Sei sulla pagina 1di 22

Giovanna Casagrande

intorno a chiara
Il tempo della svolta.
Le compagne, i monasteri, la devozione

presentazione di
Pietro Messa
introduzione e cura di
Alessandra Bartolomei Romagnoli

Edizioni Porziuncola
PRESENTAZIONE

Giovanna Casagrande ha iniziato i suoi studi medievistici appro-


fondendo in modo particolare la realtà dei penitenti; in seguito è
passata a considerare le forme di vita religiosa comunitaria. Nel cor-
so delle sue ricerche è tornata più volte sulla vicenda di Chiara con
una peculiare chiave di lettura, attenta a cogliere l’esperienza della
Santa di Assisi all’interno di una fitta rete di relazioni, prima con la
sua parentela, poi con frate Francesco e la fraternitas minoritica, fi-
no alla morte con le sorelle della comunità, ma anche con le persone
– cardinali e papi, frati, donne, bambini, uomini d’armi – che afflui-
vano al complesso di San Damiano. La sua proposta interpretativa
è semplice, lineare, tesa a evitare conclusioni affrettate che spesso
“forzano” i dati e possono essere assunte solo a livello di ipotesi.
È anche qui il senso della serie di nomi che si susseguono: perso-
ne la cui vita si incontra, a volte per anni, a volte solo per un attimo.
Ma sono tutti significativi, come gli attributi cui sono accompagnati:
così se a Francesco ormai canonizzato Chiara affianca in modo quasi
naturale il titolo di pater – che il Santo riservava esclusivamente al
Signore –, desta forse una certa meraviglia che si rivolga con questo
appellativo a frate Elia, quando lei stessa lo indica ad Agnese di
Boemia come il frate cui fare riferimento.
Chiara non è sola, anzi, percepisce la solitudine come una realtà
innaturale. Quando una volta non può essere alla preghiera insieme
alle sorelle, ecco che confessa al Signore la propria solitudine. E
tuttavia in seguito dirà che anche in quel momento vicino a lei c’era
Qualcuno.
Se è naturale che nella vicenda agiografica e negli studi l’atten-
zione sia concentrata sulla protagonista, ossia su Chiara stessa, Gio-
vanna Casagrande ci fa notare che intorno a lei c’è altro, o meglio, ci
sono altri, e questo anche nell’anno 1211, la notte in cui fuggì dalla
sua casa per raggiungere la Porziuncola.
8 presentazione

Il contributo prezioso di Giovanna Casagrande alla storiografia


clariana era disseminato in atti di convegni, miscellanee e riviste.
Di qui l’iniziativa di raccoglierlo in unico volume come omaggio
nel momento in cui lascia l’insegnamento attivo nell’Università
degli Studi di Perugia. Per una felice concomitanza questo “pas-
saggio” nella vita della Casagrande coincide con l’VIII Centenario
(1211/1212-2011/2012) di un altro “passaggio”: quello di Chiara dal
palazzo famigliare a una vita penitenziale in fraternità che darà
origine all’ordine delle Clarisse. Affidato alla cura di una esperta
di movimenti religiosi femminili e amica, Alessandra Bartolomei
Romagnoli, Intorno a Chiara non è una semplice raccolta di articoli
precedenti, perché l’Autrice ha voluto rivedere e aggiornare ogni
contributo, oltre ad aggiungere, in apertura, un inedito che riguarda
proprio l’anno 1211.
La stessa immagine della copertina di questo libro, dono all’Au-
trice delle sorelle Clarisse del monastero di Santa Maria di Monte-
luce di Perugia, mostra un aspetto peculiare della esperienza della
Santa che emerge con forza da questi studi: essa vive sempre in
relazione, testimonianza di una scelta personale che Chiara indica
come dimensione essenziale della realtà umana.

Pietro Messa, ofm


Preside della Scuola Superiore
di Studi Medievali e Francescani
Pontificia Università “Antonianum”
INTRODUZIONE

1. Per Marc Bloch, la comprensione della storia era forse «un do-
no delle fate»1. Ma un’ immagine mi sembra più adatta a disegnare
il profilo di Giovanna Casagrande come storica, quella di una Diana
cacciatrice sorridente e bonaria, e tuttavia determinata e tenace nel
suo lavoro di ricerca. Il suo territorio di elezione è l’archivio, i ma-
teriali di cui dispone, le armi o strumenti del mestiere, sono le fonti
documentarie della più varia e diversa natura: dagli atti notarili a
elenchi nominativi come le matricole confraternali. Ma anche talune
inflessioni lessicali e stilistiche ricorrenti nella sua scrittura autoriz-
zano l’accostamento e diventano espressione di un modo preciso di
intendere e praticare la ricerca storica. Il terreno in cui si muove è
accidentato, frammentario e frammentato, può essere addomestica-
to solo con investigazioni tattiche. Avanza con cautela nelle ombre
e penombre, scrutando il sottobosco e il sommerso per cercare spie,
indizi, suggerimenti, tracce. Gli interrogativi e i punti di sospensione
spesseggiano; all’inizio si parte sempre da una ipotesi, o meglio, da
una gamma variegata di possibilità o di alternative percorribili; la
conclusione rimane sempre aperta, la sintesi provvisoria. Spesso si
registra un vuoto o un buco nella documentazione, con il consiglio
di proseguire nell’indagine o di restare in attesa di una nuova sco-
perta, che possa contribuire a reinserire un tassello mancante ed
attingere un frammento di “verità”, che non potrà essere che par-
ziale e non definitiva, perché non vi è niente che sia precostituito o

