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BICE G ARAVELLI M ORTARA

G Ll U SI D E L LA PA R O L A

IL RUO LO DELLA STILISTICA


NELL'INSEG NAM ENTO D ELLA LIN GUA

Corso di Linguistica applicata


Anno Accademico 1975-76

IUSTCTIAMC0k1NMtl%

G . G IA P P IC H E L L I E D IT O R E T O R IN O
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PROPRIETX LETTEM RIA RISERVATA

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roRlxo - 1976 - LITOGRAFIA ARTIGIANA M. & s.


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P R E M E S S A

11. . .
addestrare a capîre e usare frasï
non è una faccenda di 1be1)0 stilel, za
un coziito golilico e scientifîco, ger-
ché siçnifica dare ;i) struzenli ;er ca
gire e dîre le cose, per partecipare ef
ficacezente alla vita sociale, n0n in
silenâio o'da robot, za daacittadini pa
ri di lingua ceze vuole la nostra so-
stituzione.l
'
ICLLIO DE ràk80, in kuestinnî di
ditatlica (8oza:Edilori qiunili,
1975 , p,
. 2?.
Blutti ç)i usi della parola a lultï yi
seibra un buon yotto, da1 be1 suono de-
zocratiéo- k0n perché tutti siano arti
Sti, za perché nessuno sia schiavo'' -
611$$1 i0Dl8I, iraazalica della fan-
tasia (lorino:Eînaudizls73 ,;- 6.

