analisi di un dialogo 1
Il consonantismo romano.
Processi fonologici e aspetti acustici
di Giovanna Marotta
0. Introduzione
Nello studio della varietà di italiano parlata a Roma, alle consuete diffi-
coltà che l’analista incontra nel tentativo di sviscerare i diversi livelli del
repertorio linguistico, se ne aggiungono altre, specifiche, dovute alle peculia-
rità storiche, sociali e culturali della città. Com’è ormai risaputo sulla scorta
delle indagini condotte in ambito diacronico, orientate di necessità in senso
documentario-filologico, le originarie caratteristiche del volgare ‘romanesco’
erano assai simili a quelle riscontrabili ancora oggi nei dialetti di vaste zone
dell’Italia centro-meridionale1; la massiccia influenza del toscano, iniziata
all’inizio dell’epoca rinascimentale, finì per modificare in parte la struttura del
vernacolo di Roma, avvicinandolo al fiorentino ed allontanandolo dai dialetti
del Sud.
Ulteriori e cospicui processi di innovazione e di interferenza con altre
varietà, sia italiane che dialettali, più o meno distanti dal romanesco, si sono
prodotti anche nei secoli successivi, ma senza mai giungere ad un effetto
profondo e per certi versi radicale come quello che si verificò nel corso del
Quattrocento e del Cinquecento. In particolare, dopo l’Unità di Italia, quando
la questione della lingua nazionale tornò a riproporsi con rinnovato vigore,
la ‘lingua toscana in bocca romana’ sembrò a molti rappresentare la migliore
soluzione, pur nell’implicita assunzione che l’ideale di lingua italiana cui
1
Per un quadro dell’evoluzione diacronica del romanesco, si rinvia a Merlo (1929),
Bertoni e Ugolini (1939a), Rohlfs (1949 = 1966: passim), De Mauro (1963), Ernst (1970),
Vignuzzi (1981; 1988; 1997), Mancini (1987; 1993); Serianni (1987), De Mauro e Lorenzetti
(1991), Trifone (1992); utile risulta anche il repertorio bibliografico di D’Achille e Giovanardi
(1984).
2 il consonantismo romano
ambire doveva liberarsi delle più marcate inflessioni dialettali, sia romane che
fiorentine. Dopo la seconda guerra mondiale, il progressivo processo di
inurbazione e di emigrazione che ha interessato la popolazione italiana ha
aumentato considerevolmente la mobilità dei cittadini, con comprensibili
ripercussioni sulla situazione sociolinguistica delle città e, tra queste, della
capitale. Nell’ultimo quarto del secolo scorso, in particolare, Roma è divenuta
un fortissimo polo di attrazione, in particolare per le popolazioni del Meri-
dione d’Italia, che vi hanno sovente trovato un’occupazione nell’ambito del
settore terziario. D’altra parte, l’avvento dei mass-media e la conseguente
diffusione sul territorio nazionale di modelli linguistici genericamente
definibili come ‘italiani regionali’ hanno contribuito a delineare un quadro
sociolinguistico assai sfaccettato per le varietà italiane, specialmente urbane2.
La ridotta distanza strutturale esistente tra dialetto (da sempre percepito
dai romani stessi come polo basso del continuum) e italiano romano (varietà
alta, prossima allo standard) non impedisce tuttavia la stigmatizzazione con-
sapevole di quei tratti di pronuncia sentiti come chiari marcatori socio-
fonetici. Tanto sul versante della produzione quanto su quello della percezio-
ne autoctona, i ‘tratti-bandiera’ della pronuncia romanesca sembrano con-
centrarsi più sul consonantismo che sul vocalismo3. Le ragioni di tale dispa-
rità andranno individuate da un lato nel maggior numero di processi che
interessano il consonantismo (anche in virtù del numero maggiore di fonemi
nell’inventario fonologico), dall’altro nel più spiccato carattere dialettale dei
processi stessi, spesso comuni ad altre varietà sub-standard dell’Italia mediana
e/o meridionale. Nel dettaglio, la lenizione delle occlusive, l’affricazione della
sibilante postconsonantica ed i numerosi processi assimilativi vengono facil-
mente identificati e considerati come tipici di un livello linguistico basso (il
cosiddetto ‘romanaccio’), pertanto stigmatizzati dalla maggior parte dei par-
lanti, nonostante la loro occorrenza d’uso non sia limitata a livelli diastratici
e diafasici infimi.
