
Laon.
(Altro esemplare si conserva in Genova, nella chiesa di
San Bartolomeo degli Armeni: il capitano generale
Leonardo Montaldo lo ebbe dall’imperatore Giovanni V
Paleologo in compenso dell’aiuto prestatogli contro i
Turchi. Divenuto doge nel 1383, morì l’anno dopo nella
sua villa di Porta San Bartolomeo, dopo aver fatto
pubblico atto di donazione dell’icona ai padri della vicina
chiesa: N.d.T.).
35
Se tale impronta fosse opera di un pittore, non si
potrebbe attribuire né a un artista antico o medioevale né
a un artista dei tempi moderni. Nel primo caso vi si
oppone l’assenza di ogni stilizzazione, nel secondo la
profonda qualità spirituale, per non parlare delle ragioni
storiche. È escluso, del resto, che un’immagine di tale
autenticità spirituale sia il risultato di una mistificazione.
36
L’esemplare più antico della «Vergine del Segno» risale al
secolo IV ed è stato ritrovato nelle catacombe del
Cimitero Maggiore in Roma. La medesima composizione
divenne oltremodo celebre come Blacherniotissa, la
Madonna miracolosa di Costantinopoli.
37
È il caso della famosa icona di Andrej Rublev, che
rappresenta i tre angeli visitanti Abramo. Il motivo, di per
sé, ha origine nell’arte paleocristiana e costituisce l’unica
iconografia tradizionale della Santissima Trinità (cfr.
OUSPENSKY-LOSSKY, Der Sinn der Ikonen, Urs Graf-
Verlag, Berna 1952).
38
Col. 1,15.
39
Cfr. Ouspensky-Lossky cit.
40
De divinis Nominibus, I, 4. Ci rifiutiamo di deprezzare,
neppure indirettamente, questo grande autore spirituale
infliggendogli il soprannome di Pseudo Dionigi,
qualunque sia il valore delle recenti teorie storiche.
41
De caelesti Hierarchia, I, 4.
42
Ivi.
43
È significativo che san Giovanni Damasceno (700-750) sia
vissuto in una piccola comunità cristiana completamente
isolata nel gran mare della civiltà musulmana.
44
La tradizione si è estinta quasi completamente nel secolo
XVIII, ma ai nostri giorni sembra ravvivarsi in qualche
angolo sperduto.
45
Questa circostanza si ricollega alla dottrina della
trasfigurazione dei corpi attraverso la luce del Tabor,
secondo la mistica degli esicasti. Cfr. Ouspensky-Lossky
cit.
46
Ivi.
III. «Io sono la porta»
1
Talvolta la forma architettonica di un santuario si riduce
a quella del portale. È il caso del torii giapponese, che
indica un luogo sacro.
2
Cfr. R. GUÉNON, Le Symbolisme du Dôme, in «Études
Traditionnelles», ottobre 1938; La Sortie de la Caverne,
ivi, aprile 1938; Le Dôme et la Roue, ivi, novembre 1938.
I contorni della nicchia riproducono anche il piano della
basilica rettangolare terminante nell’emiciclo dell’abside.
L’analogia tra la pianta del tempio e la forma del portale
si trova già menzionata in un’opera ermetica apparsa nel
1616: Les Noces Chymiques de Christian Rosenkreutz, di
Johann Valentin Andreä, trad. fr., Chacornac Frères,
Parigi 1928.
3
È noto che i punti solstiziali si spostano nel cielo delle
stelle fisse, di cui compiono il giro in 25.920 anni.
Tuttavia essi determinano i punti cardinali e di
conseguenza ogni misura costante dello spazio.
4
Cfr. F. SCHUON, De l’Unité Transcendante des Religions
cit., c. IV: «La question des formes d’art».
5
Gv. 10,9.
6
Il donatore viene presentato a san Paolo da un angelo, e
l’artista è in ginocchio a fianco di san Pietro.
7
Ciò significa che essi «si rivestono» dei loro nuovi corpi.
8
Gli apostoli sono generalmente identificati con le
«colonne» della Chiesa, secondo la descrizione della
Gerusalemme celeste, le cui mura sono rafforzate da
dodici basamenti recanti i nomi degli apostoli (Apoc.
