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Riassunto della Vita Antonii e guida alla lettura del PPT

Antonio è figura arcinota, nella letteratura nell'arte nelle credenze popolari.


Tutto quello che sappiamo di lui lo dobbiamo al suo agiografo, il grande Atanasio di
Alessandria, il vescovo teologo, campione della fede nicena, strenuo difensore
dell'ortodossia durante la crisi ariana, vittima di vessazioni degli eretici.
La vita Antonii è la prima biografia di un monaco, scritta subito dopo la morte
dell'eremita.
È indirizzata, come exemplum e regola di vita ascetica, a monaci occidentali, in
contatto con Atanasio, che visse in occidente alcuni anni dei suoi esili.
Rappresenta un ponte ideale, un veicolo di cultura e spiritualità tra oriente e
occidente. Immediatamente, l'opera fu tradotta in latino, divenne un vero e proprio
best seller, numerosi sono i mss. greci pervenuti. In pochi decenni fu conosciuta
ovunque nel mondo cristiano e servì da modello per le successive biografie.
La vita Antonii rappresenta anche uno spartiacque cronologico, tra Atti e passioni dei
martiri e le vite dei Santi, di Gerolamo, la vita di Martino, che procedono verso
l'agiografia medievale.
I nuclei tematici della Vita sono
- l'ascesi
- la lotta con i vizi e il demonio
- i grandi Discorsi teologici
- e la morte del Santo
Antonio non è il padre dell'ascetismo ma il modello della vita eremitica.

La vita

Antonio, di origine egiziana, nacque intorno al 250 a Coma (oggi Quemar), sulla costa occidentale
del Nilo, nel Medio Egitto, presso Eracleopoli, da genitori nobili, abbastanza ricchi e cristiani, per
cui anch’egli fu allevato nella fede cristiana.

Intorno al 270, quando aveva 18-20 anni, Antonio rimase orfano insieme a una sorella più piccola di
lui. La sua vocazione trova un momento determinante dopo questo luttoso evento quando, entrato
nella chiesa dove andava di solito, udì le parole del Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi
quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi “(Mt. 19,21).

Antonio sentì questo invito come rivolto a lui e, uscito dalla chiesa, donò ai suoi concittadini i
poderi che aveva ereditato, vendette altri beni, distribuì il ricavato ai poveri, riservò una parte di
denaro per la sorella che affidò ad una comunità di pie donne e si ritirò in un luogo solitario.
All’inizio si stabilì non lontano dal suo villaggio, per condurre vita eremitica, tutta dedita al lavoro,
alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture, dapprima alle dipendenze di un santo monaco, in
seguito in completa solitudine.

Già in questo primo periodo il demonio cominciò subito a tentarlo in diversi modi, cercando di
dissuaderlo dalla vita ascetica (contemplativa, mistica) con il ricordo delle ricchezze che aveva
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lasciato. Antonio gli resistette rispondendo agli assalti del maligno con una preghiera più intensa e
un tenore di vita più austero, fatto di penitenze sempre più rigorose. Ma il diavolo, resosi conto di
essere debole di fronte al proposito di Antonio e delle sue continue preghiere, confidò in altre armi.
Assalì così il giovane turbandolo di notte prendendo l’aspetto di una donna e imitandone il
comportamento in tutte le maniere, solo per trarre in inganno Antonio. Ma egli, pensando a Cristo e
meditando sulla nobiltà e sulla spiritualità dell’anima, spegneva il fuoco della seduzione.

Avendo appreso dalle Scritture che molte sono le insidie del nemico, Antonio si dedicava
intensamente all’ascesi, trattava sempre più duramente il suo corpo perché non soccombesse in altre
tentazioni. Decise perciò di abituarsi a un regime di vita più rigido, sopportando sempre più
facilmente la fatica, perché il suo zelo perseverante aveva generato in lui buone abitudini. Vegliava
a lungo e mangiava una sola volta al giorno dopo il tramonto (a volte ogni due giorni, spesso ogni
quattro).

