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Il Nartece e la Porta Lignea di Santa Sabina

La basilica di Santa Sabina fu fondata durante il pontificato di Celestino I (422 – 432)


e la sua edificazione si protrasse sino al pontificato di Sisto III (432 – 440). Non è
provata una possibile relazione tra la fondazione della chiesa ad opera di Pietro
d’Illiria – di nazionalità dalmata - e le preesistenti abitazioni cristiane, legate alla
figura di San Gerolamo1. L’Aventino, con tutti gli edifici precedenti, fu raso al suolo
nel 410 dal passaggio di Alarico al comando di mercenari goti, che incendiarono il
colle dopo una cruenta devastazione. La basilica fu pertanto costruita dopo
l’invasione, sui resti ancora visibili di una domus romana 2, dove fu innalzato il corpo
longitudinale e un battistero. Il battistero è oggi scomparso ma l’Aula Dei costituisce
la più antica e meglio conservata basilica paleocristiana di Roma. La porta lignea,
scolpita per l’ingresso principale della basilica, fu realizzata con buona probabilità
nello stesso arco temporale della costruzione della chiesa. Nonostante la scomparsa di
alcuni pannelli3 essa costituisce uno dei più antichi esempi di scultura lignea cristiana
e l’unico del suo genere ad essere sopravvissuto intatto4.
La porta si apre nel fronte della Basilica, lungo il lato nord-ovest. E’ tuttora oggetto
di dibattito l’esistenza o meno di un quadriportico del V sec. che la precedesse,
connettendo l’accesso alle assi viarie esistenti5. La porta è collocata all’estremità di

1
Ben poco si sa della vita cristiana e del culto sull’Aventino prima del 410. Ci sono testimonianze del fatto che l’area
nord-ovest fu abitata dalla schiera delle figlie di San Gerolamo, si è perciò ricercata una possibile continuità tra la
nazionalità dalmata del santo e quella del fondatore di Santa Sabina, Pietro d’Illiria, ma si tratta di un’ ipotesi non
comprovata. Cfr. L’Aventino Cristiano in La Basilica di Santa Sabina all’Aventino A cura di O. Traverso. Ediz. D’Arte
Marconi, Genova 2000, p. 3.