Lreducazione linguistica è uno dei compiti pi; importanti


e complicati che si possano assegnare alla scuola: importan-
te per la sua portata sociale e il suo significato politico;
complicato, per la massa di fattori che intercorrono ne1 suo
svo lgim ento.
Sulldimportanza politico-sociale di un adeguato posses-
1. - 8. CI8IkELLI p
10qIlq):Q)i usî tella parola.
so della flingua comune' - la lingua degli scambi cultùrali,
quella che occorre capire e saper maneggiare per inserirsi at
tivamente nelllingranaggio della vfta associata - sf è detto
e scritto parecchio, in questi ultimi tempi; ma non sl insi -
sterà mai abbastanza sulla necessità urgente di ovviare il
più possibiley con una pedagogia linguistica efficace, alle
disparitâ di 'competenza attiva' dei parlanti, intesa come
capacità effettiva di usare la lingua, anzi le varietà di 1im
gua appropriate alle diverse situazioni comunicative.
Se il fattore linguistico incide profondamente sulla di-
scriminazione sociale, e se alla scuola soprattutto spetta 1,
incarico di insegnare a parlare e a scrivere, sarà veramente
democratica soltanto una scuola che si impegni, con mezzi di
dattici adeguati e specialmente con una ferma e chiara volom
tà politica, a far sl che tutti i cittadini fmparino a comu-
nicare in condizioni di parità: a dominare tipi diversi di
manifestazioni linguistiche, orali e scritte, impadronendosi
de1 maggior numero possibile di modalitâ dfuso de1 codice cE
mune. 11 che non significa affatto che la scuola debba es-
sere una 'scuola di retorica': insegnare a rendere attive al
massimo grado quelle capacità che distinguono l'individuo u-
mano come loquens non vuol dire addestrare alla verbosità: al
contrario, si tratta di far acquisire piena consapevolezza
(con la capacitâ di tradurla in pratica) dei modi svariatf ,
verbali e non verbalf, attraverso f quali si esplica e si trm
smette una cultura. Non Y dunque una questione di 'forma'(e
meno che mai di 'bella formal) nelltottica di arcaiche sepa-
razioni di questa da1 suo 'contenuto'; semmai, sf ha a che
fare con l'organizzazione di contenuti culturali, con un'opE
razione, dunque, compiuta su un materiale che acquista unlf-
dentità precisa solo in virtù di tale operazione (dfversamem
te organizzato, diversamente lformatol, non sarebbe più la
stessa cosa): si ha a che fare, cio/, con la lingua come prfm
cipio ordinatore di esperienze che appartengono ai singoli e
alla socfetà.
Qualsiasi discorso su quanto si Y fatto finora nella scuE #
i
la per educare allfesercizio paritario della facoltà lingui- t
k
stica (quando sl propone l'obiettivo della ''paritâllnon vale W*W
..=..,
contrapporre le variabilf attitudinali, interne agli indivi-
duï, dalle quali dipendono in parte i risultati concreti di
tale esercizio: ma / proprio qui che l'educazione linguistf-
ca deve intervenire efficacemente a ridurre g1i squilibri)
non puö che trasformarsi fn un atto di accusa contro lfinca-
pacità, la malafede, la trascuratezza, la debolezza, l'insem
sibilità di tutti coloro ai quali incombe la responsabilità
di un compito cosl grave e impegnativo. Impossibile fare e-
sclusioni: politici e, come si suol dire, operatori cultura-
1i, autorità accademiche e scientifiche, insegnanti di ogni
grado e disciplina, siamo tutti chiamati in causa. La com-
plessïtà dellffmpresa non è un'attenuante: fn ognf caso non
giustifica l'inerzia, a nessun llvello. Piuttosto, il rico-
noscimento df quanto sia complicato progettare e realizzare
un'educazione linguistica autenticamente democratica e in li
nea con g1i assuntl e le verifiche attuali della ricerca sciem
ti/ica deve indurre a porsi con chiarezza i problemi, teori-
ci e applicativi, a distinguere aree di competenza diverse
pur con finalità comuni, non per frannentare in un tecnici -
smo ristretto un campo in cui occorre non perdere mai di vi-
sta g1i obiettivi generali, ma per garantirsi quel rigore che
si ottiene con la specializzazione dello studio e con l'impim
go df strumentf adeguatf ai fini specffici. ciö equivale ad
avere, nella pratfca, una visione realistica delle questioni
che si presentano complesse e multilaterali ed a premunirsi,
su1 piano teorico e metodologico, contro la genericità e la
nebulositl in cui talvolta incorrono certe consfderazïonf 'to
talizzantit dei fattf umani, che scambiano l'indistinto de1 -
le approssimazioni dilettantesche per la globalità delle sin
tesi ultime.
Impegno civile, e perciö politico, e interesse scientifi-
co confluiscono ne1 domfnio della pedagogia linguistica (1).

(1) Si ve(
1a, in (
5lSSEL91g75, ;;.1-12$
,i1 testo :1e11e(
)ieciT-
e-
sj per 1Ieducazi-o--
.
ne 1icnuistica tezocratica. eiaborate collettivazente. ne1 1S7b, dal C
siSCEL
(I
'Cruppo di Inlervento e diStudi()nel sazio del1ïEducazioneLinçuîsticall,c-q.
stîtaitosi ne11073 a11Iinterno tella SocietL di Lînçuistica italianapSLl)
e redatie da Tu11io ZE 81d80 e da iaffae1e S1'OSE-

