Mauro Pesce
[articolo in forma precedente a quello pubblicato in: M. Pesce, “Sul concetto di giudeo-
visione del cristianesimo primitivo attirando l’attenzione su fonti e gruppi cristiani per lo più
Quegli studi hanno anche contribuito a mettere in luce le origini giudaiche del cristianesimo,
giudaismo sia alle culture e alle religioni greco-romane (il cosiddetto “paganesimo”). J.Daniélou,
ad esempio, sulla base delle sue ricerche, sintetizzate nel celebre volume La teologia del Giudeo-
cristianesimo2, perveniva così nella prima sezione della sua storia del cristianesimo antico (Nuova
Storia della Chiesa. I. Da Paolo a Gregorio Magno, Marietti, Torino, 1970) a riscrivere una storia
del cristianesimo primitivo che non seguiva lo schema degli Atti degli Apostoli, un’opera che –
come è noto – mette in luce solo alcuni aspetti dei primi decenni cristiani. Ciononostante, bisogna
dire che la maggior parte dei neotestamentaristi e degli storici del cristianesimo antico ha continuato
ad ignorare le fonti e i gruppi messi in luce dagli studiosi del giudeocristianesimo, senza proseguire
nella linea indicata ad esempio da Daniélou. Cosi V.Fusco, Le prime comunità cristiane. Tradizioni
e tendenze nel cristianesimo delle origini, Bologna EDB, 1997 conserva un impianto
essenzialmente dedicato agli scritti canonici del Nuovo Testamento e alle comunità che sembrano
stagliarsi dietro ad essi. Le pagine 155-176 sono dedicate ad un netto rifiuto di prendere in
considerazione altri scritti (nonostante l’ampio dibattito che egli dedica, nelle pagine 13-29, alla
tematica del giudeo-cristianesimo). Così G.Jossa nel suo Il cristianesimo antico. Dalle origini al
concilio di Nicea, Roma NIS, 1997, trascura quasi del tutto il giudeo-cristianesimo. Io stesso,
nonostante i miei studi sull’Ascensione di Isaia, ho poi finito per studiare solo testi canonici in due
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libri recenti scritti in collaborazione con A.Destro (Antropologia delle origini cristiane, Bari-Roma.
Laterza, 19972 e Come nasce una religione. Antropologia ed esegesi del Vangelo di Giovanni,
Siamo tuttavia di fronte, in questi anni, ad una seconda ondata di studi sul giudeo-
cristianesimo, come ci dimostra sia una serie di importanti convegni (quello di Gerusalemme,
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quello di Torino, questo stesso di cui si pubblicano qui gli atti) sia un numero interessante di
monografie e di articoli4. Ma questi lavori non possono essere isolati da un movimento più vasto
che possiamo definire una ridiscussione radicale della storia della nascita del cristianesimo: penso
volume Come nasce una religione (sebbene dedicato solo al Vangelo di Giovanni, ma con una
tratta di una vasta letteratura sviluppatasi negli ultimi dieci anni circa.5 Da questi studi sulla nascita
del cristianesimo i lavori recenti sul giudeo-cristianesimo non debbono essere isolati, altrimenti si
rischia di non comprenderne la portata. Tra la prima fase di studi sul giudeo-cristianesimo e la
seconda fase attuale esiste una connessione importante. La prima fase aveva avuto il merito di
suscitare una vasta mole di lavori analitici su singole opere e fonti che sono state da allora edite con
nuovi approfonditi criteri filologici e storici e poi commentate e messe in relazione fra loro
di questo studio analitico di singole opere è il gruppo di ricerca sull’Ascensione di Isaia suscitato
nel 1977 a Bologna e che ha prodotto da allora una ventina di studi analitici e infine, a cura di
E.Norelli, una edizione e commento in due volumi nel Corpus Christianorum.6 E. Norelli ha
trasmette momenti e concezioni di gruppi che ebbero rilevanza nel primissimo cristianesimo. Ma
potrei anche ricordare la pubblicazione della nuova edizione e commento della Didachè ad opera di
Giuseppe Visonà (Paoline, 2000) che restituisce a questa opera il valore di una testimonianza,
indipendente dai Sinottici, su tradizioni relative a Gesù e ad alcune primissime comunità dei seguaci
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di Gesù di estrema antichità che Visonà definisce giudeo-cristiane.7 Di questo nuovo panorama
degli studi sugli scritti protocristiani offre un’accurata introduzione il primo volume della Storia
della letteratura cristiana antica greca e latina di E.Norelli e C.Moreschini, un’opera di alto livello
che si potrà ora consultare nell’edizione francese riveduta e corretta.8 Queste ricerche sui singoli
testi dell’area cosiddetta giudeo-cristiana stimolano però ora una nuova visione anche perché negli
ultimi venti anni si è sviluppata una nuova ricerca sul Gesù storico che ha spinto a riconsiderare la
storia della redazione di molti scritti protocristiani, mettendo così in luce momenti e gruppi diversi
e antecedenti e indipendenti dagli scritti riuniti oggi nel Nuovo Testamento. Basti ricordare due
scritti protocristiani in appendice a The Historical Jesus (1991) di J.D.Crossan. Ad essi bisogna
aggiungere due importanti strumenti come i New Gospel Parallels di Robert Funk (1985) in due
anni recenti diversi specialisti lo hanno già fatto, si pensi ad esempio a Joan Taylor, S.C.Mimouni,
F.Blanchetière, ma ancor prima F.Manns, L.Cirillo, E.Norelli. Vorrei però affermare fin dall’inizio
che l’utilità di un chiarimento dei concetti storiografici è solo funzionale ad una migliore
utilizzazione delle fonti da parte dello storico e ad una più felice ricostruzione della varietà dei
fenomeni religiosi. Non c’è ricerca storica e filologica senza definizione dell’oggetto di indagine,
ma ciò che conta è l’esito dell’indagine. Cosicché anche una ricerca che muova da concetti
storiografici imprecisi o inadeguati ha una qualche validità, nella misura in cui sia in grado di
comunque di far vedere meglio un testo o una corrente. Si può abbandonare il concetto storiografico
necessario abbandonare il concetto di giudeo-cristianesimo per la prima fase della storia del
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cristianesimo, ma solo per poter meglio valorizzare le fonti e le tendenze che la ricerca passata sul
Per definire in modo corretto i giudeo-cristiani sono necessarie due cose: 1) che sia chiaro il
concetto di “giudeo-cristianesimo” che si usa e 2) che sia ben individuato il gruppo religioso o il
fenomeno religioso che si vuol definire (il che implica una individuazione di fonti storiche precise).
