Giovanardi»
1. Introduzione
2. Lo stato dell'arte
4. Fonetica
1. Vocalismo
1. Vocalismo tonico
2. Vocalismo atono
3. Semivocali
2. Consonantismo
3. Fenomeni generali
1. Aferesi
5. Morfologia
3. Sistema Verbale
6. Fraseologia
7. Sintassi
8. Lessico
9. Bibliografia
1. Introduzione
Il romanesco vanta una riconosciuta importanza nel panorama linguistico italo-romanzo anche se
spesso la lessicografia novecentesca dedicatasi al dialetto capitolino non sembra aver percorso a
pieno le rigorose linee di impostazione scientifica necessarie alla piena ricezione della realtà
dialettale. I vocabolari romaneschi mostrano infatti diverse criticità e il difetto di essere opere
amatoriali. Noti letterati del secolo scorso hanno utilizzato poi il romanesco nelle loro opere nella
caratterizzazione dei personaggi fornendo la possibilità di estrapolare utili dati linguistici nella
prospettiva del rilevamento delle voci dialettali, benchè la reale portata del romanesco pasoliniano o
gaddiano sia ancora oggetto di approfondimenti. Un breve excursus storico-bibliografico che passi
in breve rassegna opere lessicografiche e fonti letterarie sarà utile a chiarire in cosa consistano le
mancanze e altresì potrà mostrare come lo studio dialettologico stia man mano affinando l'efficacia
del suo metodo.
2. Lo stato dell'arte
Al romanesco Raffaele Giacomelli dedicò una personale attenzione lessicografica, raccogliendo (tra
il 1929 e il 1933) diversi interessanti materiali (inediti, pubblicati, postumi, parzialmente da G.
Porta) in vista della compilazione di un dizionario dialettale, che interruppe per la pubblicazione del
Vocabolario romanesco di F. Chiappini (Roma 1933) e che, rispetto a quest'ultimo, presentava,
nella parte realizzata, vari lemmi sfuggiti al Chiappini o con trattamento lessicografico
sensibilmente diverso. Inoltre, non va dimenticato che questa attività lessicografica dell'autore
(come gli altri suoi studi sul romanesco) presenta un ulteriore motivo d'interesse quale
testimonianza di forme e fenomeni in seguito modificatisi o addirittura scomparsi.
Il nome di Filippo Chiappini è legato al suo Vocabolario romanesco, nato dalla raccolta di oltre
5200 schede compilate durante il trentennio finale dell´ottocento. Lo schedario di Chiappini rimase
inedito fino a quando, nel corso del II Congresso nazionale di Studi Romani (1930), si decise di
affidarne l’edizione a Bruno Migliorini, giovane ma già valente filologo. Il Vocabolario romanesco
vide dunque la luce nel 1933; in seguito, l’intolleranza fascista verso il dialetto impedì a lungo una
ristampa dell'opera, che giunse solo nel 1945, arricchita da una serie di aggiunte e postille realizzate
da Ulderico Rolandi. L'opera coglie e mostra il romanesco a cavallo dei secoli IXX e XX (l'autore
scomparve nel 1905) e presenta numerosi lemmi e diverse locuzioni al giorno d'oggi desuete.
Pier Paolo Pasolini nei glossari romaneschi dei suoi romanzi del 1955 e del 1959, «Ragazzi di vita»
e «Una vita violenta», usa il dialetto che a sua volta non è quello di Belli o della tradizione, ma il
nuovo romanesco del dopoguerra, il nuovo slang parlato dai ragazzi di vita. Il romanesco di
Pasolini è dunque un dialetto che presenta numerosi tratti conservativi, essendo il modo di
esprimersi di personaggi popolari. Soprattutto per quanto riguarda la morfologia verbale notiamo
che sono ancora molti i fenomeni conservativi che poi spariranno o si attenueranno molto nel
dialetto dei nostri giorni. Gli anni Cinquanta del Novecento rappresentano un momento di passaggio
molto importante dal romanesco tradizionale, ancora legato al modello ottocentesco e il
neoromanesco odierno assai più italianizzato soprattutto nel campo della morfologia. Dall’analisi
dei testi risalta l’esclusiva interazione tra dialetto e italiano, considerando che Pasolini non lascia
spazio all'italiano regionale, che proprio in quegli anni veniva messo a fuoco dalla bibliografia
critica.
