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III - UNO SGUARDO ALLA LITURGIA CELTICA E ALLE LITURGIE ITALICHE

LITURGIA CELTICA

0. Bibliografia

E. G. CULLINAN, The Story of the Liturgy in Ireland, The Columba Press, Blackrock (Co Dublin) 2010.
N. D’ANNA, I pellegrini della luce. Il cristianesimo celtico, Edizionidell’Orso,…2010.
L. GOUGOUD, “Celtiques liturgies”, in DACL 2/2, 2969-3032.
J. PINELL, “La liturgia celtica”, in Anamnesis 2, Marietti, Casale Monferrato 1978, 67-70.
L. C. SHEPPARD, “Celtic rite”, in New Catholic Enciclopedia, Washington 1967, 384-385.
M. TOSI, “La liturgia di san Colombano a Bobbio”, Columba 5 (1964) 79-86; 7 (1965) 25-32.
F. E. WARREN, The Liturgy and Ritual of the Celtic Curch, Oxford 1881.
F. E. WARREN, The manuscript Irish Missal belonging to the president and fellows of Corpus Christi
College Oxford, London 1879.

1. Nome

Non è possibile, a rigore, parlare di un “rito celtico” vero e proprio. Il nome di liturgia celtica,
o meglio di liturgie celtiche, come si trova in DACL 2/2, è attribuito agli usi liturgici delle
chiese e dei monasteri dell’Irlanda e dei centri legati all’espansione del monachesimo
irlandese. Furono presenti nelle isole della Gran Bretagna, in Galles, in Scozia e nella parte
nord-occidentale della Francia (la Bretagna), nelle colonie monastiche irlandesi fondate da S.
Colombano in Francia (Luxueil), in Germania (Ratisbona), in Svizzera (St. Gallen) e in Italia
(Bobbio).
Lo sviluppo di queste forme liturgiche si colloca nel periodo va dal secolo VI fino all’età
carolingia. I molti libri e frammenti destinati alla celebrazione eucaristica e all’ufficio
monastico, copiati in Irlanda tra la fine del VI e gli inizi del IX secolo, non hanno una coesione
sufficiente né denotano un carattere così originale da poter essere ritenuti espressione di un
rito. In quei secoli infatti le comunità cristiane irlandesi rappresentavano una Chiesa ancora
molto giovane e, a differenza di quelle dell’Italia, delle Gallie e della Spagna, non erano
profondamente radicate nella cultura latino-cristiana. Questo, secondo Pinell, spiega la
scarsità e la mediocrità dei testi eucologici originali. In ogni caso, lo sviluppo rituale in queste
aree fu interrotto dall’affermarsi del rito romano, introdotto nel XII sec. in Irlanda dal san
Malachia, vescovo di Armagh, ma già prima in Bretagna (ai tempi di Lodovico il Pio) e in
Scozia (nel sec. XI, per opera di santa Margherita). Nel campo della poesia liturgica, invece,
gli autori irlandesi sono riusciti ad esprimere i contenuti della fede cristiana, applicando, pur
1
in lingua latina, i canoni letterari della loro lirica ancestrale, patrimonio della cultura celtica. Il
carattere poco raffinato dei testi irlandesi si spiega con il fatto che i loro autori hanno dovuto
adattarsi ai canoni espressivi provenienti dal mondo greco-latino, a partire da una formazione
piuttosto lontana.

2. Storia

L’organizzazione della Chiesa nelle isole britanniche fu costituita nel corso della conquista
romana (dai cristiani fuggiti da Lione e Vienne). Secondo la testimonianza di Tertulliano, il
cristianesimo si diffuse addirittura oltre i territori occupati dai Romani. La presenza di Vescovi di
Londra, Lincoln e York ai concili del sec. IV, nelle Gallie, in Bulgaria (Sardica) e in Italia
(Rimini nel 358), dimostra l’esistenza di un’organizzazione ecclesiale nelle isole britanniche.
Tuttavia queste espressioni del cristianesimo vennero meno con la caduta dell’Impero Romano
alla fine del secolo IV e all’inizio del secolo V, a causa delle invasioni di pagani dal Nord della
Gran Bretagna, dall’Ovest (Irlandesi e Galli) e dall’Est (Angli e Sassoni). I cristiani rimasti in
Inghilterra fuggirono sulle montagne occidentali dove ben presto riorganizzarono la Chiesa,
dando prova di vitalità nell’azione missionaria. Da queste comunità proviene direttamente o
indirettamente l’evangelizzazione della Scozia e dell’Irlanda. Alla fine del secolo IV e all’inizio
del secolo V, l’Irlanda era ancora un paese sconosciuto dal continente europeo. La vera e propria
conversione dell’Irlanda fu opera di san Patrizio (+ 461ca.), benché Papa Celestino I avesse
inviato il vescovo Palladio nel 431. La diffusione del cristianesimo fu rapidissima grazie alla
costituzione sociologica della società fondata sul clan; la conversione del capo del clan portava
alla conversione di tutto il gruppo. Questa stessa costituzione sociale condizionò
l’organizzazione ecclesiale strutturata intorno all’Abate-Vescovo, più che in un territorio con al
centro la cattedrale. L’impostazione monastica della costituzione ecclesiale si avverte anche nella
liturgia. I monasteri sono stati i centri culturali più importanti e verosimilmente la matrice
della liturgia celtica. Caratteristica tipica era la spiritualità personalista, che ha prodotto testi
liturgici dai toni quasi devozionali. Quando nella liturgia romano-franca o romano-germanica
di epoca carolingia si incontrano tendenze o sfumature pietistiche si può risalire ad una
provenienza irlandese.
Non avendo a disposizione dati per parlare della formazione e dell’evoluzione del rito celtico
dobbiamo limitarci a considerare il carattere piuttosto composito dei documenti di origine
irlandese: messali, rituali, salteri, antifonari, innari, collettari; si aggiungano le raccolte di
preghiere private e le cosiddette loricae (“scudi di protezione”), invocazioni pressanti
attraverso le quali si chiede la protezione della SS. Trinità, degli angeli, dei santi, contro i
mali pubblici o personali.
Esempio:
Custodi os meum ne loquar vana.
Custodi oculos meos ne videant mulierem ad concupiscendam eam per libidinem.
Custodi aures meas ne audiant detractationem, nec mendacium.
Custodi pedes meos ne circumeant domus otiosas.
Custodi manus meas ne porrigantur saepe ad capienda munera