21,14). La Gerusalemme celeste è il prototipo del tempio
cristiano. Il tema iconografico degli evangelisti che fanno
corpo con gli elementi di sostegno del portale si ritrova in
parecchi altri portali romanici, in Francia e in Lombardia.
9
Per esempio nella chiesa di San Vittore in Ciel d’oro, la
cui cupola a mosaico data dal secolo V. La chiesa è
attualmente incorporata nel complesso della basilica di
Sant’Ambrogio a Milano.
10
Gv. 1,9. «... La stessa cosa si può dire dell’immagine,
nella quale si manifesta la Bontà divina. Essa è come un
gran sole tutto luce, che splende incessantemente perché
è una fievole eco del Bene, illumina tutto ciò che può
essere illuminato, possiede una luminosità dilagante e fa
piovere sull’intero mondo visibile, a tutti i livelli dall’alto
in basso, il fulgore della propria luce abbagliante»
(Dionigi Areopagita, De divinis Nominibus, III, 3).
11
Cfr. R. GUÉNON, Les Portes Solsticiales, in «Études
Traditionnelles», maggio 1938; Le Symbolisme du
Zodiaque chez les Pythagoriciens, ivi, giugno 1938; Le
Symbolisme Solsticial de Janus, ivi, luglio 1938; La Porte
Étroite, ivi, dicembre 1938; Janua Coeli, ivi, gennaio-
febbraio 1946.
12
Cfr. P.-M. MOULLET, Galluspforte des Basler Münsters,
Holbein Verlag, Basilea 1938. Ricordiamo che le
proporzioni di un edificio sacro risultano normalmente
dalla divisione regolare di un cerchio conduttore,
immagine del ciclo celeste. Con questo procedimento la
proporzione, che afferma l’unità nello spazio, è
consapevolmente ricollegata al ritmo, che esprime l’unità
nel tempo. Questo spiega l’armonia insieme evidente e
irrazionale dei portali romanici: le misure sfuggono al
principio quantitativo del numero.
13
Mt. 25,34-41.
14
Nel sufismo, Abū Yazid al-Bistāmi è uno dei rivelatori
della «identità suprema».
15
Per esempio, una croce a otto raggi adorna il timpano di
una chiesa romanica a Jaca in Catalogna.
16
Gv. 15,5. Nell’arte romanica ricorre con frequenza il
motivo della vite con i tralci che avvolgono ogni sorta di
figure: uomini e animali che si nutrono dei grappoli,
mostri che rodono la pianta, e scene di caccia.
17
Secondo il Mānasāra-Śilpa-Śāstra, una nicchia sacra deve
contenere l’Albero del Mondo oppure l’immagine della
divinità.
18
Cfr. Dante, Purg., XXXII, 47.
19
Per esempio, sul portale della basilica di San Michele a
Pavia, della cattedrale di San Donnino in Emilia, del
duomo di Verona e di San Fedele di Como.
20
Ricordiamo soltanto la singolare coincidenza fra un
rilievo che corona la Porta del Talismano a Baghdad e una
miniatura dell’evangeliario irlandese di Kells, che delinea
l’architettura di un portale (Canone Eusebiano, fol. 2V);
nelle due composizioni un personaggio con aureola –
nella miniatura irlandese si direbbe il Cristo – afferra la
lingua di due draghi che si affrontano con la gola
spalancata. Il rilievo di Baghdad è dell’epoca selgiuchide,
quindi posteriore alla miniatura irlandese, che è del
secolo VIII; per la forma dei draghi riflette modelli
dell’Estremo Oriente. Una composizione del genere è
abbastanza frequente, pur con talune varianti,
nell’oreficeria nordica, nelle arti minori dei paesi
dell’Islam e nella decorazione romanica.
21
Cfr. STELLA KRAMRISCH, The Hindu Temple cit., vol. I,
pp. 318 ss.; R. GUÉNON, Kāla-mukha, in «Études
Traditionnelles», marzo-aprile 1946.