Nel 1969 Gennaro Vaccaro intraprese un processo di raccolta lessicografica tradizionale che nel
1971 gli permise di pubblicare il Vocabolario Romanesco Trilussiano e Italiano-Romanesco. Lo
spoglio delle poesie di Trilussa e Pascarella e la comparazione scaturitane suggerì allo studioso che
il romanesco dei due poeti, benché contemporanei, fosse alquanto diverso.
Il Dizionario Romanesco del 1994 di Fernando Ravaro è un'opera generosa di prime registrazioni
lessicografiche. La pur encomiabile raccolta delle nuove entrate è però affetta da evidenti lacune
procedurali (l'incerta frontiera tra i confini diacronico e sincronico che ripesca termini ottocentesci
attestati solo durante quel secolo, la preferenza per le fonti letterarie quasi esclusivamente belliane,
la lemmatizzazione di parole italiane rivestite di una patina fonetica romanesca, l'insufficiente
perspicacia nel cogliere le neoformazioni del romanesco giovanile).
Meno incerto nell'impostazione, più preciso nell'analisi delle fonti letterarie e nella conseguente
selezione dei lemmi è il Piccolo Dizionario Romanesco del 1999 di Giuliano Malizia. Il
vocabolarietto è ben composto e di agevole consultazione, ma risulta troppo selettivo e sintetico
nella scelta delle voci nella loro relativa strutturazione.
Nel contributo di Luigi Matt Profilo grammaticale del romanesco di ‘Quer pasticciaccio brutto de
via Merulana’ (2010) si delinea un profilo grammaticale del romanesco utilizzato nell'opera più
nota del milanese Carlo Emilio Gadda. Viene proposta una classificazione a livello grafico-fonetico,
morfologico e sintattico; per ogni fenomeno si forniscono i dati utili ad un inquadramento storico. I
risultati della ricerca non confermano l'interpretazione di molti critici che parlano di un dialetto di
matrice letteraria, prevalentemente esemplato sui Sonetti di Giuseppe Gioachino Belli. Al contrario,
la grande maggioranza dei tratti appartiene genericamente al romanesco moderno, e non può essere
utilizzata per stabilire la fonte privilegiata di Gadda. L'autore si è rifatto soprattutto al dialetto
realmente parlato nella Roma dei primi decenni del Novecento. I dialoghi, in particolare, appaiono
come rappresentazioni sostanzialmente verosimili del modo di esprimersi dei personaggi messi in
scena.
Attraverso l'impulso del Professor Massimiliano Mancini (dell'Università “La Sapienza” e socio del
Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli) negli ultimi anni hanno visto la luce alcune concordanze,
strumento che appare utilissimo per gli studiosi e per chiunque si interessi a un poeta o a un testo: le
concordanze della poesia di Mauro Marè (a cura di Maria Coniglio), della poesia di Mario dell'Arco
(a cura di Claudia Pellegrini), di Benedetto Micheli e di altri romaneschi del Settecento (a cura di
Emanuele Satta), di Giggi Zanazzo (a cura di Martina Di Lorenzo), di Cesare Pascarella (a cura di
Federica De Angelis) e infine del poema romanesco Li Romani in Russia di Elia Marcelli (a cura di
Davide Pettinicchio).
Tornando alla problematica iniziale, quella delle lacune menzionate in apertura, sarà importante
rilevare l'indisponibilità di un dizionario scientifico dell'uso e di un trattamento etimologico del
patrimonio lessicale oltre l'assenza di una grammatica storica capace di spiegare metodicamente
presso i livelli di analisi fonetica e fonologica, morfologica e sintattica la mutazione diacronica che
ha fatto evolvere la varietà di lingua latina di uso corrente nella Roma di età imperiale in origine nel
romanesco di prima fase (volgare di tipo spiccatamente meridionale perpetuato attraverso la stesura
della Cronica dell'Anonimo romano avvenuta secondo gli studiosi intorno alla metà del Trecento) in
seguito smeridionalizzato e toscanizzato tra Quattro- e Cinquecento nel romanesco di seconda fase
(immortalato dai Sonetti del Belli) alla fine trasformatosi nell'attuale sistema linguistico di livello
superiore detto di terza fase (o più prudentemente, diasistema di seconda fase e mezzo) che riunisce
due sistemi omogenei tra i quali ci sono somiglianze parziali sul piano fonematico, morfologico,
lessicale.