2
Non è certo questa la sede in cui affrontare queste complesse tematiche socio-
linguistiche, per le quali rinviamo almeno a De Mauro (1963), De Mauro e Lorenzetti (1991),
Ernst (1989), Galli de’ Paratesi (1985), Stefinlongo (1985), Bernhard (1988), Vignuzzi (1988),
DAchille e Giovanardi (1995), D’Achille (2002).
3
Questo è quanto traspare qua e là dall’esame della letteratura (cfr. i riferimenti
bibliografici già citati alla nota precedente) ed è esplicitamente affermato da Bernhard (1992b:
258).
italiano parlato. analisi di un dialogo 3
1. Il corpus e la fenomenologia
4
Si vedano in merito Stefinlongo (1985), Canepari (1983: 63-66), Troncon e Canepari
(1989), De Mauro e Lorenzetti (1991), Vignuzzi (1981; 1997), Trifone (1992), Bernhard
(1992b; 1998), D’Achille e Giovanardi (1995), D’Achille (2002).
5
La situazione è in parte diversa per il vocalismo romano, che è già stato indagato in
prospettiva acustica in anni recenti; cfr. Albano Leoni et alii (1998), ed ora Sorianello e
Calamai (in questo volume). Circa l’intonazione, che pure pare giocare un ruolo non secon-
dario nell’identificazione della provenienza del parlante, si vedano i contributi di Canepari
(1983), su base uditiva, e di De Dominicis (2002), di carattere sperimentale. È curioso
ricordare qui quanto scriveva in proposito, ormai ottanta anni or sono, M. Porena (1925: 232)
circa la melodia: “questo elemento così sfuggente (…) è all’intuizione uditiva sensibilissimo,
e chi abbia orecchio riconosce con assoluta sicurezza le melodie d’un dialetto”. Non si può
certo dire che la dialettologia abbia finora accolto questo antico suggerimento.
6
Per la descrizione dei soggetti, come pure per il metodo di elicitazione dei dati
linguistici, per la loro registrazione e segmentazione acustica, rinviamo al contributo
introduttivo di F. Albano Leoni in questo stesso volume.
7
Si ricordi che si tratta di studenti universitari, il che, in questi tempi, non comporta
l’automatica adozione di una varietà alta.
4 il consonantismo romano
2. Le occlusive sonore
Tabella I. Valori percentuali delle varianti dei fonemi occlusivi sonori nel corpus di
riferimento.
] = 34 msec. (σ = 15)9;
[d] = 62 msec. (σ = 16); [ð] = 46 msec. (σ = 15); [ð
[] = 56 msec. (σ = 18); [γ]= 45 msec. (σ = 16); [γ] = 36 msec. (σ = 19).
8
La medesima gerarchia di forza e di durata è stata riscontrata per l’inglese e lo spagnolo
(Lavoie 2001), oltre che per il toscano (Marotta 2001; Sorianello 2001b).
9
Per trascrivere l’approssimante, abbiamo aggiunto al simbolo delle fricative sonore il
diacritico [ ], che indica in IPA una minore tensione nel gesto ed un maggiore avvicinamento
degli articolatori, con produzione di foni più rilassati.
