351-361
Abstract
Ten years after his death (2012-2022), this essay draws the human and intellectual profile of
father Réginald Grégoire, professor of Church History and Hagiography in various Italian
Universities, in particular that of Urbino. Three main lines steered his research: the edition
of liturgical sources and homiliaries, the history of the Benedictine culture, with a peculiar
attention to Montecassino and other monastic Italian experiences, the hagiography/hagiology.
Above all in this last discipline, his reputation of highly distinguished scholar has been widely
acknowledged. Father Grégoire originally read the literary sources taking into account the
tools offered by the human sciences.
DOI: 10.26350/001783_000123
ISSN: 00356557 (print) – 1827790X (digital)
*
Pontificia Università Gregoriana (bartolomei@unigre.it).
**
Si riproduce, con poche varianti e l’aggiunta di alcune note essenziali, il testo dell’interven-
to presentato il 10 maggio 2022 presso il Dipartimento di Economia Società e Politica dell’Univer-
sità degli Studi di Urbino Carlo Bo.
1
Réginald Grégoire nacque a Bruxelles il 13 luglio 1935. Dopo aver conseguito la maturità
liceale presso i Gesuiti, nel 1952 entrò nell’abbazia benedettina di Clervaux in Lussemburgo e due
anni dopo emise la professione solenne. Nel 1957 si trasferì a Roma, all’abbazia di S. Girolamo,
per collaborare alla edizione critica della Vulgata. Nel 1960 fu ordinato sacerdote e nel 1963 prese
la licenza in teologia a S. Anselmo, sotto la direzione di Benedetto Calati, con una tesi su Bruno
di Segni, che vinse anche il premio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo. Dal 1968 al
1974 fu addetto alla Segreteria di Stato in Vaticano. Insegnò al Pontificio Ateneo di S. Anselmo,
all’Augustinianum, al Regina Mundi. Lasciata Roma, nel 1984 trasferì la sua stabilità monastica
nel monastero di S. Silvestro Abate di Fabriano. Nel 1975 divenne professore di Agiografia e Storia
della Chiesa nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa, nel 1987 ordinario di Storia
delle liturgie presso la Scuola di Paleografia e Filologia musicale dell’Università di Pavia (sede di
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degli anni vi siano state tante occasioni di incontro, non posso usare nemmeno la
parola “amicizia”, vista la differenza di età e di condizione. Ma il mio rapporto con
lui è stato intenso e importante, quel genere particolarissimo di legame che viene in-
staurato dai libri: accade talvolta che alcuni autori finiscano per entrare nella tua vita,
ne abitino i pomeriggi, e così diventino compagni di strada e di riflessione, silenziosi,
ma molto presenti. Io vengo dalla scuola romana di studi storico-religiosi, segnata
dal magistero di Ernesto Buonaiuti, e che ebbe illustri esponenti in Raffaello Mor-
ghen, Arsenio Frugoni, Raoul Manselli, mio professore alla Sapienza. Manselli era
un eresiologo e un francescanista, grande specialista dei movimenti popolari e dell’e-
scatologismo medievale. Nella sua vasta produzione scientifica gli studi monastici e
agiografici, pur presenti, restavano tutto sommato marginali. E invece erano proprio
questi i temi che più mi interessavano. Quindi, ancor prima di conoscerlo, furono i
saggi di Grégoire a introdurmi alla pratica dell’agiografia critica, o dell’agiologia,
termine che lui preferiva, e il suo lavoro di ricerca ebbe un peso rilevante nella mia
formazione. E benché con il passare del tempo il mio modo di leggere i testi si sia un
po’ allontanato dal suo metodo, la sua lezione resta sempre un punto di riferimento
imprescindibile. Ancora oggi, per scrivere un articolo su eros e santità nell’agiografia
bassomedievale, sono comunque dovuta ripartire da un suo vecchio saggio del 1977
sul matrimonio mistico, una vera e propria monografia incastonata negli atti della
Settimana di Spoleto, monumento della sua sconfinata erudizione2.