Parte della comunità linguistico-scientifica, consapevole delle criticità esposte, sta risolvendo con
successo le lacune lessicografiche attraverso la compilazione del “Vocabolario del romanesco
Contemporaneo” (VRC) presso l’Università Roma Tre e il progetto “Etimologie del romanesco
contemporaneo” (ERC) presso l’Università di Zurigo (nello stesso ateneo è stato nel frattempo
avviato il programma di ricerca Verso una grammatica storica del romanesco coordinato da
Vincenzo Faraoni).
Il primo volume relativo al Vocabolario del romanesco contemporaneo (I, J) del 2016 (seguito poi
da quello dedicato alla lettera (B) del 2018), è oggetto di questo approfondimento.
Il tema ortografico non è secondario, considerando la tendenza degli autori dialettali romani a una
differenziazione grafica tra romanesco e standard. Nella realtà grafica, però, un testo scritto non
riuscirà a recare con massima precisione gli aspetti fonetici del vernacolo parlato. Una maggiore
approssimazione si potrebbe raggiungere attraverso l'uso di segni diacritico-fonematici con la
negativa conseguenza di dare per certa la non scontata comprensione degli stessi. Il testo ha quindi
la necessità di mantenersi leggibile. La capacità di pronuncia e di intonazione corretta sono innate
nel romanofono, ma di fatto non agevoli per il forestiero che affronti la lettura di un testo dialettale.
4. Fonetica
Nel VRC, per consentire una agevole lettura anche ai non specialisti, si è data particolare
importanza alla resa grafica dei suoni (sia nei lemmi sia negli esempi) è si è preferita la forma base
nel caso di parole che presentano oscillazioni fonetiche tra una variante più dialettale e una più
italianizzata, diversamente distribuite lungo l'asse diafasico e diastratico.
4.1 Vocalismo
Il dialetto di Roma condivide con i dialetti toscani e con l’italiano standard il vocalismo sia tonico
che atono.
Negli esempi proposti in tabella, l’uso dell’accento grafico aumenta la riconoscibilità di parole
altrimenti identiche (il vocalismo tonico romanesco distingue medioalte e mediobasse presentando
coppie minime riguardo le velari e le palatali; per le ultime la distinzione è ormai quasi persa).
Le vocali atone sono soggette a uno scambio reciproco (soprattutto di /ó/-/u/) che risulta in forme
doppie:
Sarà utile accompagnare l'ultimo esempio tratto dalla tabella con l’esito del nesso latino RJ > r
come risulta in fornaro (it. fornaio) ma dindarolo (it. salvadanaio) o in barcarolo (it. barcaiolo).
4.1.3. Semivocali
4.2 Consonantismo
La esigua differenza intercorrente fra romanesco (inteso come dialetto o varietà bassa) e italiano de
Roma (inteso come italiano regionale o varietà alta che si avvicina all'italiano standard) lungo il
continuum , non nasconde la consapevolezza che alcuni elementi della pronuncia siano connotatori
fonetici e sociali. I tratti tipici del romanaccio sembrano condensarsi nel consonantismo.
4.2.2 Lenizione
La fricativa palatale sorda ç (c cedigliata) è soggetta ad attenuazione (ed in questa forma grafica
viene utilizzata nel VRC):
Lo stesso fenomeno consonantico si potrebbe analizzare nei termini di resa fricativa dell’affricata
palatale sorda (analogamente a come viene resa nei sonetti del Belli):
Il Professor Lorenzo Tomasin ha mostrato delle riserve riguardo alla c cedigliata, soluzione adottata
nel VRC, in sede di esposizione orale del presente articolo.