1
«Questa facoltà di apprendere ciò che vive: ecco la massima virtù dello storico
(...). Forse essa è, nella sua essenza iniziale, un dono delle fate, che nessuno potrebbe
pretendere di acquistare, qualora non l’avesse trovato nella propria culla. Eppure,
ha bisogno di essere continuamente esercitata e sviluppata. In che modo, se non con
un costante contatto con l’oggi, come ne offriva l’esempio Pirenne stesso? Qui infat-
ti, quel fremito di vita umana, che solo un duro sforzo di immaginazione riuscirà a
restituire ai vecchi documenti, è direttamente percepibile ai nostri sensi» (M. Bloch,
Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino 1969, p. 54).
10 introduzione

predeterminato. Il primato viene assegnato al nome proprio, al fatto,


per quanto piccolo esso sia, che disegna la mappa di una onomastica
ormai scomparsa: Arlottuccio, Baldolo, Bucarello, Cecce, Ceccolina,
Cellolo, Ciucciarino, Corgnolo, Giola, Lenola, Lucaria, Madaluccia
di Nucolo, Marguzia, Massaria, Mighardus, Migliuccia, Pascuccio,
Peruzzola/Penizzola, Pucciarella, Saraceno, Turpinuccio, Usulerio,
Venciolo, Çanolus. Per accumulazione, ogni dettaglio contribuisce a
ricostruire l’esistenza delle persone ordinarie, dei piccoli protago-
nisti della vita comune, nella concretezza dei rapporti quotidiani e
dei bisogni della vita materiale2, e la lente di Giovanna si sofferma
sulla proliferazione disseminata di attività anche anonime e periture
che rispondono alle necessità oggettive della vita, ma non si “capi-
talizzano”. Riemergono pratiche religiose, forme di devozione, reti
associative spontanee, gruppi più o meno grandi che si aggregano e
si disgregano, non necessariamente in polemica o in opposizione, an-
che se talvolta ai margini delle istituzioni ufficiali. Vitalità ed effer-
vescenza di un “cristianesimo di base”, che nell’universo comunale
del Medioevo avanzato appare ovunque attivo e creativo nella speri-
mentazione di forme nuove di presenza. La registrazione di affinità
e similarità resiste al meccanicismo della legge di causalità, perché
le esperienze fioriscono spesso in modo non correlato, e la realtà è
polinodale. Quella della Casagrande è una storia dinamica di movi-
menti e di passaggi, di forme libere e instabili, fluide e inafferrabili,
autonome dalla gabbia necessitante dell’ordo. Esse rinviano a una
pluralità mossa e articolata e a diversificate capacità di iniziativa
che preludono spesso a evoluzioni e sbocchi diversi e talora imprevi-
sti. L’analisi deve essere sempre sottoposta all’onere della verifica,
ogni affermazione va sfumata. Contro l’impazienza generalizzante,
anche se “il particolare” va compreso alla luce dei contesti in cui si
situa, la pratica storica della Casagrande resiste alla suggestione di

2
Si vedano, ad esempio, gli studi dedicati alla storia dell’alimentazione o dell’ar-
tigianato: G. Casagrande, Il “taccuino” di una suora perugina: scrittura, cucina e
lavoro in un monastero femminile tra XVI e XVII secolo, in «Alfabetismo e cultura
scritta». Notizie settembre 1981, pp. 19-23; Ead., Gola e preghiera nella clausura
dell’ultimo ’500. Traduzione e note etimologiche di G. Moretti, Foligno 1988; 2a ed.,
Foligno 1989; Ead., Linee di storia dell’alimentazione in età medievale, 2006-2007,
2007-2008 (dispensa); Ead., Fonti per la storia dell’alimentazione in Umbria: la
cucina dei monasteri, in «Percorsi umbri», 2/3 giugno 2008, pp. 48-51; Ead., Nuovi
documenti sulla produzione di vasi a Deruta, in «Esercizi», 5 (1982), pp. 101-103.
introduzione 11

leggere i fenomeni come totalità inglobante trasformandoli nell’illu-


sione di un discorso che fa legge, e la sua analisi minuta e paziente,
rigorosa, attentissima a schivare la tentazione di fughe in avanti,
svolge il ruolo di smascherare, non tanto “il falso”, quanto “la fin-
zione” di una storia elevata a sovrastruttura. Mi sembra sia questa
la lezione di metodo che – al di là di alcune significative acquisizioni
che cercherò almeno in parte di illustrare – ci viene dal lavoro di
ricerca di Giovanna Casagrande.

2. Ho conosciuto Giovanna nel 1982, a Città di Castello, a un


convegno su Il movimento religioso femminile in Umbria nei secoli
XIII-XIV3. Ero ancora fresca di laurea, lei, allevata alla robusta scuo-
la perugina di padre Ugolino Nicolini, era sulla breccia da qualche
anno e aveva già alle spalle numerosi contributi sul movimento pe-
nitenziale, che sarebbe rimasto uno dei principali filoni della sua ri-
cerca. Mi rimase simpatica da subito per il suo modo di fare cordiale
e diretto, senza fronzoli, un tratto del carattere che si riflette anche
nell’efficacia e asciuttezza antiretorica della sua scrittura.
Era stato il mio professore, Raoul Manselli, a consigliarmi di an-
dare a Città di Castello, perché, disse, “avrei potuto imparare mol-
to”. Manselli era stato tra i primi in Italia a richiamare l’attenzione
sulla vita e la presenza religiosa femminile come problema storiogra-
fico4. Alla identificazione di una “questione femminile” come luogo
strategico nell’analisi del cristianesimo il professore era arrivato
attraverso percorsi differenti rispetto a quelli della gender history al-
lora imperante in area anglosassone5. Vi era approdato infatti dalla

3
Il movimento religioso femminile in Umbria nei secoli XIII-XIV. Atti del Con-
vegno internazionale di studio nell’ambito delle celebrazioni per l’VIII Centenario
della nascita di S. Francesco d’Assisi (Città di Castello, 27-29 ottobre 1982), a cura
di R. Rusconi, Perugia-Firenze 1984 (Quaderni del «Centro per il collegamento degli
studi medievali e umanistici nell’Università di Perugia», 12).
4
Si leggano in proposito le riflessioni conclusive del Convegno: R. Manselli, La
donna nella vita della Chiesa tra Duecento e Trecento, in Il movimento religioso
femminile in Umbria, pp. 243-255.
5
Rispetto al tempo in cui, alla metà degli anni Settanta, Manselli lamentava che
il problema della condizione della donna non fosse studiato con tutta l’attenzione
che meritava, la situazione è molto cambiata, e la letteratura al riguardo è ormai
ricchissima. Per un primo utile orientamento in questo senso, si veda la messa a
punto bibliografica di G. Casagrande, Donne nel Medioevo. A mo’ di conversazione,
nel volume da lei curato, Donne nel Medioevo. Ricerche in Umbria e dintorni, Peru-
gia 2005, pp. 1-21.
12 introduzione

