Sei sulla pagina 1di 105

FONTI AGIOGRAFICHE

DELL’ORDINE
FRANCESCANO

Passione dei santi frati martiri in Marocco

Dialogo sulle gesta dei santi frati Minori

Vite di Antonio di Padova:


Vita prima o Legenda ‘‘Assidua’’ - Vita seconda
Legenda ‘‘Benignitas’’
Legenda Raimondina - Legenda Rigaldina

Vita Perugina - Vita Leonina


Detti del beato Egidio di Assisi

Atti del beato Francesco e dei suoi compagni

A cura di
MARIA TERESA DOLSO

- Editrici Francescane
SIGLE E ABBREVIAZIONI

1. SACRA SCRITTURA

Ab Abacuc Gc Giacomo Pr Proverbi


Abd Abdia Gd Giuda 1Pt 1Pietro
Ag Aggeo Gdc Giudici 2Pt 2Pietro
Am Amos Gdt Giuditta
Ap Apocalisse Gen Genesi Qo Qoèlet
At Atti Ger Geremia (Vg Ecclesiaste)
Gio Giona 1Re 1Re (Vg 3Re)
Bar Baruc
Gl Gioele 2Re 2Re (Vg 4Re)
Col Colossesi Gs Giosuè Rm Romani
1Cor 1Corinzi Gv Giovanni Rt Rut
2Cor 2Corinzi 1Gv 1Giovanni
1Cr 1Cronache (Vg 2Gv 2Giovanni Sal Salmi (numera-
1Paralipomeni) 3Gv 3Giovanni zione secondo
2Cr 2Cronache (Vg la Vulgata = Vg)
2Paralipomeni) Is Isaia 1Sam 1Samuele
Ct Cantico (Vg 1Re)
Lam Lamentazioni
Dn Daniele Lc Luca 2Sam 2Samuele
(Vg 2Re)
Dt Deuteronomio Lv Levitico
Sap Sapienza
Eb Ebrei 1Mac 1Maccabei Sir Siracide (Vg
Ef Efesini 2Mac 2Maccabei Ecclesiastico)
Es Esodo Mc Marco Sof Sofonia
Esd Esdra Mi Michea
(Vg 1Esd) Ml Malachia Tb Tobia
Est Ester Mt Matteo 1Tm 1Timoteo
Ez Ezechiele 2Tm 2Timoteo
Na Naum
1Ts 1Tessalonicesi
Fil Filippesi Ne Neemia
Fm Filemone (Vg 2Esdra) 2Ts 2Tessalonicesi
Nm Numeri Tt Tito
Gal Galati
Gb Giobbe Os Osea Zc Zaccaria
14 Sigle e abbreviazioni

2. TESTI TRADOTTI NEL PRESENTE VOLUME

Assidua Vita prima del beato Antonio detta anche Legenda


Assidua
Atti Atti del beato Francesco e dei suoi compagni
Benignitas I frammenti della Legenda di sant’Antonio sacerdo-
te e confessore nota come Legenda Benignitas
Detti I Detti di Egidio d’Assisi
Dialogo Dialogo sulle gesta dei santi frati Minori
Passione Passione dei santi frati martiri in Marocco
Raimondina Vita del santo padre Antonio di Padova ovvero Le-
genda Raimondina
Rigaldina Vita del beato Antonio dell’Ordine dei frati Minori
ovvero Legenda Rigaldina
VitaLeo Vita del beato frate Egidio (Vita Leonina)
VitaPer Storia della vita del beato Egidio (Vita Perugina)
Vita seconda Vita di sant’Antonio confessore ovvero Vita secon-
da o Legenda anonima o Giuliana

3. ALTRE ABBREVIAZIONI
AF «Analecta Franciscana»
CCL Corpus Christianorum Latinorum
CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
FF Fonti Francescane (III edizione 2011)
MGH Monumenta Germaniae Historica, Scriptores
Vg Vulgata

AVVERTENZE
– I riferimenti alle traduzioni presenti in questo volume sono in-
dicati con il titolo abbreviato al quale segue il numero marginale
progressivo (che non indica la pagina).
– Quando le citazioni bibliche sono letterali, le parole interessate
sono poste fra virgolette.
INTRODUZIONE

1. MEMORIE AGIOGRAFICHE

Nel 1220, a distanza di poco più di dieci anni dal formarsi del
primissimo nucleo di compagni intorno a Francesco – tra i quali
certamente Bernardo ed Egidio – e dal viaggio a Roma per ottene-
re dal papa l’approvazione della loro forma vitae, cinque frati tro-
vano la morte in Marocco. Il loro martirio, insieme all’arrivo delle
reliquie in Portogallo, colpisce a tal punto il giovane canonico di
sant’Agostino Fernando da indurlo a indossare l’umile abito dei
Minori, assumendo il nome di Antonio. Dieci anni dopo, nel
1230, Francesco è già un santo canonizzato, e Antonio, destinato
a raggiungerlo in tale traguardo di santità due anni più tardi, fa
parte della delegazione di frati che si recano a Roma per chiedere
a Gregorio IX di intervenire su alcuni dubbi e problemi frutto di
discussioni e di pareri diversi inerenti l’osservanza della Regola e
del Testamento del fondatore. In questi pochi decenni già si di-
schiude e si svela l’articolazione e la diversificazione del francesca-
nesimo duecentesco: Francesco, certamente – e non potrebbe es-
sere diversamente – i compagni, i frati martiri in Marocco, Anto-
nio, altri frati che vivono questa primissima fase della storia
dell’Ordine e la cui memoria viene raccolta e tramandata.
Le fonti agiografiche, che vengono presentate per la prima vol-
ta insieme in questo volume, si riferiscono ai protagonisti che, con
Francesco, ma non necessariamente insieme a lui, hanno impron-
tato di sé il francescanesimo dei primordi: i primi compagni – Egi-
dio, soprattutto, oggetto di un peculiare e precoce interesse agio-
grafico –, ma anche Bernardo, Rufino, Masseo, Leone, Silvestro, e
altri ancora collettivamente presi in considerazione negli Actus; i
frati martiri la cui memoria era stata anch’essa tardivamente rac-
colta, nel corso del XIV secolo; Antonio da Lisbona/di Padova
con cinque Vite a lui dedicate, composte in un arco cronologico
compreso tra la sua morte e gli inizi del Trecento; i frati ricordati,
insieme allo stesso Antonio, nel Dialogus: Ambrogio da Massa,
Benvenuto da Gubbio e Ruggero di Todi, i più noti forse, per es-
sere stata avviata la petitio per l’apertura del processo di canoniz-
zazione, che pure non raggiunse l’esito auspicato del riconosci-
mento della loro santità (1); ma anche Matteo da Narni, nominato

(1) Cf. LETIZIA PELLEGRINI, ‘‘Negotium imperfectum’’: il processo per la canonizzazio-


22 Introduzione

vicario dell’Ordine nel 1219, e molti altri frati la cui fama sanctita-
tis aveva goduto di una certa risonanza in ambito locale.
La memoria, le memorie sono il nodo di fondo che viene messo
in evidenza dall’ampia raccolta di testi qui tradotti. Che cosa mo-
strano, infatti, sin da un primo sguardo, le Vite di Antonio e di
Egidio, insieme alla Passione dei santi frati martiri in Marocco, al
Dialogus e agli Actus? Mi pare che queste fonti, che sono e voglio-
no essere le memorie dell’Ordine del primo secolo, divengano lo
specchio non solo dell’evoluzione del francescanesimo, ma della
sua vocazione in qualche modo, sin dalle origini, ‘‘poligenetica’’,
nella misura in cui quelle memorie presentano i diversi aspetti
con cui è stata vissuta l’eredità di Francesco. Le fonti agiografiche
sono certamente espressione e manifestazione, al tempo stesso, del
ricordo del fondatore, dei modi e termini in cui esso si declina
nelle esperienze di quanti a lui si erano ispirati e continuavano a
voler riprodurre, pur in modi e termini diversi, il nocciolo di quel-
l’esperienza. Quel ricordo si configura come una sorta di patrimo-
nio comune, inserito però in un Ordine precocemente costituito e
sviluppatosi in modo a tratti tumultuoso sia per l’inaspettato e im-
pressionante successo di reclutamento, sia per la rapida assunzio-
ne di compiti e ruoli implicanti percorsi di formazione e di azione
dei frati senza dubbio distanti dalla dimensione di precarietà strut-
turale e di improvvisazione tipica della fraternitas originaria. Quel-
lo scarto che inevitabilmente si manifesta viene vissuto non senza
difficoltà e disagio all’interno di un’istituzione in cui, da subito,
convivono ‘‘anime’’ diverse, realtà difformi, aspettative e proget-
tualità differenti.
La lettura continuata, per cosı̀ dire, delle fonti agiografiche tra-
dotte e raccolte nel presente volume offre una visione complessiva
della vicenda storica dell’Ordine: pur mantenendo ovviamente
ogni testo una propria autonomia, essi – nel loro complesso – la-
sciano intravedere un percorso della famiglia dei Minori, che si
configura quale esito delle modificazioni avvenute nel contesto ec-
clesiale e sociale del XIII secolo. Questi testi divengono, al tempo
stesso, testimonianza di uno sviluppo controverso sul quale grava-
va un giudizio altrettanto controverso. Si tratta solo di uno tra i
molti possibili percorsi suggeriti dalle Vite, che mette in primo
piano il tema dell’agiografia come specchio della storia dell’Ordi-
ne. Attraverso scandagli su alcuni aspetti e momenti delle vicende

ne di Ambrogio da Massa (O.M., Orvieto 1240), «Società e Storia» 64 (1994), pp. 253-
278; cf. inoltre R. PACIOCCO, Da Francesco ai ‘‘Catalogi sanctorum’’. Livelli istituzionali
e immagini agiografiche nell’Ordine francescano (secoli XIII-XIV) (Collectio Assisien-
sis, 20), S. Maria degli Angeli-Assisi 1990, pp. 71-77; nel caso di Ruggero e Ambrogio,
Gregorio IX e Innocenzo IV concessero un’autorizzazione per il culto locale.
Introduzione 23

narrate dalle fonti si cercherà di evidenziare l’evoluzione, gli adat-


tamenti e le resistenze ad essa in un contesto in cui la propria me-
moria storica continuava a rimanere impegno costante e tormenta-
to di riflessione, scrittura e confronto, come pure strumento di af-
fermazione, di giustificazione delle proprie posizioni e di lotta. Mi
pare che queste Vite traccino un itinerario diverso ma per molti
versi parallelo e analogo – nei risultati – a quello delle Vite di Fran-
cesco, con aspetti ed elementi differenti, ma fondamentali per co-
gliere il differenziarsi e articolarsi della storia dell’Ordine, in cui si
evidenzia uno stesso schema di sviluppo (2).
Un primo punto che mi pare centrale nella riflessione intorno ai
testi qui raccolti e alla decisione stessa, maturata in seno al gruppo
di ricerca impegnato nella loro traduzione, di considerarli in modo
unitario, riguarda le motivazioni che stanno a monte di tali diversi
tipi di letteratura agiografica. Queste motivazioni non si limitano
alla volontà di celebrare, trasmettendone e mantenendone vivo il
ricordo, i frati che si erano distinti per virtù, genere di vita, santità,
ma sono altresı̀ legate all’esigenza di offrire – direttamente o, più
spesso, in ‘‘controluce’’ – una determinata immagine dell’Ordine
cosı̀ come si presentava già all’inizio degli anni trenta del Duecen-
to: un Ordine fortemente ‘‘istituzionalizzato’’, ma tutt’altro che
compatto e ‘‘uniforme’’. Soltanto pochi anni dopo la scomparsa di
Francesco inevitabilmente i frati si ritrovano a misurare l’evoluzio-
ne – in qualche modo la distanza – rispetto al fondatore e alle ori-
gini della fraternitas, ma quell’evoluzione trova – in una consisten-
te parte della tradizione agiografica, non in tutta – una propria
irenica risposta in una figura che diventa, grazie anche al precoce
riconoscimento ufficiale della sua santità, l’emblema della conti-
nuità nel cambiamento: Antonio da Lisbona/di Padova.
Le Vite di Antonio rappresentano il passaggio-chiave dalla di-
mensione della religio, ancora sostanzialmente priva di basi istitu-
zionali e di un’organizzazione centralizzata, in cui tende a prevale-
re l’abitudine alla precarietà e una vita connotata dalla simplicitas,

(2) Cf., per limitarsi a pochi riferimenti, G. MICCOLI, Francesco d’Assisi. Realtà e
memoria di un’esperienza cristiana (Paperbacks, 217), Torino 1991, pp. 190-302; J.
DALARUN, La Malavventura di Francesco d’Assisi. Per un uso storico delle leggende
francescane (Fonti e ricerche, 10), Milano 1996, pp. 41-175; R. MICHETTI, Francesco
d’Assisi e il paradosso della ‘‘minoritas‘‘. La ‘‘Vita beati Francisci’’ di Tommaso da
Celano (Nuovi studi storici, 66), Roma 2004; LUIGI PELLEGRINI, Frate Francesco e i suoi
agiografi (Medioevo francescano, 8), S. Maria degli Angeli-Assisi 2004, pp. 113-313;
A. VAUCHEZ, Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria (Saggi, 911), Torino 2010 (ed. or.
François d’Assise. Entre histoire et mémoire, Paris 2009), pp. 201-226; E. PRINZIVALLI,
Un santo da leggere: Francesco d’Assisi nel percorso delle fonti agiografiche, in France-
sco d’Assisi e il primo secolo di storia francescana (Biblioteca Einaudi, I), Torino 1997,
pp. 71-116.
24 Introduzione

all’Ordo, con le sue esigenze di razionalizzazione, di ‘‘strutturazio-


ne’’, caratterizzato da un forte incremento numerico delle adesioni,
ma anche da un innalzamento del livello socio-culturale dei nuovi
frati. Antonio ne è un esempio eclatante, ma insieme è, appunto, il
‘‘passaggio’’. I frati che lo accolgono «non sapevano leggere, ma
insegnavano con le opere la forza della Scrittura» (3); Antonio,
che trascorre la sua vita in solitudine e preghiera prima che sia
rivelata ai confratelli la sua sapienza, unisce «il merito dell’umiltà
[...] al dono della scienza». Colpisce, nei frati che lo ascoltano la
prima volta, la «profondità inaspettata» delle sue parole, «ma non
di meno lo spirito con cui parlava e la sua ardentissima carità» (4).
L’occasione in cui si manifesta tale «scienza» è data dall’invito a
proporre ai frati una «parola di salvezza» (5): una parola salvifica.
Umiltà e scienza si configurano come i due poli entro i quali si
snoda la vicenda storica dell’Ordine, con la ricerca di un difficile,
faticoso, quanto mai precario equilibrio, intorno ai quali sorgono
le tensioni che, fin dai primi decenni, sono all’origine della lacera-
zione e ‘‘frammentazione’’ del francescanesimo.
La tensione tra queste due dimensioni, alle quali a livello agio-
grafico-letterario si cerca di trovare una pacata e convincente com-
posizione, costituisce una realtà tormentosamente vissuta fin dagli
anni trenta-quaranta come dimostra – ben prima della bonaventu-
riana Epistola de tribus quaestionibus (6) – un pregnante passaggio
del Dialogus, risalente al generalato di Crescenzio da Iesi (1244-
1247). Dopo aver ascoltato i tanti miracoli compiuti dai frati, uno
dei due anonimi protagonisti impegnati nel ‘‘dialogo’’ osserva che
tutti i miracoli dei quali ha udito narrare, con l’unica eccezione di
Antonio, «sono stati compiuti da frati semplici o certo poco lette-
rati» (7). A quel punto chiede espressamente al suo interlocutore se
sia a conoscenza di miracoli simili «compiuti da fratelli letterati del
nostro Ordine». Si tratta, con ogni evidenza, di un dubbio cruciale
che concerne la compatibilità tra santità e scienza, tra la possibilità
stessa di raggiungere la santità e l’essere dotato di una cultura su-
periore. La risposta parte dall’ovvia constatazione dell’amore di
Dio per la semplicità e i semplici: «Si sa certo che a Dio fin dall’i-
nizio sono piaciuti coloro che amano la semplicità» e dalla citazio-

(3) Assidua 602.


(4) Assidua 619; i corsivi sono miei.
(5) Assidua 617.
(6) SAN BONAVENTURA, Opuscoli francescani 1 (Opere di san Bonaventura 14/1),
Roma 1993, pp. 93-109, soprattutto pp. 106-108; cf. a proposito le riflessioni di MIC-
COLI, Francesco d’Assisi. Realtà e memoria, pp. 271-273 e di G.G. MERLO, Intorno a
francescanesimo e minoritismo. Cinque studi e un’appendice (Presenza di San France-
sco, 47), Milano 2010, pp. 170-172.
(7) Dialogo 500.
Introduzione 25

ne paolina su Dio che «ha scelto ciò che è stolto del mondo per
confondere i sapienti» (8). Ed è proprio l’esempio di Paolo a offrire
la soluzione più convincente ai dubbi espressi dal confratello:
«Tuttavia nondimeno [Dio] dal cielo ha chiamato il sapiente Paolo
per costruire la casa fondatrice della Chiesa in cammino, e adatta-
re al di sopra di Cristo, che ne è il fondamento, una serie di pietre
vive come regola di fede; cosı̀ convocò Pietro e Giovanni e gli altri
apostoli, che certo, anche se scelti senza lettere e ignoranti (idio-
tas), istruiti tuttavia dallo Spirito, meritarono di andare oltre la sa-
pienza dei sapienti del mondo. Forse che al sapiente Paolo – cosı̀
prosegue la riflessione – mancò la grazia delle guarigioni?» (9). Il
ragionamento, arricchito da altri riferimenti scritturistici, è cosı̀
completo: Dio ama i semplici e la semplicità, però ha scelto la sa-
pienza di Paolo per guidare la sua Chiesa; allo stesso tempo ha
chiamato a sé gli apostoli, persone semplici – sine litteris et idiotas
– ma sapienti anch’essi per grazia dello Spirito. La grazia delle
guarigioni accordata a Paolo dimostra icasticamente che santità e
scienza non sono incompatibili, tutt’altro, verrebbe da dire. E for-
se non è casuale che subito di seguito vengano narrati i miracoli di
Adamo Rufo, allievo di Roberto Grossatesta, da alcuni identificato
con il magister Adamo di Oxford, come a voler mostrare immedia-
tamente un esempio concreto di frate sapiente, ma non per questo
privo della grazia dei miracoli.
Le due ‘‘vocazioni’’ francescane, precocemente distintesi e al-
trettanto precocemente vissute in modo tendenzialmente alternati-
vo, sembrano trovare già nel Dialogus una rassicurante, se pure
non risolutiva, composizione. Tuttavia sul fatto che queste antiteti-
che vocazioni abbiano continuato a incidere sulla storia dell’Ordi-
ne, a costituire, spesso in modo sotterraneo, due poli in qualche
modo alternativi o vissuti come tali, mi pare accertato da tanti epi-
sodi degli Atti del beato Francesco e dei suoi compagni, tra i quali
senza dubbio spicca, per l’inusitata violenza attribuita a Francesco,
quello relativo alla maledizione scagliata contro un ministro colpe-
vole di aver istituito uno studium a Bologna. Appena venuto a co-
noscenza del fatto, Francesco – secondo il racconto degli Atti – si
reca immediatamente a Bologna e rimprovera con insolita durezza
il frate: «‘‘Tu vuoi distruggere il mio Ordine! Desideravo e volevo,
sull’esempio del mio Signore Gesù Cristo, che i miei frati pregas-
sero piuttosto che studiassero’’. Allontanandosi da Bologna san
Francesco lo maledı̀ di una dura maledizione» (10). Immediatamen-

(8) Dialogo 501; la citazione di san Paolo si riferisce a 1Cor 1,27.


(9) Dialogo 501-502.
(10) Atti 1741-1742; per questo episodio mi permetto di rinviare a un mio prece-
dente lavoro: cf. M.T. DOLSO, Le maledizioni di Francesco, «Il Santo» 43 (2003), pp.
26 Introduzione

te il ministro si ammala gravemente, al punto che i frati pregano


invano Francesco di ‘‘ritirare’’ la sua maledizione, già confermata
da Gesù Cristo in cielo, che segna l’eterna dannazione del mini-
stro: «subito discese dall’alto una goccia infuocata e di zolfo sul
suo corpo, che perforò lui e il letto in cui giaceva e con il più gran-
de fetore quel miserabile spirò e il diavolo prese la sua anima» (11).
Vale forse la pena ricordare che la Benignitas esalta Antonio come
«il primo docente a tenere scuola» nel suo Ordine, avendo cura di
specificare che «ciò avvenne a Bologna nel settore teologico (in
facultate theologica), giacché lı̀ allora funzionava lo Studio» (12); lo
stesso Antonio aveva inoltre ricoperto la carica di ministro provin-
ciale negli anni 1227-1230. Il ministro di cui parlano gli Actus non
è ovviamente Antonio (13), di cui, anzi, vengono ricordati due
straordinari prodigi che hanno per tema la predicazione (14): la
sua precoce canonizzazione, d’altronde, lo rendeva, con ogni evi-
denza, intangibile. Mi pare che l’aspra presa di posizione attribuita
al fondatore derivi proprio da un altrettanto netto e intransigente
rifiuto di tutta una linea di evoluzione dell’Ordine cosı̀ come si era
realizzata a partire dai decenni successivi alla scomparsa di Fran-
cesco e che trovava tenaci, ancorché minoritari, oppositori.
Se il desiderio di comporre, fino a renderle pienamente compa-
tibili, realizzazioni, pratiche e prassi dalla matrice e dalle finalità
diverse si manifesta già negli anni quaranta del Duecento, ciò non
comporta un netto e decisivo privilegiamento di questa linea inter-
pretativa e di ricostruzione di una storia in seno all’Ordine, man-
tenendo, al contrario, la tradizione nettamente polemica verso l’e-
voluzione della religio minoritica, una sua vitalità che ritrova forza
e rinnovato vigore tra la fine del Duecento e i primi decenni del
secolo successivo nell’alveo del movimento spirituale.

612-613, cf. anche le pagine seguenti per la diffusione del racconto nelle fonti trecen-
tesche; la fonte dell’episodio, come di altri confluiti negli Actus, è l’Historia septem
tribulationum di Angelo Clareno, cf. ANGELO CLARENO, Historia septem tribulationum
Ordinis Minorum, ed. critica a cura di O. Rossini; introd. e commento di H. Helbling
(Fonti per la storia dell’Italia Medievale. Rerum Italicarum Scriptores, 2), Roma 1999,
pp. 94-95 (FF 2169).
(11) Atti 1742.
(12) Benignitas 892; su questo passaggio cf. oltre.
(13) Gli Actus parlano di Giovanni «de Sciaca», che ha poi numerose varianti in
altri testi coevi o successivi, come la compilazione di Avignone, cf. D OLSO, Le maledi-
zioni di Francesco, pp. 612-616.
(14) Si tratta del miracolo relativo alla capacità di Antonio di farsi comprendere da
persone parlanti lingue diverse e dell’affascinante miracolo della predica ai pesci. Gli
Atti definiscono Antonio «uno dei discepoli eletti di san Francesco, che san France-
sco chiamava suo vescovo» (Atti, capp. 44 e 45), come risulta dalla stessa lettera che il
fondatore avrebbe indirizzato ad Antonio, autorizzandolo a insegnare teologia ai frati,
cf. FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, a cura di A. Cabassi, Padova 2002, p. 392 (FF 251).
Introduzione 27

2. DALLA «SIMPLICITAS» ALLA «SAPIENTIA»


L’origine di quelle tensioni che avrebbero minato l’unità dei
Minori si colloca dunque già nella prima metà del Duecento e pare
significativo che il Dialogus cerchi di offrire una risposta a quanti
si ponevano domande sollecitati da dubbi e perplessità in merito
alla progressiva evoluzione dell’Ordine. Accanto alla strada della
testimonianza evangelica, indicata e incarnata dal fondatore, tra i
frati era presto prevalsa l’opzione del pieno inserimento e della
completa integrazione nelle strutture ecclesiastiche, per certi
aspetti accettata dallo stesso Francesco, ma che si accentua nei ter-
mini e modi di attuazione dopo la sua scomparsa. Fu una strada di
certo avallata, favorita e incoraggiata dalla Chiesa di Roma, e dal
sempre più stretto rapporto con la società, in virtù dell’assunzione
di compiti e ruoli pastorali, che erano divenuti impegno prioritario
e totalizzante per i frati (15). Il passaggio del Dialogus mi pare chia-
ramente avere alle spalle la consapevolezza di una dicotomia anco-
ra più profonda di quella che viene rappresentata in modo quasi
didascalico. E se uno dei personaggi in cui ogni tensione e ogni
contrasto sono superati va senz’altro identificato in Antonio, la vo-
lontà di comporre propensioni diverse, se non divergenti, sembra
manifestarsi anche nella presentazione di altri protagonisti del Dia-
logus, a iniziare da Benvenuto di Gubbio. Egli «pur non avendo
studiato, essendo ignorante, mostrava l’efficacia della Scrittura
più con l’opera che con la parola» (16). Il racconto relativo a Ben-
venuto continua con la descrizione del suo impegno con i lebbrosi,

(15) Fondamentale quanto complesso risulta questo tema, necessariamente af-


frontato da tutti gli studiosi del francescanesimo duecentesco; per qualche rimando
utile all’inquadramento complessivo del problema cf. G.G. MERLO, Nel nome di san
Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo,
Padova 2003, pp. 57-118; G. MICCOLI, La storia religiosa, in Storia d’Italia, a cura di R.
Romano - C. Violante, II. Dalla caduta dell’Impero romano al secolo XVIII, Torino
1974, pp. 764-781; G.G. MERLO, Storia di frate Francesco e dell’Ordine dei Minori, in
Francesco d’Assisi e il primo secolo, soprattutto pp. 17-31; A. RIGON, Frati Minori e
società locali, in Francesco d’Assisi e il primo secolo, pp. 259-281; dense di spunti di
riflessioni sulla questione relativa al rapporto frati Minori/chiese locali le considera-
zioni di M. PELLEGRINI, Itinerari dell’inserimento. Riflessioni su minoritismo e chiese
locali nella prima stagione francescana, in Il francescanesimo dalle origini alla metà del
secolo XVI. Esplorazioni e questioni aperte. Atti del Convegno della Fondazione Mi-
chele Pellegrino, Università di Torino, 11 novembre 2004, a cura di F. Bolgiani - G.G.
Merlo, Bologna 2005, pp. 71-111; per una problematica focalizzazione sul pontificato
di Gregorio IX cf. il quadro tracciato da M.C. ROSSI, Gregorio IX, i frati e le chiese
locali, in Gregorio IX e gli Ordini Mendicanti. Atti del XXXVIII Convegno della
Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi
francescani, Assisi 7-9 ottobre 2010 (nuova serie, 21), Spoleto 2011, pp. 259-292.
(16) Dialogo 184; cf. l’originale latino: Litteras namque cum non didicisset ignorans,
virtutem litterae plus opere quam sermone monstrabat.
28 Introduzione

sulle orme e per volontà di Francesco (17). Si tratta di uno dei raris-
simi casi in cui vengono ricordati i lebbrosi, il cui ruolo – è ampia-
mente noto – era stato assolutamente centrale nella conversione di
Francesco, evocata con poche, incisive parole all’inizio del suo Te-
stamento (18). Pur essendo privo di istruzione e di cultura, Benve-
nuto ne mostrava l’efficacia più con l’opera che con la parola, e la
prima delle opere menzionate è il servizio presso i lebbrosi (19).
Rimane tuttavia Antonio la perfetta sintesi di vocazioni diverse.
Da una parte egli è pienamente inserito nella società del suo tempo
in virtù della precoce assunzione dell’ufficio della predicazione,
benché non manchi nell’esperienza di Antonio l’anelito all’eremo;
dall’altra egli è simbolo della cultura, più precisamente, del passag-
gio dalla simplicitas delle origini all’alto livello culturale che co-
mincia presto a connotare l’Ordine. L’ingresso di Antonio tra i
Minori è infatti consapevolmente inteso dai frati come un innalza-
mento del livello culturale di tutto l’Ordine. L’Assidua sottolinea la
soddisfazione dei frati che avevano accolto Antonio, ricolmi di
gioia di fronte alla decisione di un uomo cosı̀ insigne di vestire il
loro stesso umile abito, coscienti di aver raggiunto un obiettivo
importante. Si tratta del medesimo obiettivo dei frati inglesi quan-
do invitano il celebre magister Adamo di Oxford «toto famosus
orbe», a vestire l’abito dei Minori: «Magister carissime [...] releva
simplicitatem nostram» (20).
Nella sapienza di Antonio si manifesta l’illuminazione dello spi-
rito, ed è – mi pare – nella sottolineatura di questo carattere che si

(17) Cf. Dialogo 185: «su mandato del santo padre Francesco umilmente si sotto-
pose ad essere al servizio dei lebbrosi dando loro attenzioni di umanità, lavando
spesso con le mani i loro piedi e corpi e detergendo senza fastidio il pus delle piaghe
che usciva dalle membra putrefatte».
(18) Cf. FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, pp. 432-433: «Il Signore cosı̀ diede a me, fratel-
lo Francesco, di iniziare a fare penitenza, poiché, essendo nei peccati, troppo mi
sembrava amaro vedere i lebbrosi. E lo stesso Signore mi condusse in mezzo a loro
e feci misericordia con loro. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi
si trasformò in dolcezza d’animo e di corpo».
(19) I lebbrosi, per altro, risultano protagonisti di alcuni miracoli di guarigione
operati dallo stesso Benvenuto, in cui l’agiografo sottolinea l’aspetto ripugnante e di
esclusione sociale che la malattia comportava; sul tema, molto ricco di possibili rinvii
bibliografici, mi limito a ricordare l’ultimo volume, appena pubblicato, dei «Quaderni
di storia religiosa» dedicato appunto ai lebbrosi: cf. Malsani. Lebbra e lebbrosi nel
Medioevo, a cura di G. De Sandre - M.C. Rossi (Quaderni di storia religiosa, 19),
Caselle di Sommacampagna, Verona 2012, in particolare il contributo di D. S OLVI,
Santi e lebbrosi nel Duecento, in Malsani. Lebbra e lebbrosi.
(20) TOMMASO DI ECCLESTON, Tractatus de adventu fratrum Minorum in Angliam, ed.
A.G. LITTLE (Collection d’études et de documents sur l’histoire religieuse et littéraire
du Moyen Âge, 7), Paris 1909, collatio III, p. 21; nella più tarda Chronica XXIV
Generalium il magister diventerà il ben più celebre Alessandro di Hales, cf. Chronica
XXIV Generalium Ordinis Minorum, AF III, Ad Claras Aquas (Quaracchi) 1897, pp.
218-220.
Introduzione 29

coglie la volontà di tracciare una linea di piena continuità rispetto


al fondatore, senza scarti, senza distinguo. L’Assidua, presentando
Antonio mentre si oppone agli eretici di Rimini, sostiene che egli,
ignaro delle «sottigliezze dei filosofi, confutò le capziose dottrine
degli eretici in modo più chiaro del sole» (21). La sua scienza non
ha nulla in comune – secondo l’agiografo – con la scienza del mon-
do, si inserisce in una dimensione altra e diversa, derivando la pro-
pria forza dallo spirito e dalla grazia. Cosı̀ l’opera di predicazione,
nella quale Antonio profonde ogni sua energia, prende corpo dal
suo «zelo infaticabile» rivolto alle anime dei fedeli (22). Egli che,
ancora prima di vestire l’abito dei Minori, «affidava le sue letture
a una memoria tenace, tanto che in breve meritò di possedere in
abbondanza una scienza della Scrittura per tutti insperata» (23),
mette la propria conoscenza al servizio dei fedeli, dei frati, della
Chiesa e della società: un aiuto cosı̀ prezioso, indispensabile al
punto che la sua scomparsa getta tutto il popolo nello sconforto,
come riferisce l’autore dell’Assidua: «O quale altro vero predicato-
re della parola di Dio troveremo, noi orfani, simile a te?» (24).
L’agiografia antoniana – per quanto attiene alle cinque Vite qui
considerate, che si collocano in un arco di tempo compreso tra il
1232 e i primi anni del Trecento – presenta una progressiva ampli-
ficazione del ruolo della sapienza in Antonio: una sapienza che gli
appartiene sin dai primi anni della sua permanenza presso i cano-
nici di sant’Agostino, ma che è, da subito, divinamente orientata
verso il raggiungimento di obiettivi propri della sua nuova vita re-
ligiosa tra i Minori. Giuliano da Spira, impegnato nella seconda
metà degli anni trenta nella composizione di una Vita dedicata ad
Antonio, dopo aver scritto una Vita sancti Francisci, pur tenendo
come punto di riferimento fondamentale l’Assidua, inizia a traccia-
re quel percorso di arricchimento dell’attributo della sapienza che,
posta a servizio della cura pastorale, si configura quale componen-
te costituiva e originaria del francescanesimo.
«Lo Spirito, come per una previsione del futuro, lo faceva avan-
zare nello studio delle sacre Scritture. Riflettendo in continuazione
su di esse seppe non solo come seminare le virtù nel campo altrui
estirpando i vizi, coltivando se stesso sollecitamente prima di ogni
altro: si munı̀ anche delle validissime sentenze dei Padri [della
Chiesa], [per imparare] come applicare la norma delle fede e con-
futare gli errori. E cosı̀ avvenne che, ispirato da colui il quale non

(21) Assidua 621.