4.2.4 Scempiamento
guèra ; tèra
4.2.5 Dileguo
Il processo morfofonologico noto come “lex Porena” (il filologo Manfredi Porena, infatti, la registrò
per primo) impone la perdita della laterale nei derivati dal latino ILLUM: gli articoli determinativi
(la, le, lo, li) e di conseguenza anche gli omofoni pronomi clitici con funzione di oggetto, le
preposizioni articolate (della/o/e e dei, dallo/a, sullo/a), il pronome o aggettivo quello.
Alla caduta della laterale in alcune preposizioni si aggiunge iato monotimbrico (nella varietà bassa
del dialetto i fenomeni di armonia vocalica si verificano spesso):
quaa ; quoo ; quii (it. reg. rom. e it. quella ; quello ; quelli)
Alla caduta della laterale nelle sequenze di due clitici la vocale del primo viene assimilata a quella
del secondo:
moo dici ; too dico ; tii magni (it. me lo dici ; te lo dico ; te li mangi)
Alla caduta della laterale nella sequenza di congiunzione se o pronome che, seguiti da clitico, il loro
timbro vocalico viene assimilato alla vocale del clitico seguente:
soo trova ; sii conosci ; coo reggo ; chii porta (it. se la trova, se lo conosci, che lo reggo, che li
porta).
4.2.7 Rotacismo
4.2.8 Assimilazione
nd > nn
quanno (it. quando) ; 'nnamo (it. andiamo)
mb > mm
piómmo (it. piómbo)
ld > ll
callo (it. caldo)
4.2.9 Affricazione
Nei nessi /ns/ /ls/ /rs/, la sibilante è soggetta ad affricazione, appunto, dopo nasale o liquida:
4.2.10 Palatalizzazione
Alcuni esempi di epentesi (povesia), metatesi (frebbe), sincope (poro) ed epitesi (sìne ; none) sono
confinate al dialetto di matrice belliana e ai parlanti più anziani dei rioni storici. Nel romanesco
contemporaneo è da segnalare l'aferesi.
4.3.1 Aferesi
la vocale iniziale prima di in- im– + consonante come in impapocchià > ’mpapocchià ;
la vocale iniziale prima di ign– come in Ignazio > ’gnazio .
5. Morfologia
Di seguito si fornisce una lista non esaustiva degli elementi morfologici più frequenti e caratteristici
del romanesco:
Come già fatto risaltare l'articolo lo è soggetto alla «lex Porena». Se l'articolo er determina un
soggetto che inizia per r subirà aferesi:
er pupo ma e’ regazzino
A livello morfologico sarà utile fornire un esempio rappresentativo a proposito del sistema delle
classi di flessione, che nel romanesco si mantiene:
In romanesco i verbi mancano della desinenza. Gli ausiliari si usano nelle forme avé (avécce per
indicare possesso) ed esse. I riflessivi recano all’infinito la desinenza –se (imbrojàsse ; impallàsse ;
imbustàsse). Tipici del romanesco sono i verbi con a prostetico (ariccomannà).
Si pone l'accento sulla sillaba tonica e si inserisce il resto della desinenza tra parentesi tonde:
Oltre al già citato fenomeno generale dell'apocope infinitivale sono da ricordare le desinenze della
prima persona plurale del presente in -amo, -emo, -imo (’nnamo, vedemo, venimo) e forme verbali
ridotte come demo < dovemo (it. dobbiamo), amo (it. abbiamo), aamo (it. avevamo).
6. Fraseologia
Per quanto riguarda la sottostimata indagine fraseologica, durante la compilazione delle voci
lemmatizzate nel vocabolario hanno meritato particolare menzione e puntuale considerazione le
combinazioni di parole percepite dai parlanti come unità lessicali e i modi di dire proverbiali
(locuzioni o frasi), entrambi distintivi nel delineare i tratti lessicali del romanesco:
in questa ottica sarà utile fare riferimento ad alcuni antroponimi presenti nelle voci del VRC:
A titolo d'esempio, riportiamo la voce del VCR recante gli antroponimi Ignazio Pecorella, Stradelli
e Gerardi:
Il livello sintattico del romanesco è caratterizzato da una dinamica vitalità. Giovanardi e D'Achille,
nei loro vari scritti preparatori al VRC, hanno effettuato una ricognizione relativa alle perifrasi
infinitivali nel romanesco fornendo, tra gli altri, questi esempi:
Ulteriori moduli sintattici, ascrivibili alla varietà bassa, sono costituiti dai i seguenti costrutti:
dovere da + infinito:
8. Lessico
Al fine di introdurre finalmente l'analisi lessicografica effettuata nel VRC, si inizieranno a fornire
delle voci particolarmente significative estratte dalla lettera I:
Ogni locuzione espressa con l'ausilio del lemma idea denota una marcata impronta locale.