(testo tratto da M. S. DRISCOLL, «Comment prier? L’euchologie dans le sacramentaires romains et


romano-francs», in Liturgie, pensée théologique et mentalités religieuses au haut Moyen Âge. La

2
témoignage des sources liturgiques, edd. H. Bricout-M. Klöckener (LQF 106), Aschendorff, Münster
2016, 77-99, spec. « 1. Étude euchologique comparée: Rome et l’Irlande »).

La lorica più nota è quella detta di «San Patrizio»:

… Possa Cristo proteggermi quest'oggi


dal veleno e dal fuoco,
dall'annegare e dall'esser ferito,
così ch'io possa compiere la mia missione
e dare frutto in abbondanza.
Cristo dietro e innanzi a me,
Cristo dietro e sopra di me,
Cristo con me ed in me,
Cristo vicino a me e unito a me,
Cristo alla mia destra e alla mia sinistra,
Cristo quando vado a dormire la sera,
Cristo quando mi alzo al mattino,
Cristo nel cuore di ogni uomo che mi pensa,
Cristo sulla bocca di tutti coloro che parlano di me,
Cristo in ogni occhio che mi vede,
Cristo in ogni orecchio che mi ascolta.
Io sorgo con la potenza della Trinità,
con la fede nella Trinità,
con la fede nell'Unità,
del Creatore del cielo e della terra.

3. Fonti

München, Staatsbibliothek, ms. Clm. 14429 (CLLA 211)


Das Irische Palimpsestsakramentar, ed. A. Dold - L. Einzenhöfer (TuA 53-54), Beuron 1964.
Oxford, Bibl. Bodleiana, ms. 504
The Manuscript Irisch Missal of Corpus Christi College Oxford, ed. F. E. Warren, London 1879.
Dublin, Royal Irisch Academy, ms. D II 3 (CLLA 101).
The Stowe Missal, ed. G. F. Warner (HBS 32). London 1920.
Colmar, Bibl. Munic., ms. 144 (CLLA 108).
L. BROU, “Le fragment liturgique Colmar 144, reste d’un Pontifical irlandais du VIIIe siècle”, Bulletin de
littèrature ecclesiatique (1955) 65-71.
Milano Biblioteca Ambrosiana, C 5 inf. (CLLA 150)
Antiphonarium Monasterii Benchorensis, PL 72, 579-606; The Antiphonary of Bangor 1-2, ed. F. E.
Warren, London 1893-1895.

L’antifonario di Bangor risale alla fine del VII secolo e più precisamente agli anni 680-691 d.C., come si
rileva dall’ultimo brano in esso contenuto, l’inno in memoria degli abati del convento di Bangor.

3
Si passano in rassegna tutti i successori di Comgill († 602), fondatore del monastero (558 d.C.), fino a
Cronan (680-691 d.C.) a cui si augura lunga vita.
Rappresenta probabilmente una testimonianza della liturgia di Bangor portata in Italia.
Attesta l'uso liturgico di testi biblici nell'ufficio monastico del monastero d'origine di Colombano in
Irlanda circa un secolo dopo la sua morte.
Oggi il manoscritto è concordemente ritenuto l’originale, scritto appunto a Bangor sul finire del secolo
VII d.C. Non si sa quando sia giunto a Bobbio; forse in epoca assai antica e ad opera di uno di quei
monaci irlandesi che frequentemente venivano sul continente, soprattutto da quando san Colombano vi
aveva fondato i suoi famosi monasteri.

Propone una struttura di ufficio monastico vicinissima a quella dell’ufficio cattedrale


ambrosiano. L’antifonario contiene, tra l’altro, la più antica versione latina del Gloria in
excelsis.
Si può pensare che gli Irlandesi presero molti elementi dai riti latini del continente e vi
aggiunsero testi di propria composizione, in particolare antifone e inni. Gli Irlandesi dunque,
organizzando la loro liturgia, avevano una certa conoscenza degli usi liturgici di tutto
l’Occidente. Si può facilmente supporre che all’origine vi siano i continui spostamenti dei
monaci irlandesi dall’isola al continente e viceversa. Rimane poi una questione, del resto
relativa anche ad altre tradizioni liturgiche. Si può parlare di una prassi liturgica unificata o è
più verosimile che le diverse comunità ecclesiali avessero usi propri?

4. L'ordo missae
Ci interessiamo qui in modo specifico dell’ordo missae celtico ricavabile dai testi.
Il Messale di Stowe fu scritto verso la fine del sec. VIII nel monastero di Tallaght (Dublin) o in
quello di Lorrha (Tipperary). Non è un messale plenario; si tratta piuttosto di un libellus
missae, in quanto contiene una messa completa e testi per altre tre. La sua singolarità consiste
nel fatto che vi si trovano anche letture e indicazioni rituali, oltre a un commento allegorico
alla celebrazione eucaristica.
Non si può affermare con certezza che l’ordinario della Messa di tipo arcaico conservato nel
Messale di Stowe sia un documento della più antica liturgia irlandese. Esso testimonia
elementi romani pre-gelasiani mescolati a elementi autoctoni. Ecco come si presenta:

