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CAPITOLO III

FRAMMENTO DELLA CROCE

La dottrina della Croce di San Giovanni non si potrebbe denominare Scienza della
Croce nell’accezione espressa, se si fondasse su ottiche meramente intellettuali. Essa
però porta l’autentico marchio della Croce; è la chioma, ampiamente ramificata, di un
albero che affonda le sue radici nel più profondo dell’anima e si nutre del sangue del
suo cuore. I suoi frutti li vediamo nella vita del Santo.
Il suo amore per l’immagine della Croce dimostra che egli portava nel cuore
l’amore per il Crocifisso. Ne impresse il suo sigillo sulla piccola casetta di Duruelo.
È noto quale impressione ne ebbe la santa Madre: «Entrando nella cappella mi
stupii per lo spirito che il Signore vi aveva ispirato. Non solo io ne ebbi questa
impressione ma anche i due laici, i miei amici che mi avevano accompagnato da
Medina a Duruelo, non potevano trattenersi dal piangere. C’erano così tante croci e
teschi. Non ho mai dimenticato una piccola Croce di legno appesa sopra la piccola
acquasantiera e su di cui era incollato un’immagine di carta di Cristo. Questa
sembrava sollecitare di più alla devozione della più bella opera d’arte»1.
Bisogna supporre che il primo carmelitano scalzo, già intagliatore di immagini ed
apprendista pittore, abbia fabbricato egli stesso queste Croci per ornare il suo piccolo
convento. Corrisponde perfettamente a quanto egli successivamente avrebbe lasciato
scritto sulla venerazione delle immagini: il materiale prezioso e l’espressione artistica
possono costituire un pericolo, perché facilmente ci si lascia sviare dall’essenziale –
dallo spirito della preghiera e dal cammino per l’unione con Dio 2. Egli invece volle
lasciare guidare se stesso e gli altri all’unione dall’immagine della Croce e da tutti gli
altri mezzi.
Per questo egli, successivamente, ha così spesso scolpito e donato delle Croci.
Anche al suo capo carceriere a Toledo, P. Giovanni di S. Maria, volendolo ringraziare
per il suo segreto servizio d’amore, non donò niente di meglio che una Croce. Il dono
dovette essere caro sia al donatore che a colui che lo riceveva, anche per una
particolare circostanza umana: Giovanni l’aveva avuta a Duruelo dalla santa Madre.
Per lui era quindi una ragione di più per separarsene.
Quanto al Signore tornasse gradito questo amore per l’immagine della Croce e lo
zelo con cui si preoccupava dell’onore dovutole, lo dimostrano le visioni della Croce
di cui già si è parlato3. In ogni caso hanno contribuito ad imprimere ancora più
profondamente il santo segno nel cuore. Egli teneva la sua Croce in mano nell’ultima
notte della sua vita. Poco dopo mezzanotte, quando si avvicinava il previsto momento
della morte, lo diede da tenere ad uno dei presenti per poter mettere, con entrambe le
mani, in ordine corretto il proprio corpo. Poi però riprese il santo Cristo, Gli rivolse
parole soavi lo baciò per l’ultima volta, prima di spirare dolcemente e
inavvertitamente4.
È bene onorare il Crocifisso nell’immagine e prepararne delle immagini che
stimolino la sua venerazione. Meglio ancora delle immagini di legno o di pietra sono
le immagini viventi. Formare anime secondo l’immagine di Cristo, piantare nel loro
cuore la Croce, questo era la grande missione della vita del Riformatore dell’Ordine e
della guida delle anime. Al suo servizio nacquero tutti i suoi scritti. Ne parlano, in
forma ancora più personale, le sue lettere e le testimonianze della sua attività.

1
F 14.
2
S 3, 35
3
ivi, I, 4.
4
P. BRUNO DI GESÚ MARIA, O.C.D., Vie d’Amour.., op. cit., pag. 264.
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Nel Carmelo di Granada egli diede l’abito alla sua figlia spirituale Maria Machuca
ed il nome Maria della Croce. Poi gliela portarono in parlatorio e si osservò che
doveva essergli particolarmente cara perché l’aveva chiamata della Croce; egli
rispose: «Mi sarà molto cara, quando amerà la Croce»5. Si preoccupava
insistentemente di incidere nel cuore delle persone incontrate di «avere una grande
predilezione per la sofferenza, solo per amore di Cristo, senza desiderare
consolazione terrena; spesso diceva… “Figlia mia, non desiderare nient’altro che la
Croce e senza consolazione; questo è davvero perfetto”»6.
Alla sua penitente Giovanna della Croce di Granata, egli scrisse come risposta al
lamento per le proprie sofferenze: «Tutte queste tribolazioni e martellate… raffinano
l’amore e fanno sì che si preghi con più fervore ed innalzano lo spirito supplicante a
Dio… O mio Signore, Tu grande Dio dell’Amore, con quale ricchezza colmi di doni
colui che non ama e non cerca nulla tranne in Te! Dai te stesso a lui e ti unisci con lui
attraverso l’amore. Tu fai gustare all’anima quanto desidera più profondamente in te e
quanto di più ha bisogno. Per questo non ci deve mancare la Croce come non è
mancata al nostro Amato fino alla morte di amore. Egli ci infligge sofferenze nella
misura del nostro amore, perché noi offriamo sacrifici maggiori e raccogliamo più
meriti. Ma, tutto questo è di breve durata, basta attendere finché il coltello è alzato;
allora Isacco rimane vivo e mantiene la promessa dei suoi meriti»7.
Egli fu particolarmente vicino alle carmelitane di Beas. Quale superiore del
Calvario (subito dopo la sua fuga dal carcere) e quale rettore del collegio di Baeza,
egli si trovava nelle vicinanze e poteva essere spesso da loro, influendo con prediche,
discorsi spirituali ed esortazioni in confessionale. Anche successivamente egli fu
spesso loro ospite. Lo scambio epistolare completava l’insegnamento orale.
In una lettera del 18 novembre 1586 egli afferma: «Chi… cerca il piacere in
qualsiasi cosa, questi non è un vaso vuoto che Dio può riempire con il suo
inesprimibile diletto. In questo modo ci si distoglie da Dio, invece di andarGli
incontro e le mani non possono accogliere quanto Dio vuole dare… Servite, mie
amate figlie in Cristo, seguite le sue orme nell’autorinnegamento con ogni pazienza,
nel silenzio e nel vero amore per le sofferenze, siate spietate contro ogni
autocompiacimento e mortificate tutto quanto in voi deve ancora morire ed ostacola la
resurrezione interiore dello spirito!…»8.
Giovanni scrive l’8 febbraio 1588 a Madre Eleonora Battista, priora di Beas: «Se
penso che Dio l’ha chiamata ad una vita apostolica, cioè a una vita di disprezzo e la
conduce su questo cammino, allora ne sono consolato. Infatti per amore di Dio il
sentire di un vero religioso deve essere tale da avere tagliato con tutto ed averne
dimenticato il significato; Dio solo sarà la sua ricchezza, la sua consolazione e la sua
gloriosa sorgente, colma di diletto. Dio le ha dimostrato una grande grazia perché ora,
dimentica di tutto, possa trovare la sua gioia solo in Lui. Sia completamente incurante
se le capita che si voglia disporre di lei per amore di Dio. Lei non appartiene più a se
stessa, ma a Dio…».9
Ad una postulante dà questo consiglio: «… per quanto concerne la Passione di
nostro Signore: tratti il suo corpo con saggio rigore, con disprezzo di se stessa, con
autorinnegamento, e cerchi di non seguire mai la sua volontà e il suo gusto. Infatti
questo attaccamento fu la ragione della Sua Passione e Morte…»10.

5
P. BRUNO DI GESÚ MARIA O.C.D., Saint Jean, op. cit., pag. 307.
6
Otros Avisos sobre la vida espiritual, 10 aviso in OBRAS, op. cit.
7
Lettera del 28.1.1598.
8
Lettera V.
9
Lettera VII.
10
Lettera X.
210

Egli scrive alla Priora di un monastero fondato da poco a Cordova: «Che voi
abbiate dovuto occupare case così povere con un calore così intenso, lo ha stabilito
Dio; dovete dare un buon esempio e dimostrare che confessate la vostra professione
della povertà di Cristo. Quelle che si presentano per essere accettate, vedranno quale
spirito deve animarle nel loro ingresso… State attente a conservare lo spirito della
povertà, il disprezzo per ogni cosa creata ed occupatevi solo di Dio, altrimenti, ben lo
sapete, cresceranno in voi migliaia di necessità spirituali e temporali, mentre dovete
avere e provare solo quella necessità che volete lasciare venire nel vostro cuore.
Infatti il povero di spirito è più allegro e lieto nella ristrettezza, perché egli ha posto il
suo tutto nel nulla totale, così conserva in tutto la libertà del cuore. Felice nulla e
felice isolamento del cuore che possiede tale forza da assoggettare tutto e da non
lasciarsi assoggettare da nulla, rifiutando ogni preoccupazione per poter bruciare di
più nell’amore». Le sorelle «devono approfittare delle primizie dello spirito che Dio
concede in tali nuove fondazioni per percorrere con spirito tutto rinnovato il cammino
della perfezione in tutta umiltà e distacco, interiore ed esteriore, non con spirito
puerile ma con volontà robusta. Devono accettare mortificazione e penitenza,
nell’anelito che Cristo costi loro qualche cosa e non siano simili a coloro che cercano
la propria comodità e la propria consolazione in Dio o fuori di Lui, ma cerchino la
sofferenza per Dio, in Dio e fuori di Lui, in silenzio, speranza e ricordo
amoroso…»11.
Il cammino più oscuro è quello più sicuro. Questa dottrina della notte oscura
verrà sottolineata con ogni vigore anche nella direzione spirituale: «Poiché la sua
anima si trova in queste tenebre e nel vuoto della povertà spirituale, ritiene che le
manchi tutto e che tutte le persone l’abbiano abbandonata; invece non le manca
nulla… Chi non cerca altro che Dio non procede nelle tenebre, per quanto possa
vedersi in tanta oscurità e povertà. Chi non procede in presunzione e non cerca il
proprio gusto, né in Dio né nelle creature e non fa in nulla la propria volontà, né
interiormente né esternamente, non inciamperà in nulla… Non si è mai trovata in una
situazione migliore dell’attuale, infatti non è stata mai tanto umile, sottomessa e non
ha mai pensato così poco di sé e di tutte le cose del mondo. Non si conosceva così
cattiva e Dio così buono, né ha servito Dio così puramente e così disinteressamente
come ora… Che cosa vuole di più? … Che cosa pensa sia il servizio di Dio altro dal
fuggire il male, osservare i Suoi comandamenti e preoccuparsi delle cose sue, quanto
meglio possiamo? Se lo fa, ha bisogno di altre percezioni, illuminazioni e
soddisfazioni, infatti abitualmente l’anima non vi incontra tante disillusioni e
pericoli?… Perciò è una grande grazia se Dio conduce l’anima nell’oscurità e nello
spoliamento, così che non possa più essere ingannata dalle sue potenze… Viviamo
sulla terra come pellegrini e poveri, come esiliati ed orfani, in indigenza, senza
cammino e senza sapere dove andare, ma sperando tutto…»12.
Il Santo scrive con totale amore alle sue figlie spirituali: ma con quell’amore che,
altro non è, che l’accorato desiderio della loro salvezza eterna. «Finché Dio non ce lo
concederà in cielo, perseverate… Autorinnegamento e pazienza, con ogni desiderio di
diventare simili in qualche cosa, attraverso la sofferenza, a questo grande Dio nella
sua umiltà e nel suo amore per la Croce. Se la nostra vita non si impiega
nell’assomigliare (al Crocifisso), allora non ha alcun valore…»13.
Perciò, egli non poteva credere all’autenticità di simili alte grazie di orazione in
un’anima che mancasse di umiltà. Quando venne richiesto dal Vicario generale dei
Carmelitani Scalzi, P. Nicola Doria, di provare lo spirito di una monaca che si