10
Il fenomeno appartiene ad una vasta area dell’Italia mediana e meridionale, tanto nei
dialetti quanto nell’italiano regionale; nell’ambito della vasta letteratura sull’argomento, ci
limitiamo a rinviare a Rohlfs (1966, § 209), Canepari (1983), Loporcaro (1988: 105 sgg.),
Marotta e Sorianello (1992: 80 sgg.), D’Agostino (1997), Giuliani (2003).
italiano parlato. analisi di un dialogo 7
Figura 1. Forma d’onda e spettrogramma di “però dalla parte tua” che illustra la
lenizione di /p t/ e la lex Porena (per cui, cfr. § 6).
di segmenti aspirati, con allungamento della fase del Voice Onset Time ed
assenza di scoppio. Il quadro analitico della percentuale di occorrenza dei
singoli allofoni è presentato nella Tabella II. Il comportamento dei due
soggetti non è omogeneo: in accordo con uno dei postulati classici della
sociolinguistica, il parlante maschile, che mostra per i foni deboli percentuali
più elevate rispetto alla parlante femminile, si qualifica come più dialet-
talmente marcato.
Tabella II. Valori percentuali di ricorrenza delle varianti dei fonemi occlusivi sordi, distinti
per parlante; M = maschio; F = femmina.
/p/ 63 33 27 47 10 20 – –
/t/ 60 44 22 29 18 27 – –
/k/ 55 34 13 20 22 35 10 11
12
Parimenti sfavorita sembra essere l’aspirazione per le consonanti occlusive marcate dal
tratto [+post]; nella produzione orale di soggetti non udenti italiani, si è ad es. osservato il
mantenimento dell’occlusiva velare sorda, mentre l’aspirazione della labiale e della dentale si
producono by default, a causa del rallentamento generale dei gesti articolatori, che determina
un allungamento temporale delle varie fasi di una consonante occlusiva sorda, ivi compreso
il VOT.
10 il consonantismo romano
1) debole forte
β b b
p
sonoro + + - -
glottide allargata - - + +
corde vocali rigide - - - +
continuo + - - -
13
Su questi aspetti non banali di rappresentazione in termini di tratti, rinviamo alla recente
monografia di Jessen (1998: 129-130), dedicata alle consonanti ostruenti del tedesco, ed alla
ricca bibliografia ivi citata.
14
Com’è noto, il tratto di tensione fu introdotto da Jakobson, Fant e Halle (1952); di
recente è stato riportato in auge, su base sia acustica che articolatoria, da Jessen (1998).
15
Cfr. Jakobson, Fant e Halle (1952: 36), Ladefoged e Maddieson (1996: 97 sgg.), Ni
Chasaide e Gobl (1997: 451).
italiano parlato. analisi di un dialogo 11
2) debole forte
β b b
p
sonoro + + - -
teso - - - +
continuo + - - -
4. Fricative e affricate
16
Nel corpus abbiamo rilevato cinque casi in tutto per /rts/, sempre per la stessa parola
(terza), e tre esempi per /nts/, nella parola differenza; la durata media dell’affricata è pari a 108
ms. (σ = 30) se preceduta dalla vibrante, a 118 ms. (σ = 14) se preceduta da consonante nasale.
17
Nel nostro corpus, la durata media di /d/ in contesto intervocalico è pari in media a 111
ms. (σ = 22), mentre /d/ lessicale (nella parola leggermente) è lungo 107 ms. ( σ = 1 5); cfr.
Tabella III.
18
Tipico il caso di c’è o di cioè , piuttosto comuni sia dopo pausa di esitazione all’interno
di uno stesso turno che ad inizio di turno dialogico.
italiano parlato. analisi di un dialogo 13
Tabella III. Valori medi della durata (msec.) e deviazione standard (σ) per le consonanti
fricative ed affricate.
σ 22 17 16 12 18 24 23 32 21 16 20 21 22 15
5. Le sonoranti
19
Nel dettaglio, la spirante esito dell’affricata dura in media 87 msec. (σ = 18), mentre la
fricativa palatale sorda, dura 136 msec. (σ = 21); cfr. Tabella III.