sua lunga esperienza di studioso delle eresie, un interesse originario


che, anche per influenza della storiografia degli «Annales», negli
anni Settanta si era aperto ai temi della “religiosità popolare”, della
magia e della stregoneria6.
Manselli non avrebbe avuto il tempo di concretizzare questa
intuizione con saggi di ampio respiro, ma intorno alla piccola storia
di Margherita della Metola7, santa commovente e gentile, a Città
di Castello emersero suggestioni e proposte che nel lungo periodo
avrebbero dato frutti importanti, e si disegnò il periplo culturale
entro il quale si sarebbero sviluppate alcune linee principali di in-
dagine8. Gli studiosi che parteciparono a quell’incontro avrebbero
infatti contribuito a ridefinire i tratti peculiari di quella Ombrie
brabançonne che Romana Guarnieri, animatrice appassionata del
dibattito, era sicura allora di poter ritrovare, ripercorrendo ideal-
mente il cammino di Jacques de Vitry. Anna Benvenuti disegnò una
topografia della santità femminile italiana, che era anche una sorta
di tracciato e programma di ricerca – quasi una protostoria del suo
celebre In castro poenitentiae9 – invitando a una rilettura delle fonti
agiografiche anche come trascrizione di fatti religiosi e politici10.
Più sensibile alla specificità del fatto agiografico, Enrico Menestò
mise in luce i complessi problemi filologici e testuali della legenda
di Margherita di Città di Castello11, premessa di altre, più ampie e
impegnative imprese editoriali che egli stesso avrebbe dedicato alla

6
Cfr. R. Manselli, Il soprannaturale e la religione popolare nel Medio Evo, Roma
1985 (ed. it. della Conférence Albert-le-Grand di Montréal, 1975); Id., Le premesse
medioevali della caccia alle streghe, in La stregoneria in Europa, a cura di M. Roma-
nello, Bologna 1975, pp. 39-62.
7
Cfr. G. Casagrande, Margherita da Città di Castello, in DBI, 70, Roma 2008,
pp. 132-134.
8
Vanno tuttavia ricordati almeno altri due convegni pionieristici, espressione del
vivace fermento di quegli anni: Movimento religioso femminile e francescanesimo,
Assisi 1980; Temi e problemi nella mistica femminile trecentesca, Todi 1983.
9
A. B envenuti P api , «In castro poenitentiae». Santità e società femminile
nell’Italia medievale, Roma 1990 (Italia Sacra. Studi e documenti di storia eccle-
siastica, 45).
10
A. Benvenuti Papi, Una terra di sante e di città. Suggestioni agiografiche in
Italia, in Il movimento religioso femminile in Umbria, pp. 185-202 (rist. in In castro
poenitentiae, pp. 101-117).
11
E. Menestò, La «Legenda» di Margherita da Città di Castello, in Il movimento
religioso femminile in Umbria, pp. 219-237.
introduzione 13

santità femminile umbra12, mentre Claudio Leonardi, introducendo


il tema di Angela da Foligno e Chiara da Montefalco “vere eredi di
Francesco”13, inaugurò la sua intensa stagione di studi sulle scrittri-
ci mistiche, una proposta che avrebbe segnato in profondità le nuove
ricerche sul linguaggio religioso14.
Ma se l’attenzione si spostava dal “fiore della santità” al terreno
in cui essa affondava le sue radici, al sostrato in cui si venivano ela-
borando le forme e i temi di una nuova sensibilità religiosa, le fonti
tradizionali della Kirchengeschichte mostravano la loro palese inade-
guatezza. Lo spoglio sistematico dei Registri della Cancelleria pon-
tificia, l’onus Apostolicae Sedis, aveva deluso Edith Pásztor, che vi
aveva letto il sintomo del “disinteresse” e della sostanziale “incom-
prensione” del papato due-trecentesco rispetto al movimento religio-
so femminile, le cui istanze e fermenti avevano trovato uno spazio
assai limitato nell’orizzonte dei compiti e dei problemi affrontati dal

12
Della imponente bibliografia che lo riguarda, si ricordi almeno: E. Menestò, Il
processo di canonizzazione di Chiara da Montefalco, con la prefazione di C. Leonardi
e un’appendice storico-documentaria di S. Nessi, Firenze-Perugia 1984. Si attende
ora l’annunciata edizione del Memoriale di Angela da Foligno. Cfr. E. Menestò,
Per una nuova edizione del ‘Liber’, in Il Liber di Angela da Foligno e la mistica
dei secoli XIII-XIV in rapporto alle nuove culture. Atti del XLV Convegno storico
internazionale (Todi, 12-15 ottobre 2008), Spoleto 2009, pp. 93-109. Ma si veda
intanto il cofanetto in tre volumi: Il «Liber» della beata Angela da Foligno, edizione
in fac simile del ms. 342 della Biblioteca Comunale di Assisi, con quattro studi di A.
Bartoli Langeli – M. Bassetti – E. Menestò – F. Verderosa, a cura di E. Menestò,
Spoleto 2009.
13
C. Leonardi, Santità femminile santità ecclesiastica, in Il movimento reli-
gioso femminile in Umbria pp. 21-26, in part. 25: «Francesco comprese che la sua
novità era sconvolgente e che volerla imporre era contraddire se stesso. Per questo
raccomandò la fedeltà alla Chiesa romana, ma fece capire che il suo messaggio era
altra cosa. Ora, durante il secolo XIII le lotte tra i francescani, le condanne, le con-
traddizioni si moltiplicano. Cos’era stato il francescanesimo? Cos’era la cristianità
dopo Francesco? Mi pare che le donne abbiano meglio di altri conservato l’eredità
di Francesco, e proprio in Umbria (...) ciò che le accomuna e le avvicina a Francesco
è il loro modo di concepire e vivere Dio. Perché in ambedue (Angela e Chiara) Dio è
vissuto come l’uomo-Dio crocifisso, che è l’essenza del Dio di Francesco. Ed è questa
assoluta centralità che le rende diverse dai casi di santità maschile del loro tempo,
anche da quelli francescani più alti».
14
C. Leonardi, La santità delle donne, in Scrittrici mistiche italiane, a cura di C.
Leonardi – G. Pozzi, Genova 1989, pp. 43-57 (rist. in Id., Medioevo latino. La cultura
dell’Europa cristiana, a cura di F. Santi, Firenze 2004, pp. 827-841). Ma si veda
ora Id., Agiografie medievali, a cura di A. Degl’Innocenti – F. Santi, Firenze 2011
(Millennio Medievale, 89).
14 introduzione