2
In merito alla stratificazione architettonica Cfr. I. Foletti - M. Gianandrea, Zona Liminare, Roma 2015 pp. 33 - 93.
Marrou individua nel sito le tracce di una domus ecclesiae mentre Darsy più cautamente parla di una domus
tardoimperiale del IV sec. Cfr. H.I. Marrou, Sur les origines du titre roman de Sainte Sabine, Archivium Fratrum
Praedicatorum II, Roma 1932. F.M.D. Darsy, Santa Sabina, Marietti, Roma 1961.
3
Sono 10 i pannelli perduti, secondo la ricostruzione di B.N. Marconi, Basilica di Santa Sabina all’Aventino, Genova
2015.
4
L’ottimo stato di conservazione dell’opera è dovuto alla chiusura del portico della basilica, avvenuta nel X secolo per
lo sfruttamento dello spazio come fortificazione militare. Tra le porte lignee altomedievali, paragonabili per fattura e
datazione a quella presa in esame, sono giunte sino a noi in maniera frammentaria la porta della Chiesa di
Sant’Ambrogio a Milano, quella di S. Barbara al Cairo ed alcuni frammenti di porte rinvenuti nel deserto della Siria.
Cfr S. Tsuji, Étude iconographique des reliefs des portes de Sainte Sabine à Rome. Lo studio con il suo apporto
originale fu presentato come tesi di Dottorato nel 1961, sotto la supervisione del suo maestro André Grabar. E’
conservato presso l’Ecole pratique des Hautes études, a Parigi.
5
Cfr F. M. D. Darsy Le portes de Sainte-Sabine dans l’archéologie et l’iconographie in Recherches Archeologiques,
Città del Vaticano 1968, pp. 103-104.
un lungo nartece6 : un elemento spaziale utile ad una comprovata funzione liturgica e
rituale della prima cristianità7. (Fig.)
La porta, come punto di contatto tra il mondo esterno e lo spazio sacro, svolge non
solo una funzione protettiva ma anche una funzione iniziatica legata al passaggio
della soglia8. Il nartece che la precede e che culmina con l’ingresso fisico e simbolico
all’interno della Chiesa si carica della funzione di preparazione del fedele a questo
passaggio. Le opinioni rispetto all’utilizzo pratico di questo spazio non sono
univoche. Jean-Charles Picard pose l’accento sulla sua funzione funeraria 9 mentre gli
studi più recenti di Sible de Blaauw evidenziano la natura polifunzionale del nartece
ed il suo utilizzo battesimale e catecumenale10. Entrambi gli studiosi concordano poi
sull’accoglienza che l’atrio poteva offrire anche ai peccatori che – ad imitatio
spirituale del tempio di Salomone – non potevano entrare nella Basilica o erano da
essa esclusi durante il mistero eucaristico. Ivan Foletti e Manuela Gianandrea in un
saggio condiviso sulla funzione e le decorazioni del nartece di Santa Sabina 11 hanno
posto in relazione l’uso di questo spazio antistante alla porta con i differenti gradi
d’iniziazione del catecumeno, come descritti dalla Costituzione Apostolica del 380. Il
testo pone in evidenza il momento liturgico in cui diversi gruppi di catecumeni, a
seconda del livello di iniziazione conseguito, fossero tenuti ad uscire
progressivamente dalla Chiesa. Neofiti, penitenti, presumibilmente pagani 12 e
catecumeni di vario grado erano tutti riuniti davanti alla porta chiusa. Come negli
altri esempi coevi di porte istoriate paleocristiane, un simile utilizzo del nartece
enfatizza il valore di exemplum del ciclo iconografico proposto dai pannelli, nei quali
risuona l’eco visiva della Parola predicata all’interno della Basilica.
Il nartece é una zona liminare, utile ad accogliere segni chiari di un rito di
passaggio13 e svolge a pieno tale funzione sino al Duecento, quando con l’arrivo dei
frati domenicani lo spazio venne chiuso per essere utilizzato dall’Ordine.
6
Esteso come la Basilica sul versante nord-ovest e più ampio di questa di circa 3 metri sul lato opposto, esso misurava
in origine circa 30 metri, oggi ridotti a 20. Si estende per una profondità di 7 metri, mentre l’altezza originaria di 7 metri
è stata ridotta anch’essa per via dei numerosi interventi architettonici che hanno interessato la Basilica nel corso del
tempo. I. Foletti - M. Gianandrea, Zona Liminare, pp. 48-49.
7
Cfr I. Foletti, Le porte lignee di Santa Sabina all’Aventino: tra liturgia stazionaria e funzione iniziatica in Hortus
Artium Medievalium VOL 20/2, Zagreb-Motvotum 2014, pp. 709-719.
8
I. Foletti - M. Gianandrea, Zona Liminare, Roma 2015
9
Cfr. J.C. Picard, L’atrium dans les églises paléocrétiennes d’Occident, VOL I, Roma 1989, pp. 532-534.
10
Cfr. S. de Blaauw, The Church Atrium as a ritual space: the cathedral of Tyre and St Peter’s in Rome in Frances
Andrews (a cura di), Ritual and Space in the Middle Ages. Proceedings of the 2009 Harlaxton Symposium, Donington
2011 pp. 30-43.
11
I. Foletti - M. Gianandrea, Zona Liminare, pp. 33 / 93.
12
A questo proposito, è interessante il riferimento al testo di Eusebio di Cesarea, proposto sia da Picard che da De
Blauw, che fu redatto nel 315 in occasione della consacrazione della Basilica di Tiro. (« Questo primo luogo attraverso
il quale passano quelli che entrano, offre piacere a tutti; a coloro che necessitano della prima iniziazione dona una
dimora concepita per le loro esigenze»). Entrambi gli studiosi avanzano l’ipotesi che alla definizione di coloro che
necessitano della prima iniziazione possano ascriversi anche i pagani.
13
I. Foletti - M. Gianandrea, Zona Liminare, p. 36.
La porta costituiva il cuore di questo ambiente e definiva il margine esterno dello
spazio sacro. Nel Vangelo di Giovanni l’immagine della porta è utilizzata da Cristo
come viatico della sua presenza salvifica14. La stessa immagine è ripresa dall’esegesi
patristica15, che estende alla porta basilicale l’immagine del Cristo, garante
dell’accesso alla vita eterna.