Si nutriva di pane e sale e beveva solo acqua. Per dormire gli bastava una stuoia, ma dormiva per lo
più sulla nuda terra.

Regolata così la sua vita, si rinchiuse in una grotta lontano dal villaggio, scavata sul fianco di una
montagna e la cui ubicazione era nota solo ad un amico fedele.

Anche qui subì da parte del demonio terribili sevizie da restare tutto contuso. Si racconta che una
notte il demonio entrò nella grotta insieme ad altri demoni e coprì Antonio di colpi fino a lasciarlo a
terra sfinito. Per divina provvidenza, il giorno dopo giunse quel suo amico a portargli il pane.
Quando lo vide a terra, lo prese e lo trasportò alla chiesa del villaggio. Molti, anche suoi parenti, lo
credettero morto, ma verso la mezzanotte Antonio rientrò in se stesso e, come vide che tutti
dormivano e che solo quel suo amico era sveglio, lo pregò di riportarlo alla grotta. Il nemico
continuò a prendere sembianze diverse provocando un terribile frastuono e Antonio, frustato e ferito
da queste figure, provava sofferenze atroci su tutto il corpo, ma restava a giacere senza paura, forte
della sua fede.

Nel 285, quando ormai aveva 35 anni, interruppe qualunque relazione umana ritirandosi in un
vecchio rudere abbandonato sul monte Pispir, ad est del Nilo, un fortino pieno di serpenti che se ne
fuggirono subito, come se qualcuno li inseguisse. In quel luogo visse circa 20 anni, isolato dal
mondo e vietando l’accesso a chiunque, anche all’amico fedele che gli gettava i viveri al di sopra
delle mura di cinta. Chi veniva a trovarlo spesso passava giorni e notti fuori dal fortino e sentiva là
dentro come delle turbe in tumulto che gridavano: “Vattene dalle nostre terre! Che hai a che fare tu
con il deserto? Non sopporterai le nostre insidie!”.

Quelli che erano fuori pensarono che dentro vi fossero delle persone, ma quando, guardando dalle
fessure, videro che non vi era nessuno, capirono che quelli erano demoni e si misero a chiamare
Antonio, che li rassicurò di andare facendosi il segno della croce. Trascorso questo periodo, molti,
che volevano condurre la vita ascetica, si recarono da lui e così su quelle alture sorsero i primi
monasteri abitati da monaci, che si ponevano sotto la guida spirituale di Antonio. Qui verso il 307
ebbe la visita del monaco S. Ilarione.

Il Signore concedeva ad Antonio il dono della parola e così consolava coloro che erano afflitti,
riconciliava quelli che erano in lite e convinse molti ad abbracciare la vita solitaria. E così
apparvero dei monasteri e il deserto divenne una città abitata da monaci che avevano abbandonato i
loro beni e scritto il loro nome nella città del cielo. Antonio, con frequenti ammonizioni, accresceva
lo zelo di chi già era monaco e spingeva altri all’amore per la vita ascetica. In breve tempo sorsero
molte dimore solitarie e Antonio presiedeva a tutte come un padre, esortando i monaci a

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incoraggiarsi vicendevolmente, portando la giustizia, la carità, la temperanza, l’amore per i poveri,
la fede in Cristo, la perseveranza nella virtù.