(22) Assidua 629.
(23) Assidua 600.
(24) Assidua 657.
30 Introduzione

ha bisogno di lungo tempo per insegnare, poco più tardi l’uomo di


Dio fu ripieno di ‘‘spirito di sapienza’’ (Sir 15,5b Vg)» (25).
Gli elementi costituivi della futura vocazione di Antonio, desti-
nata a diventare quella di tutto l’Ordine dei Minori, sono già tutti
prefigurati nel passo di Giuliano da Spira. Lo studio delle sacre
Scritture, innanzitutto, finalizzato non solo alla propria formazio-
ne, pur imprescindibile, ma all’azione rivolta al di fuori di sé, agli
altri; lo studio dei testi della patristica per un ulteriore e in qualche
modo più alto gradino di cura animarum in quanto inerente alla
perfetta ortodossia. Quel «confutare gli errori» richiama alla men-
te – se pure in questo passaggio non risulta esplicitamente evocata
– l’eresia. La predicazione antiereticale di Antonio – già presente
nell’Assidua – rappresenta una circostanza assolutamente nuova
nel panorama francescano: il tema ereticale non risulta mai evoca-
to nelle Vite di Francesco. L’argomento viene ripreso da Giuliano
da Spira che sottolinea come Antonio fosse riuscito a confutare
«con ragionamenti serratissimi le perverse dottrine degli ereti-
ci» (26). Il tema dell’eresia, del tutto assente – va ricordato – negli
scritti di Francesco, trova nell’agiografia antoniana una certa riso-
nanza, non solo nell’episodio ambientato a Rimini, ora richiamato,
ma anche, per esempio, nel famoso miracolo del bicchiere scaglia-
to in terra dall’eretico e miracolosamente conservatosi intatto (27).
Ancor maggiormente significativo mi sembra, da questo punto
di vista, l’affacciarsi della finalità antiereticale nel prologo del Dia-
logo sulle gesta dei santi frati Minori. Uno degli scopi che l’autore
dell’opera si prefigge, infatti, è che «la pervicacia dell’eretica pra-
vità [...], disprezzati i propri errori, ritorni con ravvedimento all’u-
nità della fede cattolica, o, una volta frenato il dente mordace della
sua invidia davvero rabbiosa, marcisca chiusa nell’angustia della
perfida cecità» (28). Il testo viene probabilmente redatto negli anni
del generalato di Crescenzio di Iesi (1244-1247) – pochi anni pri-
ma dell’attribuzione ai Minori dell’ufficio inquisitoriale, nel 1254 –
in un periodo, tuttavia, in cui l’impegno dei frati – se pure di sin-

(25) Vita seconda 788. Anche Neslihan S,enocak ha rilevato il ruolo di Antonio
come miglior rappresentante di un francescanesimo «dotto» («Perhaps more than
Francis, Antony of Padua made his mark on the learned Franciscans and how they
identified themselves with the Franciscan movement») e ha sottolineato il ruolo della
Vita di Giuliano da Spira che ha influenzato altresı̀ i sermoni duecenteschi in onore
di Antonio, cf. N. S,ENOCAK, The Poor and the perfect. The Rise of Learning in the
Franciscan Order, 1209-1310, Ithaca (New York) 2012, pp. 112-117 (p. 112 per la
citazione).
(26) Vita seconda 809; per un approfondimento relativo a questo passaggio anche
attraverso un confronto con la versione dell’Assidua, cf. A. R IGON, Dal Libro alla folla.
Antonio di Padova e il francescanesimo medievale (I libri di Viella), Roma 2002, p. 57.
(27) Assidua 765.
(28) Dialogo 66.
Introduzione 31

goli frati e non dell’Ordine nel suo complesso – sul fronte dell’e-
resia è già consolidato (29). Il problema ereticale, originariamente
estraneo agli interessi e all’orizzonte stesso dei frati, rientra in
quella dialettica esterna all’Ordine che ben presto, tuttavia, ne in-
fluenza e ne condiziona lo sviluppo, le attività e le priorità. Colpi-
sce, in quest’ottica, che un’opera di raccolta di episodi miracolosi
attribuiti a tanti membri dell’Ordine, che si propone quale precoce
silloge di santità minoritica, si apra ponendo la lotta antiereticale
tra le proprie finalità. Quell’eresia, argomento mai evocato da
Francesco, assurge nel Dialogo – benché poi, di fatto, la sua pre-
senza nell’opera sia tutt’altro che cospicua – a motivo e scopo di-
rimente della sua stessa composizione.
La realtà di quello scarto, per molti versi ineludibile, tra realiz-
zazioni minoritiche che si configurano come irriducibilmente di-
stanti, sembra voler essere negata proprio attraverso il ricorso al
modello antoniano. Giuliano da Spira, nella Vita seconda, appare
attento a far apparire la sapienza di Antonio non solo come priva
di contraddizione rispetto alla sua simplicitas, ma come stretta-
mente connessa ad essa. Cosı̀ a Montepaolo, dove si era affidato
«totalmente al volere divino», «essendo ricco del dono della sa-
pienza, [Antonio] condusse questa vita semplice tra i sempli-
ci» (30). Descrivendo il modo in cui fu rivelato «divinamente» ai
frati «lo splendore della sapienza celeste» di Antonio, l’agiografo
sottolinea come, oltre che dotato di «divina sapienza», egli fosse
«povero in spirito in unione coi poveri» (31). Tre elementi si incon-
trano e, in qualche modo, si fondono in Antonio: sapienza – sem-
pre divina sapienza, sapienza celeste, sapienza che proviene da
Dio e non dal mondo, ma che Antonio coltiva e accresce –, sem-
plicità, intesa anche nel senso proprio di condivisione di vita –
«condusse questa vita semplice tra i semplici» (32) –, e povertà,
una povertà vissuta «in spirito», ma di nuovo, in condivisione

(29) Sull’impegno inquisitoriale dei Minori prima e dopo la svolta del 1254, cf.
G.G. MERLO, Frati Minori e inquisizione, in Frati Minori e inquisizione. Atti del
XXXIII Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Centro inte-
runiversitario di studi francescani, Assisi 6-8 ottobre 2005 (nuova serie, 16), Spoleto
2006, pp. 3-24; per un’ampia panoramica dell’impegno inquisitoriale dei Minori in
diverse zone dell’Italia centro-settentrionale e in qualche altra area europea (Francia e
Bosnia), vedi anche il resto del volume; cf. inoltre il precedente contributo di L.
PAOLINI, Papato, inquisizione, frati, in Il papato duecentesco e gli Ordini Mendicanti.
Atti del XXV Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Centro
interuniversitario di studi francescani, Assisi 13-14 febbraio 1998 (nuova serie, 8),
Spoleto 1998, pp. 177-204; cf. infine, per seguire gli inizi dell’impegno antiereticale
dei frati, il contributo di M. BENEDETTI, Gregorio IX: l’inquisizione, i frati e gli eretici,
in Gregorio IX e gli Ordini Mendicanti, pp. 293-323.
(30) Vita seconda 797-798.
(31) Vita seconda 801-802.
(32) Vita seconda 798.
32 Introduzione

con i poveri, insieme ad essi. Tale paupertas sembra, da una parte,


nel suo riferimento agli altri poveri, richiamare la conversatio inter
pauperes di Francesco, esperienza fondante la sua scelta di vita
religiosa, dall’altra, al tempo stesso, distinguersene, per essere An-
tonio pauper spiritu. Simplicitas e paupertas rappresentano senza
alcun dubbio aspetti centrali e imprescindibili dell’esperienza
francescana (33). In Antonio vi è poi la sapienza. E benché si noti
l’insistenza di Giuliano nell’enfatizzare la provenienza divina di
quella sapienza – Antonio è «mirabilmente imbevuto di dottrina»,
è «divinamente istruito in ogni cosa» (34) –, una sapienza finalizzata
alla missione pastorale del futuro santo, quella sapienza richiama
inevitabilmente tanti dotti chierici teologi e giuristi che precoce-
mente, nello stesso torno di anni, sentirono irresistibile l’attrazio-
ne per la religio minoritica e la sua scelta di povertà evangelica (35).
La sapienza di Antonio è chiaramente orientata verso l’azione pa-
storale: la predicazione e l’ascolto delle confessioni sono il fulcro
della sua vita, il successo tra i fedeli è il segno di quanto fruttifera
sia la sua opera, coronata da conversioni e pacificazioni dell’intera
società cittadina.
Anche il Dialogus attribuisce con certezza all’iniziativa divina la
missione di predicatore affidata ad Antonio: «[Dio] destinò [...]
l’appassionato dell’eremo a predicare la gloria del suo nome» (36).
Ed è tale l’importanza del ministero della sua parola da far dire
all’agiografo che «la sua vita fu utile alla Chiesa [...], quanto quella
di Cristo» (37). Viene introdotto qui un criterio, quello dell’utilità,
destinato ad assumere un’importanza crescente in seno all’Ordi-

(33) D’obbligo almeno i rinvii ad alcuni lavori fondamentali di M ICCOLI, Francesco


d’Assisi. Realtà e memoria, soprattutto pp. 33-97; G. MICCOLI, Francesco d’Assisi.
Memoria, storia e storiografia, Milano 2010, pp. 81-109; di G.G. MERLO, Frate France-
sco, in particolare pp. 41-69; G.G. MERLO, Intorno a frate Francesco. Quattro studi
(Presenza di San Francesco, 39), Milano 1993, pp. 95-130, e di A. VAUCHEZ, François
d’Assise entre littéralisme évangélique et renouveau spirituel, in Frate Francesco d’Assi-
si. Atti del XXI Convegno della Società internazionale di studi francescani e del
Centro interuniversitario di studi francescani, Assisi 14-16 ottobre 1993 (nuova serie,
4), Spoleto 1994, pp. 183-198, soprattutto pp. 192-198.
(34) Vita seconda 804 e 807.
(35) Cf. G. TODESCHINI, Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società
di mercato (Intersezioni, 268), Bologna 2004, pp. 72-88: dopo aver ricordato molti
teologi e giuristi entrati nell’Ordine – da Antonio ai teologi inglesi e francesi quali
Aimone di Faversham e Jean de la Rochelle, per fare due nomi tra i più noti – Tode-
schini nota che «Non è facile capire la profondità di questo rapporto tra povertà
volontaria e cultura teologico-giuridica»; di certo «Un ambiente di intellettuali di
condizione ecclesiastica, abituato all’analisi logica delle sacre Scritture e a raccordare
la Legge divina con le leggi umane, scopriva ora una nuova via di avvicinamento alla
perfezione cristiana nel modello esistenziale francescano» (p. 73).
(36) Dialogo 83.
(37) Dialogo 81.
Introduzione 33

ne (38), soprattutto nel momento in cui all’iniziale e pressoché una-


nime consenso ed entusiasmo verso i frati, si affiancarono perples-
sità e critiche provenienti soprattutto dai magistri secolari dell’u-
niversità di Parigi (39). Ed è lo stesso criterio che presiede le norme
restrittive, in tema di reclutamento, delle Costituzioni del 1239,
che limitavano l’ingresso tra i Minori ai chierici o ai laici utili al-
l’Ordine (40). L’intera vita e opera di Antonio, ricondotte a un’uti-
lità paragonata addirittura a quella di Cristo, vengono poste sotto
l’egida di una provvidenzialità che si trasmette all’istituzione mi-
noritica nel suo complesso, e cosı̀ la santità di Antonio e degli altri
frati diviene lo specchio della santità di tutto l’Ordine, che cresce,
si diffonde, si evolve, ma – nella visione che ne danno molti agio-
grafi – non perde né modifica i propri caratteri di fondo.

3. DALLA «SAPIENTIA» ALLA «PAUPERTAS»


L’utilità di Antonio è confermata dagli obiettivi a lui divinamen-
te attribuiti: per l’autore della Benignitas, scritta, con ogni verosi-
miglianza, nella seconda metà degli anni settanta del Duecento,
Antonio viene scelto dal Signore per l’evangelizzazione. Ma nel
passo in cui si parla di tale specifico ruolo di Antonio, la prospet-
tiva si amplia a comprendere l’intera storia della salvezza.
«Dio infatti assegnò in maniera molto precisa un compito a
questo suo ammirevole araldo, Antonio, per evangelizzare la gloria
del suo nome, come un secondo Paolo, perché portasse il suo no-
me innanzi ai prelati e ai principi della terra e ai popoli tutti.
Quant’è grande la provvidenza di Dio su di noi, poveri vermi! A
questa cena, come si è già detto, egli ci invitò in primo luogo per
mezzo dei patriarchi e degli antichi profeti, in secondo luogo per
mezzo del suo Figlio unigenito e dei suoi santi apostoli, in terzo
luogo tramite i dottori sacratissimi della Chiesa, in questi ultimi

(38) Cf. le incisive parole di Grado Merlo su questo aspetto, cf. M ERLO, Nel nome
di san Francesco, pp. 184-185: «‘‘Utilità’’ è un concetto ecclesiologico centrale nel
pensiero giustificativo dei frati Minori durante i decenni centrali del XIII secolo:
che si tratti di polemizzare con i maestri secolari dello Studio parigino, oppure di
difendere la propria posizione ecclesiastica nell’assise conciliare, oppure di distin-
guersi dalle diverse genie pseudo-mendicanti, oppure di rivendicare i propri diritti
di cura d’anime di fronte alle opposizioni del clero diocesano».
(39) Nutrita la storiografia su questo tema centrale; mi limito a citare, per un
inquadramento generale dell’argomento e per una sua esaustiva trattazione, R. L AM-
BERTINI, Apologia e crescita dell’identità francescana (1255-1279) (Nuovi studi storici,
4), Roma 1990.
(40) Cf. Constitutiones generales Ordinis fratrum Minorum I (Saeculum XIII), edd.
C. Cenci - R.G. Mailleux, AF XIII (Nova Series, Documenta et Studia, 1), Grottafer-
rata 2007, pp. 22-23.
34 Introduzione

tempi per mezzo dei suoi servi Francesco ed Antonio e degli altri
predicatori, espressamente mandati, come si crede, a quest’epoca
che si avvia al tramonto» (41).
Antonio è significativamente posto tra Paolo e Francesco: come
un secondo apostolo delle genti è destinato da Dio all’altissimo
compito dell’evangelizzazione e dopo gli apostoli stessi è chiamato,
insieme a Francesco, a salvare l’umanità che «si avvia al tramon-
to». La dimensione non è più quella dell’Ordine, della Chiesa,
nemmeno quella delle turbolente società cittadine dove l’azione
dei frati si era dimostrata importante e incisiva, ma è quella della
historia salutis, della lunga storia del rapporto tra Dio e gli uomini,
in cui – accanto ai patriarchi, ai profeti, ai dottori della Chiesa,
accanto a Gesù stesso e agli apostoli – un ruolo d’eccezione è
attribuito a Francesco e Antonio, posti l’uno accanto all’altro.
L’accostamento tra i due santi francescani torna nella chiusa della
Benignitas, dove viene riproposto il parallelismo Antonio-Paolo in-
sieme a quello Francesco-Pietro.
«Francesco [...] nella maniera in cui il beato Pietro lo fu per la
Chiesa universale, cosı̀ fu fondatore, guida e pastore [...]. Antonio,
nella maniera in cui il beato Paolo lo fu per la stessa Chiesa, cosı̀
ne fu predicatore, costitutore e docente» (42).
Solo nella più tarda Rigaldina, verosimilmente composta nel
primo decennio del Trecento, si ritrova l’accostamento dei due
santi che, nella tradizione antoniana precedente, si limitava sostan-
zialmente all’episodio dell’apparizione di Francesco mentre Anto-
nio predicava ai frati riuniti nel capitolo di Arles (43). Nel dettato
della Rigaldina la scelta di Antonio di unirsi ai Minori ha uno sco-
po provvidenziale ben preciso: «affinché Francesco non corresse
da solo nell’agone della predicazione». E cosı̀, nell’accogliere la
richiesta di Antonio di entrare nell’Ordine, «quei semplici frati
provano un’immensa gioia, vedendo accrescersi il loro ovile, entra-
re nel recinto una pecora feconda e ampliarsi la Chiesa che, per i
meriti di Francesco, dava alla luce una nuova prole» (44). Non solo:
per Giovanni Rigaldi, autore dell’opera, Antonio «imitò [...] il suo
maestro Francesco» (45). Dalla complementarità istituita tra i due
santi nella Benignitas, si passa alla sequela e all’imitazione: «uomo
di umilissima semplicità» lo definisce ancora la Rigaldina, «educa-
to agli ideali di povertà, purezza e obbedienza secondo la regola

(41) Benignitas 886-887.


(42) Benignitas 934.
(43) Vita seconda 811; sull’episodio di Arles cf. D. RUIZ, Le chapitre d’Arles (1224-
1226) ou la rencontre de François et Antonine: un échange de charismes?, «Il Santo» 43
(2003), pp. 445-459.
(44) Rigaldina 1059-1060.
(45) Rigaldina 1065.
Introduzione 35

dei frati Minori» (46), «vero amante dell’umiltà, che preferiva essere
discepolo più che maestro» (47).
La vicinanza dei due santi francescani (48), uniti nella missione di
salvezza ancora richiamata nel passo conclusivo della Benignitas, si
declina in modi e forme diverse nella tradizione agiografica anto-
niana che, da un lato, insiste sulla complementarità, evidenziando
le altissime qualità intellettuali e culturali di Antonio, nella convin-
zione che egli rappresenti comunque la necessaria evoluzione ri-
spetto a Francesco e alla sua fraternitas e, dall’altro, con la Rigaldi-
na fa prevalere l’imitazione, proponendo una raffigurazione di An-
tonio in cui l’esaltazione della povertà occupa un posto privilegiato.
Espressione del primo aspetto dell’evoluzione agiografica è so-

(46) Rigaldina 1065 e 1066.


(47) Rigaldina 1075.
(48) Sul tema complesso, anche a livello storiografico, del rapporto Francesco/
Antonio, mi limito a richiamare la messa a punto problematica di L. B ERTAZZO, Anto-
nio: francescanità e francescanesimo, in Antonio di Padova uomo evangelico. Contributi
biografici e dottrinali, a cura di L. Bertazzo, Padova 1995, pp. 33-62, in particolare
sulla Rigaldina pp. 47-48; significativamente l’autore richiama anche la dimensione
iconografica, rinviando ad alcune riflessioni sul tema di Servus Gieben che – nell’am-
bito delle Discussioni seguite al convegno Gli studi francescani dal dopoguerra ad oggi –
notava l’accostamento dei due santi nelle basiliche di Roma, come pure nelle vetrate
di Assisi nelle quali Francesco e Antonio vengono raffigurati insieme a Pietro e Paolo,
suggerendo l’idea di un parallelismo dei santi ‘‘fondatori’’ dell’Ordine con gli apostoli
‘‘fondatori’’ della Chiesa, cf. Resoconto delle discussioni, in Gli studi francescani dal
dopoguerra ad oggi. Atti del Convegno di studio, Firenze 5-7 novembre 1990, a cura di
F. Santi (Quaderni di cultura mediolatina, 2), Firenze 1993, p. 388. Pochi anni dopo,
al convegno fiorentino del 1995, Ovidio Capitani riprendeva la suggestione di Gie-
ben, notando che «la cattura di Antonio in una prospettiva di alter Franciscus comin-
cia assai presto»: Salimbene infatti, nella sua Cronica, parla di Antonio come «compa-
gno di san Francesco», cf. O. CAPITANI, L’Italia nella prima metà del Duecento, in Un
antico e sempre nuovo testimone del francescanesimo. Sant’Antonio di Padova. XIV
edizione delle «Giornate dell’Osservanza», Bologna 13-14 maggio 1995, Convento
dell’Osservanza, Bologna 1996, pp. 27-33, p. 31 per la citazione. Una ricerca più
approfondita sul tema iconografico antoniano con approfondimenti di questo aspetto
è stata presentata da Gieben al convengno antoniano del 1995, cf. S. G IEBEN, La
componente figurativa dell’immagine agiografica. L’iconografia di sant’Antonio nel se-
colo XIII, in ‘‘Vite’’ e vita di Antonio da Padova. Atti del Convegno internazionale sulla
agiografia antoniana, Padova 29 maggio - 1 giugno 1995, a cura di L. Bertazzo (Centro
studi antoniani, 25), Padova 1997 («Il Santo» 36, 1996), pp. 321-333, cf. soprattutto le
significative conclusioni dell’autore sull’accostamento di Francesco e Antonio con
Pietro e Paolo, pp. 330-333. Sull’accostamento dei due primi santi francescani fecondi
risultati e stimolanti spunti interpretativi vengono poi dal campo omiletico, come
dimostrano le recenti ricerche di Eleonora Lombardo, cf. E. L OMBARDO, Predicare la
santità, plasmare il pubblico. Sermoni modello per sant’Antonio di Padova (ca. 1232-
1350), in S. António de Lisboa: novas investigações. Jornada internacional de estudos,
Porto 25 marzo 2013, «Il Santo» 54 (2014, in corso di stampa). Colgo l’occasione per
ringraziare Eleonora Lombardo che con generosità e sollecitudine mi ha messo a
disposizione i testi in corso di stampa dei suoi più recenti lavori, nell’ambito del suo
importante e articolato progetto di ricerca concernente l’individuazione e l’edizione
del maggior numero possibile di sermoni dedicati ad Antonio di Padova nel periodo
compreso tra la sua canonizzazione e il 1350.
36 Introduzione

prattutto la Benignitas che presenta un Antonio caratterizzato da


«profonda cultura biblica» e impegnato nel ministero di «docente
nei conventi del suo Ordine, ministro provinciale, predicato-
re» (49). L’eccezionale conoscenza della sacra Scrittura è funzionale
alla sua opera di insegnamento, predicazione e disputa, verso cui
era spinto «dallo zelo della fede e dal fervore per la salvezza delle
anime», ma anche «dall’amore per istruire i suoi confratelli» e «dal
desiderio di onorare il suo Ordine, che a quel tempo era poco
considerato per l’inesperienza» (50). Sono qui poste sullo stesso
piano motivazioni diverse che danno la misura del salto temporale
rispetto alle due prime Vite antoniane e anche rispetto al Dialo-
gus (51). La ragione connessa alla cura pastorale e finalizzata all’esi-
to salvifico si unisce alla volontà esplicita di onorare l’Ordine. Nel
racconto della Benignitas, attribuita al magister Pecham, l’elemen-
to agiografico si salda al tema della celebrazione dell’Ordine e que-
sto avviene su un duplice livello.
Da una parte l’arrivo di una persona dotta come Antonio, ben-
ché egli avesse preferito «essere annoverato tra gli illetterati e gli
inesperti, piuttosto che tra i saputi e i maestri» (52), ‘‘innalza’’ il livel-
lo culturale dell’istituzione minoritica e questa circostanza appare
evidente fin dalla prima Vita di Antonio. Dall’altra nell’agiografia
si manifesta una crescente attenzione a configurare l’evoluzione
dell’Ordine in perfetta e direi naturale continuità con i primordi,
tracciando una linea coerente e priva di scarti, in cui si possono
certo individuare tappe successive, ma non in contrasto tra di loro.
L’immagine dei frati semplici e illetterati che attraggono persone
sapienti è ribadita anche dalla Raimondina, che inserisce la conver-
sione di Antonio all’Ordine in un contesto di attrazione di «perso-
ne molto sapienti, molto illustri e assai numerose» da parte dei frati
«inesperti nelle cose della carne, reietti dal punto di vista del mon-
do ed esigui di numero» (53). Sono essi – «semplici nel sapere [...]
silenziosi e luminosi predicatori della vita evangelica senza glosse
che distraggono» – ad accogliere il sapiente Antonio, nel cui cuore
«il dito di Dio aveva tracciato [...] la pienezza del sapere» (54), ma

(49) Cosı̀ recitano rispettivamente i titoli dei capitoli 12 e 13 della Benignitas (Sua
profonda cultura biblica e Docente nei conventi del suo Ordine, ministro provinciale,
predicatore).
(50) Benignitas 892.
(51) Donato Gallo, nella Presentazione dell’opera, riassume le varie posizioni sto-
riografiche in merito alla datazione dell’opera e individua come il periodo più proba-
bile di composizione gli anni 1276-1278, cf. Benignitas, pp. 312-314.
(52) Benignitas 888, cosı̀ l’originale latino: magis computari eligit inter ydiotas et
laycos, quam inter sciolos et magistros.
(53) Raimondina 951 (carnaliter imperiti, seculariter abiecti ac numero exigui).
(54) Raimondina 984.
Introduzione 37

che viene insieme definito anche «il più semplice tra i semplici» (55).
Semplicità e sapienza si toccano evidenziando un percorso comune
che vuole tenere insieme le forze centrifughe del francescanesimo.
Nell’ultimo scorcio del Duecento, quando moriva il più fecondo
dei pensatori francescani Spirituali, Pietro di Giovanni Olivi (56),
tra i più impegnati nella riproposizione di aspetti fondamentali del-
la vita del fondatore, attraverso modi e forme di vita che ne mante-
nessero inalterata l’impronta, l’autore di questa Vita, per altro de-
stinata a ben poco successo, teneva a precisare come quei primi
frati, che avevano ricevuto Antonio nell’Ordine, seguissero la vita
evangelica nella sua purezza e nella sua integrità «sine glosis distra-
hentibus» (57).
Raccordo ideale tra i due fondamentali momenti successivi –
delle origini e dello sviluppo geografico, ma soprattutto culturale
dei Minori – è Antonio, che «nel suo Ordine fu il primo docente –
come ricorda la Benignitas – a tenere scuola» e, va aggiunto, a te-
nere scuola a Bologna dove, come ancora puntualizza la Benigni-
tas, «allora funzionava lo Studio di più alto livello in tutti i saperi
dei nostri contemporanei da questa parte delle Alpi, e per questo
motivo sembrò bene ai frati, cioè a quelli di maggiore spicco, di
destinare Antonio a insegnare colà» (58). Si può forse attribuire alla
sensibilità del magister l’attenzione per l’Università bolognese, ma
certo si trattava di un’attenzione rispondente alla realtà dell’Ordi-
ne negli anni settanta del Duecento, in cui l’impegno negli studi,
sempre funzionali al raggiungimento di un’adeguata preparazione
dei frati incaricati del ministero pastorale, aveva ormai solide e
profonde radici. Nella stessa Benignitas, per altro, la sapienza di
Antonio, enfaticamente definito «tromba di Dio» (59), appare fina-
lizzata all’insegnamento e soprattutto alla predicazione, che fa da
sfondo anche a molti episodi miracolosi (60). Il suo insegnamento
viene ricordato anche nella Raimondina che si sofferma sui diversi
uffici ricoperti da Antonio: docente, predicatore, ma impegnato
altresı̀ nel governo dei frati (61).

(55) Raimondina 973.


(56) Su Pietro di Giovanni Olivi, uno dei più originali e importanti pensatori fran-
cescani, mi limito a rimandare a D. BURR, Olivi e la povertà francescana. Le origini della
controversia sull’‘‘usus pauper’’ (Fonti e ricerche, 4), Milano 1992 (ed. or. Olivi and
Franciscan poverty: the origins of the usus pauper controversy, University of Pennsylva-
nia 1989).
(57) Vite ‘‘Raymundina’’ e ‘‘Rigaldina’’. Introd., testo critico, versione italiana e
note a cura di V. Gamboso (Fonti agiografiche antoniane, 4), Padova 1992, p. 214.
(58) Benignitas 892.
(59) Benignitas 894.
(60) Cf., per limitarsi a qualche esempio tratto dalla Benignitas: 903, 904, 905, 907,
908-909, 911.
(61) Raimondina 996.
38 Introduzione

Il secondo aspetto, relativo al rapporto di imitazione che lega


Antonio a Francesco, riguarda soprattutto la Rigaldina che presen-
ta un’inedita insistenza sulla povertà di Antonio.
«Povero sin da principio, già formato allo spirito della povertà
in una comunità di poveri, Antonio cresceva continuamente nelle
ricchezze dell’altissima povertà. Con grandissimo impegno cercava
di conformarsi in tutto alla povertà e spesso richiamava al suo ani-
mo la povertà di Cristo e della sua Madre benedetta. Spesso, tenen-
do ai frati e al popolo un sermone sulla povertà, insisteva su questo
detto evangelico: ‘‘Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i
nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo (Mt 8,20)’’
[...]. Per questo dunque, nulla portando con sé, quando era in
viaggio, amava solo la povertà [...]; girava per terre e province in
gran povertà come pellegrino e straniero nel mondo. Era uso sof-
frire la fame come l’Apostolo; consapevole com’era che il Signore
esaudisce il desiderio dei poveri, rende loro giustizia e dona ad essi
il possesso del regno dei cieli, sapeva riporre la propria gloria an-
che nelle angustie della povertà. Figlio felice, dunque, che confor-
mandosi totalmente alla povertà di Francesco, insegnò la povertà
con la parola e la rafforzò saldamente con gli esempi di una vita
poverissima» (62).
Non mi pare sia necessario evidenziare ulteriormente la centra-
lità del concetto: la povertà di Antonio si ispira a quella di Cristo,
si modella su quella di Francesco, è vissuta insieme ai poveri, è
insegnata con la parola e con l’esempio. La Rigaldina viene com-
posta – come già ricordato – agli inizi del Trecento, in un contesto
di frattura interna all’Ordine proprio tra quanti continuavano a
richiamarsi con insistenza alle volontà e agli insegnamenti di Fran-
cesco, persino al suo Testamento, di fatto precocemente escluso
dall’osservanza dei frati, e quanti invece ritenevano che l’integra-
zione dell’Ordine nelle strutture ecclesiastiche, la sua progressiva
strutturazione e sacerdotalizzazione fossero in linea con un norma-
le e fisiologico sviluppo privo di autentiche contraddizioni rispetto
all’esperienza della fraternitas. Antonio, che – nella memoria agio-
grafica e storica – rappresenta il ‘‘passaggio’’ verso un minoritismo
dotto e avviato alla cura pastorale, diventa qui fedele imitatore di
Francesco nella sua qualità più distintiva e originale: la povertà,
una povertà vissuta, condivisa, predicata. Un’analoga ‘‘emersione’’
del tema della povertà in Antonio è presente nella tradizione omi-
letica, nella quale – come ha recentemente evidenziato Eleonora
Lombardo – verso la fine del XIII secolo «il rapporto tra sant’An-
tonio e la povertà viene accentuato in modo che questa diventi il

(62) Rigaldina 1088-1089; tutto il capitolo sesto è dedicato alla «sua grande pover-
tà», i corsivi sono miei.
Introduzione 39

centro stesso della vita del frate» (63). Tra gli esempi citati viene
ricordato il sermone de sancto Antonio di Matteo d’Acquasparta,
ministro generale dell’Ordine (1287-1289) e successivamente car-
dinale, al quale non sono certamente attribuibili inclinazioni o sim-
patie spirituali: nel suo sermone la scelta francescana del giovane
canonico Fernando si configura come il «segno della sua volontà
di essere completamente povero». Secondo Matteo d’Acquaspar-
ta, dunque, a muoverlo non sarebbe stato l’esempio dei protomar-
tiri del Marocco, bensı̀ «il suo desiderio di perfezione che non può
essere raggiunta sine paupertate» (64).
Sul piano agiografico, come pure su quello omiletico, che – co-
me ipotizzano le recenti ricerche – potrebbe aver influenzato l’a-
giografia di inizio Trecento (65), tale sottolineatura della povertà
rappresenta un elemento sostanzialmente nuovo, mai emerso pre-
cedentemente in forme e modi analoghi, che è ipotizzabile mettere
in relazione alle polemiche Spirituali/Comunità. Come sembra in-
dicare il sermone di Matteo d’Acquasparta, la povertà di Antonio,
il cui riconoscimento ufficiale della santità ovviamente lo innalzava
su di un livello insormontabile, può essere letto come una risposta
efficace e inoppugnabile agli argomenti degli Spirituali, sottraendo
loro la pretesa di essere gli unici a seguire la paupertas di France-
sco. D’altra parte non si può dire che la povertà fosse estranea
all’orizzonte di Antonio, come ha mostrato in modo fondato e per-
suasivo, in un suo recente contributo, Antonio Rigon. Scorrendo e
analizzando i sermoni del santo, Rigon ha evidenziato la centralità
della riflessione sulla povertà di Cristo, intesa non sono come man-
canza di mezzi, ma, più complessivamente, come stato di ‘‘minori-
tà’’, di privazione assoluta (66). Nel sermone di Natale la riflessione
di Antonio sulla portata e sul senso dell’annuncio, dato ai pastori,
della nascita Gesù si configura come un’adesione totale alla pover-
tà, espressa attraverso un’originale varietà di figure e immagini:
«Che cosa significa dire ‘‘troverete un bambino’’, se non che trove-

(63) E. LOMBARDO, ‘‘Auctoritates’’ e sermoni. Un caso di studio: i sermoni su san-


t’Antonio di Padova (XIII-XIV secolo) e l’agiografia, in La compilación del saber en la
Edad Media. Acts of the Annual Meeting of FIDEM, Madrid, 20-22 June 2012, Porto
2013, (in corso di stampa).
(64) LOMBARDO, ‘‘Auctoritates’’ e sermoni. Il tema della progressiva importanza at-
tribuita alla povertà nei sermoni dedicati ad Antonio è stato indagato da Eleonora
Lombardo anche in altre sue recenti ricerche, cf. L OMBARDO, Predicare la santità,
plasmare il pubblico.
(65) Il rinvio è ancora ai lavori di Eleonora Lombardo, cf. LOMBARDO, ‘‘Auctorita-
tes’’ e sermoni.
(66) Cf. A. RIGON, Per una biografia di Antonio di Padova. I sermoni come fonte
della vita di Antonio e delle origini minoritiche, in S. António de Lisboa: novas inve-
stigações; ringrazio Antonio Rigon per avermi generosamente e prontamente messo a
disposizione il suo contributo prima della pubblicazione.
40 Introduzione

rete la sapienza che balbetta, la potenza resa debole, la maestà ab-


bassata, l’immenso fatto bambino, il ricco fattosi poverello, il re
degli angeli che giace in una stalla, il cibo degli angeli divenuto
quasi fieno per gli animali, colui che da nulla può essere contenu-
to, adagiato in una stretta mangiatoia?» (67). Antonio, di cui gli
agiografi concordemente esaltano l’altissima scienza, ricorre qui a
un’immagine che si configura quasi come un ossimoro – la «sa-
pienza che balbetta» – per esprimere il senso e il significato pro-
fondi della sua idea di povertà. Le sue, tuttavia, non sono solo
considerazioni astratte sull’idea di povertà, ma riflessioni concrete
sui poveri e sulla loro realtà: il povero, infatti, non è più solo og-
getto dell’elemosina salvifica per il ricco. Cosı̀, con espressione sin-
golare e penetrante, nel sermone per il Mercoledı̀ delle Ceneri,
Antonio va chiaramente oltre l’elemosina: «Irriga anche tu il cuore
del povero miserabile con l’elemosina [...] per riceverne il frutto
della vita eterna. Il tuo cielo sia il povero: in lui riponi il tuo tesoro,
affinché in lui sia sempre il tuo cuore» (68).
Nei suoi Sermoni Antonio richiama, dunque, una povertà vis-
suta e condivisa con i poveri, non priva – come aveva efficacemen-
te mostrato Sante Bortolami – di ricadute concrete nella controver-
sa realtà cittadina duecentesca (69). Non è facile capire se e fino a
che punto l’enfatizzazione della povertà, propria della Rigaldina,
che si configura come una sorta di ‘‘ritorno’’ al fondamento dell’e-
sperienza minoritica, non sia invero il riflesso della conoscenza, da
parte di Giovanni Rigaldi, dell’opera stessa di Antonio o se invece
non prevalgano esigenze agiografiche di ‘‘avvicinamento’’ dei due
santi dell’Ordine funzionale a rendere ancora più convincente e
indiscutibile – nel contesto trecentesco dell’Ordine – il ‘‘passaggio’’
dalla realtà della fraternitas alla predicazione e all’assunzione di
incarichi pastorali, di insegnamento e di governo. Nella Rigaldina,
del resto, la predicazione rimane lo scopo provvidenzialmente affi-
dato ad Antonio sin dal momento della sua conversione all’Ordi-
ne: ne enim Franciscus solus curreret in praedicationis stadio. Anto-
nio «era infatti tromba della legge di Mosè, lingua dei profeti, voce

(67) SANT’ANTONIO DI PADOVA, I Sermoni. Traduzione di G. Tollardo, Padova 2013


(1a ed. 1994), Natale del Signore, p. 943; il corsivo è mio.
(68) SANT’ANTONIO DI PADOVA, I Sermoni, Inizio del digiuno (Mercoledı̀ delle Ce-
neri), p. 69; il corsivo è mio; ha per primo richiamato l’attenzione su questo sermone
M. BARTOLI, ‘‘Coelum sit tibi pauper’’. Lessico economico-politico, riflessione teologico-
spirituale ed esperienza francescana nei ‘‘Sermones’’ di Antonio da Padova, in ‘‘Arbor
ramosa’’. Studi per Antonio Rigon da allievi amici colleghi, a cura di L. Bertazzo - D.
Gallo - R. Michetti - A. Tilatti (Centro studi antoniani, 44), Padova 2011, pp. 333-356,
in particolare questo sermone è citato alle pp. 343-344; cf. anche RIGON, Per una
biografia di Antonio di Padova; cf. anche R IGON, Dal Libro alla folla, pp. 119-123.
(69) Cf. S. BORTOLAMI, Sant’Antonio di Padova tra usura e povertà: appunti su poli-
tica e pietà nell’Italia comunale, in Un antico e sempre nuovo testimone, pp. 45-55.
Introduzione 41

degli apostoli, araldo del Vangelo, nunzio della verità che salva.
Aprı̀ nella Chiesa la sua bocca che Dio aveva colmato dello spirito
di sapienza e di intelletto» (70).
Con l’affiancamento di Antonio a Francesco, uniti nella salvifi-
ca missione di guide e pastori del popolo fedele, l’agiografia confi-
gura un percorso comune e condiviso fin dal principio, una inin-
terrotta linea di continuità, ma forse vi è di più: questa tradizione
agiografica influisce sull’immagine di Francesco, nella misura in
cui lo stesso fondatore risulta pienamente e nettamente inserito
nel contesto di un ordine già istituzionalizzato, di una struttura
ecclesiastica con ruoli, compiti e obiettivi vasti e complessi. Eppu-
re nella memoria dell’Ordine restano consistenti tracce di ipotesi
diverse: lontano, infatti, dall’esaurire il panorama dei percorsi di
sviluppo e di evoluzione dell’esperienza minoritica, le Vite di An-
tonio, con la loro articolata e stratificata elaborazione, rappresen-
tano solo uno degli aspetti, per quanto rilevante, di una tradizione
‘‘spezzettata’’ che manifesta una straordinaria e persistente vitalità.

4. TRA FEDELTÀ E RINUNCIA

L’altro polo che si costituisce nella memoria agiografica, in


qualche modo alternativo, se pure non in modo rigido né tanto
meno esclusivo, alla linea di piena accettazione dell’evoluzione av-
venuta, di cui Antonio diviene progressivamente e in modo sempre
più convinto l’emblema, è rappresentato dai compagni: Bernardo,
Egidio, Rufino, Leone, Masseo (71) sono i protagonisti degli Actus,
la fonte dalla quale sono stati volgarizzati i celebri Fioretti che han-
no goduto di un grandissimo perdurante successo e di un’enorme
diffusione. L’originale latino, verosimilmente composto intorno
agli anni trenta del Trecento, tramanda – come appare evidente
sin dal titolo – ampi materiali duecenteschi, non di rado ‘‘inediti’’
per non aver trovato posto nelle Vite duecentesche dedicate a
Francesco. I compagni risultano coralmente considerati in que-
st’opera, che significativamente comprende anche Antonio. Vi è
però uno dei primissimi compagni di Francesco oggetto di un pre-
coce interesse agiografico a lui singolarmente rivolto: Egidio. Non
solo egli è protagonista di due composizioni agiografiche certa-

(70) Rigaldina 1106-1107.


(71) Sui compagni cf. I compagni di Francesco e la prima generazione minoritica.
Atti del XIX Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Centro
interuniversitario di studi francescani, Assisi 17-19 ottobre 1991 (nuova serie, 2),
Spoleto 1992, in particolare i contributi di S. BRUFANI, Egidio d’Assisi. Una santità
feriale, in I compagni di Francesco, pp. 285-311, e di E. MENESTÒ, Leone e i compagni
di Assisi, pp. 31-58.
42 Introduzione

mente duecentesche, ma a lui è attribuita una considerevole serie


di Dicta, riuniti in varie raccolte, che ebbero diverse redazioni e
confluirono, in parte, anche nella trecentesca Vita di Egidio pre-
sente nella Chronica XXIV Generalium (72). Si tratta di un cospicuo
dossier agiografico con suoi propri caratteri che tendono a trasmet-
tere una memoria agiografica che si pone in qualche modo come
estranea allo sviluppo dell’Ordine.
La parabola di Egidio appare, infatti, dapprima fortemente lega-
ta all’esperienza comunitaria della fraternitas ma, dopo la morte di
Francesco, che segna un tornante anche nell’esperienza di Egidio,
prevale, se pure modulata in modo diverso nelle due Vite, una di-
mensione di volontario e totale isolamento la cui portata critica è
attenuata soltanto dall’accento posto sull’aspetto mistico e contem-
plativo. Entrambe le Vite di Egidio, come pure gli Atti, sebbene
composti molto più tardivamente, grazie alla rappresentazione del-
l’esperienza di vita della primitiva fraternitas, consentono di recu-
perare molti aspetti della stessa biografia di Francesco. La Vita Pe-
rugina, in modo particolare – come è stato sottolineato (73) – offre
un’eccezionale testimonianza della vita, fatta di lavoro manuale, iti-
neranza, precarietà, conversatio inter pauperes, tipica della fraterni-
tas. L’esempio di Francesco, il suo camminare «non nelle dotte pa-
role della sapienza umana, ma nella manifestazione dello Spiri-
to» (74), costituiscono l’ispirazione immediata per quegli uomini –
Bernardo, Pietro e, terzo, Egidio – che decidono di seguirlo. Lo
sparuto gruppo, con un Francesco che «non predicava ancora al
popolo, tuttavia quando passava per città e castelli incoraggiava gli
uomini affinché facessero penitenza», suscitano subito meraviglia e
ammirazione: «Chiunque li vedeva si meravigliava e diceva: ‘‘Mai
abbiamo visto simili religiosi, cosı̀ vestiti, diversi da tutti gli altri
per abito e stile di vita; sembrano uomini portatori di salvezza’’» (75),
ma anche ironia e dileggio: «Molti lo [Egidio] deridevano dicendo:
‘‘Matto’’, infatti i frati non erano conosciuti fino ad allora» (76).