Un chiarimento teorico sulla natura dei concetti storiografici è necessario, ma deve essere in
questa sede necessariamente molto breve. Siamo oggi, molto più che in passato, coscienti che i
concetti storiografici hanno sempre una storia: nascono, si trasformano e muoiono. I concetti
storiografici non sono realtà naturali, bensì prodotti di determinate tendenze culturali. Viviamo oggi
in un’epoca in cui è iniziata una sistematica considerazione critica dei concetti storiografici usati
dalle scienze umane per definire fenomeni religiosi del passato (si pensi ai concetti di rito, sacro,
sacrificio, profetismo, messianismo, apocalittica, ecc.). Molti dei concetti che usiamo per definire
realtà appartenenti al mondo antico sono stati, infatti, forgiati negli ultimi 150 anni ed erano
preferisce, condizionano la delimitazione della realtà che si vuole definire. Ciò, che è ormai
un’ovvietà nella scienza della letteratura o nella sociologia della letteratura. Se ad esempio si
definisce il concetto di giudaismo da un punto di vista non etnico, ma culturale, saranno giudeo-
cristiani tutti i testi cristiani che si esprimono all’interno della cultura giudaica. Ovviamente per
potere considerare appartenenti alla cultura giudaica certi testi sarà necessario definire prima cosa si
ritiene imprescindibile e sufficiente perché si possa dire che ci si muove all’interno della cultura
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considerare giudaica anche la cultura giudaico ellenistica? E’ in base ad un criterio come questo che
J.Daniélou poteva considerare giudeo-cristiani tutti gli scritti che si esprimevano nei termini della
cultura giudaica. Oppure dovremo considerare giudeo-cristiani gli scritti e i gruppi che si situano
all’interno non della cultura giudaica solo, ma del giudaismo come religione e del popolo ebraico
Secondo una distinzione che avuto alterne fortune negli studi antropologici, i concetti
possono distinguersi in “-emici” ed “–etici”, una terminologia che nasce dalla distinzione tra “fon-
emico” e “fon-etico” e che vuole indicare che esistono concetti usati all’interno della fonte studiata
(quelli “emici”) e concetti usati dallo studioso che analizza quella fonte (quelli “etici”). Non si può
a fare a meno di concetti etici. Molte volte si legge ancora da parte di alcuni esegeti la critica rivolta
a scienziati della letteratura o a specialisti di scienze sociali, critica secondo la quale essi
applicherebbero alle fonti antiche concetti che in quelle fonti non esistono.Ciò è una ingenuità
epistemologica, perché non esiste studioso che non applichi alle fonti concetti che provengono dalla
sua cultura.Il processo della conoscenza inizia proprio quando, in base a concetti del nostro tempo,
incominciamo ad indagare il passato e si compie solo quando i nostri concetti, ai quali non
trasformano a contatto con i concetti usati dalle fonti, in un processo dialettico senza fine e che non
può arrivare mai ad una totale adeguazione del soggetto all’oggetto. Questo problema della
dialettica tra concetti delle scienze attuali e concetti dei nativi o degli antichi è ampiamente
analizzato nella lettura antropologica12 ed è noto negli studi di storia delle religioni. Basti qui
rimandare alle pagine introduttorie di U.Fabietti13 o, per un caso concreto, al vasto di battito sul
culture diverse dalla nostra e il mondo antico in cui il cristianesimo è parte integrante appartiene ad
una cultura diversa dalla nostra. “Comprendere l’alterità” è un espressione che riassume i due poli
del problema: siamo noi con la nostra cultura e i concetti nostri che dobbiamo “comprendere”, ma
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ciò che dobbiamo comprendere con i nostri concetti è fuori dalla nostra cultura e appartiene ad un
autonome: il cristianesimo e il giudaismo. Presuppone, cioè, che esista il cristianesimo e che esista
intenda. Ciò significa che si può parlare di giudeo-cristianesimo solo a partire dal momento in cui il
cristianesimo esiste. Ma, come è noto, questa è questione storica difficile e comunque oggi
usiamo oggi, sono due concetti “etici” e non “emici”, almeno nel senso che i concetti di
cristianesimo e giudaismo usati nel XX e XXI secolo sono diversi da quelli usati nel II e III secolo.
Sono concetti forgiati da noi, dalla nostra cultura e dalla nostra teologia e non dalle fonti. Gran parte
dei problemi della definizione del giudeo-cristianesimo sta nella necessaria dialettica tra una
definizione usata negli studi dell’ultimo secolo e l’autodefinizione dei gruppi e dei testi religiosi che
del giudaismo, sarà anzitutto necessario chiarire quando e dove (cioè in quali aree geografico-
ecclesiastiche) si può dire che esista un fenomeno religioso autonomo dal giudaismo che possiamo
chiamare cristianesimo. E’ legittimo, infatti, ipotizzare che non in ogni situazione si sia verificata
nello stesso tempo questa autonomizzazione che permette di parlare del cristianesimo come
fenomeno religioso distinto dal giudaismo. In secondo luogo, sarà necessario chiarire accuratamente
modo accurato la fisionomia religiosa di questi cristianesimi che si sono autonomizzati dal
giudaismo (o meglio da una particolare forma di giudaismo, visto che di giudaismi, nel I secolo, ce
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ne erano diversi). E, nel precisare il contenuto di questi gruppi che si sono autonomizzati dal
giudaismo, bisognerà guardarsi dal proiettare su di essi le realtà istituzionali, dogmatiche etiche e
Partiamo da questo secondo punto. Qui non bisogna creare una confusione che deriva dal
fatto di usare la stessa parola “cristianesimo” per definire realtà storico-religiose differenti. Se per
cristianesimo si intende una precisa realtà istituzionale, dogmatica, etica e liturgica che esiste solo a
partire dalla fine del II secolo, non si dovrà poi pensare che il cristianesimo così definito esista già
quando gli Atti degli apostoli ci dicono che per la prima volta ad Antiochia i discepoli furono
chiamati christianoi. Il fatto che ad Antiochia in un periodo di tempo difficile da determinare alcuni
di persone oppure, al contrario, che i membri di questo gruppo si siano, dall’interno, autodefiniti
christianoi non ci trasmette informazioni precise sulle concezioni, la prassi etica e liturgica, le
istituzioni del gruppo di Antiochia che alcuni chiamavano christianoi. Inoltre, non si dovrebbe
trascurare che non sappiamo se avrebbero chiamato con lo stesso appellativo gruppi di seguaci di
Gesù di altri luoghi che presentassero caratteristiche diverse. Neppure è dimostrato che altri gruppi
di seguaci di Gesù si definissero in quel medesimo periodo christianoi. In ogni caso, la definizione
storico-religiosa dei membri di questo gruppo che qualcuno chiamava o che essi stessi si
chiamavano christianoi dovrà essere fatta sulla base delle credenze, delle pratiche e della
configurazione sociale di quel gruppo senza attribuire ad esso(qui è il punto) concezioni, pratiche e
confini sociali che sono tipici solo di gruppi religiosi successivi. Richiamarsi perciò a quella frase
degli Atti per risolvere il problema delle origini del cristianesimo è una ingenuità storiografica.
I problemi più importanti da risolvere per un uso corretto del concetto “etico” di
Cristianesimo sono – lo ribadisco- perciò due: quando e dove i gruppi dei seguaci di Gesù si
autonomizzano dal giudaismo; quale fisionomia storico-religiosa essi possedevano, una fisionomia
che non va confusa con quella del cristianesimo successivo, né letta alla luce di esso.
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Partiamo dal primo e cioè dall’autonomia dal giudaismo come elemento assolutamente
necessario per poter parlare di cristianesimo. La prima esigenza, da questo punto di vista, è un
chiarimento sul significato dei termini “giudaico”, “gentile”16 e “cristiano”. Questi termini possono
avere ciascuno tre significati diversi: etnico, religioso e culturale. Alcune delle confusioni da evitare
derivano dal fatto che uno dei tre concetti, preso in uno dei suoi tre significati, viene confrontato
con un altro dei tre concetti, preso però in un significato diverso. L’elemento etnico, ad esempio,
non può essere semplicemente sullo stesso piano di quello religioso e culturale.
sistematica adeguata.
“Giudeo” o “giudaico” può significare tre cose diverse. In un primo caso, “giudeo“ definisce
secondo caso, definisce, invece, modi di vita, concezioni, istituzioni, meccanismi di adesione a
gruppi. In sostanza, nel primo caso, “giudaico” si riferisce ad un ethnos e ai suoi singoli membri;
nel secondo, ad una cultura e ai singoli aspetti di essa. Esiste però anche un terzo significato,
quando “giudaico” si riferisce più strettamente e ciò che potremmo provvisoriamente chiamare
“religione”.La possibilità di distinguere all’interno della cultura giudaica gli elementi strettamente
religiosi non è una ipotesi astratta, ma si basa sui dati che emergono dai testi che ci trasmettono la
cultura giudaica dell’età in cui il cristianesimo di forma. Lucio Troiani ha mostrato, ad esempio, che
Svetonio distingueva fra i Giudei «quanti cercavano d’eludere la tassa, non dichiarando la vita
giudaica (in pratica dichiarando di non essere praticanti) da quanti sconfessavano addirittura
l’appartenenza alla costituzione d’Israele: Praeter ceteros Iudaicus fiscus acerbissime actus est; ad
quem deferebantur, qui velut improfessi Iudaicam viverent vitam vel dissimulata origine imposta
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frequentissimoque consilio inspiceretur nonagenarius senex an circumsectus esset» («La tassa sui
Giudei fu riscossa con un rigore tutto particolare: vi si sottoponevano sia i proseliti che vivevano
come i Giudei, senza averlo dichiarato, sia coloro che, dissimulandone l'origine, si erano sottratti ai
tributi imposti a questa nazione. Mi ricordo di aver visto, quando ero appena adolescente, un agente
del fisco, accompagnato da un numeroso seguito, esaminare un vecchio di novant'anni per stabilire
se era circonciso»).17
Più avanti Troiani scrive «un’identità giudaica comportava differenti sfumature e gradi di
adesione, Giovenale, che vive all’incirca fra il 60 e il 130 d.C., parlando dell’influenza, a suo
giudizio nefasta, che i vizi dei genitori avrebbero sulla prole, descrive il comportamento di quei figli
che “avendo ricevuto in sorte un padre che teme il sabato, non adorano che le nubi e il nume del
cielo e non ritengono che la carne di maiale differisca da quella umana”. Tutto questo ancora sulle
orme della consuetudine paterna. Essi poi aggiungerebbero di proprio la circoncisione». Abbiamo
quindi anche una posizione di affermazione di identità ebraica religiosa molto chiara.18 Conclude
tentazioni e delle mode della civiltà profana e secolare dei cosiddetti classici, abituati a
caratterizzarlo come contemplativo e assorto nella severa speculazione della Torah, finiamo per
sottovalutare ed oscurare la sua “laica” presenza, costante ed assidua per secoli, nella vita
cittadina».19
Quando parliamo di “gentili“, ci riferiamo di solito almeno a tre cose socialmente diverse.