22
In particolare, l’architettura romanica della Lombardia
possiede uno schema di portale ad atrio, le cui colonne
poggiano su dei leoni e gli archi portanti sono ornati di
grifoni o draghi (portale del duomo di Verona, dell’antica
chiesa di Santa Margherita a Como; altri esempi nella
cattedrale di Assisi, nel duomo di Modena, Ferrara,
eccetera).
23
L’arte islamica del Medio Oriente fu influenzata
dall’espansione turca dei secoli XII e XIII. Le genti turche
portarono nei paesi dell’Islam alcuni elementi delle civiltà
mongoliche.
24
Per esempio a Saumur, Tournus, Venosa,
Königslauterbach, eccetera. Si ritrova anche, in forma più
schematica, nell’oreficeria scandinava precristiana.
25
L’arte greco-romana può avere assorbito alcuni motivi
orientali come elementi puramente decorativi, e di tali
motivi l’arte medioevale riporterà nuovamente in luce il
carattere simbolico.
26
Nel timpano del portale meridionale di San Godehard a
Hildesheim, in Sassonia, sono rappresentati due leoni che
dalla gola emettono piante stilizzate.
27
Tale usanza si è mantenuta soprattutto nelle vallate
alpine.
28
Apoc. 4,2-7.
29
Fra i «viventi» dell’Apocalisse, uno ha viso umano; ma la
qualità di uomo implica qui semplicemente una
distinzione specifica e non una preminenza gerarchica.
Dice san Tommaso che la distinzione fra i diversi angeli è
analoga non alla distinzione fra individui della medesima
specie, bensì a quella fra intere specie. Questo chiarisce
il simbolismo animale del tetramorfo, così come, presso
alcuni popoli antichi, il simbolismo di certe divinità a
forma animale che hanno soltanto il grado di angeli.
30
Secondo una tradizione diffusa tra gli Arabi, il liuto
(al’ud) sintetizza, per le sue proporzioni e per la sua
gamma, l’armonia cosmica. Nella presente iconografia
sostituisce l’arpa (cfr. Apoc. 15,3).
31
Dalla bocca dei makara sugli archi di spinta del torana
esce spesso una fioritura di tralci, di ghirlande vegetali o
di collane di perle.
32
Il «trono dei leoni» si combina generalmente con il
torana, ornato del motivo del makara e coronato dal Kāla-
mukha, come cornice trionfale di un’immagine di divinità.
33
Il loto sboccia alla superficie dell’acqua, che simboleggia
l’insieme delle possibilità nel loro stato di non-distinzione
passiva. Il Corano dice che il Trono di Dio «era
sull’acqua».
34
Il simbolismo dei punti cardinali in connessione con la
liturgia e con l’architettura sacra è spiegato in opere
medioevali come lo Specchio del mondo di Onorio
d’Autun e lo Specchio della Chiesa di Durandus.
35
Due altri testimoni, forse i profeti Isaia ed Ezechiele,
stanno rispettivamente a destra e a sinistra dei dodici
apostoli.
36
Par., XXXIII, 1 ss.
IV. Fondamenti dell’arte musulmana
1
Quando la Mecca fu conquistata dai musulmani, il Profeta
fece distruggere per prima cosa tutti gli idoli che gli
Arabi pagani avevano eretto nel recinto della Ka‘ba;
quindi entrò nel santuario, le cui pareti erano state
decorate da un pittore bizantino: fra le tante figure v’era
un Abramo nell’atto di scagliare frecce divinatorie e
un’immagine della Vergine con il Bambino. Il Profeta
ricoprì quest’ultima con le sue mani e ordinò di
cancellare tutte le altre.
2
Un artista da poco convertito all’Islam si lamentava con
Abbas, zio del Profeta,
di non saper più cosa dipingere (o
scolpire). Allora il patriarca gli consigliò di raffigurare
piante e animali fantastici che non esistono in natura.
3
Si può dire che Alessandro fu l’«artefice» del mondo
destinato a divenire musulmano, così come Cesare fu
l’«artefice» di quel mondo che doveva divenire cristiano
(cfr. Dante, Par., VI, 55-57).
4
Uno dei motivi della decadenza dei paesi musulmani nei
tempi moderni è la progressiva scomparsa dell’elemento
nomade.
