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DELL’ORDINE
FRANCESCANO
A cura di
MARIA TERESA DOLSO
- Editrici Francescane
SIGLE E ABBREVIAZIONI
1. SACRA SCRITTURA
3. ALTRE ABBREVIAZIONI
AF «Analecta Franciscana»
CCL Corpus Christianorum Latinorum
CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
FF Fonti Francescane (III edizione 2011)
MGH Monumenta Germaniae Historica, Scriptores
Vg Vulgata
AVVERTENZE
– I riferimenti alle traduzioni presenti in questo volume sono in-
dicati con il titolo abbreviato al quale segue il numero marginale
progressivo (che non indica la pagina).
– Quando le citazioni bibliche sono letterali, le parole interessate
sono poste fra virgolette.
INTRODUZIONE
1. MEMORIE AGIOGRAFICHE
Nel 1220, a distanza di poco più di dieci anni dal formarsi del
primissimo nucleo di compagni intorno a Francesco – tra i quali
certamente Bernardo ed Egidio – e dal viaggio a Roma per ottene-
re dal papa l’approvazione della loro forma vitae, cinque frati tro-
vano la morte in Marocco. Il loro martirio, insieme all’arrivo delle
reliquie in Portogallo, colpisce a tal punto il giovane canonico di
sant’Agostino Fernando da indurlo a indossare l’umile abito dei
Minori, assumendo il nome di Antonio. Dieci anni dopo, nel
1230, Francesco è già un santo canonizzato, e Antonio, destinato
a raggiungerlo in tale traguardo di santità due anni più tardi, fa
parte della delegazione di frati che si recano a Roma per chiedere
a Gregorio IX di intervenire su alcuni dubbi e problemi frutto di
discussioni e di pareri diversi inerenti l’osservanza della Regola e
del Testamento del fondatore. In questi pochi decenni già si di-
schiude e si svela l’articolazione e la diversificazione del francesca-
nesimo duecentesco: Francesco, certamente – e non potrebbe es-
sere diversamente – i compagni, i frati martiri in Marocco, Anto-
nio, altri frati che vivono questa primissima fase della storia
dell’Ordine e la cui memoria viene raccolta e tramandata.
Le fonti agiografiche, che vengono presentate per la prima vol-
ta insieme in questo volume, si riferiscono ai protagonisti che, con
Francesco, ma non necessariamente insieme a lui, hanno impron-
tato di sé il francescanesimo dei primordi: i primi compagni – Egi-
dio, soprattutto, oggetto di un peculiare e precoce interesse agio-
grafico –, ma anche Bernardo, Rufino, Masseo, Leone, Silvestro, e
altri ancora collettivamente presi in considerazione negli Actus; i
frati martiri la cui memoria era stata anch’essa tardivamente rac-
colta, nel corso del XIV secolo; Antonio da Lisbona/di Padova
con cinque Vite a lui dedicate, composte in un arco cronologico
compreso tra la sua morte e gli inizi del Trecento; i frati ricordati,
insieme allo stesso Antonio, nel Dialogus: Ambrogio da Massa,
Benvenuto da Gubbio e Ruggero di Todi, i più noti forse, per es-
sere stata avviata la petitio per l’apertura del processo di canoniz-
zazione, che pure non raggiunse l’esito auspicato del riconosci-
mento della loro santità (1); ma anche Matteo da Narni, nominato
vicario dell’Ordine nel 1219, e molti altri frati la cui fama sanctita-
tis aveva goduto di una certa risonanza in ambito locale.
La memoria, le memorie sono il nodo di fondo che viene messo
in evidenza dall’ampia raccolta di testi qui tradotti. Che cosa mo-
strano, infatti, sin da un primo sguardo, le Vite di Antonio e di
Egidio, insieme alla Passione dei santi frati martiri in Marocco, al
Dialogus e agli Actus? Mi pare che queste fonti, che sono e voglio-
no essere le memorie dell’Ordine del primo secolo, divengano lo
specchio non solo dell’evoluzione del francescanesimo, ma della
sua vocazione in qualche modo, sin dalle origini, ‘‘poligenetica’’,
nella misura in cui quelle memorie presentano i diversi aspetti
con cui è stata vissuta l’eredità di Francesco. Le fonti agiografiche
sono certamente espressione e manifestazione, al tempo stesso, del
ricordo del fondatore, dei modi e termini in cui esso si declina
nelle esperienze di quanti a lui si erano ispirati e continuavano a
voler riprodurre, pur in modi e termini diversi, il nocciolo di quel-
l’esperienza. Quel ricordo si configura come una sorta di patrimo-
nio comune, inserito però in un Ordine precocemente costituito e
sviluppatosi in modo a tratti tumultuoso sia per l’inaspettato e im-
pressionante successo di reclutamento, sia per la rapida assunzio-
ne di compiti e ruoli implicanti percorsi di formazione e di azione
dei frati senza dubbio distanti dalla dimensione di precarietà strut-
turale e di improvvisazione tipica della fraternitas originaria. Quel-
lo scarto che inevitabilmente si manifesta viene vissuto non senza
difficoltà e disagio all’interno di un’istituzione in cui, da subito,
convivono ‘‘anime’’ diverse, realtà difformi, aspettative e proget-
tualità differenti.
La lettura continuata, per cosı̀ dire, delle fonti agiografiche tra-
dotte e raccolte nel presente volume offre una visione complessiva
della vicenda storica dell’Ordine: pur mantenendo ovviamente
ogni testo una propria autonomia, essi – nel loro complesso – la-
sciano intravedere un percorso della famiglia dei Minori, che si
configura quale esito delle modificazioni avvenute nel contesto ec-
clesiale e sociale del XIII secolo. Questi testi divengono, al tempo
stesso, testimonianza di uno sviluppo controverso sul quale grava-
va un giudizio altrettanto controverso. Si tratta solo di uno tra i
molti possibili percorsi suggeriti dalle Vite, che mette in primo
piano il tema dell’agiografia come specchio della storia dell’Ordi-
ne. Attraverso scandagli su alcuni aspetti e momenti delle vicende
ne di Ambrogio da Massa (O.M., Orvieto 1240), «Società e Storia» 64 (1994), pp. 253-
278; cf. inoltre R. PACIOCCO, Da Francesco ai ‘‘Catalogi sanctorum’’. Livelli istituzionali
e immagini agiografiche nell’Ordine francescano (secoli XIII-XIV) (Collectio Assisien-
sis, 20), S. Maria degli Angeli-Assisi 1990, pp. 71-77; nel caso di Ruggero e Ambrogio,
Gregorio IX e Innocenzo IV concessero un’autorizzazione per il culto locale.
Introduzione 23
(2) Cf., per limitarsi a pochi riferimenti, G. MICCOLI, Francesco d’Assisi. Realtà e
memoria di un’esperienza cristiana (Paperbacks, 217), Torino 1991, pp. 190-302; J.
DALARUN, La Malavventura di Francesco d’Assisi. Per un uso storico delle leggende
francescane (Fonti e ricerche, 10), Milano 1996, pp. 41-175; R. MICHETTI, Francesco
d’Assisi e il paradosso della ‘‘minoritas‘‘. La ‘‘Vita beati Francisci’’ di Tommaso da
Celano (Nuovi studi storici, 66), Roma 2004; LUIGI PELLEGRINI, Frate Francesco e i suoi
agiografi (Medioevo francescano, 8), S. Maria degli Angeli-Assisi 2004, pp. 113-313;
A. VAUCHEZ, Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria (Saggi, 911), Torino 2010 (ed. or.
François d’Assise. Entre histoire et mémoire, Paris 2009), pp. 201-226; E. PRINZIVALLI,
Un santo da leggere: Francesco d’Assisi nel percorso delle fonti agiografiche, in France-
sco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana (Biblioteca Einaudi, I), Torino 1997,
pp. 71-116.
24 Introduzione
ne paolina su Dio che «ha scelto ciò che è stolto del mondo per
confondere i sapienti» (8). Ed è proprio l’esempio di Paolo a offrire
la soluzione più convincente ai dubbi espressi dal confratello:
«Tuttavia nondimeno [Dio] dal cielo ha chiamato il sapiente Paolo
per costruire la casa fondatrice della Chiesa in cammino, e adatta-
re al di sopra di Cristo, che ne è il fondamento, una serie di pietre
vive come regola di fede; cosı̀ convocò Pietro e Giovanni e gli altri
apostoli, che certo, anche se scelti senza lettere e ignoranti (idio-
tas), istruiti tuttavia dallo Spirito, meritarono di andare oltre la sa-
pienza dei sapienti del mondo. Forse che al sapiente Paolo – cosı̀
prosegue la riflessione – mancò la grazia delle guarigioni?» (9). Il
ragionamento, arricchito da altri riferimenti scritturistici, è cosı̀
completo: Dio ama i semplici e la semplicità, però ha scelto la sa-
pienza di Paolo per guidare la sua Chiesa; allo stesso tempo ha
chiamato a sé gli apostoli, persone semplici – sine litteris et idiotas
– ma sapienti anch’essi per grazia dello Spirito. La grazia delle
guarigioni accordata a Paolo dimostra icasticamente che santità e
scienza non sono incompatibili, tutt’altro, verrebbe da dire. E for-
se non è casuale che subito di seguito vengano narrati i miracoli di
Adamo Rufo, allievo di Roberto Grossatesta, da alcuni identificato
con il magister Adamo di Oxford, come a voler mostrare immedia-
tamente un esempio concreto di frate sapiente, ma non per questo
privo della grazia dei miracoli.
Le due ‘‘vocazioni’’ francescane, precocemente distintesi e al-
trettanto precocemente vissute in modo tendenzialmente alternati-
vo, sembrano trovare già nel Dialogus una rassicurante, se pure
non risolutiva, composizione. Tuttavia sul fatto che queste antiteti-
che vocazioni abbiano continuato a incidere sulla storia dell’Ordi-
ne, a costituire, spesso in modo sotterraneo, due poli in qualche
modo alternativi o vissuti come tali, mi pare accertato da tanti epi-
sodi degli Atti del beato Francesco e dei suoi compagni, tra i quali
senza dubbio spicca, per l’inusitata violenza attribuita a Francesco,
quello relativo alla maledizione scagliata contro un ministro colpe-
vole di aver istituito uno studium a Bologna. Appena venuto a co-
noscenza del fatto, Francesco – secondo il racconto degli Atti – si
reca immediatamente a Bologna e rimprovera con insolita durezza
il frate: «‘‘Tu vuoi distruggere il mio Ordine! Desideravo e volevo,
sull’esempio del mio Signore Gesù Cristo, che i miei frati pregas-
sero piuttosto che studiassero’’. Allontanandosi da Bologna san
Francesco lo maledı̀ di una dura maledizione» (10). Immediatamen-
612-613, cf. anche le pagine seguenti per la diffusione del racconto nelle fonti trecen-
tesche; la fonte dell’episodio, come di altri confluiti negli Actus, è l’Historia septem
tribulationum di Angelo Clareno, cf. ANGELO CLARENO, Historia septem tribulationum
Ordinis Minorum, ed. critica a cura di O. Rossini; introd. e commento di H. Helbling
(Fonti per la storia dell’Italia Medievale. Rerum Italicarum Scriptores, 2), Roma 1999,
pp. 94-95 (FF 2169).
(11) Atti 1742.
(12) Benignitas 892; su questo passaggio cf. oltre.
(13) Gli Actus parlano di Giovanni «de Sciaca», che ha poi numerose varianti in
altri testi coevi o successivi, come la compilazione di Avignone, cf. D OLSO, Le maledi-
zioni di Francesco, pp. 612-616.
(14) Si tratta del miracolo relativo alla capacità di Antonio di farsi comprendere da
persone parlanti lingue diverse e dell’affascinante miracolo della predica ai pesci. Gli
Atti definiscono Antonio «uno dei discepoli eletti di san Francesco, che san France-
sco chiamava suo vescovo» (Atti, capp. 44 e 45), come risulta dalla stessa lettera che il
fondatore avrebbe indirizzato ad Antonio, autorizzandolo a insegnare teologia ai frati,
cf. FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, a cura di A. Cabassi, Padova 2002, p. 392 (FF 251).
Introduzione 27
sulle orme e per volontà di Francesco (17). Si tratta di uno dei raris-
simi casi in cui vengono ricordati i lebbrosi, il cui ruolo – è ampia-
mente noto – era stato assolutamente centrale nella conversione di
Francesco, evocata con poche, incisive parole all’inizio del suo Te-
stamento (18). Pur essendo privo di istruzione e di cultura, Benve-
nuto ne mostrava l’efficacia più con l’opera che con la parola, e la
prima delle opere menzionate è il servizio presso i lebbrosi (19).
Rimane tuttavia Antonio la perfetta sintesi di vocazioni diverse.
Da una parte egli è pienamente inserito nella società del suo tempo
in virtù della precoce assunzione dell’ufficio della predicazione,
benché non manchi nell’esperienza di Antonio l’anelito all’eremo;
dall’altra egli è simbolo della cultura, più precisamente, del passag-
gio dalla simplicitas delle origini all’alto livello culturale che co-
mincia presto a connotare l’Ordine. L’ingresso di Antonio tra i
Minori è infatti consapevolmente inteso dai frati come un innalza-
mento del livello culturale di tutto l’Ordine. L’Assidua sottolinea la
soddisfazione dei frati che avevano accolto Antonio, ricolmi di
gioia di fronte alla decisione di un uomo cosı̀ insigne di vestire il
loro stesso umile abito, coscienti di aver raggiunto un obiettivo
importante. Si tratta del medesimo obiettivo dei frati inglesi quan-
do invitano il celebre magister Adamo di Oxford «toto famosus
orbe», a vestire l’abito dei Minori: «Magister carissime [...] releva
simplicitatem nostram» (20).
Nella sapienza di Antonio si manifesta l’illuminazione dello spi-
rito, ed è – mi pare – nella sottolineatura di questo carattere che si
(17) Cf. Dialogo 185: «su mandato del santo padre Francesco umilmente si sotto-
pose ad essere al servizio dei lebbrosi dando loro attenzioni di umanità, lavando
spesso con le mani i loro piedi e corpi e detergendo senza fastidio il pus delle piaghe
che usciva dalle membra putrefatte».
(18) Cf. FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, pp. 432-433: «Il Signore cosı̀ diede a me, fratel-
lo Francesco, di iniziare a fare penitenza, poiché, essendo nei peccati, troppo mi
sembrava amaro vedere i lebbrosi. E lo stesso Signore mi condusse in mezzo a loro
e feci misericordia con loro. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi
si trasformò in dolcezza d’animo e di corpo».
(19) I lebbrosi, per altro, risultano protagonisti di alcuni miracoli di guarigione
operati dallo stesso Benvenuto, in cui l’agiografo sottolinea l’aspetto ripugnante e di
esclusione sociale che la malattia comportava; sul tema, molto ricco di possibili rinvii
bibliografici, mi limito a ricordare l’ultimo volume, appena pubblicato, dei «Quaderni
di storia religiosa» dedicato appunto ai lebbrosi: cf. Malsani. Lebbra e lebbrosi nel
Medioevo, a cura di G. De Sandre - M.C. Rossi (Quaderni di storia religiosa, 19),
Caselle di Sommacampagna, Verona 2012, in particolare il contributo di D. S OLVI,
Santi e lebbrosi nel Duecento, in Malsani. Lebbra e lebbrosi.
(20) TOMMASO DI ECCLESTON, Tractatus de adventu fratrum Minorum in Angliam, ed.
A.G. LITTLE (Collection d’études et de documents sur l’histoire religieuse et littéraire
du Moyen Âge, 7), Paris 1909, collatio III, p. 21; nella più tarda Chronica XXIV
Generalium il magister diventerà il ben più celebre Alessandro di Hales, cf. Chronica
XXIV Generalium Ordinis Minorum, AF III, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1897, pp.
218-220.
Introduzione 29
(25) Vita seconda 788. Anche Neslihan S,enocak ha rilevato il ruolo di Antonio
come miglior rappresentante di un francescanesimo «dotto» («Perhaps more than
Francis, Antony of Padua made his mark on the learned Franciscans and how they
identified themselves with the Franciscan movement») e ha sottolineato il ruolo della
Vita di Giuliano da Spira che ha influenzato altresı̀ i sermoni duecenteschi in onore
di Antonio, cf. N. S,ENOCAK, The Poor and the perfect. The Rise of Learning in the
Franciscan Order, 1209-1310, Ithaca (New York) 2012, pp. 112-117 (p. 112 per la
citazione).
(26) Vita seconda 809; per un approfondimento relativo a questo passaggio anche
attraverso un confronto con la versione dell’Assidua, cf. A. R IGON, Dal Libro alla folla.
Antonio di Padova e il francescanesimo medievale (I libri di Viella), Roma 2002, p. 57.
(27) Assidua 765.
(28) Dialogo 66.
Introduzione 31
goli frati e non dell’Ordine nel suo complesso – sul fronte dell’e-
resia è già consolidato (29). Il problema ereticale, originariamente
estraneo agli interessi e all’orizzonte stesso dei frati, rientra in
quella dialettica esterna all’Ordine che ben presto, tuttavia, ne in-
fluenza e ne condiziona lo sviluppo, le attività e le priorità. Colpi-
sce, in quest’ottica, che un’opera di raccolta di episodi miracolosi
attribuiti a tanti membri dell’Ordine, che si propone quale precoce
silloge di santità minoritica, si apra ponendo la lotta antiereticale
tra le proprie finalità. Quell’eresia, argomento mai evocato da
Francesco, assurge nel Dialogo – benché poi, di fatto, la sua pre-
senza nell’opera sia tutt’altro che cospicua – a motivo e scopo di-
rimente della sua stessa composizione.
La realtà di quello scarto, per molti versi ineludibile, tra realiz-
zazioni minoritiche che si configurano come irriducibilmente di-
stanti, sembra voler essere negata proprio attraverso il ricorso al
modello antoniano. Giuliano da Spira, nella Vita seconda, appare
attento a far apparire la sapienza di Antonio non solo come priva
di contraddizione rispetto alla sua simplicitas, ma come stretta-
mente connessa ad essa. Cosı̀ a Montepaolo, dove si era affidato
«totalmente al volere divino», «essendo ricco del dono della sa-
pienza, [Antonio] condusse questa vita semplice tra i sempli-
ci» (30). Descrivendo il modo in cui fu rivelato «divinamente» ai
frati «lo splendore della sapienza celeste» di Antonio, l’agiografo
sottolinea come, oltre che dotato di «divina sapienza», egli fosse
«povero in spirito in unione coi poveri» (31). Tre elementi si incon-
trano e, in qualche modo, si fondono in Antonio: sapienza – sem-
pre divina sapienza, sapienza celeste, sapienza che proviene da
Dio e non dal mondo, ma che Antonio coltiva e accresce –, sem-
plicità, intesa anche nel senso proprio di condivisione di vita –
«condusse questa vita semplice tra i semplici» (32) –, e povertà,
una povertà vissuta «in spirito», ma di nuovo, in condivisione
(29) Sull’impegno inquisitoriale dei Minori prima e dopo la svolta del 1254, cf.