(72) Si tratta della Vita fratris Aegidii, viri sanctissimi et contemplativi, che fa parte
della Chronica XXIV Generalium, pp. 74-115; tale Vita è stata esclusa dal presente
volume sia per la redazione tarda sia perché la Chronica rappresenta un’opera compi-
lativa certamente, ma con una propria struttura e unità che implica la necessità di una
sua globale considerazione; mi permetto tuttavia di rimandare, per un’analisi della
Vita egidiana in essa contenuta, a M.T. DOLSO, Le ‘‘Vitae’’ di Egidio d’Assisi nella
‘‘Chronica XXIV Generalium’’ e nel ‘‘De conformitate’’ di Bartolomeo da Pisa, in Frate
Egidio d’Assisi. Atti dell’incontro di studio in occasione del 750 o anniversario della
morte (1262-2012), Spoleto 2013, pp. 49-82.
(73) Cf. S. BRUFANI, Egidio d’Assisi tra storia e agiografia, «Franciscana», 13 (2011),
pp. 29-41.
(74) VitaPer 1181.
(75) VitaPer 1186.
(76) VitaPer 1190, cf. anche VitaPer 1191: «Era deriso da molti [...]».
Introduzione 43

La ricerca di piccoli lavori manuali in un contesto di precarietà


e rifiuto di ogni tipo di accumulo offrono un quadro della vita dei
primordi più ricco e articolato di quello presente nelle stesse Vite
di Francesco, in cui molto spesso – specie in quelle ‘‘ufficiali’’ –
prevale la preoccupazione di trasmettere un’immagine del santo
rispondente alle esigenze della leadership dell’Ordine e della Chie-
sa (77). «Da quando entrò nell’Ordine [Egidio] si propose sempre
di vivere del lavoro delle sue mani e realizzò il proposito [...]. Non
vi era alcun lavoro per quanto vile che si vergognasse di fare, pur-
ché lo potesse svolgere con onestà» (78).
La Vita Perugina, specie nel primo capitolo, presenta Egidio
quasi costantemente impegnato nel lavoro manuale finalizzato a
sostentarsi: al tempo della vendemmia raccoglieva l’uva, portava
legna dal bosco alla città per venderla, ma facendo ben attenzione
a non ricevere più denaro del dovuto, al punto da rifiutare una
ricompensa superiore al prezzo pattuito propostagli da una donna
che, trovandosi di fronte a un religioso, voleva dargli di più di
quanto promesso: «Non voglio che l’avarizia mi vinca» (79). Allo
stesso modo portava acqua da vendere in città (80), coi compagni
fabbricava cesti e contenitori anch’essi destinati alla vendita (81),
«nel tempo della mietitura, come gli altri poveri, andava per i cam-
pi a spigolare e se qualcuno gli voleva dare tutto un covone di
messe, non lo voleva prendere» (82), coltivava un orto (83), nelle ter-
re d’oltremare, presso San Giovanni d’Acri, Egidio «si sforzava di
vivere del suo lavoro» (84). Persino quando era ospite, a Rieti, alla
mensa di un cardinale che «desiderava averlo suo familiare per i
molti segni di santità che risplendevano in lui», Egidio «volendo
vivere del lavoro delle sue mani, rifiutava di ricevere da lui il ne-
cessario», cosı̀ «mangiava alla mensa del signor cardinale i pani
che aveva guadagnato con il sudore del suo volto» (85). Non solo
evitava ogni accumulo, ma «qualsiasi cosa avanzava a lui dalla ri-

(77) Su questo tema centrale cf. MICHETTI, Francesco d’Assisi e il paradosso; MICCO-
LI, Francesco d’Assisi. Realtà e memoria, pp. 148-302; PELLEGRINI, Frate Francesco e i
suoi agiografi, pp. 113-313; DALARUN, La Malavventura; VAUCHEZ, Francesco d’Assisi.
Tra storia e memoria, pp. 201-226; PRINZIVALLI, Un santo da leggere, pp. 71-116.
(78) VitaPer 1192 e 1193; molto meno particolareggiata su questi aspetti risulta la
Vita Leonina, dove pure l’agiografo sottolinea che «il servo del Dio eccelso non si
vergognava di umiliarsi e abbassarsi a ogni opera servile e onesta per il buon esempio,
affinché mangiasse grazie al lavoro delle proprie mani» (VitaLeo 5).
(79) VitaPer 1192.
(80) VitaPer 1198 e 1196.
(81) VitaPer 1204.
(82) VitaPer 1205.
(83) VitaPer 1206.
(84) VitaPer 1198.
(85) VitaPer 1207, cf. anche, più succintamente, VitaLeo 1238.
44 Introduzione

compensa che riceveva per il lavoro, la donava ai poveri» (86), al


punto che, richiestagli l’elemosina da un povero, non avendo altro
da offrirgli, gli donò il proprio cappuccio, dopo averlo separato
dalla tunica e «camminò senza cappuccio per venti giorni, poiché
non ne aveva un altro» (87). D’altronde il suo stesso porsi al seguito
di Francesco è contrassegnato dal dono del suo mantello a una
povera (88).
La seconda parte della vita di Egidio, sulla quale è soprattutto
l’opera attribuita a Leone a essere maggiormente dettagliata, è
contrassegnata da una svolta radicale. Il tornante decisivo è l’anno
della morte di Francesco, il 1226 (89). La Vita Leonina non è solo la
più estesa nel descrivere questa fase della sua esistenza, che pare
costituire il centro dell’interesse dell’agiografo, ma la più precisa
nel situare cronologicamente l’inizio di tale periodo che coincide
con l’anno della morte di Francesco, quando Egidio si ritira all’e-
remo di Cetona. Inizia allora a manifestarsi la grazia delle visioni,
che – secondo l’agiografo – Egidio non avrebbe voluto, ritenendo-
sene indegno: «E con insistenza pregò il Signore affinché non gli
imponesse un cosı̀ grande peso e adduceva più volte che egli non
era adatto a questa grazia, perché era uomo idiota e illetterato,
rustico e semplice; ma quanto più egli si reputava indegno, tanto
più il Signore gli aumentava la sua grazia» (90). Il dono divino dei
rapimenti mistici non mette tuttavia del tutto in ombra il desiderio
di solitudine sempre più marcata e assoluta: «Da allora infatti fu
ed era sempre in cella nella solitudine, nelle veglie, nei digiuni,
nella preghiera e aveva cura di proteggersi da ogni opera e da ogni
discorso cattivo» (91). Tale desiderio di ritiro in solitudine si acuisce
fino a divenire un’esplicita fuga dagli uomini: «il santo al momento
dei pasti desiderava poter vivere delle foglie degli alberi, per evita-
re la familiarità degli uomini» (92). L’autore della Vita Leonina giun-
ge a specificare che Egidio «si sottrasse non solo alla familiarità dei
secolari, ma anche dei suoi fratelli e degli altri religiosi. Diceva
infatti: ‘‘È più sicuro per gli uomini salvare la propria anima con
pochi che con molti, cioè essere solitario e dedicarsi a Dio e alla
propria anima’’» (93). Le Vite non dicono di più, il racconto della
Vita Perugina, in particolare, non arriva nemmeno alla morte di

(86) VitaPer 1197.


(87) VitaPer 1189.
(88) VitaPer 1185; VitaLeo 1234; l’episodio è presente anche nella Legenda perusi-
na, cf. FF 1605.
(89) Cf. BRUFANI, Egidio d’Assisi tra storia e agiografia, pp. 17-25.
(90) VitaLeo 1247.
(91) VitaLeo 1249.
(92) VitaPer 1218.
(93) VitaLeo 1250.
Introduzione 45

Egidio, eppure questo ritiro nell’eremo, questa fuga dagli uomini


lascia intuire un aspetto diverso rispetto al desiderio di solitudine e
raccoglimento che era stato una componente costituiva dell’espe-
rienza della prima fraternitas, come pure del percorso di altri frati,
compreso lo stesso Antonio (94). Certo anche prima della ‘‘svolta’’,
in conformità appunto con le consuetudini di Francesco e degli
altri compagni, Egidio «preferiva soggiornare in luoghi deserti
che tra gli uomini e le donne, affinché si potesse dedicare più sicu-
ro alle veglie e alle preghiere» (95). Ma si insinua forse negli anni
successivi alla morte di Francesco una componente di distacco
quasi rancoroso, di cui anche alcuni Detti offrono – mi pare – in-
dubbia testimonianza. A un frate «suo familiare» che gli chiede:
«Perché talvolta non esci fuori verso gli uomini secolari che ti vo-
gliono parlare?», Egidio risponde: «Non credi che io darei piutto-
sto mille libbre, se le avessi, che offrirmi al prossimo? [...] E credi
che io darei piuttosto quattromila libbre che dare me talvolta al
prossimo?» (96). E ancora più icasticamente: «Se uno fosse vera-
mente spirituale, a stento vorrebbe vedere qualcuno o udire o trat-
tenersi con qualcuno, se non per grande necessità, ma sempre sce-
glierebbe di essere solitario» (97). Sono solo piccole ‘‘schegge’’ inca-
stonate in un tessuto articolato e stratificato che la tradizione ha
trasmesso come provenienti da Egidio, ma confermano l’impres-
sione di un isolamento non privo di una sfumatura polemica, che
sembra connotarsi di una vena di critica in particolare verso il di-
namico sviluppo dell’Ordine, impegnato nell’assunzione di com-
piti e ruoli pastorali (98). Non poco significative sono le parole di

(94) La tradizione agiografica ricorda come Antonio si fosse ritirato in solitudine


sia a Montepaolo, agli inizi della sua esperienza minoritica, sia a Camposampiero, in
prossimità della morte, quando – secondo l’Assidua – «congedate... le folle dei seco-
lari, andò alla ricerca di luoghi propizi al silenzio» (Assidua 15). Della ricca biblio-
grafia sulla tradizione eremitica francescana mi limito a richiamare alcuni studi fon-
damentali, a iniziare dal convegno Eremitismo nel francescanesimo medievale. Atti del
XVII convegno della Società internazionale di studi francescani, Assisi 12-14 ottobre
1989 (prima serie, 17), Perugia 1991; cf. inoltre G.G. MERLO, Tra eremo e città. Studi
su Francesco d’Assisi e sul francescanesimo medievale (Medioevo francescano. Saggi,
2), S. Maria degli Angeli-Assisi 1991, in particolare pp. 13-122 e LUIGI PELLEGRINI,
L’esperienza eremitica di Francesco e dei primi francescani, in Francesco d’Assisi e
Francescanesimo dal 1216 al 1226. Atti del IV convegno della Società internazionale
di studi francescani, Assisi 15-17 ottobre 1976 (prima serie, 4), Assisi 1977, pp. 281-
313.
(95) VitaPer 1190, cf. anche VitaPer 1209: «avvicinandosi la quaresima, desiderava
trasferirsi in un luogo solitario, dove trovare una maggiore quiete».
(96) Detti 1365.
(97) Detti 1366.
(98) Sul tema centrale delle metamorfosi del francescanesimo cf. M ERLO, Nel nome
di san Francesco, soprattutto pp. 57-200; sulla progressiva affermazione dello studio in
quanto necessario alle funzioni e ai compiti ai quali i frati erano chiamati, cf. S,ENOCAK,
The Poor and the perfect, soprattutto pp. 25-188.
46 Introduzione

Egidio riguardo alla scienza, conditio sine qua non per affrontare
quei compiti e quei ruoli.
Il tema della sapienza che – come ho cercato di mostrare – per-
corre tutte le Vite antoniane, è al centro anche di alcuni Detti: «La
sapienza massima è compiere opere buone e custodire bene se
stessi e osservare i giudizi di Dio. Disse una volta a uno che desi-
derava andare a scuola per istruirsi: ‘‘Perché vuoi andare a scuola?
La perfezione di tutta la scienza è temere e amare Dio; queste due
cose ti sono sufficienti’’ [...]. Non confidare dunque nella tua sa-
pienza, ma impegnati a operare con sollecitudine e confida in
quelle opere [...]. La parola di Dio non è di chi la annuncia o la
ascolta, ma di chi la trasforma in opere» (99). E ancora: «Io non
giudico di minore virtù sapere bene tacere che sapere bene parla-
re; e mi sembra che l’uomo dovrebbe avere il collo di una gru,
affinché la parola transiti attraverso molti nodi prima che esca dal-
la bocca» (100). A due nobili interlocutrici che gli chiedevano qual-
che «buona parola» cosı̀ risponde Egidio, sottraendosi, di fatto,
alla richiesta: «Di quale argomento vogliamo parlare? Se parliamo
delle cose del mondo, esse sono vane; se parliamo delle opere della
carne, sono turpi e maleodoranti; se vogliamo parlare di Dio, chi
saprebbe parlare di lui come è conveniente e chi comprenderebbe
colui che parla?» (101).
Nel contesto di un’istituzione minoritica precocemente impe-
gnata in modo attivo e dinamico nella Chiesa e nella società, le
parole di Egidio, insieme alla sua stessa parabola di vita, mi pare
configurino una presa di distanza rispetto allo sviluppo corrente
dell’Ordine, quell’Ordine che Egidio stesso definisce il «migliore»
mai apparso «dal principio del mondo fino a ora» e «più libero da
pesi» (102) rispetto a tutti gli altri. Ma sembrano essere proprio i
compiti e le funzioni che i frati sono chiamati a svolgere, con tutte
le implicazioni che essi comportano, a costituire quei «pesi», a in-
sinuare il rischio del tralignamento: «L’Ordine dei frati Minori mi
sembra il più povero e il più ricco di questo mondo; ma questo mi
sembra essere il nostro maggiore vizio, perché vogliamo cammina-
re troppo in alto» (103). Si profila, con Egidio, rappresentante di un
minoritismo assisiate e umbro di cui si voleva tenacemente conser-
vare memoria, un’alternativa a quello sviluppo, che vorrebbe porsi
in stretta continuità con Francesco: permane, persiste e si consoli-
da una memoria che si vuole estranea all’evoluzione dell’Ordine.

(99) Detti 1376-1377 e 1378.


(100) Detti 1384.
(101) Detti 1429.
(102) Detti 1393, il corsivo è mio.
(103) Detti 1393.
Introduzione 47

A livello agiografico l’Ordine sembra misurare la propria evo-


luzione rispetto a Francesco e alle origini: Antonio – nella tradizio-
ne delle Vite – ne diventa l’emblema; Egidio la rifiuta. La sua ‘‘pro-
testa’’ sembra configurarsi anche nei termini di rinuncia, inevitabi-
le conseguenza dell’impossibilità di continuare la vita delle origini,
presa d’atto – si direbbe – dell’irrisolvibile problema di conciliare
l’inconciliabile. Nell’ottica di chi lo ricorda egli è un’alternativa di
fedeltà che non ha avuto successo; nella realtà non ci fu mai un’al-
ternativa! La sua esperienza di vita – cosı̀ come testimoniata dalle
due Vite duecentesche – implicitamente mette in luce come la stra-
da di Francesco fosse stata una strada diversa, ma come Egidio
stesso non fosse stato più in grado di batterla. La memoria di en-
trambi – Antonio ed Egidio – trova una comune collocazione negli
Actus beati Francisci et sociorum eius.

5. LA ‘‘VIA STRETTA’’ DI UNA IRRIDUCIBILE ALTERNATIVA

Gli Actus che – come ricorda Filippo Sedda – «in senso stretto
non si possono neppure annoverare tra i titoli del genere bio-agio-
grafico, rappresentando piuttosto una raccolta non organica, sia dal
punto di vista geografico che cronologico» (104), contengono due
episodi riguardanti Antonio di Padova e diversi racconti relativi a
Egidio. Antonio, che già nell’Historia septem tribulationum di An-
gelo Clareno è significativamente posto a fianco dei primi compa-
gni di Francesco, oggetto, insieme ad essi, della feroce persecuzione
di Elia (105), viene qui nuovamente ricordato nel contesto della fra-
ternitas, della quale invero – com’è evidente – non aveva mai fatto
parte. Mi sembra che tale scelta non sia motivata tanto dal deside-
rio di gettare quasi un ponte tra quel minoritismo umbro-marchi-
giano, di cui gli Actus sono tenace espressione, e il minoritismo del-
le province, cresciuto lontano da Assisi, e rapidamente affermatosi,
ma sia dettata proprio dalla volontà di ‘‘ricomprendere’’ Antonio
nell’alveo delle origini della fraternitas. Mi pare che l’intenzione
non sia quella di indicare strade diverse, ma accomunate dall’ana-
logo rifarsi alla memoria di Francesco, bensı̀ quella di immettere,
per cosı̀ dire, Antonio nella tradizione più vicina al fondatore, in

(104) F. SEDDA , Presentazione agli Atti del beato Francesco e dei suoi compagni,
p. 502.
(105) ANGELO CLARENO, Historia septem tribulationum, p. 141: «Santus vero Anto-
nius [...] cum enim de Sicilia ad visitandum reliquias sancti Francisci venisset Assi-
sium, captus et expoliatus a fratris Helie sagionibus, usque ad sanguinem flagellatus
est. Qui verbera, flagella et contumelias pro hospitalitatis gratia patienter recipiens,
laudes Deo et flagellantibus benedictiones rependebat, dicens ‘‘Benedictus Deus, Do-
minus parcat vobis, fratres!’’»; cf. RIGON, Dal Libro alla folla, pp. 109-111.
48 Introduzione

contrasto forse con quanti ne facevano un ‘‘erede’’ in qualche modo


autonomo rispetto a Francesco.
Un frate, deciso a lasciare l’Ordine, ha una visione meravigliosa
di una processione beata, brillante più del sole. Fattosi coraggio, il
frate si rivolge ad alcuni di coloro che fanno parte del celestiale
corteo interrogandoli: «‘‘O carissimi, vi prego che vi piaccia di dire
chi sono questi tanto meravigliosi, che raccoglie questa veneranda
processione?’’. Quelli invero, voltando verso di lui le facce assai
splendenti, dissero: ‘‘Noi siamo tutti frati Minori, che veniamo or
ora dalla gloria del paradiso’’. E lui, interrogandoli nuovamente,
disse: ‘‘Chi sono quei due che brillano in modo tanto eccellente
sopra gli altri?’’. Risposero: ‘‘Quei due più lucenti degli altri sono
san Francesco e sant’Antonio’’» (106). Ancora Francesco e Antonio
posti l’uno accanto all’altro, qui uniti soprattutto nella santità, che
appartiene all’intero Ordine, e di cui essi sono il simbolo. Ma que-
gli stessi frati, raffigurati nella «gloria del paradiso», sono protago-
nisti del terribile tralignamento prefigurato al fondatore dalla
visione della statua dalla testa d’oro. Il racconto, presente nella
Historia septem tribulationum, delinea cinque diversi ‘‘stati’’ e ica-
sticamente tratteggia già un primo significativo scarto tra la «testa
d’oro» e «il petto e le braccia d’argento» (107). La testa d’oro rap-
presenta le origini dell’Ordine, «posto nell’altezza della perfezione
evangelica». Il petto e le braccia d’argento rappresentano il «se-
condo stato»: esso «sarà tanto inferiore al primo quanto l’argento
è inferiore all’oro. E come l’argento ha preziosità, chiarezza e so-
norità, cosı̀ in quel secondo stato saranno preziosi nelle divine
Scritture, chiari per la luce della santità e sublimi per la risonanza
della parola di Dio, tanto che uno di loro sarà assunto al papato,
uno al cardinalato e moltissimi all’episcopato [...]; uomini argentei
per scienza e chiarissimi per virtù, che difenderanno sia con la
scienza che con le virtù questa religione e anche la Chiesa univer-
sale dai molteplici attacchi dei demoni e dalle varie violenze degli
uomini empi. Ma per quanto quella generazione sarà mirabile, tut-
tavia non giungerà fino allo stato perfettissimo dei primi, ma sarà
rispetto al primo stato come l’argento rispetto all’oro» (108).
Per gli Spirituali, nel cui ambiente probabilmente va collocata la
redazione degli Atti (109), la vicenda dell’Ordine si configura come
una storia di decadenza e di tralignamento, che comincia da subito,
già da coloro che sarebbero stati «preziosi nelle divine Scritture,
chiari per la luce della santità e sublimi per la risonanza della paro-

(106) Atti 1529.


(107) Atti 1539.
(108) Atti 1540 e 1541, il corsivo è mio.
(109) Rimando ancora alla Presentazione di Filippo Sedda in questo stesso volume.
Introduzione 49

la di Dio», frati destinati a raggiungere i vertici delle istituzioni ec-


clesiastiche – episcopato, cardinalato, papato! – eppure incapaci di
eguagliare lo «stato perfettissimo dei primi». Tra le origini e lo svi-
luppo successivo dell’Ordine si apre una distanza di fatto incolma-
bile: la fraternitas, in qualche modo, viene separata dall’irreversibi-
le declino attraverso la celebrazione di quel piccolo, sparuto grup-
po di frati che ne fecero parte e attraverso la pretesa, tenace fedeltà
di un pusillus grex al fondatore. Nel momento in cui i frati vescovi –
il primo fu Leone da Perego, divenuto vescovo di Milano nel 1241,
a meno di vent’anni dalla morte di Francesco (110) –, i frati cardinali
e perfino il frate Minore degno di assurgere al soglio pontificio (111),
pur nella loro riconosciuta santità di vita, non riescono a eguagliare
la perfezione delle origini, proprio perché dall’esempio di quelle
origini inevitabilmente distaccatisi, è chiaro che la fraternitas è po-
sta su di un livello ‘‘inaccessibile’’ per l’Ordine nel suo complesso.
Nel terzo stato i frati «si distenderanno per gli spazi del mondo,
tuttavia ci saranno di quelli che ‘‘hanno come Dio il ventre e la
gloria’’ della Religione ‘‘sarà in disordine a causa di quelli che gu-
stano solo le cose terrene’’ (Fil 3,19)». L’Ordine – nel racconto
degli Atti – sarà preda poi, nel quarto «terribile e spaventoso» sta-
to, di quanti, «pur avendo certo l’abito della pietà, ‘‘dentro’’ saran-
no ‘‘lupi rapaci’’ (Mt 7,15; At 20,29)» (112). Gli appartenenti al quin-
to stato, infine, «disprezzeranno non solo il Vangelo e la Regola,
ma [...] calpesteranno tutta la disciplina del santo Ordine». Eppu-
re, accanto ai «figli degeneri», che si sarebbero vergognati della
«santissima povertà, e gettati i vili indumenti», ne avrebbero scelti
di «preziosi», la statua della visione ricorda, infine, anche i frati
che si sarebbero mantenuti fedeli all’insegnamento di Francesco:
«Ma saranno felici e beati coloro che persevereranno fino alla fine
in quelle cose che promisero al Signore» (113). Un pusillus grex di
fedeli discepoli sarebbe stato in grado di continuare nella strada
indicata da Francesco: in un momento certamente molto difficile
per l’Ordine, in cui allo scontro interno si era aggiunto il ben più
decisivo conflitto con il vertice della cristianità, in cui il papa Gio-
vanni XXII aveva tolto ogni fondamento di legittimità a quella

(110) Su Leone da Perego, cf. G.G. MERLO, Leone da Perego, frate Minore e arcive-
scovo, «Franciscana» 4 (2002), pp. 29-110; più in generale sul tema dei frati-vescovi,
cf. Dal pulpito alla cattedra. I vescovi degli Ordini Mendicanti nel ’200 e nel primo ’300.
Atti del XXVII Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Cen-
tro interuniversitario di studi francescani, Assisi 14-16 ottobre 1999 (nuova serie, 10),
Spoleto 2000.
(111) Si tratta di Girolamo d’Ascoli, ministro generale dell’Ordine dal 1274 al
1278, eletto papa dieci anni dopo con il nome di Niccolò IV.
(112) Atti 1542 e 1543.
(113) Atti 1544 e 1545.
50 Introduzione

«santissima povertà» che da sempre aveva nutrito l’autocoscienza


dei frati, dichiarando eretica l’affermazione riguardante la povertà
assoluta di Cristo e degli apostoli (114), tale consapevolezza signifi-
cava infondere l’idea che una via stretta e impervia di adesione al
propositum di Francesco fosse non solo ancora possibile, ma fosse
l’unica strada di salvezza.
Una visione avuta da frate Leone conferma il ruolo della pover-
tà al fine del raggiungimento della salvezza. Leone vede molti frati
impegnati ad attraversare un fiume impetuoso: molti di essi «per i
fardelli e gli oneri che portavano, in diversi modi, secondo i diversi
fardelli erano sommersi dal fiume e morivano assai crudelmente
senza scampo», ma vi erano altresı̀ «alcuni frati senza nessun onere
o fardello di alcun tipo, nei quali riluceva la sola santissima pover-
tà: entrati nel fiume, lo attraversavano senza alcun danno». Inequi-
vocabile la spiegazione che Francesco stesso dà della visione: «So-
no vere le cose che ha visto. Infatti, il fiume è questo mondo; i frati
che sono risucchiati dal fiume sono coloro che non hanno seguito
la professione evangelica e la povertà volontaria. Quelli invece che
attraversavano senza pericolo, sono i frati che hanno lo spirito di
Dio, i quali non cercano e non possiedono niente di terreno e nien-
te di carnale ma, avendo il cibo e quanto è necessario, sono con-
tenti di questo; sono coloro che seguono Cristo nudo in croce e
abbracciano ogni giorno il peso della sua croce e il ‘‘giogo’’ legge-
rissimo e ‘‘soave’’ (Mt 11,30) della sua obbedienza» (115).
«Professione evangelica», «povertà volontaria», spiritum Dei,
nudum Cristum sequi in cruce: in queste parole ed espressioni, at-
tribuite a Francesco stesso, si vuole racchiuso il nocciolo profondo
della sua esperienza di vita: non solo di come egli l’attuò nella con-
cretezza della realtà, ma di come la trasmise ai compagni, ai frati, a
tutto l’Ordine. Queste parole non configurano solo l’«eredità dif-
ficile» di Francesco, ma diventano i cardini della professione reli-
giosa dei Minori, la conditio sine qua non per il raggiungimento
della salvezza. Francesco è lapidario nell’offrire la sua esegesi della
visione: i frati che non seguono la «professione evangelica e la po-
vertà volontaria» sono destinati a essere risucchiati nel vortice del
fiume impetuoso, per loro non c’è e non ci può essere salvezza.

(114) Cf. MERLO, Nel nome di san Francesco, pp. 252-276; LAMBERTINI - TABARRONI,
Dopo Francesco, soprattutto pp. 77-100; A. TABARRONI, ‘‘Paupertas Christi et apostolo-
rum’’. L’ideale francescano in discussione (1322-1324) (Nuovi studi storici, 5), Roma
1990; M.D. LAMBERT, Povertà francescana. La dottrina dell’assoluta povertà di Cristo e
degli apostoli nell’Ordine francescano (1210-1323) (Fonti e ricerche, 8), Milano 1995
(ed. or. The Doctrine of the absolute Poverty of Christ and the Apostles in the Franci-
scan Order 1210-1323, London 1961), soprattutto pp. 179-241.
(115) Atti 1706, il corsivo è mio.
Introduzione 51

L’imitazione di Cristo sofferente e crocifisso e l’amore per la


povertà sono le due caratteristiche che rendono quella di France-
sco una santità ‘‘superiore’’. Oltremodo significativo l’apologo dal-
la chiara valenza legittimante, in cui il protagonista, frate Pietro,
meditando intensamente sulla passione di Cristo, fu preso dalla
«devota curiosità» di sapere «chi di loro soffrı̀ di più: se la Madre,
che lo aveva generato; se il discepolo amato, che aveva dormito sul
suo petto; se il devotissimo san Francesco, che era stato crocifisso
con il Crocifisso». A questo punto appaiono tutti e tre a frate Pie-
tro «vestiti di abiti risplendenti di beata gloria; ma il beato France-
sco sembrava vestito di una veste più splendente del beato Giovan-
ni» e alla domanda, posta dal frate, sul motivo della maggiore lu-
minosità della veste di Francesco, cosı̀ risponde il beato Giovanni
evangelista: «Perché, quando era nel mondo, per amore di Cristo
portò vestiti più vili di me» (116).
Pare difficile non pensare che questi episodi, carichi di una
franca esaltazione della «santissima povertà» non volessero rap-
presentare, pur in modo implicito, una risposta ai pronunciamenti
papali che negavano in modo netto e decisivo il fondamento evan-
gelico della paupertas (117). Tale mi pare anche il caso del racconto
in cui Francesco, insieme a Masseo, si reca dai santi Pietro e Paolo
affinché insegnino loro «a possedere il tesoro inenarrabile della
santissima povertà». Francesco invita il compagno a pregare gli
apostoli che intercedano presso Gesù Cristo affinché «lui, che fu
osservatore e dottore della santa povertà», conceda a essi «di essere
veri osservatori e umili discepoli della preziosissima, amatissima e
angelica povertà» (118). Cosı̀ Francesco e Masseo si recano a Roma
per pregare i santi apostoli Pietro e Paolo che, in breve, appaiono
con questa risposta che scioglie ogni possibile dubbio: «Il Signore
Gesù Cristo ci ha inviati a te, perché ti annunciamo che la tua
preghiera è stata esaudita e che il tesoro della santissima povertà
è concesso a te e ai tuoi seguaci in modo perfetto. E a te da parte di
Cristo diciamo che chiunque seguirà sul tuo esempio perfettamen-
te questo desiderio, è sicuro del regno della beatitudine; e tu e tutti
i tuoi seguaci sarete benedetti dal Signore» (119).

(116) Atti 1716-1718.


(117) Cf. MERLO, Nel nome di San Francesco, 259-276: dopo la Sancta Romana
(1317) e la Gloriosam ecclesiam (1318), con le quali il papa condannava gli Spirituali,
con la Ad conditorem canonum e la Cum inter nonnullos del 1323 Giovanni XXII
dichiarava eretica l’affermazione della povertà assoluta di Cristo e degli Apostoli;
sull’effetto devastante per l’Ordine dei pronunciamenti papali cf. TABARRONI, ‘‘Pauper-
tas Christi et apostolorum’’, pp. 73-87.
(118) Atti 1490, il corsivo è mio.
(119) Atti 1491.
52 Introduzione

Nel racconto degli Actus, Pietro e Paolo, gli apostoli che fonda-
rono la Chiesa, diventano testimoni d’eccezione dell’approvazione
divina di Francesco, del fondamento evangelico e apostolico della
povertà, «tesoro» concesso al fondatore e ai suoi fedeli emuli: l’Or-
dine – nonostante le dure condanne subite – restava, per i redatto-
ri dell’opera, saldamente ancorato alle sue prerogative, a quella
povertà che, da sempre, si configurava come suo carattere distinti-
vo. Gli Actus sembrano cercare nuove ipotesi di legittimità che, in
virtù della loro evidente autenticità e autorevolezza, potessero ri-
condurre i frati nell’alveo della piena ortodossia, senza rinunciare
alla propria stessa ragion d’essere. La questione della povertà ri-
mane un nodo che non può essere eluso e sembra anzi rappresen-
tare una sorta di filo rosso che attraversa tutta l’opera e che, come
si è visto, percorre altresı̀, in modo più o meno marcato, tutti i testi
qui raccolti.
Esemplare l’episodio relativo alla partecipazione di san Dome-
nico a un capitolo generale dei Minori presso Santa Maria degli
Angeli, durante il quale egli rimane colpito dall’intervento della
«divina provvidenza» a sostegno dei frati e, ricredendosi rispetto
al giudizio di scarso discernimento precedentemente formulato su
Francesco, non solo ne riconosce la santità, ma decide di imitarne
l’esempio di povertà: «veramente Dio ha cura di questi santi pove-
relli e io non lo sapevo. Per cui da ora prometto di osservare la
santa evangelica povertà e maledico da parte di Dio tutti i frati
del mio Ordine che pretenderanno di avere qualcosa di proprio
nell’Ordine» (120). La precarietà e il secco rifiuto di pianificare il
futuro, ciò che avrebbe implicato l’accettazione dell’accumulo e
di un’organizzazione attenta e articolata, affiorano di frequente
nella trama narrativa degli Actus, con un Francesco incline a esor-
tare i frati a non trascurare mai la povertà, ricordando che: «Quan-
to i frati si allontaneranno dalla povertà, tanto più il mondo si al-
lontanerà da loro [...]. Ma se resteranno abbracciati alla mia signo-
ra [povertà], il mondo li nutrirà, perché sono stati dati al mondo
per la sua salvezza (121)».
Gli Actus presentano un contenuto tutt’altro che omogeneo, in-
troducendo sia personaggi indubbiamente legati alla fraternitas
delle origini – Egidio, Bernardo, Rufino, Masseo, Angelo, Leone,
Chiara – che tendono a diventare protagonisti essi stessi, anche
senza Francesco, di numerosi episodi, sia frati che vivono nella
Marca d’Ancona verso la fine del Duecento: Corrado da Offida,
Giacomo da Massa, Giovanni di Penna sono tra i più noti. Quello
marchigiano è un territorio che – come ricorda Filippo Sedda nella

(120) Atti 1520.


(121) Atti 1745.
Introduzione 53

sua Presentazione – «rappresenta a partire dagli anni quaranta del


Duecento lo zoccolo duro della preservazione dell’ideale origina-
rio di Francesco e, nel passaggio del secolo, diventa, anche grazie
alla sua particolare conformazione geografica, il rifugio dei frati
della dissidenza» (122). Se il Dialogus, la tradizione agiografica anto-
niana, le stesse Vite di Egidio – pur nelle evidenti diversità di com-
posizione, motivazioni e diffusione, che ne stanno alla base – espri-
mono tuttavia, un forte bisogno di santità per un Ordine recente,
ma, intorno alla metà del Duecento, già saldamente radicato nella
Chiesa, mi pare che gli Actus, insieme alla volontà di raccogliere e
trasmettere anch’essi la santità di tanti membri dell’Ordine – non
esclusivamente legati alle origini – manifestino il proposito di illu-
minare quelle origini e i più preziosi insegnamenti di Francesco.
Credo che l’episodio della perfetta letizia, con il dialogo tra Fran-
cesco e Leone, in cui il primo spiega al compagno «dove è la per-
fetta letizia» – non nei miracoli operati dai frati, non nella loro
sapienza, anche la più grande e luminosa, non nella loro capacità
di convertire tutti gli infedeli, bensı̀ nella capacità di accettare «con
gioia» il rifiuto, le ingiurie, le percosse, perché questo significa glo-
riarsi «nella croce della tribolazione e dell’afflizione» (123) – sia uno
dei passaggi-chiave per chiarire lo scopo e le finalità dell’opera.
La ‘‘scelta di campo’’, per cosı̀ dire, del testo e dei suoi autori
emerge d’altronde in altri passi, ad esempio dove viene ricordato
come Francesco, «sapendo che il nome di maestro conveniva al
solo Cristo [...], non voleva essere maestro né insignito del titolo
di maestro» (124); o in uno degli episodi aventi per protagonista
Giovanni della Verna del quale viene esaltata la sapienza, che però
ha un’origine divina e non umana: egli, infatti, benché «quasi sine
litteris», «tuttavia spiegava mirabilmente questioni sottilissime sul-
la Trinità e su altri misteri della Scrittura» (125). Anche Simone di

(122) SEDDA, Presentazione, p. 504; sulle origini e lo sviluppo del francescanesimo


nel territorio marchigiano considerati da diversi e interessanti punti di vista, cf. Le
origini e la loro immagine: momenti di storia del Francescanesimo nelle Marche. Atti
del Convegno di studi, Fabriano, Oratorio della carità 24 ottobre 2009, a cura di F.
Bartolacci («Picenum Seraphicum», 28), Jesi 2010. Sul complesso tema della dissi-
denza francescana e sulla stessa problematicità della terminologia ad essa connessa cf.
R. LAMBERTINI, «Non so che fraticelli...»: identità e tensioni minoritiche nella ‘‘Marchia’’
di Angelo Clareno, in Angelo Clareno francescano. Atti del XXXIV Convegno della
Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi
francescani, Assisi 5-7 ottobre 2006 (nuova serie, 17), Spoleto 2007, pp. 227-261; cf.
inoltre G.L. POTESTÀ, Angelo Clareno. Dai Poveri eremiti ai Fraticelli (Nuovi studi
storici, 8), Roma 1990, pp. 279-295.
(123) Atti 1465-1467; per il confronto con la versione dell’apologo più antica,
tràdita da una compilazione coeva agli Atti, cf. FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, p. 538; cf.
inoltre le riflessioni di Miccoli che seguono, pp. 540-545.
(124) Atti 1506.
(125) Atti 1657.
54 Introduzione

Assisi «non apprese mai la grammatica, ma sempre viveva nelle


selve, e tuttavia parlava di Dio e dell’amore di Cristo benedetto in
modo tanto profondo e alto che le sue parole sembravano sopran-
naturali» (126); non diversamente frate Filippo Longo predicava
«non con discorsi dotti di sapienza umana, ma in virtù dello spirito
di Cristo (1Cor 2,4.13)» (127). Tale ‘‘scelta di campo’’ diventa ancora
più esplicita quando la fonte utilizzata è rappresentata da Angelo
Clareno e dalla sua Historia septem tribulationum (128). Esemplare,
insieme al racconto della statua dalla testa d’oro tratta dal Libro di
Daniele (129), la visione dell’albero che rappresenta l’Ordine. Gia-
como da Massa vede Giovanni da Parma in alto sul ramo centrale
dell’albero e vede Francesco «inviato con due angeli da Cristo», e
Cristo stesso porgergli «un calice pieno dello spirito di vita» dicen-
do: «Va’, visita i tuoi frati e dissetali con il calice dello spirito di
vita; poiché lo spirito di Satana sorge e li assale e corrompe molti
tra loro e non arriveranno a risorgere» (130). Giovanni da Parma
«ricevuto il calice dalla mano di san Francesco, lo bevette tutto in
fretta e devotamente; e quando lo bevette fu reso luminoso come il
sole». Poi il calice passò agli altri frati, ma «assai pochi erano quelli
che lo ricevevano con la debita riverenza e lo bevevano tutto. Ma
quei pochi che lo presero tutto devotamente, tutti vestivano la lu-
centezza del sole; coloro che invece lo gettavano tutto, erano cam-
biati in tenebre: erano resi scuri e deformi e assai ripugnanti, orri-
bili a vedersi e simili ai demoni [...]. Più di tutti quelli che erano
sull’albero, splendeva di luce frate Giovanni» (131). Ed è proprio
Giovanni da Parma a essere attaccato da Bonaventura, che aveva
bevuto solo parte del calice e al quale erano state date «unghie di
ferro taglienti come lame di rasoi». Giovanni viene difeso da Fran-
cesco per volontà di Cristo che gli ordina: «‘‘Va’ e taglia sulla pietra
viva le unghie di frate Bonaventura, con le quali vuole fare a pezzi
frate Giovanni, cosı̀ che non possa ferirlo’’. E venne san Francesco
e tagliò le unghie di ferro di frate Bonaventura; e frate Giovanni,
rilucente come il sole, stette al suo posto» (132). L’albero, nel suo
complesso, viene infine sradicato da una tempesta e fatto a pezzi,
ma «dalla radice dorata germogliò una pianticella tutta d’oro, che

(126) Atti 1675.