11
Lettera XV.
12
Lettera XVIII.
13
Lettera XXI.
211

riteneva altamente favorita, egli espresse la sua convinzione in questo parere: «La
mancanza capitale… risiede nel fatto che ella non sembra dimostrare nel suo
comportamento alcuna umiltà; infatti i favori, di cui ella qui parla, quando soprattutto
sono tali, vengono abitualmente concessi all’anima solo dopo che si sia
antecedentemente negata nella perfetta interiore umiliazione di se stessa ed
ugualmente si sia annientata». Quantunque gli effetti dell’umiltà «non siano rilevabili
in ogni divina percezione in modo così rilevante, tuttavia i favori di grazia con cui si
viene benedetti nello stato di unione – di questi ella parla – sentimenti di umiltà…
Bisogna provarla nell’esercizio delle virtù che non creano nessun gusto,
particolarmente nel poco conto di sé, nell’umiltà e nell’ubbidienza. Dal suono di
questo urto sarà rivelata la pulizia dell’anima, cui tali favori sono stati comunicati.
Queste prove però devono essere profonde, infatti non c’è diavolo che non voglia
soffrire qualche cosa per il suo onore»14.
Lo stesso spirito si respira nelle Cautele per i religiosi che il Santo compose in
diverse occasioni. Fra gli avvisi che probabilmente erano stati scritti per le
carmelitane di Beas, se ne trovano tre contro la carne:
«1. In primo luogo devi ritenere che sei entrato in convento solo perché tutti ti
lavorino e ti esercitino. Per essere libero da tutte le imperfezioni e da tutte le
inquietudini che possono nascere dal carattere e dal modo di fare dei religiosi, e per
approfittare di tutto quanto avviene, devi pensare che tutti coloro che sono in
convento sono strumenti (lo sono in realtà) per lavorarti. L’uno ti lavorerà con la
parola, l’altro con le opere, il terzo con il pensiero rivolto contro di te; sottomettiti a
tutto come una statua che da uno viene scolpita, dall’altro smaltata e dal terzo dorata.
Se non vi presti attenzione, non vincerai né la tua sensualità e sensibilità, né ti
comporterai bene con i religiosi in convento; non gusterai la santa pace e non potrai
liberarti da molti passi falsi.
2. …Non omettere mai un lavoro perché non ti garba e non vi trovi alcun gusto, se
si tratta del servizio di Dio; non farlo per gusto e per la soddisfazione che ti
comporta…, ma fai piuttosto quanto ti contrasta; altrimenti non potrai mai
raggiungere la costanza e vincere la tua debolezza.
3. …Un’anima spirituale nei suoi esercizi non deve mai percepire quanto le
aggrada, e solo per questo perseverarvi; e non deve perciò rifiutarsi perché non le
garba; piuttosto deve procedere nella fatica… Così si imbriglia la sensibilità. In altro
modo non ti distoglierai dall’amor proprio e non giungerai all’amore di Dio»15.
Dio chiama le anime nel chiostro «per provarle e purificarle, come l’oro con il
fuoco e con il martello; perciò devono anche venire prove e tentazioni da parte delle
persone e dei cattivi spiriti e il fuoco dell’angustia e della mancanza di consolazione.
Tali cose la persona religiosa deve assumerle su di sé con pazienza e conformità alla
volontà di Dio e non in tal modo che Dio sia costretto a rigettarla, perché non volle
portare la Croce di Cristo con pazienza…»16.
«Non cercare la Croce che ti è più leggera, infatti… quanto più pesante è il carico,
tanto più è leggero se lo si porta per amore di Dio»17. «Se sei carico, allora vivi in
unione con Dio che è la tua forza; infatti Dio rinvigorisce i tribolati; se sei senza
carico, allora trovi il tuo appoggio solo in te stesso che sei la debolezza stessa. Infatti
nell’anima la forza e la robustezza crescono e si consolidano nel paziente portare il
peso»18. «Dio stima di più l’inclinazione all’aridità e alla sofferenza per Suo amore di

14
Ed. Critica, op. cit., III, pag 110 ss.
15
Cautele.
16
Consigli a un religioso.
17
Ib.
18
Avvisi e massime spirituali 1,4 in OBRAS, op. cit.
212

tutte le consolazioni e visioni spirituali e di tutte le meditazioni che puoi vantare»19.


«Non puoi mai giungere alla perfezione, se non ti sforzi di essere contento del nulla,
così che le potenze naturali e spirituali della concupiscenza gioiscano nel vuoto;
infatti è necessario per giungere alla più alta quiete e pace dello spirito; in questo
modo l’amore di Dio è costantemente operante nelle anime pure e semplici»20.
Un intero gruppo di Massime hanno immediatamente come oggetto la sequela
Christi: «Il progresso nella vita spirituale non è possibile senza la sequela di Cristo.
Egli è il cammino, la verità, e la vita e la porta dalla quale devono entrare coloro che
vogliono essere salvati…»21. «La tua preoccupazione, sia una nostalgia ardente… di
riuscire ad assomigliare a Cristo in tutte le tue opere; preoccupati di compiere
ciascuna come il Signore stesso la compirebbe»22. «Se si offre al tuo senso un gusto
che non serve all’onore e alla gloria di Dio, allora rinnegalo e mantienilo libero per
amore di Gesù Cristo che nella sua vita non cercò altro gusto… dall’adempiere la
volontà di suo Padre: lo definiva suo cibo e suo nutrimento»23. «Lasciati crocifiggere
interiormente ed esteriormente con Cristo e vivrai in questa vita nella tranquillità e
nella pace della tua anima e ti manterrai nella Sua pazienza»24. «Ti basti Cristo
crocifisso, con Lui soffri e riposa; senza di Lui non soffri e non riposi; perciò renditi
libero da tutte le cose esteriori e da tutte le particolarità interiori»25. «Desideri
possedere Cristo, allora non cercarLo mai senza la Croce»26. «Chi non cerca la Croce
di Cristo, non cerca neppure la gloria di Cristo»27. «Che cosa sa chi non sa soffrire per
amore di Cristo? Quanto sono più grandi e pesanti i carichi, tanto migliore sarà la
ricompensa che comportano»28. «Rallegrati continuamente in Dio, tua salvezza, e
pensa come è soave soffrire in quel modo per Colui che è davvero buono»29. «Se vuoi
essere perfetto, vendi la tua volontà, dalla ai poveri in spirito, vieni a Cristo in
mansuetudine e umiltà e seguiLo fino al Calvario e alla tomba»30.
«I travagli e le sofferenze che si sopportano per amore di Dio sono come perle
preziose: quanto più sono grandi, tanto più sono preziose e suscitano in colui che le
accetta, un più grande amore per il Donatore; così anche le sofferenze che una
creatura suscita, quando sono accettate per amore di Dio; sono tanto più preziose
quanto più grandi e suscitano un più grande amore di Dio. Per aver sopportato la
sofferenza un momento sulla terra per amore di Dio, Sua Maestà dà in cielo beni
infiniti ed eterni: Se stesso, la Sua Bellezza e la sua gloria…»31.
Un giorno una sorella in presenza del Santo parlò sfavorevolmente di un laico
maldisposto verso il monastero. Ricevette l’ammonimento: «Allora lei e le altre
sorelle dovette andargli incontro con amicizia; così sarete discepole di Cristo». Egli
aggiunse ancora: «È più facile sopportare la piccola amarezza di una simile
circostanza, quando si raccomanda questa persona a Dio, che la doppia amarezza nel
seguire la nostra con simili sensazioni contro il prossimo»32.

19
Ib.1,14.
20
Ib., 1,51.
21
Otros avisos y sentencias, 76 in OBRAS, op. cit.
22
Ib., 3,2.
23
Ib., 3,3.
24
Ib , 28.
25
Ib , 2, 13.
26
Lettera XXIII.
27
Avvisi e massime spirituali, 2,23 in OBRAS, op. cit.
28
Ib., 4,17.
29
Ib., 2,5.
30
Ib. 4,7.
31
Otros avisos sobre la vida espiritual, 1 in OBRAS, op. cit.
32
Ib, 2.
213

In un colloquio con un religioso egli espresse queste forti parole: «…Se ad un


certo momento una persona, fosse anche un superiore, volesse persuaderla ad una
dottrina che consigliasse la mitigazione e fosse anche sostenuto dal miracolo, non gli
creda e non lo accetti, anzi abbracci la penitenza e il distacco da tutte le cose e non
cerchi mai Cristo senza la Croce; seguirLo con la Croce rinunziando a tutto, anche a
noi stessi, a questo siamo chiamati come Scalzi della Beata Vergine e non ad
assecondare la nostra comodità e la nostra mollezza. Stia attento quindi a non
dimenticarsene quando predica ogni qualvolta le si offre l’opportunità, infatti per noi
è della massima importanza»33.
Una massima esprime molto bene l’amore di Cristo che spingeva questo
discepolo della Croce ad indirizzare altri a seguire il cammino da egli stesso trovato.
«Non sapevate che io devo occuparmi di quanto è del Padre mio?» (Lc 2,49), questa
prima parola del Salvatore che ci è trasmessa, Giovanni la ha applicata alla grande
missione del Signore e dei suoi fedeli: «In quanto concerne il Padre Eterno non si può
intendere altro che la Redenzione del mondo, soprattutto la salvezza delle anime,
infatti Cristo, nostro Signore, ha assunto i mezzi prestabiliti dal Padre.
San Dionigi Areopagita ha scritto la meravigliosa frase per avvalorare questa
verità: La più divina di tutte le opere divine è collaborare con Dio alla salvezza delle
anime34. Vale a dire: la più alta perfezione di ogni essere nel suo rango e al suo livello
è, secondo la sua capacità e la sua possibilità, innalzarsi e crescere ad immagine di
Dio; l’aspetto più portentoso e divino però è essere collaboratori nella conversione e
nel riportare a casa le anime; infatti in essa risplende di nuovo l’azione di Dio e la sua
imitazione è la gloria più grande. Perciò Cristo la denominò l’opera di suo Padre,
l’affare di suo Padre. È anche una verità rivelata che la compassione per il prossimo
cresce quanto più l’anima è legata a Dio con l’amore. Infatti quanto più ella ama Dio,
tanto più desidera che Egli sia amato ed onorato da tutti. E quanto più lo desidera,
tanto più se ne preoccupa, sia con la preghiera sia con altri esercizi necessari ed utili a
questo scopo. Lo splendore e la forza del suo amore sono così grandi che quelli che
sono posseggono Dio non possono accontentarsi del loro proprio guadagno ed esserne
contenti; pare loro poco andare in cielo da sole, si preoccupano con grande desiderio
e brama celeste e con zelo straordinario di condurvici molti con sé. Proviene dal loro
grande amore per Dio, il frutto proprio e l’inclinazione che sgorga dalla preghiera
perfetta e dalla contemplazione»35.
Se lo zelo per le anime è qui inteso come il frutto dell’unione, d’altro canto,
l’amore per il prossimo è un potente mezzo sul cammino dell’unione: «Due cose…
servono all’anima come ali, per innalzarsi all’unione con Dio: la sincera compassione
per la morte di Gesù e per il prossimo. Quando l’anima è tutta presa dalla
compassione per la Passione e la Croce del Signore, allora ella ricorda che Egli ha
assunto tutto su di Sé per la nostra redenzione»36. Cioè, chi si immerge amorosamente
nell’animo del Salvatore in Croce, nell’amore fino all’estrema consegna di se stesso,
sarà allora unito con la volontà divina, infatti la volontà redentrice del Padre si
adempie nell’amore redentore e nella consegna di Gesù; e così diviene uno con
l’Essere divino perché egli stesso è amore che si consegna: nella reciproca consegna
delle divine persone nella vita intratrinitaria come nelle opere ad extra. Così la
perfezione propria dell’essere, l’unione con Dio, e l’agire per l’unione di altri con Dio
e la perfezione del loro essere sono indivisibili. L’accesso a tutto però è la Croce. La