G.G. MERLO, Frati Minori e inquisizione, in Frati Minori e inquisizione. Atti del
XXXIII Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Centro inte-
runiversitario di studi francescani, Assisi 6-8 ottobre 2005 (nuova serie, 16), Spoleto
2006, pp. 3-24; per un’ampia panoramica dell’impegno inquisitoriale dei Minori in
diverse zone dell’Italia centro-settentrionale e in qualche altra area europea (Francia e
Bosnia), vedi anche il resto del volume; cf. inoltre il precedente contributo di L.
PAOLINI, Papato, inquisizione, frati, in Il papato duecentesco e gli Ordini Mendicanti.
Atti del XXV Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Centro
interuniversitario di studi francescani, Assisi 13-14 febbraio 1998 (nuova serie, 8),
Spoleto 1998, pp. 177-204; cf. infine, per seguire gli inizi dell’impegno antiereticale
dei frati, il contributo di M. BENEDETTI, Gregorio IX: l’inquisizione, i frati e gli eretici,
in Gregorio IX e gli Ordini Mendicanti, pp. 293-323.
(30) Vita seconda 797-798.
(31) Vita seconda 801-802.
(32) Vita seconda 798.
32 Introduzione
(38) Cf. le incisive parole di Grado Merlo su questo aspetto, cf. M ERLO, Nel nome
di san Francesco, pp. 184-185: «‘‘Utilità’’ è un concetto ecclesiologico centrale nel
pensiero giustificativo dei frati Minori durante i decenni centrali del XIII secolo:
che si tratti di polemizzare con i maestri secolari dello Studio parigino, oppure di
difendere la propria posizione ecclesiastica nell’assise conciliare, oppure di distin-
guersi dalle diverse genie pseudo-mendicanti, oppure di rivendicare i propri diritti
di cura d’anime di fronte alle opposizioni del clero diocesano».
(39) Nutrita la storiografia su questo tema centrale; mi limito a citare, per un
inquadramento generale dell’argomento e per una sua esaustiva trattazione, R. L AM-
BERTINI, Apologia e crescita dell’identità francescana (1255-1279) (Nuovi studi storici,
4), Roma 1990.
(40) Cf. Constitutiones generales Ordinis fratrum Minorum I (Saeculum XIII), edd.
C. Cenci - R.G. Mailleux, AF XIII (Nova Series, Documenta et Studia, 1), Grottafer-
rata 2007, pp. 22-23.
34 Introduzione
tempi per mezzo dei suoi servi Francesco ed Antonio e degli altri
predicatori, espressamente mandati, come si crede, a quest’epoca
che si avvia al tramonto» (41).
Antonio è significativamente posto tra Paolo e Francesco: come
un secondo apostolo delle genti è destinato da Dio all’altissimo
compito dell’evangelizzazione e dopo gli apostoli stessi è chiamato,
insieme a Francesco, a salvare l’umanità che «si avvia al tramon-
to». La dimensione non è più quella dell’Ordine, della Chiesa,
nemmeno quella delle turbolente società cittadine dove l’azione
dei frati si era dimostrata importante e incisiva, ma è quella della
historia salutis, della lunga storia del rapporto tra Dio e gli uomini,
in cui – accanto ai patriarchi, ai profeti, ai dottori della Chiesa,
accanto a Gesù stesso e agli apostoli – un ruolo d’eccezione è
attribuito a Francesco e Antonio, posti l’uno accanto all’altro.
L’accostamento tra i due santi francescani torna nella chiusa della
Benignitas, dove viene riproposto il parallelismo Antonio-Paolo in-
sieme a quello Francesco-Pietro.
«Francesco [...] nella maniera in cui il beato Pietro lo fu per la
Chiesa universale, cosı̀ fu fondatore, guida e pastore [...]. Antonio,
nella maniera in cui il beato Paolo lo fu per la stessa Chiesa, cosı̀
ne fu predicatore, costitutore e docente» (42).
Solo nella più tarda Rigaldina, verosimilmente composta nel
primo decennio del Trecento, si ritrova l’accostamento dei due
santi che, nella tradizione antoniana precedente, si limitava sostan-
zialmente all’episodio dell’apparizione di Francesco mentre Anto-
nio predicava ai frati riuniti nel capitolo di Arles (43). Nel dettato
della Rigaldina la scelta di Antonio di unirsi ai Minori ha uno sco-
po provvidenziale ben preciso: «affinché Francesco non corresse
da solo nell’agone della predicazione». E cosı̀, nell’accogliere la
richiesta di Antonio di entrare nell’Ordine, «quei semplici frati
provano un’immensa gioia, vedendo accrescersi il loro ovile, entra-
re nel recinto una pecora feconda e ampliarsi la Chiesa che, per i
meriti di Francesco, dava alla luce una nuova prole» (44). Non solo:
per Giovanni Rigaldi, autore dell’opera, Antonio «imitò [...] il suo
maestro Francesco» (45). Dalla complementarità istituita tra i due
santi nella Benignitas, si passa alla sequela e all’imitazione: «uomo
di umilissima semplicità» lo definisce ancora la Rigaldina, «educa-
to agli ideali di povertà, purezza e obbedienza secondo la regola
dei frati Minori» (46), «vero amante dell’umiltà, che preferiva essere
discepolo più che maestro» (47).
La vicinanza dei due santi francescani (48), uniti nella missione di
salvezza ancora richiamata nel passo conclusivo della Benignitas, si
declina in modi e forme diverse nella tradizione agiografica anto-
niana che, da un lato, insiste sulla complementarità, evidenziando
le altissime qualità intellettuali e culturali di Antonio, nella convin-
zione che egli rappresenti comunque la necessaria evoluzione ri-
spetto a Francesco e alla sua fraternitas e, dall’altro, con la Rigaldi-
na fa prevalere l’imitazione, proponendo una raffigurazione di An-
tonio in cui l’esaltazione della povertà occupa un posto privilegiato.
Espressione del primo aspetto dell’evoluzione agiografica è so-
(49) Cosı̀ recitano rispettivamente i titoli dei capitoli 12 e 13 della Benignitas (Sua
profonda cultura biblica e Docente nei conventi del suo Ordine, ministro provinciale,
predicatore).
(50) Benignitas 892.
(51) Donato Gallo, nella Presentazione dell’opera, riassume le varie posizioni sto-
riografiche in merito alla datazione dell’opera e individua come il periodo più proba-
bile di composizione gli anni 1276-1278, cf. Benignitas, pp. 312-314.
(52) Benignitas 888, cosı̀ l’originale latino: magis computari eligit inter ydiotas et
laycos, quam inter sciolos et magistros.
(53) Raimondina 951 (carnaliter imperiti, seculariter abiecti ac numero exigui).
(54) Raimondina 984.
Introduzione 37
che viene insieme definito anche «il più semplice tra i semplici» (55).
Semplicità e sapienza si toccano evidenziando un percorso comune
che vuole tenere insieme le forze centrifughe del francescanesimo.
Nell’ultimo scorcio del Duecento, quando moriva il più fecondo
dei pensatori francescani Spirituali, Pietro di Giovanni Olivi (56),
tra i più impegnati nella riproposizione di aspetti fondamentali del-
la vita del fondatore, attraverso modi e forme di vita che ne mante-
nessero inalterata l’impronta, l’autore di questa Vita, per altro de-
stinata a ben poco successo, teneva a precisare come quei primi
frati, che avevano ricevuto Antonio nell’Ordine, seguissero la vita
evangelica nella sua purezza e nella sua integrità «sine glosis distra-
hentibus» (57).
Raccordo ideale tra i due fondamentali momenti successivi –
delle origini e dello sviluppo geografico, ma soprattutto culturale
dei Minori – è Antonio, che «nel suo Ordine fu il primo docente –
come ricorda la Benignitas – a tenere scuola» e, va aggiunto, a te-
nere scuola a Bologna dove, come ancora puntualizza la Benigni-
tas, «allora funzionava lo Studio di più alto livello in tutti i saperi
dei nostri contemporanei da questa parte delle Alpi, e per questo
motivo sembrò bene ai frati, cioè a quelli di maggiore spicco, di
destinare Antonio a insegnare colà» (58). Si può forse attribuire alla
sensibilità del magister l’attenzione per l’Università bolognese, ma
certo si trattava di un’attenzione rispondente alla realtà dell’Ordi-
ne negli anni settanta del Duecento, in cui l’impegno negli studi,
sempre funzionali al raggiungimento di un’adeguata preparazione
dei frati incaricati del ministero pastorale, aveva ormai solide e
profonde radici. Nella stessa Benignitas, per altro, la sapienza di
Antonio, enfaticamente definito «tromba di Dio» (59), appare fina-
lizzata all’insegnamento e soprattutto alla predicazione, che fa da
sfondo anche a molti episodi miracolosi (60). Il suo insegnamento
viene ricordato anche nella Raimondina che si sofferma sui diversi
uffici ricoperti da Antonio: docente, predicatore, ma impegnato
altresı̀ nel governo dei frati (61).
(62) Rigaldina 1088-1089; tutto il capitolo sesto è dedicato alla «sua grande pover-
tà», i corsivi sono miei.
Introduzione 39
centro stesso della vita del frate» (63). Tra gli esempi citati viene
ricordato il sermone de sancto Antonio di Matteo d’Acquasparta,
ministro generale dell’Ordine (1287-1289) e successivamente car-
dinale, al quale non sono certamente attribuibili inclinazioni o sim-
patie spirituali: nel suo sermone la scelta francescana del giovane
canonico Fernando si configura come il «segno della sua volontà
di essere completamente povero». Secondo Matteo d’Acquaspar-
ta, dunque, a muoverlo non sarebbe stato l’esempio dei protomar-
tiri del Marocco, bensı̀ «il suo desiderio di perfezione che non può
essere raggiunta sine paupertate» (64).
Sul piano agiografico, come pure su quello omiletico, che – co-
me ipotizzano le recenti ricerche – potrebbe aver influenzato l’a-
giografia di inizio Trecento (65), tale sottolineatura della povertà
rappresenta un elemento sostanzialmente nuovo, mai emerso pre-
cedentemente in forme e modi analoghi, che è ipotizzabile mettere
in relazione alle polemiche Spirituali/Comunità. Come sembra in-
dicare il sermone di Matteo d’Acquasparta, la povertà di Antonio,
il cui riconoscimento ufficiale della santità ovviamente lo innalzava
su di un livello insormontabile, può essere letto come una risposta
efficace e inoppugnabile agli argomenti degli Spirituali, sottraendo
loro la pretesa di essere gli unici a seguire la paupertas di France-
sco. D’altra parte non si può dire che la povertà fosse estranea
all’orizzonte di Antonio, come ha mostrato in modo fondato e per-
suasivo, in un suo recente contributo, Antonio Rigon. Scorrendo e
analizzando i sermoni del santo, Rigon ha evidenziato la centralità
della riflessione sulla povertà di Cristo, intesa non sono come man-
canza di mezzi, ma, più complessivamente, come stato di ‘‘minori-
tà’’, di privazione assoluta (66). Nel sermone di Natale la riflessione
di Antonio sulla portata e sul senso dell’annuncio, dato ai pastori,
della nascita Gesù si configura come un’adesione totale alla pover-
tà, espressa attraverso un’originale varietà di figure e immagini:
«Che cosa significa dire ‘‘troverete un bambino’’, se non che trove-
degli apostoli, araldo del Vangelo, nunzio della verità che salva.
Aprı̀ nella Chiesa la sua bocca che Dio aveva colmato dello spirito
di sapienza e di intelletto» (70).
Con l’affiancamento di Antonio a Francesco, uniti nella salvifi-
ca missione di guide e pastori del popolo fedele, l’agiografia confi-
gura un percorso comune e condiviso fin dal principio, una inin-
terrotta linea di continuità, ma forse vi è di più: questa tradizione
agiografica influisce sull’immagine di Francesco, nella misura in
cui lo stesso fondatore risulta pienamente e nettamente inserito
nel contesto di un ordine già istituzionalizzato, di una struttura
ecclesiastica con ruoli, compiti e obiettivi vasti e complessi. Eppu-
re nella memoria dell’Ordine restano consistenti tracce di ipotesi
diverse: lontano, infatti, dall’esaurire il panorama dei percorsi di
sviluppo e di evoluzione dell’esperienza minoritica, le Vite di An-
tonio, con la loro articolata e stratificata elaborazione, rappresen-
tano solo uno degli aspetti, per quanto rilevante, di una tradizione
‘‘spezzettata’’ che manifesta una straordinaria e persistente vitalità.
(72) Si tratta della Vita fratris Aegidii, viri sanctissimi et contemplativi, che fa parte
della Chronica XXIV Generalium, pp. 74-115; tale Vita è stata esclusa dal presente
volume sia per la redazione tarda sia perché la Chronica rappresenta un’opera compi-
lativa certamente, ma con una propria struttura e unità che implica la necessità di una
sua globale considerazione; mi permetto tuttavia di rimandare, per un’analisi della
Vita egidiana in essa contenuta, a M.T. DOLSO, Le ‘‘Vitae’’ di Egidio d’Assisi nella
‘‘Chronica XXIV Generalium’’ e nel ‘‘De conformitate’’ di Bartolomeo da Pisa, in Frate
Egidio d’Assisi. Atti dell’incontro di studio in occasione del 750 o anniversario della
morte (1262-2012), Spoleto 2013, pp. 49-82.
(73) Cf. S. BRUFANI, Egidio d’Assisi tra storia e agiografia, «Franciscana», 13 (2011),
pp. 29-41.
(74) VitaPer 1181.
(75) VitaPer 1186.
(76) VitaPer 1190, cf. anche VitaPer 1191: «Era deriso da molti [...]».
Introduzione 43
(77) Su questo tema centrale cf. MICHETTI, Francesco d’Assisi e il paradosso; MICCO-
LI, Francesco d’Assisi. Realtà e memoria, pp. 148-302; PELLEGRINI, Frate Francesco e i
suoi agiografi, pp. 113-313; DALARUN, La Malavventura; VAUCHEZ, Francesco d’Assisi.
Tra storia e memoria, pp. 201-226; PRINZIVALLI, Un santo da leggere, pp. 71-116.
(78) VitaPer 1192 e 1193; molto meno particolareggiata su questi aspetti risulta la
Vita Leonina, dove pure l’agiografo sottolinea che «il servo del Dio eccelso non si
vergognava di umiliarsi e abbassarsi a ogni opera servile e onesta per il buon esempio,
affinché mangiasse grazie al lavoro delle proprie mani» (VitaLeo 5).
(79) VitaPer 1192.
(80) VitaPer 1198 e 1196.
(81) VitaPer 1204.
(82) VitaPer 1205.
(83) VitaPer 1206.
(84) VitaPer 1198.
(85) VitaPer 1207, cf. anche, più succintamente, VitaLeo 1238.
44 Introduzione
Egidio riguardo alla scienza, conditio sine qua non per affrontare
quei compiti e quei ruoli.
Il tema della sapienza che – come ho cercato di mostrare – per-
corre tutte le Vite antoniane, è al centro anche di alcuni Detti: «La
sapienza massima è compiere opere buone e custodire bene se
stessi e osservare i giudizi di Dio. Disse una volta a uno che desi-
derava andare a scuola per istruirsi: ‘‘Perché vuoi andare a scuola?
La perfezione di tutta la scienza è temere e amare Dio; queste due
cose ti sono sufficienti’’ [...]. Non confidare dunque nella tua sa-
pienza, ma impegnati a operare con sollecitudine e confida in
quelle opere [...]. La parola di Dio non è di chi la annuncia o la
ascolta, ma di chi la trasforma in opere» (99). E ancora: «Io non
giudico di minore virtù sapere bene tacere che sapere bene parla-
re; e mi sembra che l’uomo dovrebbe avere il collo di una gru,
affinché la parola transiti attraverso molti nodi prima che esca dal-
la bocca» (100). A due nobili interlocutrici che gli chiedevano qual-
che «buona parola» cosı̀ risponde Egidio, sottraendosi, di fatto,
alla richiesta: «Di quale argomento vogliamo parlare? Se parliamo
delle cose del mondo, esse sono vane; se parliamo delle opere della
carne, sono turpi e maleodoranti; se vogliamo parlare di Dio, chi
saprebbe parlare di lui come è conveniente e chi comprenderebbe
colui che parla?» (101).
Nel contesto di un’istituzione minoritica precocemente impe-
gnata in modo attivo e dinamico nella Chiesa e nella società, le
parole di Egidio, insieme alla sua stessa parabola di vita, mi pare
configurino una presa di distanza rispetto allo sviluppo corrente
dell’Ordine, quell’Ordine che Egidio stesso definisce il «migliore»
mai apparso «dal principio del mondo fino a ora» e «più libero da
pesi» (102) rispetto a tutti gli altri. Ma sembrano essere proprio i
compiti e le funzioni che i frati sono chiamati a svolgere, con tutte
le implicazioni che essi comportano, a costituire quei «pesi», a in-
sinuare il rischio del tralignamento: «L’Ordine dei frati Minori mi
sembra il più povero e il più ricco di questo mondo; ma questo mi
sembra essere il nostro maggiore vizio, perché vogliamo cammina-
re troppo in alto» (103). Si profila, con Egidio, rappresentante di un
minoritismo assisiate e umbro di cui si voleva tenacemente conser-
vare memoria, un’alternativa a quello sviluppo, che vorrebbe porsi
in stretta continuità con Francesco: permane, persiste e si consoli-
da una memoria che si vuole estranea all’evoluzione dell’Ordine.