(127) Atti 1691.
(128) Sulla lettura della storia dell’Ordine in termini di tralignamento e corruzione
propria di Angelo Clareno cf. le penetranti riflessioni di M ICCOLI, Francesco d’Assisi.
Memoria, storia e storiografia, pp. 299-320, e di POTESTÀ, Angelo Clareno, pp. 195-213.
(129) Cf. Dn 2,32.
(130) Atti 1722; sulla visione dell’albero, presente, dopo l’Historia in diverse altre
fonti fino alla tardo trecentesca Chronica XXIV Generalium, cf. MERLO, Intorno a
francescanesimo e minoritismo, in particolare pp. 114-123.
(131) Atti 1722-1724.
(132) Atti 1724.
Introduzione 55

produsse fiori, foglie e frutti d’oro» (133). Giacomo da Massa ag-


giunge, infine, una piccola ma oltremodo significativa spiegazione:
«non ci sarà un modo di riforma dell’istituzione simile, ma sarà
completamente diverso: perché l’operazione dello Spirito di Cristo
eleggerà senza una guida giovani senza istruzione, semplici, perso-
ne abiette e disprezzabili e senza esempio né maestro, anzi contro
la dottrina e i costumi dei maestri, li riempirà con il santo timore e
l’amore purissimo di Cristo. Quando avrà in diversi luoghi mol-
tiplicato il numero di tali persone, allora invierà loro un pastore e
guida tutto divino, tutto santo, innocente e conforme a Cri-
sto» (134).
Per gli Actus non vi è spazio per una ‘‘riforma’’: emerge la cer-
tezza, di cui si erano nutriti gli Spirituali, che l’Ordine nel suo
complesso e nei suoi stessi vertici fosse divenuto strumento di tra-
lignamento e corruzione (135). Colpisce, in questo recupero dei testi
dell’Historia, l’assunzione di un’ottica secondo la quale risultava
impossibile una qualsiasi ‘‘composizione’’/pacificazione: la tempe-
sta, la distruzione della situazione presente e la scomparsa dei re-
sponsabili della decadenza e della corruzione avrebbero consenti-
to un nuovo inizio. Solo la misericordia di Francesco avrebbe poi
potuto salvare i frati dal giudizio divino. In una visione avuta da
Leone sul destino ultraterreno dei frati, egli li vedeva condannati
all’eterna dannazione, al punto da muovere a compassione France-

(133) Atti 1726.


(134) Atti 1727.
(135) Esemplificative, per comprendere l’orizzonte entro il quale si muovevano gli
Spirituali, mi sembrano le parole di Ubertino che – nel contesto del concilio di Vienne
– ricorda come «in provincia Marchie et in pluribus aliis locis testamentum beati
Francisci mandaverunt [prelati huius ordinis] districte per obedientiam ab omnibus
auferi et comburi. Et uni fratri devoto et sancto, cuis nomen est N. de Rocanato
combuxerunt dictum Testamentum super caput suum» (Declaratio, in F. EHRLE, Zur
Vorgeschichte des Concils von Vienne, «Archiv für Literatur-und Kirchengeschichte
des Mittelalters» 3 [1887], rist. Graz 1956, pp. 168-169). Sono gli stessi prelati ordinis
a ordinare la distruzione del Testamento di Francesco, quel testo di cui gli Spirituali
volevano conservare fermamente memoria: sono essi a determinare il tralignamento e
la decadenza dell’istituzione minoritica; sull’opera di tralignamento e corruzione at-
tuata dalla maior pars dell’Ordine, cf. le incisive osservazioni di MICCOLI, Francesco
d’Assisi. Memoria, storia e storiografia, pp. 302-320: «L’opera della maggioranza del-
l’Ordine – scrive Miccoli – si profila perciò, nel discorso di Clareno, come una vera e
propria opera diabolica, che alla fine si configura come preparazione all’avvento del-
l’anticristo» (p. 307); su Ubertino cf. G.L. POTESTÀ, Storia ed escatologia in Ubertino da
Casale (Scienze religiose, 5), Milano 1980, in particolare i capitoli IV (pp. 102-141) e
VII (pp. 178-190) sulla sua interpretazione della storia del primo secolo francescano e
sulla valutazione dello stato dell’Ordine in rapporto agli insegnamenti di Francesco
deliberatamente trasgrediti da frati e superiori; cf. anche Ubertino da Casale. Atti del
XLI Convegno della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuni-
versitario di studi francescani, Assisi 18-20 ottobre 2013 (nuova serie, 24), Spoleto
2014 (in corso di stampa), in particolare il contributo di R. LAMBERTINI, Ubertino contro
la Comunità: argomenti e posta in gioco, in Ubertino da Casale.
56 Introduzione

sco pronto a chiedere indulgenza presso Cristo stesso, che però


«mostrava le sue mani e il costato al beato Francesco in cui sem-
bravano rinnovate le sue piaghe, da cui stillava anche sangue re-
centissimo. E diceva: ‘‘Ecco ciò che mi fecero i tuoi frati’’». Ma
l’intervento della beata Vergine alla fine li salva (136).

6. IL MARTIRIO E LA CELEBRAZIONE DELL’ORDINE

Le vicende e i protagonisti dei primi decenni della storia del-


l’Ordine – non solo Francesco – continuano a rappresentare il
centro gravitazionale della sempre più copiosa produzione agio-
grafica, letteraria e storica dei Minori anche nel Trecento. Se da
una parte gli Actus, in un frangente particolarmente difficile per
l’Ordine, intendono tracciare, con punte di non velata polemica
verso la dirigenza, una linea di continuità tra il fondatore, i suoi
primi compagni e quei frati delle Marche soprattutto, la cui espe-
rienza di vita si pretendeva in stretta continuità/contiguità con la
fraternitas; dall’altra la volontà di ricompattare l’Ordine anche at-
traverso la celebrazione di una santità largamente ‘‘condivisa’’ sem-
bra potersi configurare come una delle motivazioni che condusse-
ro alla composizione della Passione dei santi frati martiri in Maroc-
co (137). L’episodio – com’è noto – benché tardivamente riportato
da un testo agiografico, si riferisce al 1220, lo stesso anno in cui
Francesco rinunciò alla guida dei frati.
Della vicenda dei cinque frati e del loro martirio si hanno te-
stimonianze indirette di pochi anni successive agli eventi, a comin-
ciare dall’Assidua, che ricorda l’arrivo dei loro resti mortali, già ve-
nerati come reliquie (138). Sarebbe stata proprio la fortissima im-
pressione suscitata dal racconto del loro martirio a indurre –
secondo l’Assidua – il giovane canonico Fernando a vestire l’abito
dei Minori. Molto nota è la dura reazione attribuita da Giordano
da Giano a Francesco di fronte all’entusiasmo manifestato dai frati
alla notizia del martirio: «unusquisque de sua et non de aliena pas-
sione glorietur» (139). Non solo: secondo il cronista, Francesco

(136) Atti 1751.


(137) Di grande interesse, sui primi martiri francescani, gli atti del convegno Dai
Protomartiri francescani a sant’Antonio di Padova. Atti della Giornata internazionale
di studi, Terni, 11 giugno 2011, a cura di L. Bertazzo - G. Cassio (Centro Studi
Antoniani, 45), Padova 2011.
(138) Assidua 601; per un’attenta disamina della menzione dei primi cinque martiri
nelle fonti francescane, iniziando dall’Assidua, cf. I. HEULLANT-DONAT, La perception
des premiers martyrs franciscains à l’interieur de l’Ordre au XIII e siècle, in Religion et
mentalités au Moyen Âge. Mélanges en l’honneur d’Hervé Martin. Sous la direction de
S. Cassagnes-Brouquet - A. Chauou - D. Pichot - L. Rousselot, pp. 211-220.
(139) GIORDANO DI GIANO, Chronica, p. 7 (FF 2330).
Introduzione 57

avrebbe rifiutato la legenda che già era stata composta sui frati del
Marocco e ne avrebbe proibito la lettura. La secca e tagliente repli-
ca opposta dal fondatore si trasforma, nella Passione trecentesca, in
una compiaciuta esultanza: «Ora posso dire veramente che ho cin-
que frati» (140). Tale evidente scarto impone – mi pare – di cercare
di valutare, in prima istanza, il peso, il ruolo, la presenza del tema
del martirio negli scritti di Francesco, che rimangono – impossibile
dimenticarlo – un punto di riferimento ineludibile in virtù non solo
«dell’importanza storica di quegli scritti, ma del loro spessore reli-
gioso e umano, della loro forza espressiva, della potenza dirompen-
te dei concetti e dei sentimenti che premono in essi» (141).
Il termine martirio non compare mai negli scritti di Francesco.
Vi è un’allusione, un riferimento implicito alla possibilità di trovare
la morte nell’annuncio del Vangelo nel capitolo XVI della Regola
non bollata (De euntibus inter saracenos et alios infideles). L’atteg-
giamento raccomandato ai frati è, con ogni evidenza, quello della
prudenza, con il rimando iniziale al passo di Matteo 10,16 («Siate
dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe»), e la
via indicata è quella della testimonianza evangelica: «non facciano
liti né contese, ma siano sottomessi a ogni creatura umana per
amore di Dio e confessino di essere cristiani» (142). Solo successiva-
mente è previsto anche l’annuncio della parola di Dio. In tale con-
testo viene richiamato il passo evangelico: «Chi perderà la sua vita
per me, l’avrà salva nell’eternità» (Mc 8,35), viene raccomandato di

(140) Passione 48; cf., su questo passo, le osservazioni di Luciano Bertazzo nella
Presentazione e ancora le sue riflessioni in I Protomartiri francescani tra storia e agio-
grafia, in Dai protomartiri, pp. 45-46: l’autore cosı̀ commenta le parole attribuite dalla
Passio trecentesca a Francesco: la gioia del fondatore «testimonia e consacra il pas-
saggio avvenuto nella recezione della memoria dei protomartiri, non più la reazione
stizzita di fronte al rischio di una vanagloria, ma la gioia per la connessione tra la
minoritas e il martyrium» (p. 45); vedi infine le conclusioni di Rigon su queste parole
che indubbiamente segnano un passaggio fondamentale, cf. A. RIGON, La morte dei
Protomartiri francescani e la vocazione di Antonio, in Dai Protomartiri francescani, p.
65: «A distanza di 150 anni, invero, ciò che poteva essere apparso sconveniente al
santo d’Assisi appariva non solo legittimo, ma necessario e fruttuoso [...]; il recupero
glorificante di quell’evento consentiva a tutti i frati, fedeli all’Ordine e contestatori, di
ritrovarsi, di aprire la via della conciliazione, di specchiarsi uniti nella santità dei
protomartiri e di Antonio».
(141) MICCOLI, Francesco d’Assisi. Memoria, storia e storiografia, p. 37, cf. l’intero
capitolo primo, pp. 13-56 e anche il successivo capitolo secondo, pp. 57-80.
(142) FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, p. 279; sulla specificazione riguardante il divieto di
«liti» e «contese» cf. la significativa riflessione di F. C ARDINI, Conclusioni, in Dai
Protomartiri francescani, p. 208, dove l’autore sottolinea «la rinuncia a qualunque
forma di potere, inclusa quindi la possibilità di servirsi di argomenti di sorta, insomma
di forme di sapere o di esperienza tecniche tese a convincere. Anche quelle sarebbero
state maniere di esercitar potere, dal momento che la stessa conoscenza può essere
una manifestazione di forza».
58 Introduzione

«non temere quelli che uccidono il corpo» (143), ma viene altresı̀


raccomandato ai frati di fuggire di fronte a eventuali persecuzioni.
Mi pare si configuri già un discrimen netto rispetto alle inten-
zioni che la Passione trecentesca attribuisce a Francesco. Egli
avrebbe personalmente inviato i sei frati, «di altissima perfezione»,
in Marocco dove «infieriva re Miramolino», dicendo: «Figlioli
miei, Dio mi ha comandato di inviarvi nel paese dei saraceni a pre-
dicare e a confessare la fede in lui e a combattere la legge di Mao-
metto» (144). Dall’essere «sottomessi a ogni creatura umana» al
«combattere la legge di Maometto»: queste due espressioni baste-
rebbero, credo, a segnare la strada percorsa da quei frati che Fran-
cesco aveva voluto «minores» e «subditi omnibus» (145). Ma non è
questo, d’altra parte in qualche misura ovvio, il punto che qui pre-
me evidenziare: si tratta, piuttosto, di riflettere sul fortissimo recu-
pero, in chiave francescana, del martirio (146), appartenente a una
tradizione antica, ma che si presenta come sostanzialmente estra-
neo alla Chiesa del Due e Trecento. Non si tratta certo solo della
Passione dei frati martiri in Marocco e degli altri numerosi racconti
di Passioni che costellano – all’interno del testo, o come sue ap-
pendici – la voluminosa Chronica XXIV Generalium (147), bensı̀ di

(143) FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, p. 281; su questo passaggio cf. l’interpretazione di


P. EVANGELISTI, Martirio volontario e ideologia della Crociata. Formazione e irradiazione
dei modelli francescani a partire dalle radici altomedievali, «Cristianesimo nella storia»
27 (2006), pp. 202-206, in particolare p. 205, in cui – operando mi pare una forzatura
rispetto al testo – l’autore sostiene che «Francesco affaccia la possibilità del martirio
come condizione permanente per i frati, allargando la possibilità a tutti gli apparte-
nenti all’Ordine» e riguardo al passo finale immediatamente successivo commenta:
«Seguono quattordici diversi versetti evangelici posti a sostegno di questa dimensione
martiriale possibile ma permanente» (p. 205). Non mi sembra si possa parlare di «un
discorso e un’ideologia martiriale ampiamente tipicizzata sotto il profilo anche cano-
nistico e teologico», prevalendo, nel capitolo esaminato, un’ottica di testimonianza, di
sottomissione e di annuncio che non credo possa trovare molti precedenti nella tra-
dizione cristiana; cf. l’analisi di questo capitolo proposta da C. F RUGONI, Francesco e le
terre dei non cristiani (Biblioteca di frate Francesco, 12), Milano 2012, pp. 79-90; cf.
anche le riflessioni di MERLO, Frate Francesco, pp. 82-83.
(144) Passione 8; il corsivo è mio.
(145) L’espressione si trova nel Testamento, cf. FRANCESCO D’ASSISI, Scritti, p. 434.
(146) D’obbligo il riferimento al lavoro, in corso di pubblicazione, di I. HEULLANT-
DONAT, Missions impossibles. Franciscains, ‘‘Sarrasins et infidèles’’ et martyre (XIIIe-
XVe siècle) (Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome), Rome (in
corso di stampa).
(147) Cf. Chronica XXIV Generalium, pp. 15-22 per i primi cinque frati martiri; pp.
32-33 per un secondo martirio di altri cinque frati in Marocco; pp. 412-415 (Passio
Fratrum Monaldi de Ancona, Francisci de Petriolo, Antonii de Mediolano); pp. 416-417
(Martyrium fratris Philippi); pp. 417-418 (Passio sanctorum fratrum Minorum, videlicet
fratris Corradi de Saxonia et fratris Stephani Hungari e Passio fratris Francisci Ordinis
Minorum); pp. 474-479 (Passio quatuor fratrum Minorum in civitate Thana martyriza-
torum e Passio fratris Petri de Senis); pp. 515-524 (Passio fratris Stephani de Hungaria in
civitate Saray Tartarorum e Passio fratris Gulielmi Anglici); pp. 535-537 (Passio fratrum
Ulrici de Adlechonvitz et Martini de Ahd); pp. 540-543 (Passio fratris Livini Gallici e
Introduzione 59

un affiorare del tema già dalle prime Vite dedicate a Francesco, a


iniziare dalla Vita beati Francisci di Tommaso da Celano. L’agio-
grafo descrive Francesco come ardente «di un intrattenibile desi-
derio di martirio» (148), ma è soprattutto Bonaventura, dopo di lui,
a tornare in modo insistito sul desiderio di martirio di Francesco,
significativamente connesso al miracolo delle stimmate: al fondato-
re non mancò il merito del martirio cosı̀ intensamente desiderato e
cercato, ma, al tempo stesso – secondo la versione della Legenda
maior – «egli venne risparmiato per essere più tardi insignito di un
privilegio straordinario» (149).
Il desiderio di martirio presente in Francesco, ma destinato a
non realizzarsi, sembra cosı̀ passare ai suoi primi frati che, nella
Passione, vengono espressamente inviati da lui nel paese dei sara-
ceni e da lui benedetti con l’assicurazione che Dio sarebbe stato
con loro tamquam bellator fortis (150). Ancora un discorso e un lin-
guaggio che si discostano profondamente da quello utilizzato da
Francesco nei suoi scritti, ma le profondissime divergenze non si
arrestano certo qui. Il comportamento dei frati si configura, infatti,
come abissalmente distante dal dettato della Regola non bollata,
sotto diversi punti di vista. La sottomissione raccomandata dal se-
dicesimo capitolo diviene cosı̀, nel racconto della Passione, un
esplicito e manifesto disprezzo nei confronti della religione musul-
mana, definita «setta superstiziosa dello spregevole Maometto».
Queste le parole direttamente indirizzate al sovrano dai frati:
«Sappi, o re, che come sei il capo dei fedeli di una legge tanto
iniqua, promulgata da quell’ingannatore di Maometto, pieno di
spirito maligno, cosı̀ sei il peggiore tra i malvagi e per te è riservata
all’inferno una pena più grave» (151). E ancora cosı̀ si rivolge al re
uno dei cinque frati, ricordandogli «l’eterno fuoco infernale» che
lo attende: «Che cos’è, infatti, la tua nefandissima legge [...], e chi
è il vilissimo Maometto?». E «con scherno – cosı̀ si conclude il

Passio fratris Iohannis de Montepolitiano); pp. 554-557 (Passio fratrum Nicolai de Mon-
tecorbino et Francisci de Provincia Terrae Laboris); per quanto riguarda i testi raccolti
nelle appendici: pp. 597-604 (Passio sanctorum Martyrum fratrum Monaldi de Ancona,
Francisci de Petriolo, Antonii de Mediolano ordinis Minorum e Passio sanctorum fra-
trum Minorum Thomae de Tolentino, Iacobi de Padua, Petri de Senis, Demetrii); pp.
604-613 (Passio fratris Petri de Senis); pp. 613-616 (Passio sanctorum fratrum Danielis,
Agnelli, Samuelis, Donnuli, Leonis, Nicolai, Hugolini Ordinis fratrum Minorum, qui
passi sunt apud Septam, civitatem Marochium, anno Domini MCCXXVII).
(148) FF 418.
(149) FF 1175; sulla presenza del tema martiriale e su come esso viene trattato nelle
fonti francescane del XIII secolo, cf. I. HEULLANT-DONAT, Les Franciscains et le martyre
au XIII e siècle, in Dai Protomartiri francescani, pp. 11-29.
(150) Passio sanctorum Martyrum fratrum Beraldi, Petri, Adiuti, Accursii, Othonis in
Marochio martyrizatorum, AF III (1897), p. 582.
(151) Passione 19.
60 Introduzione

discorso attribuito a frate Ottone –, in segno di disprezzo, sputava


in terra per offenderlo» (152). Sono espressioni e atteggiamenti qua-
si caricaturali, tanto risulta aggressiva la loro polemica, che non
solo configurano un disprezzo totale per la religione musulmana
e quanti la professano, ma che manifestano in modo icastico la
volontà di cercare il martirio a ogni costo, mettendo da parte ogni
prudenza e ogni mitezza evangelica, cosı̀ come invece raccomanda-
va la Regola non bollata. Dopo il primo incontro con il re che, irato
per le intollerabili offese, ordina la loro decapitazione, piena di
entusiasmo è la reazione dei frati felici di dirsi l’un l’altro: «Corag-
gio, fratelli, abbiamo trovato ciò che cercavamo; siamo costanti e
non temiamo affatto di morire per Cristo» (153).
La morte, cosı̀ cercata e ottenuta, suscita immediatamente lo
sviluppo di un culto, di una devozione almeno all’interno dell’Or-
dine, attestati – come si è visto – da Giordano da Giano, ma con-
fermati in qualche modo anche dalle parole attribuite a Egidio di
Assisi, che rimproverava i superiori di non aver chiesto con con-
vinzione e ottenuto la canonizzazione dei frati martiri (154). In pri-
mo piano non viene posto il patriottismo dell’Ordine e la volontà
di autopromozione dei frati, bensı̀ la gloria divina e l’edificazione
del prossimo attraverso modelli esemplari; eppure, con ogni evi-
denza, benché i riferimenti al martirio come massima e più alta
realizzazione della perfetta vita cristiana siano presenti nelle Vite
di tutti i santi canonizzati dell’Ordine – Francesco, Antonio,
Chiara (155) –, il sacrificio di sé rimane totalmente circoscritto en-
tro una dimensione di ‘‘potenzialità’’, per cosı̀ dire, di ideale, senza
mai arrivare a un effettivo compimento (156). D’altro canto sia la
Regola non bollata, sia lo stesso racconto del suo incontro con il

(152) Passione 33.


(153) Passione 20.
(154) Cf. Detti 1416: «A frate Egidio sembrava che avessero agito male i superiori
maggiori dell’Ordine dei frati Minori, poiché non avevano promosso con forza di
fronte al signor papa – non per ottenere la propria gloria ma quanto meno per consi-
derazione dell’onore divino e per l’edificazione del prossimo – la canonizzazione dei
frati Minori martiri che furono uccisi per la gloriosa confessione della fede in Maroc-
co»; su questa testimonianza, cf. HEULLANT-DONAT, La perception des premiers martyrs
franciscains, pp. 218-219.
(155) Sull’esistenza di una ‘‘vocazione’’ al martirio, propria di Francesco, come
pure di Chiara e Antonio, priva di contraddizioni rispetto alla sequela Christi, cf. le
osservazioni di VAUCHEZ, Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria, pp. 95-97; cf. anche
RIGON, La morte dei Protomartiri francescani, pp. 55-61, in cui l’autore istituisce un
parallelismo tra Francesco e Antonio, entrambi votati all’insuccesso nel loro tentativo
di perseguire il martirio, ma entrambi destinati – come mostrano le rispettive Vite – a
realizzazioni di più ‘‘perfetta’’ santità (le stimmate per Francesco, la feconda missione
evangelizzatrice per Antonio).
(156) Sulla memoria dei primi martiri nelle fonti agiografiche duecentesche e sul
ruolo, in esse, dell’idea di martirio, cf. BERTAZZO, I Protomartiri francescani, pp. 31-41.
Introduzione 61

sultano cosı̀ come viene narrato dal suo primo biografo ufficiale,
Tommaso da Celano, e dallo stesso Bonaventura non evidenziano,
in vero, solo il desiderio di martirio, bensı̀ la volontà di comuni-
care con il sultano e con gli infedeli, di parlare con loro (157).
Sarà il secolo successivo ad aprire la vera stagione del martirio
in chiave francescana. Insistita ricerca del martirio e assoluto di-
sprezzo dell’altra religione e del suo profeta Maometto, vituperato
a più riprese, costituiscono i due fili rossi che non trovano alcuna
corrispondenza negli scritti di Francesco e nei suoi comportamenti
cosı̀ come risultano tramandati dalle fonti, ma sembrano invece
rispondere alle logiche, ai contesti e alle problematiche politico-
religiose della seconda metà del XIV secolo.
Sia prima sia dopo la caduta di Acri del 1291, che segna la per-
dita completa della Terrasanta, le ambizioni e i progetti di crociata
non solo non vengono meno, ma alcuni pensatori francescani ri-
sultano impegnati in prima persona su questi temi, basti l’esempio
paradigmatico del Liber recuperationis Terrae Sanctae composto da
Fidenzio da Padova che lo consegnò a Niccolò IV proprio nel
1291 (158). Il rapporto Cristianesimo-Islam continua a essere un
problema costante, vissuto e declinato, da parte cristiana, soprat-
tutto come tentativo di riprendere la Terrasanta, ‘‘santo’’ obiettivo
delle crociate che avrebbero continuato a essere progettate e pre-
dicate, non di rado da membri dell’Ordine, nel periodo tardome-
dievale (159). La notevole quantità di racconti che hanno per tema le
missioni e il martirio di santi membri dell’Ordine – una nutrita
serie di martiri inaugurata dai cinque del Marocco – offre il qua-
dro complessivo nel quale inserire la Passione e riflettere sulle mo-
tivazioni che stanno alla base del fiorire di questa tipologia di testi.

(157) Cf. FF 422: «Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli
stava davanti e gli parlava [...]?» e il sultano, infatti, «era molto commosso dalle sue
parole e lo ascoltava molto volentieri»; anche Bonaventura, pur facendo ampio ricor-
so al tema del martirio, parla della volontà di Francesco di incontrare il sultano e di
parlare con lui: «Si mise perciò in cammino alla volta del Marocco, con l’intento di
predicare al Miramolino e alla sua gente» (FF 1171), «predicò al Soldano il Dio uno e
trino [...] il Soldano [...] lo ascoltò volentieri e lo pregò di restare presso di lui» (FF
1173-1174). Cf. F. CARDINI, Nella presenza del soldan superba. Saggi francescani (Me-
dioevo francescano. Saggi 13), Spoleto 2009, pp. 41-103; per una recente messa a
punto storiografica sul tema, cf. A. M ARINI, Storia contestata: Francesco d’Assisi e
l’Islam, «Franciscana» 14 (2012), pp. 1-54.
(158) Per un’analisi dell’opera rimando allo studio di P. E VANGELISTI, Fidenzio da
Padova e la letteratura crociato-missionaria minoritica. Strategie e modelli francescani
per il dominio (XIII-XV sec.), Bologna 1998.
(159) Mi limito a un solo, ma mi pare significativo, riferimento storiografico, cf. San
Giacomo della Marca e l’altra Europa. Crociata, martirio e predicazione nel Mediterra-
neo Orientale (secc. XIII-XV). Atti del Convegno internazionale di studi, Montepran-
done 24-25 novembre 2006, a cura di F. Serpico (Quaderni di San Giacomo, I),
Firenze 2007.
62 Introduzione

Il martirio rappresenta chiaramente la riproposta di modelli di vita


e di esperienze antiche, le cui ragioni d’essere – oltre che nelle
contingenze legate ai contesti storici, religiosi e politici del tempo
– vanno forse cercate nell’esigenza, per un Ordine giovane e nel
corso dei primi decenni del Trecento già esposto a crisi gravissime,
di trovare radici forti che certamente l’aggancio ideale con l’espe-
rienza dei martiri – e in particolare dei primi martiri della Chiesa –
poteva garantire, legittimando, da un altro e non controverso pun-
to di vista, l’esistenza e l’azione di un’istituzione la cui indubbia
novitas era stata motivo del suo successo, ma anche di critiche,
dubbi, polemiche. Dopo qualche caso e qualche precedente alto-
medievale (160), si può affermare che nei secoli successivi il martirio
non faccia più parte dell’orizzonte religioso della Chiesa (161), ep-
pure i Minori attingono alla ripresa del sacrificio volontario di sé
in un contesto missionario per celebrare – saldandola al ricordo
dei martiri dei primi tempi della Chiesa – l’ineguagliabile santità
dell’Ordine, esaltandone l’impegno di annuncio e diffusione del
messaggio cristiano in tutto il mondo.
Tale desiderio, tale necessità di celebrazione emergono in modo
sempre più decisivo in raccordo con le contingenze esterne all’Or-
dine, legate al problema del recupero della Terrasanta, ma soprat-
tutto in relazione alle sue vicende interne, di crisi e conflitto aspro
con il papato nella persona di Giovanni XXII. Nei decenni succes-
sivi a quei frangenti di grave ‘‘tribolazione’’, seguiti alle durissime
prese di posizione del papa sull’annosa e delicata questione della
povertà evangelica, il bisogno di ripensare la propria vicenda stori-
ca, di ridefinire la propria identità mi pare stiano alla base della
‘‘riscoperta’’ e riproposta del martirio. Non mi pare un caso che
molti dei racconti di Passioni si trovino all’interno della Chronica
XXIV Generalium o si presentino come appendices in manoscritti
contenenti la Chronica, un testo compilativo, la cui finalità priori-
taria sembra essere stata quella di ripercorrere la tribolata storia di
un Ordine diviso e frammentato alla ricerca di un’unità sempre più
difficile, nel segno della santità non solo del fondatore, ma di tanti
frati santi e, appunto, martiri. Il tema della sofferenza ‘‘necessaria’’
dei martiri diviene cosı̀ lo specchio della sofferenza dell’istituzione,
destinata tuttavia, al pari dei suoi martiri, a una gloria certa (162).

(160) Cf., per esempio, l’episodio di martirio collettivo narrato da RODOLFO IL GLA-
BRO, Cronache dell’anno Mille, a cura di G. Cavallo - G. Orlandi, Milano 198, pp. 96-
99; cf., per altri casi, EVANGELISTI, Martirio volontario, pp. 177-199.
(161) Cf. A. VAUCHEZ, La sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Âge
d’après les procès de canonisation et les documents hagiographiques (Bibliothèque de
l’École française d’Athènes et de Rome, 241), Rome 1988, p. 482 (trad. it. La santità
nel Medioevo, Bologna 1989).
(162) Rimando, per questi temi, alla mia ricerca sulla Chronica, cf. M.T. DOLSO, La
Introduzione 63

7. I MIRACOLI DEI ‘‘FIGLI’’ DI FRANCESCO


Il martirio, la missione, l’espansione della fede, il sacrificio della
propria vita come massima espressione della realizzazione di una
vita cristiana sono i temi centrali della Passione che, tuttavia, pro-
prio nel suo incipit, introduce un altro argomento che riemerge –
se pure in modo quantitativamente poco consistente – in molti dei
testi qui raccolti: l’eresia. Il racconto prende infatti le mosse dal-
l’invio dei frati, da parte di Francesco, «per tutti i paesi del mon-
do» (163) e dalla constatazione della diffusione dell’eresia in Spagna
che si configura come il motivo principale della missione dei frati
Minori là espressamente mandati dal fondatore. «Alla stessa epo-
ca, una moltitudine di eretici era convenuta in Spagna e, affinché
in quelle regioni non si diffondesse l’eresia, il beato Francesco vi
mandò alcuni frati perché si opponessero agli eretici e rinvigoris-
sero i fedeli nella fede cattolica» (164). Paradossalmente sono poi gli
stessi frati – secondo il racconto della Passione – a essere scambiati
per eretici, dato il loro modo di vestire e la loro lingua straniera,
come era accaduto – e forse potrebbe trattarsi di un’eco di quelle
vicende – ai primi frati inviati oltralpe, in Germania (165). Mentre,
tuttavia, nel caso narrato da Giordano di Giano, si trattava di mis-
sioni, senza alcun riferimento al problema dell’eterodossia, qui il
contesto richiama un’urgenza ereticale, per cui lo stesso Francesco
avrebbe inviato i suoi frati per contrastare la diffusione dell’eresia.
Eretici e infedeli costituiscono senza dubbio due emergenze prio-
ritarie che la Chiesa e il papato si erano trovati a fronteggiare nel
Due e Trecento: c’è forse da chiedersi se questo affacciarsi del te-
ma dell’eresia nel contesto della Passione non sia frutto di una vo-
lontà di accostare, quasi ponendoli sullo stesso piano, i due grandi
nemici della cristianità, che i frati si trovano a combattere in prima
persona.
Il richiamo all’eresia, più precisamente, alla valenza per cosı̀
dire antiereticale degli stessi testi agiografici è – come si è visto –
tra le finalità che l’autore del Dialogus si pone nello scrivere la sua

‘‘Chronica XXIV Generalium’’. Il difficile percorso dell’unità nella storia francescana


(Centro studi antoniani, 40), Padova 2003, pp. 113-137 e al più recente contributo:
M.T. DOLSO, La ‘‘Chronica XXIV Generalium’’ tra storia e agiografia, «Revue Mabil-
lon» n.s. 24 (2013), pp. 95-96; rinvio anche alle considerazioni in merito di Isabelle
Heullant-Donat che mette in relazione il progressivo fiorire del tema del martirio con
la controversia sulla povertà evangelica e le problematiche vicissitudini dell’Ordine
negli anni del pontificato di Giovanni XXII, cf. I. H EULLANT-DONAT, Missions impos-
sibles. Essai sur les franciscaines et leurs martyrs (XIII e-XV e siècle), «Études francis-
caines» n.s. I (2008), fasc. 1-2, pp. 169-171.
(163) Passione 1.
(164) Passione 2.
(165) L’episodio viene narrato da GIORDANO DI GIANO, Chronica, cap. 5 (FF 2327).
64 Introduzione

opera (166). Il tema, in realtà, viene trattato solo nella sezione relati-
va ad Antonio, in cui si salda alla celebrazione dei suoi miracoli.
All’episodio della conversione dell’eresiarca di Rimini si associa il
miracolo avente per destinatario un cavaliere sedotto dall’«eretica
pravità» che sfida Antonio gettando un bicchiere in terra e affer-
mando che avrebbe creduto alla sua santità solo se il bicchiere si
fosse conservato intatto, ciò che naturalmente avviene e riconduce
l’eretico nell’alveo dell’ortodossia, racconti risalenti entrambi al-
l’Assidua e ugualmente ripresi dalla Vita seconda. L’argomento ere-
ticale percorre, infatti, quale esile, ma riaffiorante filo narrativo,
tutta la tradizione antoniana, con una maggiore accentuazione nel-
la Rigaldina che ricorda come Antonio, «invitato dagli eretici»,
«accolse il loro invito nella speranza di poterli riscattare dagli er-
rori e confermarli nella verità della fede sull’esempio del Salvatore
che, per un medesimo motivo, mangiava insieme a pubblicani e
peccatori». Gli eretici, «che egli confondeva in lungo e in largo
nelle prediche e nelle dispute» (167), cercano addirittura di avvele-
narlo; poi, una volta scoperti, lo inducono comunque alla prova di
assumere il veleno promettendo la loro conversione se egli fosse
rimasto indenne. Finché, dinanzi al miracolo del santo, al quale il
veleno non aveva provocato alcun male, «si convertirono alla fede
del Vangelo» (168).
Anche la celebre predica ai pesci risulta strettamente legata a
un contesto ereticale: «una volta, mentre alcuni eretici nei pressi
di Padova disprezzavano e deridevano le sue prediche, si avvicinò
al fiume poco distante e, udendolo tutto il popolo presente, disse
agli eretici: ‘‘Dal momento che vi dimostrate indegni della parola
di Dio, ecco, mi rivolgo ai pesci, per confondere più apertamente
la vostra incredulità’’» (169). Anche l’episodio immediatamente suc-
cessivo, del cavallo che si prostra dinanzi all’eucaristia, ha per pro-
tagonista un «incallito e scaltro eretico» che, grazie ad Antonio,
«fu liberato dalla tenebre del suo errore» (170). Non pare necessario

(166) Dialogo 66.