14 il consonantismo romano
Tabella IV. Valori medi della durata (msec.) e deviazione standard (σ) per i fonemi nasali
nei contesti indicati.
20
La letteratura sul romanesco è concorde nel riconoscere che il fenomeno sia relativa-
mente recente. Secondo Migliorini (1933 = 19452: XXIII), “non si era ancora prodotto ai tempi
del Belli”; Trifone (1992: 64) ritiene invece che lo scempiamento della vibrante lunga sia “la
più importante innovazione fonologica del romanesco nell’età belliana, di cui il poeta indica
puntualmente, e per primo, la pur limitata espansione”. La sensibilità linguistica del Belli,
‘poeta-dialettologo’ secondo una felice espressione dello stesso Trifone (1992: 62), è da tempo
riconosciuta ed apprezzata dagli studiosi del romanesco; per una valutazione complessiva
della lingua poetica belliana, rinviamo a Serianni (1987) e al già menzionato Trifone (1992),
nonché alla bibliografia ivi citata.
italiano parlato. analisi di un dialogo 15
rilevati di /r/ (terra, bis) vedono il mantenimento della geminata con durata
pari a 86 msec.
Tabella V. Valori percentuali di ricorrenza delle varianti del fonema vibrante /r/,
con indicazione della loro durata (msec.) e relativa deviazione standard (σ).
% 37 15 19 20 9
Durata 46 24 41 27 -
σ 10 8 16 11 -
Figura 2. Forma d’onda e spettrogramma del sintagma “quella sopra” che illustra
l’epentesi vocalica e la lenizione consonantica nel nesso -pr-.
renze di /ʎ/ (per la precisione, tre in tutto), ma in nessun caso, viene prodotta
la laterale palatale, bensì sempre il glide anteriore21. Fondamentalmente assen-
te risulta il rotacismo, tratto dialettale in regresso nel romanesco di ‘terza
fase’; parimenti assente anche l’allomorfo er per l’articolo deter-minativo il
(cfr. anche Bernhard 1998: 259). Frequenti sono invece le assimilazioni subite
da /l/ a confine di morfema, tipicamente nel caso dell’articolo il e delle forme
preposizionali articolate del e dal (ad es. del mare [de mare], il mare > [i
mare], dal bordo [da bordo], il pollice [i poliʃe]).
La consonante laterale alveolare è di norma realizzata come tale. La sua
lunghezza sembra essere influenzata dal contesto sillabico; se intervocalica ed
interna di parola, presenta infatti una durata media pari a 45 msec. (σ = 18),
mentre all’inizio di turno, è un po’ più lunga (mediamente, 57 msec., σ = 15).
In alcuni casi, le caratteristiche di approssimante risultano accentuate: soprat-
tutto in sillaba postonica (ad es. nuvola, piccola), la struttura formantica è assai
simile a quella delle vocali contigue e la durata del segmento laterale è
brevissima, anche inferiore a 30 msec.
In posizione di coda sillabica, ricorre spesso (35% dei casi utili) la variante
laterale fricativizzata, quando il segmento è seguito da un’occlusiva sorda con
chiari segni di aspirazione (VOT lungo; cfr. § 4); ad es. altro, altra, altezza, al
piede, al sasso; se invece segue un’occlusiva sonora, il processo di spirantiz-
zazione non si verifica. Il parlante maschile presenta percentuali più elevate
di foni fricativizzati rispetto al soggetto femminile (40% versus 29%).