Vale la pena ricordare, prima di iniziare a trattare in dettaglio del ciclo decorativo
della porta di Santa Sabina, che l’eloquenza espressa dal suo programma iconografico
è coerente con la prassi tardoantica ed altomedievale di svolgere i riti prebattesimali
nello spazio antistante alla soglia, e quindi di offrire allo sguardo dei neofiti una
visione paradigmatica e meditativa. L’abbondanza decorativa del portale ligneo di
Santa Sabina lascia pensare che il suo antico Battistero fosse uno dei siti battesimali
più importanti del V secolo.
La porta di Santa Sabina, in legno duro di cipresso, è scolpita secondo una
suddivisione per bande verticali, ciascuna delle quali reca tre pannelli piccoli e tre
pannelli grandi alternati tra loro. I pannelli sono inquadrati da una cornice scolpita a
sbalzo, con fregio vitrineo decorato a motivi botanici. (Fig. ; Fig.)
I soggetti rappresentati a bassorilievo si basano sull’Antico e sul Nuovo Testamento.
Sono accostati secondo un metodo originale, di cui il ciclo figurativo della porta è
uno dei più antichi esempi pervenutoci in tutta la storia dell’arte. Il metodo consiste
nella giustapposizione di temi veterotestamentari e neotestamentari, avvicinati tra
loro per analogia di forma e contenuto. Diverse scene sono unite da una tale
comunione di senso da costituire una sorta di antichissimo “dittico”, rinvenibile come
possibile sottoinsieme del programma iconografico complessivo, che è assai ampio e
per molti versi ancora oscuro.
La costruzione delle singole formelle non corrisponde alla trasposizione esclusiva
degli elementi narrativi. Non si tratta cioè di una sintesi visiva mossa da puro intento
illustrativo di singoli episodi letterari, quanto piuttosto di un’articolata
sovrapposizione e fusione di riferimenti tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento,
come dall’esegesi Patristica e dai dibattiti teologici. Questi ultimi costituiscono infatti

14
(«Io sono la Porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo») Vangelo di
Giovanni 10,9.
15
Cfr. Agostino, Commento al Vangelo e alla Prima Epistola di Giovanni VOL I 45, 9 (a cura di) Agostino Vita, Roma
1968, pp 902-903.
un sottotesto particolarmente eloquente negli anni a cavallo tra i Concilii di Efeso 16
(431) e di Calcedonia17 (451).
La collocazione originale di ogni singola formella è oggetto di dibattito, poiché la
porta ha subito un restauro nel 1836 ed è quindi possibile che alcuni bassorilievi
siano stati rimontati senza rispettare la loro sede originale. E’ indubbio però che
nell’accostamento l’artista proceda mettendo in luce gli episodi che tra il Vecchio ed
il Nuovo Testamento verificano una relazione di continuità non soltanto temporale
ma anche simbolica e provvidenziale18. Tale procedimento, utilizzato nello sviluppo
iconografico, può essere posto in relazione con i testi coevi. Origene, Tertulliano,
Gregorio di Nissa, Ambrogio e Agostino trattando del valore simbolico dei soggetti e
delle azioni narrate mettono in atto questo tipo di esegesi, che valorizza le
corrispondenze all’interno dei testi sacri e conferisce ad esse il senso della
prefigurazione. Tale processo, familiare già al pensiero stoico 19, individua le analogie