Lo incontrai la prima volta nell’agosto del 1983 a un convegno di Monte Oli-
veto organizzato da dom Giorgio Picasso. Sul calare di quell’estate agostana, il sole
luminoso, ma non più rovente, faceva risaltare i mattoni rossi dell’antica abbazia che
si stagliava maestosa sul verde delle colline toscane e l’azzurro di un cielo terso. Lo
ricordo con la precisione che solo gli inizi conferiscono alla memoria: padre Grégoi-
re era uno studioso già famoso, per me quella era la prima occasione in assoluto di
parlare in pubblico ed ero comprensibilmente emozionata. L’incontro era intitolato a
Francesca Bussa de’ Ponziani, “la santa tutta Romana”. Non credo che avesse intenti
provocatori, ma nella sostanza padre Grégoire smentì l’assunto del Convegno: se si
leggevano le fonti originali, Ceccholella, in realtà, più che romana era stata traste-
verina, una santa rionale, prima ancora che cittadina3. Aveva ragione. La costruzione
dell’immagine di Francesca Romana, eroina della riforma cattolica, sarebbe avvenu-
ta a posteriori. Rispondeva alla strategia politica di papa Paolo V che, nell’edificare
un lignaggio peculiarmente romano della santità, intendeva promuovere il rilancio
Cremona). Chiamato nel 1994 dalla Facoltà di Scienze politiche di Urbino, vi tenne le cattedre di
Storia del Cristianesimo e Storia medievale, assumendo infine la direzione dell’Istituto storico-
politico. In quegli anni insegnò anche presso l’Istituto teologico marchigiano e presso gli Istituti
superiori di Scienze religiose di Urbino e di Ancona. Nel suo monastero di Fabriano, dove aveva
svolto l’ufficio di bibliotecario, morì il 26 febbraio 2012.
2
R. Grégoire, Il matrimonio mistico, in Il matrimonio nella società altomedievale, Spoleto
1977, 701-94.
3
Id., Elementi agiografici del processo informativo sulla santità di santa Francesca Romana
(† 1440), in Una santa tutta romana. Saggi e ricerche nel VI centenario della nascita di Francesca
Romana Bussa dei Ponziani (1384-1984), a cura di G. Picasso, Monte Oliveto Maggiore 1984,
25-31.
PADRE RÉGINALD GRÉGOIRE E GLI STUDI AGIOGRAFICI 353
della capitale dell’orbis catholicus. Questa icona solenne avrebbe finito per imporsi
nell’immaginario collettivo, ma l’aristocratica signora, estatica e contemplativa, del-
la monumentale confessione del Bernini a S. Maria Nova, aveva poco a che vedere
con la Francesca reale, la santa dei vicoli e dei rioni, dei malati e dei poveri, una santa
del popolo, come dom Grégoire la tratteggiò efficacemente nel suo profilo.
E sempre di Francesca tornò a parlare nel novembre del 2009 a Roma, in oc-
casione del centenario della sua canonizzazione. Aveva una relazione ostica sulle
biografie barocche della santa, testi difficili, lontani dal nostro gusto: solo lui poteva
farla. Non lesse il suo intervento, letteralmente, lo recitò, mettendo in scena il crepu-
scolo di un glorioso genere letterario che dalle altezze medievali si era logorato nelle
angustie del devozionismo o nel gonfiore della retorica4. Credo che quella sia stata
anche la sua ultima apparizione in pubblico. Due anni dopo, a causa delle cattive
condizioni di salute non poté partecipare al convegno del millenario dell’abbazia di
Cava dei Tirreni, e ciononostante non volle mancare all’impegno preso e inviò un
saggio su un tema che era “suo”, la figura del vir Dei tra Oriente e Occidente5. Non
nascondeva la gravità del suo male, ma ne parlava con un tono così scanzonato e
lieve che pensavamo – o volevamo illuderci – che anche questa fosse una delle sue
famose boutades. E invece, lavorando fino in ultimo e conservando intatta la sua