33
Ib., 5.
34
Gerarchia celeste, cap. III, par. 3 (MIGNE P., Gr. III, 165). La citazione non è testuale.
35
Avisos y sentencias espirituales, 10 in OBRAS, op. cit.
36
Ib., 11.
214

predica sulla Croce sarebbe vana, se non fosse espressione di una vita di unione con il
Crocifisso.
«Mio Amato, tutto per Te e nulla per me; niente per Te e tutto per me. Desidero
tutte le asperità e le difficoltà per me e nulla per Te.
Oh come mi è dolce la Tua Presenza, Tu che sei il sommo bene. Voglio
avvicinarmi a Te in silenzio e cercare di scoprirTi i piedi, perché ti piaccia unirti a me
in matrimonio; e non starò quieto finché non gioirò nelle tue braccia; e ora Ti prego,
Signore, non lasciarmi mai, altrimenti perderei tutta la mia anima»37.
In queste aspirazioni del cuore amante si riflette il cammino della vita che
Giovanni della Croce ha percorso. Egli ha seguito le orme dell’amato Maestro sul
cammino della Croce. Perciò, ancora bimbo, ha scelto un duro giaciglio. Perciò, il
ragazzo ha fatto l’infermiere con dedizione instancabile, come viva immagine del
Salvatore che non si risparmiò quando gli ammalati e i bisognosi gli si avvicinavano.
Questo amore per i malati, le membra sofferenti di Gesù Cristo, gli è rimasto per tutta
la vita: successivamente, quando Superiore e Visitatore andava in un convento, dopo
il saluto la sua prima preoccupazione si rivolgeva ai malati: preparava loro il cibo con
le sue stesse mani, vuotava i vasi, non tollerava che per mancanza di denaro si
mandassero all’ospedale, riprendeva severamente ogni trascuratezza38.
Per amore della Croce, da giovane religioso aveva vissuto nel convento di S.
Anna di Medina del Campo e nel Collegio S. Andrea di Salamanca in tale severa
penitenza che la santa Madre, all’inizio della Riforma, disse che in lui (al contrario
del suo compagno più anziano P. Antonio de Heredia) «non era necessaria nessuna
prova; infatti anche quando visse con i Calzati, egli condusse sempre una vita di
grande perfezione e di severo stile religioso»39. A Salamanca ogni sera si flagellava a
sangue, passava una gran parte della notte in preghiera e, per il breve riposo, si
serviva di una sorta di cassapanca come letto.
La povera casetta di Duruelo, di cui l’accompagnatrice della santa Madre nella
sua visita ebbe a dire: «… nessuno ha un simile spirito per fermarsi qui, per quanto
sia pio…»40, era per entrambi i padri un Paradiso. È già stato raccontato, come era
stata adornata con Croci e teschi. «Da coro fungeva la soffitta che nel mezzo era un
poco più alta, così da poterci pregare le Ore; ma per entrarci e per celebrare la Messa
dovevano chinarsi molto. In due angoli vicino alla cappella, c’erano due celle da
eremiti, in cui ci si poteva soltanto sedere o sdraiare; erano colmi di fieno, perché il
luogo era molto freddo. Il tetto quasi toccava le loro teste, due finestrelle erano rivolte
all’altare e due pietre servivano da cuscino…». Dopo il Mattutino di mezzanotte
rimanevano in coro fino a Prima «…così immersi in preghiera che talvolta il loro
abito, quando volevano recitare Prima, era tutto coperto di neve, senza che se ne
fossero accorti»41.
Per istruire il popolo povero ed ignorante, andavano, «malgrado la molta neve e il
gran freddo a piedi nudi a predicare…; dopo la predica ed aver confessato,
ritornavano tardi nel loro convento, colmi di intima gioia, che rendeva loro tutto
facile»42.
Fino a quando Giovanni ebbe presso di sé a Duruelo la madre e il fratello,
Francesco fu talvolta il suo accompagnatore nei viaggi apostolici. Dopo la predica
rientravano rapidamente e non accettavano nessun invito a pranzo nella casa del

37
Punti di amore, 45 in OBRAS, op. cit.
38
P. BRUNO DI GESÚ MARIA, O.C.D., Vie d’Amour.., op. cit., p. 218.
39
F, 13,1.
40
F 13,3.
41
F 14, 7.
42
F 14, 8.
215

parroco. Sulla strada del ritorno si rifocillavano con pane e formaggio che mamma
Caterina aveva loro dato43.
Così il Santo viveva fedele ai principi che più tardi scrisse per gli altri: «Cerca
solo per amore di Gesù Cristo di raggiungere la nudità, lo spoliamento e la povertà in
tutte le cose di questo mondo»44. «… Il povero di spirito è sempre contento ed allegro
nell’indigenza; e chi non ha attaccato il cuore a nulla, trova in tutto la pace»45.
Le penitenze dei due primi Scalzi erano così rigide che la santa Madre chiese loro
di moderarle un poco. Le era costato «così tante lacrime e preghiera» trovare religiosi
adatti per l’inizio della Riforma, da temere ora che il diavolo li trascinasse entrambi
ad uno zelo eccessivo, per stroncarli prima del tempo e per annientare l’opera al suo
inizio.
I Padri però badarono ben poco alle sue parole e continuarono con la loro vita
severa. «Un poco più tardi, quando i due avevano già raccolto intorno a sé una
piccola famiglia religiosa, P. Giovanni un giorno, tanto debole per la fatica e
sofferente, chiese al suo priore, P. Antonio, il permesso di prendere la sua colazione
un poco prima. Ma appena gustò il piccolo ristoro, lo colse un’amara inquietudine. Si
affrettò da P. Antonio e gli chiese il permesso di accusarsene davanti alla comunità.
Allora portò le pietre e cocci in refettorio, quindi si inginocchiò durante la cena e si
flagellò le spalle nude fino al sangue. Egli interruppe la dura disciplina solo per
accusarsi a voce alta e con parole commosse. Poi continuò con terribili colpi, finché
cedette. I fratelli guardarono con terrore e stupore. Infine P. Antonio ordinò al
penitente innocente di ritirarsi e di pregare, perché Dio potesse perdonare a tutti la
loro miseria»46.
Giovanni anche successivamente non indulgerà a nessuna concessione per sé. La
sua cella era, anche da Superiore, la più povera della casa. Ammalato e debole,
attraversò la Spagna, in lungo e in largo, nel sommo calore dell’estate 1586, per
incarico del suo Provinciale, per 400 miglia, con il pesante abito e la tonaca di lana,
che portava sia d’estate sia d’inverno. Da priore di Segovia intraprese la nuova
costruzione del convento. Non solo era il direttore dei lavori, ma aiutava anche con le
sue stesse mani nel lavoro, staccava le pietre dalla roccia, per tutto l’anno con i piedi
nudi, solo con le alpargatas47.
Nel grande conflitto all’interno dell’Ordine, egli si trovò fra i due frati nemici
Nicola Doria e Gerolamo Gracián. Egli vide il bene e il male da entrambi i lati e tentò
di mediare, ma le sue parole non poterono nulla. Allora ricorse di nuovo alla severa
disciplina. Fra Martino, il suo compagno di viaggio, non poteva più sopportare i
terribili colpi e gli si presentò con una candela accesa. Il santo gli spiegò che era
grande abbastanza da badare a se stesso.
Lo stesso fra Martino lo curò durante una grave malattia e gli tolse il cilicio, che
aveva portato per sette anni, per non renderglielo mai più. Nel toglierlo sprizzò il
sangue. P. Giovanni Evangelista invece tentò invano, durante un viaggio comune, di
persuaderlo a togliersi l’abito di penitenza che portava. Aveva scoperto che il santo,
nascosto sotto l’abito, portava un paio di calzoni con molti nodi, disse che era una
crudeltà, poiché era tanto malato: «Taci, figlio mio», fu la risposta, «è già un sollievo
sufficiente cavalcare. Non dobbiamo stare comodi»48.

43
P. BRUNO DI GESÚ MARIA, O.C.D., Vie d’Amour.., op. cit., pag. 45.
44
Otros avisos y Sentencias, Aviso 355 in OBRAS, op. cit.
45
Ib., 356.
46
P. BRUNO DI GESÚ MARIA O.C.D., Saint Jean, op. cit., pag. 92.
47
Sandali di corda intrecciata.
48
P. BRUNO DI GESÚ MARIA O.C.D., Saint Jean, op. cit., pag. 312.
216

Durante l’ultima malattia, al buon fratello Pietro di S. Giuseppe venne in mente di


creargli un diversivo per i suoi terribili dolori con la musica. Ingaggiò i tre migliori
musicanti di Ubeda. Il suo biografo Gerolamo di San Giuseppe narra che, dopo un
paio di istanti, Giovanni volle congedarli amichevolmente: riteneva che non fosse
opportuno mescolare il piacere terreno con quello celeste. Per non affliggere i suoi
confratelli, avrebbe lasciato che i suonatori continuassero. Quando gliene fu chiesto il
giudizio, avrebbe detto: «Non ho udito la musica; un’altra, mille volte più bella, mi ha
rapito per tutto il tempo»49.
Possiamo ben comprendere Baruzi quando preferisce dare più credito al testimone
che fa dire dal santo al suo infermiere: «Figlio mio, dai loro un rinfresco, ringraziali
per la carità che mi hanno dimostrato, e lasciali andare. Non è ragionevole che io
diminuisca con la musica i dolori che Dio mi ha dato»50. Corrisponde perfettamente
allo spirito del S. Padre Giovanni: voler portare la sua Croce, senza sollievi, fino alla
fine. D’altra parte, anche la seconda parte della prima narrazione ha il suo valore: il
delicato sguardo verso i confratelli si addice bene alla delicatezza del santo; e la
musica celeste non va neppure respinta, perché il grande amante della Croce,
palesemente per tutta la sua vita, era stato ricoperto dalla munificenza di Dio con
consolazioni di ogni tipo. Egli poté gustare tante dolcezze, proprio perché non cercò
che amarezze.
Per quante penitenze corporali Giovanni abbia praticato, non le ha mai
considerate uno scopo; erano per lui chiaramente un mezzo indispensabile: sia per
giungere al pieno dominio del corpo, della sensibilità, e per non essere ostacolato da
nulla nella più importante mortificazione interiore; sia per entrare, attraverso la
sofferenza dei dolori fisici, nell’unione con il Salvatore sofferente. Che egli
attribuisse un peso più grande alla mortificazione interiore, appare già dal fatto che
l’esortazione a darvi spazio maggiore compare nei suoi scritti e nelle sue sentenze,
soprattutto il corpo in rapporto all’anima passa per lui in seconda linea. Talvolta il
discorso dipende da diversi influssi, particolarmente quello della partecipazione del
corpo alla grazia ed alla vita di gloria ma, in prima linea, per il santo la persona è
anima: è significativo che egli difficilmente parli di uomini, talvolta parla di persone,
in maggioranza però di anime.
Egli ha detto chiaramente che cosa pensa del rapporto della mortificazione esterna
ed interna: «La sottomissione e l’obbedienza sono una penitenza dell’intelletto e del
giudizio, perciò sono davanti a Dio un sacrificio più gradito e accetto di tutte le altre
opere di penitenza corporale»51. La penitenza corporale senza ubbidienza è
sommamente imperfetta, perché i principianti vi vengono sollecitati solo dal desiderio
e dal gusto che vi trovano: la praticano solo secondo la loro volontà, crescono più in
mancanze che in virtù»52.
In primo luogo egli, correttamente, disapprovava quando i superiori caricavano i
sudditi con una rigorosità eccessiva di penitenza; egli stesso procedeva sempre con
saggia misura e dovette ripetutamente correggere quanto altri avevano guastato per
eccesso di zelo: così egli, nel 1572, richiesto dalla santa Madre, venne mandato al
noviziato di Pastrana per mettere fine alle esagerazioni del Maestro dei novizi P.
Angelo.
Quando nell’autunno 1578, pochi mesi dopo la fuga dal carcere, venne mandato
come priore all’eremo del Calvario, vi trovò pure un’ascesi irragionevole ed eccessiva