16
Il Concilio di Efeso si svolse durante il regno dell’imperatore d’oriente Teodosio II e fu il terzo concilio ecumenico.
Si riunirono centonovantasette padri conciliari, discutendo principalmente del nestorianesimo. La scuola Antiochena,
capeggiata da Nestorio, era infatti responsabile di un aspro dibattito intorno alla persona ed alla divinità di Cristo. In
aperta opposizione verso le tesi di Nestorio, Cirillo di Alessandria si rivolse all’imperatore ed al papa Celestino I
chiedendo la convocazione del concilio. Nestorio sosteneva la duplice natura di Cristo, divina ed umana: l’uomo Cristo
era stato portatore di Dio. Cirillo sottolineava invece la natura divina di Cristo. Connessa alla disputa su Gesù Cristo, vi
era quella su Maria, se fosse stata genitrice di un uomo o di Dio. L’appellativo di Maria Theotokos era pertanto al centro
del dibattito, esso significa letteralmente “divinparto” ed indica la divina maternità della Madonna, in quanto avrebbe
dato alla luce non un uomo ma Dio fatto uomo. Accogliendo la dottrina di Cirillo, il concilio condannò gli insegnamenti
del nestorianesimo e stabilì che Gesù è una persona sola, non due persone distinte, in cui convivono le due nature, che
lo rendono completamente Dio e completamente uomo, e che Maria è Theotokos, genitrice di Dio.
Cfr. G. Vitolo, Medioevo, I caratteri originali di un'età di transizione, Sansoni, Firenze 2000.
17
Il Concilio di Calcedonia si svolse durante il regno di Marciano, che aveva sposato la vedova del defunto Teodosio
II, e fu il quarto concilio ecumenico della storia del Cristianesimo. Fu convocato per dirimere il dibattito sulla natura di
Cristo, specialmente in risposta alle posizioni monofisite dell’archimandrita greco Eutiche. Questi proponeva, in antitesi
alle tesi del nestorianesimo, una visione secondo la quale la natura umana di Gesù fosse stata assorbita da quella divina
e dunque in lui fosse presente solamente la natura divina: la Divinità avrebbe accolto l'Umanità, come il mare accoglie
una goccia d'acqua. La sua posizione fu dichiarata dapprima ortodossa durante il secondo Concilio di Efeso (tenutosi
nel 449, ma invalidato dal Papa Leone I per via della sua idea antimonofisita) ma proclamata poi falsa ed eretica a
Calcedonia. Il monofisismo ricevette così una ufficiale condanna ed il Concilio dichiarò che Cristo è in due nature che
esistono senza confusione, senza mutamenti, senza divisione né separazione.
Cfr.G. Vitolo, Medioevo, I caratteri originali di un'età di transizione, Sansoni, Firenze 2000.
18
(«Esiste tuttavia un certo numero di monumenti paleocristiani in cui i temi dell’Antico Testamento non sono semplici
riferimenti a persone o ad avvenimenti che trovano posto nello svolgimento continuo della storia sacra nei suoi due
periodi successivi, ma sono semmai riferimenti ad un legame misterioso ed estremamente importante stabilito dalla
Provvidenza tra gli avvenimenti dei due Testamenti. (…) Vi troviamo il modo più semplice per esprimere che l’Antico
Testamento non ha solo preceduto il Nuovo, ma lo ha anche annunciato o prefigurato»).
A. Grabar, Le vie dell’iconografia cristiana, a cura di Mauro della Valle, Milano 2011, p. 144 – 145.
19
E’ più difficile dare un’espressione iconografica ad un altro tipo di legame tra i due Testamenti, in cui è implicata
l’attività di una certa persona o anche un preciso avvenimento. Si è detto che Gesù stesso paragonava il suo destino
all’esperienza di Giona e la sua croce al serpente di bronzo; i suoi successori sono andati molto più lontano.
Cercarono e trovarono numerose rassomiglianze significative tra i personaggi e gli episodi dei due Testamenti.
Adattavno così al pensiero cristiano un procedimento molto frequente: il vecchio metodo di origine stoica che stabiliva
misteriose corrispondenze tra avvenimenti nettamente separati nel tempo e nello spazio, e che faceva frequente appello
ad interpretazioni simboliche di fatti mitologici e storici, così da facilitare tali corrispondenze. A. Grabar, Le vie
dell’iconografia cristiana, a cura di Mauro della Valle, Milano 2011, p. 144.
esistenti tra avvenimenti nettamente separati nello spazio e nel tempo, facendo
appello ad interpretazioni simboliche di fatti mitologici, storici ed esperienziali.
Questa esegesi simbolica e tipologica, insieme alla vasta fioritura letteraria, permette
agli artisti di evocare tramite il parallelismo un senso superiore. Il senso di fiducia nel
disegno e nell’intervento divino che attraversa tutta la Storia. Osserviamo un singolo