supremo vertice ecclesiastico15. Forse il severo giudizio della Pásztor


è stato, almeno in parte, rivisto, ma la sua relazione indubbiamente
segnalava la necessità di spostare l’attenzione da fonti il cui profilo
di interesse riguardava più le dimensioni di carattere giuridico e
politico, di esercizio di potere e di funzioni di governo, a ricerche
sistematiche e capillari su base locale, suscettibili però di verificare
come all’interno di aree ben definite si stessero operando mutamenti
di carattere epocale nel vissuto religioso del popolo cristiano.
Un saggio delle possibilità dischiuse da questo tipo di indagine
venne offerto a Città di Castello proprio dagli interventi di Giovanna
Casagrande e di don Mario Sensi: il primo concentrato sulla diocesi
tifernate16, il secondo sul fenomeno della reclusione volontaria in
Umbria17. Due contributi, i loro, che suscitarono molta attenzione,
perché, sottraendo la storia locale alla ipoteca della curiosità erudi-
ta e antiquaria, la immettevano nel cuore di alcune vitali domande
del dibattito contemporaneo ed erano espressione di una precisa e
matura coscienza storiografica.
In una sorta di ideale spartizione del territorio, nel tempo gli
interessi di don Mario dal suo “ombelico” folignate si sarebbero
orientati specialmente sui centri dell’Umbria meridionale, mentre
Giovanna avrebbe concentrato le sue ricerche nel disboscamento de-
gli archivi di Perugia, Assisi, Città di Castello, Gubbio. Suddivisione
non rigida, né esclusiva, aperta anzi a scambi e confronti, a incursio-
ni in altri territori dell’Italia mediana – specialmente per don Sensi,
che avrebbe presto “sconfinato” anche nelle Marche e nella Tuscia –,
ma utile se non altro a indicare alcuni percorsi preferenziali di inda-
gine sistematica degli archivi e della loro documentazione.
Entrambi avrebbero mantenuto la loro promessa: coronamento
di anni di feconde e tenaci ricerche nello stesso anno 1995 videro
la luce Storie di bizzoche tra Umbria e Marche di Mario Sensi18, e

15
E. Pásztor, I papi del Duecento e del Trecento di fronte alla vita religiosa fem-
minile, in Il movimento religioso femminile in Umbria, pp. 31-65.
16
G. Casagrande, Forme di vita religiosa femminile nell’area di Città di Castello
nel sec. XIII, in Il movimento religioso femminile in Umbria, pp. 125-157. Cfr. infra,
pp. 171-199.
17
M. Sensi, Incarcerate e recluse in Umbria nei secoli XIII e XIV: un bizzocaggio
centro-italiano, in Il movimento religioso femminile in Umbria, pp. 87-121.
18
M. Sensi, Storie di bizzoche tra Umbria e Marche, Roma 1995. Ma si veda ora
la monumentale raccolta di studi in due volumi «Mulieres in Ecclesia». Storie di mo-
nache e bizzoche, Spoleto 2010. Per una meditata messa a punto storiografica della
introduzione 15

Religiosità penitenziale e città al tempo dei Comuni di Giovanna


Casagrande19. Diverse le sensibilità e anche talune chiavi di lettura:
più attento forse il Sensi a registrare le interazioni e i contraccolpi
di gruppi e movimenti in rapporto alle “grandi” decisioni delle alte
gerarchie ecclesiastiche, più sensibile la Casagrande nel cogliere
le specificità della situazione italiana rispetto ai coevi fenomeni di
Oltralpe. Valga come esempio l’uso assai discreto che essa fa nel
suo linguaggio storiografico del termine “bizzocale”, quasi a voler
marcare una differenza tra realtà ed esperienze culturalmente assai
distanti, in cui, in assenza di documentazione, la possibilità di reci-
proci contatti e condizionamenti resta per la Casagrande soltanto
una ipotesi, sia pure seducente20. In Italia le forme associative del
movimento penitenziale mantennero un carattere più particolari-
stico e frammentario rispetto al Nord Europa, dove condizioni di
maggiore autonomia rispetto al “centro” resero possibile alle mu-
lieres religiosae di riorganizzarsi all’interno di strutture più solide
e durevoli, quali furono appunto i grandi beghinaggi delle Fiandre,
del Brabante, di Colonia.

3. Religiosità penitenziale e città è stato uno dei punti di emer-


genza del percorso storiografico di Giovanna Casagrande: frutto di
un ventennio di ricerche, l’interesse della studiosa era concentrato
sulle esperienze laicali. Ma uno dei meriti principali del libro era
quello di sottrarre a un’alea di genericità e indeterminatezza il
concetto stesso di “movimento religioso”, tramite l’enucleazione e
la precisa distinzione di forme penitenziali che di fatto corrisponde-
vano a generi di vita molto diversi tra di loro, e tali da presupporre
anche gradi diversi di impegno e di coinvolgimento personale da
parte degli stessi “laici religiosi”. All’interno di una topografia re-
ligiosa difficile da sistematizzare, talvolta collocata ai margini delle
strutture ordinate dell’istituzione ecclesiale, tre erano le correnti
principali prese in esame: 1) il fenomeno della reclusione volontaria;
2) l’Ordo dei penitenti/terziari; 3) il movimento dei Disciplinati e la

ricerca di don Sensi, cfr. G. Casagrande, Il movimento religioso femminile. Storie di


bizzoche e terziarie, in Amicitiae Sensibus. Studi per don Mario Sensi, a cura di A.
Bartolomei Romagnoli-F. Frezza, Foligno 2011, pp. 171-186.
19
G. Casagrande, Religiosità penitenziale e città al tempo dei comuni, Roma 1995
(Bibliotheca Seraphico-Capuccina, 48).
20
Ibid., p. 66.
16 introduzione