[Litanie] Orationes
Gloria in excelsis (cum interpolationibus)
Oratio
EPISTOLA - Oratio
Psalmus - (Oratio)
Alleluia - (Oratio)
Deprecatio S. Martini - Oratio
Dirigatur (Ps 140,2, ter canitur)
Hic elevatur linteamen de calice
Veni, Domine, sanctificator omnipotens et benedic hoc sacrificium preparatum tibi. Amen. (ter
canitur)
EVANGELIUM - Oratio
CREDO
4
Cantus offertorialis
Orationes super oblata
PRAEFATIO - SANCTUS (cum interpolationibus, cfr. LMS 115)
CANON ROMANUS (cum multis adiunctis, elenchus nominum sanctorum, oratio Ambrosii,
elenchus nominum sanctorum)
Cantus ad fractionem (Cognoverunt Dominum)
Fractio
PATER NOSTER - Embolismus
Benedictio ad pacem - Cantus ad pacem
Cantus ad commixtionem - commixtio
Cantus ad communionem - communio
Oratio gratiarum actionis
Si può facilmente supporre che l’oratio Ambrosii non fosse in origine all’interno del Canone, ma
costituisse parte della praeparatio ad Missam. Quanto al Canone, esso corrisponde a quello trasmesso dal
sacramentario Gelasiano (il messale di Stowe è l’unico documento che lo definisce Canon dominicus
papae gilasi), ma in alcune sezioni vi sono aggiunte e correzioni effettuate dallo scriba Moelcaich, il cui
nome appare al f. 37. Tali interventi conservano elementi che si possono far risalire agli usi più
specificamente irlandesi (da notare l’inserimento dei dittici e delle parole sul calice simili a quelle della
tradizione ambrosiana) e che testimoniano la tensione tra novità e desiderio di conservazione.

Per un’analisi dettagliata si rinvia a H. P. KENNEDY, «The Eucharistic Prayer in early Irish liturgical
practice», in Prex Eucharistica 3. Studia 1: Ecclesia antiqua et occidentalis, edd. A. Gerhards – H.
Brakmann – M. Klöckener (Spicilegium Friburgense 42), Academic Press, Fribourg 2005, 225- 236 (con
ampia bibliografia).
Altre aggiunte sono rappresentate dalle “apologie” sacerdotali. Interessante la presenza di canti per la
Frazione del Pane e per la Comunione.
I tre formulari che seguono a questo ordinario hanno caratteristiche gallicane1 e ispaniche, con
rielaborazioni “celtiche”.

5. La questione del rito di Sarum e della liturgia dell’ordinariato di Nostra Signora di


Walsingham

Old Sarum è il nome dell’antica cittadella a nord dell’attuale Salisbury. La cattedrale, fondata nel
1075 all’interno dei bastioni del castello, fu consacrata dal vescovo Osmundo e presto distrutta. Il
vescovo Osmundo (XI sec. - +1099)apportò alcune modifiche alle liturgie anglo-sassoni e celte,
adattando il rito romano e ispirandosi nel contempo alle tradizioni anglo-sassoni. Forse fu la
liturgia di Rouen il punto di riferimento per la creazione dei libri liturgici di Salisbury. L'opera di
Osmundo condusse alla compilazione d'un nuovo messale, di un breviario e di altri libri liturgici,
che furono in seguito utilizzati nel sud del l'Inghilterra, in Gallia e in Irlanda.

1
Una copia irlandese di un vero e proprio sacramentario gallicano è contenuta in un palinsesto di Monaco di
Baviera scritto verso la metà del sec. VII. In questo palinsesto però è trascritto il racconto dell’istituzione non
solo a partire dal rito gallicano, ma secondo una rielaborazione che contiene elementi del canone romano e
ambrosiano. È, inoltre, integrato in esso un testo ispirato agli Atti apocrifi di san Tommaso, in chiaro contrasto
con l’eucologia gallicana. La presenza del rito gallicano in Irlanda risulta confermata dal frammento di
Würzburg, di contenuto gallicano appunto, copiato in Irlanda nel sec. VIII.
5
Il rito di Sarum fu adottato dalla Comunione anglicana intorno al 1530, ma fu gradualmente
modificato nelle edizioni successive del Book of Common Prayer. Fu reintrodotto per breve
tempo dalla regina Mary. Fu utilizzato dai cattolici d'Inghilterra fino al XVII secolo, prima
d'essere gradualmente sostituito dal rito romano.
Dopo l’ufficializzazione della comunione con Roma c’era stato chi aveva suggerito che
l’ordinariato di Nostra Signora di Walsingham, sorto dopo la pubblicazione della Costituzione
Apostolica Anglicanorum coetibus (2009) di Benedetto XVI, adottasse il cosiddetto rito di
Sarum, l’antico rito della cattedrale di Salisbury. Il nuovo rito liturgico dell’ordinariato vede
infatti insieme elementi dell’Anglican Book of Common Prayer - il libro del 1662 che è il
principale punto di riferimento per la preghiera nelle comunità anglicane - e altri tratti dal rito
romano della Chiesa cattolica. Il rito romano, in particolare, appare prevalente in tutti quegli
elementi che potevano dare luogo ad ambiguità rispetto alla dottrina teologica cattolica sulla
presenza eucaristica. Non si può dunque parlare di un nuovo rito “anglo-cattolico”, ma soltanto
di una variante del rito romano.

LITURGIA DI AQUILEIA

Bibliografia

C. ALZATI, «Aquileia», in Dizionario di liturgia ambrosiana, ed. M. Navoni, NED, Milano


1996, 42-44.