esempio, che nella porta di S. Sabina si trova attualmente collocato nella seconda
formella dall’alto sul battente di sinistra. (Fig. ) Nei pannelli sono giustapposti i
miracoli di Gesù a quelli di Mosè. Sul primo pannello vi sono gli episodi evangelici
della guarigione del cieco, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e la trasformazione
dell’acqua in vino durante le nozze di Cana. Sul secondo pannello i miracoli di Mosè
nel deserto: le acque di Marah trasformate in acque dolci, la raccolta delle quaglie e
della manna da parte dei figli di Israele, l’acqua che sgorga dalla roccia del deserto.
Iconograficamente, i pannelli si rispecchiano oltre che per dimensione, struttura 20 e
stile, anche per il tema trattato. Questo propone delle analogie che si estendono sino
ai gesti o agli elementi manipolati dai personaggi. Mosè porge la mano sinistra verso
la presenza divina, rappresentata in alto dalla mano di Dio 21 mentre rivolge la mano
destra in direzione dei miracoli. Cristo utilizza invece la verga di legno o bacchetta 22.
Il parallelismo interessa le loro figure, il gesto taumaturgico, e la materia coinvolta
nei miracoli, con ulteriori corrispondenze rintracciabili ad esempio tra le il pane e la
manna, o tra le acque di Cana, le acque del deserto e le acque di Marah. Gli elementi
che sono al centro dell’azione miracolosa offrono inoltre frequenti richiami a motivi
sacramentari, quali l’acqua per il battesimo ed il pasto per la comunione. La chiave di
lettura che lega questi singoli pannelli interessa tutta l’opera: il senso della
prefigurazione, e tra i sottili temi teologici sono evidenti le allusioni ai sacramenti ed
all’azione della Grazia attraverso la materia vivente. Il simbolismo dell’acqua, che
attraversa tutta l’opera, come topos inerente alla liturgia battesimale ci offre una
conferma della relazione tra i motivi esegetici del bassorilievo ed il senso simbolico e
funzionale del portale e del nartece che lo precede, il quale - come abbiamo già
accennato in precedenza – si ritiene fosse appunto dedicato ai riti prebattesimali.
Dal punto di vista stilistico è da sottolineare l’impiego del rilievo piatto, presente
anche negli elementi marmorei all’interno della Basilica. La tecnica, che si completa
nell’uso del tratto inciso e del graffito, consente un linearismo marcato delle figure,
che risalta oltremisura nei panneggi che definiscono i corpi. Gli elementi
20
La struttura dei pannelli è pressocché identica, mentre può variare al loro interno la disposizione ed il numero degli
episodi narrati. Nell’esempio qui preso in analisi, infatti, si trovano accostati tre episodi evangelici a quattro episodi
della vita di Mosé.
21
La Manus Dei nel bassorilievo di S. Sabina è presente nei tre pannelli dedicati ad episodi dell’Antico Testamento
incentrati sulla figura di Mosé.
22
(«Subito dopo il rotolo del suo insegnamento, la bacchetta è l’attributo di Cristo che più ricorre nell’arte
paleocristiana, introdotto già nel III secolo»). T. F. Mathews, The Clash of Gods. A reinterpretation of Early Christian
Art, Princeton 1993.
dell’immagine, fatta eccezione per i quattro simboli del tetramorfo dove le ali
tendono a colmare lo spazio in ogni direzione, si stagliano sul fondo vuoto, partecipi
di una relazione tra lo spazio ed il piano tipica dell’arte tardoantica 23. (Fig. ) La forza
espressiva del rilievo è in tal modo accentuata dall’isolamento delle figure e degli
episodi su un fondo neutro, che conferisce grande risalto al senso paradigmatico di
ciò che sta accadendo. Questo spazio vuoto d’indeterminata profondità, unito alla
tendenza a minimizzare la terza dimensione ed alla trascuratezza di alcuni dettagli
formali concorrono a focalizzare l’attenzione dello spettatore sugli elementi
essenziali e quindi sul messaggio da comunicare. (Fig. )
Tali caratteristiche sembrano ascrivibili, secondo quanto afferma Ernst Kitzinger, ad
uno stadio in cui l’arte divenne un veicolo per la diffusione di alcune dottrine 24.
L’artista ha composto l’opera preoccupandosi della “relazione astratta tra le cose
piuttosto che delle cose in sé” e la composizione si svolge tutta su un solo piano
poiché “è spostata dalla sfera della vita reale ed assume un significato spirituale, un
carattere simbolico e trascendente” 25.

23
A. Riegl Arte Tardoromana Einaudi Torino 1959, p. 132.
24
E. Kitzinger, Arte Altomedievale, Torino 2005, p. 21.
25
Cfr. Kitzinger Arte Altomedievale, pp 3-50.

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