Per “gentile” possiamo intendere una persona che per nascita è non-giudea e che giudea non è
diventata. In realtà, anche da questo punto di vista non è corretto contrapporre giudei e gentili intesi
come non-giudei, perché il concetto di “gentile” applicato ai non-giudei, non li definisce per
caratteristiche loro proprie (sottolineo questo punto), ma per il fatto di non condividere
l'appartenenza all'ethnos giudaico. Sarebbe molto meglio confrontare Giudei con Romani, o con
Illirici, Egiziani, ecc. perché così si confronterebbero gruppi etnici e cioè classi comparabili da un
punto di vista comune, l’appartenenza, appunto, ad un ethnos. In questo primo senso “gentile”
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significa chi appartiene a gruppi etnici diversi da quello ebraico. In un secondo senso, “gentile” si
riferisce invece alle religioni (sottolineo il sostantivo religioni) tradizionali non-ebraiche del mondo
greco-romano e definisce perciò non una cultura, ma un elemento della cultura, la religione.Il
potremmo domandarci fino a che punto il nostro concetto di religione corrisponda a ciò che
indichiamo come “religione” nel mondo antico. Infine, “gentile” può indicare le antiche culture
greco-romane. Ma della cultura greco-romana del I secolo facevano parte anche i Giudei. Cosicché,
da questo punto di vista, non si può opporre “giudaico” a “gentile”, perché, ripeto, da questo terzo
punto di vista, i Giudei sono sempre anche “gentili” come cultura. Questo è un fatto che viene
troppo trascurato.
In conclusione, “giudaico” e “gentile”, nei primi due secoli della storia cristiana, assumono
tutte e tre queste valenze. Il termine cristiano, invece, assume solo una valenza religiosa. I gruppi
dei seguaci di Gesù nei primi due secoli non hanno ancora prodotto una “cultura”. Se di
cristianesimo si potesse parlare dovremmo dire che il cristianesimo non è ancora una cultura. Ciò
perché la società nei suoi elementi culturali fondamentali: il modo di occupare lo spazio pubblico e
domestico, il modo di organizzare il tempo, la visione complessiva del mondo, le pratiche sociali
dell’intera società non sono in alcun modo “cristiane”, nel senso che non dipendono dagli
insegnamenti di Gesù o dagli insegnamenti delle autorità delle singole chiese. I gruppi dei seguaci
di Gesù non sono ancora pervenuti a trasformare il modo di calcolare il tempo o di occupare lo
spazio di un’intera società in senso cristiano. I seguaci di Gesù non hanno alcuna intenzione di
trasformare lo spazio pubblico. Un’architettura cristiana non esiste ancora e le comunità stanno
soltanto lentamente trasformando dall’interno gli spazi abitativi delle case normali per renderli più
funzionali ai bisogni comunitari e liturgici.20 Essi si occupano di emanare norme per i propri
membri soltanto e non per l’intera società. Perché si possa parlare di una morale “cristiana”, inoltre,
ci vorrà molto tempo.21 Anche di famiglia “cristiana” non si può ancora parlare.22 Infine i seguaci di
Gesù si presentano non come un ethnos, ma come un insieme di associazioni volontarie.23 Il fatto
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che le associazioni dei seguaci di Gesù si presentassero all’interno di culture diverse è anche
significativo dal nostro punto di vista perché conferma che esse non si caratterizzassero attraverso
Se vogliamo parlare perciò di nascita del cristianesimo intendendo con ciò l’autonomia del
cristianesimo dal giudaismo, dovremo parlare di autonomia non primariamente dal punto di vista
Ciò richiede un ulteriore chiarimento su cosa si intenda per “religione”. Credo che dopo la
semplicemente uno dei sistemi concettuali possibili con cui una determinata cultura, quella latina e
questo concetto così abusato e impreciso di “religione”. Del resto una critica al concetto di
“religione” è oggi diffusa (anche senza arrivare alle astrattezze teologiche di quanti vorrebbero che
il cristianesimo non fosse una religione). In questo articolo, al concetto di “religione” preferisco
quello di “sistema religioso”. I tre elementi essenziali e imprescindibili di un sistema religioso sono
visioni del mondo, condivise dal medesimo gruppo sociale.25 Il punto fondamentale è che una
religione non è un insieme di idee, ma implica persone coinvolte nella totalità della propria vita (o
in buona parte di essa) investendo i più diversi aspetti della vita individuale e collettiva.
della transizione da una religione all'altra. Credo che si possa dire che un movimento, corrente o
comunità non è più “giudaico” quando si distacca nettamente dal giudaismo nei tre elementi
questo proposito, richiamo osservazioni che ho scritto in collaborazione con A.Destro: «Quando si
può dire [...] che un gruppo, nato all'interno del monoteismo ebraico, se ne distacchi in modo tale da
configurare un nuovo sistema religioso? E quando invece si può pensare che costituisca
semplicemente un movimento all'interno del monoteismo ebraico? Riteniamo che si dia un nuovo
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sistema religioso quando per aderirvi non è considerata condizione necessaria l'essere ebrei; quando
le sue concezioni si presentano come effetto di una rivelazione diretta di Dio e con accentuati
caratteri di diversità rispetto alla rivelazione precedente; quando la prassi rituale è diversa ed
autonoma. Riteniamo, invece, che una nuova formazione sia semplicemente un movimento interno
all'ebraismo quando il gruppo che lo costituisce continua ad essere composto da soli ebrei; quando
le concezioni nuove consistono in reinterpretazioni della tradizione data e la sua prassi rituale non è
indipendente».26
A conclusione di queste riflessioni sui diversi significati dei termini, giudaico, gentile e
confronta il termine “cristiano”, che nei primi due secoli ha solo significato religioso, con un
In base a questo modo di impostare la questione noi arriviamo alla conclusione che il
sistema religioso supposto dal Vangelo di Giovanni non sia più giudaico, ma non sia ancora
“cristiano”. Mi sia permesso riportare quando in passato scrivevamo al proposito: «La comunità
giovannista è ormai staccata dal giudaismo perché autonoma negli elementi fondamentali che
caratterizzano un sistema religioso. Anzitutto, è membro della comunità chiunque creda in Gesù e
lo confessi apertamente distaccandosi dal gruppo di provenienza ebraico o non ebraico. Ciò
contrasta con un presupposto religioso primario dei sistemi giudaici, ai quali si appartiene se si è
ebreo o lo si diventa. Gli aderenti o componenti della comunità giovannista, poi, possiedono ormai
una propria visione del mondo. Parte essenziale della concezione che li definisce come gruppo è la
convinzione di essere posseduti o impregnati dallo spirito. È proprio grazie alla presenza dello
spirito, che il disegno divino, che si è compiuto nei discepoli storici, si è trasferito nella comunità
giovannista. Essa è nata nel momento stesso in cui Gesù ha completato l'iniziazione dei suoi con la
trasmissione fisica del soffio vitale di Dio. Se i discepoli vivevano della guida e dell'insegnamento
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del maestro, la comunità giovannista vive sotto l'influenza costante dell'ispirazione soprannaturale.