(167) Rigaldina 1093; sull’attitudine di Antonio nei confronti dell’eresia, cf. G.G.
MERLO, Contro gli eretici. La coercizione all’ortodossia prima dell’Inquisizione (Saggi,
443), Bologna 1996, pp. 75-97.
(168) Rigaldina 1094.
(169) Rigaldina 1112. Sul miracolo della predica ai pesci e sulle sue corrispondenze
con la predica agli uccelli di Francesco, d’obbligo il rimando a A. R IGON, Scritture e
immagini nella comunicazione di un prodigio di Antonio di Padova: la predica ai pesci,
«Il Santo» 47 (2007), pp. 295-320, ripreso in La comunicazione del sacro (secoli IX-
XVIII), a cura di A. Paravicini Bagliani - A. Rigon, introduzione di G. Bedouelle
(Italia sacra, 82), Roma 2008, pp. 111-142.
(170) Rigaldina 1115-1117. L’episodio, con qualche variante, si trova già nella Be-
nignitas, cf. 899-901.
Introduzione 65

insistere oltre su questo aspetto che, benché estraneo a Francesco,


presto tende a diventare un ambito nel quale diversi membri del-
l’Ordine sono direttamente coinvolti. Il problema ereticale e il
progressivo coinvolgimento dei Minori nella sua non facile risolu-
zione rappresentano una delle molteplici declinazioni del modo di
porsi dell’Ordine nei confronti della Chiesa e della società nel suo
complesso (171): la fedeltà nei confronti del papato, di cui i Minori
tendono molto presto a diventare preziosi e strettissimi collabora-
tori, include anche una loro assunzione di prospettive e linee di
condotta che, in assenza di diretti legami con l’esperienza della
fraternitas, spetta all’agiografia collocare comunque agli albori del-
l’Ordine e inserire a pieno titolo nell’itinerario di vita del primo
santo dopo Francesco: Antonio. E forse non è casuale che quasi
tutte le conversioni degli eretici a opera di Antonio siano dovute
a un suo intervento miracoloso: la potenza divina si manifesta per
suo tramite e la conversione stessa degli eterodossi si configura
come risultato della grazia attribuita ad Antonio.
Per un Ordine recente, ma rapidamente e solidamente radicato
nella Chiesa, mostrare la santità dei propri membri (172), oltre e al
di là del fondatore, si prospetta quale obiettivo fondamentale e alla
luce di tale esigenza mi pare si debba considerare l’imponente fio-
rire di testi che non hanno per protagonista Francesco e che non
sempre hanno un unico protagonista (173). Il Dialogus, la tradizione
agiografica antoniana, le Vite di Egidio, i protomartiri esprimono
un forte bisogno di santità, offrono dei modelli di santità e di santi
– non solo Antonio, l’unico canonizzato – in un momento in cui,

(171) Per opportuni rimandi storiografici relativi all’assunzione di compiti inquisi-


toriali da parte dei frati, cf. nota 29.
(172) Sul problema della canonizzazione dei santi francescani e sul suo significato,
molto ricca risulta la storiografia; mi limito, come di consueto, ad alcuni riferimenti
che, lontano dal configurarsi come esaustivi, mirano solo a offrire qualche orienta-
mento utile: R. PACIOCCO, ‘‘Sublimia negotia’’. Le canonizzazioni dei santi nella curia
papale e il nuovo ordine dei frati Minori (Centro studi antoniani, 22), Padova 1997;
R. PACIOCCO, Il papato e i santi canonizzati degli Ordini Mendicanti. Significati, osser-
vazioni e linee di ricerca (1198-1303), in Il papato duecentesco, pp. 263-341; per le
canonizzazioni di Francesco e Antonio, cf. A. VAUCHEZ, Grégoire IX et la politique
de la sainteté, in Gregorio IX e gli Ordini Mendicanti, pp. 351-377; il quadro di rife-
rimento complessivo sulla santità nel Medioevo, nel quale va inserito il tema più
specifico della santità francescana, resta VAUCHEZ, La sainteté en Occident; cf. anche
R. PACIOCCO, Canonizzazioni e culto dei santi nella ‘‘christianitas’’ (1198-1303) (Medio-
evo francescano. Saggi, 11), S. Maria degli Angeli-Assisi 2006; Procès de canonisation
au Moyen Âge. Aspects juridiques et religieux, sous la direction de G. Klaniczay (Col-
lection de l’École française de Rome, 340), Rome 2004.
(173) Il Dialogus è la prima opera a trattare di diversi membri dell’Ordine: «Avve-
niva ora per la prima volta che la riflessione di un autore francescano si esercitasse
non su una singola figura, bensı̀ su una pluralità di santi che, per varie ragioni, si erano
imposti alla sua attenzione. Il campo di indagine si dilatava anche dal punto di vista
geografico» (PACIOCCO, Da Francesco ai ‘‘Catalogi sanctorum’’, p. 84).
66 Introduzione

oltre tutto, ‘‘fare santi’’ era una prerogativa della Sede apostoli-
ca (174). I ‘‘nuovi’’ santi – da Benvenuto da Gubbio ad Ambrogio
da Massa – sembrano essere altresı̀ funzionali a un tipo di devozio-
ne che l’Ordine propone, una devozione che, diversamente da
quella legata all’Ordine dei Predicatori, per limitarsi a un solo
esempio, è rivolta a tutta la società, è tesa a coinvolgere tutti i ceti
sociali, come ben testimoniano le vicende della partecipazione di
tutta la città di Padova alle esequie di Antonio, dettagliatamente
narrate dall’Assidua (175), cosı̀ come ne sono espressione i miracoli
dello stesso Antonio, ma anche di tutti i santi frati ‘‘minori’’ prota-
gonisti del Dialogus, miracoli che – in entrambi i casi – coinvolgo-
no tutti gli strati sociali della popolazione. Sono i miracoli la mani-
festazione più eclatante della santità dei ‘‘santi’’ frati protagonisti
del Dialogus. Tale precoce volontà di raccolta e trasmissione del
ricordo di tanti frati la cui fama sanctitatis si era diffusa localmen-
te, sembra quasi prefigurare il genere letterario dei catalogi sancto-
rum che si sarebbe affermato soprattutto nel Trecento (176).
Il profilo delle vicende biografiche dei protagonisti dell’opera è
molto esile e si limita sostanzialmente ai tre maggiori personaggi
che compongono la raccolta – Antonio, Benvenuto e Ambrogio –
eppure non mancano, pur nella sintesi che caratterizza la rievoca-
zione delle loro vite, aspetti che richiamano fortemente la dimen-
sione della prima fraternitas. Tali sono, per esempio, i termini con
cui l’agiografo delinea la scelta francescana di Ambrogio: «diventa-
to osservante della promessa evangelica, scelse la povertà al posto
delle ricchezze e i valori eterni al posto di quelli temporali» (177). Di
Ambrogio viene ricordato il particolare della cessione di tutti i suoi
averi ai poveri (178): un atto invero fondamentale che connota in
modo imprescindibile la scelta francescana, ma che, dopo i primis-
simi compagni, di fatto, perde la sua centralità (179). Ma, se pure
l’iter biografico di questi santi ‘‘minori’’ si limita a pochi tratti, sono
i miracoli stessi a diventare specchio della loro vita santa, oltre che
della loro potenza salvifica e del culto loro tributato.

(174) Cf. VAUCHEZ, La sainteté en Occident, in particolare Livre I, Deuxième e


Troisième partie.
(175) Cf. Assidua, seconda parte nella quale l’agiografo tratta gli eventi che vanno
dalla morte di Antonio alla sua canonizzazione, 644-715.
(176) Cf. PACIOCCO, Da Francesco ai ‘‘Catalogi sanctorum’’.
(177) Paupertatem pro divitiis et aeterna pro tempore commutavit (Dialogo 273).
(178) Cuncta quae habuit pauperibus eroganda distraxit.
(179) Ho affrontato il tema delle modalità dell’ingresso nell’Ordine quali risultano
nelle fonti francescane, non solo agiografiche, in un mio precedente lavoro al quale
rinvio, cf. M.T. DOLSO, ‘‘Et sint Minores’’. Modelli di vocazione e reclutamento dei frati
Minori nel primo secolo francescano (Fonti e ricerche, 14), Milano 2000, soprattutto
pp. 121-188 e, per quanto riguarda in particolare Ambrogio da Massa, pp. 333-335.
Introduzione 67

Quei miracoli, soprattutto di guarigione, avvenuti quasi sempre


sulla tomba dei santi frati e a ridosso della loro morte, soprattutto,
ma non solo, nella zona dell’Italia centrale, testimoniano di una
devozione che ha senza dubbio la loro origine in Francesco, ma
che è già oltre Francesco. Racconta il Dialogus di una donna di
Narni, fratturata una gamba, che aveva promesso di visitare la
tomba di Francesco, ma poi, molto sofferente, aveva deciso di vo-
tarsi a frate Matteo di Narni: dopo aver posto le sue reliquie sulla
propria ferita, ottenne la miracolosa guarigione (180). Non c’è alcu-
na sorta di competizione tra Francesco e frate Matteo di Narni:
quella della donna miracolata appare una scelta dettata dalla ne-
cessità di rivolgersi a qualcuno maggiormente vicino il cui aiuto
potesse essere immediato e, verrebbe da dire, ugualmente valido.
L’efficacia della potenza taumaturgica dei ‘‘figli’’ di Francesco
deriva sempre da lui, come dimostra la vicenda di un uomo di
Monterubbiano (181), paralizzato a una gamba e a un braccio, reca-
tosi presso il sepolcro di frate Pietro di Montolmo (182) per chieder-
gli la grazia della guarigione. Non ricevendo l’aiuto desiderato,
l’uomo «a gran voce gridò e disse: ‘‘San Francesco, da’ forza a que-
sto frate Pietro perché mi liberi’’», riacquistando, infine, la desi-
derata salute (183). L’immagine sintetizza con incisività, mi pare, il
ruolo del fondatore in rapporto allo sviluppo dell’Ordine e alla
diffusione stessa di una santità che si manifestava in tanti frati:
Francesco è la fonte irrinunciabile di un francescanesimo che, su-
bito dopo la sua scomparsa, evidenzia una straordinaria efferve-
scenza e vitalità, frutto di un’evoluzione tutt’altro che lineare, con-
trastata, problematica e tumultuosa che è, insieme, ‘‘frammentazio-
ne’’ di un’eredità difficile, destinata a restare patrimonio comune
ma, al tempo stesso, conteso e diviso: di questa articolata e per
molti aspetti unica complessità i testi qui raccolti offrono una
quanto mai preziosa testimonianza.

* * *
Soffermarsi, nel licenziare questo volume, a ricordare le perso-
ne che hanno accompagnato in vario modo la sua genesi e il suo
percorso è molto più di una consolidata consuetudine: è il modo di
esprimere il debito di gratitudine nei confronti di quanti, lavoran-
do insieme a me, l’hanno reso possibile. È dunque, anzitutto, ai
traduttori che va un mio primo sincero pensiero di riconoscenza

(180) Dialogo 399.


(181) Attualmente in provincia di Fermo.
(182) Oggi Corridonia, in provincia di Macerata.
(183) Dialogo 467.
68 Introduzione

per l’adesione al piano dell’opera e per l’impegno profuso; un gra-


zie particolare a Francesco Mores per aver condiviso con me la
fatica di rivedere alcuni testi e a Donato Gallo, sempre presente,
pronto e cordialmente sollecito nel rispondere a ogni mia richiesta,
dubbio, domanda. Ringrazio di cuore Luciano Bertazzo, che, oltre
a partecipare fattivamente al volume, ne ha promosso la nascita,
ragionando sulla selezione dei testi e seguendone le varie fasi reda-
zionali, e che soprattutto l’ha accolto nella sede editoriale delle
Editrici francescane.
Ai miei maestri di sempre, Giovanni Miccoli e Antonio Rigon,
va il mio più sentito ringraziamento per la generosità e l’affetto con
cui da molti anni seguono le mie ricerche. Condividere con loro
idee e progetti, ascoltare le loro osservazioni, beneficiare dei loro
consigli, dei loro suggerimenti, del loro sostegno è un aspetto non
solo gratificante e prezioso, ma irrinunciabile del mio lavoro e lo è
stato anche questa volta.

MARIA TERESA DOLSO


Vita prima del beato Antonio
detta anche Legenda ‘‘Assidua’’ *

Capitolo 1
COMINCIA IL PROLOGO ALLA VITA DEL BEATO ANTONIO
1
588 Mosso dalla domanda insistente dei fratelli, e anche attirato
dal profitto di un’obbedienza salvifica, ho creduto adeguato all’a-
more e alla devozione dei fedeli mettere per iscritto la vita e le
gesta del beatissimo padre e fratello nostro Antonio, a lode e gloria
di Dio onnipotente. 2 Infatti di questo si tratta nella vita dei santi,
che viene trasmessa per scritto alla posterità dei fedeli: che all’udi-
re i prodigi dei miracoli che Dio opera nei santi, si lodi sempre e in
ogni cosa il Signore, e si proponga ai fedeli la norma di correggere
la vita insieme a un’ardente devozione.
3
589 So, certo, di essere del tutto insufficiente a un compito cosı̀
grande, tuttavia non trattengo le mie labbra, nella speranza che
colui che vede l’intenzione del cuore porterà a compimento il
mio progetto.
4
Parlerò infatti in modo succinto ai devoti di Cristo, salva però
la verità, sebbene con parole inappropriate: che la facile loquacità
del parlare non assecondi il piacere degli orecchi e gli uomini non
consumino foglie invece di frutti.
5
590 Infine, scrivo alcune cose che non ho visto con i miei occhi; le
ho tuttavia apprese dai racconti di Don Sugerio, vescovo di Lisbo-
na, e di altri uomini cattolici.
6
Fu certamente cosı̀ che Marco e Luca scrissero il Vangelo; fu
cosı̀ che il beato Gregorio scrisse il Dialogo, in cui è Pietro che
interroga: aveva infatti appreso quanto riporta, testimone lui stes-
so, unicamente dal racconto di uomini degni di fede.

* Edizione sulla quale è stata condotta la traduzione: Vita prima di s. Antonio o


‘‘Assidua’’ (c. 1232). Introduzione, testo critico, versione italiana e note a cura di
V. Gamboso (Fonti agiografiche antoniane, 1), Padova 1981.
242 Vite di Antonio di Padova

7
Inoltre perché ai fedeli che leggeranno devotamente questa vi- 591
ta sia offerta l’opportunità di trovare facilmente quanto cercano,
ho diviso quest’opera in due parti e aggiunto specifici titoli ai sin-
goli capitoli.
8
Nella prima parte, dunque, ho ordinato i fatti notevoli della
sua vita, a partire dalla prima vestizione religiosa, scegliendone al-
cuni fra i molti, per amore di brevità.
9
Nella seconda parte, invece, ho raccolto i fatti straordinari che
il Signore ha operato per mezzo di lui, esponendoli dietro garanzia
a me data dai nostri fratelli e dagli altri fedeli.
10
Io, autore, raccomando però al lettore che quando leggerà 592
queste cose e troverà che in qualche racconto ho detto di meno
o, certamente, per loquacità imprudente, ho oltrepassato in qual-
che passaggio i limiti della verità, non mi accusi di menzogna o di
falsità, ma piuttosto perdoni con indulgenza la mia ignoranza o
dimenticanza.

Termina il prologo

Incomincia la vita del beato Antonio

Capitolo 2
DELLA CITTÀ DEL BEATO ANTONIO
1
C’è, come dicono, nel regno del Portogallo, una città, situata 593
nella sua parte occidentale, agli estremi confini del mondo, che
dagli abitanti è chiamata Ulisbona, per il fatto che, come si dice
comunemente, è stata bene fondata da Ulisse. 2 Entro le sue mura,
si erge una chiesa di straordinaria grandezza, costruita in onore
della gloriosa vergine Maria; in essa riposa, onorevolmente sepol-
to, il corpo prezioso e degno di ogni venerazione del beato martire
Vincenzo.
3
Sul suo lato occidentale, i fortunati genitori del beato Antonio 594
possedevano un’abitazione dignitosa, secondo il loro tenore di vi-
ta, che, con un ingresso confinante, era attigua all’entrata stessa
del tempio. 4 Essi, dato alla luce nel primo fiore della giovinezza
questo figlio predestinato, gli diedero fin dallo stesso fonte del sa-
cro battesimo il nome di Fernando.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 243

5
Giustamente poi inviano questo figlio alla suddetta chiesa del-
la Santa Madre di Dio perché fosse istruito nelle sacre Scritture e,
quasi per un presentimento, affidano il futuro araldo di Cristo al-
l’educazione dei ministri di Cristo.

Capitolo 3
COME ENTRÒ NELL’ORDINE DI SANT’AGOSTINO

1
595 Passati dunque gli anni della fanciullezza in modo semplice, in
famiglia, compı̀ il quindicesimo anno di una vita serena. 2 Giunto
all’età di contrarre matrimonio, pur sentendosi spinto a cose illeci-
te in modo insolito, col crescere nella carne degli stimoli della se-
duzione, in nessun modo allentò il freno all’adolescenza e al piace-
re; al contrario, superando la condizione della fragilità umana,
strinse le briglia della concupiscenza della carne che incalzava
con violenza.
3
Ormai già il mondo con le sue sollecitazioni quotidiane perde-
va per lui di sapore e ne ritrasse il piede che non aveva pienamente
posto sulla sua soglia, nel timore che magari gli si attaccasse anche
minimamente la polvere del piacere terreno, polvere in grado di
porre ostacolo a un’anima che correva velocemente sulla via del
Signore.
4
596 Presso la città di cui abbiamo parlato sorge, non lontano dalle
mura, un monastero dell’Ordine di sant’Agostino, nel quale uomi-
ni noti per vita religiosa servono il Signore, sotto l’abito di canonici
regolari (1).
5
Fu infine in questo luogo che l’uomo di Dio, disprezzati gli
allettamenti del mondo, si trasferı̀ e prese con umile devozione l’a-
bito di canonico regolare.
6
597 Dopo aver sopportato, per i quasi due anni in cui vi dimorò, le
frequenti visite che non si addicono alle anime pie, per allontanare
da sé ogni occasione di turbamento di questo genere, decise di
abbandonare la terra natale, che può contribuire non poco a in-
fiacchire gli animi virili; in questo modo, protetto dal lido di una
terra straniera, avrebbe potuto servire più tranquillamente il Si-
gnore.
7
Ottenuto perciò, a fatica, con preghiere, il permesso del supe-
riore, cambiò, non di Ordine ma di luogo, e si trasferı̀, con fervore
di spirito, al monastero di Santa Croce di Coimbra.

(1) Si tratta, come è noto, della canonica di São Vicente de Fora di Lisbona.
244 Vite di Antonio di Padova

Capitolo 4
COME IN QUEL MONASTERO FECE PROGRESSI
NEI BUONI COSTUMI E NELLA SCIENZA

1
Trasferitosi dunque il servo di Dio Antonio al monastero della 598
Croce vivifica, per desiderio di una disciplina più severa e per
amore di una tranquillità più feconda, mostrava, più ardente del
solito, di aver fatto un cambiamento, non tanto di luogo quanto
di condotta di vita. 2 E poiché, come afferma la Scrittura: «è lode-
vole, non essere stato a Gerusalemme, ma esservi vissuto bene» (2),
si mostrò cosı̀ adatto a quella condotta di vita che apparve chiaro a
tutti il vantaggio che il luogo offriva per raggiungere il punto più
alto della perfezione.
3
Con grande impegno coltivava l’ingegno senza sosta ed eserci- 599
tava lo spirito con meditazioni; né mai, di giorno o di notte, secon-
do il tempo disponibile, desisteva dalla lectio divina.
4
Ora leggendo il testo della verità storica, irrobustiva la fede
con l’interpretazione allegorica, ora applicando le parole della
Scrittura, fondava il suo sentire sui buoni costumi.
5
Da un lato, indagando con feconda curiosità il senso profondo 600
delle parole di Dio, con le testimonianze della Scrittura fortificò
l’intelligenza contro gli abissi dell’errore; dall’altro, con diligente
indagine lesse e rilesse i detti dei santi.
6
Infine affidava le sue letture a una memoria tenace, tanto che
in breve meritò di possedere in abbondanza una scienza della
Scrittura per tutti insperata.

Capitolo 5
COME IL BEATO ANTONIO ENTRÒ NELL’ORDINE DEI FRATI MINORI
PER ZELO DI MARTIRIO E DEL CAMBIO DEL SUO NOME

1
Dopo questi fatti, poiché l’Infante Pietro (3) aveva riportato da 601
Marrakech le reliquie dei santi martiri, frati Minori, e divulgato

(2) Si tratta, in realtà, di una citazione di SAN GIROLAMO, Epistulae, Epistula 58 ad


Paulinum, 2, p. 529.
(3) Si tratta dell’Infante Pietro, fratello cadetto del re Alfonso II, che morı̀ nel
1223. «Costretto a riparare dapprima in Leon e poi in Marocco a causa di un conflitto
per questioni di eredità che opponeva al sovrano lui e le sorelle, sostenute da una
parte della nobiltà, aveva colto l’occasione di accompagnare in Portogallo le reliquie
dei primi martiri francescani, giustiziati a Marrakech il 16 gennaio 1220, per rientrare
in patria e accreditarsi come fedele e devoto punto di riferimento della Chiesa in un
momento di crisi dei rapporti di quest’ultima con la corona»: R IGON, La morte dei
Protomartiri francescani, p. 50.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 245

per tutte le province della Spagna che era stato liberato miracolo-
samente per i loro meriti, il servo di Dio Antonio, all’udire i fatti
mirabili che si compivano per loro intercessione, si indirizzò lui
pure nella forza dello Spirito Santo, e «cingendo i suoi fianchi
con la cintura della fede, irrobustiva il braccio con l’armatura dello
zelo di Dio» (Pr 31,17; Is 11,5; Sap 5,18 Vg).
2
E diceva in cuor suo: «Oh, se l’Altissimo si degnasse di farmi
partecipe della corona dei suoi santi martiri! Oh, se la spada del
carnefice mi trovasse in atto di presentare il mio collo, in ginoc-
chio, in difesa del nome di Gesù! Pensi che lo vedrò? Credi tu
che raggiungerò quel momento di felicità?». Queste cose e altre
simili a queste diceva, tacitamente, tra sé (4).
3
602 Frattanto, in quel tempo, dimoravano non lontano dalla città
di Coimbra, nel luogo chiamato Sant’Antonio (5), dei frati dell’Or-
dine dei Minori, che non sapevano leggere, ma insegnavano con le
opere la forza della Scrittura.
4
Questi, secondo quanto stabilito dall’Ordine, si recavano al-
quanto spesso, per chiedere l’elemosina, al monastero dove viveva
l’uomo di Dio.
5
603 Un giorno che l’uomo di Dio li ebbe avvicinati in un luogo
appartato secondo la sua abitudine per intrattenersi con loro, tra
le altre cose di cui parlò, disse anche questo: «Vestirò con animo
pieno di desiderio l’abito del vostro Ordine, fratelli carissimi, se mi
prometterete, appena sarò entrato tra voi, di mandarmi nella terra
dei saraceni, affinché possa anch’io meritare di conseguire con i
santi martiri una parte della corona».
6
I frati, rallegrati di grande gioia per le parole di un uomo cosı̀
eminente, stabiliscono il dopodomani come il giorno nel quale sa-
rebbe avvenuto ciò e, affinché il ritardo non presenti un pericolo,
troncano ogni rinvio.
7
604 Mentre dunque i frati ritornavano con gioia alla loro casa, il
servo di Dio Antonio rimase nel monastero al fine di chiedere la
licenza dal priore circa quanto era stato detto. 8 Ottenuta questa, a
dire il vero a fatica con preghiere, i frati, non dimentichi della pro-
messa, come convenuto, all’alba si riuniscono e impongono al più
presto all’uomo di Dio, nel monastero, il loro abito religioso.
9
605 Avvenuto ciò, uno dei suoi confratelli e canonici accorrendo
parlava nell’amarezza del cuore, dicendo: «Va’, va’, che sarai san-
to!». 10 Rivoltosi a lui, l’uomo di Dio Antonio rispose con umile

(4) Sul ruolo della vicenda dei Protomartiri nella vocazione di Antonio, cf. le
riflessioni di RIGON, La morte dei Protomartiri francescani, pp. 49-65.
(5) Sant’Antonio Abate de Olivais.
246 Vite di Antonio di Padova

voce dicendo: «Quando sentirai dire che sono santo, loderai con
me il Signore».
11
Detto questo, i frati si affrettano di buon passo verso casa e
accolgono con prove di affetto il nuovo ospite che li segue da vicino.
12
Tuttavia, poiché il servo di Dio temeva l’insistenza dei parenti 606
che lo avrebbero assalito, si sforzava di allontanare con più accor-
tezza lo zelo di quelli che lo cercavano. 13 Cosı̀, cambiato anche il
nome, si diede lui stesso il nome di Antonio, e per un certo presa-
gio indicò quanto importante araldo della parola di Dio sarebbe
divenuto.
14
Antonio, infatti, significa in certo qual modo «uno che tuona
fortemente». In realtà la sua voce, come una tromba altisonante
quando proclamava «tra coloro che sono perfetti la sapienza di
Dio, nascosta nel mistero» (1Cor 2,6-7), fece risuonare significati
cosı̀ specifici e cosı̀ profondi delle Scritture che solo quei pochi
che per la lunga consuetudine eran esercitati nell’interpretazione,
potevano capire l’eloquenza della sua parola.

Capitolo 6
COME ANDÒ IN MAROCCO E DEL SUO RITORNO

1
A poco a poco, quindi, e sempre più accrescendo, lo zelo della 607
fede lo spingeva sempre con forza e la sete di martirio, accesa nel
suo cuore, non gli permetteva in nessun modo di riposare. 2 Per cui
avvenne che, essendogli stata concessa la licenza secondo la pro-
messa, partı̀, impaziente, per la terra dei saraceni.
3
Ma l’Altissimo, che conosce i pensieri dell’uomo, «gli si oppo- 608
se a viso aperto» (Gal 2,11) e, inflittagli una grave malattia, lo af-
flisse duramente per tutta la durata dell’inverno. 4 Avvenne cosı̀
che, constatato che non aveva portato a termine nulla di quanto
si era proposto, per ricuperare almeno la salute del corpo, ritornò,
costretto, al paese natale.
5
Ma mentre, navigando, si apprestava ad approdare nella terra 609
di Spagna, per la forza dei venti si vide deposto sulle spiagge della
Sicilia.
6
Verso quello stesso tempo, inoltre, fu deciso di celebrare il ca-
pitolo generale presso Assisi (6). Appena l’uomo di Dio, Antonio,
ne venne a conoscenza per mezzo dei frati della città di Messina,
diventando più vigoroso per se stesso arrivò comunque sul luogo
del capitolo.

(6) È il capitolo convocato ad Assisi per il 30 maggio 1221.


Vita prima o ‘‘Assidua’’ 247

Capitolo 7
COME VENNE IN ROMAGNA E IN CHE MODO VISSE IN QUEL LUOGO

1
610 Terminato poi il capitolo secondo l’uso, mentre i ministri in-
viavano i fratelli loro affidati ciascuno ai loro luoghi, Antonio ri-
mase solo nelle mani del ministro generale; infatti, uomo nuovo e,
come si credeva, di poca utilità, non fu richiesto da nessun mini-
stro, anche perché non era conosciuto.
2
Alla fine, chiamato in disparte frate Graziano, che in quel tem-
po esercitava il ministero dei frati della Romagna (7), il servo di Dio
Antonio cominciò a supplicarlo affinché lo prendesse dal ministro
generale e lo conducesse in Romagna e, dopo averlo condotto lı̀, lo
istruisse sui rudimenti della dottrina spirituale.
3
611 Dalla sua bocca non risuonava nessun accenno all’istruzione
letteraria che gli era stata data in precedenza, nessuna ostentazione
di pratica di ministero ecclesiastico, ma «sottomettendo» tutta la
conoscenza e «intelligenza all’obbedienza di Cristo» (2Cor 10,5),
dichiarava di voler conoscere, desiderare e abbracciare solo lui
[Cristo], «e crocifisso» (1Cor 2,2).
4
612 Frate Graziano dunque, fatta propria la sua ammirevole devo-
zione, acconsentı̀ ai desideri dell’uomo di Dio e, presolo con sé, lo
condusse in Romagna.
5
Dopo esser giunto in quella regione, per disposizione divina,
l’uomo di Dio Antonio, avendone ottenuta la licenza, salı̀ devoto
all’eremo di Montepaolo (8) e, abbandonate le folle dei secolari,
penetrò in luoghi propizi alla quiete.
6
613 Mentre dimorava nel suddetto luogo dell’eremo, un frate si era
costruito, in una grotta, una cella adatta all’orazione, per poter de-
dicarsi al Signore più liberamente.
7
Un giorno, l’uomo di Dio, scopertala e soppesando la buona
opportunità per la devozione, con la convenienza del luogo, si ri-
volse al frate con preghiere e gli chiese, supplichevole, di conce-
dergli la detta cella.
8
614 Raggiunto quel luogo di pace, al termine del capitolo nell’ora
del mattino, ogni giorno il servo di Dio Antonio si ritirava nella
suddetta cella, e preso un piccolo pezzo di pane, portava con sé
un recipiente d’acqua. 9 In questo modo, costringendo la carne ad
assoggettarsi allo spirito, passava il giorno in solitudine; seguendo
la sacra osservanza delle norme (9), rientrava però sempre per l’ora
della riunione spirituale.

(7) All’epoca di sant’Antonio (almeno fino al 1230) l’Italia Settentrionale costitui-


va la provincia minoritica di Lombardia, di cui faceva parte anche la Romagna.
(8) Presso Forlı̀.
(9) Iuxta tamen sacre observationis statuta.
248 Vite di Antonio di Padova

10
Tuttavia, più di una volta, quando al richiamo della campana 615
si disponeva a ritornare dai fratelli, il suo corpo, sfinito dalle veglie
ed esaurito dall’astinenza, con passo incerto lasciava cadere le
membra indebolite.
11
Alla fine aveva talora cosı̀ «stretto la mascella della carne col
morso» (Sal 31,9 Vg) dell’astinenza che, se non fosse stato soste-
nuto dai frati, a testimonianza di un frate che era presente, non
sarebbe in nessun modo potuto rientrare.

Capitolo 8
IN QUALE MANIERA LA SUA SCIENZA FU RESA NOTA AI FRATI

1
Dopo molto tempo, a dire il vero, accadde che dei frati fossero 616
mandati alla città di Forlı̀ per prendere gli ordini sacri. 2 Essendo
convenuti da diverse parti a questo scopo frati Minori e Predica-
tori, fu presente tra loro Antonio.
3
Venuta l’ora della riunione ed essendo i frati già raccolti secon- 617
do l’usanza, il ministro del luogo (10) cominciò a pregare i frati del-
l’Ordine dei Predicatori che erano presenti di proporre, a scopo di
esortazione, la parola di salvezza ai frati che ne erano assetati.
4
Ma poiché ciascuno dichiarava con insistenza sempre maggio-
re di non voler né dover predicare senza preparazione, rivolto a
frate Antonio gli ordinò di annunciare ai frati riuniti qualunque
cosa lo Spirito gli suggerisse.
5
Non credeva, infatti, che conoscesse qualche cosa delle Scrit- 618
ture, né pensava che avesse letto qualche cosa, eccetto forse quan-
to si riferiva all’ufficio divino, appoggiandosi su un solo indizio
presunto: che cioè l’aveva udito parlare latino, allorché lo richie-
deva la necessità. 6 A dire il vero, pur essendo cosı̀ abile da servirsi
della memoria in luogo di libri e abbondasse della grazia del lin-
guaggio mistico, i fratelli lo conoscevano più esperto nel lavare le
stoviglie della cucina che nell’esporre i misteri della Scrittura.
7
Ma perché spendere tante parole? Resistette con tutte le forze 619
per quanto poté; alla fine, acclamato da tutti, si alzò a parlare in
modo semplice. E poiché quella penna dello Spirito Santo – inten-
do dire la sua lingua – dissertò su molte cose con saggezza, con
brillante chiarezza di esposizione e in sintesi, i frati, colpiti da stu-
pita ammirazione, prestavano concordemente attenzione, con
orecchi tesi, a lui che parlava come un oratore.

(10) Si tratta del ministro provinciale, sotto la cui giurisdizione stava il convento in
cui si svolgeva il capitolo.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 249

8
Aumentava infatti lo stupore la profondità inaspettata delle
sue parole, ma non di meno lo spirito con cui parlava e la sua
ardentissima carità. 9 Tutti infine, inondati di santa consolazione,
venerarono nel servo di Dio Antonio il merito dell’umiltà unito al
dono della scienza.

Capitolo 9
DELLA SUA PREDICAZIONE IN ROMAGNA
E DELLA CONVERSIONE DEGLI ERETICI

1
620 Poiché, secondo la parola del Signore, «non può restare na-
scosta una città che sta sopra un monte» (Mt 5,14), non molto
tempo dopo, trasmessa al ministro la relazione di quanto era acca-
duto, Antonio fu obbligato a uscire in pubblico, interrotto il silen-
zio della solitudine. 2 Affidatogli, infatti, l’ufficio di predicatore,
l’amatore dell’eremo viene fatto uscire e quelle labbra, rimaste a
lungo chiuse, si aprono per annunciare la gloria di Dio.
3
Sostenuto dall’autorità di colui che lo inviava, si appassionò
talmente nell’assolvere il compito della predicazione che meritò (11)
con lo zelo dell’operare l’appellativo di evangelista. Percorreva cit-
tà e castelli, villaggi e campagne, spargendo a tutti il germe della
vita tanto abbondantemente quanto fervorosamente.
4
621 E mentre correva qua e là e, per le zelo delle anime, si negava
del tutto ogni riposo, avvenne che per disposizione divina giunse
alla città di Rimini. Qui, vedendo che molti erano ingannati dal-
l’errore dell’eresia, riunito subito il popolo dell’intera città, comin-
ciò a predicare con grande fervore di spirito; e lui, che non cono-
sceva le sottigliezze dei filosofi, confutò le capziose dottrine degli
eretici in modo più chiaro del sole (12).
5
Alla fine la parola della sua virtù e la dottrina salutare mise
radici cosı̀ profonde nel cuore degli uditori, che, eliminata la soz-
zura dell’errore, un numero notevole di credenti aderı̀ fedelmente
al Signore.
6
622 Tra questi il Signore ricondusse sulla via della verità, per mez-
zo del suo servo Antonio, un eresiarca di nome Bononillo, da tren-
t’anni trascinato dall’errore dell’incredulità. Costui, ricevuta la pe-
nitenza, obbedı̀ ai precetti della santa Chiesa romana, devoto fino
alla fine della sua vita.

(11) Letteralmente «compensò».


(12) Sull’impegno antiereticale, variamente attribuito dagli agiografi ad Antonio,
cf. le riflessioni di G.G. MERLO, La santità di Antonio e il problema degli eretici, in
‘‘Vite’’ e vita di Antonio di Padova, pp. 187-202, qui pp. 189-190.
250 Vite di Antonio di Padova

Capitolo 10
DELLA SUA FAMA E DELL’EFFICACIA
DELLA SUA PREDICAZIONE

Dopo questi avvenimenti, avendo il ministro dell’Ordine invia- 623


to il servo di Dio Antonio alla Curia per una questione urgente
della famiglia religiosa, in questa occasione gli fu donata dall’Altis-
simo una tale stima presso i venerabili principi della Chiesa che la
sua predicazione fu ascoltata con ardentissima devozione dal som-
mo pontefice e dall’intero collegio dei cardinali.
2
Traeva infatti dalle Scritture, con un parlare fluente, significati
cosı̀ originali e cosı̀ profondi che dallo stesso signor papa, come
per una speciale familiarità, fu chiamato «arca del Testamento».
3
«Il suo discorso», infatti, «con grazia, asperso di sale» (Col 4,6 624
Vg), conferiva agli uditori un’abbondante piacevolezza. 4 I più an-
ziani ammiravano questo uomo, appena in età virile, illetterato,
che sapeva adattare con sottigliezza «cose spirituali a cose spiritua-
li» (1Cor 2,13); restavano stupiti i più giovani nel vederlo sradicare
le cause e le occasioni di peccato, e seminare con saggezza costumi
virtuosi.
5
Infine, uomini di ogni condizione, classe sociale ed età si ral- 625
legrarono di aver ricevuto insegnamenti di vita adatti a loro. 6 Non
lo piegava certo alcun «riguardo di persone» (Rm 2,11); nessuna
fama di successo umano lo lusingava; al contrario, secondo la pa-
rola del profeta: «come un carro per trebbiare i grani, armato di
denti taglienti, pestò i monti, cosı̀ come ridusse in polvere le colli-
ne» (Is 41,15 Vg).

Capitolo 11
COME VENNE A PADOVA E IN CHE MANIERA VI PREDICÒ

1
Ma poiché sarebbe lungo raccontare quante province Antonio 626
abbia percorso, quante parti «della terra abbia riempito con il se-
me della parola di Dio» (Sap 1,7; Lc 8,11), volgiamo attenzione (13)
alle cose che incontestabilmente ricorrono di più e offrono le pro-
ve più evidenti delle sue virtù.
2
Al tempo del capitolo generale, dunque, quando le santissime 627
reliquie del beato padre Francesco furono trasferite nel luogo do-
ve riposano, con la dovuta venerazione, il servo di Dio Antonio,
liberato del governo dei fratelli, ricevette dal ministro generale il
permesso di predicare liberamente dappertutto.

(13) Letteralmente «portiamo mano» (manum convertimus).


Vita prima o ‘‘Assidua’’ 251

3
Di fatto, poiché in un’altra occasione, mentre preparava i ser-
moni domenicali per tutto l’anno, aveva dimorato nella città di Pa-
dova e, sperimentata la fede sincera dei cittadini, li aveva legati a sé
con un certo vincolo di affetto, attirato dalla loro ammirevole de-
vozione, decise di visitarli nel primo periodo della sua libertà.
4
628 Perciò, dopo che per volere divino giunse a Padova, per tutta
la durata dell’inverno applicò la sua mente a studi elevati alternan-
doli con la predicazione e, su richiesta del vescovo di Ostia (14), si
dedicò alla composizione dei sermoni per le Feste dei santi di tutto
il corso dell’anno.
5
Ma mentre il servo di Dio era preso da queste occupazioni
utili per il prossimo, il tempo della quaresima si avvicinava. Veden-
do allora sopraggiungere «il tempo favorevole e i giorni della sal-
vezza» (2Cor 6,2), desistette dal lavoro iniziato e si dedicò a predi-
care con tutto l’impegno del suo spirito al popolo desideroso di
ascoltarlo.
6
629 Cosı̀ grande ardore di predicare lo aveva infiammato che deci-
se di predicare per quaranta giorni di seguito. Cosa che egli fece
senza alcuna esitazione.
7
E fu cosa veramente sorprendente! perché, uomo gravato da
una certa qual corpulenza e per di più sofferente di continua infer-
mità, tuttavia per lo zelo infaticabile delle anime, era impegnato a
predicare, a insegnare e ad ascoltare le confessioni fino al tramon-
to del sole, molto spesso digiuno.