relativa proliferazione confraternale. Di ognuno di questi fenomeni


si analizzavano le caratteristiche tipologiche, la diffusione e disloca-
zione, l’incidenza quantitativa, i rapporti con l’autorità vescovile, le
dinamiche evolutive nel segno della progressiva regolarizzazione e
istituzionalizzazione dello spontaneismo religioso. Una ricerca com-
plessa, anche in relazione allo stato della documentazione, rapsodica
e frammentaria, ma che aveva lasciato riemergere presenze di tutto
rilievo.
«L’Umbria del Due-Trecento era disseminata di carceri»21: la
riproposizione in chiave cittadina di un modello di vita religiosa che
aveva radici millenarie nella tradizione cristiana concorreva a ridi-
segnare lo stesso profilo urbano, inscrivendosi peraltro in un gioco
sottile di presenza/assenza, ché l’alterità radicale dell’eremitismo, il
suo mistico sradicamento, non poteva comunque prescindere dalla
rete di solidarietà benefiche di enti pubblici o di privati testatori. La
connotazione prevalentemente, anche se non esclusivamente, fem-
minile del fenomeno della reclusione volontaria era il sintomo di una
domanda religiosa e spirituale che anche per ragioni economiche e
sociali non poteva essere assorbita all’interno delle maglie relativa-
mente rigide delle formazioni regolari tradizionali. La situazione
peraltro era assai variegata, presentandosi sia nelle forme estreme
di cellane isolate, sia in aggregazioni microsocietarie.
Fenomeno strutturalmente effimero e sfuggente, nelle sue solu-
zioni peculiarmente individuali esso era destinato inevitabilmente
a esaurirsi, a meno che la crescita spontanea di carceri e reclusori
non ne determinasse le condizioni di una regolarizzazione e di un
recupero all’osservanza. Di questo processo la Casagrande cercava
di cogliere le dinamiche evolutive. Dopo una prima fase, segnata
dall’attività normalizzatrice di Ugolino di Segni/Gregorio IX (1227-
1241), che avrebbe tentato di assorbire e inquadrare gli insediamen-
ti nell’area clariano-damianita, nel corso del Duecento l’iniziativa
sarebbe passata nelle mani degli ordinari diocesani. Così, se nella
Valle Spoletana la regola di S. Agostino divenne, ad nutum episcopi,

21
Cfr. il I capitolo del libro, pp. 17-74. Ma si vedano anche alcuni interventi che lo
avevano preceduto: G. Casagrande, Il fenomeno della reclusione volontaria nei secoli
del Basso Medioevo, in «Benedictina», 35 (1988), pp. 475-507; Ead., Forme di vita
religiosa femminile solitaria in Italia centrale, in Eremitismo nel francescanesimo
medievale. Atti del XVII Convegno della Società internazionale di Studi francescani
(Assisi, 12-14 ottobre 1989), Assisi 1991, pp. 51-94.
introduzione 17

strumento di regolarizzazione per molti reclusori – senza che que-


sto implicasse automaticamente l’afferenza al giovane ordine degli
Eremitani22 – secondo la Casagrande, nell’area tifernate questa
funzione fu assolta dalla regola clariana23.
Il fenomeno della reclusione volontaria ebbe caratteri largamente
europei, con punte di emergenza in Inghilterra, territorio sul quale
siamo meglio informati grazie anche a più compiuti tentativi di
elaborazione normativa24, ma è giusto sottolineare che le ricerche in
questo ambito di Sensi e di Casagrande hanno fatto scuola, diven-
tando modello per sondaggi ulteriori, tuttora in corso, in altre aree
dell’Italia mediana, nelle Marche e nella Toscana25.
Diverso sarebbe stato il percorso di quei laici che, pur immedia-
tamente coinvolti nel patrimonio di interessi, di problemi, di bisogni
delle realtà secolari, erano tuttavia desiderosi di condurre una vita
cristianamente più pia e degna. Destinatari privilegiati della pasto-
rale Mendicante, il processo di clericalizzazione di questi laici “in-
tegrati” si sarebbe perfezionato tramite l’immissione entro l’alveo
terziario, dove l’adozione della regola di Niccolò IV, la Supra montem
(1289)26, non avrebbe del tutto spento quelle istanze di autonomia e
autogestione che le nuove realtà associative continuarono a rivendi-
care anche rispetto a forme di tutela e ingerenza dell’Ordine27. Pa-

22
Cfr. M. Sensi, La monacazione delle recluse della Valle Spoletana, in S. Chiara
da Montefalco e il suo tempo, a cura di C. Leonardi-E. Menestò, Perugia-Firenze
1985, pp. 71-121.
23
Casagrande, Religiosità penitenziale e città, p. 71.
24
A. K. Warren, Anchorites and Their Patrons in Medieval England, Berkeley-
Los Angeles 1985; Anonimo del XIII secolo, La regola delle romite, trad. it., a cura
di M. L. Maggioni, Milano 1989.
25
Anche a voler citare solo i contributi di studiosi che fanno capo alla “bottega”
della Casagrande, si vedano le ricerche di A. Czortek, Eremo, convento, città. Un
frammento di storia francescana: Sansepolcro, secoli XIII-XV, Assisi 2007 (Viator,
2); Id., A servizio dell’altissimo Creatore. Aspetti di vita eremitica tra Umbria e To-
scana nei secoli XIII-XIV, Assisi 2010 (Viator, 11). Per l’area pisana, cfr. E. Rava, Le
testatrici e le recluse: il fenomeno della reclusione urbana nei testamenti delle donne
pisane (secc. XIII-XIV), in Margini di libertà: i testamenti femminili nel medioevo, a
cura di M. C. Rossi, Verona 2010, pp. 311-332, e Eremite in città. Il fenomeno della
reclusione urbana femminile nell’età comunale: il caso di Pisa (in corso di stampa).
Con Eleonora Rava, la Casagrande sta svolgendo attualmente una ricerca sulla re-
clusione femminile a Viterbo.
26
La «Supra montem» di Niccolò IV (1289): genesi e diffusione di una regola, a
cura di R. Pazzelli-L. Temperini, Roma 1988.
27
Cfr. Casagrande, Religiosità penitenziale e città, pp. 127-138, dove si ripercorre
il dibattito sullo statuto “ecclesiastico” dei penitenti-terziari.
18 introduzione