Il giovannismo mantiene le sacre scritture ebraiche perché contengono alcune delle basi
fondamentali della propria visione religiosa del mondo. Ritiene, però, grazie all'assistenza dello
spirito, di possederne un’interpretazione più vera e in ciò appare distanziato e contrapposto rispetto
al gruppo di quelli che Giovanni chiama i «Giudei». La comunità giovannista presenta, poi, la
propria singolarità anche nel modo in cui concepisce la propria fondazione e il proprio scopo. Essa
ritiene di essere stata fondata in modo extra-umano e di avere ricevuto un comando divino a
Anche sul piano delle norme e della prassi religiosa il giovannismo è autonomo, soprattutto
perché ritiene di possedere la forma vera del culto, l'adorazione. Si tratta di un atto che Giovanni
immagina esterno all'organizzazione templare e privo di altri supporti sacrali legati a determinazioni
spazio-temporali. Esso consiste nell'incontro con la divinità, dentro e attraverso il proprio corpo,
indipendentemente dal luogo in cui ci si trova. Negando radicalmente la necessità del tempio di
Gerusalemme, il giovannismo si autonomizza dal sistema sacrificale sia in teoria sia nei fatti,
esclusivamente dalla comunità. Ciò costituisce un fatto strepitoso per un ambiente che sul sacrificio
ha costruito gran parte del sistema di mediazione fra umano e sovrumano, nonostante che ciò,
sebbene in forme diverse, si verifichi anche nel giudaismo rabbinico pressappoco coevo a Giovanni.
L'autonomia della comunità giovannista si manifesta, infine, nei riti di ammissione (che
richiedono una esplicita confessione di fede in Gesù) e soprattutto in un processo iniziatico che
dalle forme più semplici della cena fino all'alitazione dello spirito, che cementa il gruppo dei
discepoli storici e lo proietta verso il futuro. Anzi, ne garantisce la durata a lungo termine.
L'avere sperimentato insieme le diverse azioni iniziatiche crea un ineliminabile legame, che
costituisce la base di aggregazione trasmissibile ad ogni altra futura comunità. Nella misura in
cui il rito iniziatico dei discepoli, in particolare l'alitazione, diventa - esperienzialmente più che
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intellettualmente - il nucleo forte della visione che sostiene la comunità, esso costituisce un
evento cardine per la memoria degli iniziati e per quella di chi verrà dopo. In altri termini, i
discepoli di Gesù riemergono dallo stato incerto e liminale e assumono fisionomia storica per sé
e per la comunità successiva. Il tempo nuovo, quello stesso del giovannismo, inizia tutto a
partire da questa loro riemersione, dalla loro esperienza vissuta per intervento di forze
Tuttavia noi concludevamo dicendo che il giovannismo, pur essendo autonomo dal
giudaismo non era un cristianesimo perché non preventiva le caratteristiche tipiche del
cristianesimo della seconda metà del II secolo. Si questo si può discutere.Ma ciò che qui voglio
sottolineare è che non si può parlare di giudeocristianesimo finché il cristianesimo non esiste.
Ritenendo che di cristianesimo non si possa parlare se non a partire dagli inizi del II secolo
(e qui i pareri divergono sulla data di inizio), diversi studiosi negano che si possa parlare di giudeo-
cristianesimo per tutto il I secolo semplicemente perché il cristianesimo non esisteva e tutti i gruppi
dei seguaci di Gesù si muovevano all’interno del giudaismo. Prendiamo ad esempio il caso di S.C.
Mimouni che ha pubblicato nel 1998 una raccolta di saggi storici su Le Judeo-Christianisme
recente che designa dei cristiani di origine giudaica che hanno riconosciuto la messianicità di Gesù,
i quali hanno riconosciuto oppure non hanno riconosciuto la divinità del Cristo, ma che tutti
continuano ad osservare la Torah».28 Mimouni ritiene quindi fondamentale, per determinare chi sia
fondamentale affermare che: «per il periodo che va fino al 135 [...] non sembra necessario occuparsi
della definizione del giudeo-cristianesimo perché il cristianesimo non è ancora se non una corrente
all'interno del giudaismo».29 Sul fatto che non si possa parlare di “cristianesimo” almeno per buona
parte del I secolo sono d'accordo molti studiosi. Ad esempio, J.D.Crossan: «Quando la maggioranza
della gente vede il termine Cristianesimo pensa ad una religione del tutto separata dal Giudaismo.
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Questa è una rappresentazione esatta della realtà di oggi, ma è disperatamente errata per la prima
metà del primo secolo. Io potrei parlare del movimento del regno di Dio, o del movimento di Gesù,
o usare qualche altra espressione storicamente corretta che ci impedisca di pensare ad una religione
separata dal giudaismo. Ogni volta che uso i termini cristiano o cristianesimo in questo libro -
prosegue Crossan - intendo una setta all'interno del Giudaismo. Io parlo di Giudaismo cristiano
(Christian Judaism) nello stesso senso in cui parlo di Giudaismo farisaico, di Giudaismo sadduceo,
di Giudaismo esseno, di Giudaismo apocalittico o di una qualsiasi delle molte sette e fazioni della
Terra degli Ebrei nel Primo secolo [...]».30 Personalmente, preferisco evitare l'aggettivo “cristiano”
anche in questo caso, perché esso è, a mio avviso, legato ad una forma religiosa che si afferma solo
dopo la metà del II secolo. Secondo Raymond E. Brown,31 prima del 70 i cristiani non sono che una
corrente interna al giudaismo. Il cristianesimo non può perciò essere definito né giudeo-cristiano, né
70 n’est ni judéo-chrétien ni pagano-chrétien, car tout simplement, doit-on ajouter, il est juif tant
pour les autorités religieuses juives que pour les autoritès politiques romaines».32 Solo «après 70, le
rédaction de l’Evangile selon Matthieu que s’ouvre un debat réel entre le christianisme – dans une
de ses branches judéo-chrétiennes – et le judaïsme».33 Io credo che questo dibattito sia testimoniato
anche dalle fasi giudaiche delle comunità palestinesi giovanniste.34 Mimouni conclude: «D’un point
de vue historique, avant cette date, il est donc difficile de considérer le christianisme comme une
religion à part entière, il est “une sensibilité”, parmi d’autres, au sein du judaïsme».35 «Avant 70 -
continua Mimouni – et dans une certaine mesure jusque’aux environs de l’an 100, il est donc
possibile de considérer qu’il y a, parmi d’autres, des juif chrétiens, come il y a des juifs sadducèens,
cristianesimo nel I secolo e se non esiste nel I secolo un cristianesimo normativo, il ricorso al
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concetto di giudeo-cristianesimo per definire concezioni o gruppi cristiani del I secolo si rivelerà
nella sua natura essenzialmente confessionale, e cioè come uno strumento per individuare,
all’interno delle fonti e delle realtà storiche cosiddette cristiane del I secolo, correnti e concezioni
normative che verranno definite semplicemente “cristiane”, da correnti devianti o marginali definite
“giudeo-cristiane”. Il criterio di valutazione sarà tratto da una sola delle fonti o delle correnti (ad
esempio le lettere di Paolo o gli Atti degli Apostoli) oppure dagli assetti cristiani dogmatici ed
istituzionali successivi.