Quando nel 311 iniziò la persecuzione di Massimino Daia, lasciò la solitudine per recarsi ad
Alessandria per sostenere ed assistere i confessori della fede, i martiri. Costretto dall’indiscrezione
del popolo alessandrino e anche dal desiderio di trovare una più completa solitudine, al termine
della persecuzione stabilì di addentrarsi nel deserto della Tebaide orientale (alto Egitto). Si unì ad
una carovana di mercanti arabi e si inoltrò per tre giorni e tre notti di cammino in una località
completamente disabitata. Si fermò presso una montagna distante trenta miglia dal Nilo. Qui si
manteneva intrecciando ceste di vimini e coltivando un piccolo appezzamento di terreno, i cui
prodotti venivano condivisi con coloro che andavano a trovarlo per essere istruiti nella vita ascetica.
La fama della sua santità era ormai nota in tutta la regione e molti si recavano per chiedere grazie e
guarigioni. Per sua intercessione il Signore permetteva che si compissero numerosi prodigi e
conversioni. Per questo il demonio si accaniva sempre di più contro di lui con tentazioni e visioni
spaventose. Da questo posto si recò a visitare il primo eremita S. Paolo. I monaci del Pispir non
tardarono a ritrovare le tracce e si organizzarono per recargli una scorta di viveri.

Presentendo ormai vicina la sua morte, Antonio si recò per l’ultima volta a visitare i suoi monaci,
esortandoli a non scoraggiarsi nella pratica ascetica; tornò quindi ad Alessandria per combattere gli
Ariani e le loro eresie. Ritornato al suo eremo, si ammalò e predisse ai due discepoli Macario e
Amathas, a cui aveva concesso di far vita comune con lui, la sua fine imminente e lasciò loro il suo
testamento:

“Io, come sta scritto, me ne vado per la via dei padri. Sento che il Signore mi chiama, voi siate
vigilanti e non lasciate che si perda il frutto della vostra lunga ascesi, ma preoccupatevi di tener viva
la vostra sollecitudine come se cominciaste soltanto adesso. Conoscete le insidie dei demoni, sapete
quanto sono feroci eppure deboli. Non temeteli, dunque, ma respirate sempre Cristo e abbiate fede
in Lui. Vivete come se doveste morire ogni giorno, vigilate su voi stessi e ricordate le esortazioni
che avete udito da me. Non abbiate alcun rapporto con gli scismatici, nessun rapporto con gli eretici
Ariani. Sapete come anche io li evitassi perché sono eretici e combattono il Cristo. Cercate
piuttosto, anche voi, di unirvi sempre al Signore e ai santi perché, dopo la vostra morte, vi
accolgano nelle dimore eterne come amici e familiari. A questo pensate e comprendetelo. E se mi
volete bene, non permettete che il mio corpo sia portato in Egitto perché non accada che sia messo
in qualche casa. È per questo motivo che sono rientrato sulla montagna e sono venuto qui.
Seppellite voi il mio corpo e nascondetelo sottoterra e custodite in voi la mia parola perché nessuno,
tranne voi soli, conosca il luogo dove è deposto il mio corpo. Nel giorno della Resurrezione dai
morti io lo riceverò incorrotto dal Salvatore. Dividetevi le mie vesti, al vescovo Atanasio date la
mia pelle di pecora e il mantello su cui mi stendo; al vescovo Serapione date l’altra pelle di pecora,
voi tenete la veste di pelo. Per il resto, figlioli, cercate la vostra salvezza. Antonimo se ne va e non è
più con voi “.

Antonio si spense all’età di 105 anni, il 17 gennaio del 356. La fama della sua santità si era già
diffusa in tutto il mondo cristiano.

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Antonio è un personaggio storico, nato in un villaggio egiziano, nella valle del Nilo,
morto all'età di 105 anni. Figlio di genitori copti, di una buona famiglia cristiana.

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Bambino, non amava la scuola né i giochi con i coetanei, ma frequentava la chiesa
con i genitori per ascoltare le letture bibliche. All'età di 18-20 anni, rimasto orfano, si
ritrova con la responsabilità della sorella minore.
E poi la chiamata. La lettura in Chiesa di un passo del vangelo di Matteo (19,21): se
vuoi essere perfetto, va' vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro
nel cielo; poi vieni e seguimi.
Antonio vi legge un segno divino, un oracolo indirizzato proprio a lui. Distribuisce i
campi alla gente del villaggio, vende i beni e dona l'argento ricavato ai poveri,
trattenendo solo una piccola parte per la sorella.
Nuovamente l'ascolto di un testo del vangelo, sempre Matteo (6,34), non vi
preoccupate del domani, e così finisce per donare tutto, dopo avere affidato la sorella
a pie donne.