Completano la voce ulteriori dettagli complementari come le sigle LR (che indica i lessici
romaneschi, anch'essi citati in sigla, nei quali è registrata la voce), LI (che riferisce dei lessici
italiani) ed E (che segnala l’etimologia). Un esempio emblematico circa le mancanze della
lessicografia romanesca è costituito da ignoranza (e da ignorante) non notata da alcuna silloge
romanesca benchè fornita di un forte sentore locale (i numeri arabi mostrano quali dei significati
riportati sono realmente presenti nei lessici):
Ignorànza s.f. ɪ. Maleducazione, rozzezza. 2. Schiettezza: mejo
l’ignoranza daa farzità! 3. antifr. Competenza: pe’ le machine Tòto
è de ’n’ignoranza ’nzuperabbile.
LR: ɪ. DGɪ, CT
LI: ɪ. GRADIT
E: dal lat. ignorantĭam.
L'azione preparatoria che anticipa la stesura d'un opera lessicografica accurata ed esauriente
concerne il tracciare i limiti dell'area lessicale da investigare, la sua lemmatizzazione:
voci esempi
dialettali tradizionali perzica ‘pèsca’, straccali ‘bretelle’
dialettali nuove coatto
neologismi piacione
d'origine dialettale estesesi all'italiano Patacca, cravattaro, tardona, sgallettata, supplì
d'altra provenienza dialettale fasullo
gergali canàla, frullino
Continuando la trattazione, si scelgano casi recanti alcune problematiche di lemmatizzazione. Il
sistema verbale del romanesco, ad esempio, non si può sistematicamente sovrapporre (sia per la
funzione o ‘voce’ del verbo come espressione del rapporto intercorrente tra il soggetto e l'azione,
sia per l'aspetto semantico), a quello dello standard. Il verbo imbroccolà(re) può essere usato come
transitivo e intransitivo:
Il GRADIT ha indicato come l’uso transitivo sia stato rilevato in Pasolini col significato di
‘imbroccare’; la parte complementare della voce è stata scritta riportando le testimonianze degli
informatori. Nel primo significato del verbo transitivo è plausibile l’influenza di broccolo , che a
Roma si usa col valore di ‘sciocco’. Il tipico uso riflessivo nel romanesco del verbo imbrojasse lo
distanzia dall’italiano; inutile quindi lemmatittarne la forma attiva imbrojà sovrapponibile con lo
standard ‘imbrogliare’, imbrojasse è stato registrato come nuova entrata visto che a Roma si usa con
un significato peculiare, relativa alle condizioni atmosferiche:
In sede di lemmatizzazione, sotto la stessa voce omonima, si è optato per due inserimenti distinti nei
casi in cui la differenza di significato si ampia e giustificata da una forte discrepanza etimologica.
La duplice entrata di impallasse¹ e impallasse² è motivata dal notevole divario semantico e un
etimo in larga misura non coincidente. D'ambedue l'origine è il lessema palla, ma nella prima
accezione metaforica si fa riferimento all'impossibilità di effettuare un tiro diretto da parte del
giocatore di biliardo (sulla traiettoria del colpo si frappone infatti una sfera che ne “impalla” un'altra
che costituisce l'obiettivo della giocata) mentre nella seconda la similitudine descrive un computer
che “s'impalla” rimanendo in stallo, come il giocatore impossibilitato al tiro.