Se si può parlare di Giudeo-cristianesimo solo dopo che esiste il cristianesimo e solo dopo
che il cristianesimo è una realtà distinta dal giudaismo, mi sembra opportuno distinguere tre periodi
storici. Il primo va da Gesù al momento in cui alcuni gruppi di seguaci di Gesù escono dal
giudaismo (un periodo che va dagli inizi degli anni 30 e che finisce in epoche diverse a seconda dei
gruppi e delle aree geografico-religiose. Questo termine ad quem, abbastanza vario per le diverse
aree, potrebbe andare da 70 circa fino agli inizi del II secolo. Il secondo va da quando alcuni gruppi
di seguaci di Gesù escono dal giudaismo a quando si forma il cristianesimo (un periodo che va
perciò dal 70-100 circa al secondo decennio circa del II secolo).Questo periodo intermedio
normalmente non viene mai preso in considerazione, ma è secondo il mio parere di estrema
importanza. Il fatto che i gruppi di seguaci di Gesù escano dal giudaismo non significa che nasca
una nuova religione chiamata cristianesimo. Esiste un periodo intermedio in cui i gruppi di seguaci
di Gesù non appartengono più al giudaismo, ma non appartengono neppure al cristianesimo che
ancora non esiste. Il terzo va da quando si forma il cristianesimo a quando si forma un cristianesimo
normativo.
come concetto “etico”, “gruppi o comunità di seguaci di Gesù” e, come concetto “emico”, se
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vivono all'interno del giudaismo e poi, più o meno lentamente e in diversi modi e in relazione a
eventi diversi, si distaccano dalle istituzioni, dalle pratiche, dalle concezioni e dai modi di costituire
comunità (o entrare in esse) che si possono definire giudaici. Solo alla fine di questo periodo si può
tale, almeno in alcuni punti, dalla maggioranza delle correnti e un'organizzazione comunitaria
Agli inizi, i gruppi dei seguaci di Gesù facevano certamente parte del Giudaismo nei quattro
aspetti che ho sopra elencato (istituzioni, pratiche, concezioni, modi di entrare in comunità o
costituirle). Se essi non possono essere definiti cristiani, come definirli allora? Quelli di loro che
erano giudei di nascita possono definirsi certamente “giudei”. Quelli invece che erano non-giudei di
nascita, e cioè i cosiddetti “gentili”, in alcuni casi furono circoncisi e perciò entrarono a far parte del
popolo giudaico e possono anch'essi definirsi “giudei”. Gli altri non-giudei che non furono
circoncisi, e che però erano seguaci di Gesù, adottavano pratiche, concezioni giudaiche, ed erano
sottomessi ad istituzioni e facevano parte di comunità o gruppi che si possono definire giudaici.
Un esempio di questa situazione iniziale si ha, a mio parere, nelle fasi giudaiche del
giovannismo così come sono testimoniate nel Vangelo di Giovanni. Ricostruendo le diverse fasi di
formazione del Vangelo di Giovanni, è possibile vedere che le comunità giovanniste, prima di
staccarsi da quelle giudaiche, condividevano l’organizzazione del tempo tipico della cultura
religiosa ebraica secondo il calendario delle feste annuali37 e la vita sinagogale giudaica;38 che
queste comunità giudaiche giovanniste credevano in Gesù come messia; che l’espulsione dalle
sinagoghe si verificò in un determinato periodo politico religioso della Giudea e fu motivato solo
dalla credenza messianica e non da adesione ad una cristologia cosiddetta alta. 39 E’ ipotizzabile,
infine,che i temi di frizione e dibattito tra i giudei giovannisti e gli altri giudei fossero quattro: il
problema del come doveva avvenire la purificazione; il problema di come si possa raggiungere la
propria identità; la natura degli atti di culto a Dio; il sabato.40 Il giovannismo che si materializza nel
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Vangelo di Giovanni è una fase successiva che testimonia già l’uscita dal giudaismo e ha ormai
criticato e abbandonato la fase giudaica delle comunità giovanniste dei seguaci di Gesù.
radicato piuttosto tra gli “ellenisti”, da cui poi deriverebbe il cristianesimo, e l’altro radicato
piuttosto tra gli “ebrei” che egli chiama “nazareismo” distinguendo in esso una prima fase definita
proto-nazareismo. Credo che vada valutato molto positivamente il tentativo di trovare concetti
nuovi per definire le diverse correnti dei primi seguaci di Gesù. Blanchetière introduce il concetto di
proto-nazareismo. Esso è delimitato cronologicamente con il terminus ad quem del 135 quando il
vescovo della chiesa di Gerusalemme cessa di essere un ebreo. Non si tratta di un movimento
uniforme: «à l’origine et pendant des décennies il n’y a certainement pas eu uniformité de pensée au
sein des communautés des disciples du Nazaréen».41 Posto poi che i primi discepoli di Gesù furono
ebrei e che il nazareismo si diffuse in ambienti ebraici, il contesto socioculturale sarebbe quello dei
«grandi centri giudaici dell’inizio della nostra era».42 Le fonti che, secondo Blanchertière,
e gli Atti degli Apostoli (ma solo come fonti per la ricostruzione del nazareismo).
Anche per il secondo periodo non potremo parlare di cristianesimo, ma dovremo usare come
concetto “emico” l’autodefinizione di ciascun gruppo (ad esempio, per il giovannismo: forse “veri
adoratori”), e come concetto “etico” dovremo elaborare dei concetti adatti. Ad esempio, per le
comunità che stanno dietro l’ultima redazione del Vangelo di Giovanni abbiamo coniato il termine
Per il terzo periodo, potremo usare una molteplicità di concetti “emici” tra cui anche quello
Blanchetière.44 Solo alla fine di questo periodo emerge un cristianesimo normativo, ma non
bisognerà mai confondere il contenuto di questo termine con il contenuto che a questo termine gli
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attribuisce un teologo appartenente ad una determinata chiesa di oggi. Sappiamo bene che Calvino,
Bernardino Ochino e Bellarmino attribuivano contenuti ben diversi al termine cristianesimo. E così
Intorno alla metà del II secolo, il problema di quale nome dare ai gruppi che oggi si
chiamano giudeo-cristiani mi sembra che si poneva di fatto. Scritto intorno al 160, il Dialogo con
Trifone di Giustino dimostra nel suo paragrafo 47 che non esisteva il termine “giudeo-cristiani”. In
questo paragrafo Giustino parla di alcuni Giudei che credono in Gesù Cristo e che sono descritti da
lui con cinque caratteristiche. 1. Sono «della vostra stirpe» (oiJ ajpo; tou' gevnou" tou' uJmetevrou,
47.3) dice Giustino rivolgendosi al Giudeo Trifone. 2. Credono che Gesù sia il Cristo e gli
obbediscono. 3. Vivono osservando integralmente la legge mosaica (ejk panto;" kata; to;n dia;
Mwusevw" diatacqevnta novmon […] zh'n). L’osservanza della legge mosaica è poi precisata in
sabbativzein, o{sa toiau'tav threi'n, 47,2). 4. Essi non costringono quelli che sono Gentili e credono
in Cristo (tou;" a[llou" ajnqrwvpou", levgw dh; tou;" ajpo; tw'n ejqnw'n dia; tou' Cristou' ajpo; th'"
plavnh" peritmhqevnta") ad osservare la legge mosaica integralmente e ritengono che anche senza
l’osservanza della legge mosaica integrale quelli si salvino. 5. Infine, essi accettano di vivere
insieme (koinwnei'n) ai «cristiani e ai fedeli» (bouvlwntai kai; aiJrw'ntai suzh'n toi'" Cristianoi'").
Quelli che hanno queste caratteristiche sono accettati da Giustino alla koinonia (kai;
Truvfwn, kai; mhde; koinwnei'n oJmiliva" h] eJstiva" toi'" toiouvtoi" tolmw'nte": oi|" ejgw; ouj
suvnainov" eijmi). Mi sembra chiaro che ai tempi di Giustino non esistevano regole ufficiali, una
direttiva unitaria e “normativa” sulla questione. Giustino, infatti, dice che egli «ritiene» che vadano
accettati alla koinonia, mentre, al contrario, altri pensano il contrario. Giustino non esita a dire che
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non è affatto d’accordo con loro. Questi “cristiani” rifiutano di convivere (koinwnei'n) con gli ebrei
che credono in Cristo (mhde; koinwnei'n oJmiliva" h] eJstiva" toi'" toiouvtoi" tolmw'nte"). Il rifiuto
Non esiste, quindi, una norma superiore cui ambedue le posizioni “cristiane” (quelli che
accettano e quelli che rifiutano la koinonia) debbano adeguarsi. I cristianesimi del 160 non
sembrano avere una posizione unitaria su questa questione. Di cristianesimo normativo, o di grande
Vorrei sottolineare che Giustino non ha un nome speciale per definire questo gruppo di
Giudei che credono in Gesù, ma non li chiama “cristiani”. I “cristiani” sono coloro che credono in
Gesù Cristo e sono Gentili. E’ chiaro che il termine “cristiani” definisce un gruppo in cui non sono
normalmente inclusi gli ebrei che abbiano le cinque caratteristiche appena ricordate. Ciò significa
che il termine “cristiano” non è un termine capace di abbracciare tutti coloro che credono in Gesù
Cristo, ma definisce un solo settore di essi. In qualche modo, sottolinea una divisione piuttosto che
una unione. Giustino, del resto, sembra avere una difficoltà ad usare il termine “cristiani” e ciò per
due motivi: da un lato lo precisa con il termine pistoi, dall’altro quando deve definire il criterio di
identità ultima usa un concetto non religioso: la comunanza che si ha con coloro che nascono dalle
stesse viscere. Il termine “cristiani”è perciò anche per lui un termine in qualche misura equivoco e
insufficiente.