vivacità e fierezza, padre Grégoire se ne andò, nella solitudine del suo eremo di Mon-
tefano, in una freddissima domenica di Quaresima del febbraio 2012. Proprio in quei
giorni stava andando in stampa la miscellanea varata dalla congregazione silvestrina
per celebrare il 50° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, che coincideva
con il suo 75° compleanno. Ne fui la curatrice, insieme al suo confratello, dom Ugo
Paoli, e a Pierantonio Piatti. Ed è anche questa la ragione, immagino, per cui oggi
sono qui a parlare di lui. Fummo costernati di non essere riusciti a consegnargli il
libro, ma i lavori di preparazione si erano protratti al di là di tutte le previsioni, per-
ché, quando la notizia del Festschrift si diffuse, ricevemmo un numero incredibile
di richieste di partecipazione. Venivano da amici e colleghi che avevano contratto
debiti di riconoscenza nei suoi confronti – si era speso molto, e nelle sedi più diverse
−, ma anche da parte di studiosi da lui lontani, che avevano militato scientificamente
su sponde differenti e lo avevano anche criticato e isolato, ma che alla fine vollero
riconoscere l’obbiettiva rilevanza del suo lavoro intellettuale. Non commettemmo
lo sbaglio di puntare sull’effetto sorpresa e lo tenemmo costantemente aggiornato
sui progressi del cantiere. Il professor Grégoire era stato uno studioso di grande fa-
ma, aveva ricoperto incarichi importanti all’interno dell’Università di Urbino, ma era
stato anche un outsider, spigoloso e altero, che si era trovato spesso a giocare la sua
4
R. Grégoire, Le biografie olivetane antiche di santa Francesca Romana. Elementi di conti-
nuità e innovazione tra Quattro e Seicento, in La canonizzazione di santa Francesca Romana. San-
tità, cultura e istituzioni a Roma tra Medioevo ed Età moderna. Atti del Convegno internazionale
(Roma, 19-21 novembre 2009), a cura di A. Bartolomei Romagnoli - G. Picasso, Firenze 2013,
139-58.
5
Il modello agiografico del Vir Dei, intervento presentato al Convegno ‘Schola Dominici Ser-
vitii’. Cultura e spiritualità monastica tra Oriente e Occidente, per il Millenario della Badia della
SS.ma Trinità di Cava dei Tirreni (1011-2011), inedito.
354 ALESSANDRA BARTOLOMEI ROMAGNOLI
li- P. Piatti, I-II, Fabriano 2012. La miscellanea si articola nelle seguenti sezioni: 1. Storia ed
erudizione ecclesiastica; 2. Testi; 3. Esegesi e critica del testo; 4. Modelli di santità; 5. Gli spazi del
sacro; 6. Storia dei culti.
7
A. Benvenuti, Postfazione, in ‘Hagiologica’, 1467-72, in particolare p. 1470.
8
C. Leonardi, L’esperienza di Dio in Giovanni Cassiano e Salviano di Marsiglia, in Id., Me-
dioevo latino e cultura dell’Europa cristiana, Firenze 2004, 25-47.
PADRE RÉGINALD GRÉGOIRE E GLI STUDI AGIOGRAFICI 355
9
La bibliografia completa di p. Grégoire è reperibile in ‘Hagiologica’, xli-lxxviii. Sino all’an-
no 1995 era stata ricostruita da Domenico Gobbi per il volume da lui stesso curato Florentissima
proles Ecclesiae. Miscellanea hagiographica, historica et liturgica Reginaldo Grégoire O.S.B. XII
lustra complenti oblata, Trento 1996, 3-28.
10
Rimini 2008.
11
Congregatio de Causis Sanctorum, Senen. seu Nullius Montis Oliveti Maioris Canoniza-
tionis Beati Bernardi Tolomei abbatis fundatoris Congregationis S. Mariae Montis Oliveti O.S.B.
(1271-1348), 1.- Relatio et vota congressus peculiaris super miro die 25 ianuarii an. 2005 habiti;
2.- Explanationes postulatoris diei 24 martii an. 2005; 3.- Relatio et vota alterius congressus pecu-
liaris super miro die 28 iunii an. 2005 habiti, Romae 2008.