Capitolo 12
DELLA PERSECUZIONE DEL DEMONIO
E DEL MIRACOLO DELLA LUCE CHE GLI APPARVE

1
630 Però l’antico avversario, geloso della virtù, non cessa di oppor-
si alle opere di bene; volendo distogliere il servo di Dio Antonio
dal suo progetto di salvezza, si sforzava di provocarlo con illusioni
notturne.
2
Racconto un fatto non inventato, rivelato a un frate dallo stes-
so santo di Dio, ancora in vita.
631 Una notte, all’inizio del ministero quaresimale di cui abbiamo
parlato, mentre ristorava le membra affaticate con un sonno bene-
fico, ecco che il diavolo osò serrare la gola dell’uomo di Dio con
violenza e, stringendolo, tentò di soffocarlo. 3 Ma egli, invocato il
nome della Vergine gloriosa, tracciò sulla sua fronte il segno della

(14) Siamo nell’inverno 1230-1231. Il cardinale è Rinaldo di Jenne, protettore dei


Minori, poi papa Alessandro IV.
252 Vite di Antonio di Padova

croce vivifica, e messo in fuga il nemico del genere umano, imme-


diatamente si sentı̀ sollevato. 4 Ma, aperti gli occhi, cedendo al de-
siderio di riconoscere il fuggitivo, ecco che tutta la cella nella quale
dormiva era splendente, illuminata da una luce venuta dal cielo.
Crediamo senza alcun dubbio che quella luce era penetrata nella
cella per volere della potenza divina; non potendone sopportare
i raggi, «l’abitatore delle tenebre» (Ef 6,12), confuso, si era al-
lontanato.

Capitolo 13
DELLA DEVOZIONE DEI PADOVANI
E DEL FRUTTO DELLA SUA PREDICAZIONE

1
Ora, allorché il servo di Dio Antonio vedeva che «si apriva» 632
davanti a lui «la porta della parola» (Col 4,3) e che il popolo in
gran folla, «come una terra assetata di pioggia» (Gl 1,20 Vg), «ve-
niva a lui da ogni parte» (Mc 1,45), decise che si facessero delle
riunioni quotidiane nelle chiese della città. Ma poiché, per il gran
numero di uomini e di donne che si radunavano, gli spazi delle
chiese non erano affatto sufficienti a contenere tanta folla, col cre-
scere del numero si portò sugli ampi luoghi dei prati.
2
Venivano, infatti, dalle città, dai castelli e dalle borgate attorno 633
a Padova, folle pressoché innumerevoli di ambo i sessi, tutti asse-
tati, con somma devozione, della parola di vita, e decisi a fondare
la propria salvezza sul suo insegnamento con salda speranza. 3 In-
fatti, alzandosi nel cuor della notte, gareggiavano nel prevenirsi
l’un l’altro, e con lanterne accese si affrettavano, con grande fervo-
re, verso il luogo dove avrebbe predicato.
4
Avresti potuto vedere cavalieri e nobili dame accorrere nel
mezzo delle tenebre, e quelli che erano abituati a trascorrere una
non piccola parte del giorno, tenendo calde in morbide coperte le
membra rammollite nell’indolenza, aspettare vigili, senza alcuna
difficoltà, secondo quanto raccontano, la figura del predicatore.
5
C’erano vecchi, accorrevano giovani, uomini e donne insieme, 634
di ogni età e condizione; e tutti, senza metalli preziosi, vestivano,
per cosı̀ dire, un abito religioso.
6
Anche il venerando vescovo di Padova, con il suo clero, seguı̀
devotamente il servo di Dio Antonio mentre predicava e, «facen-
dosi modello del gregge» (1Pt 5,3), insegnò ad ascoltarlo, dando
esempio di umiltà.
7
E con cosı̀ grande desiderio nell’animo ognuno tendeva l’orec- 635
chio alle cose che venivano dette, che, anche se spesso trentamila
persone, come raccontano, ascoltavano il predicatore, non si udiva
nessun grido, nessun mormorio di tanta folla, ma tutti, come un
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 253

solo uomo, si trattenevano mentre parlava in un silenzio continuo,


con l’orecchio della mente e del cuore teso.
8
Anche i mercanti, o quelli che tenevano bottega di ogni genere
per la vendita delle merci, a causa del forte desiderio di ascoltarlo,
non esponevano ai passanti gli oggetti in vendita se non a predica
finita.
9
636 Le donne, poi, nel fervore della devozione, portatesi delle for-
bici, tagliavano la sua tonaca a guisa di reliquie, e si stimava fortu-
nato colui che «poteva toccare almeno il lembo del suo mantello»
(Mt 14,36).
10
E neppure si sarebbe potuto difendere dalla ressa degli uomi-
ni che lo assediavano, se non circondato da un gran numero di
giovani forti, o cercando con attenzione una breccia per fuggire,
o aspettando lui stesso il momento opportuno, una volta che la
folla alla fine si era ritirata.
11
637 Riconduceva a pace fraterna persone in discordia; ridava la
libertà ai prigionieri; faceva restituire le usure e quanto era stato
rapito con violenza, a tal punto che, ipotecati «case e campi, de-
ponevano il prezzo ai suoi piedi» (At 4,34-35) e seguendo il suo
consiglio restituivano ai derubati quanto era stato tolto o con una
richiesta o con denaro.
12
Vietava alle prostitute un’infamante condotta scandalosa, e
tratteneva ladri, famosi per i loro misfatti, dal contatto illecito
con i beni altrui. In questo modo, portando felicemente a compi-
mento il periodo dei quaranta giorni, raccolse, sollecito, una messe
gradita al Signore.
13
638 Né credo sia da passare sotto silenzio il fatto che inviava a
confessare i peccati una moltitudine cosı̀ grande di ambo i sessi
che né i frati né gli altri sacerdoti, di cui un folto numero lo segui-
va, erano sufficienti ad ascoltare le confessioni.
14
Dicevano anche coloro che andavano a confessarsi che, am-
moniti da una visione divina e inviati ad Antonio, avevano ricevuto
l’ordine di obbedire in tutto ai suoi consigli.
15
Alcuni poi, dopo la sua morte, intrattenendosi più privata-
mente con i frati, dichiararono che lo stesso beato Antonio era
loro apparso durante il sonno e aveva loro indicato i nomi dei frati
ai quali li indirizzava.

Capitolo 14
COME PREDISSE LA SUA MORTE

1
639 Il glorioso confessore del Signore, Antonio, conobbe molto
prima il giorno del suo trapasso, tuttavia per non rattristare affatto
254 Vite di Antonio di Padova

i fratelli, nascondeva con prudente dissimulazione la sua morte


imminente.
2
Infatti circa quindici giorni prima che egli pagasse il debito
della carne, avendo ammirato, fermatosi su un colle, la ridente pia-
nura di Padova, esultando nell’animo, esaltava con lodi meravi-
gliose la posizione della città.
3
Rivoltosi infine al fratello compagno di viaggio, predisse che in 640
un tempo prossimo avrebbe dovuto essere glorificata con grande
onore. Ma quale fosse questo onore e da chi le sarebbe stato con-
ferito, non lo precisò minimamente.
4
In verità, noi crediamo che questo onore della città di Padova
non fossero altro che i meriti della sua santità, grazie ai quali pre-
sto avrebbe acquistato lustro; e per i quali la vediamo glorificata
con una fama tanto mirabile quanto eccezionale.

Capitolo 15
DELLA CELLA CHE SI FECE COSTRUIRE SUL NOCE

1
Ora avvenne che, mentre accadevano queste cose, si avvicina- 641
va il tempo della mietitura. 2 Vedendo «il servo fidato e prudente»
del Signore (Mt 24,45) che urgeva per il popolo il tempo della rac-
colta della messe, pensò di dover interrompere la predicazione fi-
no al momento favorerole per il sermone. Congedate dunque le
folle dei secolari, andò alla ricerca di luoghi propizi al silenzio, e
si recò, per amore della tranquilla solitudine, nel luogo denomina-
to Campo di San Pietro (Camposampiero).
3
Molto lieto del suo arrivo, un nobile di nome Tiso (15) manife- 642
stò, devoto, premurose espressioni di cortesia verso l’uomo di
Dio Antonio. Lo stesso nobile possedeva la proprietà del luogo
dei frati.
4
Il sudetto signore possedeva anche, non lontano dalla casa dei
frati, un terreno piantato ad alberi dove, insieme alle piante del
bosco, era cresciuto un noce di grande altezza (nux quedam proce-
re dispositionis), dal fusto del quale, sei ramificazioni, protese ver-
so l’alto, formavano una certa qual corona di rami.
5
Avendone un giorno ammirato la straordinaria bellezza, l’uo-
mo di Dio, subito, per ispirazione dello Spirito, decise che vi fosse
costruita sopra una cella per lui, tanto più che il luogo offriva il
vantaggio della solitudine e una pace propizia alla contemplazione.
6
Quando la cosa fu resa nota per mezzo dei frati al nobiluomo, 643
questi, riuniti in quadrato e di traverso ai rami i tronchi, preparò

(15) Il conte Tiso VI da Camposampiero.


Vita prima o ‘‘Assidua’’ 255

con le proprie mani una cella di stuoie. Fece pure due celle di
struttura del tutto simile per i suoi due compagni, preparando
quella superiore con maggior cura per il santo, e disponendo le
altre, sia pure con minor cura, a piacere dei frati.
7
Conducendo in questa cella una vita celeste, il servo di Dio
Antonio, come un’ape operosa, si dedicava all’occupazione della
sacra contemplazione.
8
Questa alla fine fu la sua ultima dimora tra i mortali; in questa
mostrò al momento dell’ascensione di avvicinarsi al cielo.

Termina la prima parte

Comincia la seconda parte

Capitolo 16
PROLOGO
1
644 Nella parte precedente della nostra trattazione, che per grazia
e virtù dell’Altissimo abbiamo condotto a termine, abbiamo de-
scritto con umile devozione, previa però la verità, la vita e le opere
del beatissimo padre e fratello nostro Antonio.
2
In questa seconda parte abbiamo creduto bene di dover inse-
rire i fatti straordinari che il Dio della gloria si è degnato di opera-
re intorno a lui e tramite lui, dal giorno della sua morte e in segui-
to, che ci sono stati riferiti dal racconto di uomini degni di fede.
3
645 Ma poiché non abbiamo potuto venire a conoscenza di tutto e
per non offrire ai lettori una lettura noiosa, di fronte a un mare di
miracoli, ci siamo proposti di sottolineare solamente quei fatti che
ricorrono di più, cosı̀ che la devozione dei fedeli abbia motivo di
impegnarsi in lodi divine, e coloro che desiderano dirne di più, per
l’edificazione della fede, possano sempre trovare di che aggiungere.

Capitolo 17
DELLA SUA MORTE

1
646 Esattamente, l’anno milleduecentotrentuno dell’incarnazione
del Signore, indizione quarta, il giorno tredici del mese di giugno,
sesto della settimana, il beatissimo padre e fratello nostro Antonio,
ispano di nascita, nella città di Padova, nella quale per suo tramite
l’Altissimo Signore «ha magnificato il suo nome» (Sal 137,2), pres-
so la cella, nel luogo dei fratelli, «giunto al termine comune di tutti
256 Vite di Antonio di Padova

gli uomini» (1Re 2,2 Vg), passò felicemente alle dimore degli spi-
riti celesti.
2
Egli dunque, a un certo momento, dopo aver lasciato le folle 647
delle moltitudini che accorrevano a lui da ogni parte per ascoltarlo
e vederlo, si era ritirato dalla città di Padova a Camposampiero in
cerca di pace, incominciò a dedicarsi solo a Dio, desideroso «di
asciugare con le lacrime» della devozione «e i capelli» della santa
meditazione, «la polvere che in qualche modo gli si fosse attacca-
ta» (Lc 7,38; 10,11 Vg), come suole accadere, dalla vita comune
con i secolari.
3
Sceso un giorno dalla cella che aveva fatto costruire sul noce, 648
al suono della campana dell’ora di pranzo, si mise a tavola con gli
altri frati, come di consueto. 4 Ma «la mano del Signore si posò
sopra di lui» (Ez 1,3) e improvvisamente cominciò a sentirsi ab-
bandonato dalle forze di tutto il corpo. E poiché il malore andava
a poco a poco crescendo, sostenuto dai fratelli, si alzò da tavola, e
non riuscendo a sostenere le membra sfinite si accasciò, cadendo
sulla copertura di un lettuccio.
5
Sentendo allora il servo di Dio Antonio la fine imminente del 649
suo corpo, chiamato accanto a sé uno dei suoi frati e compagni, di
nome Ruggero, gli disse: «Se vuoi, fratello, togliere il peso a questi
frati, vorrei andare a Padova alla dimora di Santa Maria».
6
Essendo convinto il frate, attaccato un carro, vi adagia sopra il
padre santo, mentre i frati del luogo si opponevano il più possibile
perché non fosse portato in altro luogo. 7 Quando tuttavia capiro-
no che era volontà del beatissimo Antonio, pur contro voglia ce-
dettero.
8
Già nelle vicinanze della città, gli corse incontro frate Vinoto 650
che si recava a far visita all’uomo di Dio. Vedendolo affetto da
grave infermità, cominciò a pregarlo di deviare verso la Cella, alla
casa dei frati (16). Vi erano infatti colà dei frati che dimoravano
presso il monastero delle Povere signore per prestare loro il servi-
zio divino, secondo la consuetudine dell’Ordine. 9 Aggiungeva in-
fatti il suddetto frate che ci sarebbero grande agitazione e non pic-
colo scompiglio nella dimora dei frati, soprattutto perché, una vol-
ta entrati in città, si sarebbero esposti all’accorrere inopportuno
dei secolari.
10
Sentendo queste ragioni, il servo di Dio Antonio acconsentı̀
alle preghiere del supplicante, e seguendo i suoi desideri, deviò
verso la Cella.

(16) Il monastero delle Clarisse (o Povere signore), al quale prestavano servizio


quattro frati, secondo la Regola, fu fondato durante la prima metà del 1226. Era
situato presso il borgo di Codalunga, più a nord dell’attuale convento-santuario del-
l’Arcella.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 257

11
651 Quando il servo di Dio vi fu sistemato con i frati, «la mano di
Dio si fece sentire gravemente su di lui» (Gdc 2,15) e crescendo
con più violenza la malattia, dava segni di grande ansietà. Riposa-
tosi per un po’ di tempo, fatta la confessione e ricevuta l’assoluzio-
ne, incominciò a cantare l’inno della Vergine gloriosa dicendo: O
gloriosa Signora, ecc.
12
Terminato l’inno, alzati subito gli occhi al cielo e con sguardo
estatico guardava lungamente davanti a sé. Avendogli il frate che lo
sosteneva chiesto che cosa vedesse, rispose: «Vedo il mio Signore».
13
652 Poi, accorgendosi i frati presenti che si avvicinava la sua felice
morte, decisero di ungere il santo di Dio con l’olio della sacra un-
zione.
14
Quando un fratello, portando, come si suole, la sacra unzio-
ne, giunse verso di lui, il beato Antonio guardandolo fisso gli disse:
«Non è necessario, fratello, che tu mi faccia questo; ho infatti già
questa unzione dentro di me. Ciononostante, è una cosa buona per
me e mi è gradita».
15
653 Stese le mani e congiunte le palme, cantando con i fratelli i
salmi penitenziali, li recitò fino alla fine; e dopo essere rimasto cosı̀
per circa mezz’ora, quella santissima anima, liberata dalla prigione
della carne, fu assorbita nell’abisso della luce.
16
Il corpo mostrava in tutto l’apparenza di uno che dorme. An-
che le sue mani, diventate bianche, superavano in bellezza il colore
di prima. Inoltre le altre membra del corpo si offrivano flessibili
alla volontà di chi le toccava.
17
654 O veramente santo servo dell’Altissimo, che meritò allo stesso
tempo di vivere e di vedere il Signore. O anima santissima, che,
anche se non fu strappata dalla crudeltà di un persecutore, fu infi-
nite volte trafitta dal desiderio del martirio e dalla spada della sof-
ferenza.
18
Ti preghiamo dunque, o padre degno, accogli benigno quelli
che ti onorano con i sacrifici della devozione, e resta vicino suppli-
cando per noi, a cui non è ancora permesso di accedere al volto di
Dio. Amen.

Capitolo 18
DELLE GRIDA DEI FANCIULLI .
DELL’ACCORRERE E DEL PIANTO DEL POPOLO
1
655 Ora, mentre i frati tenevano nascosto il suo beato transito agli
estranei con la massima diligenza, e, con molta circospezione, agli
amici e ai conoscenti, per non essere oppressi dall’assalto di folle
258 Vite di Antonio di Padova

numerose, i fanciulli, percorrendo a gruppi la città gridavano di-


cendo: «È morto il padre santo! È morto Antonio, il santo!».
2
Udendo questo, le folle, in masse compatte, corrono alla Cella
e del tutto dimentiche del loro mestiere, grazie al quale avrebbero
dovuto procurarsi il vitto, circondano come api la dimora dei frati.
3
Primi fra tutti, senza dubbio, i cittadini che abitano Capodi- 656
ponte accorrono rapidamente in gran moltitudine con numerosi
giovani forti, e subito mettono, tutto intorno, delle guardie armate.
4
Sono presenti membri di ordini religiosi; accorre una folla sen-
za distinzione di sesso, «insieme giovani e ragazze, vecchi insieme
ai più giovan» (Sal 148,12), il piccolo e il grande, il libero e lo
schiavo. 5 Tutti a una sola voce e nell’unanime amarezza del cuore,
alzano un lamento ed esprimono in lacrime con pianti ripetuti il
pio affetto del loro animo.
6
«Dove, dicono, te ne vai, o padre, senza ritorno? ‘‘Padre’’, di- 657
co, di Padova, ‘‘suo carro e suo cocchiere’’? (2Re 2,2 Vg) Dove ti
allontani, o venerando padre, senza i tuoi figli? O quale altro vero
predicatore della parola di Dio troveremo, noi orfani, simile a te?
‘‘in Cristo Gesù’’, infatti, ‘‘ci hai generato, mediante il Vangelo’’
(1Cor 4,15)».
7
Cosı̀, proprio cosı̀, il dolore comune di tutti e la tristezza di
ciascuno invitavano l’animo di chi li vedeva al lamento e al lutto,
con rinnovati sospiri e grida alzate verso il cielo.

Capitolo 19
DEL COMPIANTO DELLE POVERE SIGNORE
E COME SI IMPEGNARONO PER AVERE IL CORPO DEL SANTO

1
O come fu grande il lutto di tutti; quanto forti in particolare i 658
lamenti delle Povere signore. Queste, in quanto di animo femmi-
nile, in nessun modo erano in grado di dominare il pianto, ma
gemendo dal profondo del cuore, piangevano di un pianto incon-
solabile.
2
«Povere noi, ripetevano, o padre tanto benigno! Perché, ora
che ci sei stato tolto irrevocabilmente, la ‘‘morte, madre di amarez-
za’’ (Sir 41,1), ci ha risparmiate ancora, per straziarci più crudel-
mente? 3‘‘Noi ci contentavamo della nostra povertà cosı̀ da consi-
derare ricchezza’’ (Tb 5,25 Vg) il poter almeno udire, per quanto
era possibile, colui che predica ad altri ‘‘la parola di vita’’ (Fil 2,16),
lui che non abbiamo meritato di vedere con gli occhi della carne».
4
Ma mentre prorompevano, con voci lamentevoli, in queste e 659
altre cose, ci fu chi disse: «Ma perché gettiamo al vento tante la-
crime e tanti sospiri pieni di singhiozzi? O perché accompagniamo
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 259

con il lutto, come se fosse uno dei morti, colui che, forte dell’im-
mortalità, gli angeli suoi concittadini si godono nei cieli? 5 Resta un
solo rimedio a questa penosa separazione: colui al quale da vivo è
stato impedito di mostrare a noi la sua presenza fisica, resti con noi
almeno da morto».
6
660 «Ma, soggiunsero, come è possibile questo? Non crediamo in-
fatti che i frati che dimorano nella parte meridionale della città
tollerino che il santissimo corpo del beato Antonio rimanga con
noi, a meno che, indotti dalle suppliche dei maggiorenti, non ri-
nuncino, con un gesto di misericordia, al loro diritto. 7 Mandiamo
dunque alcuni a sollecitare con la richiesta da parte nostra i mag-
giorenti della città, i religiosi e i nobili secolari potenti, affinché,
apparentemente senza di noi, tutti insieme si adoperino in nostro
favore per avere in modo pacifico dai fratelli quanto devotamente
chiediamo».
8
Anche questo fu fatto. Ma perché dilungarci? Tutti, con un
consenso unanime e spontaneo, acconsentono ai desideri delle an-
celle di Cristo e promettono, senza fare opposizione, di portare
loro aiuto.

Capitolo 20
IN CHE MODO I CITTADINI DI CAPODIPONTE SI OPPOSERO AI FRATI,
DECISI A TRASPORTARE IL SUO CORPO ALLA LORO DIMORA

1
661 Venuti dunque alla Cella, i frati che dimorano presso la chiesa
della Santa Madre di Dio, si proponevano di trasportare il sacra-
tissimo corpo del beato Antonio al loro luogo.
2
Ritenevano infatti che sarebbe stata cosa troppo ingiusta e di-
sgrazia intollerabile essere privati di un cosı̀ grande tesoro, soprat-
tutto perché lo stesso santo, quando era vivo, tra tutti i luoghi di
quella provincia, si era affezionato a questo con maggior amore. E
il suo attaccamento a quel luogo era talmente vivo, che, quando si
sentı̀ prossimo alla fine, ordinò per obbedienza al frate che lo assi-
steva di adoperarsi con ogni mezzo perché il suo corpo fosse tra-
sportato alla chiesa della Santa Madre di Dio (17).
3
Resisi conto di questo, i cittadini di Capodiponte si opposero
all’unanimità ai frati a viso aperto e, affinché non fosse messo in
nessun modo a esecuzione quanto avevano deciso, aumentati i
gruppi di gente armata, fecero custodire la casa religiosa giorno e
notte.

(17) È la chiesetta suburbana di Santa Maria Mater Domini a sud-est di Padova.


260 Vite di Antonio di Padova

4
Non sapendo allora i frati che cosa bisognava fare, si appella- 662
rono in tutta fretta al vescovo della città (18) e riversarono tutta la
loro preoccupazione su di lui, padre di loro orfani. 5 Questi [il ve-
scovo], convocati i frati e il collegio dei suoi canonici, espose dili-
gentemente il motivo della venuta dei frati e, a modo di consulta-
zione, chiese il parere di ognuno.
6
Alcuni di essi però, già preceduti dalle richieste delle Povere
signore, ritenevano che non bisognava per niente attenersi alla ri-
chiesta dei frati; anzi, esponendo pubblicamente le loro ragioni, le
facevano valere ostinatamente in favore delle Povere signore.
7
Non meno di loro, però, i frati sapevano esporre gli argomenti 663
a favore della loro causa e, adducendo le condizioni imposte dalla
persona [del defunto] e dal fatto, si sforzarono, con serie ragioni in
loro favore, di essere convincenti. 8 Il vescovo, allora, ritenendo
ragionevole la richiesta dei frati, acconsentı̀ in tutto ai loro desideri
e ordinò al podestà della città di aiutarli.

Capitolo 21
DELLA DEVOZIONE DEL POPOLO
E DEL MIRACOLO VENUTO DAL CIELO

1
Nel frattempo, mentre si trattavano queste cose, la fazione di 664
Capodiponte si infiamma con maggior veemenza per conservare il
corpo del beato Antonio e, opponendosi al podestà, il loro animo
si ostina con più forza contro il divieto. 2 Vengono riuniti gli anzia-
ni e tutti quelli nei quali si poteva riporre qualche speranza di con-
siglio e, per dare loro aiuto, sono convocati amici da tutta la città.
3
Finalmente, tutti sono d’accordo sul giurare di mettere a ri-
schio persone, possedimenti e quanto avevano, piuttosto di per-
mettere che il corpo del beatissimo Antonio venisse spostato (19)
proprio da quel luogo.
4
Ed è certamente straordinario ciò che racconto. Lo zelo e il 665
fervore della devozione aveva stretto talmente insieme le volontà
di tutti che, pur essendo alcuni di loro in disaccordo da vecchia
data per odio inveterato e guerra intestina, dimenticando, come
sembrava, le vecchie inimicizie, furono unanimemente d’accordo
nel voler trattenere il corpo del beato Antonio.
5
E nel timore che, per l’astuzia fraudolenta di qualcuno potes-
sero essere frustrati nella loro speranza, riuniti a consiglio, decise-
ro di trafugare il corpo.

(18) Giacomo di Corrado, già arciprete della cattedrale, vescovo di Padova dal
1229 al 1239.
(19) Letteralmente «mutato» (permutari).
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 261

6
666 Di fatto, poiché non era presente il ministro provinciale, alla
decisione del quale era sospesa la causa dei frati, questi, chiamati
in disparte i loro anziani, cominciarono a supplicarli di desistere
dal loro progetto, aspettando ancora per poco il suo arrivo, e che
tutto restasse allo stato attuale fino alla sua decisione. 7 La proposta
piacque; di fatto, l’opinione comune di tutti i cittadini sosteneva
queste stesse idee.
8
667 All’avvicinarsi della notte dunque, fatte uscire le folle, i frati
chiudono le porte delle case e, affinché per qualche pretesto non
vengano sfondate dall’irruzione delle folle, rinforzano le chiusure
con sbarre e catenacci.
9
Sulla mezzanotte però, mentre ancora i custodi facevano la
guardia, una folla prepotente di popolo, accesa dal desiderio di
vedere il corpo, facendo forza irruppe nella casa dove riposava il
sacro corpo e spezzò senza ritegno tutti gli sbarramenti insieme
con le porte. 10 Ma sebbene, ripetendo la stessa cosa per la terza
volta nell’impeto dell’audacia (impetu spiritus), avessero sfidato i
frati – cosa mirabile a dirsi – neppure una volta, con sforzo, furono
capaci di entrare in casa; al contrario, come confessarono in segui-
to con la propria bocca, nonostante che le porte fossero aperte, si
arrestavano ammutoliti e, mentre la casa era piena di luce, non
vedevano l’entrata e giravano intorno ammaliati dallo splendore
11
668 L’indomani, gruppi di fedeli arrivano dalla città, dalle campa-
gne e dai castelli per vedere il corpo del beatissimo Antonio, e
colui che poteva in qualche modo toccarlo anche una sola volta,
si stimava veramente felice.
12
Quelli poi che a causa della folla non riuscivano ad avvicinar-
si, lanciavano qua e là, attraverso finestre e porte, cinture e cin-
ghie, anelli e monili, chiavi e altri ornamenti. Altri, inoltre, appen-
dendoli a bastoni li stendevano per spingerli avanti, per poi ripren-
derli santificati dal contatto del sacratissimo corpo.

Capitolo 22
DELL’AGITAZIONE DELLA GENTE
E DELL’ARRIVO DEL MINISTRO

1
669 Tardando a venire il ministro, poiché era estate, tempo sfavo-
revole ai corpi in attesa di sepoltura, i frati lo rinchiudono in fretta
in una cassa di legno, come fu loro possibile, agitati com’erano e,
scavata un po’ la terra, in attesa, vi calano la cassa. 2 Ma appena fu
fatto questo, subito si udı̀ la voce di uno che diceva: «Il corpo è
stato portato via!».
262 Vite di Antonio di Padova

3
All’udire ciò, le folle, scoppiate subito in rivolta, fanno irruzio- 670
ne nella casa dei frati con spade e bastoni e, gettati violentemente a
terra recinti e porte, accorrono compatte verso il luogo ove giaceva
il sacro corpo. Né desistono dal loro progetto – che dire: per furo-
re o piuttosto per fervore d’animo? – fino a che, scavando la terra,
non trovano la cassa nella quale era nascosto quel prezioso tesoro.
4
Una volta trovata la perla preziosa, ancora non credono ai frati
che assicuravano che il corpo era dentro l’arca, anzi, colpendola
dall’alto con un palo, si garantiscono la certezza [della sua presen-
za] dal suono sordo della cassa.
5
Finalmente, la sera del sabato, arriva il ministro provinciale, e 671
l’intera città era in trepida attesa del suo ritorno (20). 6 Quando lo
videro, i cittadini che abitano di Capodiponte, radunata un’assem-
blea, chiesero subito con insistenza il corpo del beato Antonio; a
sostegno della loro causa, adducevano ragioni sofisticate, e, per-
ché i frati cedessero al timore, alle loro ragioni aggiungevano le
minacce.
7
Per ultimo, presentarono pubblicamente un documento nel
quale avevano sottoscritto il loro impegno, dichiarando davanti a
tutti che non avrebbero ceduto né alle armi, né alle spade, e nep-
pure alla morte in difesa della loro causa; né, in alcun modo,
avrebbero rinunciato, fin che erano in vita, al loro patto.
8
A questo, il ministro rispose: «Per il diritto, carissimi, voi non 672
potete reclamare niente di quello che vi sforzate di esporre con
dichiarazioni; ma se il nostro discorso tenesse conto della vostra
pietà, potremmo, sentito il parere dei nostri fratelli, mettere in atto
ciò che il Signore ci ispirerà. 9 Tuttavia, per il bene della pace, e
perché non temiate con cattivo sospetto che io vi abbia parlato
con inganno, concedo che fino a quando, a proposito di quanto
avete chiesto, non avremo stabilito altrimenti dopo averne discus-
so con i frati, facciate custodire voi stessi il luogo ove riposa il
corpo del beato Antonio».

Capitolo 23
DELLA SENTENZA EMESSA IN FAVORE DEI FRATI
E DELLA ROTTURA DEL PONTE

1
Passato il terzo giorno, vedendo il ministro che sarebbe stato 673
difficile per lui resistere da solo alla volontà di tante e siffatte per-
sone, soprattutto perché la causa riguardava molta gente, si recò

(20) Ad cuius [ministri] reditum tota civitas suspensa pendebat.


Vita prima o ‘‘Assidua’’ 263

dal podestà della città e, convocato il consiglio del comune, chiese


loro, umilmente, a un tempo consiglio e aiuto.
2
Il podestà, secondo il volere comune di tutti, ordinò che fosse
custodito il luogo dove giaceva il sacro corpo e proibı̀, sotto pena
di cento libbre, che si facesse violenza ai fratelli né portassero armi
intorno a quel luogo, fino a quando non si fosse certi di ciò che di
diritto dal vescovo e dal clero della città, ai quali la questione era
di competenza, sarebbe stato stabilito.
3
674 Il quarto giorno dopo la morte del beato Antonio, dunque, il
vescovo, convocato il clero della città, tenne con loro consiglio e
cominciò a discutere con lealtà e sincerità sul modo di mantenere
la pace dei cittadini e di salvaguardare il diritto dei frati.
4
Chiesto infine il parere degli anziani e dei saggi secondo l’or-
dine di precedenza, diede inizio alla ricognizione della causa in
corso; ma come abbiamo già detto prima, trovò i loro maggiorenti,
anticipati dalle preghiere della Povere signore, e favorevoli al loro
partito.
5
675 Allora il ministro, alzatosi in mezzo i frateli e facendo con la
mano segno di tacere, disse: «Non fanno giusta stima della giusti-
zia e della misericordia coloro che, fatta salva la pace dei maggio-
renti e soppesato l’uno e l’altro aspetto della decisione, attribuisco-
no tutto al sentimento e nulla alla ragione. Dichiaro francamente:
‘‘hanno’’, sı̀, ‘‘lo zelo di Dio, ma non secondo la vera conoscenza’’
(Rm 10,2 Vg).
6
Antonio è stato veramente un fratello della nostra famiglia re-
ligiosa e sotto i loro occhi, se non vogliono nasconderlo, è vissuto
con noi. Perciò anche noi chiediamo che ci sia affidato lui che,
mentre era ancora vivo, ne siamo certi, aveva scelto come sepoltu-
ra la chiesa della Santa Madre di Dio a preferenza di ogni altro.
7
Che se per caso obiettate che lui non poteva scegliere la sepoltura
per il fatto che aveva legato la sua volontà con il vincolo dell’obbe-
dienza salvifica: a chi, diciamo, giudicate che sia riservata questa
facoltà e la libertà di scelta se non al suo superiore? 8 Perciò anche
noi che, benché indegni, esercitiamo l’ufficio di superiore, doman-
diamo supplichevolmente che ci sia dato ciò che ci spetta in base al
diritto e l’evidente ragione.
9
676 Il vescovo, udite le ragioni degli uni e degli altri, stabilı̀ con
sentenza definitiva che a partire da quel momento tutto fosse fatto
secondo la volontà del ministro e che fosse sottomesso al suo arbi-
trio, per impugnarlo o per confermarlo, quanto avrebbero detto o
fatto. 10 E ordinò allo stesso clero che il giorno seguente, cioè il
quinto dopo la morte del beato Antonio, si parassero come di con-
sueto e, in ordinate processioni, si radunassero di buon mattino
alla Cella.
264 Vite di Antonio di Padova

11
Cionondimeno incaricò di nuovo il podestà della città di di-
sporre un aiuto per i frati e, organizzati i gruppi dei cittadini, di
trovarsi alla Cella all’ora stabilita per trasportare il corpo del beato
Antonio.
12
Il podestà, accogliendo di buon cuore l’incarico, acconsentı̀ e 677
ordinò che fosse allestito al più presto un ponte di barche e di
tronchi d’albero attraverso il fiume che gira intorno alla Cella. Te-
meva infatti che se la processione fosse passata attraverso Capodi-
ponte, lo sdegno avrebbe suscitato una rivolta tra la popolazione
del luogo.
13
Quando ciò fu approntato, la popolazione devota di Capodi-
ponte, fervente in spirito, ma infuriata e indignata a causa della
costruzione del ponte, accorre sul posto con scuri e spade e taglia
il ponte con sfrontata temerità. 14 Ivi avresti potuto vedere real-
mente «dolori come di una donna che partorisce», con «respira-
zione affannosa» (Sal 47,6-7 Vg), navi «essere spezzate da accette»
nell’acqua, «come in una foresta di alberi» (Sal 73,5-6).
15
Perché dilungarsi? Tutta la città si solleva, soprattutto perché 678
il misfatto tornava a offesa comune di tutti.
16
Mentre però quelli ancora urlavano, corse voce che i cittadini
cha abitavano la parte meridionale della città si avvicinavano a ma-
no armata. 17 Ciò udendo, i cittadini di Capodiponte, disposti di
fronte cunei di combattenti, si tenevano pronti alla battaglia, nel
caso in cui gli altri giungessero vicino alle loro abitazioni o traspor-
tassero il corpo del beato Antonio in un altro luogo.