La laterale lunga mostra una durata media pari a 88 msec. (σ = 22). Si
registrano tuttavia alcuni esempi di scempiamento, ad es. nei lessemi capelli
o pollice, frequentemente nel caso dell’avverbio allora. La riduzione di /l/ a [l]
è sistematica nelle preposizioni articolate (alla, della, delle, dalla, sulla, sullo),
e nelle forme pronominali quello e quella; in questi contesti morfologici, [l]
si mantiene infatti soltanto se l’elemento è pre-pausale oppure se è associato
ad un certo grado di prominenza. Nei casi di degeminazione, la laterale
spesso presenta una durata inferiore a quella riscontrata per /l/ scempia
lessicale e mostra una struttura più marcatamente approssimante. Entrambi
i parlanti presentano la degeminazione di /l/, che si conferma così come uno
dei tratti locali più stabili nell’italiano romano parlato a livelli diafasici medî,
oltre che bassi.
21
In un caso soltanto il glide risulta lungo: per la parola caviglia, la durata di [jù] è infatti
pari a 72 msec. Nell’articolo gli, prodotto dopo pausa, il glide dura 52 msec. Infine, nella parola
sopracciglio, la laterale, o meglio il suo succedaneo [j], viene addirittura cancellato, per cui
[sob
ra tʃio], con perdita dell’approssimante, analogamente a quanto già rilevato da
Bernhard (1992b: 259).
italiano parlato. analisi di un dialogo 17
6. La lex Porena
22
Cfr. Loporcaro (1991: passim; nello specifico, p. 299, in nota 17), Bernhard (1998; 1999).
18 il consonantismo romano
23
Scriveva Porena (1925: 237) che il fenomeno doveva “essersi determinato negli ultimi
trenta o quarant’anni”, quindi a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
24
Cfr. De Mauro e Lorenzetti (1991), Loporcaro (1991), Trifone (1992), D’Achille e
Giovanardi (1995), Bernhard (1998, 1999).
italiano parlato. analisi di un dialogo 19
25
Per i dettagli dell’analisi acustica relativa a questo caso come pure a quelli discussi più
avanti, si rinvia al contributo di Sorianello e Calamai in questo stesso volume. La rappresen-
tazione acustica del sintagma dalla parte tua è presentata nella Figura 1.
26
[no o sɔ] è documentato da Bernhard (1998: § 2.2.3), insieme a [no o uso pju] non
lo uso più, [no o vista] non l’ho vista.
27
Si osservi che la sillaba iniziale di quella è accentata soltanto a livello lessicale, ma nel
contesto in esame (quella là), risulta atona, data la contiguità con la sillaba prominente che
segue.
28
Cfr. Loporcaro (1991: 287-288), ma con diversa trascrizione; Bernhard (1998: §§ 2.2.2b;
2.3.2).
20 il consonantismo romano
vocalici, per cui le tappe sequenziali del processo che conduce alle forme
sopra citate saranno di necessità:
a) caduta di /l/ (preceduta da degeminazione nel caso di quell-);
b) contiguità di V1 e V2;
c) diffusione dei tratti da V2 a V1.
3) N A N → N N
| | | | |
V1 l V2 V1 V2
| | | |
[Tα] x [Tβ] [Tβ]
29
Vedi anche in questo caso l’analisi acustica svolta da Sorianello e Calamai (in questo
volume) sui casi della legge Porena presenti nel dialogo.
30
Per un’analisi più dettagliata della lex Porena, ci permettiamo di rinviare a Marotta
(2002-2003).
22 il consonantismo romano
7. Il Rafforzamento Fonosintattico
31
La bibliografia sull’argomento è ormai vastissima; ci limitiamo qui a rinviare a
Loporcaro (1997), in cui è possibile reperire l’ulteriore bibliografia aggiornata all’anno di
pubblicazione del volume.
32
Vedi già Porena (1927), quindi Rohlfs (1949 =1966: § 174) e, più recentemente,
Loporcaro (1997) e Bernhard (1998).
italiano parlato. analisi di un dialogo 23
8. Nota conclusiva
33
Per gli aspetti intonativi del dialogo in esame, si veda l(articolo dedicato alla proside in
questo stesso volume.
24 il consonantismo romano