12
R. Grégoire, L’agiografia cristiana: metodologia analitica e prospettive di ricerca, in Il
monachesimo tra eredità e aperture, in Testi e temi nella tradizione del monachesimo cristiano. Atti
del Simposio per il 50° anniversario dell’Istituto monastico di Sant’Anselmo (Roma, 28 maggio – 1
giugno 2002), a cura di M. Bielawski - D. Hombergen, Roma 2004, 765-71.
356 ALESSANDRA BARTOLOMEI ROMAGNOLI
la di Jean Leclercq, con cui aveva condiviso quarant’anni di vita monastica fin dai
tempi lontani del noviziato nell’abbazia di Clervaux. Nell’amico riconosceva il suo
vero «maestro di metodologia storiografica e di cristologia gioiosa»13. Leclercq era
diversissimo da Grégoire, il volto rotondo e bonario dietro le lenti spesse, lo sguardo
dolce, più pacificato e sereno, almeno in apparenza. Ma appartenevano entrambi al
tipo del monaco viaggiatore. Erano dei girovaghi, segnati da uno spirito di esodo,
da una ecclesiologia della diaspora, quale sola condizione per vivere in pienezza la
condizione monastica all’interno di contesti storici ormai mutati. Protagonisti di una
stagione forse irripetibile della storiografia, si impegnarono intensamente in una ri-
fondazione culturale della tradizione benedettina modulata su un giusto equilibrio tra
continuità e innovazione. Il compito che si erano assunti era quello di raccontare al
mondo, anche al di fuori dei chiostri, i valori morali e spirituali di Benedetto e della
sua Regola.
Prima di entrare più nel dettaglio delle ricerche di Réginald Grégoire, vorrei pe-
rò concludere questo breve profilo biografico rammentando un tratto peculiare della
sua personalità: era famoso, e anche un po’ temuto, per le barzellette, le battute, gli
aforismi brucianti. In realtà, esercitava l’ironia con gli altri, ma anche con sé stesso.
Un giorno, una persona mi chiese di essergli presentata: «Eccomi, sono il grande
Grégoire, in persona», e scoppiò in una risata. Era fatto così, libero e anticonvenzio-
nale, e non tutti lo capivano e lo accettavano. Come i santi folli, che amava tanto,
il compito teologico che si era assunto era quello di tracciare un’alterità nei luoghi
delle istituzioni del senso14. Aveva una viva coscienza profetica e seppe interpretare
in modo originale, ma anche doloroso, quella funzione di contro-cultura che stava
alle radici identitarie più antiche e profonde del monachesimo.
***
13
Id., Monachesimo e senso della Chiesa: un ricordo di dom Jean Leclercq o.s.b., «Studia
monastica» 36 (1994), 311-17, in particolare p. 312.
14
Id., I santi pazzi o folli per Cristo, in Amicitiae Sensibus. Studi in onore di don Mario Sensi,
a cura di A. Bartolomei Romagnoli - F. Frezza, numero monografico del «Bollettino storico della
città di Foligno» 31-34 (2007-2011), 339-43.
PADRE RÉGINALD GRÉGOIRE E GLI STUDI AGIOGRAFICI 357
15
R. Grégoire, Bruno de Segni, exégète médiéval et théologien monastique, Spoleto 1965.
16
M. Oldoni, Il raggio di san Benedetto. Tre ingressi di Réginald Grégoire sul mondo Cas-
sinese, in R. Grégoire, Storia e Agiografia a Montecassino, a cura di F. Avagliano, Montecassino
2007, 11-22.