t
#
Per ciö che riguarda le formulazioni di metodo e le ipotesi
teoretiche lfinteresse sf allarga dallrambito pedagogico e di
dattico al campo, o meglio ai campi specifici della linguisti
ca. Anche se le procedure d'insegnamento delle lingue sono
in larga misura autonome rispetto alle proposte della lingui-
stica teorica, l'applicabilità didattica puö rivelarsi un ef-
ficace banco df prova per modelli che si propongono di spieg,
re fattf di lingua; inversamentey un modello didattico, o an-
che semplicemente una serie di ipotesi su problemi o su tecni
che d'insegnamento lingufstico non puö prescindere da un qua-
dro teorico generale in cui trovino adeguata Mstemazione K > >
tfffca . i fatti su cui verte l'attività didattica. Ne1 no-
stro caso, affermata su basi intuitive, partendo da osserva -
zioni pratiche, ltopportunità di tener conto della variabili
tà linguistica nelldinsegnamento di una lingua (perché sen-
za un efffciente possesso delle sue varietà non si puö preten
dere di saper servirsene convenientemente), dovremo chieder-
ci fnnanzi tutto in che consista questa variabilftà; isolare
all'fnterno df essa fl settore su cui intendfamo esercitare
la nostra analisi, cioè q'
uello delle variazioni contestualmem
te relate generalmente dette stilistiche; cercar di definire
lo sfondo concettuale su cuf tali variazfoni acquistano la
loro identitâ: in altre parole, spiegare quale sia la prospel
tiva dlindagine def fatti linguistici che chiamiamo stilisti-
ca; verfffcare l'incidenza def risultati df un tale studfo
sulllinsegnamento della lingua e, in particolare, l'applica-
bilità delle procedure delllanalisi stilistica nelle manife-
stazfonf svarfate delllattfvftà dfdattica: gufda alla comprçm
sione-decifrazione di messaggi diversi, incremento della ca-
pacità di comunicare oralmente e per iscritto in situazioni
realf, fnterventf correttorf, ecc.
L'occasione e la destinazione pratica di questo discorso
(lezioni universitarie proposte a futuri docentf della lin-
gua materna e di lingue straniere) lo giustificano proprio
in vfsta di un obiettivo importante fra quelli che la scuo-
la deve avere di mira: la preparazione linguistica degli in-
segnanti, in primo luogo degli insegnanti di madrelingua, ai
quali si assegna la maggiore responsabilità nello sviluppo
della 'competenza comunicativa' di chi frequenta la scuola.
Ma se la capacità df capire e di comunicare implica llor-
ganizzazione delle conoscenze in tutti i campi de1 sapere e
delldesperienza umana, non si vede come si possano esonerare
da1 compito di favorire la crescita di tale capacità i doce/
ti di materie non linguistiche. Finché si riterrà che sia
devoluto esclusfvamente al professore, e allr'ora', di ita -
liano l'incarico di insegnare a parlare e a scrivere (a scri
vere, più che a parlare e a capire, secondo la pratica peda-
gogica tradizionale) non si saraùno fatti molti passi sulla
via della liberazione delllinsegnamento linguistico da ipo-
teche retorfco-bellettristiche e da pregiudizi che fanno toi
to persino alla v ecchfa retorica.
In unfappassionata rassegna delle condizfoni che hanno râ
so possibile il perdurare della consuetudine dannosa e ana -
cronistica de1 'tema' di italiano, proposto e svolto in un
''vuoto intellettuale e motivazionale'', DE MAURO (1975, pp.20
-
21) fa notare:
î'certamente, ci sono buone spiegazioni de1 perchd que-
sto puö accadere: c'Y anzitutto una università che ha il
compito dominante (e questo valey come si sa, non per le
sole facoltà di lettere e magistero, ma per tutte le f,
coltà) di preparare insegnanti, ma a questi insegnan-
ti non ci si cura di dire: l'badate, qualunque cosa lns,
gnerete, passerete attraverso problemi di vostra comuni
cazione con g1i alunni e se 11 vostro sarà un insegna -
mento serio, dovrete affrontare i problemi della cresci
ta della competenza linguistlca dei vostri alunni (et
vostralp'. Unfunfversit; in cui si insegna dï tutto,in
cui cf sono ''materie fondamentalin d'ogni genere: una
sola cosa non si fornisce ai futuri insegnanti: una car
ta geografica degli usi linguistici dell'ltalfa contem-
poranea, e una bussola teorica per capire come funziona
una lfngua, come è fatto fl lfnguaggio, come lo si ac-
quisisce, secondo quali tappe si sviluppa ne1 giovane e
con quali tecniche si puö migliorare e arricchire lo
sviluppo. Mandato senza armi di teoria e storia lingui
stica nella fossa dei leoni, ne1 complicato intreccio di
lfnguaggf e stflf caratteristico della nostra e di ogni
società contemporanea, l'insegnante, nove volte su die-
ci, non puö fare altro che aggrapparsi a modelli di in-
segnamento vecchi, arcaici, dannosi: al tema e alle bel-
le frasil'.
Partendo da similf constatazioni, non si puö non critica-
re duramente una prassi scolastica perdurante pressoché in-
tatta ab immemorabili, che tende a perpetuare le proprie in-
sufficienze, travasandole, come in ciclo, dai primi agli u1-
timi gradi delle scuole che 'fabbricano ' insegnanti, i quali
a loro volta si faranno portatori dei contenuti e imitatori
dei metodi ai qualf essi stessl devono la propria formazio -
ne: le eccezioniy al solito, Nconfermano la regolaf' e sono
tanto più lodevoli in quanto 'eccezionali'.
Quando si afferma che un rinnovamento della pedagogia 1im
guistica deve basarsi su un rinnovamento della cultura lin-
gufstica degli insegnanti (di tutti gli insegnanti), si dice
una cosa troppo evidente perchd se ne debba discutere. Meno
evidente è il reperimento dei mezzi coi quali attuare il rim
novamento. 11 discorso che seguirà, ne1 prossimo capitolo,
non vuole affatto essere settoriale: molto modestamente si
cercherà di delimitare l'ambito di una dfsciplina che sembra
orientata, per vocazione se non per definizioney e in una paI
te cospicua della sua sfera di competenza, a cercare soluzio-
l
ni ai problemi delllinsegnamento linguistico. Questa disci-
plfna Y la linguistica applicata, che da1 suo affermarsi in-
torno agli annf 150 non ha mai cessato, secondo la pittoresca
espressione di un linguista francese, di fare l'effetto di u-
na pochette-surprise, dove non si sa mai con precisione che
cosa si troverà.