5
La famosa Pietra Nera è incassata in un angolo della
Ka‘ba e non indica affatto il centro verso cui si dirigono i
credenti nelle loro preghiere; non ha neppure funzione
«sacramentale».
6
Fin dalle origini l’architettura musulmana assimilò alcuni
elementi dell’architettura indù e buddista, che però le
erano pervenuti attraverso l’arte persiana e bizantina.
Solo più tardi la civiltà islamica incontrò direttamente
quella dell’India.
7
L’analogia tra la natura del cristallo e la perfezione
spirituale è adombrata in questa formula che risale al
califfo ‘Alī: «Maometto non è un uomo come gli altri
uomini, è come la pietra preziosa in mezzo alle altre
pietre». Queste parole indicano anche il punto di
congiunzione fra l’architettura e l’alchimia.
8
U. VOGT-GӦKNIL, Türkische Moscheen, Origo-Verlag,
Zurigo 1953.
9
Cfr. R. GUÉNON, Il regno della quantità e i segni dei
tempi, c. «Caino e Abele», trad. it. cit.
10
Cfr. T. BURCKHARDT, Introduction aux Doctrines
Ésotériques de l’Islam cit.
11
Simboli analoghi sono reperibili nell’abbigliamento
rituale degli Indiani dell’America del Nord: per esempio,
il copricapo con le corna di bisonte e le frange della veste
come immagine della pioggia e delle benedizioni divine.
Invece il copricapo di penne d’aquila ricorda l’«Uccello
del Tuono» che domina il mondo dall’alto, e il sole
raggiante: entrambi sono simboli dello Spirito universale.
12
Cfr. SIMEONE DI TESSALONICA, De divino Templo.
13
La nudità può anche avere un carattere sacro, in quanto
ricorda lo stato primordiale dell’uomo e annulla ogni
separazione tra l’uomo e l’universo. L’asceta indù è
«vestito di spazio».
14
L’araldica ha probabilmente una doppia origine: gli
emblemi delle tribù nomadi – i totem – e l’ermetismo.
Queste due correnti si fusero nel Medio Oriente sotto i
Selgiuchidi.
15
L’abbigliamento maschile odierno, che in parte risale alla
Rivoluzione Francese e in parte al puritanesimo inglese,
costituisce una sintesi quasi perfetta delle tendenze
antispirituali e antiaristocratiche. È un abbigliamento
che, pur affermando le forme del corpo, nello stesso
tempo le «corregge» secondo una concezione goffa, ostile
alla natura e alla bellezza intrinsecamente divina
dell’uomo.
16
Il turbante è chiamato «la corona (o il diamante)
dell’Islam».
17
Non si tratta di un divieto canonico ma di una
riprovazione, più rigorosa per l’oro che per la seta.
18
Le dispute delle scuole teologiche musulmane a proposito
della natura creata o increata del Corano sono analoghe
alle dispute dei teologi cristiani sulle due nature del
Cristo.
19
Questo motivo ritorna, più o meno stilizzato, su molti
tappeti di preghiera. Va aggiunto che la nicchia della
preghiera non sempre è ornata di una lampada, poiché
tale simbolo non è affatto obbligatorio.
20
Ṣūrah XXIV: «La Luce», 35 (trad. di M.M. Moreno, Il
Corano, UTET, Torino 1971).
21
La conchiglia marina che adorna alcune nicchie della
preghiera più antiche deriva in realtà, come elemento
architettonico, dall’arte ellenica, e sembra ricollegarsi a
un remoto simbolismo che paragona la conchiglia
all’orecchio e la perla alla Parola divina.
22
L’atteggiamento iconoclastico dei musulmani include
anche un altro aspetto: poiché l’uomo è stato creato a
immagine di Dio, si considera sacrilegio imitarne la
forma. Però questo punto di vista è più la conseguenza
che non la ragione prima della proibizione dell’immagine.
V. L’immagine del Buddha
1
Ciascuna delle grandi tradizioni spirituali dell’umanità
possiede una certa «economia» dei mezzi spirituali,
poiché l’uomo non potrebbe impiegare nel medesimo
tempo tutti i mezzi possibili, né seguire due sentieri in
una volta, sebbene il fine di tutte le vie sia
fondamentalmente lo stesso. La tradizione garantisce che
i mezzi da essa offerti sono sufficienti per condurre
l’uomo verso Dio o fuori dal mondo.