358 ALESSANDRA BARTOLOMEI ROMAGNOLI
gna, Vigilio di Trento, Eusebio di Vercelli e Ubaldo di Gubbio discutevano con Lo-
renzo Giustiniani, mentre Gregorio Magno si intratteneva con Celestino V. Dietro
di loro, come se fossero intimiditi da tali formidabili personalità, si trovavano altri
vescovi che un novizio avrebbe fatto fatica ad identificare: insieme a Lanfranco di
Pavia, c’erano Guido di Acqui, Bonfilio di Foligno, Mainardo di Urbino, Costanzo
di Aquino e Germano di Capua. La folla più numerosa tuttavia era quella dei santi
abati e monaci: incoraggiati da Benedetto di Norcia (al quale il suo omonimo di
Aniane si sforzava di sottrarre qualche autorevole interpretazione della Regula),
Pier Damiani, Romualdo e Giovanni Gualberto, insieme ad Anselmo di Nonantola
e a Dalmazzo di Pedona, sembravano far festa a Silvestro Guzzolini e Bernardo
Tolomei, la cui aureola splendeva quale fosse nuova di zecca. Qua e là, dispersi
negli angoli più remoti, si distinguevano gli scarni profili di eremiti, tra i quali si
riconoscevano Folco di Santopadre, Liberio di Ancona, Giulio d’Orta, Lorenzo Lo-
ricato e Ranieri da Pisa. Tra i vari gruppi Allucio di Pescia e Bovo di Voghera pel-
legrinavano senza sosta, mentre Antonio di Padova esortava l’assemblea. Anche se
minoritarie, non mancavano le donne: attorno a Scolastica e a Francesca Romana,
si notava la presenza di Chiara da Montefalco, Umiltà di Vallombrosa, Sperandia di
Cingoli e Cristiana da Santa Croce17.
A ognuno di questi nomi qui citati egli aveva dedicato una edizione critica o una
monografia, un saggio, o anche una semplice scheda. Quindi vennero a prenderlo
tutti, grati delle sue cure: nel loro eterno presente i santi non dimenticano.
Ma, forse, il libro da cui si sentiva meglio rappresentato era il Manuale di agio-
logia. Introduzione alla letteratura agiografica, che vide la luce nel 198718. Nato dal
vivo della sua esperienza di professore, il Manuale era anche il frutto della lettura di
centinaia di fonti e migliaia di pagine, con un’attenzione al fenomeno della santità
nei suoi caratteri globali, senza imporsi determinazioni geografiche e temporali. Sen-
sibile nella sua analisi alle continuità piuttosto che alle differenze, a interessarlo era il
tout hagiographique, tra Oriente e Occidente, tra medioevo ed età moderna, ma con
una netta predilezione per i testi letterari, le Vite piuttosto che i Processi. Fu sicura-
mente la sua opera più coraggiosa e controversa, e, come sovente accade, fu proprio
la creatura prediletta a procurargli i più grandi dolori. Al suo apparire il Manuale su-
scitò consensi, ma anche polemiche e riserve, talvolta ingenerose, da parte dell’Ac-
cademia indevota, come dall’Arcadia devota. In quegli anni era sicuramente un libro
controcorrente, anche se la situazione della ricerca era radicalmente cambiata. Da di-
sciplina squisitamente ecclesiastica, derubricata nel registro minore della letteratura
devozionale e di pietà, l’agiografia aveva ottenuto un accreditamento anche a livello
universitario, era al centro di un grande fervore e rinnovamento di studi. Ma il prezzo
che era stato pagato per il riscatto di questa sorella povera era stato la sottomissio-
ne alle leggi della storiografia tradizionale. In periodi particolarmente avari di fonti
scritte, come quello altomedievale, era con l’agiografia che dovevano inevitabilmen-
R. Grégoire, Manuale di agiologia, Fabriano 1987, XII-456 p. Una seconda edizione ri-
18
veduta e ampliata (XII-542 p.) fu data alle stampe nel 1996 sempre nella collana dell’abbazia di
Montefano.
PADRE RÉGINALD GRÉGOIRE E GLI STUDI AGIOGRAFICI 359
te confrontarsi gli studiosi della storia politica e sociale, della mentalità, persino della
civiltà materiale. Basti pensare alle ricerche di Grau, di Bosl, di Prinz19.
Réginald Grégoire non aveva pregiudiziali nei confronti di queste nuove pro-
spettive di indagine: in bibliografia troviamo alcuni suoi saggi legati ai problemi
della civiltà contadina, dell’agricoltura e del territorio20. Tuttavia era anche molto
avvertito sui rischi di una utilizzazione puramente strumentale del testo agiografico,
ancora più evidente quando nella ricostruzione del bios del santo si tentava di pas-
sare dall’agiografia alla storia. Esemplare sotto questo profilo l’annosa e ipertrofica
questione francescana, da cui Grégoire si mantenne sempre saggiamente in disparte.