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Inizia il suo ascetismo, ma, come si è detto, Antonio non fu il primo. In un villaggio
vicino, infatti, viveva un vecchio eremita che divenne il suo maestro spirituale.
Per un certo periodo visse in una tomba, poi, verso i 35 anni, in una fortezza
abbandonata, sulle rive del Nilo, dove rimase 20 anni.
Si ritirò nel deserto, sulla montagna di Pispir, a est del Nilo, dove fu seguito da
discepoli e imitatori.

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Nel 311, la persecuzione di Massimino Daia lo spinge a recarsi a Alessandria per


portare conforto ai martiri, desiderando egli stesso con forza il martirio (47, 1).
Avrebbe voluto morire, ma Dio non volle.

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Tornato nel deserto, riceve frequenti visite, ha paura di insuperbirsi per ciò che il
Signore compie per mezzo suo (cap. 49, p. 101) si ritira quindi all'interno su un
monte molto alto, guidato dalla Voce, a ca 30 km dal mar Rosso.
Antonio chiama il suo nuovo rifugio la montagna interiore (51,1), mentre in Pispir,
l'antica sede, indica la montagna esteriore, dove ogni tanto torna a trovare i discepoli.
Si dedica al lavoro dei campi e rende domestiche le belve.
Antonio, pur difendendo la sua solitutine ascetica, era prodigo di consigli verso chi lo
visitava, guariva e soccorreva i malati, aveva doni straordinari: percepiva i fatti che
accadevano a distanza (ad es. due fratelli in pericolo nel deserto), aveva la dote della
predizione, del discernimento degli spiriti (i buoni e i malvagi).
Intuisce a distanza la morte di Amun, attraverso la visione della sua anima elevata al
cielo.

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Era un fervente cattolico ortodosso, come il suo agiografo, Atanasio.
Non ebbe mai rapporti con Meliziani, Manichei e soprattutto Ariani.
Riceveva le visite di pagani, che volevano vedere l'uomo di Dio. Ebbe la meglio in
una discussione con alcuni filosofi, lui uomo non istruito, sapiente solo nelle Scritture
(cap. 72).
Infine, annunciata con anticipo la sua morte, ordina ai monaci di tenere celato il
luogo della sua sepoltura.

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Durante tutto questo periodo di vita, Antonio è attaccato continuamente dai demoni,
ma l'eremita riesce sempre a sottrarsi al nemico.
I demoni sono pericolosi, malvagi, vogliono solamente nuocere agli uomini. Antonio
in un discorso rassicurante ai monaci (16, 43) spiega la sua demonologia: il potere dei
demoni è circoscritto, nonostante la loro perfida astuzia. Soprattutto, non esiste un
principio del male, anche i diavoli sono creature, originariamente spiriti buoni poi
rivoltatisi contro Dio. Sono anime cadute, che hanno perso il loro stato originale e
dall'ora volteggiano nell'aria, il principale loro luogo di soggiorno (22,2).
E' stato Cristo, facendosi uomo, a colpire la potenza dei demoni, infatti essi
spariscono davanti al segno della croce, come la cera si fonde davanti al fuoco, come
sparisce il fumo (13, 7 // Sal 67, 2-3).
Anche la loro apparenza è ingannevole, vengono numerosi perché in realtà sono
impotenti. Spesso appaiono in forma di bestie feroci e di serpenti.
Bisogna recitare il salmi (39, 3; 40, 5), invocare il nome di Cristo (40, 2; 41, 6; 53, 2),
avere fede in lui.