Per Giustino esiste però anche una terza categoria di seguaci di Gesù diversa dai “cristiani” e
dagli ebrei che credono in Gesù e accettano la koinonia con i “cristiani”. Si tratta di Giudei definiti
dalle seguenti cinque caratteristiche: 1. sono Giudei; 2. credono che Gesù sia il Cristo; 3. osservano
integralmente la legge mosaica; 4. vogliono costringere «quelli dalle genti che credono in Cristo»
ad osservare integralmente la legge (ajnagkavzousi zh'n tou;" ejx ejqnw'n pisteuvonta" ejpi; tou'ton
to;n Cristo;n h] mh; koinwnei'n aujtoi'"); 5. infine, non vogliono avere comunione con gli altri (h]
mh; koinwnei'n aujtoi'"). Probabilmente, secondo loro, l’osservanza della legge impedisce una
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Giustino poi individua un’ulteriore categoria, quarta categoria, così definita: coloro 1. che
hanno creduto in Gesù come Cristo; 2. che successivamente sono passati all’osservanza della legge
mosaica e hanno poi negato che Gesù sia il Cristo e non si sono pentiti prima di morire.
Infine un’ultima categoria di Giudei è così definita. Si tratta di: 1. discendenti di Abramo; 2.
che osservano integralmente la legge mosaica; 3. che non credono che Gesù sia il Cristo; 4. che
Esistono quindi secondo Giustino sei categorie di persone da questo punto di vista: 1. Una
prima categoria senza nome composta da Giudei che credono in Cristo e accettano di convivere con
i “cristiani” senza costringergli ad osservare la legge; 2. dei “cristiani” che rifiutano di convivere
con la categoria 1; 3. dei “cristiani” che accettano di convivere con la categoria 1 (ma non
sappiamo chi altri ne faccia parte oltre Giustino); 4. Giudei che credono in Cristo e osservano la
legge mosaica, ma non convivono con i credenti gentili o li vogliono costringere ad osservare la
legge mosaica; 5. antichi credenti in Cristo che diventano Giudei e cessano di credere in Gesù come
Messia; 6. Giudei che osservano la legge e condannano i cristiani. E’ evidente che il criterio
sociologico di maggioranza è dato dai credenti in Cristo che provengono dai gentili. Sono essi che
dettano le norme di convivenza generali.Ma è un dato culturale fattuale che obbliga le minoranze a
comportarsi in base al criterio della maggioranza. I problemi principali che sono oggetto di frizione
e divisione sembrano essere due: quello della salvezza (si salva chi crede e obbedisce a Cristo, o chi
osserva la legge?); e quello della convivenza tra gruppi che hanno pratiche religiose in parte
diverse. Non sembra che sia centrale o prevalente l’uso di testi. Non sono i testi ad essere
In, conclusione, intorno alla metà del II secolo il problema di come definire i gruppi che
oggi molti studiosi chiamano “giudeo-cristiani” si poneva ma non esisteva un termine per
identificarli e il termine “cristiani” erano incapaci di includerli, rivelandosi con ciò stesso un
concetto capace di definire solo una parte dei seguaci di Gesù. Dovremmo quindi sempre
distinguere tra concetti “emici” ed “etici”, cioè tra concetti elaborati dagli studiosi di oggi e concetti
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elaborati dai gruppi di allora. E se, nel conflitto allora esistente, nessuno dei due gruppi riconosceva
un’istanza superiore comune, lo storico non dovrà assumere la funzione di difensore della
maggioranza facendosi vassallo dei vincitori e nemmeno paladino degli sconfitti. Dovrà conservare
la sua professionalità ed assegnare un nome rispettoso sia delle autodefinizioni di allora, sia delle
8. Un cristianesimo normativo?
riferimento normativo di carattere istituzionale, teologico etico e liturgico fin dalle origini di quel
fenomeno religioso che sarebbe poi diventato il cristianesimo e che questo costituisse l’identità
differenziante del gruppo. Non si può negare, a mio parere, che alcuni testi anche antichissimi,
come le lettere autentiche di Paolo, presentino la pretesa che ciò che Paolo sostiene in teoria e in
pratica non è normativo solo perché basato sull’autorità di Paolo in quanto apostolo, ma anche
perché comune a tutti gli apostoli (1Cor 15,2.11; Gal 1,6-9.11-12: 2,2; 1Cor 4,17; 14,33b). Tuttavia,
questo è ciò che pretendeva Paolo, ma che altri gruppi post-gesuani si guardavano bene dal
riconoscere e che anche gruppi interni alle chiese da lui fondate contestavano (1Cor 1,10-4,21;
9,1ss; 14,37-38; Gal 1,6-9; 2,12-13; 3,1ss; 4,9; 5,7.11; 2Cor 2,5,17.11,4.13-15; 11,22-23;12,12).
Tuttavia, bisogna anche sottolineare che quand’anche fosse esistito quel punto di riferimento
normativo, rimarrebbe del tutto irrisolta la questione se quel nucleo possa o no essere definito
“cristiano” nel senso di una realtà religiosa ormai autonoma dal giudaismo.
Molto più convincente a mio avviso è la tesi storiografica di coloro che sostengono che
sostantivo che continua ad usare, perché lascia irrisolta la questione: quando si può cominciare a
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Vorrei essere chiaro su questo punto. Normalmente, i tentativi di spiegare le origini del
economici, culturali, psico-sociali che hanno contributo al suo diffondersi nel mondo antico e alla
sua espansione vittoriosa nei confronti del giudaismo e delle altre religioni. Oppure vogliono
rintracciare il formarsi della teologia, del dogma e delle strutture ecclesiastiche. Così facendo, essi
le fasi di formazione. In queste sintesi, i diversi cristianesimi originari appaiono come se fossero
fasi o tappe della configurazione successiva e, di conseguenza, vi figurano solo per singoli brandelli
staccati dal loro contesto. Tutto ciò che non è parte di quel presunto processo formativo, viene
tralasciato. Alcune di queste sintesi finiscono così per cancellare addirittura la fisionomia delle
origini cristiane.45 L’importante è evitare che una caratteristica e un fatto storico di una certa epoca
sia proiettato sul passato. Il fatto che certi settori delle chiese cristiane abbiano ritenuto eretici in
una certa epoca certi gruppi che alcuni chiamano “giudeo cristiani”, non significa che esistesse una
norma universalmente accettata tra i seguaci di Gesù dei I e dei II secolo secondo la quale potessero
Qui sono fondamentali le osservazioni di F. Blanchetière: «par rapport a quoi peuvent-ils être
d’anachronisme, c’est-à-dire de projeter dans l’histoire des origines, une évolution postérieure du
dogme?». 46 Secondo Blanchetière bisogna evitare di cadere nel «fameux dilemme de l’antériotité
ou de la postérioritè de l’erreur sur la Vérité».47 Mimouni ha affrontato con una certa ampiezza la
questione delineando quattro tesi fondametali: quella classica secondo la quale l’ortodossia precede
l’eterodossia; quella di W.Bauer che afferma il contrario, quella di H.E.W.Turner del 1954 che vede
somiglianze e differenze tra ortodossia ed eterodossia e infine quella di A. Le Boulluec che propone
di parlare di «rappresentazioni eresiologiche», ma che tuttavia di fatto ritorna alla tesi della priorità
23
24
corretta «quand on examione les notices transmises par les hérésiologues chrétiens», lo è meno
quando si studiano i gruppi «dall’interno».49 Mi sembra più corretto riconoscere che i concetti di
ortodossia ed eterodossia sono ambedue tardi rispetto alle prime origini cristiane in cui i diversi
gruppi convivevano senza che esistesse una norma ricoosciuta universalmente o da una
maggioranza di chiese. Rimando ad esempio a quando scriveva P.Lampe a proposito della comunità
house churches of (what was only later called) ‘orthodox’ faith; a Jewish Christian circle which still
observed the Torah; groups with a logos-theology that was too complicated for less educated
Christians; circles which believed in the millennium and others which did not».50
quale, tuttavia, nel senso che gli attribuiamo oggi, non comincia ad esistere se non verso la fine del
II secolo. Il termine “giudeo-cristianesimo” è perciò da evitare per i primi due secoli.In questo
periodo, per definire i diversi gruppi di seguaci di Gesù, bisognerà cercare anzitutto
storiografici più adeguati. Anche dal punto di vista del significato plurimo dei termini giudaico,
primariamente religiosi con fatti etnici, culturali e religiosi. Anche l’esistenza di un periodo
intermedio in cui alcuni gruppi di seguaci di Gesù non furono più “giudaici”, pur non essendo
ancora “cristiani, induce a sospettare dell’uso del termine “giudeo-cristianesimo” che suppone
categorie storiografiche e teologiche inadeguate alla consapevolezza attuale della ricerca. Infine.