gine molto illuminanti ed equilibrate erano dedicate dalla studiosa


alla riconsiderazione della vexata quaestio di san Francesco d’Assisi
quale “fondatore dell’Ordo Poenitentium”28, ma il contributo più
originale e innovativo del libro era offerto dall’esame degli sviluppi
dell’esperienza terziaria, che aveva identificato una nuova tipologia
di homo religiosus.
Era infatti proprio all’interno di questa matrice spirituale e sotto
il segno della sua spinta primigenia in direzione di una maggiore
apertura al mondo29 che sarebbero maturate le condizioni di una
vera rivoluzione nella concezione tradizionale della vita monastica:
non più la fuga dal secolo esemplificata nella solitudine orante e si-
lenziosa della cella, ma una via di santificazione attraverso le opere,
una militia attiva e laboriosa in cui motivi religiosi e devozionali,
come una forte spinta alla carità e all’assistenza, si intrecciavano a
istanze concrete di mutuo e reciproco sostegno. Formule associative
in cui la solidarietà del gruppo rappresentava anche una risposta
funzionale valida a risolvere i problemi quotidiani di sussistenza.
Nel corso del Trecento la formazione di realtà comunitarie fem-
minili raccolte sotto l’“ombrello” protettivo della Supra montem in-
troduceva una forbice rispetto agli indirizzi canonistici del supremo
vertice ecclesiastico in direzione di una applicazione generalizzata
della clausura, sancita come legge perpetua e universale della Chiesa
dalla costituzione bonifaciana Periculoso (1298), e si configurava
dunque come un movimento in controtendenza che rispondeva però
a esigenze reali e diffuse della società comunale30. Spezzando il rigi-

28
Per la complessa questione cfr. Casagrande, Religiosità penitenziale e città, pp.
79-93, in part. p. 93: «Ma chi potrà porre la parola fine a tutta la questione Fran-
cesco-Ordine della Penitenza/Terz’Ordine? Ed è necessario porvela a tutti i costi?
Nella misura in cui Francesco propone a tutti il suo messaggio di penitenza, ciò non
è forse di per sé sufficiente a spiegare lo sviluppo e la crescita del movimento/ordine
della Penitenza senza “disperatamente” ricercare una “esatta” fondazione da parte
del Santo e “precise e specifiche” norme di vita da Lui già rivolte ai soli penitenti
d’area minoritica?»
29
Casagrande, Religiosità penitenziale e città, p. 117: «L’ordine della Penitenza
proprio in quanto tale non è un’isola, ma se mai un ampio canale in cui convogliare
in termini rassicuranti, regolati e protetti la possibilità di condurre vita religiosa
in domibus propriis (e non solo) rispondendo a istanze non-necessariamente, non
sempre e non più improntate a scelte di separazione, distacco, rottura con la vita
mondana».
30
Per il ruolo di “ombrello protettore” della Supra montem sotto il quale pote-
vano “militare” varie soluzioni di vita, si veda G. Casagrande, Un Ordine per i laici.
introduzione 19

do rapporto tra rendita fondiaria e numero delle monache tramite


l’introduzione del lavoro nell’economia comunitaria, le formazioni
di nuovo tipo, spontanee, flessibili, autogestite, consentivano degli
sbocchi anche a donne di ceto medio-basso, cui la scelta monastica
di tipo tradizionale era preclusa. Ricorrendo a qualche espediente
giuridico, e in un certo senso favorite anche dalla gravissima crisi
delle strutture ecclesiastiche sullo scorcio del Trecento, per le nuove
congregazioni femminili si aprivano degli spazi inediti31.
Notissimi sono gli studi del Sensi su Angelina da Montegiove e
il monastero folignate di S. Anna, grande polo simbolico della “ri-
voluzione terziaria” anche per le vicende controverse della fonda-
zione che, infrondata sul nobile ceppo della riforma di fra Paoluccio
Trinci, si sarebbe poi trovata impegnata in un duro confronto con le
istanze normalizzatrici dei leaders della “grande Osservanza”32. Ma
il progetto alternativo di S. Anna non fu unico, né isolato, quanto
piuttosto espressione di un inesauribile fermento comunitario che
contagiò molti altri centri umbri e italiani. È dal vivacissimo so-
strato delle terziarie perugine che la Casagrande faceva riemergere
l’iniziativa della ministra Madaluccia di Nucolo di Porta S. Pietro,

Penitenza e Penitenti nel Duecento, in Francesco d’Assisi e il primo secolo di storia


francescana, Torino 1997, pp. 251-254.
31
Casagrande, Religiosità penitenziale e città, p. 229: «Il proliferare di numerosi
insediamenti religiosi femminili induce a pensare ad un oggettivo bisogno di spazio,
ingenerato da un’ampia domanda di vita religiosa, risultato della combinazione di
istanze religiose, da un lato, e di necessità di collocazione economico-sociale, dall’al-
tro. L’apparire di tanti monasteri fa inoltre pensare ad una domanda di collocazione
religiosa che non proviene più solo da ceti aristocratici-nobiliari, ma da maglie più
dilatate di strati sociali. Si dovevano pur “sistemare” vedove e nubili e i nuovi ceti
“borghesi” si preoccupavano di non disperdere troppo il patrimonio familiare. Lo
spazio monastico si configura come alternativo alla famiglia, al matrimonio, alla
solitudine».
32
M. Sensi, Documenti per la beata Angelina da Montegiove, in La beata Ange-
lina da Montegiove e il movimento del Terz’Ordine regolare francescano femminile,
a cura di R. Pazzelli –M. Sensi, Roma 1984, pp. 47-122; Id., S. Bernardino da Siena
e la b. Angelina da Montegiove, due versioni della Frauenfrage, in Le terziarie fran-
cescane della Beata Angelina: origine e spiritualità, a cura di E. Menestò, Spoleto
1996, pp. 153-188. Nel volume Biografie antiche della beata Angelina da Montegiove,
a cura di A. Filannino – L. Mattioli, Spoleto 1996, si vedano i tre contributi: La
beata Angelina da Montegiove e il movimento del Terz’Ordine Regolare Francesca-
no femminile; Il Terz’Ordine femminile “de observantia”; Il Secondo Ordine della
regolare Osservanza. Si veda ora Id., Angelina da Montegiove e le Terziarie France-
scane Regolari di Foligno, in Il monastero di Sant’Anna a Foligno. Religiosità e arte
attraverso i secoli, a cura di A. C. Filannino, Foligno 2010, pp. 19-43.
20 introduzione