La voce verbale imbustasse che nello standard sottintende l'‘andare a dormire’ compare in un
recente romanzo di due noti autori capitolini, fatto dimostrante che il lessico descritto oltrepassa i
confini dell'utenza giovanile:
L'azione imbruttì(re) reca uno slittamento semantico al contronto con lo stesso verbo in italiano. La
gioventù romana lo intende come ‘provocare’, smarrendo totalmente il significato originale nello
standard:
Ulteriori esempi sono rappresentati da voci ricevute dalla tradizione lessicografica precedente.
Forniamo ancora una voce verbale, ereditata dalla lessicografia del passato, ì(re) , usata quasi
unicamente attraverso il participio passato ito ; la voce espone in modo ampio e dettagliato tutta la
semantica del verbo:
ì(re) v. intr. (usato oggi quasi esclusivamente nel part. pass. ito )
(aus. essere) ɪ. Andare: domenica so’ ito ar mare | ce potemo ì, ce
se pò ì, ci possiamo, ci si può andare | è ito all’arberi pizzuti , è
morto 2. estens. Guastarsi, andare a male: ’sta frutta ormai è ita
3. estens., assol. Uscire di mente, impazzire: quello ormai è ito.
LR:ɪ R
LI: GRADIT (tosc.)
E: lat. īre .
Un sostantivo, ianna , deriva dal significato precipuo di ‘ghianda’, ma viene esclusivamente usato
come metafora di ‘testicolo’:
jànna s. f. arc. ɪ. Ghianda: versi buttati ar porco come janne (Del-
l’Arco) 2. fig. (spec. al pl.) Testicoli.
LR: C, R
E: roman. di I fase; lat. glăndem con cambio di classe.
Attraverso questi vettori, Il VRC attua una dettagliata rianalisi del patrimonio lessicale rilevando la
progressiva erosione del patrimonio lessicale del romanesco tradizionale e documentando
l’emersione di una nuova dialettalità negli sviluppi semantici (di molte parole sia dialettali che
italiane) e la derivazione. A riguardo di questo ultimo rilievo lo si descriva tramite l'esempio dei
verbi parasintetici come quello di inparaculisse (farsi furbo):
aggiunta di prefisso (a-, in-, s-) nome o aggettivo aggiunta di desinenza (-à, -ì)
in- paracul(o) -isse
L’infinito -are o -ire verrà apocopato in -à o -ì mentre la forma riflessiva recherà -asse o -isse. Una
cura ulteriore è costituita dall’analisi dei fenomeni grammaticali e in particolare nel trattamento dei
verbi e degli usi verbali dove si distingueranno:
Verbi procomplementari esempi
esserci o farci ce sei o ce fai?
essere valido ammolajela
Per chiudere la trattazione si segnalano due ennesimi esempi di quanto il VRC sia votato al rigore
scientifico della trattazione lessicografica:
i¹ art. det. m. pl. che si affianca, sul modello italiano, alla forma dialettale li ( i fiji de Maria vanno
ancora all'elementari ; so passati i monnezzari ), oppure come esito locale davanti a parole che in
italiano richiederebbero gli ( oggi nonna ha preparato i gnocchi ; ho incontrato i zii de Giggi ).
E. lat. (ĭl)lī
l'articolo determinativo di generele maschile e di numero plurale i , fino a oggi non presente nella
lessicografia del romanesco e dalla stessa rilevato solo nella forma li , è di quest'ultima l’esito
fonetico dialettale, come nei gruppi nominali i gnocchi , i zii .
I¹ pron. atono di III pers. m. pl. che in particolari contesti fonosintattici sostituisci li con valore di
compl. ogg.: Mario e Pippo è tanto che nù i vedo ppiù ; i conosci pure te, come so' ffatti quelli .
LR: Br
E. lat. (ĭl)lī
Il pronome personale di genere maschile e di numero plurale, analoga riduzione di li viene attestato,
a titolo esemplare, nella frase a quelli chi i conosce?
9. Bibiografia
Filippo Chiappini
Vocabolario romanesco, 1933 - Prefazione di Bruno Migliorini.
Vocabolario romanesco, 1945 - Nota e aggiunte di Ulderico Rolandi.
Gennaro Vaccaro
Vocabolario Romanesco Trilussiano e Italiano-Romanesco, 1971.
Fernando Ravaro
Dizionario Romanesco, 1994.