Sembra implicito nel concetto di “giudeo-cristianesimo” l’accettazione del punto di vista delle
chiese dei periodi successivi al I e II secolo con tutti i pericoli insiti nel presupporre il concetto di
cristianesimo normativo, di ortodossia ed eterodossia, e quello della distinzione tra due religioni
(cristianesimo e giudaismo).
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25
Ciò non significa che siano da trascurare le approfondite ricerche del secolo XX sul giudeo-
cristianesimo, perché il semplice uso di un concetto non è da confondere con l’oggetto della ricerca.
Esse non perdono nulla del loro valore. Chiedere di chiamare in modo diverso i molteplici gruppi
che queste ricerche hanno aiutato ad individuare non fa altro che valorizzarne l’apporto. Del resto,
purché la sostanza dei problemi storiografici sia chiara, si può continuare ad usare i vecchi concetti
1
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«The Study of Jewish Christianity», NTS 20 (1973), 419-431; R.A.KRAFT, «In Search of Jewish Christianity and its
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historische Sachverhalte» in S.SHAKED, D.SHULMAN, G.G.STRUMSA (eds.), Gilgul, Leiden 1987. 50-68.
25
26
2
Théologie du judéo-christianisme, Tournai-Paris, 1958, 19912; cfr. anche «Une vision nouvelle des origines
de SIMON C.MIMOUNI en collaboration avec F.STANLEY JONES, Cerf, Paris, 2001; G.FILORAMO-C.GIANOTTO (a cura
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4
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F. MANNS, Bibliographie du Judéo-christianisme, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1979; F. MANNS, L’Israele di
Dio. Sinagoga e Chiesa alle origini cristiane, Edizioni Dehoniane, Bologna 1998; il capitolo primo su “La Chiesa
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sviluppi della cristologia neotestamentaria.II. Gli sviluppi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, 7-88.
5
Segnalo i seguenti volumi usciti nell’ultimo decennio: C.GRAPPE, D’un temple à l’autre. Pierre et l’Eglise primitive
de Jérusalem, Presses Universitaires de France, Paris 1992; R. TREVIJANO, Orígenes del Cristianismo. El trasfondo
judío del cristianismo primitivo, Publicaciones Universitad Pontificia de Salamanca, Salamanca 1994; M. SIMONETTI,
Ortodossia ed Eresia tra I e II secolo, Rubettino, Soveria Mannelli 1994; E.W.STEGEMANN – W.STEGEMANN,
Urchristliche Sozialgeschichte. Die Anfänge im Judentum und die Christusgemeinde in der Mediterranen Welt,
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University Press, Oslo 1995; R.STARK, The Rise of Christianity. How the Obscure, Marginal Jesus Movement Became
the Dominant Religious Force in the Western World in a Few Centuries, Harper, San Francisco 1996; F.VOUGA, Les
premiers pas du Christianisme. Les écrits, les acteurs, les débats, Labor et Fides, Genève 1997 (tr.it. Il cristianesmo
26
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delle origini. Scritti, protagonisti, dibattiti, Claudiana, Torino 2001); G.JOSSA, Il cristianesimo antico. Dalle origini al
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sociológica del cristianismo primitivo, Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 1998; J.D.CROSSAN, The Birth of
Christianity. Discovering what Happenend in the Years Immediately after the Execution of Jesus, Harper, San Francisco
1998; S.C.MIMOUNI, Le Judéo-christianisme ancien. Essais historiques, Cerf, Paris, 1998; M.SACHOT, L’invention du
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Genève 2001; J.TAYLOR, D’ou vient le christianisme?, Cerf, Paris 2003. Segnalo anche la nascita del gruppo
G.E.R.I.C.O. (Gruppo Europeo di Ricerche Interdisciplinari sul Cristianesmo delle Origini) diretto da R. Aguirre,
Adriana Destro, S.Guijarro, S.C.Mimouni, M.Pesce, W.Stegemann, che ha tenuto il suo primo incontro a Bologna il 24-
26 giugno 2002 e si riunirà a Parigi il 10-12 giugno 2003 e poi in Germania e in Spagna rispettivamente del 2004 e
2005.
6
A. ACERBI, «La ‘Visione di Isaia’ nelle vicende dottrinali del catarismo lombardo e provenzale», Cristianesimo nella
Storia 1(1980), 75-122; P.C.BORI, «L'estasi del profeta: «Ascensio Isaiae» 6 e l'antico profetismo cristiano»,
Cristianesimo nella storia 1(1980), 367-389; C.LEONARDI, «lI testo dell'Ascensione di Isaia» nel Vat. Lat. 5750»,
Cristianesimo nella Storia 1(1980), 59-74; E.NORELLI, «Il Martirio di Isaia come «testimonium» antigiudaico?»
Henoch 2(1980), 37-56; Id., «La resurrezione di Gesù nell'Ascensione di Isaia», Cristianesimo nella storia 1(1980),
315-365; M. PESCE, «L'uso della Bibbia e il genere letteraio dell'Ascensione di Isaia» (inedito); A. ACERBI, «Antonio de
Fantis, editore della Visio Isaiae», Aevum 57(1983), 396-415; P.C. BORI, «L'esperienza profetica nell'Ascensione di
Isaia», in PESCE (ed.) 1983, 133-145, ora ripubblicato in: L'estasi del profeta ed altri saggi tra ebraismo e cristianesimo
dalle origini sino al «Mosé» di Freud, Il Mulino Bologna, 1989, 17-30; A. KOSSOVA, «Osservazioni sulla tradizione
paleoslava della Visione di Isaia: coincidenze e divergenze con la tradizione testuale dell'Ascensione di Isaia», in La
Cultura Bulgara nel medioevo balcanico. Tra Oriente e Occidente Europeo. Atti dell'VIII congresso internazionale di
studi sull'alto medioevo. Spoleto 3-6 novembre 1981, Spoleto 1983, 167-186; E. NORELLI, «Sulla pneumatologia
dell'Ascensione di Isaia», in PESCE, ed. 1983, 211-274; L.PERRONE, «Note critiche (e autocritiche) sull'edizione del
testo etiopico dell'Ascensione di Isaia», in PESCE, ed. 1983, pp. 77-93; M.PESCE (Ed.), Isaia, il Diletto e la chiesa.