Capitolo 24
DEL PIANTO DEI FRATI E DEL TRASPORTO DEL BEATO ANTONIO
1
Vedendo allora i fratelli avvicinarsi la rovina completa della 679
città, furono profondamente turbati, e piangendo con un dolore
misto a compassione dicevano: 2 «Noi miseri! per colpa dei quali
è nata questa tempesta, e per avere dato l’occasione che tutta la
città, ‘‘se il Signore non la custodirà’’ (Sal 126,1), venisse quasi di-
strutta. 3 A che serve a noi vivere più a lungo, se avverrà la morte di
tante migliaia di uomini per difendere la nostra causa? 4 ‘‘Esaudisci,
o Signore. Placati, o Signore, guarda e fa’’’ (Dn 9,19 Vg). ‘‘Perché
nascondi la tua faccia’’ (Sal 43,24), e dimenticandoti per sempre di
questa nostra tribolazione (Sal 73,19 Vg), non hai compassione?
5
‘‘Abbiamo sostenuto la pace, e non’’ è venuta; abbiamo cercato il
bene, ‘‘ed eccoci tutti sconvolti’’ (Ger 14,19). 6 Per amore di te stes-
so, nostro Dio, ascolta ed esaudisci la tua eredità; non sterminare
questa città».
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 265

7
680 Allo stesso modo, anche le venerabili ancelle di Cristo, all’udi-
re quello che stava accadendo, alzavano gemiti e imputando a se
stesse quello che era accaduto, chiedevano con rinnovate suppli-
che e abbondanti lacrime che venisse portato via il corpo santo che
con ogni supplica avevano chiesto fosse loro lasciato.
8
Infine persone di ogni sesso, età e condizione attendevano col
cuore sospeso la misericordia di Dio.
9
681 Ma colui, che «non dimentica di aver pietà» (Sal 76,10), Dio,
«divenne soccorritore al tempo opportuno» (Sal 9,10). Egli, infatti,
che non fallisce nella distribuzione della sua provvidenza, aveva
permesso per sua maggior gloria che le genti fossero turbate per
un po’ di tempo, cosı̀ da portare a termine in modo più mirabile
ciò che egli stesso aveva deciso di fare. 10 Infatti nella vita pubblica,
lui che è eternamente buono, non permetterebbe che ci fosse il
male, se allo stesso tempo non conoscesse quale vantaggio far sca-
turire per le necessità dei buoni.
11
Anche il podestà della città, non potendo tollerare la sedizio-
ne del popolo, per voce del banditore, fece radunare l’insieme dei
cittadini al palazzo comunale e, adunato il consilio, tenendo sepa-
rata la parte che aveva infranto il ponte, nella parte meridionale
della città, proibı̀ con decreto, sotto la minaccia del giuramento e
ponendo a rischio tutti i loro beni, che tornassero durante quel
giorno alle proprie case.
12
682 Dopo questi eventi, il vescovo della città con tutto il clero, ma
anche il podestà con un folto numero di cittadini, si radunano alla
Cella e, composto il corteo, trasportano il corpo del beatissimo
Antonio con inni e lodi e cantici spirituali, attraverso Capodiponte
fino alla chiesa della Santa Madre di Dio, tra l’esultanza straordi-
naria di tutti.
13
Anche i capi del popolo e i maggiorenti di tutta la città sotto-
pongono le spalle per portare il peso, e si stimano fortunati coloro
che arrivano a toccare anche solo leggermente la cassa.
14
683 Infine l’affluenza del popolo fu cosı̀ imponente che a causa
del gran numero non riuscivano ad avanzare insieme in mezzo alla
città, ché anzi girando «per le piazze, le strade e i suoi dintorni»
(Ct 3,2), correndo rapidamente, precedevano la processione.
15
Tutti poi portavano in mano, accesi, quanti ceri potevano ave-
re. La quantità di lumi era cosı̀ grande che tutta la città sembrava
ardere, in preda alle fiamme.
16
684 E quando, finita la processione, si fu giunti alla chiesa della
Santa Madre di Dio, il vescovo, celebrata solennemente la messa,
seppellı̀ con onore il corpo del beato Antonio e, compiute le ese-
quie dovute a ogni uomo, ritornò tra l’esultanza di tutti alla pro-
pria dimora.
266 Vite di Antonio di Padova

Capitolo 25
DEI MIRACOLI IN GENERALE MANIFESTATISI
IN QUELLO STESSO GIORNO

1
Subito, quello stesso giorno, furono portati moltissimi, afflitti 685
da varie infermità, i quali, all’istante, per i meriti del beato Anto-
nio, furono restituiti allo stato di salute precedente. 2 Qualunque
malato, infatti, appena aveva toccato l’arca, all’istante, deposto a
terra, si rallegrava nel sentirsi del tutto liberato dalla malattia.
3
Coloro invece che, a causa del gran numero di malati che
affluivano, non potevano sostare davanti all’arca, portati fuori
della porta della chiesa, sotto gli occhi di tutti, erano guariti sulla
piazza.
4
Ivi, veramente, «gli occhi dei ciechi si aprirono»; ivi «gli orec- 686
chi dei sordi si schiusero». Ivi, «lo zoppo saltò come un cervo»; ivi
«la lingua del muto» (Is 35,5-6), sciolta, proclamò rapidamente e
con chiarezza le lodi di Dio. 5 Ivi, le membra indebolite dalla pa-
ralisi, si irrobustiscono riprendendo gli usi di prima; ivi, la gobba,
la gotta, la febbre e le varie virulenze di malattie sono messe in
fuga straordinariamente. 6 Ivi, infine, sono concessi ai fedeli ogni
sorta di benefici desiderati; ivi, uomini e donne, venuti dalle diver-
se parti del mondo, ottengono il risultato di salvezza della loro
richiesta.

Capitolo 26
DELLE PROCESSIONI
E DELLA DEVOZIONE DEL POPOLO

1
Con il risplendere della luce fulgidissima dei miracoli, la devo- 687
zione dei fedeli è ravvivata e, quando Dio «edifica una nuova Ge-
rusalemme», si rappresenta il «raduno d’Israele disperso» (Sal
146,2; Ap 21,2). 2 In effetti, da oriente e da occidente, da meridio-
ne e da settentrione, i popoli convergono in processioni ordinate e,
vedendo le meraviglie che si compiono sotto i loro occhi per i me-
riti del beato Antonio, esaltano con il dovuto onore i meriti della
sua santità.
3
Tra coloro che, come abbiamo detto, in processioni ordinate, 688
rendevano devotamente l’omaggio della lode al Signore e al suo
servo, il beato Antonio, vennero fra i primi i cittadini di Capodi-
ponte, quelli che avevano anche rotto il ponte con accanita animo-
sità perché non fosse loro tolto il sacro corpo.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 267

4
Costoro appunto, inondati di lacrime e a piedi scalzi, precedu-
ti dal clero con croci e vessilli, venivano a visitare la tomba del
beato Antonio con una venerazione cosı̀ eccezionale per tutti da
strappare a compunzione i cuori dei fedeli che li vedevano e da
invitarli a infiammarsi di divino amore.
5
689 Quale petto, fosse pure di ferro, non si sarebbe commosso fino
al pianto, non si sarebbe munito di sentimenti di buona volontà,
vedendo i cavalieri, uomini dal vivere raffinato, percorrere strade
impervie, e nobili matrone, che appena si tenevano in piedi per la
loro debole costituzione, seguire a piedi scalzi le orme di quelli che
le precedevano?
6
Anche i frati, accogliendo la loro ammirevole devozione, so-
prattutto perché nella lite per il santo avevano rivestito con dedi-
zione la parte degli avversari, per incitarli a una pace del cuore più
feconda, in ordinati cori di lode andarono loro incontro in segno
di onore.
7
690 Non solo costoro, però, ma anche l’intera cittadinanza, in
gruppi separati e a giorni fissi, si recava a piedi scalzi nello stesso
ordine di processione. Anche i religiosi dei quali la città abbonda
in gran numero, insieme ai quartieri in cui abitavano, precedevano
a piedi scalzi, nel dovuto ordine della processione.
8
Infine, avanza il vescovo, accompagnato dalla sacra schiera del
clero, riverente e a piedi nudi. E anche il podestà, venendo con
schiere di cavalieri e folle innumerevoli di popolo, si toglie dai pie-
di la calzatura.
9
691 Parimenti la sacra comunità dei religiosi che abitavano molto
numerosi nei villaggi e nei borghi della regione circostante, rivesti-
ti delle sacre vesti e a piedi scalzi, percorrevano strade impervie
con ardente devozione.
10
È presente anche il gruppo degli universitari, di cui la città di
Padova vanta un numero importante; costoro, aggiungendo i canti
della devozione a pianti, riproducevano i sospiri misti alla gioia dei
figli dell’esilio che ricostruivano allora il tempio del Signore (Esd
3,12-13). Ivi, chi piangeva «cantava un canto nuovo» (Ap 5,9) e tra
i pianti prorompeva in giubilo.
11
692 Cosı̀, questi che avanzavano in gruppi ordinati – che dire, in-
neggianti o piangenti? – e a piedi scalzi, erano preceduti da un
cero di tale e cosı̀ grande altezza che non poteva essere innalzato
all’interno della chiesa della Santa Madre di Dio, se non dopo
averne troncato una gran parte.
12
Non solo loro, ma ogni gruppo di cittadini che venivano nel
giorno stabilito, portavano ceri di cosı̀ grande lunghezza che la
maggior parte non potevano in nessun modo essere introdotti se
non mozzati.
268 Vite di Antonio di Padova

13
Erano inoltre portati sulle spalle di più uomini ceri cosı̀ gran- 693
di che per il trasporto di uno solo a mala pena occorrevano sedici
persone, curve sotto il peso; oppure, se il trasporto dei ceri era
fatto su carri, occorrevano due paia di buoi aggiogati insieme.
14
Erano infatti ceri di alte dimensioni, dai quali, sul modello del
candelabro (Es 37,17), da due bracci protesi uscivano, da una par-
te e dall’altra, piccole sfere simili a gigli, tralci di vite e vari generi
di fiori, diligentemente espressi da mano d’artista.
15
Alcuni poi rappresentavano la forma di un edificio ecclesiasti- 694
co o addirittura «un terribile esercito schierato in ordine di batta-
glia» (Ct 6,3.9).
16
Tuttavia, anche quelli che avevano adornato la processione
con una sı̀ grande eleganza di ceri, portavano ciascuno in mano
dei ceri, con la fiamma accesa. 17 E quando, a causa della folla,
non potevano in nessun modo arrivare alle porte della chiesa, get-
tavano qua e là ceri e candele sulla piazza davanti all’ingresso del
tempio.
18
Altri ancora, disponendo fiaccole accese sui muri, vegliando, 695
facevano la guardia sulle piazze. Cosa certamente ammirevole per-
ché né si ritiravano, fosse anche per poco, durante i calori estivi, né
col tempo glaciale si concedevano tregua al freddo che di solito
bloccano; al contrario, con invincibile forza d’animo, continua-
mente, giorno e notte e alternandosi gli uni agli altri, spendevano
ogni momento nelle lodi di Dio.
19
Godeva pertanto la città nel vedersi ornata di cosı̀ grandi 696
splendori e, illuminata da cosı̀ innumerevoli luci, aveva l’impres-
sione di aver perduto l’oscurità dell’intera notte.
20
Accorrono gli abitanti di Venezia, si affrettano quelli di Trevi-
so, sono colà Vicentini, Lombardi, Slavi, abitanti di Aquileia, Teu-
toni, Ungheresi e tutti, scorgendo con fede supportata dalla vista il
«rinnovarsi i prodigi e ripetersi le meraviglie» (Sir 36,6), lodavano
e glorificavano l’onnipotenza del Creatore.
21
Quanti poi venivano e toccavano con mano meraviglie che 697
erano compiute sotto i loro occhi senza dubbio alcuno per i meriti
del beato Antonio, acquistata la fiducia di vivere di nuovo nella
grazia, confessavano i loro peccati ai frati, appena sufficienti per
un numero cosı̀ grande.
22
E quelli che erano venuti per guarire, ma, come sta scritto, «na-
scondevano le proprie colpe nel segreto» (Pr 28,13), non riuscivano
a camminare «sulla via della salvezza» (At 16,17). Ma se, fatta la
confessione, abbandonavano alla fine [le proprie colpe] per salvarsi,
ben presto, in presenza di tutti, sperimentavano la misericordia.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 269

Capitolo 27
DELL’INVIO DI MESSAGGERI ALLA CURIA
PER LA CANONIZZAZIONE DI SANT’ANTONIO

1
698 La fede della Chiesa è perciò esaltata; viene raccomandata una
grandissima povertà (21) e onorata la semplice umiltà. Arrossisce la
cieca perfidia, madre di errore, e marcisce di livida putrefazione la
morte sciocca per la perversità dell’eresia. Infine l’empietà sospet-
tosa viene confusa e dissipata la nebbia dell’infedeltà, come al sor-
gere di una nuova luce, dallo splendore dei miracoli.
2
699 Lo proclama senza dubbio la sacra assemblea del clero, lo
chiede a gran voce il popolo devoto, tutti, a una voce e con volontà
unanime, concordano e insistono con ogni preghiera affinché sia
inviata alla Curia una delegazione a favore della canonizzazione
del beato Antonio. 3 Viene indetta una solenne riunione di clero e
di popolo su questo impegno e si decide in pieno accordo che il
voto unanime della folla venga esaudito.
4
Che dire di più? Scrive il vescovo con il suo clero, il podestà
della città con i soldati e il popolo; e a meno di un mese dalla
morte del santo si inviano alla sede apostolica messaggeri, influenti
per gravità di costumi e di rispettabili condizioni.
5
700 Costoro, presentatisi pochi giorni dopo alla vista apostolica ed
esposto con diligenza il motivo della loro venuta, furono ricevuti
con grande favore dal papa Gregorio IX e da tutta la gente di Cu-
ria; 6 e questo nonostante che molti di loro [della gente di Curia] si
stupissero grandemente della rapida gloria dell’uomo di Dio e nel-
l’udire l’apparizione improvvisa di tanti fatti straordinari.
7
Viene convocato il sacro collegio dei cardinali, si celebra una
solenne riunione per trattare la causa dei messaggeri padovani.
8
Alla fine, con il parere favorevole di tutti, viene affidato dal som-
mo pontefice l’esame dei miracoli al venerabile vescovo di Padova
e ai priori di San Benedetto (22) e dei frati Predicatori.
9
701 Accorrono allora da ogni parte folle numerose d’ambo i sessi
che dichiarano, con testimonianze della verità, di esser stati liberati
da diverse calamità per i meriti gloriosi del beato Antonio; e da
una parte e dall’altra brilla un numero straordinario di miracoli.
10
Si dà ascolto alle testimonianze confermate con giuramento e,
di fronte ai ripetuti testimoni della verità, i miracoli vengono ap-
provati e messi per scritto.

(21) L’espressione latina è altissima paupertas, molto frequente nei testi francescani.
(22) Priore del monastero di San Benedetto e fondatore dell’«Ordo Sancti Bene-
dicti de Padua» o dei monaci albi era il beato Giordano Forzatè sul quale si veda A.
RIGON, Religione e politica al tempo dei da Romano: Giordano Forzatè e la tradizione
agiografica antiezzeliniana, in Nuovi studi ezzeliniani, II, a cura di G. Cracco (Nuovi
studi storici, 21), Roma 1992, pp. 389-414.
270 Vite di Antonio di Padova

11
Infine, per una maggior conferma della fede e dei miracoli,
vengono indagate dettagliatamente le condizioni delle persone e
del fatto: luogo e tempo, ciò che fu visto e ciò che fu udito, e altri
eventuali particolari da aggiungere alle testimonianze, vengono an-
notati con cura.
12
Completato dunque diligentemente l’esame dei miracoli, il 702
popolo fedele di Padova insiste con zelo devoto sul processo in
corso e, per la seconda e la terza volta, con ripetuti messaggi, ven-
gono inviati alla sede apostolica messaggeri degni di fiducia.
13
Infatti, per rendere più ferma la sollecitudine del pontefice e
l’attenzione dei cardinali sulla veridicità della sua causa e sulla giu-
sta devozione di quanto si era sentito, il venerabile vescovo di Pa-
dova mandò alla Curia frati e canonici della chiesa cattedrale, in-
sieme con il priore della chiesa di Santa Maria di Monte Croce; e il
podestà da parte sua inviò uomini nobili e influenti, conti e cava-
lieri, con un gran numero di magnati e gente del popolo.
14
Scrive parimenti informazioni favorevoli l’insieme dei maestri
e degli studenti; e il gruppo dei letterati, che non avrebbe tollerato
alla leggera un rifiuto, invia lettere che testimoniano in favore di
quello che si era visto e udito.
15
Su tutte queste cose, scrivono anche quei venerabili cardinali 703
che, per disposizione del Signore, si trovano colà presenti. In quel
tempo infatti il cardinale Oddo di Monferrato e il signor Iaco-
po, vescovo eletto di Palestrina, fungevano da ambasciatori in
Lombardia e nella Marca Trevigiana, per ristabilire la pace tra al-
cune città.
16
Questi, giunti a Padova in occasione della suddetta missione e
conosciute per testimonianza oculare e verità indiscussa le meravi-
glie del Signore, divenuti essi stessi testimoni veritieri, sostenevano
la credibilità dei miracoli con il patrocinio delle loro lettere.
17
Raccolte dunque le lettere, i messaggeri si recano rapidamen- 704
te alla Curia e, sostenuti da cosı̀ numerose e autorevoli lettere di
raccomandazione, sono ricevuti molto cortesemente dal signor pa-
pa e da tutta la Curia.
18
Che cosa aggiungere di più? Ci si riunisce di nuovo, si discute
benevolmente in presenza del papa e di tutti i cardinali intorno alla
canonizzazione del beatissimo Antonio e, adunato alla fine il col-
legio [cardinalizio], viene affidato al cardinale Giovanni, vescovo
di Sabina, l’esame generale dei miracoli e l’approvazione di quelli
riconosciuti.
19
Quel cardinale, lavorando con molta diligenza su quanto era
stato affidato alla sua cura, promosse più sollecitamente la causa e,
in uno spazio di tempo inaspettato da tutti, adempı̀ speditamente
l’esame dei sopraddetti miracoli e la loro approvazione.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 271

Capitolo 28
DI UNA VISIONE RIVELATA DAL CIELO

1
705 Nel frattempo, interviene però una difficoltà, nuova e del tutto
imprevista per i messaggeri di Padova; e con l’emergere di questo
problema, la letizia dei buoni successi ottenuti in precedenza viene
sconvolta.
2
Vi erano infatti alcuni cardinali, eccellenti per virtù e cultura
fra gli altri principi della Chiesa, i quali, per zelo della consuetudi-
ne ecclesiastica e indotti dalla brevità del tempo, pensavano che si
sarebbe dovuto procedere non tanto in fretta in una causa cosı̀
importante, soprattutto perché non era ancora trascorso un anno
dalla morte del beato Antonio; perciò dichiaravano per prudenza
di non potere né volere acconsentire alla sua canonizzazione se
non con la dovuta giusta misura di tempo.
3
706 Ma colui che per bocca del profeta attesta che «non cederà la
sua gloria ad altri» (Is 42,8), volle che questo rifiuto in parole av-
venisse per un tempo limitato, affinché si sapesse che tutto il suc-
cesso delle opere doveva essere attribuito alla grazia.
4
Fu infatti presente, al momento opportuno, con la sua miseri-
cordia e indusse mirabilmente uno di loro alla canonizzazione di
sant’Antonio, per mezzo di una visione.
5
707 La visione [manifestatasi] nella sua mente fu questa. Guardò
ed ecco era presente il signor papa, ornato delle infule pontificali,
già pronto per consacrare una chiesa e il suo altare; lo circondava
una corona di venerabili cardinali per assisterlo come di consueto
nella celebrazione dei sacri misteri. Tra loro si avvicinò, in qualità
d’assistente, quel cardinale, non ultimo per funzione o dignità, ve-
stito delle sacre vesti.
6
All’avvicinarsi dell’ora della consacrazione, il sommo pontefi-
ce chiese le reliquie che si devono abitualmente riporre nell’altare.
Ma quelli risposero uno dopo l’altro di non avere nessuna reliquia
da riporre. 7 Ed egli, girando attorno lo sguardo come uno che cer-
ca qualche cosa, vide per caso giacere vicino un cadavere, da poco
defunto, legato con bende. Appena lo vide, disse: «Portate presto
queste recenti reliquie, perché possiamo porle nell’altare».
8
708 E sostenendo quelli con forza che il cadavere visto non erano
reliquie: «Togliete, disse, il drappo funebre con cui è coperto, e
vedete almeno quello che è nascosto all’interno».
9
Ma loro avvicinandosi al corpo a passi lenti, avanzano contro
voglia e, obbedendo all’ordine ricevuto, tolgono rapidamente il
drappo con il quale era stato avvolto. 10 Dopo averlo scoperto,
non sentendo il minimo cattivo odore di corruzione, rivolti verso
il corpo si compiacquero talmente della reliquia vista che, preve-
272 Vite di Antonio di Padova

nendosi l’un l’altro, andavano a gara per prendere ciascuno qual-


che cosa.
11
Risvegliatosi per la calca della gente che accorreva, come gli 709
sembrava di vedere, quel cardinale poco dopo si alzò e chiamati i
chierici che lo assistevano spiegò loro all’istante con devozione la
visione e la sua interpretazione a favore della canonizzazione del
beato Antonio, dichiarando che la canonizzazione del santo sareb-
be stata fatta senza esitazione.
12
Mentre scendeva dal suo alloggio per recarsi alla Curia, ecco
che i padovani, come guidati da un richiamo divino, stavano pres-
so la sua porta. 13 Appena li vide, il detto cardinale, rivoltosi ai
chierici che lo assistevano, disse con volto gioioso: «Ecco il nostro
sogno e la sua interpretazione!».
14
Confortato dunque dalla visione divina, divenne promotore 710
della causa dei padovani a tal punto che sosteneva con forza che
non si poteva legare l’onnipotenza di Dio alla durata del tempo, e
che la gloria del santo non doveva essere impedita da alcuna con-
suetudine.

Capitolo 29
DELLA CANONIZZAZIONE DEL BEATO ANTONIO
1
Letti dunque i miracoli, come detto, alla presenza del cardina- 711
le Giovanni, vescovo di Sabina, verificati attraverso le testimonian-
ze dei giurati, approvati e finalmente ammessi, vengono radunati
tutti i cardinali e i prelati che erano in quel momento presenti in
Curia.
2
Viene fatta infine la proposta della canonizzazione del beato
Antonio, e, essendo su questo tutti d’accordo, si celebra una riu-
nione molto gioiosa.
3
«È cosa particolarmente indegna, dicono – che Dio ce ne guar- 712
di! – sottrarre in terra la venerazione, dovuta per i suoi meriti, del
beatissimo padre Antonio che il Signore della maestà si è degna-
to di coronare di gloria e di onore nei cieli. 4 Come è certamente
segno di perfidia non prestar fede alla verità dei miracoli, una volta
accertata, cosı̀ negare la gloria ai meriti dei santi è una forma di
invidia».
5
Infine il sommo pontefice, constatando il consenso unanime di
tutti circa la canonizzazione di santo Antonio e tenendo nondime-
no in conto l’instancabile devozione dei cittadini di Padova, con il
parere unanime di tutti, acconsentı̀ alla loro domanda unendosi
alle preghiere e, rimosso ogni indugio, fissò il giorno nel quale ciò
doveva essere celebrato.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 273

6
713 Già era giunto il terzo giorno fissato per una cosı̀ grande so-
lennità. È presente il sacro collegio dei cardinali; sono convocati i
vescovi, vengono gli abati e da diverse parti del mondo sono pre-
senti i prelati delle chiese. Là vi era il sacro stuolo del clero; là, una
moltitudine di genti quasi senza numero.
7
Si presenta infine il sommo pontefice nella magnificenza della
gloria, decorato dalle infule pontificali; e anche la comunità dei
cardinali e degli altri principi della Chiesa, vestiti dei sacri para-
menti, si stringe attorno al consacrato del Signore.
8
Vengono poi letti davanti a tutto il popolo i miracoli, secondo
il rito, e si esaltano con somma devozione e reverenza i meriti glo-
riosi del beato padre Antonio.
9
714 In piedi, il pastore della Chiesa, inondato di santa consolazio-
ne, alzò le mani al cielo e invocato il nome della divina Trinità,
iscrisse il beatissimo padre Antonio nel catalogo dei santi; e stabilı̀
che la sua festa fosse celebrata il giorno della sua morte, a gloria e
onore «del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19), «a
cui è onore e potenza» (1Tm 6,16) per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
10
Ciò fu fatto nella città di Spoleto, l’anno del Signore milledue-
centotrentadue, indizione quinta, nel giorno della Pentecoste, l’an-
no sesto del pontificato del signor papa Gregorio nono.
11
715 I messaggeri della città di Padova, a passo rapido, tornari di
fretta a casa, furono ricevuti solennemente, prima che si compisse
un anno dalla morte del beato Antonio; celebrarono la sua festa
con indescrivibile solennità lo stesso giorno in cui si compiva un
anno dalla sua morte.

Incominciano i miracoli del beato Antonio

Capitolo 30
PROLOGO
1
716 «A lode e gloria dell’onnipotente Dio, Padre, Figlio e Sprito
Santo» (1Pt 1,7; 2Mac 7,35; Mt 28,19), della gloriosa vergine Ma-
ria e di sant’Antonio, abbiamo creduto bene di far menzione, in
forma succinta ma secondo l’esatta verità, dei miracoli che sono
stati letti alla presenza del signor Gregorio IX papa, davanti a tutto
il popolo, allo scopo di stimolare la devozione dei fedeli.
274 Vite di Antonio di Padova

Capitolo 31
DEGLI STORPI (23)

[I] 1 Ilgiorno in cui il corpo del beatissimo Antonio fu sepolto con 717
onore nella chiesa della Santa Madre di Dio, Maria, una donna di
nome Cunizza, da un anno gravemente malata, si trascinò, sorretta
da strumenti di legno che chiamano stampelle, fino al luogo della
sepultura. 2 Essendole cresciuta sulla sua spalla, per condensazione
di umori, una gobba enorme, era talmente miserabilmente curvata
che non poteva in nessun modo camminare senza il sostegno delle
stampelle. 3 Rimasta un po’ di tempo prostrata in preghiera, davan-
ti alla tomba del beatissimo Antonio, la spalla le si appianò imme-
diatamente, la gobba scomparve e, abbandonate le stampelle, la
donna tornò, raddrizzata, a casa sua.

[II] 4 Una donna di nome Gisla, da otto anni e più era talmente 718
paralizzata, con la gamba sinistra inaridita e i nervi contratti, che
non poteva in nessun modo posare il piede a terra; e quando, per
necessità, voleva spostarsi in qualche luogo, trascinava il suo corpo
con difficoltà sostenuta dalle stampelle.
5
Suo marito, di nome Marcoaldo, la condusse, sollecito, in
groppa a un cavallo, alla chiesa di Santa Maria, madre di Dio, e
introdottala perché ricuperasse la salute, la depose devotamente
davanti all’arca del beato Antonio. 6 Ma quella, prostrata in orazio-
ne, cominciò subito a sentirsi oppressa da un dolore cosı̀ forte che,
sudando per l’angoscia, non poteva sopportarne il calore; poi, do-
po essere stata trasportata da alcuni uomini fuori della porta della
chiesa, respirata un’aria più fresca, si rianimò.
7
Ricondotta dopo un po’ di tempo davanti alla tomba, mentre
pregava a occhi chiusi, sentı̀ una mano che toccava il suo ventre e
tentava di sollevare il suo corpo. 8 E quella, bramosa di sapere chi
fosse colui che la toccava, alzati gli occhi, non vide nessuno che le
stesse vicino. 9 Allora la donna comprese che l’aiuto che aveva sen-
tito veniva dal cielo, si alzò all’istante e, abbandonate le stampelle,
ritornò contenta con suo marito a casa sua.

[III] 10 Un’altra
donna ancora, di nome Riccarda, da vent’anni con 719
le gambe inaridite, era mostruosamente storpiata a tal punto che, a

(23) Circa il termine contractus, Dominique Poirel, nella versione francese della
Vita del beato Francesco del Celano, nota: «Maladie la plus fréquente dans les recueils
de miracles jusqu’à cette période, que les contemporains de François distinguaient de
la paralysie [et comprenait] aveugles, possédés, quasi-résurrections et maladies diver-
ses, lépreux, muets et sourds» (cf. FRANÇOIS D’ASSISE, Écrits, Vies, Témoignages, p. 638,
nota 1).
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 275

causa di una congiunzione callosa, le ginocchia si erano attaccate


al petto e i piedi si erano congiunti alle natiche; un giorno, a scopo
di mendicità, per ricevere l’elemosina dai passanti insieme ad altri
poveri, giunse, usando degli sgabelli al posto dei piedi, al sepolcro
del beato padre Antonio. 11 E mentre, oppressa dal sonno, sonnec-
chiava con il capo un po’ chino verso terra, udı̀ una voce che dice-
va: «Siano rese grazie a Dio, perché è liberata».
12
Allora, aperti gli occhi, vide una fanciulla, che era stata gobba
ma aveva ricuperato la sanità per i meriti del santissimo padre,
allontanarsi tra molti che l’accompagnavano. 13 La donna allora si
alzò per entrare, anch’essa, nella tomba. Ma mentre si avvicinava,
le apparve improvvisamente un fanciullo di sette anni che, prece-
dendola a mani giunte, la invitò a entrare dicendo: «Vieni nel no-
me del Signore, perché ti libererà». 14 Quella allora «andando die-
tro» (Gen 33,14) a colui che la precedeva, si trascinò, come al so-
lito, con gli sgabelli fino alla porta della chiesa, ma mentre era già
vicina alla porta della chiesa, il fanciullo scomparve.
15
720 Allora, entrata nel luogo del sepolcro, si concentrò tutta in
preghiera, e mentre pregava due globi a forma d’uovo le uscirono
con forza tra il femore e il basso ventre; e scorrendole all’interno
un umore sottocutaneo, i globi discesero fino ai piedi ed emisero
un rumore simile a un batter di mani, che fu udito da molti. 16 Infi-
ne, le sue gambe, inaridite come legno da vent’anni, si distesero
immediatamente e, con il rilassarsi della pelle, le carni ricomincia-
rono a crescere fino alla misura normale.
17
Vedendo i custodi della tomba quello che accadeva, portaro-
no in fretta la donna fuori della porta della chiesa e la lasciarono
andare, non completamente guarita. 18 Essa allora perseverando
nella preghiera per diciannove giorni e trascinandosi ogni giorno
al detto sepolcro, nel ventesimo giorno, abbandonati gli scabelli,
fece ritorno alla sua casa e, con grande meraviglia di tutti, andava
e veniva per la città a passi sicuri.

721 [IV] 19 Un fanciullo, di nome Alberto, avendo dalla nascita fino agli
undici anni il piede sinistro contorto, con la parte superiore rivolta
verso terra, portava le dita all’indietro verso il calcagno del piede
destro. 20 Per raddrizzargli il piede il padre soleva spesso legarlo
con pezzi di legno; ma subito, se per un motivo qualsiasi il legno
si slegava, il piede riprendeva la solita contorsione.
21
Un giorno la madre del fanciullo si recò in preghiera all’arca
del beato Antonio con il figlio e introdusse in qualche modo il suo
piede nel sepolcro. Rimasto lı̀ per breve tempo sudando abbon-
dantemente, restituito alla madre dai custodi dell’arca, ritornò a
casa con la pianta del piede rivolta verso terra.
276 Vite di Antonio di Padova

[V] 22 Una fanciulla, di nome Agnese, priva da circa tre anni delle 722
forze in tutto il corpo, era affetta della malattia che chiamano ana-
trope (24) al punto che languiva, inaridita come un legno secco.
23
Appena prendeva cibo, lo rigettava subito, per la bocca, crudo
e completamente indigesto. E la malattia era già talmente in stato
avanzato che, per la troppa aridità, con la gola quasi chiusa poteva
solo inghiottire la saliva o qualche cosa di tenero.
24
Quando i medici venivano per tentare con la loro arte di arre-
stare il vomito continuo e far circolare l’umore naturale, ripartiva-
no senza aver potuto fare assolutamente niente e disperando della
sua guarigione.
25
Condotta perciò un giorno e collocata in preghiera sopra l’ar-
ca del beato Antonio, afflitta improvvisamente da un forte dolore
in tutto il corpo, sembrò vicina alla morte. 26 Calmatosi un po’ il
dolore che l’aveva assalita, chiamò la madre che era accanto al se-
polcro e le disse che ormai poteva inghiottire un pane intero. Cosı̀,
ripresa sua figlia, la madre ritornò a casa e, ritenendo normalmente
il cibo, il corpo inaridito della fanciulla ricuperò l’umore di prima.

[VI] 27 Nella città di Venezia, una donna, di nome Cesaria, aveva la 723
mano storpiata e portava, da due anni e oltre, il piede sinistro con-
torto di traverso. 28 Essendo venuta nella diocesi di Padova al tem-
po della mietitura per raccogliere, alla maniera dei poveri, le spi-
ghe che erano sfuggite alle mani dei mietitori, udite le cose mera-
vigliose che accadevano per i meriti del beato Antonio, si recò fino
a Padova con molta fatica per recuperare la salute.
29
E siccome non poteva a causa del gran numero dei malati,
avvicinarsi all’arca, introdotto il piede attraverso lo steccato che
attorniava l’arca, tentava di raggiungere il luogo del sepolcro.
30
Appena, allungando la gambe, vi ebbe posto il piede, fu subi-
to invasa da un dolore cosı̀ violento che, con le viscere talmente
scosse come se minacciassero di uscire, sudava fortemente per
l’angoscia.
31
Vedendo i presenti il tormento della donna – già non poteva
parlare per la debolezza – l’appoggiarono contro il muro della
chiesa perché si riposasse. 32 Rimasta lı̀ un po’ di tempo e scompar-
so il sudore, si alzò subito e, ottenuta la guarigione delle mani e dei
piedi, si allontanò rendendo grazie a Dio.

[ VII ] 33 Prosdocima,
un tempo moglie di Mainerio, di Noventa, 724
storpia della mano sinistra e di ambedue i piedi, fu portata alla

(24) Malattia di stomaco che non riesce a trattenere il cibo e produce vomito. Cf.
DU CANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Niort 1883-1887, voce anatrope.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 277

tomba del beato Antonio in una specie di mastello. 34 Sollevata so-


pra l’arca, all’istante, per i meriti del beato Antonio, i suoi piedi si
raddrizzarono e ritrovarono l’uso di prima. La sua mano però si
aprı̀ poco a poco sempre tremando e alfine si distese, in modo
che, alla vista di tutti, poteva chiuderla e aprirla. 35 Fatta scendere
dall’arca, balzò subito in piedi e, ricuperata la salute tanto attesa, si
allontanò piena di gioia.

725 [VIII] 36 Un cittadino di Padova, di nome Pietro, aveva una figlia


che si chamava Padovana. Questa, pur avando solo quattro anni,
privata completamente dell’uso dei piedi, avanzava strisciando con
le mani alla maniera dei rettili. La gente diceva inoltre che, poiché
soffriva di epilessia, le accadeva spesso di cadere e di rotolarsi.
37
Quando era ancora vivo sant’Antonio, suo padre che la por-
tava in braccio, lo incontrò un giorno mentre camminava per le vie
della la città e lo supplicò di fare su sua figlia il segno della croce.
38
Avendo il padre santo ammirato la sua fede, la benedisse e la
lasciò andare. Tornato a casa, il padre della fanciulla la fece stare
diritta sui suoi piedi ed essa, aiutandosi con uno sgabello, comin-
ciò a muoversi da una parte all’altra.
39
Poi finalmente, tolto lo sgabello, il padre le consegnò un ba-
stone e la fanciulla, progredendo sempre di più si mise ad andare
su e giù per la casa. 40 Alla fine, per i meriti del beatissimo Antonio,
si ristabilı̀ cosı̀ completamente che non aveva più bisogno di soste-
gno; e, da quando ricevette il segno della croce, non soffrı̀ del pur
minimo attacco di mal caduco.

726 [IX] 41 Un giorno mentre una donna, di nome Maria, seguendo le


cavalle di suo padre lungo il fiume Brenta, se ne stava sola seduta
sotto un noce, un uomo nero, uscito dal fiume, si lanciò diritto
verso di lei e presala tra le braccia, la portò presso un altro noce
lı̀ vicino. 42 E dopo averla gettata a terra tutta sconvolta, nell’inten-
to di usarle violenza, l’abbandonò cosı̀ miserabilmente storpiata
che tornò a casa, condotta dal padre, con il petto diventato come
una gobba e il ginocchio contratto, nonché con l’osso iliaco distor-
to dall’anca. 43 Per cinque anni e più dovette soffrire quella mo-
struosa malformazione.
44
Dopo la morte del beato Antonio, dunque, una notte, drizza-
to il ginocchio e il piede, si alzò senza il sostegno di nessuno; rima-
sero tuttavia la gobba sul petto e l’osso dell’anca ancora slogato.
45
Un giorno, infine, portata alla tomba del beatissimo Antonio,
ritornò completamente risanata. Le sembrava infatti, mentre gua-
riva, che la mano di un uomo passasse dolcemente tra la carne e le
ossa e che le membra, da tempo stremate da un dolore che la met-
teva in ansia, fossero alleviate come da un unguento.
278 Vite di Antonio di Padova

[X] 46 Nascinguerra di Sacile da due anni aveva la gamba destra 727


storpiata e portava il piede destro penzoloni. 47 Venuto, un giorno,
con l’uso delle stampelle, all’arca del beato Antonio, cominciò a
sudare abbondantemente, ma non potendo in nessun modo sop-
portare il tormento del dolore che lo aveva colpito, si allontanò un
poco dall’arca.
48
Accorrendo allora quelli che erano presenti e vedendo che
tentava di alzarsi, lo misero in piedi e subito, alla vista di tutti, i
nervi del suo piede si distesero. 49 Ed egli, abbandonate le stampel-
le, ritornò in fretta a casa sua. Mentre il vicinato gli andava incon-
tro, piangendo e tra pianti e al suono delle campane rese grazie a
Dio e al beato Antonio.

[XI] 50 Una donna di Saonara, di nome Maria, da dodici anni priva- 728
ta dell’uso delle sue membra sul lato destro sotto la cintura a tal
punto che riusciva a trascinare a stento le membra storpiate e solo
sorretta da sgabelli, un giorno fu condotta sopra un carro alla tom-
ba del santo padre Antonio.
51
Essendo rimasta in preghiera sopra l’arca dal momento in cui
era entrata fino quasi a mezzogiorno, i custodi, infastiditi, le grida-
vano che si alzasse. Al loro grido, la donna si alzò senza soste-
gno alcuno e, abbandonati gli sgabelli, tornò a casa perfettamente
guarita.

[XII] 52 Un uomo di Porciglia, chiamato Scoto, che aveva i piedi 729


putrefatti e tumefatti per un gonfiore di gotta nodosa, venne al
convento dei frati portato a dorso d’uomo. 53 Fatta la confessione
e ricevuta da un frate la penitenza, si fece trascinare in fretta e in
preghiera all’arca di sant’Antonio. E dopo esservisi riposato per
breve tempo, tornò subito, risanato, dal frate cosı̀ velocemente,
che il detto frate, fortemente meravigliato per la brevità del tem-
po, fece passeggiare per il chiostro colui che era stato guarito. 54 Fi-
nalmente, alla vista di tutti, colui che era venuto portato a spalla,
si allontanò con i propri piedi, rendendo grazie a Dio e al beato
Antonio.

[XIII] 55 InCodigoro c’era una fanciulla, di nome Samaritana che, 730


entrata un giorno con altre compagne nel campo di suo padre per
raccogliere legumi, all’improvviso, contrattesi le ginocchia, non
poteva più rientrare, ma fece ritorno alla casa paterna portata dalle
altre. E cosı̀, con l’aggravarsi del male, per tre anni si muoveva solo
strisciando con le mani e, spettacolo degno di compassione, trasci-
nando le natiche al suolo.
56
Un giorno dunque, fatta la confessione, la suddetta fanciulla
venne con la madre a pregare sulla tomba del beato Antonio; e
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 279

ritrovata in brevissimo tempo la salute, se ne tornò in fretta a ca-


sa con i propri piedi. 57 Quando ciò giunse agli orecchi del popolo
di Codigoro, al suono delle campane accorsero tutti inconto alla
fanciulla che rientrava nel paese e venerarono in lei la magnificen-
za di Dio.