49
GIROLAMO DI S. GIUSEPPE, Vita ed opere di S. Giovani della Croce, (Ed. francese della Carmelitane di
Parigi), pag. 252.
50
BARUZI J., op. cit. pag. 221.
51
Otros Avisos y sentencias, Aviso 286.
52
Ib., Aviso 287.
217

e si preoccupò di moderarla. Con sguardo acuto egli riconobbe che, a una simile
violenza, soggiaceva un’insicurezza interiore. Prima del suo viaggio a Roma egli
disse a Pietro degli Angeli il quale non ne aveva mai abbastanza di penitenze, che vi
andava da scalzo e vi sarebbe ritornato calzato. In concreto, lo zelantissimo penitente
non riuscì a reggere alla molle corte napoletana, mentre Giovanni non tentennò mai.
L’elemento decisivo è, naturalmente, anche il rapporto fra mortificazione esterna
ed interna, non la dottrina quanto la vita. Quando pensiamo alle opere di penitenza del
Santo protratte per tutta la vita, forse difficilmente può apparire che siano state
superate dalla pura Croce spirituale. Un simile confronto, francamente, in tale caso
non è possibile. Per la mortificazione spirituale, come per tutto quanto è puramente
spirituale, non c’è una data unità di misura, neppure una comune misura per le opere
esterne. Tuttavia - se pensiamo ai principi di fondo del Santo, come li ha sviluppati
nella Salita53: non godere nulla, non sapere nulla, non possedere nulla, non essere
nulla! -, allora possiamo ben dire: è il non plus ultra dello spoliamento ed anche la
massima misura dell’opera esterna che non si può mai raggiungere. Infatti, le opere
esterne da sole rafforzano la coscienza di sé e non conducono in nessun modo al
nulla, alla morte dell’Io.
Come possiamo però provare che Giovanni sia realmente giunto allo spoliamento
spirituale perfetto che pretendeva? L’intimo di questo santo riservato non ci è chiuso?
Certamente, non possiamo leggervi come nel cuore della santa Madre e come in molti
altri, che furono obbligati a scrivere la storia della loro anima. Ciò nondimeno, il suo
cuore si tradisce, suo malgrado, negli scritti e, particolarmente, nelle poesie. Vi si
aggiunge un gran numero di testimonianze di contemporanei che presentano
un’immagine forte e unitaria della personalità, fra cui alcune che riguardano le
comunicazioni confidenziali di san Giovanni; ci sono alcune persone che gli stettero
così vicine e gli furono così unite in Dio, che egli aprì loro qualche cosa dei segreti
del suo intimo: soprattutto suo fratello Francesco ed alcune carmelitane54.
L’impressione più pura ed inalterata ci è data dalle poesie, in cui parla il cuore
stesso. In alcune si esprime in toni così trasparenti come se nulla di terreno più lo
legasse. In alcune, non in tutte. Il Canto della Notte oscura è colmo di profonda pace.
Nella beata quiete di questa notte non c’è più traccia del rumore e dell’agitazione del
giorno. Nella Fiamma d’Amor Viva arde il cuore nel suo più puro fuoco celeste. Il
mondo è completamente svanito. L’anima abbraccia con tutte le potenze Dio solo.
Solo la ferita testimonia ancora la frattura fra cielo e terra.
La perfetta liberazione dell’anima, da cui salgono queste poesie, non si palesa
solo nel contenuto del pensiero ma anche nella forma poetica. La loro quiete e
semplicità sono il tono naturale di un cuore che, in questi puri accenti, si apre senza
barriere e senza alcun sforzo volontario, come canta l’usignolo, come sboccia un
fiore. Sono opere d’arte complete, perché non vi si percepisce alcuna traccia di
artificio55.
Lo stesso si può dire solo per altre due poesie: Il canto del pastorello (pastorcico)
e il Canto della fonte trinitaria56. Sono infatti, per contenuto e forma, differenti dalle
altre composizioni ed anche fra loro due. Nel Canto del pastorello non emerge
immediatamente il moto dell’anima. Il poeta ha visto un’immagine e l’ha plasmata in
una forma artistica. Egli vede Cristo crocifisso, sente il suo lamento per le anime che,

53
S II, 1,3; ivi, cfr. cap II 2,1.
54
P. Bruno e Baruzi hanno attinto da queste fonti: P. Bruno, soprattutto, dagli Atti dei processi canonici di
Roma; Baruzi dal Ms 12738 della Biblioteca Nazionale di Madrid. P Silverio ha anche allegato una parte
delle deposizioni nell’ultima edizione spagnola delle Opere di San Giovanni della Croce: 4, suppl. 354 ss).
55
OBRAS, op. cit., pag. 79.
56
. Ib., pag. 76.
218

«con orgoglio dimenticano il suo amore. Egli forma perciò un canto del pastore, nel
gusto del suo tempo, come ha fatto anche in grande stile nel suo Cantico. Se il
Cantico dei Cantici gliene offrì lo spunto – non vi ha collaborato qui il pensiero al
Buon Pastore che offre la sua vita per le sue pecore? (Gv 10)? E il lamento del
pastore per la pastorella orgogliosa non è un’eco del grido doloroso di quando il
Salvatore pianse su Gerusalemme? (Mt 23, 37). La parola sempre ricorrente el pecho
del amor muy lastimado (“Il cuore gravato dal tormento dell’amore”) dà la nota di
fondo. Provengono da un cuore che ha dimenticato se stesso ed è entrato nel cuore del
Salvatore. È pura passione che così si esprime di una persona liberata da se stessa e di
un’anima unita al Crocifisso. (In accordo con la narrazione, secondo la quale egli a
Segovia, durante la Settimana Santa, fu incapace di uscire di casa perché
profondamente colto dalla partecipazione alla Passione57.
Nel Canto della Fonte, come pure nella Notte oscura e nella Fiamma d’Amor
viva, l’anima canta di nuovo qualche cosa che si è mosso nel suo intimo. Quanto però
la muove non è qui il suo stesso destino, ma la vita interiore della Divinità, come le è
rivelata dalla fede: l’eterna fonte sempre scorrente, da cui nascono tutti gli esseri, che
a tutti dona luce e vita; che da sé emana una simile corrente e dà origine insieme con
la seconda ad una terza di pari pienezza. Il canto, che canta queste verità, non è per
nulla una poesia di pensiero. Ella realmente canta, nei più puri toni musicali. La
dottrina della fede vi è divenuta vita fluente: l’eterno mare sciaborda con onde
tranquille nell’anima e vi innalza il suo canto. E ogni volta, quando si infrange sul
porto, esprime un’eco oscura: Aunque es de noche («Anche se è notte»). L’anima è
circoscritta - non può abbracciare il mare infinito. Gli occhi del suo spirito non sono
adatti alla luce celeste - le sembra ancora oscurità. E così, ella vive nell’unione con la
Trinità, proprio nel gusto del Pane di vita, in cui Egli le si comunica, una vita di
nostalgia: Porque es de noche («Perché è notte»). L’essenza della contemplazione
oscura è espressa in questi versi.
La poesia Vivo sin vivir en mí58 («Senza vivere in me, io vivo») esprime nel suo
leitmotiv quasi lo stesso pensiero: Que muero porque no muero («Muoio perché non
muoio»). Il leitmotiv qui però, non è come nella Fonte e nel Pastorello una melodia
che sale involontariamente sempre di nuovo dal profondo del cuore. È un tema che
viene rielaborato in variazioni. Colui che costruisce questa strofa artistica è
consapevole della sua arte. Egli gioca con il suo tema: la pena mortale di questa vita,
che vita vera non è, non è la vita vivente che esprime se stessa nel canto, è il suo
riflesso nel pensiero retrospettivo, nella riflessione che il poeta inizia. Le sue potenze
sono ancora in attività. E poiché, la sua anima non è ancora unita in consegna,
completamente senza riserve, perché domina in lui ancora il timore di perdere Dio,
per questo si lamenta dei suoi peccati e li sente come un legame che lo incatenano a
questa vita.
Sembra che qualche cosa di formalmente simile si trovi in molte altre poesie che
sviluppano un leitmotiv e lo ripetono come un ritornello. Non è possibile qui
esaminarle tutte. Dobbiamo ritornare ancora una volta in questo contesto solo sul
Cantico Spirituale. P. Silverio59 lo ritiene come la prima, ed insieme, la più bella delle
poesie e realmente molte strofe sono di un fascino incomparabile.
Abbiamo anche chiarito che il subisso delle immagini è stretto in unità con il
simbolo dominante della Sposa60. Ma non si può asserire che tutta questo sfavillio di
immagini emerga dal profondo dell’anima senza un intervento plasmatore volontario

57
P. BRUNO, Saint Jean, o p. cit., pag. 329.
58
OBRAS, op. cit., pag. 81.
59
OBRAS, op. cit., IV, LXXIX.
60
ivi, II, 3, c) d).
219

dell’artista. Molto qui è formato intellettualmente e artisticamente, molti paragoni


vengono da lontano…. Questa molteplicità di immagini e di pensieri corrisponde al
contenuto: l’irrequietezza di un movimento di sviluppo interiore in movimento.
Mettiamo questo canto, per contenuto e forma, di fronte ai quattro di cui si è
detto, così tutti insieme ci danno risposta all’interrogativo di come il santo possa aver
esercitato la mortificazione interiore: la sua anima è giunta al perfetto distacco da se
stesso, alla semplicità ed alla quiete nell’unione con Dio. Era però il frutto di una
purificazione interiore, in cui una natura così riccamente dotata si è caricata della
Croce e si è consegnata alla mano di Dio per la crocifissione; uno spirito di altissima
forza e di vitalità si è consegnato prigioniero, un cuore colmo di splendore passionale
è giunto in radicale rinuncia alla quiete. I testimoni confermano questo dato.
Giovanni fece tutto «con meravigliosa tranquillità di spirito e dignità», scrive P.
Eliseo dei Martiri61. «Nei suoi rapporti e nel suo comportamento era accogliente,
molto spirituale ed incoraggiante per le persone che lo ascoltavano e parlavano con
lui. Egli era tanto unico e ricco che quanti si incontravano con lui, lo lasciavano
arricchiti spiritualmente, colmi di devozione ed entusiasti per la virtù. Egli aveva
un’alta concezione della preghiera e del rapporto con Dio e, ad ogni dubbio che le
circostanze gli presentavano, rispondeva con una saggezza così alta da lasciare molto
in pace e incoraggiati coloro che gli chiedevano consiglio. Era amico del
raccoglimento e della riservatezza; rideva raramente e con molta compostezza».
«Perseverava costantemente in preghiera e nella Presenza di Dio, nell’elevazione
d’animo e nelle giaculatorie»62.
Egli non alzava mai la voce, non conosceva scherzi grossolani e superficiali, non
dava mai a nessuno un soprannome. Trattava tutte le persone con uguale rispetto. In
sua presenza nessuno parlava degli altri se non per lodarli. Anche in ricreazione
parlava solo di cose spirituali e quando parlava a nessuno veniva in mente di
interromperlo. Anche alla fine dei pasti aggiungeva un’esortazione spirituale e teneva
tutti immobili nell’atteggiamento in cui si trovavano.
Soprattutto il suo influsso sugli altri era straordinario. Già fra i calzati il suo
apparire era un ammonimento al silenzio. Con una breve frase poteva mettere a tacere
per sempre inquietudini e tentazioni63. Era grande anche nel discernimento degli
spiriti: rimandò talvolta postulanti che chiedevano di essere accettati nell’Ordine e
agli altri sembravano proprio adatti, oppure li accettava anche se gli altri non erano
dello stesso parere, perché gli pareva chiaro quanto al normale giudizio umano
sembrava nascosto64.
In confessione egli rese cosciente una carmelitana di una colpa grave, commessa
da tempo, su cui ella non aveva mai riflettuto e che perciò non aveva nemmeno
conosciuto65. In questo contesto calza bene anche la conosciuta narrazione della S.
Madre: egli distribuendo la S. Comunione nel monastero dell’Incarnazione le diede
una mezza ostia, con l’intento di mortificarla, perché conosceva la sua predilezione
per le ostie grandi66.
Ancora più severo Giovanni si dimostrò con Caterina di S. Alberto a Beas: ella
aveva dichiarato di essere sicura di comunicarsi in un particolare giorno, in cui era
d’uso ricevere la S. Comunione. Quando giunse quel giorno, Giovanni, distribuendo
la comunione, la saltò, anche se ella ritornò una seconda ed una terza volta; e quando