Gli Actus che – come ricorda Filippo Sedda – «in senso stretto
non si possono neppure annoverare tra i titoli del genere bio-agio-
grafico, rappresentando piuttosto una raccolta non organica, sia dal
punto di vista geografico che cronologico» (104), contengono due
episodi riguardanti Antonio di Padova e diversi racconti relativi a
Egidio. Antonio, che già nell’Historia septem tribulationum di An-
gelo Clareno è significativamente posto a fianco dei primi compa-
gni di Francesco, oggetto, insieme ad essi, della feroce persecuzione
di Elia (105), viene qui nuovamente ricordato nel contesto della fra-
ternitas, della quale invero – com’è evidente – non aveva mai fatto
parte. Mi sembra che tale scelta non sia motivata tanto dal deside-
rio di gettare quasi un ponte tra quel minoritismo umbro-marchi-
giano, di cui gli Actus sono tenace espressione, e il minoritismo del-
le province, cresciuto lontano da Assisi, e rapidamente affermatosi,
ma sia dettata proprio dalla volontà di ‘‘ricomprendere’’ Antonio
nell’alveo delle origini della fraternitas. Mi pare che l’intenzione
non sia quella di indicare strade diverse, ma accomunate dall’ana-
logo rifarsi alla memoria di Francesco, bensı̀ quella di immettere,
per cosı̀ dire, Antonio nella tradizione più vicina al fondatore, in
(104) F. SEDDA , Presentazione agli Atti del beato Francesco e dei suoi compagni,
p. 502.
(105) ANGELO CLARENO, Historia septem tribulationum, p. 141: «Santus vero Anto-
nius [...] cum enim de Sicilia ad visitandum reliquias sancti Francisci venisset Assi-
sium, captus et expoliatus a fratris Helie sagionibus, usque ad sanguinem flagellatus
est. Qui verbera, flagella et contumelias pro hospitalitatis gratia patienter recipiens,
laudes Deo et flagellantibus benedictiones rependebat, dicens ‘‘Benedictus Deus, Do-
minus parcat vobis, fratres!’’»; cf. RIGON, Dal Libro alla folla, pp. 109-111.
48 Introduzione
(110) Su Leone da Perego, cf. G.G. MERLO, Leone da Perego, frate Minore e arcive-
scovo, «Franciscana» 4 (2002), pp. 29-110; più in generale sul tema dei frati-vescovi,
cf. Dal pulpito alla cattedra. I vescovi degli Ordini Mendicanti nel ’200 e nel primo ’300.
Atti del XXVII Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Cen-
tro interuniversitario di studi francescani, Assisi 14-16 ottobre 1999 (nuova serie, 10),
Spoleto 2000.
(111) Si tratta di Girolamo d’Ascoli, ministro generale dell’Ordine dal 1274 al
1278, eletto papa dieci anni dopo con il nome di Niccolò IV.
(112) Atti 1542 e 1543.
(113) Atti 1544 e 1545.
50 Introduzione
(114) Cf. MERLO, Nel nome di san Francesco, pp. 252-276; LAMBERTINI - TABARRONI,
Dopo Francesco, soprattutto pp. 77-100; A. TABARRONI, ‘‘Paupertas Christi et apostolo-
rum’’. L’ideale francescano in discussione (1322-1324) (Nuovi studi storici, 5), Roma
1990; M.D. LAMBERT, Povertà francescana. La dottrina dell’assoluta povertà di Cristo e
degli apostoli nell’Ordine francescano (1210-1323) (Fonti e ricerche, 8), Milano 1995
(ed. or. The Doctrine of the absolute Poverty of Christ and the Apostles in the Franci-
scan Order 1210-1323, London 1961), soprattutto pp. 179-241.
(115) Atti 1706, il corsivo è mio.
Introduzione 51
Nel racconto degli Actus, Pietro e Paolo, gli apostoli che fonda-
rono la Chiesa, diventano testimoni d’eccezione dell’approvazione
divina di Francesco, del fondamento evangelico e apostolico della
povertà, «tesoro» concesso al fondatore e ai suoi fedeli emuli: l’Or-
dine – nonostante le dure condanne subite – restava, per i redatto-
ri dell’opera, saldamente ancorato alle sue prerogative, a quella
povertà che, da sempre, si configurava come suo carattere distinti-
vo. Gli Actus sembrano cercare nuove ipotesi di legittimità che, in
virtù della loro evidente autenticità e autorevolezza, potessero ri-
condurre i frati nell’alveo della piena ortodossia, senza rinunciare
alla propria stessa ragion d’essere. La questione della povertà ri-
mane un nodo che non può essere eluso e sembra anzi rappresen-
tare una sorta di filo rosso che attraversa tutta l’opera e che, come
si è visto, percorre altresı̀, in modo più o meno marcato, tutti i testi
qui raccolti.
Esemplare l’episodio relativo alla partecipazione di san Dome-
nico a un capitolo generale dei Minori presso Santa Maria degli
Angeli, durante il quale egli rimane colpito dall’intervento della
«divina provvidenza» a sostegno dei frati e, ricredendosi rispetto
al giudizio di scarso discernimento precedentemente formulato su
Francesco, non solo ne riconosce la santità, ma decide di imitarne
l’esempio di povertà: «veramente Dio ha cura di questi santi pove-
relli e io non lo sapevo. Per cui da ora prometto di osservare la
santa evangelica povertà e maledico da parte di Dio tutti i frati
del mio Ordine che pretenderanno di avere qualcosa di proprio
nell’Ordine» (120). La precarietà e il secco rifiuto di pianificare il
futuro, ciò che avrebbe implicato l’accettazione dell’accumulo e
di un’organizzazione attenta e articolata, affiorano di frequente
nella trama narrativa degli Actus, con un Francesco incline a esor-
tare i frati a non trascurare mai la povertà, ricordando che: «Quan-
to i frati si allontaneranno dalla povertà, tanto più il mondo si al-
lontanerà da loro [...]. Ma se resteranno abbracciati alla mia signo-
ra [povertà], il mondo li nutrirà, perché sono stati dati al mondo
per la sua salvezza (121)».
Gli Actus presentano un contenuto tutt’altro che omogeneo, in-
troducendo sia personaggi indubbiamente legati alla fraternitas
delle origini – Egidio, Bernardo, Rufino, Masseo, Angelo, Leone,
Chiara – che tendono a diventare protagonisti essi stessi, anche
senza Francesco, di numerosi episodi, sia frati che vivono nella
Marca d’Ancona verso la fine del Duecento: Corrado da Offida,
Giacomo da Massa, Giovanni di Penna sono tra i più noti. Quello
marchigiano è un territorio che – come ricorda Filippo Sedda nella
avrebbe rifiutato la legenda che già era stata composta sui frati del
Marocco e ne avrebbe proibito la lettura. La secca e tagliente repli-
ca opposta dal fondatore si trasforma, nella Passione trecentesca, in
una compiaciuta esultanza: «Ora posso dire veramente che ho cin-
que frati» (140). Tale evidente scarto impone – mi pare – di cercare
di valutare, in prima istanza, il peso, il ruolo, la presenza del tema
del martirio negli scritti di Francesco, che rimangono – impossibile
dimenticarlo – un punto di riferimento ineludibile in virtù non solo
«dell’importanza storica di quegli scritti, ma del loro spessore reli-
gioso e umano, della loro forza espressiva, della potenza dirompen-
te dei concetti e dei sentimenti che premono in essi» (141).
Il termine martirio non compare mai negli scritti di Francesco.
Vi è un’allusione, un riferimento implicito alla possibilità di trovare
la morte nell’annuncio del Vangelo nel capitolo XVI della Regola
non bollata (De euntibus inter saracenos et alios infideles). L’atteg-
giamento raccomandato ai frati è, con ogni evidenza, quello della
prudenza, con il rimando iniziale al passo di Matteo 10,16 («Siate
dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe»), e la
via indicata è quella della testimonianza evangelica: «non facciano
liti né contese, ma siano sottomessi a ogni creatura umana per
amore di Dio e confessino di essere cristiani» (142). Solo successiva-
mente è previsto anche l’annuncio della parola di Dio. In tale con-
testo viene richiamato il passo evangelico: «Chi perderà la sua vita
per me, l’avrà salva nell’eternità» (Mc 8,35), viene raccomandato di
(140) Passione 48; cf., su questo passo, le osservazioni di Luciano Bertazzo nella
Presentazione e ancora le sue riflessioni in I Protomartiri francescani tra storia e agio-
grafia, in Dai protomartiri, pp. 45-46: l’autore cosı̀ commenta le parole attribuite dalla
Passio trecentesca a Francesco: la gioia del fondatore «testimonia e consacra il pas-
saggio avvenuto nella recezione della memoria dei protomartiri, non più la reazione
stizzita di fronte al rischio di una vanagloria, ma la gioia per la connessione tra la
minoritas e il martyrium» (p. 45); vedi infine le conclusioni di Rigon su queste parole
che indubbiamente segnano un passaggio fondamentale, cf. A. RIGON, La morte dei
Protomartiri francescani e la vocazione di Antonio, in Dai Protomartiri francescani, p.
65: «A distanza di 150 anni, invero, ciò che poteva essere apparso sconveniente al
santo d’Assisi appariva non solo legittimo, ma necessario e fruttuoso [...]; il recupero
glorificante di quell’evento consentiva a tutti i frati, fedeli all’Ordine e contestatori, di
ritrovarsi, di aprire la via della conciliazione, di specchiarsi uniti nella santità dei
protomartiri e di Antonio».
(141) MICCOLI, Francesco d’Assisi. Memoria, storia e storiografia, p. 37, cf. l’intero
capitolo primo, pp. 13-56 e anche il successivo capitolo secondo, pp. 57-80.
(142) FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, p. 279; sulla specificazione riguardante il divieto di
«liti» e «contese» cf. la significativa riflessione di F. C ARDINI, Conclusioni, in Dai
Protomartiri francescani, p. 208, dove l’autore sottolinea «la rinuncia a qualunque
forma di potere, inclusa quindi la possibilità di servirsi di argomenti di sorta, insomma
di forme di sapere o di esperienza tecniche tese a convincere. Anche quelle sarebbero
state maniere di esercitar potere, dal momento che la stessa conoscenza può essere
una manifestazione di forza».
58 Introduzione
Passio fratris Iohannis de Montepolitiano); pp. 554-557 (Passio fratrum Nicolai de Mon-
tecorbino et Francisci de Provincia Terrae Laboris); per quanto riguarda i testi raccolti
nelle appendici: pp. 597-604 (Passio sanctorum Martyrum fratrum Monaldi de Ancona,
Francisci de Petriolo, Antonii de Mediolano ordinis Minorum e Passio sanctorum fra-
trum Minorum Thomae de Tolentino, Iacobi de Padua, Petri de Senis, Demetrii); pp.
604-613 (Passio fratris Petri de Senis); pp. 613-616 (Passio sanctorum fratrum Danielis,
Agnelli, Samuelis, Donnuli, Leonis, Nicolai, Hugolini Ordinis fratrum Minorum, qui
passi sunt apud Septam, civitatem Marochium, anno Domini MCCXXVII).
(148) FF 418.
(149) FF 1175; sulla presenza del tema martiriale e su come esso viene trattato nelle
fonti francescane del XIII secolo, cf. I. HEULLANT-DONAT, Les Franciscains et le martyre
au XIII e siècle, in Dai Protomartiri francescani, pp. 11-29.
(150) Passio sanctorum Martyrum fratrum Beraldi, Petri, Adiuti, Accursii, Othonis in
Marochio martyrizatorum, AF III (1897), p. 582.
(151) Passione 19.
60 Introduzione
sultano cosı̀ come viene narrato dal suo primo biografo ufficiale,
Tommaso da Celano, e dallo stesso Bonaventura non evidenziano,
in vero, solo il desiderio di martirio, bensı̀ la volontà di comuni-
care con il sultano e con gli infedeli, di parlare con loro (157).
Sarà il secolo successivo ad aprire la vera stagione del martirio
in chiave francescana. Insistita ricerca del martirio e assoluto di-
sprezzo dell’altra religione e del suo profeta Maometto, vituperato
a più riprese, costituiscono i due fili rossi che non trovano alcuna
corrispondenza negli scritti di Francesco e nei suoi comportamenti
cosı̀ come risultano tramandati dalle fonti, ma sembrano invece
rispondere alle logiche, ai contesti e alle problematiche politico-
religiose della seconda metà del XIV secolo.
Sia prima sia dopo la caduta di Acri del 1291, che segna la per-
dita completa della Terrasanta, le ambizioni e i progetti di crociata
non solo non vengono meno, ma alcuni pensatori francescani ri-
sultano impegnati in prima persona su questi temi, basti l’esempio
paradigmatico del Liber recuperationis Terrae Sanctae composto da
Fidenzio da Padova che lo consegnò a Niccolò IV proprio nel
1291 (158). Il rapporto Cristianesimo-Islam continua a essere un
problema costante, vissuto e declinato, da parte cristiana, soprat-
tutto come tentativo di riprendere la Terrasanta, ‘‘santo’’ obiettivo
delle crociate che avrebbero continuato a essere progettate e pre-
dicate, non di rado da membri dell’Ordine, nel periodo tardome-
dievale (159). La notevole quantità di racconti che hanno per tema le
missioni e il martirio di santi membri dell’Ordine – una nutrita
serie di martiri inaugurata dai cinque del Marocco – offre il qua-
dro complessivo nel quale inserire la Passione e riflettere sulle mo-
tivazioni che stanno alla base del fiorire di questa tipologia di testi.
(157) Cf. FF 422: «Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli
stava davanti e gli parlava [...]?» e il sultano, infatti, «era molto commosso dalle sue
parole e lo ascoltava molto volentieri»; anche Bonaventura, pur facendo ampio ricor-
so al tema del martirio, parla della volontà di Francesco di incontrare il sultano e di
parlare con lui: «Si mise perciò in cammino alla volta del Marocco, con l’intento di
predicare al Miramolino e alla sua gente» (FF 1171), «predicò al Soldano il Dio uno e
trino [...] il Soldano [...] lo ascoltò volentieri e lo pregò di restare presso di lui» (FF
1173-1174). Cf. F. CARDINI, Nella presenza del soldan superba. Saggi francescani (Me-
dioevo francescano. Saggi 13), Spoleto 2009, pp. 41-103; per una recente messa a
punto storiografica sul tema, cf. A. M ARINI, Storia contestata: Francesco d’Assisi e
l’Islam, «Franciscana» 14 (2012), pp. 1-54.
(158) Per un’analisi dell’opera rimando allo studio di P. E VANGELISTI, Fidenzio da
Padova e la letteratura crociato-missionaria minoritica. Strategie e modelli francescani
per il dominio (XIII-XV sec.), Bologna 1998.
(159) Mi limito a un solo, ma mi pare significativo, riferimento storiografico, cf. San
Giacomo della Marca e l’altra Europa. Crociata, martirio e predicazione nel Mediterra-
neo Orientale (secc. XIII-XV). Atti del Convegno internazionale di studi, Montepran-
done 24-25 novembre 2006, a cura di F. Serpico (Quaderni di San Giacomo, I),
Firenze 2007.
62 Introduzione
(160) Cf., per esempio, l’episodio di martirio collettivo narrato da RODOLFO IL GLA-
BRO, Cronache dell’anno Mille, a cura di G. Cavallo - G. Orlandi, Milano 198, pp. 96-
99; cf., per altri casi, EVANGELISTI, Martirio volontario, pp. 177-199.
(161) Cf. A. VAUCHEZ, La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Âge
d’après les procès de canonisation et les documents hagiographiques (Bibliothèque de
l’École française d’Athènes et de Rome, 241), Rome 1988, p. 482 (trad. it. La santità
nel Medioevo, Bologna 1989).
(162) Rimando, per questi temi, alla mia ricerca sulla Chronica, cf. M.T. DOLSO, La
Introduzione 63
opera (166). Il tema, in realtà, viene trattato solo nella sezione relati-
va ad Antonio, in cui si salda alla celebrazione dei suoi miracoli.
All’episodio della conversione dell’eresiarca di Rimini si associa il
miracolo avente per destinatario un cavaliere sedotto dall’«eretica
pravità» che sfida Antonio gettando un bicchiere in terra e affer-
mando che avrebbe creduto alla sua santità solo se il bicchiere si
fosse conservato intatto, ciò che naturalmente avviene e riconduce
l’eretico nell’alveo dell’ortodossia, racconti risalenti entrambi al-
l’Assidua e ugualmente ripresi dalla Vita seconda. L’argomento ere-
ticale percorre, infatti, quale esile, ma riaffiorante filo narrativo,
tutta la tradizione antoniana, con una maggiore accentuazione nel-
la Rigaldina che ricorda come Antonio, «invitato dagli eretici»,
«accolse il loro invito nella speranza di poterli riscattare dagli er-
rori e confermarli nella verità della fede sull’esempio del Salvatore
che, per un medesimo motivo, mangiava insieme a pubblicani e
peccatori». Gli eretici, «che egli confondeva in lungo e in largo
nelle prediche e nelle dispute» (167), cercano addirittura di avvele-
narlo; poi, una volta scoperti, lo inducono comunque alla prova di
assumere il veleno promettendo la loro conversione se egli fosse
rimasto indenne. Finché, dinanzi al miracolo del santo, al quale il
veleno non aveva provocato alcun male, «si convertirono alla fede
del Vangelo» (168).
Anche la celebre predica ai pesci risulta strettamente legata a
un contesto ereticale: «una volta, mentre alcuni eretici nei pressi
di Padova disprezzavano e deridevano le sue prediche, si avvicinò
al fiume poco distante e, udendolo tutto il popolo presente, disse
agli eretici: ‘‘Dal momento che vi dimostrate indegni della parola
di Dio, ecco, mi rivolgo ai pesci, per confondere più apertamente
la vostra incredulità’’» (169). Anche l’episodio immediatamente suc-
cessivo, del cavallo che si prostra dinanzi all’eucaristia, ha per pro-
tagonista un «incallito e scaltro eretico» che, grazie ad Antonio,
«fu liberato dalla tenebre del suo errore» (170). Non pare necessario
oltre tutto, ‘‘fare santi’’ era una prerogativa della Sede apostoli-
ca (174). I ‘‘nuovi’’ santi – da Benvenuto da Gubbio ad Ambrogio
da Massa – sembrano essere altresı̀ funzionali a un tipo di devozio-
ne che l’Ordine propone, una devozione che, diversamente da
quella legata all’Ordine dei Predicatori, per limitarsi a un solo
esempio, è rivolta a tutta la società, è tesa a coinvolgere tutti i ceti
sociali, come ben testimoniano le vicende della partecipazione di
tutta la città di Padova alle esequie di Antonio, dettagliatamente
narrate dall’Assidua (175), cosı̀ come ne sono espressione i miracoli
dello stesso Antonio, ma anche di tutti i santi frati ‘‘minori’’ prota-
gonisti del Dialogus, miracoli che – in entrambi i casi – coinvolgo-
no tutti gli strati sociali della popolazione. Sono i miracoli la mani-
festazione più eclatante della santità dei ‘‘santi’’ frati protagonisti
del Dialogus. Tale precoce volontà di raccolta e trasmissione del
ricordo di tanti frati la cui fama sanctitatis si era diffusa localmen-
te, sembra quasi prefigurare il genere letterario dei catalogi sancto-
rum che si sarebbe affermato soprattutto nel Trecento (176).