Giuliano Malizia
Piccolo Dizionario Romanesco, 1999.
Cap 1. «Romanesco, neoromanesco o romanaccio? La lingua di Roma alle soglie del Duemila».
Cap.3. «Conservazione e innovazione nella sintassi verbale dal romanesco del Belli al romanaccio contemporaneo».
Cap 5. «Per un Vocabolario del romanesco contemporaneo: ipotesi di lavoro, fonti, primi materiali».
Cap 6. «Verso il Vocabolario del romanesco contemporaneo: proposte per la costituzione del lemmario».
Claudia Pellegrini
Concordanze della poesia di Mario Dell'Arco, 2007.
Luigi Matt
Profilo grammaticale del romanesco di ‘Quer pasticciaccio brutto de via Merulana’, 2010.
Davide Pettinicchio
Concordanze del poema in romanesco «Li romani in Russia» di Elia Marcelli, 2010.
Cap 1. «Romanesco, neoromanesco o romanaccio? La lingua di Roma alle soglie del Duemila».
Cap.3. «Conservazione e innovazione nella sintassi verbale dal romanesco del Belli al romanaccio contemporaneo».
Cap 5. «Per un Vocabolario del romanesco contemporaneo: ipotesi di lavoro, fonti, primi materiali».
Cap 6. «Verso il Vocabolario del romanesco contemporaneo: proposte per la costituzione del lemmario».
Paolo D’Achille
Il Vocabolario del romanesco contemporaneo
http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/dialetto/D_Achille.html
Claudio Giovanardi
I neologismi del romanesco contemporaneo
http://www.culingtec.uni-leipzig.de/SILFI2000/abstracts/papers/Giovanardi_co011.html
Laura Gigliotti
Dall’«imbucato» al computer «impallato» Il romanesco diventa un segno d'identità: a Roma Tre
pronto il vocabolario del dialetto che fu del Belli e di Trilussa, 16/02/2007.
http://www.ilgiornale.it/news/dall-imbucato-computer-impallato-romanesco-diventa-segno-d.html
Alessandra Cutrì
intervista a Claudio Giovanardi, 19 febbraio 2018.
http://www.insulaeuropea.eu/2018/02/19/alessandra-cutri-intervista-claudio-giovanardi/
Rosanna Marsico
Recensione a “Roma e il suo territorio. Lingua dialetto e società – a cura di Maurizio Dardano,
Paolo D'Achille, Claudio Giovanardi, Antonia G. Mocciaro. Roma: Bulzoni Editore, 1999. 343 pp.
In “Rivista di studi italiani” Anno XVIII , n° 2, Dicembre 2000, pag. 340-343.
http://www.rivistadistudiitaliani.it/articolo.php?id=768
Andrea Viviani
Recensione a Paolo D’Achille, Claudio Giovanardi, “Per un Vocabolario del romanesco
contemporaneo: ipotesi di lavoro, fonti, primi materiali”. In Roma e il suo territorio. Lingua,
dialetto, società, a cura di Maurizio Dardano, Paolo D’Achille, Claudio Giovanardi, Antonia G.
Mocciaro. Roma, Bulzoni, 1999: 155-182; rist. In Idd., Dal Belli ar Cipolla. Conservazione e
innovazione nel romanesco contemporaneo. Roma, Carocci [“Lingue e letterature”, 12], 2001: 85-
105. Idd., “Il Vocabolario del romanesco contemporaneo: bilancio di un anno di lavoro e
prospettive future”. Il Belli 2, 2000, 2: 27-30. Idd., “Proposte e primi consuntivi per il vocabolario
del romanesco contemporaneo”.
Ilde Consales
Fra lessico e grammatica. Il problema dei verbi dà(re) e fà(re) nel Vocabolario del romanesco
contemporaneo.
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP:
Vol I, pp. 79-83
Luca Lorenzetti
Un decennio di studi linguistici sui dialetti del Lazio: bilanci e prospettive.
Estratto da: Claudio Giovanardi, Franco Onorati (a cura di), Le lingue der monno.
Atti del convegno di studi (Roma, 22-24 novembre 2004), Aracne editrice, Roma 2007: pp. 197-
215.