61
OBRAS, op. cit., 348.
62
OBRAS, op. cit., 349.
63
Cfr. 3, pag. 290 ss. Le testimonianze di P. Martino di S. Giuseppe si trovano in 4, 377.
64
Ib., pag. 290.
65
Ib., pag. 292.
66
OBRAS, op. cit., pag. 63 –64.
220

gliene fu chiesta la ragione, spiegò: «La sorella lo dava per certo; ed io feci così
perché potesse comprendere che, quanto ci immaginiamo, non è per nulla sicuro»67.
In entrambi i casi l’atteggiamento del Santo chiaramente poggia sulla conoscenza
di quanto era necessario alle anime per liberarle dalle imperfezioni. Questo sguardo
soprannaturale acuto, va di pari passo, con una risolutezza inflessibile, che non si può
considerare come mera qualità naturale. Sappiamo con quale rispetto ed amore
guardava alla nostra santa Madre, come avrebbe osato l’umile giovane religioso
opporre resistenza all’anziana fondatrice se la forza dello Spirito Santo non gliele
avesse concesso il vigore? Il santo buono e sensibile come avrebbe potuto giungere
ad una lezione così significativa e umiliante come nel caso di Beas?
Evidentemente anche questa bontà e questa sensibilità non sono per nulla da
considerare come meri doni di natura. Sappiamo dalle sue osservazioni taglienti sulle
guide d’anima incompetenti e autoritari, così come vennero introdotte nella Fiamma
d’Amor viva e come sono rintracciabili in altri passi, che Giovanni, per natura, non
era una colomba senza fegato. I suoi schizzi di alcuni tipi di pietà, negli ultimi
capitoli della Salita, sono di un’ironia che, nel rapporto personale, avrebbe potuto
essere molto offensiva. Se egli, né come superiore nel rapporto con i sudditi né nelle
ore di ricreazione, ne fece mai uso, dimostra che era giunto a padroneggiare
completamente la sua natura. Egli è vissuto fedele alla sua dottrina. Se confrontiamo
le sue affermazioni sulle virtù ed i doni con quelle sul suo comportamento, vi
troviamo la più perfetta armonia.
Egli esigeva una fede che si attenesse puramente alla dottrina di Cristo ed alla sua
Chiesa e non cercava alcun appoggio in rivelazioni straordinarie. Durante il capitolo
di Lisbona molti, anche padri rigorosi, andarono a visitare una monaca sulle cui
stigmate si era fatto molto rumore. Essi conservavano come reliquie piccoli pezzi di
fazzoletto con il sangue di queste ferite. Giovanni non badò per nulla alla cosa e non
vi andò. Quando poi a Granada, in ricreazione, gli venne chiesto se avesse visto la
stigmatizzata, rispose: «Non l’ho vista e non volli vederla, infatti sarei molto afflitto
per la mia fede se per crescere un poco avesse avuto bisogno di vedere simili
cose…»68. La sua fede attingeva «dalle stigmate di Gesù Cristo più che dalle cose
create» e non aveva bisogno di altre stigmate69.
Giovanni voleva una speranza che «fosse diretta incessantemente a Dio, senza
rivolgere i propri occhi ad altre cose»70. P. Giovanni Evangelista testimonia che, negli
otto o nove anni, in cui visse con il Santo, lo vide sempre vivere totalmente nella
speranza e quasi portato da essa. Poté particolarmente convincersene da procuratore a
Granada mentre Giovanni era priore.
Un giorno gli mancava il necessario per il convento e gli chiese il permesso di
poter uscire per procurarselo. Venne ammonito a fidarsi di Dio, non sarebbe mancato
loro nulla. Dopo qualche tempo egli ritornò a insistere: era già tardi ed aveva dei
malati di cui doversi prendere cura. Il santo lo mandò nella sua cella, per supplicare
Dio di quanto aveva bisogno. Egli ubbidì di nuovo, ma corse una terza volta nella
cella del priore, dichiarando: «Padre, questo significa tentare Dio, mi conceda Vostra
Reverenza il permesso di andare…, è già molto tardi». Questa volta Giovanni gli
concesse il permesso ma in questa forma: «Vai e vedrai come Dio si vergognerà della
tua mancanza di fede e di speranza». In realtà il necessario venne portato in casa

67
3, pag .293.
68
Cfr. la deposizione di P. Martino di S. Giuseppe in 4, 377 ss.
69
Testimonianza di P. Giovanni Evangelista in 4, IV, 390.
70
Avisos y sentencias, Aviso 119 in OBRAS, op. cit.
221

proprio quando stava per mettersi in cammino. Similmente lo sperimentò in altri


casi71.
Parlare dell’amore non è quasi necessario: l’intera dottrina del Santo è già una
dottrina dell’amore, un insegnamento su come l’anima può arrivare ad essere
trasformata in Dio che è amore. Tutto si riduce all’amore, perché alla fine saremo
giudicati sull’amore. E tutta la sua vita è una vita di amore: la più profonda unione
con i suoi parenti prossimi nell’amore per Dio; l’attenzione dimentica di sé e
generosa per i malati; la bontà paterna per i subordinati; la pazienza instancabile con i
penitenti di ogni tipo; il rispetto per le anime; il desiderio bruciante di liberarle per
Dio; il sottilissimo discernimento per la molteplicità dell’accompagnamento di Dio e
quindi il soave adattamento ad ogni diverso caso: egli portava i novizi fuori
all’aperto, lasciava che ciascuno cercasse un posto solitario di suo gradimento per
piangere, cantare o pregare Dio72.
Anche per i suoi nemici Giovanni non ha nessuna parola dura. Quanto gli fanno di
male è per lui l’operare di Dio. Ne riparleremo. Tutte queste diverse forme di amore
del prossimo però hanno la loro radice nell’amore di Dio e nell’amore del Crocifisso.
Abbiamo già visto sempre come l’amore per lui sia essenzialmente «esercizio di
perfetta negazione e di passione per il Crocifisso»73; come lo abbia attuato è già stato
dimostrato più volte e lo sarà in seguito ancora più chiaramente.
La coerenza di dottrina e di vita deve essere dimostrata ancora solo in un punto
significativo: Giovanni ha sempre ripetutamente sottolineato nei suoi scritti che non si
deve rinunciare solo a tutte le conoscenze ed a tutti i gusti naturali, ma anche alle
visioni, alle rivelazioni, alle consolazioni… - per andare incontro a Dio, saltando a
piedi pari, nella fede oscura. Le asserzioni dei testimoni, di stagioni differenti della
sua vita, attestano che il Santo è stato colmato di grazie straordinarie. Lasciano però
anche capire che egli, con tutte le sue forze, vi si opponeva. Quando a Segovia
passeggiava per il convento, spesso anche conversando, dava un colpo contro il muro
con il pugno per proteggersi dall’estasi e per non perdere il filo del discorso»74.
Egli confidò a Madre Anna di S. Alberto: «Figlia mia, mantengo sempre la mia
anima in seno alla Santissima Trinità; il mio Signore Gesù Cristo vuole che io ve la
tenga». Provava però tanto spesso una consolazione così grande da ritenere che la sua
debole natura dovesse soccombere e non osava abbandonarsi al perfetto
raccoglimento. È già stato accennato che per giorni rifiutava di celebrare la S. Messa
per timore che gli sopravvenisse qualche cosa di straordinario75. Si lamentava
ripetutamente della «debole natura», troppo debole per sopportare una
sovrabbondanza di grazia, ma forte abbastanza per cercare e desiderare la Croce in
qualsiasi forma. Il Signore non glielo ha lasciato mancare.
Più efficace della mortificazione esercitata per propria scelta, è la Croce che Dio
carica ad una persona, esternamente ed internamente. Quale il cammino del Salvatore,
tale anche quello del suo servo fedele, dall’inizio alla fine è divenuto un cammino di
Croce: miseria estrema e povertà nella sua prima fanciullezza; tentativi vani di
coadiuvare la madre nella dura lotta per l’esistenza; poi una chiamata di lavoro che
richiedeva l’assoluto impegno fisico e psichico delle sue forze ed un continuo
superamento: questi sono gli inizi della scuola della Croce. Ne seguono le delusioni
sullo spirito dell’Ordine, in cui la chiamata di Dio lo condusse; e certamente il dubbio
e la lotta interiore prima della decisione di passare alla Certosa; poi, dopo il felice

71
Testimonianza di P. Giovanni Evangelista in 4, IV, 390 ss.
72
P. BRUNO DI GESÚ MARIA, O.C.D., Vie d’Amour.., op. cit., pag. 218 ss.
73
Puntos de Amor, Aviso 123 in OBRAS, op. cit.
74
P. BRUNO DI GESÚ MARIA, O.C.D., Vie d’Amour.., op. cit.., pag. 327.
75
P. BRUNO, Saint Jean, o p. cit, pag. 225.
222