Il profilo delle vicende biografiche dei protagonisti dell’opera è
molto esile e si limita sostanzialmente ai tre maggiori personaggi
che compongono la raccolta – Antonio, Benvenuto e Ambrogio –
eppure non mancano, pur nella sintesi che caratterizza la rievoca-
zione delle loro vite, aspetti che richiamano fortemente la dimen-
sione della prima fraternitas. Tali sono, per esempio, i termini con
cui l’agiografo delinea la scelta francescana di Ambrogio: «diventa-
to osservante della promessa evangelica, scelse la povertà al posto
delle ricchezze e i valori eterni al posto di quelli temporali» (177). Di
Ambrogio viene ricordato il particolare della cessione di tutti i suoi
averi ai poveri (178): un atto invero fondamentale che connota in
modo imprescindibile la scelta francescana, ma che, dopo i primis-
simi compagni, di fatto, perde la sua centralità (179). Ma, se pure
l’iter biografico di questi santi ‘‘minori’’ si limita a pochi tratti, sono
i miracoli stessi a diventare specchio della loro vita santa, oltre che
della loro potenza salvifica e del culto loro tributato.
* * *
Soffermarsi, nel licenziare questo volume, a ricordare le perso-
ne che hanno accompagnato in vario modo la sua genesi e il suo
percorso è molto più di una consolidata consuetudine: è il modo di
esprimere il debito di gratitudine nei confronti di quanti, lavoran-
do insieme a me, l’hanno reso possibile. È dunque, anzitutto, ai
traduttori che va un mio primo sincero pensiero di riconoscenza
Capitolo 1
COMINCIA IL PROLOGO ALLA VITA DEL BEATO ANTONIO
1
588 Mosso dalla domanda insistente dei fratelli, e anche attirato
dal profitto di un’obbedienza salvifica, ho creduto adeguato all’a-
more e alla devozione dei fedeli mettere per iscritto la vita e le
gesta del beatissimo padre e fratello nostro Antonio, a lode e gloria
di Dio onnipotente. 2 Infatti di questo si tratta nella vita dei santi,
che viene trasmessa per scritto alla posterità dei fedeli: che all’udi-
re i prodigi dei miracoli che Dio opera nei santi, si lodi sempre e in
ogni cosa il Signore, e si proponga ai fedeli la norma di correggere
la vita insieme a un’ardente devozione.
3
589 So, certo, di essere del tutto insufficiente a un compito cosı̀
grande, tuttavia non trattengo le mie labbra, nella speranza che
colui che vede l’intenzione del cuore porterà a compimento il
mio progetto.
4
Parlerò infatti in modo succinto ai devoti di Cristo, salva però
la verità, sebbene con parole inappropriate: che la facile loquacità
del parlare non assecondi il piacere degli orecchi e gli uomini non
consumino foglie invece di frutti.
5
590 Infine, scrivo alcune cose che non ho visto con i miei occhi; le
ho tuttavia apprese dai racconti di Don Sugerio, vescovo di Lisbo-
na, e di altri uomini cattolici.
6
Fu certamente cosı̀ che Marco e Luca scrissero il Vangelo; fu
cosı̀ che il beato Gregorio scrisse il Dialogo, in cui è Pietro che
interroga: aveva infatti appreso quanto riporta, testimone lui stes-
so, unicamente dal racconto di uomini degni di fede.
7
Inoltre perché ai fedeli che leggeranno devotamente questa vi- 591
ta sia offerta l’opportunità di trovare facilmente quanto cercano,
ho diviso quest’opera in due parti e aggiunto specifici titoli ai sin-
goli capitoli.
8
Nella prima parte, dunque, ho ordinato i fatti notevoli della
sua vita, a partire dalla prima vestizione religiosa, scegliendone al-
cuni fra i molti, per amore di brevità.
9
Nella seconda parte, invece, ho raccolto i fatti straordinari che
il Signore ha operato per mezzo di lui, esponendoli dietro garanzia
a me data dai nostri fratelli e dagli altri fedeli.
10
Io, autore, raccomando però al lettore che quando leggerà 592
queste cose e troverà che in qualche racconto ho detto di meno
o, certamente, per loquacità imprudente, ho oltrepassato in qual-
che passaggio i limiti della verità, non mi accusi di menzogna o di
falsità, ma piuttosto perdoni con indulgenza la mia ignoranza o
dimenticanza.
Termina il prologo
Capitolo 2
DELLA CITTÀ DEL BEATO ANTONIO
1
C’è, come dicono, nel regno del Portogallo, una città, situata 593
nella sua parte occidentale, agli estremi confini del mondo, che
dagli abitanti è chiamata Ulisbona, per il fatto che, come si dice
comunemente, è stata bene fondata da Ulisse. 2 Entro le sue mura,
si erge una chiesa di straordinaria grandezza, costruita in onore
della gloriosa vergine Maria; in essa riposa, onorevolmente sepol-
to, il corpo prezioso e degno di ogni venerazione del beato martire
Vincenzo.
3
Sul suo lato occidentale, i fortunati genitori del beato Antonio 594
possedevano un’abitazione dignitosa, secondo il loro tenore di vi-
ta, che, con un ingresso confinante, era attigua all’entrata stessa
del tempio. 4 Essi, dato alla luce nel primo fiore della giovinezza
questo figlio predestinato, gli diedero fin dallo stesso fonte del sa-
cro battesimo il nome di Fernando.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 243
5
Giustamente poi inviano questo figlio alla suddetta chiesa del-
la Santa Madre di Dio perché fosse istruito nelle sacre Scritture e,
quasi per un presentimento, affidano il futuro araldo di Cristo al-
l’educazione dei ministri di Cristo.
Capitolo 3
COME ENTRÒ NELL’ORDINE DI SANT’AGOSTINO
1
595 Passati dunque gli anni della fanciullezza in modo semplice, in
famiglia, compı̀ il quindicesimo anno di una vita serena. 2 Giunto
all’età di contrarre matrimonio, pur sentendosi spinto a cose illeci-
te in modo insolito, col crescere nella carne degli stimoli della se-
duzione, in nessun modo allentò il freno all’adolescenza e al piace-
re; al contrario, superando la condizione della fragilità umana,
strinse le briglia della concupiscenza della carne che incalzava
con violenza.
3
Ormai già il mondo con le sue sollecitazioni quotidiane perde-
va per lui di sapore e ne ritrasse il piede che non aveva pienamente
posto sulla sua soglia, nel timore che magari gli si attaccasse anche
minimamente la polvere del piacere terreno, polvere in grado di
porre ostacolo a un’anima che correva velocemente sulla via del
Signore.
4
596 Presso la città di cui abbiamo parlato sorge, non lontano dalle
mura, un monastero dell’Ordine di sant’Agostino, nel quale uomi-
ni noti per vita religiosa servono il Signore, sotto l’abito di canonici
regolari (1).
5
Fu infine in questo luogo che l’uomo di Dio, disprezzati gli
allettamenti del mondo, si trasferı̀ e prese con umile devozione l’a-
bito di canonico regolare.
6
597 Dopo aver sopportato, per i quasi due anni in cui vi dimorò, le
frequenti visite che non si addicono alle anime pie, per allontanare
da sé ogni occasione di turbamento di questo genere, decise di
abbandonare la terra natale, che può contribuire non poco a in-
fiacchire gli animi virili; in questo modo, protetto dal lido di una
terra straniera, avrebbe potuto servire più tranquillamente il Si-
gnore.
7
Ottenuto perciò, a fatica, con preghiere, il permesso del supe-
riore, cambiò, non di Ordine ma di luogo, e si trasferı̀, con fervore
di spirito, al monastero di Santa Croce di Coimbra.
(1) Si tratta, come è noto, della canonica di São Vicente de Fora di Lisbona.
244 Vite di Antonio di Padova
Capitolo 4
COME IN QUEL MONASTERO FECE PROGRESSI
NEI BUONI COSTUMI E NELLA SCIENZA
1
Trasferitosi dunque il servo di Dio Antonio al monastero della 598
Croce vivifica, per desiderio di una disciplina più severa e per
amore di una tranquillità più feconda, mostrava, più ardente del
solito, di aver fatto un cambiamento, non tanto di luogo quanto
di condotta di vita. 2 E poiché, come afferma la Scrittura: «è lode-
vole, non essere stato a Gerusalemme, ma esservi vissuto bene» (2),
si mostrò cosı̀ adatto a quella condotta di vita che apparve chiaro a
tutti il vantaggio che il luogo offriva per raggiungere il punto più
alto della perfezione.
3
Con grande impegno coltivava l’ingegno senza sosta ed eserci- 599
tava lo spirito con meditazioni; né mai, di giorno o di notte, secon-
do il tempo disponibile, desisteva dalla lectio divina.
4
Ora leggendo il testo della verità storica, irrobustiva la fede
con l’interpretazione allegorica, ora applicando le parole della
Scrittura, fondava il suo sentire sui buoni costumi.
5
Da un lato, indagando con feconda curiosità il senso profondo 600
delle parole di Dio, con le testimonianze della Scrittura fortificò
l’intelligenza contro gli abissi dell’errore; dall’altro, con diligente
indagine lesse e rilesse i detti dei santi.
6
Infine affidava le sue letture a una memoria tenace, tanto che
in breve meritò di possedere in abbondanza una scienza della
Scrittura per tutti insperata.
Capitolo 5
COME IL BEATO ANTONIO ENTRÒ NELL’ORDINE DEI FRATI MINORI
PER ZELO DI MARTIRIO E DEL CAMBIO DEL SUO NOME
1
Dopo questi fatti, poiché l’Infante Pietro (3) aveva riportato da 601
Marrakech le reliquie dei santi martiri, frati Minori, e divulgato
per tutte le province della Spagna che era stato liberato miracolo-
samente per i loro meriti, il servo di Dio Antonio, all’udire i fatti
mirabili che si compivano per loro intercessione, si indirizzò lui
pure nella forza dello Spirito Santo, e «cingendo i suoi fianchi
con la cintura della fede, irrobustiva il braccio con l’armatura dello
zelo di Dio» (Pr 31,17; Is 11,5; Sap 5,18 Vg).
2
E diceva in cuor suo: «Oh, se l’Altissimo si degnasse di farmi
partecipe della corona dei suoi santi martiri! Oh, se la spada del
carnefice mi trovasse in atto di presentare il mio collo, in ginoc-
chio, in difesa del nome di Gesù! Pensi che lo vedrò? Credi tu
che raggiungerò quel momento di felicità?». Queste cose e altre
simili a queste diceva, tacitamente, tra sé (4).
3
602 Frattanto, in quel tempo, dimoravano non lontano dalla città
di Coimbra, nel luogo chiamato Sant’Antonio (5), dei frati dell’Or-
dine dei Minori, che non sapevano leggere, ma insegnavano con le
opere la forza della Scrittura.
4
Questi, secondo quanto stabilito dall’Ordine, si recavano al-
quanto spesso, per chiedere l’elemosina, al monastero dove viveva
l’uomo di Dio.
5
603 Un giorno che l’uomo di Dio li ebbe avvicinati in un luogo
appartato secondo la sua abitudine per intrattenersi con loro, tra
le altre cose di cui parlò, disse anche questo: «Vestirò con animo
pieno di desiderio l’abito del vostro Ordine, fratelli carissimi, se mi
prometterete, appena sarò entrato tra voi, di mandarmi nella terra
dei saraceni, affinché possa anch’io meritare di conseguire con i
santi martiri una parte della corona».
6
I frati, rallegrati di grande gioia per le parole di un uomo cosı̀
eminente, stabiliscono il dopodomani come il giorno nel quale sa-
rebbe avvenuto ciò e, affinché il ritardo non presenti un pericolo,
troncano ogni rinvio.
7
604 Mentre dunque i frati ritornavano con gioia alla loro casa, il
servo di Dio Antonio rimase nel monastero al fine di chiedere la
licenza dal priore circa quanto era stato detto. 8 Ottenuta questa, a
dire il vero a fatica con preghiere, i frati, non dimentichi della pro-
messa, come convenuto, all’alba si riuniscono e impongono al più
presto all’uomo di Dio, nel monastero, il loro abito religioso.
9
605 Avvenuto ciò, uno dei suoi confratelli e canonici accorrendo
parlava nell’amarezza del cuore, dicendo: «Va’, va’, che sarai san-
to!». 10 Rivoltosi a lui, l’uomo di Dio Antonio rispose con umile
(4) Sul ruolo della vicenda dei Protomartiri nella vocazione di Antonio, cf. le
riflessioni di RIGON, La morte dei Protomartiri francescani, pp. 49-65.
(5) Sant’Antonio Abate de Olivais.
246 Vite di Antonio di Padova
voce dicendo: «Quando sentirai dire che sono santo, loderai con
me il Signore».
11
Detto questo, i frati si affrettano di buon passo verso casa e
accolgono con prove di affetto il nuovo ospite che li segue da vicino.
12
Tuttavia, poiché il servo di Dio temeva l’insistenza dei parenti 606
che lo avrebbero assalito, si sforzava di allontanare con più accor-
tezza lo zelo di quelli che lo cercavano. 13 Cosı̀, cambiato anche il
nome, si diede lui stesso il nome di Antonio, e per un certo presa-
gio indicò quanto importante araldo della parola di Dio sarebbe
divenuto.
14
Antonio, infatti, significa in certo qual modo «uno che tuona
fortemente». In realtà la sua voce, come una tromba altisonante
quando proclamava «tra coloro che sono perfetti la sapienza di
Dio, nascosta nel mistero» (1Cor 2,6-7), fece risuonare significati
cosı̀ specifici e cosı̀ profondi delle Scritture che solo quei pochi
che per la lunga consuetudine eran esercitati nell’interpretazione,
potevano capire l’eloquenza della sua parola.
Capitolo 6
COME ANDÒ IN MAROCCO E DEL SUO RITORNO
1
A poco a poco, quindi, e sempre più accrescendo, lo zelo della 607
fede lo spingeva sempre con forza e la sete di martirio, accesa nel
suo cuore, non gli permetteva in nessun modo di riposare. 2 Per cui
avvenne che, essendogli stata concessa la licenza secondo la pro-
messa, partı̀, impaziente, per la terra dei saraceni.
3
Ma l’Altissimo, che conosce i pensieri dell’uomo, «gli si oppo- 608
se a viso aperto» (Gal 2,11) e, inflittagli una grave malattia, lo af-
flisse duramente per tutta la durata dell’inverno. 4 Avvenne cosı̀
che, constatato che non aveva portato a termine nulla di quanto
si era proposto, per ricuperare almeno la salute del corpo, ritornò,
costretto, al paese natale.
5
Ma mentre, navigando, si apprestava ad approdare nella terra 609
di Spagna, per la forza dei venti si vide deposto sulle spiagge della
Sicilia.
6
Verso quello stesso tempo, inoltre, fu deciso di celebrare il ca-
pitolo generale presso Assisi (6). Appena l’uomo di Dio, Antonio,
ne venne a conoscenza per mezzo dei frati della città di Messina,
diventando più vigoroso per se stesso arrivò comunque sul luogo
del capitolo.
Capitolo 7
COME VENNE IN ROMAGNA E IN CHE MODO VISSE IN QUEL LUOGO
1
610 Terminato poi il capitolo secondo l’uso, mentre i ministri in-
viavano i fratelli loro affidati ciascuno ai loro luoghi, Antonio ri-
mase solo nelle mani del ministro generale; infatti, uomo nuovo e,
come si credeva, di poca utilità, non fu richiesto da nessun mini-
stro, anche perché non era conosciuto.
2
Alla fine, chiamato in disparte frate Graziano, che in quel tem-
po esercitava il ministero dei frati della Romagna (7), il servo di Dio
Antonio cominciò a supplicarlo affinché lo prendesse dal ministro
generale e lo conducesse in Romagna e, dopo averlo condotto lı̀, lo
istruisse sui rudimenti della dottrina spirituale.
3
611 Dalla sua bocca non risuonava nessun accenno all’istruzione
letteraria che gli era stata data in precedenza, nessuna ostentazione
di pratica di ministero ecclesiastico, ma «sottomettendo» tutta la
conoscenza e «intelligenza all’obbedienza di Cristo» (2Cor 10,5),
dichiarava di voler conoscere, desiderare e abbracciare solo lui
[Cristo], «e crocifisso» (1Cor 2,2).
4
612 Frate Graziano dunque, fatta propria la sua ammirevole devo-
zione, acconsentı̀ ai desideri dell’uomo di Dio e, presolo con sé, lo
condusse in Romagna.
5
Dopo esser giunto in quella regione, per disposizione divina,
l’uomo di Dio Antonio, avendone ottenuta la licenza, salı̀ devoto
all’eremo di Montepaolo (8) e, abbandonate le folle dei secolari,
penetrò in luoghi propizi alla quiete.
6
613 Mentre dimorava nel suddetto luogo dell’eremo, un frate si era
costruito, in una grotta, una cella adatta all’orazione, per poter de-
dicarsi al Signore più liberamente.
7
Un giorno, l’uomo di Dio, scopertala e soppesando la buona
opportunità per la devozione, con la convenienza del luogo, si ri-
volse al frate con preghiere e gli chiese, supplichevole, di conce-
dergli la detta cella.
8
614 Raggiunto quel luogo di pace, al termine del capitolo nell’ora
del mattino, ogni giorno il servo di Dio Antonio si ritirava nella
suddetta cella, e preso un piccolo pezzo di pane, portava con sé
un recipiente d’acqua. 9 In questo modo, costringendo la carne ad
assoggettarsi allo spirito, passava il giorno in solitudine; seguendo
la sacra osservanza delle norme (9), rientrava però sempre per l’ora
della riunione spirituale.
10
Tuttavia, più di una volta, quando al richiamo della campana 615
si disponeva a ritornare dai fratelli, il suo corpo, sfinito dalle veglie
ed esaurito dall’astinenza, con passo incerto lasciava cadere le
membra indebolite.
11
Alla fine aveva talora cosı̀ «stretto la mascella della carne col
morso» (Sal 31,9 Vg) dell’astinenza che, se non fosse stato soste-
nuto dai frati, a testimonianza di un frate che era presente, non
sarebbe in nessun modo potuto rientrare.