2
Cfr. P. Mus, Barabudur, Hanoi 1935. I «sette passi» del
Buddha diretti verso le differenti regioni dello spazio
richiamano i movimenti che gli Indiani Sioux eseguono in
occasione del hanblecheyapi, il rito dell’invocazione
compiuta in solitudine sulla cima di una montagna (cfr.
ALCE NERO, La Sacra Pipa, trad. it. cit., pp. 67 ss.).
3
Iscrizione di Long-men, citata da P. Mus cit., p. 546.
4
Secondo un’iconografia shingon (cfr. A.K.
COOMARASWAMY, Elements of Buddhist Iconography,
Harvard 1935), quattro tathāgata occupano le regioni
cardinali e quattro bodhisattva le regioni intermedie. Il
nome dei reggenti dello spazio può variare a seconda del
piano spirituale considerato. Lo schema seguente è
quello classico: Akśobya corrisponde all’est,
Ratnasambhava al nord, Amitābha all’ovest,
Amoghasiddhi al sud, Maitreya al nordest,
Samantabhadra al nordovest, Manjuśri al sudovest,
Avalokitēśvara al sudest. I primo quattro sono tathāgata,
gli altri bodhisattva.
5
Il buddha o tathāgata è colui che ha raggiunto la
liberazione totale. Il bodhisattva è un essere qualificato
per raggiungere il nirvāna fin da questa vita.
6
Cfr. H. DE LUBAC, Amida, Ed. du Seuil, Parigi 1955, c.
«Amitābha et la Sukhavati».
7
Commento al Loto, citato da H. de Lubac cit., p. 284.
8
Cfr. A.K. Coomaraswamy cit., p. 6.
9
V. sopra, c. II, 5.
10
Si può istituire un altro parallelismo con i più antichi
emblemi del Cristo. Sui timpani dei portali l’antica
iconografia simbolica si protrasse fino all’epoca
romanica: mentre si esitava a rappresentare il Cristo in
sembianze umane, il monogramma a forma di ruota e
l’Albero della Vita vi erano frequentemente raffigurati.
Inoltre, il simbolo del «trono preparato» si trova in certe
icone bizantine.
11
L’idea che l’immagine dipinta del Buddha sia più
conforme alla legge sacra che non immagine scolpita
riapparirà in Giappone nella scuola del Jodo-shin-shu.
12
La rappresentazione scolpita del Cristo è più tarda della
sua raffigurazione dipinta.
13
Cfr. A.K. Coomaraswamy cit., p. 4.
14
Coloro che si stupiscono all’idea che il voto del Buddha
possa salvare «tutti gli esseri», dovranno anche stupirsi
del dogma secondo cui il Cristo è morto «per tutti gli
uomini». Nell’uno come nell’altro caso, la Grazia
universale resa attuale da un supremo sacrificio può
tuttavia agire soltanto se viene accolta.
15
In linguaggio teologico, si direbbe che con tale voto la
sua volontà si identificò con la volontà divina.
16
Cfr. H. de Lubac cit.
17
Riprodotto in M. PALLIS, Peaks and Lamas, The Woburn
Press, ed. 3, Londra 1974.
18
Specialmente le immagini di Amitābha dipinte da
Genshin (sec. X). Cfr. H. de Lubac cit., p. 143.
VI. Il paesaggio nell’arte dell’Estremo Oriente
1
In cinese: pi, «lavoro del pennello»; mo, «lavoro
dell’inchiostro»; mohua, «potere di trasformazione
dell’inchiostro».
2
La parola sanscrita dhyāna significa «contemplazione».
L’equivalente cinese è ch’an-na o ch’an, quello
giapponese è zenna o zen. Cfr. D.T. SUZUKI, Introduzione
al Buddhismo Zen, trad. it., Astrolabio-Ubaldini, Roma
1970.
3
Cfr. A.K. COOMARASWAMY, La trasfigurazione della
natura nell’arte, trad. it. cit., pp. 30 ss. e, per l’argomento
in generale, tutto il c. I.