inizio della Riforma a Duruelo, una catena di dure prove e sofferenze lottando per il
suo ideale.
Nella vita del Signore certamente le ore più felici furono quella della notte silente,
in solitario dialogo con il Padre. Erano però solo una pausa di respiro in un’attività
che lo immetteva nel turbinio degli uomini e gli metteva sotto gli occhi l’impasto di
debolezza umana, piccineria e cattiveria, come la bevanda di aceto e fiele, ora dopo
ora. Anche Giovanni conobbe la beatitudine delle silenti ore notturne, il dialogo con
Dio sotto le stelle. Da rettore del collegio di Baeza egli aveva acquistato un pezzetto
di terra vicino al fiume. Vi sostava per giorni con Giovanni di S. Anna. La notte la
trascorreva da solo in preghiera, talvolta però prendeva il suo compagno, andava con
lui al fiume e gli parlava della bellezza del cielo, della luna e delle stelle76.
Anche da priore di Segovia aveva una simile oasi: un eremo su un’altura con un
ampio panorama. Vi ritornava tanto spesso quanto glielo consentivano i suoi
impegni77. Silente e solo in preghiera, ecco finalmente attuato il suo desiderio degli
anni giovanili.
La maggior parte della sua vita però, era anche sovraccarica degli impegni del suo
ufficio. E, come aveva seguito il Salvatore nell’attenzione amorosa per gli ammalati
(anche con il carisma di guarigioni miracolose), così lo seguì pure nell’attenzione
oblativa per le anime. Finché fu rettore a Baeza, seguendo il suo esempio, da mattina
a sera si ascoltavano le confessioni. Egli era sempre a disposizione. Una volta fra
Martino, il portinaio, gli chiese di mandargli un «padre confessore comprensivo» per
un suo parente, un capitano dai costumi facili. Vi andò egli stesso e convertì
quest’uomo di mondo in un modo così impressionante che questi veniva ora, «giorno
e notte», al convento per partecipare agli esercizi spirituali78.
Giovanni aveva una pazienza instancabile con gli scrupolosi che nessun altro
voleva ascoltare. Per il suo cuore amante il più grande dolore era vedere come le
anime erano sviate e tiranneggiate da una guida ignorante e dispotica. Per costoro il
Santo, mite e buono, trovava parole così dure e sferzanti come quelle del Salvatore
contro i farisei.
Nella Fiamma Viva d’amore egli interrompe la descrizione dell’unzione dello
Spirito, quale preparazione più prossima concessa per l’unione con Dio, con una
lunga digressione sulle guide spirituali: «… La compassione ed il disappunto del mio
cuore, guardando tante anime che di nuovo precipitano dalla loro altezza, è così
grande che non trovo pace…». La guida spirituale «deve essere saggia e discreta ed
avere anche esperienza… se gli manca l’esperienza delle pure cose spirituali, allora
non riuscirà nella guida dell’anima quando sia benedetta da Dio… In questo modo,
molte guide spirituali procurano gravi danni a così tante anime… poiché il loro sapere
non supera i primi elementi - e voglia Dio che ne abbiano una corretta conoscenza -,
non permettono all’anima, che Dio vuole innalzare più in alto, di abbandonare il
modo di meditazione dei principianti…»79. «Se una mano rozza ed inesperta pone
brutti ed inadatti colori su un quadro molto artistico, ne verrebbe un danno più grande
e notevole di quando danneggiasse molte altre immagini di arte di mediocre; inoltre,
lo Spirito Santo dipinse con mano soave e una mano goffa danneggiò la sua opera.
Chi potrà far sì che quanto fatto sia non fatto?… Poiché Dio, spesso, unge l’anima
contemplante con un unguento soavissimo, con una conoscenza amante, quieta,
pacifica, unitaria, sopra tutti i sensi e i pensieri… ed allora compare una guida
spirituale che sa solo martellare e dar di mazza come un fabbro ferraio con tutte le sue

76
Obras, I, 105 in OBRAS, op. cit.
77
P. BRUNO, Saint Jean, o p. cit, pag. 325.
78
Ib., pag. 228.
79
F 3, 53.
223

forze… e magari ordinerà all’anima: Via, lasci tutte queste cose, sono solo ozio e
perdita di tempo…»80.
Quando simili guide mancano della necessaria conoscenza, «non devono
intromettere la loro goffa mano sull’opera che non comprendono, ma lasciarla ad un
altro che ne abbia la necessaria conoscenza. E non è una responsabilità piccola e una
colpa non da poco, se si provoca un danno per cui, con consigli temerari, un’anima
perde beni inestimabili e, talvolta, non giunge alla meta. Chi perciò si sbaglia… per
presunzione, pagherà secondo la colpa. Infatti gli interessi di Dio vanno trattati con
grande circospezione e prudenza, particolarmente quelli che concernono cose così
importanti e un compito così elevato come la direzione della anime, in cui la corretta
impostazione provoca un guadagno inestimabile, mentre l’errore un danno
irreparabile81.
Del tutto inescusabile però, è la guida che «non lascia uscire dal suo potere la
direzione di un’anima… per vano pensiero e vanagloria», se ella ha bisogno di un
insegnamento più alto del suo. «Non chiunque può sgrossare il legno ha anche la
capacità di preparare un’immagine e chi può scolpire un’immagine, non sa rifinirla e
lisciarla. E non chiunque sa rifinirla, può anche dipingerla, come neppure colui che sa
dipingerla, può darvi l’ultimissima mano… Se non sei nulla di più di uno sgrossatore,
che può condurre l’anima solo fino al disprezzo del mondo, alla mortificazione delle
passioni e delle inclinazioni, o se sei un buon intagliatore che può portarla alla santa
meditazione, e non ne sai di più - come vuoi dare all’anima l’ultima perfezione
che…consiste nell’opera di Dio… Dio conduce le anime su cammini differenti…
Dove però si trova l’uomo che come S. Paolo si fa tutto a tutti per guadagnare tutti?
(1Cor 9, 22). In questo modo tu tiranneggi le anime e rubi loro la libertà…»82.
Parimenti Giovanni, che anche come superiore guadagnava con la bontà
altruistica tutti i cuori e pronunciava pure un rimprovero necessario solo con mitezza
ed amore paterno, si dirige decisamente contro ogni brutale regime di guida:
«Quando… in un Ordine la gentilezza cristiana e monastica… è scomparsa, e al suo
posto, i superiori si comportano non civilmente e brutalmente…, l’Ordine si può
piangere come perduto»83.
È la dolorosa preoccupazione per le anime che ispira al Santo queste dure parole.
Cristo ha comprato le anime con la Sua Passione e la Sua Morte, ciascuna per il Suo
fedele discepolo è infinitamente cara. Creare per anime elette condizioni di vita, in
cui la mano finale di Dio possa indisturbata compiere il suo lavoro, era lo scopo della
Riforma. Sappiamo quali sofferenze Giovanni abbia accettato su di sé, quando questa
opera di Dio era minacciata dai nemici esterni.
Forse la sua anima soffrì di più quando all’interno dell’Ordine riformato nacque
uno spirito di dominio che minacciava l’opera di Dio nelle anime. Il pericolo venne
da lati opposti: P. Gerolamo sospingeva all’attività esterna nelle missioni.
Certamente non mancava a Giovanni il senso dell’apostolato fra i pagani. Gli
stava molto a cuore che «il nostro vero Dio e Signore» fosse ancora quasi sconosciuto
in tutte le parti del mondo e conosciuto solo in una parte così piccola 84. Egli però non
voleva alcuna attività esterna a spese del raccoglimento.
Nicolò Doria rappresentava l’estremo opposto: egli voleva solitudine e penitenza,
ma, giungendo ad imporre questo ideale con la forza, si opponeva allo spirito della S.

80
F 3,
81
F 3, 56.
82
F 3, 58 –59.
83
Avisos y sentencias, sentencia 15 in OBRAS, op. cit.
84
P. BRUNO DI GESÚ MARIA, O.C.D., Vie d’Amour.., op. cit., pag. 300.
224

Madre e delle sue prime compagne, e si opponeva allo spirito stesso di Dio, che soffia
dove vuole.
Teresa aveva ella stessa sofferto molto per la mancanza di comprensione di
confessori sperimentati; perciò, aveva assicurato nelle sue Costituzioni alle sue figlie
la libertà di parlare con persone spirituali di cui potevano fidarsi.
Doria, divenuto dal 1585 provinciale, fornito da Roma di ampi poteri, introdusse
una concezione centralizzata: un Consiglio generale che avrebbe dovuto nominare i
priori, i predicatori e i confessori. Giovanni lottò per l’eredità della fondatrice insieme
con le grandi figlie di Teresa, Anna di Gesù e Maria di San Giuseppe e con gli amici
di vecchia data della Riforma, Luís de León e Domenico Bañez. Si trattava anche
della sue figlie e della loro vita interiore.
Ad Avila, Beas, Caravaca, Granada e Segovia, sotto la sua attenta cura, sotto la
sua mano insieme tenera e forte, in moltissime anime era sbocciato un rigoglio di
fioritura, quale egli l’aveva descritto nel suo Cantico della Sposa. Non gli doveva
apparire come un naufragio dell’opera della sua vita, se ora la grandine della
persecuzione si abbatteva su questi giardini paradisiaci?
Nel Capitolo di Madrid egli si oppose con ogni risolutezza al Provinciale, fedele
al suo principio: «…Se nessuno osa richiamare i superiori o obbiettare quando
sbagliano…, coloro che godono di influenza e per la legge dell’amore e della giustizia
ne sono obbligati,…non intervengono…, allora si ritenga perduto l’Ordine…». Perciò
gli vennero tolti tutti gli incarichi e quindi il potere di aiutare con interventi esterni. Si
giunse fino a intaccare il suo personale onore ed a manovre per cacciarlo dall’Ordine.
Egli conservò la più perfetta quiete dell’anima. Ora si dimostrava quanto egli fosse
stato autentico quando aveva espresso la richiesta di poter soffrire e di essere
considerato nulla per amore del Signore; non erano solo parole vuote quando scrisse
che Cristo attuò la sua opera massima appeso alla Croce85.
Stando alla testimonianza di P. Eliseo dei Martiri, Giovanni una volta spiegando il
passo di Paolo: «I segni del mio apostolato sono stati operati fra voi con tutta
pazienza, con miracoli, prodigi e potenza» (2 Cor 12,12), rilevò che l’apostolo
anteponeva la pazienza ai prodigi. «Perciò egli volle dire che la pazienza era un segno
dell’uomo apostolico molto più sicuro della risurrezione dei morti. Ed io posso
assicurare che Giovanni della Croce, in questa virtù, era divenuto un uomo
apostolico; infatti sopportò le disgrazie sopravvenute, con incomparabile pazienza e
rassegnazione; eppure erano così impressionanti da stroncare i cedri del Libano»86.
Un chiaro giudizio dello stato d’animo del Santo lo dimostrano le sue lettere del
Capitolo di Madrid, in cui non aveva ricevuto nessun voto. Egli scrive il 6 luglio 1591
a Madre Anna di Gesù87: «Se la situazione non si è rivelata quale lei la desiderava, se
ne rallegri e ringrazi Dio di cuore. Infatti Sua Maestà ha disposto così e perciò, per
noi tutti, è il meglio; dobbiamo solo sottometterGli la nostra volontà perché ci appaia
come in realtà è: le cose sgradite ci appaiono cattive e contrarie, anche quando sono
buone e opportune. L’attuale però si vede bene che non lo è, né per me né per gli altri;
infatti per me è opportuna, ricchissima di benedizione: libero dalla cura delle anime
posso, quando voglio, rallegrarmi della grazia della pace, della solitudine e del gusto
frutto dell’oblio di me stesso e di tutte le cose. Anche per gli altri è bene.., infatti sono
liberi dagli errori che avrebbero potuto commettere per la mia miseria…»88.
Anche a Maria dell’Incarnazione, la figlia di Madre Anna, allora priora a Segovia,
egli diresse una preghiera: «Non si deve preoccupare figlia per quanto mi è accaduto,