A. BAUMSTARK, Liturgia romana e liturgia dell'esarcato; il rito detto in seguito patriarchino e le origini
del “Canon missae” romano, Roma 1904.
G. BIASUTTI, «Aquileia e la chiesa di Alessandria», in Aquileia e l'Oriente mediterraneo (Antichità
Altoadriatiche 12/1), Udine 1977, 215-229.
F. CABROL, «Aquilée (Liturgie)», in DACL 1/1, Paris 1924, 2683-2691.
E. CATTANEO, «Santi milanesi ad Aquileia e santi aquileiesi a Milano», in Aquileia e Milano (Antichità
Altoadriatiche 4), Udine 1973, 235-248.
M.F. CONNEL, «The liturgical year in ancient Aquileia», in Studia liturgica diversa. Essays in honor of
Paul F. Bradshaw, edd. M.E. Johnson-L.E. Phillips (Studies in Church Music and Liturgy), Pastoral
Press, Portland 200479-96.

G. CUSCITO, «Aquileia. II. Concilio», in DPAC 1, 302-304.


E. DICHLICH, Rito veneto antico detto Patriarchino, Venezia 1823.
K. GAMBER, «Die älteste abenländische Evangelien-Perikopenliste, vermutlich von Bischof Fortunantius
von Aquileja», Münchener Theol. Zeitschrift 13 (1962) 181-201.

6
M. HUGLO, «Le manuscrits notes du diocèse d’Aquilée», Scriptorium 38 (1984) 313-317.
J. LEMARIE, «La liturgie d’Aquilée et de Milan au temps de Chromace et d'Ambroise», in Aquileia e
Milano (Antichità Altoadriatiche 4), Udine 1973, 249-270.
M. MIRABELLA, «Aquileia», in DPAC 1, 300-302.
G. MORIN, «L’année liturgique à Aquilée à l'époque d'après le Codex Evangeliorum Rehdigeranus», Rev
Ben 19 (1902) 1-12.
G. MORIN, «Une nouvelle théorie sur les origines du canon de la messe romaine», Rev Ben 21 (1904) 375-
380.
P. PASCHINI, La chiesa aquileiense e il periodo delle origini, Udine 1909.

G. RENZO, «La liturgia aquileiense patriarchina», Lateranum 53/1 (1978) 1-73.

M. B. RUBEIS, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Venetiis 1740; cf PL 20, 407.

M. B. RUBEIS, De antiquis Forojuliensium ritibus, Venetiis 1754.

G. VALE, «La liturgia nella Chiesa patriarcale di Aquileia», in La basilica di Aquileia, Bologna 1933, 367-
381.

N. VALLI, «Il codex Rehdigeranus», Memorie Storiche Forogiuliesi 91-92 (2011-2012) 11-34.

1. Nome
Per liturgia aquileiese si intendono quelle particolarità liturgiche che sono proprie della
Chiesa di Aquileia e dei suoi dintorni, vicine alla liturgia di Milano, con la quale ci sono stati,
molto probabilmente, reciproci influssi. Gli autori non sono d'accordo riguardo all’origine di
questa liturgia. Alcuni credono che sia una liturgia romana; altri dicono che le liturgie di Aquileia
e di Ravenna proverrebbero da Costantinopoli e da Alessandria. Duchesne, coerentemente
rispetto alle sue tesi, pensa che la liturgia aquileiese abbia avuto origine dalla liturgia di Milano.

2. Storia

Colonia fondata dai Romani nel 181 a. C. come base militare verso l’Istria, le Alpi orientali e le
regioni del Danubio, Aquileia trasse il suo nome dal fiume Akylis, che i coloni collegarono con il
termine latino aquila. Di grande importanza strategica la città fu dal III sec. sede episcopale. Nel 381
l’imperatore Graziano, su ispirazione di Ambrogio di Milano vi radunò un’importante concilio, a cui
parteciparono anche vescovi dell’Illirico, delle Gallie e dell’Africa, che condannò gli ultimi
rappresentanti dell’antinicenismo. L’importanza di Aquileia aumentò con l’abbandono di Milano da
parte della corte imperiale (402). Tuttavia dopo la metà del VI sec. papa Pelagio attesta che i due
metropoliti (di Milano e Aquileia) erano soliti ancora ordinarsi reciprocamente. In questo periodo,

7
segnato dalla questione dei Tre capitoli la chiesa di Aquileia (contraria come Milano2 alla condanna
dei cosiddetti “Tre capitoli”, con le proposizioni di Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Iba di
Edessa, sancita per volere di Giustiniano I dal Concilio Costantinopolitano II del 553 e firmata
forzatamente da papa Vigilio) cominciò a considerarsi Patriarcato (Paolino I nel 568 è il primo
patriarca, nominato dai suffraganei) per affermare la propria autonomia. Questo patriarcato fu
soppresso da Benedetto XIV nel 1751 e la provincia ecclesiastica fu divisa fra Gorizia e Udine. Già
nel 1596 il patriarca Francesco Barbaro aveva decretato la soppressione degli usi liturgici aquileiesi a
favore del rito romano.

3. Fonti

Due illustri e complessi testimoni della tradizione liturgica aquileiese in età alto-medievale sono
il codex Rehdigeranus e il codex Forojuliensis

München, B. Staatsbibliothek, Clm 6224 (CLLA 247)


Old-Latin Biblical Texts, No. III, ed. H. J. White, Oxford 1888;
G. MORIN, “Un nouveau type liturgique d’après le livre des Evangiles Clm 6224”, Rev Ben 10 (1893) 246-
256 (CLLA 247).