A destra o a sinistra, operava sempre la stessa metodologia: si trattava di estrapolare
il “vero storico”, ritrovare il diamante nascosto sotto le scorie fangose della fabula e
della legenda.
Con il Manuale di agiologia Grégoire intendeva restituire all’agiografia il suo
statuto e la sua specificità, chiarire le finalità intrinseche di questa letteratura. Essa è
lo spazio in cui si manifesta la tensione della persona a trascendersi, apertura di oriz-
zonte non solo sui suoi bisogni materiali, ma anche sui suoi desideri, sulle diverse
risposte che sono state date nel tempo ad alcuni fondamentali problemi dell’uomo,
nei suoi rapporti con Dio, con la natura, con gli altri uomini. È questo il tipo di sto-
ricità che la narrazione agiografica intende trasmettere. Questo genere di racconto
trova le sue motivazioni originarie nella consapevolezza del limite e della mancanza
e insieme nell’ethos del trascendimento, quale si incarna nella figura dell’eroe: «Il
passato di un santo (e ogni santo appartiene al passato) libera da un presente inquie-
tante e conforta nell’affrontare un futuro angosciante. Tale è la catena di produzione
del santo e della letteratura che ne afferma l’esistenza, il ruolo, il patrocinio. Quindi,
la manifestazione del santo non appartiene solo al settore strettamente storico, ma
esprime un movimento ideologico, un tentativo di capire un reale che si definisce al
limite del possibile e dell’immaginato»21. Le narrazioni agiografiche sono quindi dei
meta-testi, che hanno una logica interna loro propria, e il cui ordine veritativo non
è quello della realtà fattuale. Non per questo la fictio medievale è una “invenzione”,
quanto piuttosto una narrazione che, pur non escludendo la storia, intende prima di
tutto comprendere e comunicare i fatti spirituali e mistici, e quindi anche le visioni,
i miracoli, i prodigi.
Dal punto di vista letterario l’agiografia si presenta come una forma di discor-
so molto caratterizzato e connotato da leggi abbastanza stabili, tanto che i racconti
spesso comunicano una impressione di monotonia e ripetitività. La ricerca del vo-
cabolario, della organizzazione e struttura di questo linguaggio, fu il grande lavoro
19
Resta ancora titolo rappresentativo di un ampio panorama storiografico Agiografia altome-
dievale, a cura di S. Boesch Gajano, Bologna 1977.
20
R. Grégoire, Il contributo dell’agiografia alla conoscenza della realtà rurale. Tipologia
delle fonti agiografiche anteriori al XIII secolo, in Medioevo rurale. Sulle tracce della civiltà con-
tadina, a cura di G. Rossetti - V. Fumagalli, Bologna 1980, 343-60; Id., Il contributo dell’agio-
grafia antica alla conoscenza del territorio marchigiano, in Atti del VI Congresso nazionale di
archeologia cristiana (Pesaro-Ancona, 19-23 settembre 1983), Ancona 1985, 355-62.
21
Grégoire, Manuale di agiologia, 2.
360 ALESSANDRA BARTOLOMEI ROMAGNOLI
di Grégoire, cui egli si dedicò con l’aiuto delle scienze umane – in particolare dello
strutturalismo: i primi richiami evidentemente sono a Propp, Saussure e Lévi-Strauss
−, che potevano offrirgli la chiave per ricondurre a unità la dispersione fenomenica
dei materiali archiviati nel suo straordinario giacimento di letture, per classificarli,
certificare permanenze e invarianze. Ma oltre a queste suggestioni contemporanee,
il monaco Grégoire poteva contare anche su altri strumenti che non sempre erano a
disposizione dei nuovi agiografi della domenica. Sapeva spiegare come una dottrina
o una teologia nel lavoro dei letterati si traducesse in figura, in immagine, come un
concetto astratto si trasformasse in racconto. Era altresì in grado di mostrare come
l’elaborazione di un testo avesse il suo humus naturale nella vita liturgica della Chie-
sa, ritrovasse il suo respiro, il suo senso più profondo, nella preghiera comune dei fe-
deli. Un nesso inscindibile, quello tra fonti agiografiche e liturgiche, che solo in tem-
pi recenti si è cominciato a mettere a fuoco e a valorizzare. E coglieva indubbiamente
nel segno quando avvertiva che non è possibile accostarsi a questo tipo di scritture
senza possedere «un metodo tecnico di esegesi»22 e criteri interpretativi adeguati.