85
S 2, 7,11.
86
15, III, 64, 13.
87
Non la famosa collaboratrice della S. Madre ma la fondatrice del Carmelo di Segovia.
88
Lettera 21.
225

perché io non lo sono per niente. Quanto mi addolora molto è che si addossi la colpa a
chi non ce l’ha. Infatti queste cose non provengono dagli uomini ma da Dio, che sa
che cosa è bene per noi e le inclina per il nostro meglio. Pensi solo che Dio lo ha
disposto. Dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore…»89.
Chi poteva parlare così era divenuto interiormente simile al Crocifisso. Era ormai
il momento in cui avrebbe dovuto conformarsi anche esteriormente e morire d’amore
della morte di Croce. I suoi ultimi desideri stavano per essere colmati:
«Ora desidero che la morte mi colga in un luogo distante, lontano da ogni contatto
umano, senza i confratelli da dover dirigere, senza gioia che possa consolarmi,
provato da tutte le pene ed i dolori. Vorrei che mi provasse come servo, dopo aver
constatato così spesso nel mio lavoro la debolezza del carattere; vorrei che mi
visitasse con la malattia, poiché Egli mi ha indotto in tentazione con la salute e la
robustezza; vorrei che mi lasciasse nella tentazione dell’infamia, poiché egli mi ha
esposto alla seduzione del buon nome di cui godetti anche fra i miei nemici. Signore,
degnati di coronare il capo del tuo indegno servo con il martirio…»90.
Nel Capitolo di Madrid gli venne assegnato come domicilio coatto il deserto de
La Peñuela. Per Giovanni non era una punizione. Qui egli sperava di trovare l’anelata
solitudine. Tuttavia non si può pensare che l’opposizione e la decisione di Madrid non
lo abbiano scosso e colpito interiormente.
Nel viaggio da Madrid a La Peñuela egli, con P. Elia di San Martino, giunse un
giorno a Toledo alle quattro del mattino. Entrambi celebrarono e si rinchiusero nella
cella. Senza mangiare nulla vi rimasero fino a notte. Allora Giovanni dichiarò di
partire molto consolato e forte della grazia che Dio gli aveva concesso in quel giorno,
pronto a sopportare qualsiasi sofferenza91.
Non era una notte del Getsemani, in cui Dio gli aveva mandato il suo angelo
consolatore? Tutte le dure opere di penitenza della sua vita, tutte le persecuzioni,
anche il carcere in Toledo ed il trattamento ostile del priore di Ubeda, tutto questo -
ritiene P. Silverio92 - sono solo delle parvenze di sofferenza a paragone di quanto gli
inflisse la decisione della famigerata consulta.
Dal punto di vista umano Giovanni, quando si mise in viaggio per La Peñuela,
proprio come il Salvatore quando si lasciò legare e condurre dal Monte degli Ulivi a
Gerusalemme, abbandonava dietro di sé le macerie del lavoro di tutta la sua vita,
La solitudine montagnosa de La Peñuela non è che una pausa di respiro di silente
preghiera prima della salita del Calvario93. Peraltro, anche qui non viene lasciato del
tutto solo. I monaci sono felici di avere con loro il Padre della Riforma. Il priore gli
chiese di assumersi la direzione spirituale di tutti. In ricreazione egli è con loro. Ma si
nota che Giovanni fino all’ora della ricreazione rimane costantemente in preghiera.
Già prima dell’alba egli va in giardino, si inginocchia fra i salici del torrente e rimane
in preghiera finché il caldo sole non lo avverte che è tempo della S. Messa. Dopo la
celebrazione, egli ritorna nella sua cella e dedica tutto il tempo alla preghiera quando
gli impegni della vita comunitaria non lo richiamano.
Talvolta si porta in un eremitaggio e vi rimane rapito in Dio. Un testimone rileva
anche che, in questo periodo, era occupato a scrivere libri spirituali. (Che cosa si
intenda non lo sappiamo. I grandi trattati conosciuti erano già da tempo stilati).

89
Lettera 22.
90
14, pag. 217.
91
P. BRUNO DI GESÚ MARIA, O.C.D., Vie d’Amour.., op. cit., pag. 243.
92
OBRAS, op. cit., I, 113.
93
P. BRUNO, Saint Jean, o p. cit, pag. 343.
226

Le rocce erano per lui una cara compagnia. «Non meravigliatevi se parlo con loro
- diceva – ho molto meno da confessare di quando mi rivolgo agli uomini»94.
Quanto lo raggiungeva dal mondo era per lui adatto a distruggere il raccoglimento
e la sua imperturbabilità. P. Giovanni Evangelista gli narrò per lettera degli arbitrii
che P. Diego Evangelista si permetteva nei monasteri delle carmelitane di Andalusia,
per estorcere dalle sorelle delle espressioni pesanti sul Santo. (Allora suor Agostina di
S. Giuseppe a Granada dovette bruciare una grande raccolta di lettere del santo- le
sorelle le conservavano come «le lettere di San Paolo» - e un quaderno con appunti
delle sue conferenze e dialoghi spirituali, perché non cadessero nelle mani di Diego).
Nicolò Doria spiegò, a chi se ne lamentò, che il Visitatore non aveva alcun
incarico di comportarsi in quel modo ma non lo punì. Era un suo fidato amico e lo
rimase. Giovanni, tempo addietro, aveva richiamato severamente Diego perché, per
mesi, era rimasto fuori dal convento per predicare. Ora questi approfittava della
circostanza per vendicarsi. Alcuni mesi più tardi - dopo la morte del Santo – egli
spiegò: «Se non fosse morto, gli si sarebbe tolto l’abito e sarebbe stato espulso
dall’Ordine».
Alcuni fedeli figli del Padre della Riforma lo avevano temuto, Giovanni di S.
Anna glielo aveva scritto. Egli ricevette questa risposta: «… Figlio, non si preoccupi
per nulla; non si può togliere l’abito a nessuno, se non a chi si rifiuta di migliorare o
di ubbidire; ora, da parte mia, sono completamente disposto a riparare a tutte le mie
mancanze ed a ubbidire, qualunque sia la penitenza che mi venga imposta». E a
Giovanni Evangelista egli scrisse: «L’anima mia è ben lontana dal soffrire tutto
questo; al contrario, ne ricava un insegnamento nell’amore a Dio e al prossimo…»95.
Così egli conservava inalterata la pace del cuore «in questa santa solitudine»; e
quando la febbre lo costrinse a lasciarla, lo fece «con l’intento di ritornarvi quanto
prima»96. Come prima del suo trasferimento a La Peñuela, egli non aveva scelto il
luogo del suo soggiorno, bensì se lo era lasciato indicare dalla santa ubbidienza, così
anche ora volle lasciare determinare il luogo dove avrebbe dovuto curarsi. Gli si
lasciò la scelta fra Baeza e Ubeda. Baeza è il collegio che egli aveva fondato, di cui
era stato il primo rettore. Vi era priore il suo fedele figlio P. Angelo della
Presentazione e lo attendeva con ogni amore. A capo della neo fondazione di Ubeda
si trovava P. Francesco Crisostomo che Giovanni si era inimicato come Diego
Evangelista.
Per lui quindi, fu ovvio scegliere Ubeda: perché il convento non era molto
distante ed era povero, perché in quella città era sconosciuto e sperava «di sopportare
con maggiore utilità e merito le difficoltà della malattia»97.
Così, il 22 settembre 1591, Giovanni sale a dorso di un asinello per l’ultimo
viaggio della sua vita. Fu un vero cammino di sofferenza.
Egli, da molti giorni, non ha potuto mangiare nulla ed a stento può tenersi in sella
per la debolezza. La sua gamba ammalata gli duole, come se gliela stessero
amputando. Qui si trovava il luogo del male: prima si era gonfiata, poi gli si erano
aperte cinque piaghe purulente. Esse offrono al santo l’occasione di una preghiera: «
Ti ringrazio infinitamente, mio Signore Gesù Cristo, perché la Vostra Maestà ha
voluto concedere a questo solo piede le cinque piaghe che Vostra Maestà ebbe ai
piedi, alle mani e al costato: come ho potuto meritare una così grande grazia?» Egli

94
Ib. pag. 344.
95
P. BRUNO, Saint Jean, o p. cit, pag. 347.
96
Lettera 27.
97
Deposizione di P. Pietro di San Giuseppe, 4, V, 99.
227

non si lamentò neppure per i suoi grandissimi dolori, anzi li sopportò tutti con la più
grande pazienza98.
Ora egli dovette cavalcare in questo stato per sette miglia su di un sentiero di
montagna. Procedeva molto lentamente e parlava con il fratello che lo accompagnava
di Dio. Percorse circa tre miglia, il suo accompagnatore propose una sosta sulla riva
del Guadalimar: «Vostra Reverenza può riposare un poco all’ombra di questo ponte;
la gioia di vedere l’acqua può darle un poco di appetito». «Mi riposerò volentieri, ne
ho proprio bisogno; ma non posso mangiare, di tutto quanto Dio ha creato ho appetito
solo di asparagi ed ora non ci sono».
Il fratello lo aiutò a scendere e a sedersi. Ecco che videro su di una pietra un
mazzo di asparagi legati con un vimine come per il mercato. Il fratello credeva in un
miracolo. Ma Giovanni non ne volle sentir parlare. Gli fece cercare il proprietario, e
poiché non si scorgeva nessuno, egli dovette lasciare sulla pietra un cuarto come
risarcimento99.
Ancora un paio d’ore e giunsero alla meta. Il priore accolse il malato a morte e gli
assegnò la cella più povera e più piccola. Il medico, il licenziato Ambrogio de
Villareal, visitò le piaghe. Diagnosticò una risipola ed una forte infiammazione, fu
necessario un intervento doloroso. Il chirurgo volle togliere il focolaio del male e
lasciò a nudo ossa e nervi dal tallone al polpaccio. Nel terribile dolore il malato
chiese: «Che cosa ha fatto, gentile signore?». Osservò la ferita ed esclamò: «Gesù, è
questo che avete fatto!».
Successivamente il medico raccontò a P. Giovanni Evangelista: «Egli ha
sopportato i più terribili dolori che mai si siano uditi con inalterabile pazienza».
Anche di fronte ad altri spesso il medico espresse la sua meraviglia per la tranquillità
e la serenità con cui soffrì il malato; egli spiegò che Giovanni della Croce doveva
essere un grande santo, infatti gli pareva impossibile soffrire dolori così grandi e
persistenti senza lamentarsi, se non fosse stato molto santo, se non avesse avuto un
grande amore di Dio e non si fosse appoggiato sull’assistenza del cielo 100. Questa era
anche l’impressione di tutto l’ambiente circostante.
I frati consideravano una grazia avere fra di loro un simile esempio. Solo il priore
permase a lungo nella sua amarezza. Quando visitava il malato, era per rinfacciargli
come egli (Giovanni), da Vicario provinciale di Andalusia, lo aveva rimproverato.
Non poteva tollerare che i frati e le persone esterne facessero a gara per sollevare le
sofferenze del paziente. (Su questo punto la precauzione di scegliere un luogo
sconosciuto, fu vana: la santità non rimane mai così nascosta da non trovare nessun
ammiratore). Don Fernando Diaz di Ubeda, antecedentemente, aveva sentito
Giovanni cantare il Vangelo nella fondazione della Mancha; gli era bastato per dargli
la sua fiducia. Non appena seppe dell’arrivo del malato, lo cercò e lo visitò
quotidianamente, perfino tre o quattro volte al giorno.
Una volta incontrò il priore mentre voleva portare a lavare le bende del Santo.
Alcune pie donne si ritenevano contente di poter svolgere questo servizio d’amore; ne
vennero ricompensate con un meraviglioso profumo, che emanava dalle bende intrise
di pus. Ora il priore comandò a Don Fernando di non occuparsene, volle prendersene
cura egli stesso. Lo si udì spesso lamentarsi delle spese che gli procurava la cura del
Santo e dei cibi che consumava. P. Diego della Concezione, priore de La Peñuela,
allora gli mandò a Ubeda sei staia di grano per la comunità e sei galline per il malato.
P. Bernardo della Vergine, l’infermiere, ogni giorno raccoglieva prove dell’astio del
priore contro il malato. Egli stabilì che nessuno, senza il suo permesso particolare,