$
1.

LINGUISTICA APPLICATA E GLOTTODIDATTICA : RECIPROCA INCLUSIONE.


OBIETTIVI DELLE RICERCHE COMPRESE NE1 DUE CAMPI

1.1. Una delle prfncfpali applicazioni della lingufstica


riguarda 1'insegnaraento delle lingue: della lingua materna ,
o L1, e di una lingua straniera, o L2. La diffusione e l'a.g
piezza assunte in breve tempo da questi studi hanno determi-
nato addirittura un fenomeno di antonomasia: dire linguisti-
ca applicatà equivale per molti a dire glottodidattica, cioè
elaborazione di metodi e di tecniche per 1'insegnamento lim
guistico, i1 che implica la soluzione, o almeno lo studio, di
problemi df didattica generale riferiti al campo specifico
dell 'insegnamento-apprendimento di una lingua.
L'insegnamento linguistico Y dunque l'attfvità pratica fom
data su1 complesso degli studf metodologici e delle proposte
applicative che costftuiscono la glottodidattica. Nell'ambi
to di questbultima, accanto alla didatticay che è parte del-
la pedagogia, ricoprey o dovrebbe ricoprire, un ruolo decisi
vo la lingufstfca, o meglio l'insfeme delle scienze linguisti
che: dalla linguistica generale alle cosiddette discfpline ceI
niera, qudli sono la psicolingufstica, la sociolinguistica ,
la lingufstica antropologica, ecc. Tra queste ha ffnora as-
sunto importanza preponderante, ne1 campo delle ricerche glol
todidattichey la psicolinguistica, per la rilevanza che han-
8