731 [XIV] 58 Nel castello di Montagnana c’era una donna, di nome Gui-
na, che da due anni, impotente alla spalla e alla mano destra, non
poteva portare assolutamente niente sopra la spalla e neppure av-
vicinare la mano alla bocca. 59 Essendo un giorno entrata una pri-
ma e una seconda volta nel sepolcro del beato Antonio e non aven-
do provato alcun sollievo alla spalla e al braccio, si avvicinò al frate
che ascoltava le confessioni.
60
Fatta dunque la confessione, tornò per la terza volta all’arca e
si prostrò in orazione. Mentre pregava, la sua spalla cominciò a
sentire un gran dolore e l’osso della spalla, scricchiolando alla ma-
niera di noci che si schiacciano, ritornò al posto di prima. 61 La
donna, alzatasi subito, agitò il braccio e, sotto gli occhi di tutti,
tornò a casa risanata.

732 [XV] 62 Margherita, cittadina di Padova, essendosi una notte lascia-


ta prendere dal sonno, ebbe la sensazione di precipitare a terra
dall’alto. Ma, svegliatasi, la donna si trovò con il collo torto e, es-
sendosi contratti i nervi, la mano sinistra era talmente incurvata,
come pure il piede, che, tenendo sollevato il calcagno, toccava a
fatica la terra con le falangi delle dita.
63
Essendo un giorno rimasta un po’ di tempo sollevata sopra la
tomba di sant’Antonio, subito il collo si raddrizzò, la testa ritornò
alla posizione conveniente, e con la mano e il piede guariti, la don-
na scese risanata.

733 [XVI] 64 Giacomino, figlio di Alberto, che aveva la mano e il piede


storpiati, dopo esser rimasto per breve tempo a pregare sopra l’ar-
ca del santo padre Antonio, subito, sudando abbondantemente,
stese la mano e il piede e, sotto gli occhi dei custodi, si allontanò
sano e lodando Dio.

734 [XVII] 65 Nella città di Padova, c’era un fanciullo di nome Giovanni,


il cui mento da quattro anni s’era attaccato al petto al punto che
non poteva in nessun modo alzare la testa e camminava curvo, con
la testa inclinata.
66
Un giorno, avendolo la madre trasportato alla tomba del bea-
to Antonio, subito il fanciullo, alzando il capo da solo, tornò a casa
sano con la madre. Ma sul suo petto era rimasta una fossetta, nel
luogo appunto dove il mento si era appoggiato.
280 Vite di Antonio di Padova

[XVIII] 67 Federico,del contado di Concordia, caduto un giorno 735


dalla chiesa di Polcenigo, rottesi le reni, non poteva camminare
senza il sostegno delle stampelle. 68 Fatto un voto, venne con devo-
zione alla tomba del santo padre Antonio e subito, ricuperata la
salute e abbandonate stampelle, ritornò a casa sua.

[XIX] 69 Una donna, di nome Gertrude, per quattri anni ebbe il pie- 736
de destro contratto in tal modo che non poteva fare nemmeno un
passo senza le stampelle.
70
Una notte, mentre oppressa da un sonno profondo dormiva
sotto un noce, vide accanto a sé un uomo canuto, piccolo di statu-
ra e avvenente d’aspetto, vestito con abito verde, con sopra un
mantello color di cocco. Questi le disse: «Fanciulla, è forse qui
che tu devi dormire?». E di nuovo aggiunse: «Stendi il tuo piede».
71
E mentre quella stendeva il suo piede, presala per mano, le
distese i nervi e subito scomparve. 72 Ma essa svegliandosi si mise
a gridare dicendo: «Ti ringrazio, sant’Antonio, perché mi hai libe-
rata!». E tenendo in mano le stampelle, tornò a casa guarita e rac-
contò questa visione davanti a tutti, alla gloria di Dio.

Termina il capitolo degli storpi

Capitolo 32
DEI PARALITICI

[XX] 1 Nel contado di Ferrara c’era una donna, di nome Maria, 737
che, colpita da quattro anni da paralisi in tutto il corpo, tremava
nel capo e in tutte le membra. E quando per qualche necessità
voleva recarsi in qualche luogo, molto spesso era costretta a curva-
re i piedi all’indietro o per traverso.
2
Un giorno, mentre stava in preghiera davanti alla tomba di
sant’Antonio, improvvisamente i suoi nervi, che erano contratti
dal dolore, cominciarono a distendersi. E la donna, alzatasi, si mise
immobile sui suoi piedi e, completamente guarita, ritornò a casa.

[XXI] 3 Una certa Armerina di Vicenza, paralitica da cinque anni, 738


nonostante gli sforzi non riusciva a posare il piede a terra, ma se
per quache motivo si fosse drizzata, era agitata davanti e sul dorso
da scatti di tremito. 4 Venuta dunque all’arca del beato Antonio, si
prostrò a terra in preghiera e subito meritò di ritrovare la salute
perduta.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 281

739 [XXII] 5 Mainardo di Ronchi, essendo da venti giorni afflitto da pa-


ralisi a tal punto che non poteva in nessun modo servirsi dei piedi,
né aprire la bocca per mangiare, fu condotto, sopra un carro cari-
co di fieno, fino al Prato della Valle.
6
Giunto sul luogo con il carro che lo portava, trasportato a dor-
so d’uomo, giunse in preghiera alla tomba del beato Antonio. 7 Fi-
nita l’orazione, immediatamente si alzò e, aperta la bocca, lodando
Dio e il beato Antonio, tornò a casa con i propri piedi.
740 [XXIII] 8 Una donna, chiamata Bilia, che soffriva di tremito in tutto
il corpo da tre anni, venne, angustiata, a passi tremanti all’arca del
beato Antonio. Mentre si intratteneva in orazione davanti alla tom-
ba, con l’aumentare del tremore, fu assalita da un forte calore.
9
Uomini e donne piangevano di compassione per i suoi sudori e
tremori. Ma quando, portata fuori della porta della chiesa, poté
respirare un po’, il calore scomparve e la donna si allontanò dal
luogo ristabilita.
741 [XXIV] 10 Nel castello di Montagnana c’era una donna, di nome So-
lagna, che, paralizzata da un anno e un mese, aveva fatto voto di
venire alla tomba del santo padre Antonio per recuperare la salute.
11
Una notte, mentre dormiva coricaca sul suo letto, sentı̀ un
rumore come se qualcuno avesse urtato il piede del letto; sveglia-
tasi e chiamato uno che le stava vicino, chiese se avesse percepito
qualche cosa. 12 Avendole quello risposto che non c’era stato nes-
sun rumore, la donna, spaventata, si risedette sul letto e gettatasi
addosso una veste, rimase sveglia e all’erta.
13
Dopo un po’ di tempo di attesa, sentito di nuovo un urto sul
letto, ebbe ancor più paura e, fatto il segno della croce sulla fronte,
disse: «Chi tocca il letto?». 14 Udı̀ allora una voce che le diceva:
«Coraggio, fa’ il segno della croce». E lei: «Chi sei, Signore?». E
quegli rispose: «Io sono Antonio». La donna allora esclamò e disse:
«Liberami, sant’Antonio!». Ed egli rispose: «Ecco, sei risanata».
15
Appena fatto giorno, rinvigorita, la donna si alzò e da allora in
poi non soffrı̀ più d’alcun disturbo.

Capitolo 33
DEI CIECHI

742 [XXV] 1 Una fanciulla di nome Auriema, privata della luce degli oc-
chi da un anno e mezzo, fu portata all’arca del beato Antonio per
ottenere la guarigione. 2 Avendo applicato ai suoi occhi il panno
con il quale si copriva l’arca, subito, aperte le palpebre, ottenne
di vedere la luce del cielo.
282 Vite di Antonio di Padova

[XXVI] 3 Un frate dell’Ordine dei frati Minori, di nome Teodorico, 743


privato da due anni dell’occhio sinistro, venne per devozione dalla
regione della Puglia all’arca del santo padre Antonio. 4 Avendo di-
morato per qualche tempo con i frati di Padova e chiesto con in-
sistenza la grazia della guarigione, ottenne la vista desiderata e se
ne ritornò rendendo grazie a Dio.

[XXVII] 5 Nella città di Treviso, c’era un uomo chiamato Zambone 744


che da sei anni e più non poteva vedere assolutamente niente con
l’occhio sinistro. 6 Venuto un giorno alla tomba di sant’Antonio,
essendovi rimasto sopra un po’ di tempo, ricuperò la vista e tornò
gioioso a casa sua.

[XXVIII] 7 Leonardo di Conegliano, privato totalmente, da tre anni, 745


della vista di un occhio e con l’altro talmente cieco da distinguere
solo dalla voce le persone note dalle sconosciute, venne, con devo-
zione, alla tomba del reverendo padre Antonio. Dopo esser rima-
sto per un po’ di tempo prostrato in profonda orazione davanti
all’arca, ottenuto il dono della vista di tutti e due gli occhi, se ne
tornò a casa.

[XXIX] 8 Una donna chiamata Alessia, cieca di ambedue gli occhi 746
da cinque anni, non potendo in nessun modo vedere la luce, venne
all’arca e ricuperò subito la vista perduta.

[XXX] 9 Fiore di Gemma di Loreo, essendo privata completamente 747


dell’uso dell’occhio sinistro da sette anni, condotta sulla tomba del
beato Antonio, se ne tornò a casa perfettamente guarita.

[XXXI] 10 Un donna tedesca, di nome Carolina, privata da sette anni 748


di tutti e due gli occhi, fu condotta alla tomba del santissimo pa-
dre. Rimasta per breve tempo in preghiera, ricuperata miracolosa-
mente la vista, se ne tornò lieta e lodando Dio.

Capitolo 34
DEI SORDI

[XXXII] 1 Nella città di Venezia c’era un uomo, di nome Leonardo, 749


che da quattro anni, non udendo assolutamente niente a causa del-
le orecchie otturate, era diventato sordo. 2 Un giorno, venuto in
preghiera sulla tomba del beato Antonio, ricuperò immediatamen-
te l’udito desiderato.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 283

750 [XXXIII] 3 Unaltro, di nome Menico, da due anni completamente


sordo, venuto all’arca ne ripartı̀ subito guarito.

751 [XXXIV] 4 Un certo Rolando, soprannominato Bulgaro, essendo di-


ventato sordo da vent’anni per l’aggravarsi di una malattia alla te-
sta, dopo profonda orazione davanti alla tomba del santo, ricupe-
rata la salute per i meriti dello stesso padre, se ne tornò a casa sua.

Capitolo 35
DEI MUTI

752 [XXXV] 1 Un certo Bartolomeo da Piove di Sacco, muto per tutto il


tempo della sua vita, e da quattordici anni colpito da paralisi in
tutto il corpo, si rivoltava continuamente nel letto del suo dolore;
portato finalmente al sepolcro del beato padre Antonio, scioltasi la
lingua, lodava il Signore, e lui che era venuto portato a spalla se ne
tornò a casa con i propri piedi.

753 [XXXVI] 2 Una donna, di nome Michelotta, rimasta muta e senza


poter parlare da undici anni, languiva per di più privata delle forze
di tutto il suo corpo. 3 Avendo udito i miracoli che si compivano
per intercessione del santo di Dio, Antonio, si fece portare sulla
sua tomba e, essendovi rimasta per un po’ di tempo in profonda
orazione, ne ripartı̀ parlando e risanata.

754 [XXXVII] 4 Un uomo del Friuli, che si doleva di essere privato del-
l’uso della lingua, venne, condotto dalla madre, all’arca del beato
Antonio. E mentre se ne stava devotamente in orazione davanti
alla tomba, ottenne la parola, da lungo tempo perduta.

Capitolo 36
DEGLI EPILETTICI

755 [XXXVIII] 1 Nalla città di Padova c’era una donna chiamata Miche-
lotta che, dopo aver sofferto per otto giorni di una certa malattia,
colpita poi orribilmente dal morbo del mal caduco, aveva perso
completamente il lume degli occhi e sembrava vicina alla morte.
2
Avendola sua madre fatta portare alla tomba del santo padre
Antonio e collocata sopra l’arca in preghiera, subito, aperti gli oc-
chi, ricuperò la vista. E da quel tempo non soffrı̀ più del morbo
dell’epilessia.
284 Vite di Antonio di Padova

[XXXIX] 3 Un fanciullo, di nome Simeone, tormentato da tre anni 756


da attacchi di mal caduco, sbatteva molto spesso il viso contro ter-
ra. E siccome, dopo la caduta, palpitava da far pietà, non riusciva,
nonostante gli sforzi, a spostarsi in un altro luogo.
4
Emesso un voto, sua madre, premurosa, condusse il fanciullo
alla tomba di sant’Antonio e dopo aver pregato, fatto ritorno a
casa, non soffrı̀ più minimamente di detta malattia e non ne mo-
strò più i sintomi.

Capitolo 37
DEI GOBBI (25)

[XL] 1 Un giovane, di nome Trentino, essendogli cresciuto da cin- 757


que anni un osso sulla spina dorsale, camminava gobbo, appoggia-
to a una stampella e le mani penzolanti fino alle ginocchia.
2
Avendolo un giorno sua madre condotto con devozione sulla
tomba di sant’Antonio e posto sopra il sepolcro, subito la gobba
diminuı̀; ed egli discese dalla tomba e, abbandonata la stampella,
tornò diritto a casa con la madre.

[XLI] 3 Nellacittà di Treviso, c’era una donna di nome Veneziana 758


che da due anni e più portava sul petto un’escrescenza a forma di
pane. Quando per qualche necessità si recava in qualche luogo,
doveva piegare la testa in avanti verso il ginocchio.
4
Venuta alla tomba del beato padre Antonio, rimase per due
giorni in preghiera e, appianata la gobba e rialzata la testa, tornò
a casa sua.

[XLII] 5 Un uomo, di nome Guidotto, avendo sofferto per un certo 759


tempo di una grave malattia, spezzatisi i fianchi, contrasse la gob-
ba. E non potendo camminare se non appogggiato alle stampelle,
la sua testa pendeva quasi fino a terra.
6
Avendolo sua madre fatto condurre alla tomba del beato An-
tonio per ricuperare la salute, subito cominciò a sentire in tutto il
suo corpo dolori cosı̀ forti che, per l’angoscia, sudava abbondante-
mente. Diminuendo poi il dolore, il detto uomo poté distendere i
fianchi e, per i meriti del santo, quella gobba scomparve.

(25) Il termine designa una protuberanza, un gonfiore, che DU CANGE distingue in


gibbus, per la schiena, e gibber, per il petto.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 285

Capitolo 38
DEI FEBBRICITANTI

760 [XLIII] 1 Bonizzo di Roncaglia, avendo sopportato per otto giorni


un forte dolore a causa di un gonfiore alla gola, alla fine, con l’a-
cuirsi del tormento, cominciò a essere oppresso da febbri affanno-
se. 2 Un giorno, due frati che passavano nei pressi del luogo dove
giaceva a letto, deviarono verso casa sua per fargli visita e dopo
averlo indotto, con molte parole di conforto, a far penitenza, uno
di loro tirò fuori un pezzetto del mantello che il beato Antonio
soleva usare e lo applicò all’infermo per ottenergli la grazia.
3
Questi, alla presenza dei frati, guarı́ all’istante e, toccatosi il
polso, si rese conto che la febbre era scomparsa. Partiti i frati, il
malato subito si alzò e, fatto il segno della croce sulla sua fronte
con una parte del mantello, il gonfiore della guancia sparı̀.
761 [XLIV] 4 Unfanciullo, di nome Zono, che soffriva di febbri quarta-
ne ed era afflitto fino alle midolla da una gotta, fu portato alla
tomba del santissimo padre Antonio. Rimasto per poco tempo sul-
l’arca dove era stato posto, ne discese liberato dalla gotta e dalle
febbri.

Capitolo 39
DEI MORTI RESUSCITATI

762 [XLV] 1 Nelcontado di Padova c’era una piccola fanciulla, di nome


Eurilia, che avendo seguito come al solito la madre in cerca di fuo-
co nella casa vicina, tornando a casa, la donna la trovò morta in un
fosso pieno di acqua e fango, galleggiante e con il viso all’insù.
2
Accorrendo con gemiti, la madre trasse dal lago la figlia annegata
e, mentre molta gente accorreva a causa del triste spettacolo, la
pose soffocata sulla riva del fossato.
3
Avendola un uomo lı̀ presente toccata e trovata irrigidita nel
freddo della morte, la voltò con la testa all’ingiù e sollevò i suoi
piedi sopra un tavolo. Ma, anche cosı́, la bambina era senza voce
e senza sensi, poiché, con le mascelle e la labbra serrate, alla ma-
niera dei defunti, era venuta meno ogni speranza di salvezza.
4
763 Tuttavia la madre, accorata, facendo voto al Signore e al suo
servo il beato Antonio, promise che avrebbe portato alla sua tom-
ba un’immagine di cera, se si fosse degnato di restituirle viva la
figlia annegata. 5 Emesso il voto, subito, agli occhi di tutti, Eurilia
mosse le labbra e, messole uno dei presenti un dito nella bocca,
rigettò le acque che aveva ingoiato e, per i meriti del padre santo,
riscaldata dal calore vitale, riprese vita.
286 Vite di Antonio di Padova

[XLVI] 6 Accadde qualcosa di simile nella città di Comacchio. C’era 764


infatti un uomo, di nome Domenico, che, uscito un giorno da casa
sua per fare un certo lavoro, portò con sé il figlio ancora piccolo
per fargli compagnia.
7
Essendosi allontanato per un po’ di tempo dal suo domicilio,
guardando indietro, vide che non c’era nessuno. Sbigottito, cer-
cando tutto intorno con gli occhi sbalorditi, fece il giro e infine
scoprı̀ il figlio annegato in un lago. 8 Estratto il bambino, l’infelice
padre lo consegnò alla madre morto, ma, fatto subito un voto, lo
riebbe vivo per i meriti del beatissimo Antonio.

Capitolo 40
DEL BICCHIERE RIMASTO INTATTO

[XLVII] 1 Un cavaliere di Salvaterra, di nome Aleardino, ingannato 765


fin dalla più tenera età dall’errore dell’eresia, venne un giorno, do-
po la morte del santo, a Padova con sua moglie e la numerosa fa-
miglia, e messosi a tavola discorreva con gli altri commensali sui
miracoli concessi alla devozione dei fedeli per i meriti del beato
Antonio.
2
E mentre gli altri affermavano che il beato Antonio era vera-
mente un santo di Dio, svuotato il bicchiere di vetro che teneva in
mano, proruppe all’incirca in queste parole: «Se colui che voi dite
essere un santo avrà conservato illeso questo bicchiere, crederò
che sono vere le cose di cui cercate di persuadermi».
3
E gettato dal seggio elevato, sul quale erano seduti per pranza-
re, il bicchiere in terra, il vetro – cosa mirabile a dirsi! – sbattendo
contro la pietra resistette e, alla vista dei molti che erano presenti
in piazza, rimase illeso.
4
Alla vista del miracolo, preso da rimorso, il cavaliere si gettò
rapidamente sul bicchiere, e portandolo illeso con sé, raccontò ai
frati nei particolari quanto era accaduto. 5 Fatta poi la confessio-
ne, ricevette devotamente la penitenza impostagli per i peccati e,
aderendo fedelmente a Cristo, predicò con grande costanza le sue
meraviglie.

Capitolo 41
DELLA DONNA PERCOSSA DAL SIGNORE E RISANATA

[XLVIII] 1 Una suora dell’Ordine delle Povere signore, di nome Oli- 766
va, quando ancora il cadavere del padre santo era insepolto, si av-
vicinò, sopplichevole e devota, per baciargli la mano. 2 E mentre,
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 287

prostrata davanti al sacratissimo corpo, elevava preghiere a Dio,


tra le altre cose chiese con suppliche che ogni pena che avesse
meritato per i propri peccati, il Signore gliele infliggesse nella vita
presente, per i meriti del beatissimo padre Antonio, e non conser-
vasse nulla che dovesse essere punito in futuro.
3
Finita l’orazione, entrò nel monastero e subito, per un dolore
fortissimo da cui fu colpito tutto il corpo, in nessun modo poté
reggersi in piedi, anzi mise sottosopra le altre con grida per il tor-
mento che le causava il dolore.
4
767 Il giorno seguente però, mentre le altre entravano per il pran-
zo, entrò anch’essa di nascosto insieme con loro. Ma siccome il
dolore diventava sempre più intenso, non poté toccar cibo e men-
tre le altre pranzavano, essa si dimenava in qua e in là. 5 Per ordine
della badessa fu dunque trasportata in infermeria e, lei che con
gran desiderio aveva chiesto che la pena le fosse inflitta nel presen-
te, con molte preghiere, domandava un rimedio.
6
In fine, ricordandosi che teneva nascosta presso di sé una par-
ticella della tonaca di sant’Antonio, fattala portare se l’applicò im-
mediatamente e subito ogni dolore sparı̀.

Capitolo 42
DELLA DONNA CHE SI GETTÒ IN ACQUA
E NON RIMASE INZUPPATA

768 [XLIX] 1 Una donna di Monselice, pia e di fede profonda fin dall’in-
fanzia, si unı̀ in matrimonio con un uomo che «camminava secon-
do i desideri della carne» (Rm 8,1 Vg).
2
Questi, «santificato nella moglie credente» (1Cor 7,14), come
dice la Scrittura, un giorno su insistenza della moglie ricorse a un
sacerdote e, fatta la confessione dei peccati, tornando a casa pro-
mise che sarebbe andato in pellegrinaggio alla tomba del beato
Giacomo e che la donna sarebbe andata con lui. 3 Tutta contenta
per la proposta, la donna preparò il più presto possibile il viaggio
e, con preghiere, indusse il marito ad accompagnarla a Padova per
acquistare il necessario per il pellegrinaggio.
4
Ma, una volta partiti con altri compagni, mentre camminavano
per la strada che conduce a Padova, la donna, non potendo dissi-
mulare la gioia concepita nel suo cuore, lasciandosi andare al riso e
alla gioia «dell’uomo esteriore» (Rm 7,22 Vg) (26), mostrava l’alle-
gria del suo animo con insolita vivacità.

(26) In antitesi all’espressione scritturistica «secundum interiorem hominem».


288 Vite di Antonio di Padova

5
Quando suo marito se ne rese conto, non potendo sopportare 769
tanta allegria, disse alla donna: «Perché ti diffondi, allegra, in tante
parole e, ingannata da una vana speranza di partire, ti lasci andare
alle risa e a gesti sconvenienti? Sappi che ho rinunciato al progetto
e non ho nessuna intenzione di andare dove tu ti affretti».
6
All’udire ciò, la donna subito impallidı̀ e, mutata in volto,
mostrava la tristezza del suo animo. E poiché il marito si ostinava
a esasperarla con simili parole, dopo un lungo silenzio rispose a
lui che la rimproverava: «Se non soddisfi il dono del pellegrinag-
gio che mi hai promesso, in nome di Gesù Cristo e del beato
Antonio sappi che mi annegherò». 7 Ma egli non prestò minima-
mente fede alle sue parole, anzi, fissandola in volto e trattandola
da pazza, negava insistentemente che avrebbe mantenuto la pro-
messa.
8
Privata perciò di ogni speranza e frustrata completamete nella
sua fiducia, l’infelice donna si vendicò su se stessa e, invocato il
nome del beato Antonio, si buttò a capofitto nel fiume che scorre
lungo la strada.
9
Le donne presenti vedendola dibattersi fra le acque, rimaste 770
quasi senza fiato per lo stupore, accorsero in fretta e, dimentican-
do il pudore femminile, inzuppate le natiche e tutti i vestiti, tirano
fuori la donna travolta dai flutti. 10 Avendola tirata fuori e deposta
sulla riva – è una cosa veramente meravigliosa quella che sto rac-
contando – mentre le altre torcevano le loro vesti ed estraevano
grande abbondanza di acqua, quella donna fu trovata senza nem-
meno un filo del tessuto della veste bagnato.
11
Sebbene però, come dice secondo la Scrittura, il Signore
«protegga coloro che agiscono con rettitudine» (Pr 2,7), proponia-
mo di non portare a termine atti di questo genere. Infatti attribuia-
mo simili imprese più alla stoltezza che alla virtù. Ciò nonostante,
crediamo che la donna abbia ottenuto questo presso Dio per i me-
riti del santissimo padre che aveva invocato e che fu sempre, non
dubitiamo, zelante della vera semplicità.

Capitolo 43
DEI NAUFRAGHI

[L] 1 Un giorno, per caso, uomini e donne in numero all’incirca di 771


ventisei, montarono su una nave per recarsi a Venezia, presso San-
t’Ilario. E come, spinta dai remi, la nave giunse all’ora di compieta
nella laguna non molto distante dalla chiesa di San Giorgio in Al-
ga, levatasi una furiosa burrasca e mentre si sforzavano di rifugiarsi
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 289

presso il suddetto convento, coll’imperversare della perturbazione,


furono spinti verso luoghi completamente sconosciuti.
2
A stento si vedevano l’un l’altro e mentre irrompevano dall’al-
to vento e pioggia, disperando completamente della loro salvezza,
desideravano che la morte imminente si affrettasse e la loro ango-
scia finisse con la vita. Tutti infatti piangevano, e con grida striden-
ti accrescevano oltremodo il fragore della tempesta. 3 Perciò, fatta
la confessione dei peccati e ricevuta l’assoluzione dal sacerdote
che era con loro, invocando supplichevoli l’aiuto del beato Anto-
nio, cominciarono a far voti. 4 Alcuni promettevano di dare una
nave di cera; altri si impegnavano di cingere con candele di cera
l’arca del padre santo.
5
772 Appena emesso il voto, la tempesta che li minacciava si calmò,
ma, siccome incombevano ancora fitte tenebre, nessuno sapeva né
dove fossero né dove si dirigessero. 6 Ed ecco che una luce, uscita
dalla nave sulla quale si trovavano, precedette i naviganti che pian-
gevano di gioia e facendo loro da guida, li condusse salvi al con-
vento di San Marco Piccolo, distante un miglio da Venezia.
7
Giunti sul luogo, liberati dalla mano della morte per i meriti
del beato Antonio, improvvisamente la luce, che era stata guida del
viaggio, scomparve e una volta messi al sicuro, ritirò i suoi raggi.
8
Dicevano infatti che, mentre solcavano la superficie del mare pla-
cato preceduti dalla luce, si sforzavano di trattenere con i remi la
nave che correva veloce, ma non vi riuscirono in nessuna maniera
fino a che, sotto la guida della luce che li precedeva, l’accostarono
al porto desiderato.

Capitolo 44
DELL’INCREDULO PERCOSSO E RISANATO

773 [LI] 1 Un membro del clero di Anguillara, di nome Guidotto, tro-


vandosi un giorno nell’appartamento privato del signor vescovo di
Padova, derideva di nascosto i testimoni che facevano le deposizio-
ni a favore dei miracoli del beato Antonio. La notte seguente inco-
minciò a sentire un dolore lancinante per tutto il corpo a tal punto
da credere, senza alcun dubbio, che era imminente per lui il «mo-
mento della morte» (Sir 41,5 Vg; Ger 26,11).
2
Stimandosi perciò giustamente indegno di misericordia, co-
minciò a pregare la madre perché, nella sua fede, facesse un voto
al santo di Dio e meritasse di ottenere misericordia. 3 Fatto il voto,
e cessato subito il dolore, guarı̀ prima che facesse giorno; e colui
che aveva deriso i testimoni con una risata di incredulità, fu co-
stretto a «rendere testimonianza alla verità» (Gv 18,37).
290 Vite di Antonio di Padova

Capitolo 45
DEL PANÍCO PRESERVATO DAI PASSERI

[LII] 1 Una donna di Tremignon, di nome Vita, che nutriva un’ar- 774
dente devozione verso il beato Antonio, aspirava con grande desi-
derio a recarsi sulla sua tomba. 2 Ma siccome si avvicinava il tempo
della messe e una moltitudine di passeri devastava il panı́co, che
«già biondeggiava per la messe» (Gv 4,35), la donna, posta alla
guardia del panı́co per cacciare quella razza invadente di uccelli,
non riusciva a trovare alcuna possibilità di venire.
3
Ma arrivando un giorno al recinto con il quale era circondato
il panı́co, fece voto che, se il beato Antonio lo custodiva dai passe-
ri, avrebbe visitato il suo sepolcro per nove volte. 4 Appena emesso
il voto, subito una grande quantità di detti uccelli, tutti compatti, si
allontanò e sui salici che circondavano il panı́co, da quanto poteva
vedere, non rimase alcun passero.

Capitolo 46
DEL VOTO RITRATTATO

[LIII] 1 Un fanciullo della città di Padova, di nome Enrico, avendo, 775


per un gonfiore al collo, sofferto atrocemente durante quindici
giorni, e sua madre, promesso con un voto che avrebbe portato
alla tomba di sant’Antonio un collo con la testa di cera, di ritorno
dal convento dei frati ottenne la guarigione del collo. 2 Ma poiché
la madre del fanciullo fingeva di non avere fatto il voto e non lo
manteneva, il collo del fanciullo incominciò a gonfiare di nuovo.
3
Allora la donna, consapevole della propria colpa, giustamente
se ne dolse e, rinnovato il voto, portò alla tomba del santo la testa
di cera con il collo. 4 Appena fatto ciò, il collo gonfio subito si
sgonfiò e, trascorsi pochi giorni, il fanciullo guarı̀ completamente,
con l’aiuto del nostro Signor Gesù Cristo, a cui è onore e gloria
per i secoli eterni. Amen.

Capitolo 47
CONCLUSIONE DEL LIBRO DEI MIRACOLI

1
«Molti altri miracoli» il Signore di maestà si è degnato operare 776
per mezzo del suo servo Antonio, «che non sono scritti in questo
libro» (Gv 20,30). 2 Tuttavia, tra i molti abbiamo messo per scritto
questi pochi estraendo i più certi tra quelli abbastanza noti, affin-
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 291

ché sia data l’occasione a coloro che lo desiderino di aggiungere


ancora lodi, e, rifiutando i fatti non accertati, mentre ci proponia-
mo di lodare, preserviamo la lingua dal vizio della menzogna.
3
Infatti, se «si volesse scrivere uno per uno» (Gv 21,25) «i suoi
prodigi», perché «sono grandi, e i suoi miracoli, perché sono po-
tenti» (Dn 3,100), temo che, come la quantità suscita avversione,
cosı̀ l’insolita grandezza delle opere accresca l’ostacolo dell’incre-
dulità negli animi dei deboli.

Orazione conclusiva al Santo


4
777 Ecco, o padre benignissimo: ho raccontato le tue gesta, ben-
ché con parole inesperte e scribacchiando (scriptitando) del mio
meglio. Ecco, ho annunciato la grandezza della tua verità, ancor-
ché non pienamente, parlando secondo quanto era possibile alla
mia conoscenza.
5
778 Ricordati, ti prego, o pio padre, di me con gli altri fratelli della
tua congregazione (Sal 73,2) (congregationis tuae), affinché tu che,
per felice destino, stai presso il trono della divinità nella dimora
immortale, tragga fuori, per i tuoi meriti, dal lago della miseria e
dal fango della feccia (Sal 39,3) noi che sospiriamo a te.
6
Ricordati, ti prego, «delle viscere di misericordia» (Col 3,12
Vg) con le quali, mentre ancora «vivevi nella carne» ma non «se-
condo la carne» (2Cor 10,3), soccorrevi i miseri. E tu che, riunito
alla Fonte della misericordia, «ti disseti al torrente delle delizie»
(Sal 35,9), effondi su noi assetati il ruscello di una grazia più fecon-
da. Amen.

Finisce il racconto della vita e dei miracoli


di sant’Antonio confessore
292 Vite di Antonio di Padova

APPENDICI

I. DAL CODICE ANTONIANO 74

1. [Il nome Antonio] (f. 130rb-va)


12
5 Benché il beato padre Antonio si desse da fare per evitare 779
l’assalto dei parenti che accorrevano a lui e della gente, non fu
assolutamente per questa ragione che i frati gli imposero il nome
di Antonio, ma perché la chiesa dei frati di quella casa religiosa era
chiamata con questo nome. 13 Perciò crediamo che quel nobile
nome gli sia stato imposto dalla pura volontà dei frati, e anche
per rivelazione dello Spirito [130va], come a colui che avrebbe «tuo-
nato alto».

2. [Tra i frati dell’eremo] (f. 131rab)


7 2 Era tale la purezza e la semplicità del padre santo, essendo 780
entrato da poco nell’Ordine, che non conosceva né qualche mini-
stro né l’ufficio di ministro o di guardiano o di custode. Perciò non
chiamò neppure frate Graziano, né lo pregò che lo ricevesse, ma
dedito tutto il giorno alla preghiera, mentre gli altri si allontanava-
no, lui se ne stava semplice e sconosciuto da tutti, affidando tanto
se stesso, quanto il partire o il restare, alle mani della provvidenza
del Salvatore. Ma quando frate Graziano gli domandò se era sacer-
dote, senza molte parole e senza voler mettere in vista la sua cono-
scenza della Scrittura, rispose umilmente solo cosı̀: «Sı̀, lo sono».
Udito questo, a causa della scarsezza dei sacerdoti che incombeva
in quel tempo, il detto frate Graziano, per ispirazione dello Spirito
Santo, chiese supplichevolmente e ottenne da frate Elia ministro
generale che frate Antonio gli fosse affidato.

3. [Richiesto dai frati] (f. 131rb-va)

7 5 Essendo infatti l’uomo di Dio nuovo nell’Ordine, non sape- 781


va che cosa fosse un eremo né quale fosse l’organizzazione dei frati
negli eremi; per questo non domandò neppure la licenza, benché
cercasse luoghi propizi alla solitudine; ma i frati che vivevano in sei
circa nell’eremo, non avendo fra di loro alcun sacerdote e vedendo
che era uomo semplice e puro, lo richiesero e l’ottennero dal mini-
stro, con molte e insistenti preghiere, per la celebrazione dei divini
misteri.
Vita prima o ‘‘Assidua’’ 293

4. [Umili servizi] (f. 131va-132ra)


8
782 7 Benché si avviasse ogni giorno a quella cella a scopo di pre-
ghiera e di devozione, e vi restasse, non portava con sé né un pic-
colo pezzo di pane né un recipiente d’acqua; ma appena udito il
suono della campanella, scendeva all’ora del desinare e si metteva
a tavola con gli altri. Frattanto, avendo fatto un po’ di conoscenza,
dopo un breve periodo di vita comune, sia del guardiano che degli
altri frati, e avendo visto che gli altri frati, oltre a dedicarsi all’ora-
zione, si occupavano anche di varie cose utili e di servizi, cominciò
a riflettere fra sé, con amari singhiozzi, e a pensare che era un uo-
mo inutile, indegno del pane che mangiava, in quanto riceveva gli
onori degli altri e non faceva niente di comune utilità, dando cosı̀
l’impressione che «non era venuto a servire», ma piuttoto «ad es-
sere servito» (Mt 20,28). Perciò l’umile servo di Cristo, alla ricerca
di umili servizi, si recò umile e supplichevole dal suo guardiano e,
in ginocchio, gli chiese di concedergli, come favore speciale, l’in-
carico di lavare le scodelle e di pulire e scopare la casa. Avendolo
ottenuto, con ammirevole devozione e devota sollecitudine, le ese-
guiva con fedeltà e cosı̀, lavorando, mangiava il suo pane con co-
scienza più tranquilla. Sempre però, compiute diligentemente que-
ste incombenze, faceva regolarmente ritorno alla sua cella e alla
pratica della contemplazione.

II. DAL CODICE LAT. 7874 DI MONACO

1. [La città di Lisbona] (f. 2r)


1
783 (dopo 2,1) Non è però da questo che prese il nome.
2
Ivi infatti si estrae l’argento, ivi è il luogo ove l’oro viene fuso,
ivi il ferro è scavato dalla terra, ivi si trova grande abbondanza di
frumento, di vino e di olio.
3
Situata invero sulla riva del mare, è talmente fornita di correnti
d’acqua dolce che, come dice la Scrittura, si può affermare a suo
riguardo: «Un fiume impetuso rallegra la città di Dio» (Sal 45,5).
4
Infatti, a causa del Tago che vi scorre, fiume un tempo famosissi-
mo, tutta la città sovrabbonda di acque; e il mare che entra fino
alle mura della città, sovrabbonda di pesci.
5
784 Là potresti vedere una grande quantità di navi, per il fatto che
a causa delle varie sinuosità del mare e l’impeto variabile dei venti,
offre l’ampia tranquillità del porto ai naviganti che vi si rifugiano.
294 Vite di Antonio di Padova

6
Vi è infine un tal numero di popoli che vi accorrono e di folle
che si agitano, che pur avendo allargato il seno delle sue mura, la
madre, affannata da viscere feconde, può a mala pena abbracciare
i propri figli.

2. [Un miracolo alla Cella] (ff. 33v-34r)


1
(dopo 36,2) Una suora dell’Or- [34r] dine della Povere signore, di 785
nome Bartolomea, gravemente oppressa da spasmi di epilessia, era
spesso forzata a rotolarsi. 2 Avendo un giorno, dopo la morte del
beato Antonio, avvertito i sintomi di detta malattia, si stese sul ma-
terasso sul quale s’era coricato il santo negli ultimi attimi di vita,
per ottenere la guarigione.
3
Subito fu assalita da un calore cosı̀ forte che, pur coperta con
una semplice tunica, emetteva gocce di sudore come un ogget-
to imbevuto di acqua. 4 Con progressivo diminuire del calore, la
donna si calmò rasserenata e, tornata in ottima salute, rese grazie
a Dio.

Potrebbero piacerti anche