Capitolo 8
IN QUALE MANIERA LA SUA SCIENZA FU RESA NOTA AI FRATI
1
Dopo molto tempo, a dire il vero, accadde che dei frati fossero 616
mandati alla città di Forlı̀ per prendere gli ordini sacri. 2 Essendo
convenuti da diverse parti a questo scopo frati Minori e Predica-
tori, fu presente tra loro Antonio.
3
Venuta l’ora della riunione ed essendo i frati già raccolti secon- 617
do l’usanza, il ministro del luogo (10) cominciò a pregare i frati del-
l’Ordine dei Predicatori che erano presenti di proporre, a scopo di
esortazione, la parola di salvezza ai frati che ne erano assetati.
4
Ma poiché ciascuno dichiarava con insistenza sempre maggio-
re di non voler né dover predicare senza preparazione, rivolto a
frate Antonio gli ordinò di annunciare ai frati riuniti qualunque
cosa lo Spirito gli suggerisse.
5
Non credeva, infatti, che conoscesse qualche cosa delle Scrit- 618
ture, né pensava che avesse letto qualche cosa, eccetto forse quan-
to si riferiva all’ufficio divino, appoggiandosi su un solo indizio
presunto: che cioè l’aveva udito parlare latino, allorché lo richie-
deva la necessità. 6 A dire il vero, pur essendo cosı̀ abile da servirsi
della memoria in luogo di libri e abbondasse della grazia del lin-
guaggio mistico, i fratelli lo conoscevano più esperto nel lavare le
stoviglie della cucina che nell’esporre i misteri della Scrittura.
7
Ma perché spendere tante parole? Resistette con tutte le forze 619
per quanto poté; alla fine, acclamato da tutti, si alzò a parlare in
modo semplice. E poiché quella penna dello Spirito Santo – inten-
do dire la sua lingua – dissertò su molte cose con saggezza, con
brillante chiarezza di esposizione e in sintesi, i frati, colpiti da stu-
pita ammirazione, prestavano concordemente attenzione, con
orecchi tesi, a lui che parlava come un oratore.
(10) Si tratta del ministro provinciale, sotto la cui giurisdizione stava il convento in
cui si svolgeva il capitolo.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 249
8
Aumentava infatti lo stupore la profondità inaspettata delle
sue parole, ma non di meno lo spirito con cui parlava e la sua
ardentissima carità. 9 Tutti infine, inondati di santa consolazione,
venerarono nel servo di Dio Antonio il merito dell’umiltà unito al
dono della scienza.
Capitolo 9
DELLA SUA PREDICAZIONE IN ROMAGNA
E DELLA CONVERSIONE DEGLI ERETICI
1
620 Poiché, secondo la parola del Signore, «non può restare na-
scosta una città che sta sopra un monte» (Mt 5,14), non molto
tempo dopo, trasmessa al ministro la relazione di quanto era acca-
duto, Antonio fu obbligato a uscire in pubblico, interrotto il silen-
zio della solitudine. 2 Affidatogli, infatti, l’ufficio di predicatore,
l’amatore dell’eremo viene fatto uscire e quelle labbra, rimaste a
lungo chiuse, si aprono per annunciare la gloria di Dio.
3
Sostenuto dall’autorità di colui che lo inviava, si appassionò
talmente nell’assolvere il compito della predicazione che meritò (11)
con lo zelo dell’operare l’appellativo di evangelista. Percorreva cit-
tà e castelli, villaggi e campagne, spargendo a tutti il germe della
vita tanto abbondantemente quanto fervorosamente.
4
621 E mentre correva qua e là e, per le zelo delle anime, si negava
del tutto ogni riposo, avvenne che per disposizione divina giunse
alla città di Rimini. Qui, vedendo che molti erano ingannati dal-
l’errore dell’eresia, riunito subito il popolo dell’intera città, comin-
ciò a predicare con grande fervore di spirito; e lui, che non cono-
sceva le sottigliezze dei filosofi, confutò le capziose dottrine degli
eretici in modo più chiaro del sole (12).
5
Alla fine la parola della sua virtù e la dottrina salutare mise
radici cosı̀ profonde nel cuore degli uditori, che, eliminata la soz-
zura dell’errore, un numero notevole di credenti aderı̀ fedelmente
al Signore.
6
622 Tra questi il Signore ricondusse sulla via della verità, per mez-
zo del suo servo Antonio, un eresiarca di nome Bononillo, da tren-
t’anni trascinato dall’errore dell’incredulità. Costui, ricevuta la pe-
nitenza, obbedı̀ ai precetti della santa Chiesa romana, devoto fino
alla fine della sua vita.
Capitolo 10
DELLA SUA FAMA E DELL’EFFICACIA
DELLA SUA PREDICAZIONE
Capitolo 11
COME VENNE A PADOVA E IN CHE MANIERA VI PREDICÒ
1
Ma poiché sarebbe lungo raccontare quante province Antonio 626
abbia percorso, quante parti «della terra abbia riempito con il se-
me della parola di Dio» (Sap 1,7; Lc 8,11), volgiamo attenzione (13)
alle cose che incontestabilmente ricorrono di più e offrono le pro-
ve più evidenti delle sue virtù.
2
Al tempo del capitolo generale, dunque, quando le santissime 627
reliquie del beato padre Francesco furono trasferite nel luogo do-
ve riposano, con la dovuta venerazione, il servo di Dio Antonio,
liberato del governo dei fratelli, ricevette dal ministro generale il
permesso di predicare liberamente dappertutto.
3
Di fatto, poiché in un’altra occasione, mentre preparava i ser-
moni domenicali per tutto l’anno, aveva dimorato nella città di Pa-
dova e, sperimentata la fede sincera dei cittadini, li aveva legati a sé
con un certo vincolo di affetto, attirato dalla loro ammirevole de-
vozione, decise di visitarli nel primo periodo della sua libertà.
4
628 Perciò, dopo che per volere divino giunse a Padova, per tutta
la durata dell’inverno applicò la sua mente a studi elevati alternan-
doli con la predicazione e, su richiesta del vescovo di Ostia (14), si
dedicò alla composizione dei sermoni per le Feste dei santi di tutto
il corso dell’anno.
5
Ma mentre il servo di Dio era preso da queste occupazioni
utili per il prossimo, il tempo della quaresima si avvicinava. Veden-
do allora sopraggiungere «il tempo favorevole e i giorni della sal-
vezza» (2Cor 6,2), desistette dal lavoro iniziato e si dedicò a predi-
care con tutto l’impegno del suo spirito al popolo desideroso di
ascoltarlo.
6
629 Cosı̀ grande ardore di predicare lo aveva infiammato che deci-
se di predicare per quaranta giorni di seguito. Cosa che egli fece
senza alcuna esitazione.
7
E fu cosa veramente sorprendente! perché, uomo gravato da
una certa qual corpulenza e per di più sofferente di continua infer-
mità, tuttavia per lo zelo infaticabile delle anime, era impegnato a
predicare, a insegnare e ad ascoltare le confessioni fino al tramon-
to del sole, molto spesso digiuno.
Capitolo 12
DELLA PERSECUZIONE DEL DEMONIO
E DEL MIRACOLO DELLA LUCE CHE GLI APPARVE
1
630 Però l’antico avversario, geloso della virtù, non cessa di oppor-
si alle opere di bene; volendo distogliere il servo di Dio Antonio
dal suo progetto di salvezza, si sforzava di provocarlo con illusioni
notturne.
2
Racconto un fatto non inventato, rivelato a un frate dallo stes-
so santo di Dio, ancora in vita.
631 Una notte, all’inizio del ministero quaresimale di cui abbiamo
parlato, mentre ristorava le membra affaticate con un sonno bene-
fico, ecco che il diavolo osò serrare la gola dell’uomo di Dio con
violenza e, stringendolo, tentò di soffocarlo. 3 Ma egli, invocato il
nome della Vergine gloriosa, tracciò sulla sua fronte il segno della
Capitolo 13
DELLA DEVOZIONE DEI PADOVANI
E DEL FRUTTO DELLA SUA PREDICAZIONE
1
Ora, allorché il servo di Dio Antonio vedeva che «si apriva» 632
davanti a lui «la porta della parola» (Col 4,3) e che il popolo in
gran folla, «come una terra assetata di pioggia» (Gl 1,20 Vg), «ve-
niva a lui da ogni parte» (Mc 1,45), decise che si facessero delle
riunioni quotidiane nelle chiese della città. Ma poiché, per il gran
numero di uomini e di donne che si radunavano, gli spazi delle
chiese non erano affatto sufficienti a contenere tanta folla, col cre-
scere del numero si portò sugli ampi luoghi dei prati.
2
Venivano, infatti, dalle città, dai castelli e dalle borgate attorno 633
a Padova, folle pressoché innumerevoli di ambo i sessi, tutti asse-
tati, con somma devozione, della parola di vita, e decisi a fondare
la propria salvezza sul suo insegnamento con salda speranza. 3 In-
fatti, alzandosi nel cuor della notte, gareggiavano nel prevenirsi
l’un l’altro, e con lanterne accese si affrettavano, con grande fervo-
re, verso il luogo dove avrebbe predicato.
4
Avresti potuto vedere cavalieri e nobili dame accorrere nel
mezzo delle tenebre, e quelli che erano abituati a trascorrere una
non piccola parte del giorno, tenendo calde in morbide coperte le
membra rammollite nell’indolenza, aspettare vigili, senza alcuna
difficoltà, secondo quanto raccontano, la figura del predicatore.
5
C’erano vecchi, accorrevano giovani, uomini e donne insieme, 634
di ogni età e condizione; e tutti, senza metalli preziosi, vestivano,
per cosı̀ dire, un abito religioso.
6
Anche il venerando vescovo di Padova, con il suo clero, seguı̀
devotamente il servo di Dio Antonio mentre predicava e, «facen-
dosi modello del gregge» (1Pt 5,3), insegnò ad ascoltarlo, dando
esempio di umiltà.
7
E con cosı̀ grande desiderio nell’animo ognuno tendeva l’orec- 635
chio alle cose che venivano dette, che, anche se spesso trentamila
persone, come raccontano, ascoltavano il predicatore, non si udiva
nessun grido, nessun mormorio di tanta folla, ma tutti, come un
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 253
Capitolo 14
COME PREDISSE LA SUA MORTE
1
639 Il glorioso confessore del Signore, Antonio, conobbe molto
prima il giorno del suo trapasso, tuttavia per non rattristare affatto
254 Vite di Antonio di Padova
Capitolo 15
DELLA CELLA CHE SI FECE COSTRUIRE SUL NOCE
1
Ora avvenne che, mentre accadevano queste cose, si avvicina- 641
va il tempo della mietitura. 2 Vedendo «il servo fidato e prudente»
del Signore (Mt 24,45) che urgeva per il popolo il tempo della rac-
colta della messe, pensò di dover interrompere la predicazione fi-
no al momento favorerole per il sermone. Congedate dunque le
folle dei secolari, andò alla ricerca di luoghi propizi al silenzio, e
si recò, per amore della tranquilla solitudine, nel luogo denomina-
to Campo di San Pietro (Camposampiero).
3
Molto lieto del suo arrivo, un nobile di nome Tiso (15) manife- 642
stò, devoto, premurose espressioni di cortesia verso l’uomo di
Dio Antonio. Lo stesso nobile possedeva la proprietà del luogo
dei frati.
4
Il sudetto signore possedeva anche, non lontano dalla casa dei
frati, un terreno piantato ad alberi dove, insieme alle piante del
bosco, era cresciuto un noce di grande altezza (nux quedam proce-
re dispositionis), dal fusto del quale, sei ramificazioni, protese ver-
so l’alto, formavano una certa qual corona di rami.
5
Avendone un giorno ammirato la straordinaria bellezza, l’uo-
mo di Dio, subito, per ispirazione dello Spirito, decise che vi fosse
costruita sopra una cella per lui, tanto più che il luogo offriva il
vantaggio della solitudine e una pace propizia alla contemplazione.
6
Quando la cosa fu resa nota per mezzo dei frati al nobiluomo, 643
questi, riuniti in quadrato e di traverso ai rami i tronchi, preparò
con le proprie mani una cella di stuoie. Fece pure due celle di
struttura del tutto simile per i suoi due compagni, preparando
quella superiore con maggior cura per il santo, e disponendo le
altre, sia pure con minor cura, a piacere dei frati.
7
Conducendo in questa cella una vita celeste, il servo di Dio
Antonio, come un’ape operosa, si dedicava all’occupazione della
sacra contemplazione.
8
Questa alla fine fu la sua ultima dimora tra i mortali; in questa
mostrò al momento dell’ascensione di avvicinarsi al cielo.
Capitolo 16
PROLOGO
1
644 Nella parte precedente della nostra trattazione, che per grazia
e virtù dell’Altissimo abbiamo condotto a termine, abbiamo de-
scritto con umile devozione, previa però la verità, la vita e le opere
del beatissimo padre e fratello nostro Antonio.
2
In questa seconda parte abbiamo creduto bene di dover inse-
rire i fatti straordinari che il Dio della gloria si è degnato di opera-
re intorno a lui e tramite lui, dal giorno della sua morte e in segui-
to, che ci sono stati riferiti dal racconto di uomini degni di fede.
3
645 Ma poiché non abbiamo potuto venire a conoscenza di tutto e
per non offrire ai lettori una lettura noiosa, di fronte a un mare di
miracoli, ci siamo proposti di sottolineare solamente quei fatti che
ricorrono di più, cosı̀ che la devozione dei fedeli abbia motivo di
impegnarsi in lodi divine, e coloro che desiderano dirne di più, per
l’edificazione della fede, possano sempre trovare di che aggiungere.
Capitolo 17
DELLA SUA MORTE
1
646 Esattamente, l’anno milleduecentotrentuno dell’incarnazione
del Signore, indizione quarta, il giorno tredici del mese di giugno,
sesto della settimana, il beatissimo padre e fratello nostro Antonio,
ispano di nascita, nella città di Padova, nella quale per suo tramite
l’Altissimo Signore «ha magnificato il suo nome» (Sal 137,2), pres-
so la cella, nel luogo dei fratelli, «giunto al termine comune di tutti
256 Vite di Antonio di Padova
gli uomini» (1Re 2,2 Vg), passò felicemente alle dimore degli spi-
riti celesti.
2
Egli dunque, a un certo momento, dopo aver lasciato le folle 647
delle moltitudini che accorrevano a lui da ogni parte per ascoltarlo
e vederlo, si era ritirato dalla città di Padova a Camposampiero in
cerca di pace, incominciò a dedicarsi solo a Dio, desideroso «di
asciugare con le lacrime» della devozione «e i capelli» della santa
meditazione, «la polvere che in qualche modo gli si fosse attacca-
ta» (Lc 7,38; 10,11 Vg), come suole accadere, dalla vita comune
con i secolari.
3
Sceso un giorno dalla cella che aveva fatto costruire sul noce, 648
al suono della campana dell’ora di pranzo, si mise a tavola con gli
altri frati, come di consueto. 4 Ma «la mano del Signore si posò
sopra di lui» (Ez 1,3) e improvvisamente cominciò a sentirsi ab-
bandonato dalle forze di tutto il corpo. E poiché il malore andava
a poco a poco crescendo, sostenuto dai fratelli, si alzò da tavola, e
non riuscendo a sostenere le membra sfinite si accasciò, cadendo
sulla copertura di un lettuccio.
5
Sentendo allora il servo di Dio Antonio la fine imminente del 649
suo corpo, chiamato accanto a sé uno dei suoi frati e compagni, di
nome Ruggero, gli disse: «Se vuoi, fratello, togliere il peso a questi
frati, vorrei andare a Padova alla dimora di Santa Maria».
6
Essendo convinto il frate, attaccato un carro, vi adagia sopra il
padre santo, mentre i frati del luogo si opponevano il più possibile
perché non fosse portato in altro luogo. 7 Quando tuttavia capiro-
no che era volontà del beatissimo Antonio, pur contro voglia ce-
dettero.
8
Già nelle vicinanze della città, gli corse incontro frate Vinoto 650
che si recava a far visita all’uomo di Dio. Vedendolo affetto da
grave infermità, cominciò a pregarlo di deviare verso la Cella, alla
casa dei frati (16). Vi erano infatti colà dei frati che dimoravano
presso il monastero delle Povere signore per prestare loro il servi-
zio divino, secondo la consuetudine dell’Ordine. 9 Aggiungeva in-
fatti il suddetto frate che ci sarebbero grande agitazione e non pic-
colo scompiglio nella dimora dei frati, soprattutto perché, una vol-
ta entrati in città, si sarebbero esposti all’accorrere inopportuno
dei secolari.
10
Sentendo queste ragioni, il servo di Dio Antonio acconsentı̀
alle preghiere del supplicante, e seguendo i suoi desideri, deviò
verso la Cella.
11
651 Quando il servo di Dio vi fu sistemato con i frati, «la mano di
Dio si fece sentire gravemente su di lui» (Gdc 2,15) e crescendo
con più violenza la malattia, dava segni di grande ansietà. Riposa-
tosi per un po’ di tempo, fatta la confessione e ricevuta l’assoluzio-
ne, incominciò a cantare l’inno della Vergine gloriosa dicendo: O
gloriosa Signora, ecc.
12
Terminato l’inno, alzati subito gli occhi al cielo e con sguardo
estatico guardava lungamente davanti a sé. Avendogli il frate che lo
sosteneva chiesto che cosa vedesse, rispose: «Vedo il mio Signore».
13
652 Poi, accorgendosi i frati presenti che si avvicinava la sua felice
morte, decisero di ungere il santo di Dio con l’olio della sacra un-
zione.
14
Quando un fratello, portando, come si suole, la sacra unzio-
ne, giunse verso di lui, il beato Antonio guardandolo fisso gli disse:
«Non è necessario, fratello, che tu mi faccia questo; ho infatti già
questa unzione dentro di me. Ciononostante, è una cosa buona per
me e mi è gradita».
15
653 Stese le mani e congiunte le palme, cantando con i fratelli i
salmi penitenziali, li recitò fino alla fine; e dopo essere rimasto cosı̀
per circa mezz’ora, quella santissima anima, liberata dalla prigione
della carne, fu assorbita nell’abisso della luce.
16
Il corpo mostrava in tutto l’apparenza di uno che dorme. An-
che le sue mani, diventate bianche, superavano in bellezza il colore
di prima. Inoltre le altre membra del corpo si offrivano flessibili
alla volontà di chi le toccava.
17
654 O veramente santo servo dell’Altissimo, che meritò allo stesso
tempo di vivere e di vedere il Signore. O anima santissima, che,
anche se non fu strappata dalla crudeltà di un persecutore, fu infi-
nite volte trafitta dal desiderio del martirio e dalla spada della sof-
ferenza.