Berlin, Staatsbibliothek Preubischer Kulturbesitz, Cod. Dep. Breslau 5 = Ms Rehd. 169


(CLLA 245).
Codex Rehdigeranus. Die vier Evangelien nach der lateinischen Handschrift R 169 der Stadtbibliothek
Breslau, ed. H. J. Vogels (Collectanea Biblica Latina 2), Roma 1913.
G. MORIN, “L'année liturgique à Aquilée antèrieurment à l'époque carolingienne d'après le Codex
Evangeliorum Rehdigeranus”, Rev Ben 19 (1902) 1-12

Il Rehdigeranus 169 è un evangeliario del VII/VIII secolo, conservato a Berlino nella


Staatbibliothek Preubischer Kulturbesitz, con testo pregeronimiano. Ai ff. 92v-93v compare
un vero e proprio capitulare di mano del secolo VIII, secondo il parere di Morin3, che si
estende dalla prima domenica di Avvento sino alla Vigilia di san Giovanni Battista. Il
manoscritto che fu conservato a Aquileia, Verona, Breslau e, infine a Berlino, si considera
testimone della liturgia aquileiese.

Cividale del Friuli, Museo archeologico nazionale, Cod. CXXXVIII + Praha, Knihovna
Metropolitní Kapitoly, Cim 1 + Venenzia, Chiesa di San Marco, Inv. Tesoro 98 (CLLA 246)
D. DE BRUYNE , “Les notes liturgiques du Codex Forojuliensis”, RB 30 (1913) 208-218.

2
Quando uno dei vescovi di Milano, nel frattempo andati in esilio a Genova, a causa dell’invasione dei
Longobardi, si piegò alla comunione con le chiese che sostenevano la decisione imperiale, la sede di Como si
legò al patriarcato di Aquileia, staccandosi dalla metropolia milanese e assumendo il cosiddetto rito
“patriarchino”. Così accadde per i territori longobardi della diocesi di Milano, rimasti, per influsso della regina
Teodolinda favorevoli, ai Tre capitoli e divenuti anch’essi patriarchini. Queste isole aquileiesi presenti nella
diocesi di Milano furono soppresse nel 1571 da san Carlo Borromeo, che non riuscendo a imporvi il rito
ambrosiano, vi stabilì il rito romano, secondo i dettami del Concilio di Trento.
3
“...à la suit du sommaire de Marc, un feuillet blanc a été utilisé par une main lombarde du VIIIe siècle
pour y transcrire, non sans maints indices de barbarie, un vrai Capitulare evangeliorum” (C. MORIN,
“L’année liturgique à Aquilée...”, 2).
8
Il manoscritto è un evangeliario del VI secolo con note a margine del VI-VIII secolo. Anche in
questo si trova, dopo il vangelo di Marco, un breve capitulare che va dalla quarta domenica di
ottobre alla seconda di novembre. Nella sua edizione delle annotazioni liturgiche, De Bruyne
mette in risalto le analogie rispetto al Rehdigeranus. Ci troviamo, evidentemente, nel
medesimo ambito aquileiese.
Da segnalare sono infine le fonti più recenti che testimoniano le particolarità di questo rito:

Missale Aquilejensis Ecclesiae cum omnibus requisitis, atque figuris…. Anno 1519. Die 15
septembris, Venetiis (Impressione anastatica nel 1963).
Sacramentarium patriarchale secundum morem S. Comensis Ecclesiae, Mediolani 1537.
G. PERESSOTTI (ed.), Missale Aquileyensis Ecclesiae (1517). Edizione anastatica. Introduzione e
Appendice (Monumenta Studia InstrumentaLiturgica 48), Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2007.
Per uno sguardo complessivo sull’eucologia:
Fonti eucologiche aquileiesi, ed. G. Peressotti (Corpus Scriptorum Ecclesiae Aquileiensis 11),
Città Nuova – Società per la conservazione della Basilica di Aquileia, Roma 2007.

4. Alcuni dati liturgici

La scoperta dei sermoni del vescovo Cromazio ha permesso di gettare un po’ di luce sugli usi
liturgici di Aquileia alla fine del secolo IV e agli inizi del secolo V, in relazione, soprattutto,
all’anno liturgico e all’iniziazione cristiana. Sono emerse affinità con la tradizione milanese.
Ad Aquileia si celebrano il Natale e l’Epifania. La Quaresima comincia sei settimane prima
della Pasqua, come a Milano. Nella Quaresima si adempiono con i competentes i riti di
preparazione per il battesimo: il segno della croce, gli scrutini e la traditio symboli et orationis
dominicae nella domenica delle Palme (il Rehdigeranus reca l’annotazione In simbolo super
olivo). Durante il tempo pasquale ricorre la “mesopentecoste”, festa d’origine orientale, nella
quale si legge Gv 7,14,ss. mediante die festo, come anche a Milano. L’iniziazione cristiana ha
luogo durante la celebrazione della Vigilia Pasquale e conosce i seguenti riti:

- Aperitio aurium
- Depositio vestium
- Unctio cum oleo cathecumenorum
- Benedictio aquae.
Lotio pedum cum lectione evangelica ex Gv 13,1ss4
- Baptisma cum formula interrogativa (cfr. Traditio Apostolica)
- Unctio cum chrisma
- Impositio vestis albae
- Manuum impositio (confirmatio)5

4
Non si può stabilire se la lavanda dei piedi si faceva prima o dopo la benedizione dell’acqua.
Nell’iniziazione cristiana di antica tradizione ambrosiana la lavanda dei piedi segue l’immersione.
9
Per ulteriori approfondimenti degli aspetti liturgici nell’opera di Cromazio, cf. l’ampia
introduzione a CROMACE D'AQUILÉE, Sermons 1, ed. J. Lemarie (SChr 154), Paris 1969.

La ricezione di usi e di testi di matrice romana, da semplice risultato di un influsso del tutto
comprensibile, divenne con il patriarca Paolino II (787-802), esponente di spicco dell’ambiente
culturale carolingio, una precisa linea di condotta ecclesiastica: cf. PAOLINO PATRIARCA DI
AQUILEIA, Opere, edd. A. Peršič – S. Piussi (Corpus Scriptorum Ecclesiae Aquileiensis 10/1-
10/2), Città Nuova – Società per la conservazione della Basilica di Aquileia, Roma 2006.
Si comprende così la progressiva riduzione delle specificità di questo rito già molti secoli prima
della sua definitiva soppressione.