27
28
Visione ed esegesi profetica cristiano-primitiva nell'Ascensione di Isaia. Atti del Convegno di Roma, 9-10 aprile 1981,
editi a cura di M.PESCE, Brescia, Paideia1983; M.PESCE, “Presupposti per l'utilizzazione storica dell'Ascensione di
Isaia. Formazione e tradizione del testo; genere letterario, cosmologia angelica”, in Isaia, il Diletto e la chiesa (a cura di
M.Pesce), Brescia 1983, 13-76; A. ACERBI, Serra Lignea. Studi sulla fortuna della «Visio Isaiae», Editrice Ancora,
Roma 1984; L. PERRONE, Ascensione di Isaia. Nuova edizione critica della versione etiopica 'Ergata Isâyeyâs nabiy,
Bologna 1984; M. PESCE, lI 'Martirio" di Isaia non esiste. L'Ascensione di Isaia e le tradizioni giudaiche sull'uccisione
del profeta, Bologna 1984; A. ACERBI, L'Ascensione di Isaia. Cristologia e profetismo in Siria nei primi decenni del II
secolo (Studia Patristica Mediolanensia 17), Vita e Pensiero, Milano 1989; E.NORELLI, L’Ascensione di Isaia. Studi su
un apocrifo al crocevia dei cristianesimi (Origini, Nuova Serie 2), EDB, Bologna 1995; Ascensio Isaiae a cura di
P.BETTIOLO, A.KOSSOVA, C.LEONARDI, E.NORELLI, L.PERRONE, 2 voll. (CCSA, 7-8), Brepols, Turnhout 1995.
7
M.DEL VERME ha dedicato diversi studi al giudeo-cristianesimo della Didachè: Vetera Christianorum 28 (1991), 253-
265; 32 (1995), 293-320; 38 (2001), 5-39 e 223-245 (per una bibliorafia completa di Del Verme su questo argomento
cfr. Vetera Christianorum 38 (2001), 232. Sulla Didaché e le origini cristiane cfr. ora anche H. VAN DE SANDT AND
D.FLUSSER, The Didache. Its Jewish Sources and its Place in Early Judaism and Christianity, Royal Van Gorcum –
Christian Gospels, Their History and Development, SCM – Trinity Press International, London – Philadelphia 1990;
J.D.CROSSAN, The Historical Jesus. The Life of a Mediterranean Jewish Peasant, Harper and Row, San Francisco 1991,
425-466; New Gospel Parallels. 2 Volumes, Fortress Press, Philadelphia 1985; J.S.KLOPPENBORG, Q Parallels.
Synopsis. Critical Notes and Concordance, Polebridge Press, Sonoma California 1988.
10
«Il est difficile de retenir les définitions fondées sur un système de doctrines et sur un système de concepts» (Le
Zaccaria III, 14, 9 di Girolamo in cui egli scrive: «Iudaei et christiani iudaizantes … ut non iudaei christiani sed
christiani iudaei fiant». Ora in questa frase Girolamo intende dire che è meglio che i Giudei divengano cristiani
28
29
13
U.Fabietti, Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione, Laterza, Bari-Roma 1999, 159-187. Secondo
C.Lévi-Strauss «modello dell’osservatore e modello dell’osservato si incontrano […] laddove le strutture dello spirito
umano si incontrano: nell’inconscio strutturale» (FABIETTI, 164). La posizione di Affergan è diversa: il processo di
conoscenza dell’altro è sempre un processo dialettico pendolare tra concetti dell’osservator e e concetti dell’osservato.
14
Cfr. C.GROTTANELLI, «Uccidere, donare, mangiare. Problematiche attuali del sacrificio antico», in C.GROTTANELLI e
N.F.PARISE (a cura di), Sacrificio e società nel mondo antico, Laterza, Bari-Roma 1988; M.PESCE, «Gesù e il sacrificio
147-148 e J.H.ELLIOTT, I Peter. A New Translation with Introduction and Commentary, (The Anchor Bible),
350.
18
TROIANI, ib., 351-352. Il testo completo di Giovenale così suona: «quidam sortiti metuentem sabbata patrem /
nil praeter nubes et caeli numen adorant, / nec distare putant humana carne suillam, /qua pater abstinuit, mox et
praeputia ponunt; / Romanas autem soliti contemnere leges / Iudaicum ediscunt et seruant ac metuunt ius, / tradidit
arcano quodcumque uolumine Moyses: / non monstrare uias eadem nisi sacra colenti, / quaesitum ad fontem solos
deducere uerpos. / sed pater in causa, cui septima quaeque fuit lux / ignaua et partem uitae non attigit ullam» (Saturae
XIV 96-106) . Traduzione italiana: «Chi ha avuto in sorte un padre che onora il sabato, altro non adora che le nuvole e
la maestà del cielo, ritiene che la carne di maiale, da cui il padre si asteneva, non differisce da quella dell'uomo, e prima
che può si fa circoncidere; non tenendo in conto alcuno le nostre leggi, apprende e osserva norma dopo norma
devotamente quelle ebraiche, tramandate su tavole arcane da Mosè: mai a chi non segue il suo culto rivelerà la strada
e solo i circoncisi guiderà a cercare la fonte. Responsabile è il padre che, astenendosi da ogni occupazione,
Architectural Adaptation Among Pagans, Jews, and Christians.Volume II. Texts and Monuments fotr the Christian
Domus Ecclesiae in its Environment, Trinity Press International, Valley Forge 1996 e 1997.
21
Cfr., ad esempio, W.A.MEEKS, La morale dei primi cristiani, Vita e Pensiero, Milano 1998.
29
30
22
Cfr. C.OSIEK-D.BALCH, Families in the New Testament World. Households and House Churches, Wenstminster John
Graeco-Roman World, Routledge, London and New York 1996; A.DESTRO – M.PESCE, «Seguire un maestro. Caratteri
e itinerari del gruppo discepolare in Giovanni», in G. Filoramo (a cura di), Maestro e discepolo. Temi e problemi della
direzione spirituale tra VI secolo a.C. e VII secolo d.C., Brescia, Morcelliana 2002, 141-158.
24
M.SACHOT, L’invention du Christ. Genèse d’une religion, Editions Odile Jacob, Paris 1998 (tr.it. La predicazione del
A.J.AVERY-PECK, J.NEUSNER, B.CHILTON (Eds), The Judaism of Qumran: A Systemic Reading of the Dead Sea
Scrolls. Volume Two. World View, Comparing Judaism (Judaism in Late Antiquity. Part Five), Brill, Leiden 2001, 201-
229. In italiano: «Un confronto di sistemi. Il Vangelo di Giovanni e la Regola della Comunità di Qumran», in
L.PADOVESE (a cura di), Atti dell’ VIII Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma
2001, 81-107. Per il concetto di sistema religioso cf. C.GEERTZ, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 1998,
111-159; J. NEUSNER, The Systemic Analysis of Judaism, Scholars Press, Atlanta 1988.
26
Cf. Come nasce una religione, X-XI.
27
Come nasce una religione, 137-139.
28
S.C.MIMOUNI, Le Christianisme ancien. Essais historiques, Cerf, Paris 1998, 15.
29
MIMOUNI, Le Judéo-christianisme, 40.
30
J.D.CROSSAN, The Birth of Christianity. Discovering What Happened in the Years Immediately After the Execution of
(1983), 74-79; R.E.BROWN- J.P.MEYER, Antioche et Rome. Berceaux du Christianisme, Paris 1988, 19-28.
32
MIMOUNI, Le Judéo-christianisme, 18.
33
Ibid., p.19.
34
«Il Vangelo di Giovanni e le fasi giudaiche del giovannismo», in G.FILORAMO E C.GIANOTTO (a cura di), Verus
Israel. Nuove prospettive sul giudeocristianesimo,. Atti del Colloquio di Torino (4-5 novembre 1999), Paideia, Brescia
2001, 47-67.
35
MIMOUNI, Le Judéo-christianisme, 19.
30
31
36
Cf. M.SIMONETTI, Ortodossia ed eresia fra I e II secolo, Rubbettino, Catania 1994, 29-45. Che gli Atti degli apostoli
dicano che ad Antiochia i discepoli di Gesù cominciarono ad essere chiamati christianoi (11,26), non significa affatto
che allora iniziasse il cristianesimo perché quel termine non designa quella realtà istituzionale, dottrinale e di prassi
Mighty Minorities? Minorities in Early Christianity. Positions and Strategies. Essays in Honour of Jacob Jervell,
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