18
Ti preghiamo dunque, o padre degno, accogli benigno quelli
che ti onorano con i sacrifici della devozione, e resta vicino suppli-
cando per noi, a cui non è ancora permesso di accedere al volto di
Dio. Amen.
Capitolo 18
DELLE GRIDA DEI FANCIULLI .
DELL’ACCORRERE E DEL PIANTO DEL POPOLO
1
655 Ora, mentre i frati tenevano nascosto il suo beato transito agli
estranei con la massima diligenza, e, con molta circospezione, agli
amici e ai conoscenti, per non essere oppressi dall’assalto di folle
258 Vite di Antonio di Padova
Capitolo 19
DEL COMPIANTO DELLE POVERE SIGNORE
E COME SI IMPEGNARONO PER AVERE IL CORPO DEL SANTO
1
O come fu grande il lutto di tutti; quanto forti in particolare i 658
lamenti delle Povere signore. Queste, in quanto di animo femmi-
nile, in nessun modo erano in grado di dominare il pianto, ma
gemendo dal profondo del cuore, piangevano di un pianto incon-
solabile.
2
«Povere noi, ripetevano, o padre tanto benigno! Perché, ora
che ci sei stato tolto irrevocabilmente, la ‘‘morte, madre di amarez-
za’’ (Sir 41,1), ci ha risparmiate ancora, per straziarci più crudel-
mente? 3‘‘Noi ci contentavamo della nostra povertà cosı̀ da consi-
derare ricchezza’’ (Tb 5,25 Vg) il poter almeno udire, per quanto
era possibile, colui che predica ad altri ‘‘la parola di vita’’ (Fil 2,16),
lui che non abbiamo meritato di vedere con gli occhi della carne».
4
Ma mentre prorompevano, con voci lamentevoli, in queste e 659
altre cose, ci fu chi disse: «Ma perché gettiamo al vento tante la-
crime e tanti sospiri pieni di singhiozzi? O perché accompagniamo
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 259
con il lutto, come se fosse uno dei morti, colui che, forte dell’im-
mortalità, gli angeli suoi concittadini si godono nei cieli? 5 Resta un
solo rimedio a questa penosa separazione: colui al quale da vivo è
stato impedito di mostrare a noi la sua presenza fisica, resti con noi
almeno da morto».
6
660 «Ma, soggiunsero, come è possibile questo? Non crediamo in-
fatti che i frati che dimorano nella parte meridionale della città
tollerino che il santissimo corpo del beato Antonio rimanga con
noi, a meno che, indotti dalle suppliche dei maggiorenti, non ri-
nuncino, con un gesto di misericordia, al loro diritto. 7 Mandiamo
dunque alcuni a sollecitare con la richiesta da parte nostra i mag-
giorenti della città, i religiosi e i nobili secolari potenti, affinché,
apparentemente senza di noi, tutti insieme si adoperino in nostro
favore per avere in modo pacifico dai fratelli quanto devotamente
chiediamo».
8
Anche questo fu fatto. Ma perché dilungarci? Tutti, con un
consenso unanime e spontaneo, acconsentono ai desideri delle an-
celle di Cristo e promettono, senza fare opposizione, di portare
loro aiuto.
Capitolo 20
IN CHE MODO I CITTADINI DI CAPODIPONTE SI OPPOSERO AI FRATI,
DECISI A TRASPORTARE IL SUO CORPO ALLA LORO DIMORA
1
661 Venuti dunque alla Cella, i frati che dimorano presso la chiesa
della Santa Madre di Dio, si proponevano di trasportare il sacra-
tissimo corpo del beato Antonio al loro luogo.
2
Ritenevano infatti che sarebbe stata cosa troppo ingiusta e di-
sgrazia intollerabile essere privati di un cosı̀ grande tesoro, soprat-
tutto perché lo stesso santo, quando era vivo, tra tutti i luoghi di
quella provincia, si era affezionato a questo con maggior amore. E
il suo attaccamento a quel luogo era talmente vivo, che, quando si
sentı̀ prossimo alla fine, ordinò per obbedienza al frate che lo assi-
steva di adoperarsi con ogni mezzo perché il suo corpo fosse tra-
sportato alla chiesa della Santa Madre di Dio (17).
3
Resisi conto di questo, i cittadini di Capodiponte si opposero
all’unanimità ai frati a viso aperto e, affinché non fosse messo in
nessun modo a esecuzione quanto avevano deciso, aumentati i
gruppi di gente armata, fecero custodire la casa religiosa giorno e
notte.
4
Non sapendo allora i frati che cosa bisognava fare, si appella- 662
rono in tutta fretta al vescovo della città (18) e riversarono tutta la
loro preoccupazione su di lui, padre di loro orfani. 5 Questi [il ve-
scovo], convocati i frati e il collegio dei suoi canonici, espose dili-
gentemente il motivo della venuta dei frati e, a modo di consulta-
zione, chiese il parere di ognuno.
6
Alcuni di essi però, già preceduti dalle richieste delle Povere
signore, ritenevano che non bisognava per niente attenersi alla ri-
chiesta dei frati; anzi, esponendo pubblicamente le loro ragioni, le
facevano valere ostinatamente in favore delle Povere signore.
7
Non meno di loro, però, i frati sapevano esporre gli argomenti 663
a favore della loro causa e, adducendo le condizioni imposte dalla
persona [del defunto] e dal fatto, si sforzarono, con serie ragioni in
loro favore, di essere convincenti. 8 Il vescovo, allora, ritenendo
ragionevole la richiesta dei frati, acconsentı̀ in tutto ai loro desideri
e ordinò al podestà della città di aiutarli.
Capitolo 21
DELLA DEVOZIONE DEL POPOLO
E DEL MIRACOLO VENUTO DAL CIELO
1
Nel frattempo, mentre si trattavano queste cose, la fazione di 664
Capodiponte si infiamma con maggior veemenza per conservare il
corpo del beato Antonio e, opponendosi al podestà, il loro animo
si ostina con più forza contro il divieto. 2 Vengono riuniti gli anzia-
ni e tutti quelli nei quali si poteva riporre qualche speranza di con-
siglio e, per dare loro aiuto, sono convocati amici da tutta la città.
3
Finalmente, tutti sono d’accordo sul giurare di mettere a ri-
schio persone, possedimenti e quanto avevano, piuttosto di per-
mettere che il corpo del beatissimo Antonio venisse spostato (19)
proprio da quel luogo.
4
Ed è certamente straordinario ciò che racconto. Lo zelo e il 665
fervore della devozione aveva stretto talmente insieme le volontà
di tutti che, pur essendo alcuni di loro in disaccordo da vecchia
data per odio inveterato e guerra intestina, dimenticando, come
sembrava, le vecchie inimicizie, furono unanimemente d’accordo
nel voler trattenere il corpo del beato Antonio.
5
E nel timore che, per l’astuzia fraudolenta di qualcuno potes-
sero essere frustrati nella loro speranza, riuniti a consiglio, decise-
ro di trafugare il corpo.
(18) Giacomo di Corrado, già arciprete della cattedrale, vescovo di Padova dal
1229 al 1239.
(19) Letteralmente «mutato» (permutari).
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 261
6
666 Di fatto, poiché non era presente il ministro provinciale, alla
decisione del quale era sospesa la causa dei frati, questi, chiamati
in disparte i loro anziani, cominciarono a supplicarli di desistere
dal loro progetto, aspettando ancora per poco il suo arrivo, e che
tutto restasse allo stato attuale fino alla sua decisione. 7 La proposta
piacque; di fatto, l’opinione comune di tutti i cittadini sosteneva
queste stesse idee.
8
667 All’avvicinarsi della notte dunque, fatte uscire le folle, i frati
chiudono le porte delle case e, affinché per qualche pretesto non
vengano sfondate dall’irruzione delle folle, rinforzano le chiusure
con sbarre e catenacci.
9
Sulla mezzanotte però, mentre ancora i custodi facevano la
guardia, una folla prepotente di popolo, accesa dal desiderio di
vedere il corpo, facendo forza irruppe nella casa dove riposava il
sacro corpo e spezzò senza ritegno tutti gli sbarramenti insieme
con le porte. 10 Ma sebbene, ripetendo la stessa cosa per la terza
volta nell’impeto dell’audacia (impetu spiritus), avessero sfidato i
frati – cosa mirabile a dirsi – neppure una volta, con sforzo, furono
capaci di entrare in casa; al contrario, come confessarono in segui-
to con la propria bocca, nonostante che le porte fossero aperte, si
arrestavano ammutoliti e, mentre la casa era piena di luce, non
vedevano l’entrata e giravano intorno ammaliati dallo splendore
11
668 L’indomani, gruppi di fedeli arrivano dalla città, dalle campa-
gne e dai castelli per vedere il corpo del beatissimo Antonio, e
colui che poteva in qualche modo toccarlo anche una sola volta,
si stimava veramente felice.
12
Quelli poi che a causa della folla non riuscivano ad avvicinar-
si, lanciavano qua e là, attraverso finestre e porte, cinture e cin-
ghie, anelli e monili, chiavi e altri ornamenti. Altri, inoltre, appen-
dendoli a bastoni li stendevano per spingerli avanti, per poi ripren-
derli santificati dal contatto del sacratissimo corpo.
Capitolo 22
DELL’AGITAZIONE DELLA GENTE
E DELL’ARRIVO DEL MINISTRO
1
669 Tardando a venire il ministro, poiché era estate, tempo sfavo-
revole ai corpi in attesa di sepoltura, i frati lo rinchiudono in fretta
in una cassa di legno, come fu loro possibile, agitati com’erano e,
scavata un po’ la terra, in attesa, vi calano la cassa. 2 Ma appena fu
fatto questo, subito si udı̀ la voce di uno che diceva: «Il corpo è
stato portato via!».
262 Vite di Antonio di Padova
3
All’udire ciò, le folle, scoppiate subito in rivolta, fanno irruzio- 670
ne nella casa dei frati con spade e bastoni e, gettati violentemente a
terra recinti e porte, accorrono compatte verso il luogo ove giaceva
il sacro corpo. Né desistono dal loro progetto – che dire: per furo-
re o piuttosto per fervore d’animo? – fino a che, scavando la terra,
non trovano la cassa nella quale era nascosto quel prezioso tesoro.
4
Una volta trovata la perla preziosa, ancora non credono ai frati
che assicuravano che il corpo era dentro l’arca, anzi, colpendola
dall’alto con un palo, si garantiscono la certezza [della sua presen-
za] dal suono sordo della cassa.
5
Finalmente, la sera del sabato, arriva il ministro provinciale, e 671
l’intera città era in trepida attesa del suo ritorno (20). 6 Quando lo
videro, i cittadini che abitano di Capodiponte, radunata un’assem-
blea, chiesero subito con insistenza il corpo del beato Antonio; a
sostegno della loro causa, adducevano ragioni sofisticate, e, per-
ché i frati cedessero al timore, alle loro ragioni aggiungevano le
minacce.
7
Per ultimo, presentarono pubblicamente un documento nel
quale avevano sottoscritto il loro impegno, dichiarando davanti a
tutti che non avrebbero ceduto né alle armi, né alle spade, e nep-
pure alla morte in difesa della loro causa; né, in alcun modo,
avrebbero rinunciato, fin che erano in vita, al loro patto.
8
A questo, il ministro rispose: «Per il diritto, carissimi, voi non 672
potete reclamare niente di quello che vi sforzate di esporre con
dichiarazioni; ma se il nostro discorso tenesse conto della vostra
pietà, potremmo, sentito il parere dei nostri fratelli, mettere in atto
ciò che il Signore ci ispirerà. 9 Tuttavia, per il bene della pace, e
perché non temiate con cattivo sospetto che io vi abbia parlato
con inganno, concedo che fino a quando, a proposito di quanto
avete chiesto, non avremo stabilito altrimenti dopo averne discus-
so con i frati, facciate custodire voi stessi il luogo ove riposa il
corpo del beato Antonio».
Capitolo 23
DELLA SENTENZA EMESSA IN FAVORE DEI FRATI
E DELLA ROTTURA DEL PONTE
1
Passato il terzo giorno, vedendo il ministro che sarebbe stato 673
difficile per lui resistere da solo alla volontà di tante e siffatte per-
sone, soprattutto perché la causa riguardava molta gente, si recò
11
Cionondimeno incaricò di nuovo il podestà della città di di-
sporre un aiuto per i frati e, organizzati i gruppi dei cittadini, di
trovarsi alla Cella all’ora stabilita per trasportare il corpo del beato
Antonio.
12
Il podestà, accogliendo di buon cuore l’incarico, acconsentı̀ e 677
ordinò che fosse allestito al più presto un ponte di barche e di
tronchi d’albero attraverso il fiume che gira intorno alla Cella. Te-
meva infatti che se la processione fosse passata attraverso Capodi-
ponte, lo sdegno avrebbe suscitato una rivolta tra la popolazione
del luogo.
13
Quando ciò fu approntato, la popolazione devota di Capodi-
ponte, fervente in spirito, ma infuriata e indignata a causa della
costruzione del ponte, accorre sul posto con scuri e spade e taglia
il ponte con sfrontata temerità. 14 Ivi avresti potuto vedere real-
mente «dolori come di una donna che partorisce», con «respira-
zione affannosa» (Sal 47,6-7 Vg), navi «essere spezzate da accette»
nell’acqua, «come in una foresta di alberi» (Sal 73,5-6).
15
Perché dilungarsi? Tutta la città si solleva, soprattutto perché 678
il misfatto tornava a offesa comune di tutti.
16
Mentre però quelli ancora urlavano, corse voce che i cittadini
cha abitavano la parte meridionale della città si avvicinavano a ma-
no armata. 17 Ciò udendo, i cittadini di Capodiponte, disposti di
fronte cunei di combattenti, si tenevano pronti alla battaglia, nel
caso in cui gli altri giungessero vicino alle loro abitazioni o traspor-
tassero il corpo del beato Antonio in un altro luogo.
Capitolo 24
DEL PIANTO DEI FRATI E DEL TRASPORTO DEL BEATO ANTONIO
1
Vedendo allora i fratelli avvicinarsi la rovina completa della 679
città, furono profondamente turbati, e piangendo con un dolore
misto a compassione dicevano: 2 «Noi miseri! per colpa dei quali
è nata questa tempesta, e per avere dato l’occasione che tutta la
città, ‘‘se il Signore non la custodirà’’ (Sal 126,1), venisse quasi di-
strutta. 3 A che serve a noi vivere più a lungo, se avverrà la morte di
tante migliaia di uomini per difendere la nostra causa? 4 ‘‘Esaudisci,
o Signore. Placati, o Signore, guarda e fa’’’ (Dn 9,19 Vg). ‘‘Perché
nascondi la tua faccia’’ (Sal 43,24), e dimenticandoti per sempre di
questa nostra tribolazione (Sal 73,19 Vg), non hai compassione?
5
‘‘Abbiamo sostenuto la pace, e non’’ è venuta; abbiamo cercato il
bene, ‘‘ed eccoci tutti sconvolti’’ (Ger 14,19). 6 Per amore di te stes-
so, nostro Dio, ascolta ed esaudisci la tua eredità; non sterminare
questa città».
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 265
7
680 Allo stesso modo, anche le venerabili ancelle di Cristo, all’udi-
re quello che stava accadendo, alzavano gemiti e imputando a se
stesse quello che era accaduto, chiedevano con rinnovate suppli-
che e abbondanti lacrime che venisse portato via il corpo santo che
con ogni supplica avevano chiesto fosse loro lasciato.
8
Infine persone di ogni sesso, età e condizione attendevano col
cuore sospeso la misericordia di Dio.
9
681 Ma colui, che «non dimentica di aver pietà» (Sal 76,10), Dio,
«divenne soccorritore al tempo opportuno» (Sal 9,10). Egli, infatti,
che non fallisce nella distribuzione della sua provvidenza, aveva
permesso per sua maggior gloria che le genti fossero turbate per
un po’ di tempo, cosı̀ da portare a termine in modo più mirabile
ciò che egli stesso aveva deciso di fare. 10 Infatti nella vita pubblica,
lui che è eternamente buono, non permetterebbe che ci fosse il
male, se allo stesso tempo non conoscesse quale vantaggio far sca-
turire per le necessità dei buoni.
11
Anche il podestà della città, non potendo tollerare la sedizio-
ne del popolo, per voce del banditore, fece radunare l’insieme dei
cittadini al palazzo comunale e, adunato il consilio, tenendo sepa-
rata la parte che aveva infranto il ponte, nella parte meridionale
della città, proibı̀ con decreto, sotto la minaccia del giuramento e
ponendo a rischio tutti i loro beni, che tornassero durante quel
giorno alle proprie case.
12
682 Dopo questi eventi, il vescovo della città con tutto il clero, ma
anche il podestà con un folto numero di cittadini, si radunano alla
Cella e, composto il corteo, trasportano il corpo del beatissimo
Antonio con inni e lodi e cantici spirituali, attraverso Capodiponte
fino alla chiesa della Santa Madre di Dio, tra l’esultanza straordi-
naria di tutti.
13
Anche i capi del popolo e i maggiorenti di tutta la città sotto-
pongono le spalle per portare il peso, e si stimano fortunati coloro
che arrivano a toccare anche solo leggermente la cassa.
14
683 Infine l’affluenza del popolo fu cosı̀ imponente che a causa
del gran numero non riuscivano ad avanzare insieme in mezzo alla
città, ché anzi girando «per le piazze, le strade e i suoi dintorni»
(Ct 3,2), correndo rapidamente, precedevano la processione.
15
Tutti poi portavano in mano, accesi, quanti ceri potevano ave-
re. La quantità di lumi era cosı̀ grande che tutta la città sembrava
ardere, in preda alle fiamme.
16
684 E quando, finita la processione, si fu giunti alla chiesa della
Santa Madre di Dio, il vescovo, celebrata solennemente la messa,
seppellı̀ con onore il corpo del beato Antonio e, compiute le ese-
quie dovute a ogni uomo, ritornò tra l’esultanza di tutti alla pro-
pria dimora.
266 Vite di Antonio di Padova
Capitolo 25
DEI MIRACOLI IN GENERALE MANIFESTATISI
IN QUELLO STESSO GIORNO
1
Subito, quello stesso giorno, furono portati moltissimi, afflitti 685
da varie infermità, i quali, all’istante, per i meriti del beato Anto-
nio, furono restituiti allo stato di salute precedente. 2 Qualunque
malato, infatti, appena aveva toccato l’arca, all’istante, deposto a
terra, si rallegrava nel sentirsi del tutto liberato dalla malattia.