ALTRE LITURGIE DELL’ITALIA SETTENTRIONALE

Ci limitiamo a segnalare qui alcune testimonianze che attestano la presenza di liturgie locali,
nell’Italia settentrionale, le quali, pur gravitando intorno a Milano, manifestavano
caratteristiche proprie.

Fonti

Milano, Biblioteca Ambrosiana, C 39 inf. (Mediolanensis)


C. MORIN, “Un système inedit de lectures liturgiques en usage au VII/VIIIe siècle dans une église
inconnue de la Haute Italie”, Rev Ben 20 (1903) 375-388.

Il codice C 39 inf. è un evangeliario del VI secolo, in onciale e con testo corrispondente alla
Vulgata. Secondo il giudizio paleografico di Pagnin, sarebbe da mettere in relazione con lo
scriptorium di Verona6. L’attenzione degli storici della liturgia è stata attirata su di esso dalle
note a margine del testo dei quattro vangeli, indicanti feste in corrispondenza a pericopi.
Secondo Morin, che le ha pubblicate, datano pressoché tutte ai secoli VII/VIII, benché la
scrittura non sia sempre la medesima7.

5
J. LEMARIE, Chromace d'Aquilée. Sermons 1 (SChr 154), Paris 1969, 82-108.
6
Cf. B. PAGNIN, “Espressioni scrittorie dell’ambiente culturale veronese dal V al VII secolo”, Ricerche
medievali 13-15 (1978/80) 5-18: 13. Alzati osserva che la Chiesa di Verona, nel processo di
formazione delle province ecclesiastiche nel Norditalia, sarebbe entrata a far parte della provincia
aquileiese. Alla fine del IV secolo era tuttavia sottoposta all’autorità del metropolita milanese (cf. C.
ALZATI, “Genesi e coscienza di una metropoli ecclesiastica: il caso milanese”, in Ambrosiana ecclesia.
Studi su la Chiesa milanese e l’Ecumene cristiana fra tarda antichità e medioevo (Archivio
Ambrosiano 65), Milano 1993, 23-43: 38.
7
“Il y a deux types bien distincts: tantôt une sorte de semi-onciale, se rapprochant de l’écriture
irlandaise des traités de Gennade et de Bachiarius dans le ms. Ambros. O. 212 sup.; tantôt, et plus
souvent, la cursive mérovingienne...Les additions postérieures sont rares, et faciles à distinguer, à
cause de l’élégante tournure de leur minuscule carolingienne, qui annonce le plus beau IXe siècle” (C.
MORIN, “Un système inedit...”, 376).
10
Roma, cod. Vat. Reg. lat. 9 (CLLA 242)
Die im Codex Vat. Reg. Lat. 9 Vorgeheftete liste Paulinischer Lesungen für die Messfeier, ed. A. Dold
(TuA 35), Beuron 1944
G. MORIN, “Les notes liturgiques du manuscrit Vatic. Regin. Lat. 9. Les Épitres de Saint Paul”, Rev Ben
15 (1898) 104-106.

Il Codice Vat. Reg. lat. 9, risalente al secolo VIII, raccoglie le lettere di san Paolo, secondo il
testo della Vulgata, ma con varianti pregeronimiane. Presenta note liturgiche marginali in
minuscola merovingia aggiunte qua e là da diverse mani8 e un capitulare lectionum in cui
pure appaiono incipit non corrispondenti alla traduzione di san Gerolamo. La lista delle
pericopi, coeva, originariamente doveva essere collocata alla fine del codice, mentre
attualmente è all’inizio. Essa si apre con l’epistola In vigiliis natalis dni e prosegue fino alla
dominica ante natalem dni. Gamber ha illustrato le relazioni che intercorrono tra le pericopi e
i sermoni del Crisologo, ma Olivar ha dimostrato che la tesi di un’originaria redazione della
lista a Ravenna, da parte del celebre vescovo, è insostenibile9. L’odinamento delle pericopi è
originale e rivela punti di contatto con Milano e con l’Oriente. Una precisa localizzazione non
è però riuscita.

Per quanto concerne Ravenna Verona e Torino, si deve riconoscere che esercitarono un certo
influsso liturgico tramite i loro grandi Vescovi, Pietro Crisologo, Zenone e Massimo; ma se in
queste Chiese ci fu una qualche originalità liturgica, essa fu quasi subito assorbita dalla liturgia
romana. A Ravenna, prima del secolo VI, c’era un numero considerevole di libri liturgici, dei
quali ci resta soltanto il celebre Rotulus, pubblicato da Mohlberg in appendice al Sacramentario
Veronese: cf Sacramentarium Veronense, ed. L. C. Mohlberg (RED. Series Maior. Fontes 1),
Roma 1956, 173-178. Per un approfondimento si vedano:

H. LECLERCQ, “Ravenne (Liturgie)”, in DACL 14/2, 2086-2087.


J. LEMARIE, “La liturgie de Ravenne au temps de Pierre Chrysologue et l’ancienne liturgie d'Aquilée”, in
Aquileia e Ravenna (Antichità altoadriatiche 13), Udine 1978, 355-373.
F. SOTTOCORNOLA, L'anno liturgico nei sermoni di Pietro Crisologo. Ricerca storico-critica sulla liturgia
di Ravenna antica (Studia Ravennatensia 1), Cesena 1973.
G. ROSSETTO, La testimonianza liturgica di Massimo vescovo di Torino (Archivio Ambrosiano 18),
Milano 1970, 158-203.
C. TRUZZI, La liturgia di Verona al tempo di San Zeno (ca.360-380). Riti, usanze, teologia Studia
Patavina 27 (1980) 539-564.