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Con l'inganno
appaiono con fantasmagorie e bagliori, per fargli luce
con l'apparenza di un eremita, molto alto di statura
Ma di fronte alla imperturbabilità di Antonio, il diavolo ammette la sua debolezza
"Non sono io, sono loro a tormentarsi: infatti io sono diventato debole… non ho più
un posto mio, non un dardo (belos), non una città. Ci sono cristiani dappertutto: da
ultimo perfino il deserto si è riempito di monaci" (Vita di Antonio, 41,3s.)
Fin qui i fatti, la sintesi oggettiva e reale. Ma il significato? Qual è la chiave di
lettura?

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VERSO NUOVI MODELLI

Dopo gli atti e le passioni dei martiri, ci troviamo di fronte a una compiuta agiografia,
in cui è narrata la vita di un monaco asceta. Abbiamo visto che Antonio avrebbe
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voluto il martirio, nella prospettiva cristologica dell'imitatio Christi: il santo è infatti
il continuatore e l'erede del martire, la sua vita ascetica è un ideale supremo al quale
si accede al prezzo di una vita mortificata.
Così, in prospettiva cristologica va decifrata l'incredibile presenza del demonio, è un
frammento della lotta storica tra Cristo e il Male

C'è una differenza di fondo tra la vita di un eroe pagano (pensiamo alle vite dei
filosofi) e quella di un santo. Uno è l'uomo divino, l'altro è l'uomo di Dio, guidato
dalla grazia e suo strumento, come Mosè, Elia e gli altri profeti della tradizione
giudaica. L'uomo di Dio delle agiografie prende il posto dell'uomo divinizzato delle
biografie.
Per questo il Santo compie miracoli, a conferma e testimonianza che Dio opera per
mediazione del suo servitore, che ha raggiunto il più alto grado di perfezione.
Atanasio lo dice esplicitamente: non è Antonio che opera i miracoli, ma Dio.

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ELIA COME MODELLO (1)

Il modello di Antonio è biblico (il testo della vita è costruito su un ipotesto


scritturistico intenso, vi compaiono più di 100 citazioni bibliche). Antonio è
modellato su Elia, tutti i passi, numerosi, in cui l'eremita è seduto sulla montagna
rimandano a Elia. La montagna è il luogo dell'alto, sopra il mondo cattivo, chi vi è
seduto sopra esprime stabilità, calma interiore, ecco spiegato il senso di montagna
interiore.
Quando Atanasio nella praefatio dice di avere avuto informazioni da chi versava
acqua sulle mani di Antonio, cita IV Re 3, 11 dove Eliseo compie lo stesso gesto nei
confronti di Elia, il profeta trasportato in cielo da dio.

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ELIA COME MODELLO (2)

Il dialogo di Antonio sulla riva del Nilo (42, 2-5), in una cornice del mondo copto,
circondato dai demoni come cani, richiama il dialogo del Signore e del profeta sul
monte Horeb (3Re 19, 9-15), come il deserto (3Re 18, 4s) e il mangiare pane e acqua
(3Re 19, 6).
Le belve feroci sono un richiamo agli animali impuri del Levitico, testo che crea una
connessione fra demonio e mondo animale.
Il diavolo, abbiamo visto, è una specie di co-protagonista della Vita Antonii, con cui il
santo instaura una frequentazione privilegiata. La forma dialogica con il demonio che
caratterizza La tentation di Flaubert è già nell'opera di Atanasio.
Il diavolo gli appare come una donna seducente (anche nella vita di Pacomio), ma la
vittoria sulla carne è stata compiuta nel corpo perfetto di Cristo, di cui l'uomo
partecipa la natura divina, secondo la teologia di Atanasio, espressa nel De
incarnatione.
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Stanco delle sconfitte subite, il diavolo decide di apparirgli nelle sue reali sembianze,
quelle di un bambino negro. “digrignando i denti, … gli apparve con aspetto simile a
quello della sua mente, come un ragazzo nero”

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