3
Coloro invece che, a causa del gran numero di malati che
affluivano, non potevano sostare davanti all’arca, portati fuori
della porta della chiesa, sotto gli occhi di tutti, erano guariti sulla
piazza.
4
Ivi, veramente, «gli occhi dei ciechi si aprirono»; ivi «gli orec- 686
chi dei sordi si schiusero». Ivi, «lo zoppo saltò come un cervo»; ivi
«la lingua del muto» (Is 35,5-6), sciolta, proclamò rapidamente e
con chiarezza le lodi di Dio. 5 Ivi, le membra indebolite dalla pa-
ralisi, si irrobustiscono riprendendo gli usi di prima; ivi, la gobba,
la gotta, la febbre e le varie virulenze di malattie sono messe in
fuga straordinariamente. 6 Ivi, infine, sono concessi ai fedeli ogni
sorta di benefici desiderati; ivi, uomini e donne, venuti dalle diver-
se parti del mondo, ottengono il risultato di salvezza della loro
richiesta.
Capitolo 26
DELLE PROCESSIONI
E DELLA DEVOZIONE DEL POPOLO
1
Con il risplendere della luce fulgidissima dei miracoli, la devo- 687
zione dei fedeli è ravvivata e, quando Dio «edifica una nuova Ge-
rusalemme», si rappresenta il «raduno d’Israele disperso» (Sal
146,2; Ap 21,2). 2 In effetti, da oriente e da occidente, da meridio-
ne e da settentrione, i popoli convergono in processioni ordinate e,
vedendo le meraviglie che si compiono sotto i loro occhi per i me-
riti del beato Antonio, esaltano con il dovuto onore i meriti della
sua santità.
3
Tra coloro che, come abbiamo detto, in processioni ordinate, 688
rendevano devotamente l’omaggio della lode al Signore e al suo
servo, il beato Antonio, vennero fra i primi i cittadini di Capodi-
ponte, quelli che avevano anche rotto il ponte con accanita animo-
sità perché non fosse loro tolto il sacro corpo.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 267
4
Costoro appunto, inondati di lacrime e a piedi scalzi, precedu-
ti dal clero con croci e vessilli, venivano a visitare la tomba del
beato Antonio con una venerazione cosı̀ eccezionale per tutti da
strappare a compunzione i cuori dei fedeli che li vedevano e da
invitarli a infiammarsi di divino amore.
5
689 Quale petto, fosse pure di ferro, non si sarebbe commosso fino
al pianto, non si sarebbe munito di sentimenti di buona volontà,
vedendo i cavalieri, uomini dal vivere raffinato, percorrere strade
impervie, e nobili matrone, che appena si tenevano in piedi per la
loro debole costituzione, seguire a piedi scalzi le orme di quelli che
le precedevano?
6
Anche i frati, accogliendo la loro ammirevole devozione, so-
prattutto perché nella lite per il santo avevano rivestito con dedi-
zione la parte degli avversari, per incitarli a una pace del cuore più
feconda, in ordinati cori di lode andarono loro incontro in segno
di onore.
7
690 Non solo costoro, però, ma anche l’intera cittadinanza, in
gruppi separati e a giorni fissi, si recava a piedi scalzi nello stesso
ordine di processione. Anche i religiosi dei quali la città abbonda
in gran numero, insieme ai quartieri in cui abitavano, precedevano
a piedi scalzi, nel dovuto ordine della processione.
8
Infine, avanza il vescovo, accompagnato dalla sacra schiera del
clero, riverente e a piedi nudi. E anche il podestà, venendo con
schiere di cavalieri e folle innumerevoli di popolo, si toglie dai pie-
di la calzatura.
9
691 Parimenti la sacra comunità dei religiosi che abitavano molto
numerosi nei villaggi e nei borghi della regione circostante, rivesti-
ti delle sacre vesti e a piedi scalzi, percorrevano strade impervie
con ardente devozione.
10
È presente anche il gruppo degli universitari, di cui la città di
Padova vanta un numero importante; costoro, aggiungendo i canti
della devozione a pianti, riproducevano i sospiri misti alla gioia dei
figli dell’esilio che ricostruivano allora il tempio del Signore (Esd
3,12-13). Ivi, chi piangeva «cantava un canto nuovo» (Ap 5,9) e tra
i pianti prorompeva in giubilo.
11
692 Cosı̀, questi che avanzavano in gruppi ordinati – che dire, in-
neggianti o piangenti? – e a piedi scalzi, erano preceduti da un
cero di tale e cosı̀ grande altezza che non poteva essere innalzato
all’interno della chiesa della Santa Madre di Dio, se non dopo
averne troncato una gran parte.
12
Non solo loro, ma ogni gruppo di cittadini che venivano nel
giorno stabilito, portavano ceri di cosı̀ grande lunghezza che la
maggior parte non potevano in nessun modo essere introdotti se
non mozzati.
268 Vite di Antonio di Padova
13
Erano inoltre portati sulle spalle di più uomini ceri cosı̀ gran- 693
di che per il trasporto di uno solo a mala pena occorrevano sedici
persone, curve sotto il peso; oppure, se il trasporto dei ceri era
fatto su carri, occorrevano due paia di buoi aggiogati insieme.
14
Erano infatti ceri di alte dimensioni, dai quali, sul modello del
candelabro (Es 37,17), da due bracci protesi uscivano, da una par-
te e dall’altra, piccole sfere simili a gigli, tralci di vite e vari generi
di fiori, diligentemente espressi da mano d’artista.
15
Alcuni poi rappresentavano la forma di un edificio ecclesiasti- 694
co o addirittura «un terribile esercito schierato in ordine di batta-
glia» (Ct 6,3.9).
16
Tuttavia, anche quelli che avevano adornato la processione
con una sı̀ grande eleganza di ceri, portavano ciascuno in mano
dei ceri, con la fiamma accesa. 17 E quando, a causa della folla,
non potevano in nessun modo arrivare alle porte della chiesa, get-
tavano qua e là ceri e candele sulla piazza davanti all’ingresso del
tempio.
18
Altri ancora, disponendo fiaccole accese sui muri, vegliando, 695
facevano la guardia sulle piazze. Cosa certamente ammirevole per-
ché né si ritiravano, fosse anche per poco, durante i calori estivi, né
col tempo glaciale si concedevano tregua al freddo che di solito
bloccano; al contrario, con invincibile forza d’animo, continua-
mente, giorno e notte e alternandosi gli uni agli altri, spendevano
ogni momento nelle lodi di Dio.
19
Godeva pertanto la città nel vedersi ornata di cosı̀ grandi 696
splendori e, illuminata da cosı̀ innumerevoli luci, aveva l’impres-
sione di aver perduto l’oscurità dell’intera notte.
20
Accorrono gli abitanti di Venezia, si affrettano quelli di Trevi-
so, sono colà Vicentini, Lombardi, Slavi, abitanti di Aquileia, Teu-
toni, Ungheresi e tutti, scorgendo con fede supportata dalla vista il
«rinnovarsi i prodigi e ripetersi le meraviglie» (Sir 36,6), lodavano
e glorificavano l’onnipotenza del Creatore.
21
Quanti poi venivano e toccavano con mano meraviglie che 697
erano compiute sotto i loro occhi senza dubbio alcuno per i meriti
del beato Antonio, acquistata la fiducia di vivere di nuovo nella
grazia, confessavano i loro peccati ai frati, appena sufficienti per
un numero cosı̀ grande.
22
E quelli che erano venuti per guarire, ma, come sta scritto, «na-
scondevano le proprie colpe nel segreto» (Pr 28,13), non riuscivano
a camminare «sulla via della salvezza» (At 16,17). Ma se, fatta la
confessione, abbandonavano alla fine [le proprie colpe] per salvarsi,
ben presto, in presenza di tutti, sperimentavano la misericordia.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 269
Capitolo 27
DELL’INVIO DI MESSAGGERI ALLA CURIA
PER LA CANONIZZAZIONE DI SANT’ANTONIO
1
698 La fede della Chiesa è perciò esaltata; viene raccomandata una
grandissima povertà (21) e onorata la semplice umiltà. Arrossisce la
cieca perfidia, madre di errore, e marcisce di livida putrefazione la
morte sciocca per la perversità dell’eresia. Infine l’empietà sospet-
tosa viene confusa e dissipata la nebbia dell’infedeltà, come al sor-
gere di una nuova luce, dallo splendore dei miracoli.
2
699 Lo proclama senza dubbio la sacra assemblea del clero, lo
chiede a gran voce il popolo devoto, tutti, a una voce e con volontà
unanime, concordano e insistono con ogni preghiera affinché sia
inviata alla Curia una delegazione a favore della canonizzazione
del beato Antonio. 3 Viene indetta una solenne riunione di clero e
di popolo su questo impegno e si decide in pieno accordo che il
voto unanime della folla venga esaudito.
4
Che dire di più? Scrive il vescovo con il suo clero, il podestà
della città con i soldati e il popolo; e a meno di un mese dalla
morte del santo si inviano alla sede apostolica messaggeri, influenti
per gravità di costumi e di rispettabili condizioni.
5
700 Costoro, presentatisi pochi giorni dopo alla vista apostolica ed
esposto con diligenza il motivo della loro venuta, furono ricevuti
con grande favore dal papa Gregorio IX e da tutta la gente di Cu-
ria; 6 e questo nonostante che molti di loro [della gente di Curia] si
stupissero grandemente della rapida gloria dell’uomo di Dio e nel-
l’udire l’apparizione improvvisa di tanti fatti straordinari.
7
Viene convocato il sacro collegio dei cardinali, si celebra una
solenne riunione per trattare la causa dei messaggeri padovani.
8
Alla fine, con il parere favorevole di tutti, viene affidato dal som-
mo pontefice l’esame dei miracoli al venerabile vescovo di Padova
e ai priori di San Benedetto (22) e dei frati Predicatori.
9
701 Accorrono allora da ogni parte folle numerose d’ambo i sessi
che dichiarano, con testimonianze della verità, di esser stati liberati
da diverse calamità per i meriti gloriosi del beato Antonio; e da
una parte e dall’altra brilla un numero straordinario di miracoli.
10
Si dà ascolto alle testimonianze confermate con giuramento e,
di fronte ai ripetuti testimoni della verità, i miracoli vengono ap-
provati e messi per scritto.
(21) L’espressione latina è altissima paupertas, molto frequente nei testi francescani.
(22) Priore del monastero di San Benedetto e fondatore dell’«Ordo Sancti Bene-
dicti de Padua» o dei monaci albi era il beato Giordano Forzatè sul quale si veda A.
RIGON, Religione e politica al tempo dei da Romano: Giordano Forzatè e la tradizione
agiografica antiezzeliniana, in Nuovi studi ezzeliniani, II, a cura di G. Cracco (Nuovi
studi storici, 21), Roma 1992, pp. 389-414.
270 Vite di Antonio di Padova
11
Infine, per una maggior conferma della fede e dei miracoli,
vengono indagate dettagliatamente le condizioni delle persone e
del fatto: luogo e tempo, ciò che fu visto e ciò che fu udito, e altri
eventuali particolari da aggiungere alle testimonianze, vengono an-
notati con cura.
12
Completato dunque diligentemente l’esame dei miracoli, il 702
popolo fedele di Padova insiste con zelo devoto sul processo in
corso e, per la seconda e la terza volta, con ripetuti messaggi, ven-
gono inviati alla sede apostolica messaggeri degni di fiducia.
13
Infatti, per rendere più ferma la sollecitudine del pontefice e
l’attenzione dei cardinali sulla veridicità della sua causa e sulla giu-
sta devozione di quanto si era sentito, il venerabile vescovo di Pa-
dova mandò alla Curia frati e canonici della chiesa cattedrale, in-
sieme con il priore della chiesa di Santa Maria di Monte Croce; e il
podestà da parte sua inviò uomini nobili e influenti, conti e cava-
lieri, con un gran numero di magnati e gente del popolo.
14
Scrive parimenti informazioni favorevoli l’insieme dei maestri
e degli studenti; e il gruppo dei letterati, che non avrebbe tollerato
alla leggera un rifiuto, invia lettere che testimoniano in favore di
quello che si era visto e udito.
15
Su tutte queste cose, scrivono anche quei venerabili cardinali 703
che, per disposizione del Signore, si trovano colà presenti. In quel
tempo infatti il cardinale Oddo di Monferrato e il signor Iaco-
po, vescovo eletto di Palestrina, fungevano da ambasciatori in
Lombardia e nella Marca Trevigiana, per ristabilire la pace tra al-
cune città.
16
Questi, giunti a Padova in occasione della suddetta missione e
conosciute per testimonianza oculare e verità indiscussa le meravi-
glie del Signore, divenuti essi stessi testimoni veritieri, sostenevano
la credibilità dei miracoli con il patrocinio delle loro lettere.
17
Raccolte dunque le lettere, i messaggeri si recano rapidamen- 704
te alla Curia e, sostenuti da cosı̀ numerose e autorevoli lettere di
raccomandazione, sono ricevuti molto cortesemente dal signor pa-
pa e da tutta la Curia.
18
Che cosa aggiungere di più? Ci si riunisce di nuovo, si discute
benevolmente in presenza del papa e di tutti i cardinali intorno alla
canonizzazione del beatissimo Antonio e, adunato alla fine il col-
legio [cardinalizio], viene affidato al cardinale Giovanni, vescovo
di Sabina, l’esame generale dei miracoli e l’approvazione di quelli
riconosciuti.
19
Quel cardinale, lavorando con molta diligenza su quanto era
stato affidato alla sua cura, promosse più sollecitamente la causa e,
in uno spazio di tempo inaspettato da tutti, adempı̀ speditamente
l’esame dei sopraddetti miracoli e la loro approvazione.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 271
Capitolo 28
DI UNA VISIONE RIVELATA DAL CIELO
1
705 Nel frattempo, interviene però una difficoltà, nuova e del tutto
imprevista per i messaggeri di Padova; e con l’emergere di questo
problema, la letizia dei buoni successi ottenuti in precedenza viene
sconvolta.
2
Vi erano infatti alcuni cardinali, eccellenti per virtù e cultura
fra gli altri principi della Chiesa, i quali, per zelo della consuetudi-
ne ecclesiastica e indotti dalla brevità del tempo, pensavano che si
sarebbe dovuto procedere non tanto in fretta in una causa cosı̀
importante, soprattutto perché non era ancora trascorso un anno
dalla morte del beato Antonio; perciò dichiaravano per prudenza
di non potere né volere acconsentire alla sua canonizzazione se
non con la dovuta giusta misura di tempo.
3
706 Ma colui che per bocca del profeta attesta che «non cederà la
sua gloria ad altri» (Is 42,8), volle che questo rifiuto in parole av-
venisse per un tempo limitato, affinché si sapesse che tutto il suc-
cesso delle opere doveva essere attribuito alla grazia.
4
Fu infatti presente, al momento opportuno, con la sua miseri-
cordia e indusse mirabilmente uno di loro alla canonizzazione di
sant’Antonio, per mezzo di una visione.
5
707 La visione [manifestatasi] nella sua mente fu questa. Guardò
ed ecco era presente il signor papa, ornato delle infule pontificali,
già pronto per consacrare una chiesa e il suo altare; lo circondava
una corona di venerabili cardinali per assisterlo come di consueto
nella celebrazione dei sacri misteri. Tra loro si avvicinò, in qualità
d’assistente, quel cardinale, non ultimo per funzione o dignità, ve-
stito delle sacre vesti.
6
All’avvicinarsi dell’ora della consacrazione, il sommo pontefi-
ce chiese le reliquie che si devono abitualmente riporre nell’altare.
Ma quelli risposero uno dopo l’altro di non avere nessuna reliquia
da riporre. 7 Ed egli, girando attorno lo sguardo come uno che cer-
ca qualche cosa, vide per caso giacere vicino un cadavere, da poco
defunto, legato con bende. Appena lo vide, disse: «Portate presto
queste recenti reliquie, perché possiamo porle nell’altare».
8
708 E sostenendo quelli con forza che il cadavere visto non erano
reliquie: «Togliete, disse, il drappo funebre con cui è coperto, e
vedete almeno quello che è nascosto all’interno».
9
Ma loro avvicinandosi al corpo a passi lenti, avanzano contro
voglia e, obbedendo all’ordine ricevuto, tolgono rapidamente il
drappo con il quale era stato avvolto. 10 Dopo averlo scoperto,
non sentendo il minimo cattivo odore di corruzione, rivolti verso
il corpo si compiacquero talmente della reliquia vista che, preve-
272 Vite di Antonio di Padova
Capitolo 29
DELLA CANONIZZAZIONE DEL BEATO ANTONIO
1
Letti dunque i miracoli, come detto, alla presenza del cardina- 711
le Giovanni, vescovo di Sabina, verificati attraverso le testimonian-
ze dei giurati, approvati e finalmente ammessi, vengono radunati
tutti i cardinali e i prelati che erano in quel momento presenti in
Curia.
2
Viene fatta infine la proposta della canonizzazione del beato
Antonio, e, essendo su questo tutti d’accordo, si celebra una riu-
nione molto gioiosa.
3
«È cosa particolarmente indegna, dicono – che Dio ce ne guar- 712
di! – sottrarre in terra la venerazione, dovuta per i suoi meriti, del
beatissimo padre Antonio che il Signore della maestà si è degna-
to di coronare di gloria e di onore nei cieli. 4 Come è certamente
segno di perfidia non prestar fede alla verità dei miracoli, una volta
accertata, cosı̀ negare la gloria ai meriti dei santi è una forma di
invidia».
5
Infine il sommo pontefice, constatando il consenso unanime di
tutti circa la canonizzazione di santo Antonio e tenendo nondime-
no in conto l’instancabile devozione dei cittadini di Padova, con il
parere unanime di tutti, acconsentı̀ alla loro domanda unendosi
alle preghiere e, rimosso ogni indugio, fissò il giorno nel quale ciò
doveva essere celebrato.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 273
6
713 Già era giunto il terzo giorno fissato per una cosı̀ grande so-
lennità. È presente il sacro collegio dei cardinali; sono convocati i
vescovi, vengono gli abati e da diverse parti del mondo sono pre-
senti i prelati delle chiese. Là vi era il sacro stuolo del clero; là, una
moltitudine di genti quasi senza numero.
7
Si presenta infine il sommo pontefice nella magnificenza della
gloria, decorato dalle infule pontificali; e anche la comunità dei
cardinali e degli altri principi della Chiesa, vestiti dei sacri para-
menti, si stringe attorno al consacrato del Signore.
8
Vengono poi letti davanti a tutto il popolo i miracoli, secondo
il rito, e si esaltano con somma devozione e reverenza i meriti glo-
riosi del beato padre Antonio.