promotrice della comunità di S. Maria di Valfabbrica a Perugia, fo-


colaio di una congregazione di terziarie francescane regolari coeva a
quella folignate e da questa totalmente indipendente33. Il profilo di
Madaluccia, donna energica e attiva, al centro di una piccola rete di
affari e di rapporti sociali, veniva esemplarmente ricostruito solo sul
filo dei documenti, ché, a differenza di quanto era accaduto con An-
gelina, la terziaria perugina non era stata gratificata da una agiogra-
fia, per quanto tardiva, né fatta bersaglio dell’arcigna cronachistica
osservante. E tuttavia anche la fondazione di Valfabbrica, risposta a
una domanda sociale di partecipazione religiosa emergente da robu-
sti strati “popolari”, fu coronata da un discreto successo: dopo aver
consolidato la propria presenza in città, nel corso del Quattrocento
essa sarebbe stata presente con i suoi insediamenti anche ad Assisi,
Città di Castello, Sansepolcro, Firenze. Una struttura ragguardevo-
le, dunque, dal punto di vista organizzativo, e tuttavia non tale da
esaurire il complesso panorama degli insediamenti religiosi femmi-
nili nel territorio perugino. La tonalità minoritica del fenomeno ter-
ziarie non doveva però far perdere di vista altre realtà aggregative di
donne religiose tra le quali spiccavano quelle domenicane.

4. Molte erano le suggestioni e le piste di ricerca offerte dalla


monografia dedicata alla religiosità penitenziale su cui la stessa
Casagrande sarebbe ritornata nelle sue ricerche successive. Tra le
indicazioni più degne di nota mi sembra vada collocato l’interesse
nei confronti della beata Colomba di Rieti (+1501), una figura alla
quale la studiosa ha dedicato diversi saggi, prima di offrire l’edizione
critica della legenda volgare, opera composta agli inizi del Cinque-
cento dal domenicano fra Sebastiano Angeli34. Già annoverata da
Gabriella Zarri nel catalogo delle “sante vive”35, espressione di una
tipologia di santità mistica e profetica che tra Medioevo e prima Età
Moderna rinnovava il carismatico modello cateriniano, è stato me-
rito precipuo della Casagrande quello di storicizzare l’esperienza di
Colomba nel contesto religioso perugino, dove la sua forte presenza

33
Sullo sviluppo della congregazione di S. Maria di Valfabbrica-S. Agnese, cfr.
Casagrande, Religiosità penitenziale e città, pp. 234-250.
34
G. Casagrande, Legenda volgare di Colomba da Rieti (in collaborazione con M.
L. Cianini Pierotti – A. Maiarelli – F. Santucci), Spoleto 2002.
35
Cfr. G. Zarri, Le sante vive. Profezie di corte e devozione femminile tra ’400 e
’500, Torino 1990.
introduzione 21

aveva coinciso con il rilancio del movimento religioso femminile do-


menicano in città36, un retroterra in cui avevano brillato per assenza
proprio i domenicani, rimasti sino ad allora estranei agli sviluppi as-
sociativi del movimento penitenziale. La fondazione del monastero
di S. Caterina da Siena, di cui Colomba fu la leader indiscussa, era
espressione del tentativo perseguito dall’Ordine dei Predicatori di ri-
guadagnare degli spazi in termini di prestigio e presenza nel territo-
rio. Ma si trattava di una “riconquista” che in questa fase avanzata
del fenomeno veniva declinata secondo modalità differenti rispetto
al passato. La costituzione di un gruppo di terziarie collegiate sotto
le insegne domenicane era infatti favorita, piuttosto che da spinte
emergenti dal basso, da una convergenza di interessi tra l’Ordine e
le nuove oligarchie cittadine, specialmente la potente famiglia dei
Baglioni. Anche se nelle Consuetudini della beata Colomba era riaf-
fermata con nettezza l’esenzione dalla clausura, la pronuncia dei tre
voti evocava, in un quadro di osservanza ormai sedimentata, un più
maturo processo di claustralizzazione.
Vessillo della presenza domenicana sul suolo perugino, secondo
il suo agiografo, Colomba svolse in città anche un ruolo politico,
come esigeva la sua diretta filiazione carismatica dalla santa madre
Caterina, nel segno di un vivo richiamo alle istanze di riforma della
Chiesa e di un appello ai governanti affinché operassero rettamente
nell’interesse della res publica. D’altra parte, la Casagrande non
mancava di sottolineare il timbro peculiare del suo linguaggio profe-
tico che, distante dalle spinte anarchiche ed eversive del movimento
savonaroliano, appariva ispirato a una certa moderazione e a un
sostanziale rispetto dell’autorità del pontefice. Non a caso papa Bor-
gia, dopo un celebre incontro, ratificò personalmente l’autenticità
dei carismi spirituali della veggente domenicana37.
Frutto tardivo dell’efflorescenza penitenziale nel capoluogo um-
bro, la beata Colomba è rimasta nel contesto perugino una presenza

36
G. Casagrande, Terziarie domenicane a Perugia, in Una santa, una città. Atti
del convegno storico nel V Centenario della venuta a Perugia di Colomba da Rieti
(Perugia, 10-12 novembre 1989), a cura di G. Casagrande – E. Menestò, Perugia –
Firenze 1990, pp. 109-159.
37
G. Casagrande, Colomba da Rieti di fronte ad Alessandro VI, in Roma di fronte
all’Europa al tempo di Alessandro VI. Atti del Convegno (Città del Vaticano – Roma,
dicembre 1999), a cura di M. Chiabò – S. Maddalo – M. Miglio – A. M. Oliva, III,
Roma 2001, pp. 917-970 (917-942; 948-951) (co-autore P. Monacchia).
22 introduzione

non dimenticata e mi sembra giusto ricordare come si debba anche


allo studio e all’impegno di Giovanna Casagrande il recupero di que-
sta singolare figura di mistica e di profetessa nella memoria e nella
devozione dei Perugini38.