4
Si ritrova questo metodo nell’arte del tiro all’arco. Cfr.
l’eccellente opera di E. HERRIGEL (Bungaku Hakushi),
Lo Zen e il tiro con l’arco, trad. it. cit.
5
Cfr. D.T. Suzuki cit.
6
Cfr. D.T. SUZUKI, La dottrina zen del vuoto mentale, trad.
it., Astrolabio-Ubaldini, Roma 1968.
7
Una certa scuola moderna di psicologia definisce il
«subcosciente collettivo» come un’entità che la ricerca
scientifica non potrebbe cogliere direttamente – dato che
l’inconscio non può, in quanto tale, divenire cosciente –
ma le cui disposizioni latenti, chiamate abusivamente
«archetipi», possono essere inferite da certe «eruzioni»
irrazionali dell’anima. L’illuminazione «subitanea» dello
zen sembra corroborare quest’ultima definizione.
Secondo una tesi del genere il «subcosciente collettivo»»
diventa una sorta di recipiente elastico in cui può trovar
posto tutto ciò che non è semplicemente di ordine fisico o
razionale, persino l’intuizione e facoltà quali la telepatia e
la premonizione; o almeno lo si presume, perché in realtà
l’oggetto della ricerca psicologica resta limitato in questo
come in ogni altro caso, dal punto di vista assunto dallo
psicologo. Lo spirito di colui che scruta, disseziona e
classifica si pone sempre, a torto o a ragione, «al di
sopra» del suo oggetto; e perciò l’oggetto sarà
necessariamente meno di lui, ossia meno della sua
razionalità, che è a sua volta limitata dalle categorie della
scienza. Se il «subcosciente» fosse davvero la sorgente
ontologica della coscienza individuale, questa non
potrebbe porsi come spettatrice distaccata e «oggettiva»
di fronte alla sua propria sorgente, e dunque
l’«inconscio», che in via indiretta può essere oggetto
dell’investigazione scientifica, sarà sempre un
«subcosciente», vale a dire una realtà infraumana,
normale o morbosa a seconda dei casi. Anche se questo
«subcosciente» contiene delle disposizioni psichiche
ancestrali, queste hanno tuttavia solo un carattere
passivo e non debbono esser confuse con le sorgenti
sovramentali del simbolismo tradizionale, delle quali sono
tutt’al più ombre o residui. Lo psicologo che voglia
studiare i «fenomeni religiosi dell’anima» riferendosi al
subcosciente, ne annoterà quindi soltanto le
concomitanze psichiche inferiori.
8
Appunto per questo, nel tiro all’arco ispirato allo Zen, il
bersaglio viene colpito senza che l’arciere prenda la mira.
L’interferenza del pensiero discorsivo intralcia il genio
naturale, come è assai bene illustrato dalla favoletta
cinese del ragno che domanda al millepiedi come faccia a
camminare senza aggrovigliare le zampine; il millepiedi
si mette a riflettere e all’improvviso non sa più
camminare.
VII. Decadenza e rinnovamento dell’arte
cristiana
1
Trad. it.: Perdita del centro, Rusconi, Milano 1974, in
particolare pp. 199 ss.
Indice
Copertina
Trama
Biografia
Frontespizio
Copyright
INTRODUZIONE
Capitolo primo - LA GENESI DEL TEMPIO INDÙ
Capitolo secondo - FONDAMENTI DELL'ARTE CRISTIANA
Capitolo terzo - «IO SONO LA PORTA»
Capitolo quarto - FONDAMENTI DELL'ARTE MUSULMANA
Capitolo quinto - L'IMMAGINE DEL BUDDHA
Capitolo sesto - IL PAESAGGIO NELL'ARTE DELL'ESTREMO
ORIENTE
Capitolo settimo - DECADENZA E RINNOVAMENTO DELL'ARTE
CRISTIANA
NOTE
Introduzione
I. La genesi del tempio indù
II. Fondamenti dell'arte cristiana
III. «Io sono la porta»
IV. Fondamenti dell'arte musulmana
V. L'immagine del Buddha
VI. Il paesaggio nell'arte dell'Estremo Oriente
VII. Decadenza e rinnovamento dell'arte cristiana