8
Cf G. MORIN, “Les notes liturgiques du manuscrit Vatic. Regin. Lat. 9...”, 104.
9
A. OLIVAR, “Sobre el Capitulare lectionum del codice Vatic. regin. lat. 9.”, Eph lit 74 (1960) 393-
408.
11
LITURGIE DELL’AREA CAMPANA

Con l’espressione “liturgie dell’area campana” ci riferiamo agli usi liturgici della diffusi nei
centri dell’attuale Campania, in particolare a Napoli e Benevento. La prima notizia di attività
liturgica in queste Chiese che è arrivata fino a noi, è quella di Paolino, vescovo di Nola, che
scrisse un sacramentario e un innario, secondo l’affermazione di Gennadio di Marsiglia:
Paulinus, Nolae Campaniae episcopus... fecit et sacramentarium et hymnarium10.
Dopo questa notizia risalente al secolo IV, si deve andare alle fonti, costituite soprattutto da
capitularia lectionum di queste Chiese, dei secoli dal VI fino all’VIII. La vicinanza di Roma
deve aver impedito alle chiese campane di sviluppare un rito proprio, determinando così la
scomparsa di quelle tradizioni locali, che pure si lasciano intravedere nelle fonti che stiamo
per considerare.

Fonti di ambito napoletano

Fulda, Landesbibliothek, Codex Bonifatianus 1 (CLLA 401).


Cf K. GAMBER, “Die kampanische Lektionsordnung”, Sacris erudiri 13 (1962) 326-352: 327-334;
G. MORIN, “Lectiones ex epistolis Paulinis excerptae quae in ecclesia Capuana saec. VI legebantur”, in
Anecdota Maredsolana 1, app. IV, Maredsous 1893, 426-435

Il codice di Fulda, conosciuto anche come Victor-Codex, fu redatto sotto il vescovo Vittore di
Capua intorno alla metà del VI secolo. Appartenuto a san Bonifacio, si trova ora nella
Landesbibliothek di Fulda dove figura come Cod. Bonifatianus 1. Contiene un diatessaron
secondo la Vulgata, le lettere di san Paolo e l’Apocalisse. Le pericopi hanno una doppia
registrazione, dapprima in forma di lista e poi in qualità di note a margine dell’epistolario, con
qualche discrepanza. Alle indicazioni relative ad Avvento, Natale, domeniche dopo
l’Epifania, Quaresima (preceduta da Sessagesima e Quinquagesima), Pasqua, si aggiungono
quelle relative ad un ristretto santorale, comprendente i santi Pietro e Paolo, Lorenzo, Andrea,
i comuni dei martiri e della dedicazione, le epistole per le ordinazioni di vescovi, presbiteri e
diaconi, e infine per i defunti. Citando Probst, Beissel nota che “die Episteln des Codex aus
Fulda sind zwar nicht die römischen, sondern wahrscheinlich die in Capua üblichen”,
asserendo, tuttavia, che potrebbero coincidere con quelle in uso a Roma prima di Gregorio
Magno, ai tempi di Gelasio11.

Lindisfarne, London, British Library, Cotton ms. Nero D. IV (CLLA 405)


Cf G. MORIN, “La liturgie de Naples au temps de Saint Gregoire”, RB 8 (1891) 481-493.529-537;
G. MORIN, “Capitula Evangeliorum Neapolitana”, in Anecdota Maredsolana 1, app. IV, Maredsous
1893, 426-435.

10
GENADIUS MASSILIENSIS, Liber de scriptoribus ecclesiasticis XLVIII (PL 58, 1887).
11
S. BEISSEL, Entstehung der Perikopen des Römischen Messbuches zur Geschichte der
Evangelienbücher in der erzten Hälfte des Mittelalters (Ergänzungsheft zu den “Stimmen aus Maria-
Laach” 96), Herdersche Verlagshandlung, Freiburg im Breisgau, 1907, 56.
12
London, British Library, Royal I B. VII (Regius)

Può sembrare alquanto strano che siano due manoscritti inglesi a tramandarci tracce della
liturgia di Napoli all’epoca di san Gregorio Magno, ossia il celebre Evangeliario di san
Cuthbert (Cotton ms. Nero D. IV) e il cod. Reg. I B.VII12. Il primo fu scritto a Lindisfarne
intorno al 700. Il testo latino è accompagnato da una traduzione sassone e ciascuno dei quattro
vangeli è preceduto da una lista di giorni o circostanze in cui si doveva leggere un
determinato passo. Non si tratta dunque di veri e propri capitolari 13; ciò nonostante la
testimonianza ha un valore straordinario per la storia della liturgia. L’indentificazione con
l’ambito napoletano è possibile grazie alla menzione di san Gennaro, la cui festa è preceduta
da un digiuno, e della dedicatio basilicae Stephani al primo dicembre, in perfetta analogia con
il calendario marmoreo napoletano del nono secolo14. Per spiegare la presenza di tali
particolarità liturgiche nella Northumbria di fine VII secolo, bisogna tener conto dell’invio in
Inghilterra nel 668 di Adriano, che da Beda sappiamo africano di origine e abate di un
monasterium Nisidanum presso Napoli15. Adriano percorse con l’arcivesco di Canterbury
Teodoro le diverse provincie dell’isola e giunse anche a Lindisfarne. È dunque verosimile che
un evangeliario proveniente da Napoli sia arrivato lì attraverso di lui e sia stato, in seguito,
copiato. Grazie all’abate Adriano, secondo quanto scrive Morin, “les leçons liturgiques de
Naples avaient été reçues avec faveur en Angleterre, depuis les copistes de la fin du septième
siècle jusqu’au vénérable Bède qui ne s’est point fait faute de les suivre, de préférence aux
romaines, dans ses célèbres homélies sur l’Évangile”16.
La ricostruzione di Morin si fonda sull’evangeliario di San Cuthbert, integrando i dati con
quelli offerti dal coevo e affine codice Reg. I B. VII. Si può così risalire, almeno
parzialmente, ad Avvento, Tempo di Natale, domeniche dopo l’Epifania, Quaresima, Tempo
di Pasqua e ad alcuni elementi del santorale.