98
Deposizione di P. Diego della Concezione, 4, IV, pag. 355.
99
P. BRUNO, Saint Jean, o p. cit, pag. 352.
100
Deposizione di P. Ferdinando della Madre di Dio.
228

potesse fargli visita ed infine impedì a P. Bernardo perfino di assisterlo, perché


riteneva che si prodigasse troppo.
L’infermiere avvisò subito il Provinciale di Andalusia, l’anziano P. Antonio di
Gesù, l’antico compagno dei giorni di Duruelo101. Questi si affrettò a giungere per
portare aiuto e rimase a Ubeda per cinque o sei giorni. Rimproverò severamente il
Priore, ordinò a tutti gli altri di andare a visitare il malato e di stargli accanto quanto
potevano. P. Bernardo venne reintegrato nel suo incarico con il compito di curarlo
con il più grande amore; se il Priore gli avesse negato il necessario, egli avrebbe
dovuto subito rivolgersi al Provinciale e, nel frattempo, chiedere denaro a prestito. In
tutte queste vicissitudini non si udì da Giovanni neppure una parola di lamento sul
Priore nemico: egli sopportò tutto «con la pazienza di un Santo»102.
P. Antonio aveva assistito anche alla prima operazione. Quando volle parlargli,
Giovanni si scusò di non poter rispondere, era sfinito dai dolori. E i dolori fisici non
erano ancora al vertice. Si produssero nuovi ascessi ai reni e alle spalle.
Prima del secondo intervento, il medico gli chiese perdono. «Non fa nulla, se ne è
il caso», disse il novello Giobbe. E lo sollecitò a farlo subito. Tutti i dolori e le
sofferenze erano per lui «doni benefici di Dio».
Nelle lettere che scrisse ancora nel suo letto di malato - non ci sono state
conservate, lo sappiamo solo dalla deposizione di testimoni-, egli parlava della gioia
di poter soffrire per il Signore.
Le sofferenze fisiche non gli impedivano di immergersi nella preghiera. Egli
pregò talvolta il suo giovane infermiere, Luca dello Spirito Santo, di lasciarlo da solo
«non per dormire», aggiungeva colui che lo rapporta - «ma per abbandonarsi ad una
contemplazione splendente delle cose celesti». Dopo che l’infermiere lo comprese,
non solo divenne più riservato ma, talvolta, rimandò anche i visitatori. Lo stesso
medico lo comprese. «Lasciamo pregare il Santo- diceva - «Quando tornerà in sé, lo
cureremo».
Questo medico, al letto del suo paziente «divenne un’altra persona». Il Santo gli
donò un esemplare di sua mano della Fiamma d’Amor viva. Quegli spesso poi la
leggeva per sua consolazione103.
Il velo che nascondeva all’anima la gloria del cielo diventava sempre più
trasparente. Lasciava trasparire sempre più splendore. Il medico annunciò al malato
l’approssimarsi della morte. La risposta fu un grido di gioia: Laetatus sum in his quae
dicta sunt mihi: in domum Domini ibimus (Sal 122,1).
I confratelli gli proposero il viatico; allora Giovanni rispose che dirà quando sarà
il momento. Fin dalla vigilia dell’Immacolata, egli sapeva il giorno e l’ora della sua
morte. Si tradirà con queste parole: «Sia benedetta la Signora che vuole che in questo
giorno di sabato mi stacchi dalla vita».
Infine giunge l’annuncio che precisa: «So che Dio Nostro Signore mi dimostrerà
la misericordia e la grazia per andare in cielo a recitare Mattutino».
Due giorni prima della sua morte Giovanni bruciò con una candela tutte le sue
lettere - un gran numero – perché «essere suo amico era un delitto».
Alla sera del giovedì chiese e ricevette il santo Viatico. Tutti quelli che gli
chiedevano un ricordo, li rimandò al suo superiore: egli era povero e non possedeva
nulla.
Egli fece chiamare anche questo priore, Francesco Crisostomo, per chiedergli
perdono per tutte le colpe e gli chiese la sua benedizione: «Padre mio, chiedo a Vostra

101
P. Antonio, che un tempo così generosamente si era presentato per primo per la Riforma, ebbe la grande
grazia di poter assistere in morte la S. Madre e il S. Padre Giovanni.
102
P. BRUNO, Saint Jean, op. cit., pag. 353.
103
P. BRUNO, Saint Jean, o p. cit., pag. 359.
229

Reverenza, per amore di Dio, di darmi per carità l’abito dell’Ordine della Vergine che
ho portato e usato, sono un povero mendicante e non ho nulla per la sepoltura». Il
Priore lo benedisse e lasciò la cella. Pare che la sua resistenza interiore in questo
momento ancora non fosse sciolta.
Infine, come il buon ladrone, egli si inginocchiò piangendo ai piedi del morente e
gli chiese perdono perché il «povero convento» non aveva potuto offrirgli più sollievo
nella sua malattia. Giovanni rispose: «Padre priore, io sono molto contento, ho avuto
più di quanto meritavo. Confidi in Nostro Signore; verrà un tempo in cui questa casa,
avrà tutto il necessario».
Il 13 dicembre al mattino, Giovanni chiese quale giorno fosse e quando udì che
era venerdì, si informò più volte nel corso della giornata sull’ora; egli attendeva
proprio di recitare Mattutino in cielo.
In quest’ultimo giorno della sua vita, era ancora più silenzioso e raccolto del
solito. Per la maggior parte del tempo tenne gli occhi chiusi. Quando li apriva, li
innalzava colmi di amore su una Croce di rame.
Verso le tre, egli chiese che prima della sua morte P. Sebastiano di S. Ilario fosse
condotto ancora una volta da lui. Questi era un giovane padre cui egli aveva dato
l’abito a Baeza. Ora egli giaceva a letto con la febbre in una cella lontana da quella
del Santo. Vi venne portato e vi rimase circa una mezz’ora. Giovanni aveva qualche
cosa di importante da comunicargli: «P. Sebastiano, Vostra Reverenza, deve essere
eletto Priore dell’Ordine. Ascolti attentamente quanto le comunico e tenti di dirlo ai
superiori; spieghi loro che io glielo ho detto proprio prima della mia morte». Si
trattava di qualche cosa di importante per la crescita della Provincia.
Alle cinque il Santo proruppe in un grido di gioia: «Sono felice, senza meritarlo
questa sera sarò in cielo». Subito dopo si rivolse al priore ed a Fernando Diaz:
«Padre, voglia Vostra Paternità avvertire la famiglia del signor Diaz che non lo
attenda, questa notte deve rimanere qui».
Ora egli chiese l’Estrema Unzione e la ricevette con molta devozione; rispose
anche alle preghiere del prete. Per sua accorata richiesta, gli venne portato ancora una
volta il Santissimo per adorarlo. Egli parlò teneramente con il Dio nascosto.
Congedandosi disse: «Signore, non Ti vedrò più con gli occhi della carne».
P. Antonio di Gesù e qualche altro padre avrebbero voluto vegliarlo, ma egli non
acconsentì. Egli stesso li avrebbe chiamati, quando fosse giunta l’ora.
Quando suonarono le nove, disse con nostalgia: «Ho ancora tre ore di tempo;
incolatus meus prolungatus est» (Sal 119, 5).
P. Sebastiano lo udì ancora dire che Dio gli aveva accordato per sua consolazione
tre richieste: non morire superiore; morire in una località dove fosse sconosciuto e
dopo molte sofferenze.
Ora Giovanni giaceva così tranquillo, immerso in preghiera ed in pace, che lo si
dette già per morto. Ritornò invece in sé e baciò i piedi del suo Cristo.
Alle dieci si sentì suonare una campana. Egli chiese che cosa fosse. Gli si disse
che i frati andavano a Mattutino. «Ed io – egli rispose – devo, per la misericordia di
Dio, pregarlo in cielo con la Vergine Nostra Signora».
Alle 11 e mezzo circa fece chiamare i padri. Arrivarono circa 14 o 15 frati che si
stavano preparando per Mattutino. Appesero le loro lampade al muro. Si chiese al
Santo come stesse. Egli si aggrappò ad una corda che pendeva dal soffitto e si
sollevò. «Padri, volete recitare il De profundis? Mi sento molto bene».
Davvero lo si vedeva «molto calmo, bello e gioioso», raccontò il sotto priore,
Ferdinando della Madre di Dio. Giovanni stesso intonò il salmo e gli altri risposero.
In questo modo vennero «recitati non so più quanti salmi», dice Francesco Garcia.
Erano i salmi penitenziali che precedono la recommendatio animae. Se siano stati
230

recitati completamente e in qualche punto Giovanni abbia interrotto la preghiera, le


narrazioni non sono concordi. Egli si era stancato e dovette distendersi. Aveva ancora
un desiderio: qualcuno gli leggesse qualche passo del Cantico dei Cantici.; lo fece il
Priore: «Che pietre preziose! – esclamò il morente»104. Era proprio il canto
dell’amore che lo aveva accompagnato per tutta la vita.
Di nuovo chiese l’ora. Non era ancora suonata mezzanotte. «A quell’ora, starò
davanti a Dio, per recitare Mattutino». P. Antonio gli ricordò quanto aveva fatto per
la Riforma ai suoi inizi e poi come superiore. Il Santo rispose: «Dio sa quanto è
avvenuto!». Ma non è su questo che vuole appoggiarsi. «Pater noster105, non ne è il
momento giusto; spero di essere salvato per i meriti del Sangue di Nostro Signore
Gesù Cristo».
I confratelli gli chiesero la sua benedizione. Per ordine del provinciale egli
l’impartì. Raccomandò loro di essere frati veramente obbedienti e perfetti.
Poco prima di mezzanotte porse il suo santo Cristo ad uno dei presenti,
probabilmente a Francesco Diaz. Voleva avere libere entrambe le mani per mettere il
suo corpo nella corretta posizione per il trapasso. Subito dopo però lo riprese e si
accomiatò con tenere parole dal Crocifisso, proprio come prima dal Salvatore
nell’Eucaristia.
Dal campanile suonarono dodici colpi. Il morente disse: «Fra Diego, dia un segno
perché si deve suonare per Mattutino, ormai è ora».
Francesco Garcia, il campanaro di turno per la settimana, uscì. Giovanni sentì il
suono della campana e disse con la Croce in mano: «In manus tuas, Domine,
commendo spiritum meum». Uno sguardo d’addio ai presenti, un ultimo bacio al
Crocifisso ed egli si trovò davanti al trono di Dio per pregare Mattutino con i cori
celesti.
Questa morte non ha qualche cosa della divina libertà con cui Gesù Cristo sulla
Croce reclinò il capo? E, come nel primo Venerdì Santo, segni e miracoli
annunziarono che era veramente Figlio di Dio Colui che morì sulla Croce, anche ora
discese un segno dal cielo che un servo buono e fedele era entrato nella gioia del suo
Signore.
Fra le nove e le dieci di sera, quando per desiderio del Santo, la maggioranza era
andata a riposare, fra Francesco García, andato a capo del letto, si era appiattito fra il
letto e il muro, per pregare il rosario. Gli era venuto in mente che, forse, gli sarebbe
stata partecipata la gioia di vedere qualche cosa di quanto il Santo vedeva.
Durante la preghiera dei salmi dei padri egli, improvvisamente, vide risplendere
una luce fra il soffitto della cella ed i piedi del letto. Sfolgorava così luminosamente
da oscurare le quattordici o quindici lampade dei monaci ed i cinque ceri dell’altare.
Quando il Santo senza che lo si avvertisse spirò, fra Diego lo sorreggeva fra le
braccia.
Egli allora vide ancora una volta uno splendore luminoso intorno al letto.
«Risplendeva come il sole e la luna, la luce dell’altare ed i due ceri nella cella,
sembravano, come circondati da una nube, non dare più luce». Soltanto ora Diego
notò che il santo nelle sue braccia era senza vita. «Nostro Padre è andato in questa
luce in cielo», disse ai presenti. Quando con P. Francesco e fra Matteo ricompose il
santo corpo, ne emanò un soave profumo106.

104
P. BRUNO, Vie d’Amour, pag. 264.
105
Titolo per il Provinciale nel nostro Ordine [in uso allora, n.d.T.]
106
Tutta la narrazione della morte è tracciata seguendo P. BRUNO, Saint Jean, op. cit. Le annotazioni,
parzialmente, riportano le deposizioni dei testimoni oculari.

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