9
714 In piedi, il pastore della Chiesa, inondato di santa consolazio-
ne, alzò le mani al cielo e invocato il nome della divina Trinità,
iscrisse il beatissimo padre Antonio nel catalogo dei santi; e stabilı̀
che la sua festa fosse celebrata il giorno della sua morte, a gloria e
onore «del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19), «a
cui è onore e potenza» (1Tm 6,16) per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
10
Ciò fu fatto nella città di Spoleto, l’anno del Signore milledue-
centotrentadue, indizione quinta, nel giorno della Pentecoste, l’an-
no sesto del pontificato del signor papa Gregorio nono.
11
715 I messaggeri della città di Padova, a passo rapido, tornari di
fretta a casa, furono ricevuti solennemente, prima che si compisse
un anno dalla morte del beato Antonio; celebrarono la sua festa
con indescrivibile solennità lo stesso giorno in cui si compiva un
anno dalla sua morte.
Capitolo 30
PROLOGO
1
716 «A lode e gloria dell’onnipotente Dio, Padre, Figlio e Sprito
Santo» (1Pt 1,7; 2Mac 7,35; Mt 28,19), della gloriosa vergine Ma-
ria e di sant’Antonio, abbiamo creduto bene di far menzione, in
forma succinta ma secondo l’esatta verità, dei miracoli che sono
stati letti alla presenza del signor Gregorio IX papa, davanti a tutto
il popolo, allo scopo di stimolare la devozione dei fedeli.
274 Vite di Antonio di Padova
Capitolo 31
DEGLI STORPI (23)
[I] 1 Ilgiorno in cui il corpo del beatissimo Antonio fu sepolto con 717
onore nella chiesa della Santa Madre di Dio, Maria, una donna di
nome Cunizza, da un anno gravemente malata, si trascinò, sorretta
da strumenti di legno che chiamano stampelle, fino al luogo della
sepultura. 2 Essendole cresciuta sulla sua spalla, per condensazione
di umori, una gobba enorme, era talmente miserabilmente curvata
che non poteva in nessun modo camminare senza il sostegno delle
stampelle. 3 Rimasta un po’ di tempo prostrata in preghiera, davan-
ti alla tomba del beatissimo Antonio, la spalla le si appianò imme-
diatamente, la gobba scomparve e, abbandonate le stampelle, la
donna tornò, raddrizzata, a casa sua.
[II] 4 Una donna di nome Gisla, da otto anni e più era talmente 718
paralizzata, con la gamba sinistra inaridita e i nervi contratti, che
non poteva in nessun modo posare il piede a terra; e quando, per
necessità, voleva spostarsi in qualche luogo, trascinava il suo corpo
con difficoltà sostenuta dalle stampelle.
5
Suo marito, di nome Marcoaldo, la condusse, sollecito, in
groppa a un cavallo, alla chiesa di Santa Maria, madre di Dio, e
introdottala perché ricuperasse la salute, la depose devotamente
davanti all’arca del beato Antonio. 6 Ma quella, prostrata in orazio-
ne, cominciò subito a sentirsi oppressa da un dolore cosı̀ forte che,
sudando per l’angoscia, non poteva sopportarne il calore; poi, do-
po essere stata trasportata da alcuni uomini fuori della porta della
chiesa, respirata un’aria più fresca, si rianimò.
7
Ricondotta dopo un po’ di tempo davanti alla tomba, mentre
pregava a occhi chiusi, sentı̀ una mano che toccava il suo ventre e
tentava di sollevare il suo corpo. 8 E quella, bramosa di sapere chi
fosse colui che la toccava, alzati gli occhi, non vide nessuno che le
stesse vicino. 9 Allora la donna comprese che l’aiuto che aveva sen-
tito veniva dal cielo, si alzò all’istante e, abbandonate le stampelle,
ritornò contenta con suo marito a casa sua.
[III] 10 Un’altra
donna ancora, di nome Riccarda, da vent’anni con 719
le gambe inaridite, era mostruosamente storpiata a tal punto che, a
(23) Circa il termine contractus, Dominique Poirel, nella versione francese della
Vita del beato Francesco del Celano, nota: «Maladie la plus fréquente dans les recueils
de miracles jusqu’à cette période, que les contemporains de François distinguaient de
la paralysie [et comprenait] aveugles, possédés, quasi-résurrections et maladies diver-
ses, lépreux, muets et sourds» (cf. FRANÇOIS D’ASSISE, Écrits, Vies, Témoignages, p. 638,
nota 1).
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 275
721 [IV] 19 Un fanciullo, di nome Alberto, avendo dalla nascita fino agli
undici anni il piede sinistro contorto, con la parte superiore rivolta
verso terra, portava le dita all’indietro verso il calcagno del piede
destro. 20 Per raddrizzargli il piede il padre soleva spesso legarlo
con pezzi di legno; ma subito, se per un motivo qualsiasi il legno
si slegava, il piede riprendeva la solita contorsione.
21
Un giorno la madre del fanciullo si recò in preghiera all’arca
del beato Antonio con il figlio e introdusse in qualche modo il suo
piede nel sepolcro. Rimasto lı̀ per breve tempo sudando abbon-
dantemente, restituito alla madre dai custodi dell’arca, ritornò a
casa con la pianta del piede rivolta verso terra.
276 Vite di Antonio di Padova
[V] 22 Una fanciulla, di nome Agnese, priva da circa tre anni delle 722
forze in tutto il corpo, era affetta della malattia che chiamano ana-
trope (24) al punto che languiva, inaridita come un legno secco.
23
Appena prendeva cibo, lo rigettava subito, per la bocca, crudo
e completamente indigesto. E la malattia era già talmente in stato
avanzato che, per la troppa aridità, con la gola quasi chiusa poteva
solo inghiottire la saliva o qualche cosa di tenero.
24
Quando i medici venivano per tentare con la loro arte di arre-
stare il vomito continuo e far circolare l’umore naturale, ripartiva-
no senza aver potuto fare assolutamente niente e disperando della
sua guarigione.
25
Condotta perciò un giorno e collocata in preghiera sopra l’ar-
ca del beato Antonio, afflitta improvvisamente da un forte dolore
in tutto il corpo, sembrò vicina alla morte. 26 Calmatosi un po’ il
dolore che l’aveva assalita, chiamò la madre che era accanto al se-
polcro e le disse che ormai poteva inghiottire un pane intero. Cosı̀,
ripresa sua figlia, la madre ritornò a casa e, ritenendo normalmente
il cibo, il corpo inaridito della fanciulla ricuperò l’umore di prima.
[VI] 27 Nella città di Venezia, una donna, di nome Cesaria, aveva la 723
mano storpiata e portava, da due anni e oltre, il piede sinistro con-
torto di traverso. 28 Essendo venuta nella diocesi di Padova al tem-
po della mietitura per raccogliere, alla maniera dei poveri, le spi-
ghe che erano sfuggite alle mani dei mietitori, udite le cose mera-
vigliose che accadevano per i meriti del beato Antonio, si recò fino
a Padova con molta fatica per recuperare la salute.
29
E siccome non poteva a causa del gran numero dei malati,
avvicinarsi all’arca, introdotto il piede attraverso lo steccato che
attorniava l’arca, tentava di raggiungere il luogo del sepolcro.
30
Appena, allungando la gambe, vi ebbe posto il piede, fu subi-
to invasa da un dolore cosı̀ violento che, con le viscere talmente
scosse come se minacciassero di uscire, sudava fortemente per
l’angoscia.
31
Vedendo i presenti il tormento della donna – già non poteva
parlare per la debolezza – l’appoggiarono contro il muro della
chiesa perché si riposasse. 32 Rimasta lı̀ un po’ di tempo e scompar-
so il sudore, si alzò subito e, ottenuta la guarigione delle mani e dei
piedi, si allontanò rendendo grazie a Dio.
[ VII ] 33 Prosdocima,
un tempo moglie di Mainerio, di Noventa, 724
storpia della mano sinistra e di ambedue i piedi, fu portata alla
(24) Malattia di stomaco che non riesce a trattenere il cibo e produce vomito. Cf.
DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Niort 1883-1887, voce anatrope.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 277
[XI] 50 Una donna di Saonara, di nome Maria, da dodici anni priva- 728
ta dell’uso delle sue membra sul lato destro sotto la cintura a tal
punto che riusciva a trascinare a stento le membra storpiate e solo
sorretta da sgabelli, un giorno fu condotta sopra un carro alla tom-
ba del santo padre Antonio.
51
Essendo rimasta in preghiera sopra l’arca dal momento in cui
era entrata fino quasi a mezzogiorno, i custodi, infastiditi, le grida-
vano che si alzasse. Al loro grido, la donna si alzò senza soste-
gno alcuno e, abbandonati gli sgabelli, tornò a casa perfettamente
guarita.
731 [XIV] 58 Nel castello di Montagnana c’era una donna, di nome Gui-
na, che da due anni, impotente alla spalla e alla mano destra, non
poteva portare assolutamente niente sopra la spalla e neppure av-
vicinare la mano alla bocca. 59 Essendo un giorno entrata una pri-
ma e una seconda volta nel sepolcro del beato Antonio e non aven-
do provato alcun sollievo alla spalla e al braccio, si avvicinò al frate
che ascoltava le confessioni.
60
Fatta dunque la confessione, tornò per la terza volta all’arca e
si prostrò in orazione. Mentre pregava, la sua spalla cominciò a
sentire un gran dolore e l’osso della spalla, scricchiolando alla ma-
niera di noci che si schiacciano, ritornò al posto di prima. 61 La
donna, alzatasi subito, agitò il braccio e, sotto gli occhi di tutti,
tornò a casa risanata.
[XIX] 69 Una donna, di nome Gertrude, per quattri anni ebbe il pie- 736
de destro contratto in tal modo che non poteva fare nemmeno un
passo senza le stampelle.
70
Una notte, mentre oppressa da un sonno profondo dormiva
sotto un noce, vide accanto a sé un uomo canuto, piccolo di statu-
ra e avvenente d’aspetto, vestito con abito verde, con sopra un
mantello color di cocco. Questi le disse: «Fanciulla, è forse qui
che tu devi dormire?». E di nuovo aggiunse: «Stendi il tuo piede».
71
E mentre quella stendeva il suo piede, presala per mano, le
distese i nervi e subito scomparve. 72 Ma essa svegliandosi si mise
a gridare dicendo: «Ti ringrazio, sant’Antonio, perché mi hai libe-
rata!». E tenendo in mano le stampelle, tornò a casa guarita e rac-
contò questa visione davanti a tutti, alla gloria di Dio.
Capitolo 32
DEI PARALITICI
[XX] 1 Nel contado di Ferrara c’era una donna, di nome Maria, 737
che, colpita da quattro anni da paralisi in tutto il corpo, tremava
nel capo e in tutte le membra. E quando per qualche necessità
voleva recarsi in qualche luogo, molto spesso era costretta a curva-
re i piedi all’indietro o per traverso.
2
Un giorno, mentre stava in preghiera davanti alla tomba di
sant’Antonio, improvvisamente i suoi nervi, che erano contratti
dal dolore, cominciarono a distendersi. E la donna, alzatasi, si mise
immobile sui suoi piedi e, completamente guarita, ritornò a casa.
Capitolo 33
DEI CIECHI
742 [XXV] 1 Una fanciulla di nome Auriema, privata della luce degli oc-
chi da un anno e mezzo, fu portata all’arca del beato Antonio per
ottenere la guarigione. 2 Avendo applicato ai suoi occhi il panno
con il quale si copriva l’arca, subito, aperte le palpebre, ottenne
di vedere la luce del cielo.
282 Vite di Antonio di Padova
[XXIX] 8 Una donna chiamata Alessia, cieca di ambedue gli occhi 746
da cinque anni, non potendo in nessun modo vedere la luce, venne
all’arca e ricuperò subito la vista perduta.
Capitolo 34
DEI SORDI
Capitolo 35
DEI MUTI
754 [XXXVII] 4 Un uomo del Friuli, che si doleva di essere privato del-
l’uso della lingua, venne, condotto dalla madre, all’arca del beato
Antonio. E mentre se ne stava devotamente in orazione davanti
alla tomba, ottenne la parola, da lungo tempo perduta.
Capitolo 36
DEGLI EPILETTICI
755 [XXXVIII] 1 Nalla città di Padova c’era una donna chiamata Miche-
lotta che, dopo aver sofferto per otto giorni di una certa malattia,
colpita poi orribilmente dal morbo del mal caduco, aveva perso
completamente il lume degli occhi e sembrava vicina alla morte.
2
Avendola sua madre fatta portare alla tomba del santo padre
Antonio e collocata sopra l’arca in preghiera, subito, aperti gli oc-
chi, ricuperò la vista. E da quel tempo non soffrı̀ più del morbo
dell’epilessia.
284 Vite di Antonio di Padova
Capitolo 37
DEI GOBBI (25)
Capitolo 38
DEI FEBBRICITANTI
Capitolo 39
DEI MORTI RESUSCITATI
Capitolo 40
DEL BICCHIERE RIMASTO INTATTO
Capitolo 41
DELLA DONNA PERCOSSA DAL SIGNORE E RISANATA
[XLVIII] 1 Una suora dell’Ordine delle Povere signore, di nome Oli- 766
va, quando ancora il cadavere del padre santo era insepolto, si av-
vicinò, sopplichevole e devota, per baciargli la mano. 2 E mentre,
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 287
Capitolo 42
DELLA DONNA CHE SI GETTÒ IN ACQUA
E NON RIMASE INZUPPATA
768 [XLIX] 1 Una donna di Monselice, pia e di fede profonda fin dall’in-
fanzia, si unı̀ in matrimonio con un uomo che «camminava secon-
do i desideri della carne» (Rm 8,1 Vg).
2
Questi, «santificato nella moglie credente» (1Cor 7,14), come
dice la Scrittura, un giorno su insistenza della moglie ricorse a un
sacerdote e, fatta la confessione dei peccati, tornando a casa pro-
mise che sarebbe andato in pellegrinaggio alla tomba del beato
Giacomo e che la donna sarebbe andata con lui. 3 Tutta contenta
per la proposta, la donna preparò il più presto possibile il viaggio
e, con preghiere, indusse il marito ad accompagnarla a Padova per
acquistare il necessario per il pellegrinaggio.
4
Ma, una volta partiti con altri compagni, mentre camminavano
per la strada che conduce a Padova, la donna, non potendo dissi-
mulare la gioia concepita nel suo cuore, lasciandosi andare al riso e
alla gioia «dell’uomo esteriore» (Rm 7,22 Vg) (26), mostrava l’alle-
gria del suo animo con insolita vivacità.
5
Quando suo marito se ne rese conto, non potendo sopportare 769
tanta allegria, disse alla donna: «Perché ti diffondi, allegra, in tante
parole e, ingannata da una vana speranza di partire, ti lasci andare
alle risa e a gesti sconvenienti? Sappi che ho rinunciato al progetto
e non ho nessuna intenzione di andare dove tu ti affretti».
6
All’udire ciò, la donna subito impallidı̀ e, mutata in volto,
mostrava la tristezza del suo animo. E poiché il marito si ostinava
a esasperarla con simili parole, dopo un lungo silenzio rispose a
lui che la rimproverava: «Se non soddisfi il dono del pellegrinag-
gio che mi hai promesso, in nome di Gesù Cristo e del beato
Antonio sappi che mi annegherò». 7 Ma egli non prestò minima-
mente fede alle sue parole, anzi, fissandola in volto e trattandola
da pazza, negava insistentemente che avrebbe mantenuto la pro-
messa.
8
Privata perciò di ogni speranza e frustrata completamete nella
sua fiducia, l’infelice donna si vendicò su se stessa e, invocato il
nome del beato Antonio, si buttò a capofitto nel fiume che scorre
lungo la strada.
9
Le donne presenti vedendola dibattersi fra le acque, rimaste 770
quasi senza fiato per lo stupore, accorsero in fretta e, dimentican-
do il pudore femminile, inzuppate le natiche e tutti i vestiti, tirano
fuori la donna travolta dai flutti. 10 Avendola tirata fuori e deposta
sulla riva – è una cosa veramente meravigliosa quella che sto rac-
contando – mentre le altre torcevano le loro vesti ed estraevano
grande abbondanza di acqua, quella donna fu trovata senza nem-
meno un filo del tessuto della veste bagnato.
11
Sebbene però, come dice secondo la Scrittura, il Signore
«protegga coloro che agiscono con rettitudine» (Pr 2,7), proponia-
mo di non portare a termine atti di questo genere. Infatti attribuia-
mo simili imprese più alla stoltezza che alla virtù. Ciò nonostante,
crediamo che la donna abbia ottenuto questo presso Dio per i me-
riti del santissimo padre che aveva invocato e che fu sempre, non
dubitiamo, zelante della vera semplicità.
Capitolo 43
DEI NAUFRAGHI
Capitolo 44
DELL’INCREDULO PERCOSSO E RISANATO
Capitolo 45
DEL PANÍCO PRESERVATO DAI PASSERI
[LII] 1 Una donna di Tremignon, di nome Vita, che nutriva un’ar- 774
dente devozione verso il beato Antonio, aspirava con grande desi-
derio a recarsi sulla sua tomba. 2 Ma siccome si avvicinava il tempo
della messe e una moltitudine di passeri devastava il panı́co, che
«già biondeggiava per la messe» (Gv 4,35), la donna, posta alla
guardia del panı́co per cacciare quella razza invadente di uccelli,
non riusciva a trovare alcuna possibilità di venire.
3
Ma arrivando un giorno al recinto con il quale era circondato
il panı́co, fece voto che, se il beato Antonio lo custodiva dai passe-
ri, avrebbe visitato il suo sepolcro per nove volte. 4 Appena emesso
il voto, subito una grande quantità di detti uccelli, tutti compatti, si
allontanò e sui salici che circondavano il panı́co, da quanto poteva
vedere, non rimase alcun passero.
Capitolo 46
DEL VOTO RITRATTATO
Capitolo 47
CONCLUSIONE DEL LIBRO DEI MIRACOLI
1
«Molti altri miracoli» il Signore di maestà si è degnato operare 776
per mezzo del suo servo Antonio, «che non sono scritti in questo
libro» (Gv 20,30). 2 Tuttavia, tra i molti abbiamo messo per scritto
questi pochi estraendo i più certi tra quelli abbastanza noti, affin-
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 291
APPENDICI
6
Vi è infine un tal numero di popoli che vi accorrono e di folle
che si agitano, che pur avendo allargato il seno delle sue mura, la
madre, affannata da viscere feconde, può a mala pena abbracciare
i propri figli.