Würzburg, Universitätsbibliothek, M.p.th., f. 68 (CLLA 407)


Cf G. MORIN, “Les notes liturgiques de l'evangéliare de Burchard”, Rev Ben 10 (1893) 113-126

Nel fondo dei manoscritti pergamenacei della biblioteca dell’Università di Würzburg sono
conservati alcuni evangeliari provenienti dal tesoro della cattedrale; tra di essi si distingue il
cosiddetto evangeliario di Burchard. La tradizione ne attribuisce l’uso appunto a san
Burchard, prima monaco in Inghilterra e poi vescovo di Würzburg dal 741 al 753. Morin ha
riconosciuto una stretta parentela con le pericopi liturgiche dell’evangeliario di San Cuthbert.
A differenza di esso, però, le note non sono raggruppate all’inizio di ciascun vangelo, ma nel

12
Una descrizione accurata di quest’ultimo si trova in E. M. THOMPSON, Catalogue of ancient
manuscripts in the British Museum, London 1884.
13
Morin ha coniato la curiosa definizione di “quasi-capitulaires” (G. MORIN, “La liturgie a Naples...”
482).
14
Nel 1742 fu scoperto a Napoli, nella chiesa di San Giacomo Maggiore questo calendario del nono
secolo che divenne oggetto di numerosi studi.
15
BEDA, Historia Ecclesiastica 4,1 (PL 95, 171). La località è stata identificata con la piccola isola di
Nisita, l’antica Nesis, tra Napoli e Pozzuoli, in cui sorse effettivamente un monastero, di cui si hanno
tracce storiche.
16
G. MORIN, “Les notes liturgique de l’Évangéliaire de Burchard”, RB 10 (1893) 113-126: 114.
13
margine superiore del manoscritto, in corripondenza delle pericopi da utilizzare. Ciò che
riveste il massimo interesse in questo documento è la sovrapposizione, che in esso si verifica,
di peculiarità della liturgia romana a una struttura propria della liturgia di Napoli. In
particolare nella Quaresima vi compaiono le stationes e il santorale è arricchito di figure
provenienti da Roma. Secondo Morin un codice, giunto in Germania dall’Inghilterra, al
seguito dei missionari, e caratterizzato dalle peculiarità viste nell’evangeliario di San
Cuthbert, sarebbe stato trascritto in un contesto in cui la liturgia romana faceva già sentire la
sua influenza. Nonostante l’evidente eclettismo, il fondo primitivo appare napoletano.

Fonti di ambito beneventano

A. DOLD, Die Zürcher und Peterlinger Messbuch-Fragmente aus der Zeit der
Jahrtausendwende im Bari-Schrifttyp mit eigenstandiger Liturgie in vollständiger
Textwiedergabe geboten und mit Erläuterungen versehen (Texte und Arbeiten 25), Beuron
1934.
A. DOLD, “Fragmente eines um die Jahrtausendwende in beneventanischer Schrift
geschriebenen Voll-missales aus Codex Vatic. lat. 10645”, Jahrbuch für Liturgiewissenschaft
10 (1930) 40-55.
K. GAMBER, “Die mittelitalienisch-beneventanischen Plenarmissalien. Der Messbuchtypus des
Metropolitansgebiets von Rom im 9./10. Jahrhundert”, Sacris erudiri 9 (1957) 265-285.
S. REHLE, “Missale Beneventanum (Codex VI 33 des Erzbischöflichen Archivs von
Benevent)”, Sacris erudiri 21 (1972-73) 332-405.

Raccogliamo qualche breve considerazione intorno ai messali plenari beneventani che


Gamber ritiene vicini per contenuto ai documenti napoletani. Non abbiamo testimonianze
anteriori al decimo secolo. Un frammento, scritto probabilmente a Bari intorno al mille
appartiene attualmente alle Biblioteche di Zürich, Peterlingen e Luzern da cui prende il
nome17. La lontananza dal centro campano-beneventano ha permesso la conservazione in esso
di elementi molto antichi.
Altri frammenti sono citati, sempre da Gamber, in Sacris erudiri 9: il Frammento
dell’Escorial (Cod. R. III.1) e il Cod. palinsesto 112 Gud. gr. della Biblioteca di Wolfenbüttel.
Il manoscritto più ragguardevole per lo stato di conservazione, è senza dubbio il codice VI 33
dell’Archivio Arcivescovile di Benevento, un messale plenario, quasi completo del X-XI
secolo18, pubblicato in forma ridotta da Rehle. Purtroppo manca completamente dell’Avvento.
Per il tempo di Natale la situazione è pressoché identica a quella rintracciabile nel messale
romano. Molto interessanti sono i dati che si registrano in Quaresima; essi permettono,
attraverso le annotazioni marginali, di intuire il processo di romanizzazione verificatosi nella

17
Cf l’edizione di Dold indicata poco sopra.
18
Per altri documenti posteriori, tra cui il celebre Messale di Monte Cassino, cf. K. GAMBER, “Das
kampanische Messbuch als Vorläufer des Gelasianum”, Sacris erudiri 12 (1961) 5-111: 14-15.
14
liturgia beneventana, confermato da un ulteriore fonte il cod. Vat. Lat. 10645, altro frammento
di messale plenario, in minuscola beneventana del secolo XI.
Gamber, attraverso le diverse testimonianze di ambito campano ha tentato la ricostruzione del
lezionario (cf K. GAMBER, “Die kampanische Lektionsordnung”, Sacris erudiri 13 [1962] 330-352).

15

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