5. Nel 2010 Giovanna Casagrande è andata in pensione dall’Uni-


versità degli Studi di Perugia, l’Ateneo presso il quale ha svolto
per quasi quarant’anni la sua attività di insegnamento e di ricerca.
L’idea di questo libro è venuta a padre Pietro Messa, come occasio-
ne per congiungere idealmente l’affettuoso omaggio a una delle più
importanti e appassionate studiose dei movimenti religiosi medie-
vali con l’anniversario che fa memoria della svolta penitenziale di
Chiara d’Assisi, quando, la Domenica delle Palme dell’anno 1211 o
1212, la santa ricevette la tonsura dalle mani di Francesco. Esso si
compone di un contributo inedito, e di cinque saggi scritti nell’arco
di vent’anni, tra il 1984 e il 2004. Gli articoli sono stati ripresi nella
loro integralità e nella forma originaria, con qualche aggiornamento
bibliografico apportato dall’Autrice, che tiene conto principalmente
delle recenti nuove edizioni delle fonti clariane. Come viene sottoli-
neato dal titolo del libro, Intorno a Chiara, la prospettiva entro cui si
muovono questi contributi è “eccentrica”, proprio nel senso etimolo-
gico del termine. Quasi a riprova della sensibilità storiografica della
studiosa, l’interesse prevalente non è rivolto al modello di santità
espresso da Chiara, a una rappresentazione della sua spiritualità e
del suo misticismo, quanto piuttosto al terreno in cui l’esperienza
della santa affondava le proprie radici e insieme all’impatto storico
esercitato da una eccezionale parabola esistenziale.
Mantenendosi, credo volutamente, in disparte rispetto ad alcuni
temi del dibattito che in questi anni recenti ha focalizzato una quae-
stio clariana come luogo nuovo della francescanistica39, l’attenzione
della Casagrande si concentra sulla vita religiosa in Umbria prima e
dopo Chiara. Ma proprio questa chiave di lettura dà anche la misura

38
Sul finire degli anni Ottanta, in coincidenza con la celebrazione del V cente-
nario dell’arrivo della terziaria a Perugia (1488), si colloca la fondazione a Perugia
dell’Associazione culturale “Beata Colomba da Rieti”, promossa da don Ghino Mon-
tagnoli e da Giovanna Casagrande, e tuttora operante.
39
Un dibattito, peraltro, che la Casagrande ha seguito e conosce assai bene, come
dimostrano anche le sue numerose e puntuali recensioni e messe a punto storiogra-
fiche, che costituiscono un aspetto non secondario della sua produzione.
introduzione 23

di quella che fu la novitas clariana nel rimodellare in profondità il


paesaggio religioso e istituzionale della regione. Un universo umbro
che, prima di assurgere al ruolo di scrigno privilegiato di santità, al
tempo di Chiara presentava un profilo tutto sommato tradizionale,
segnato dalla vigorosa presenza insediativa del vetero-monachesimo
benedettino, ma in cui stavano maturando, sullo sfondo della inci-
piente realtà comunale, le condizioni di un rinnovamento profondo
degli itinerari della fede come anche degli assetti ecclesiastici ormai
consolidati.
In questo libro Giovanna Casagrande ci mostra che l’“avventu-
ra” di Chiara in quell’anno 1211 iniziò, nella sequela di Francesco,
come avvio di un cammino di ricerca senza modelli, né traguardi
precisi40, gesto di rottura nei confronti della sua famiglia ma anche
di un cristianesimo della tradizione, ancorato nel cuore di una do-
manda radicale, come opzione perduta nella gratuità di un assenso,
gesto d’amore visitato da una grazia senza ragione né altra prova
che quella che lei stessa avrebbe fatto nascere con il rischio della
sua vita.

Alessandra Bartolomei Romagnoli

40
Si veda quanto scrive qui Giovanna Casagrande riguardo alla sosta di Chiara
in S. Angelo di Panzo, un momento di “passaggio” su cui sono fiorite le ipotesi più
varie: «forse si trattò di una fase sperimentale, provvisoria di cui l’esatta natura ci
sfugge, anche perché un’esatta natura non c’era e forse non poteva neppure esserci.
“Il bello” – mi si passi l’espressione – di questo periodo iniziale dell’esperienza di
Chiara sta proprio nell’incertezza e nella ricerca: nulla di definito» (cfr. infra, p. 42).
Indice

Presentazione di Pietro Messa Pag. 7

Introduzione di Alessandra Bartolomei Romagnoli » 9

Sigle » 25

Chiara anno 1211 » 27


Al tempo di Francesco e Chiara (1180-1210 ca) » 28
Chiara anno 1211 » 37

Le compagne di Chiara » 45
Le compagne testimoni dirette » 46
Le compagne testimoniate » 48
Il reclutamento » 50
Chiara-compagne: un rapporto di forte intensità » 61
Virtù » 64
Miracoli » 70
Visioni » 76

La regola di Innocenzo IV » 81
Verso la regola di Innocenzo IV » 84
La regola di Innocenzo IV » 87
Chiara di fronte ad Innocenzo IV » 90
Per concludere » 94

Presenza di Chiara in Umbria


nei secoli XIII-XIV » 95
Assisi-Chiara » 96
Chiara in Umbria. Tra sondaggi e suggerimenti » 110
Conclusione » 118
230 indice

Sulle tracce degli insediamenti


clariani scomparsi (Assisi secoli XIII-XV) Pag. 119
Premessa » 119
S. Angelo di Panzo » 122
S. Lucia del Paradiso » 142
S. Nicolò dell’Orto » 155
S. Giovanni delle Rocche » 164
Conclusione » 169

Forme di vita religiosa femminile nell’area


di Città di Castello nel secolo XIII » 171
Una premessa » 171
Monasteri benedettini » 173
Monasteri di Damianite poi Clarisse » 177
La regola di S. Chiara » 183
Altri monasteri » 188
Microraggruppamenti » 190
Converse » 193
Sorores de penitentia » 195
Testamenti » 196
Conclusione » 198

Bibliografia di Giovanna Casagrande (1976-2011) » 201

Nota editoriale » 221

Indice dei nomi degli studiosi » 223


Stampato da
Grafiche VD
Città di Castello (PG)

Potrebbero piacerti anche