Questa è stata la grande lezione di Grégoire. Vorrei dire, sommessamente, cosa
mi allontanava da lui, ma per parlarne come di un “maestro vivo”, con cui è possi-
bile ancora oggi avere un dialogo e un confronto. Come agiologo egli era attento ai
testi, più che ai contesti. Leggeva le sue fonti nella loro proiezione metastorica, ed è
qui che agivano, nel profondo, la sua appartenenza monastica, e anche una precisa
teologia della storia: «Il corso della Storia è già definito secondo il progetto della
Provvidenza; i singoli individui non possono modificarne l’itinerario. Perciò l’espe-
rienza sapienziale dell’umanità è già uno specchio in cui ogni nuovo evento ritrova
un’identità affermata in precedenza. L’immediatezza, il contingente e l’inaudito sono
registrati dentro la regolarità del paradigma»23. Il suo sapiente itinerario delle virtù
come delle tipologie, che costituisce la tessitura del Manuale, era un cammino circo-
lare, un po’ come l’antica Navigatio sancti Brendani, l’epopea monastica degli Irlan-
desi. Il rischio teorico del suo metodo, quindi, non era soltanto quello di dissolvere il
momento storico-sociale della santità e dei culti, ma anche di rinunciare all’enucle-
azione di identità definite, dove il singolo caso finiva sempre per essere ricondotto
all’insieme. La specificità agiografica consisteva soprattutto nel rappresentare una
immagine, un modello di perfezione, Grégoire diceva un “tipo”. Valeva per lui la
legge secondo cui in agiografia l’individualità conta meno del personaggio, il nome
proprio meno delle possibilità di combinazioni delle funzioni e dei topoi. Era come
se volesse liberare i santi dai loro luoghi e dai loro tempi per ritrovarli e leggerli già
nella luce dell’eterno.
Come i suoi amati padri e maestri del passato, da Benedetto a Gregorio Ma-
gno, dal Venerabile Beda a Bruno di Segni, per dom Grégoire il modo di leggere
e comprendere la storia era posto sotto il segno della incessante ricerca, da parte
dell’uomo, del superamento del proprio limite, della sete di assoluto. In questo egli
vedeva il significato più profondo consegnato dalla Regola di Benedetto alla civiltà
22
Ibi, 11.
23
Ibi, 253.
PADRE RÉGINALD GRÉGOIRE E GLI STUDI AGIOGRAFICI 361
occidentale, e su questo scrisse parole che in questi difficili giorni risuonano in tutta
la loro forza profetica:
L’Europa non è un mito conclusivo, un fine ideale o reale; ciò che invece è de-
finitivo è una civiltà elaborata sul Vangelo, in cui la presenza cristiana nel concreto
storico insisterà sui diritti dell’uomo e sulla giustizia. […] L’Europa nuova non
sarà un’Europa libera; la libertà non è un regalo, è un dovere e un diritto che non
ammette condizionamenti ideologici. […] L’orizzonte della storia è una pienez-
za; il prologo della Regola benedettina insiste nel proclamare la conclusione – la
Risurrezione, il Regno – attraverso la Croce, cioè l’umiltà e l’obbedienza o, se si
preferisce, la disponibilità e la gratuità. È il pensiero di san Paolo che riconosceva
l’evoluzione universale verso una totalità, cioè verso il “pleroma” (Ef. 1). Infine,
l’Europa nuova dimostrerà la capacità del pluralismo, che ammette la pluralità: non
nel senso della convivenza o connivenza tra verità ed errore, tra giustizia e ingiu-
stizia, e altri contrasti analoghi, ma nella proclamazione di una unità di morale e di
speranza, nel servizio e nella sussidiarietà24.
24
R. Grégoire, San Benedetto dal passato al futuro dell’Europa, Seregno 20013, 80, 82, 83.