no le teorie dell1attività verbale (gli studi sulla 'facoltà


di linguaggio' propria dell'essere umano, e quindi su come si
impara a parlare, su quali meccanismi psicologici entrano fn
gfoco ne1 processi della comunfcazione, nell!emfssione e nel-
la ricezione di znessaggi verbali o comunque linguisticamente
sttutturati) '
per 1'
a problematica dell'insegnamento-apprendi-
mento linguistico.
Ef evidente che per una visione il più possibile completa
degli elementi che concorrono a formare il multiforme dominio
della glottodidattica / necessario 1fapporto dt tutte le di -.
scfplfne df frontiera; anzi non sf vede con:e si potrebbero im
dicare a priori preclusioni verso una qualsiasi delle scien-
ze umane: il che Y vero ne1 senso piuttosto ovvio, e generi -
co, delle interrelazioni che, in linea di principio, è sempre
possibile stabilire tra vari campi de1 sapere che abbfano a1-
meno un riferfmento in comune. A1 di 1à di tali approssima -
zioni, la glottodidattica si lascia intendere sl come un ltca.y
po di convergenza di interessi interdisciplinari'', ma al tem-
po stesso si impone come disciplina autonoma, con un proprio
specifico oggetto di studio, con obiettfvf chiaramente def1ni
bflf e con modalftà di lavoro dfpendenti per una parte cospi-
cua dalla particolare angolazione di quella che, tra le varie
scienze de1 linguaggio, ne rappresenti la componente 'lingui-
stica' prevalente.
Ci sarebbero dunque alttettanti modi di far didattica lin-
guistica quante sono le prospettive aperte daglf studi de1 1fm
guaggio, cioè avremmo una glottodidattica sociolinguistica, M
na glottodidattica psicolinguistica, una pragmalinguistica e
cosl via? Meglio spostare i termini della questione e rfconz
scere che l'impostazione di ogni attività in questo campo non
sfugge alla norma comune a tutte le attivitâ di ricerca e di
studio: è il punto di vista assunto da1 ricercatore che detel
mina e qualffica l'oggetto dellfindagine rendendone pertinen-
ti lluna pfuttosto che l'altra proprietà. Ne deriva la consE
guenza pratica per cui ogni fenomeno, al momento in cui viene
indfviduato e dfstfnto dagli altri, rfentra nella competenza,
se non esclusiva certo specificay di questo o quel settore d,
g1i studi.
9

1.1.1. L'utilizzazione di ognuna delle svariate prospetti


ve linguistiche per fini (normalmente pratici) esterni ad es-
se costituisce l'essenza e il compito di ciö che comunemente
si designa come linguistica applicata . Essa sta alla lingui-
stica teorica nello stesso rapporto in cui una scienza che si
dica applicata sta alla corrispondente scienza 'pural (tale /,
per esempio, il rapporto fra ortoepia e fonetica); ovvio, ma
non fnutile, precisare chey se per ognuna delle scienze lin-
guistiche e per i rispettivf 'rami' di esse si possono preve-
dere possibili applicazioni, non ogni volta che uno di questi
rami lnterferisce con untaltra disciplina si parla di 'lingui
stlca applfcata' (non lo è, per esempio, llanalfsi lfngufsti-
ca impiegata ai fini della critica letteraria, come d'altra
parte non lo sono l'etnolinguistica e la sociolinguistica),né
le 'applicazioni' vanno confuse con le verifiche sperirnentali
di ipotesi avanzate in via teorica in uno qualsiasi dei campi
suddetti.
Nella fattispecie, l'etichetta di lingufstica applicata v1:
ne apposta a una serie eterogenea di discipline e di attività
tecnico-scientifiche (cibernetica, utilfzzazioni tecnologiche
della linguistica computazionale nei campi dellbelaborazione
automatica della comunicazione; studio e terapie dei distur-
bi nell'acquisizione e nell'uso de1 linguaggio; messa a pun-
to e sperimentazione di procedure d'insegnamento di una 1im
gua, ecc.) che, in un modo o nell'altro, utilizzano le scopel
te della linguistica l'per migliorare le condizioni della comM
nicazionef: (MARTINET, 1969, p. 21O)e Sarebbe difffcile com-
prendere sotto una definizïone meno generica di questa un ca/
po dîïndagine cosl vasto e cosl poco omogeneo. In realtà, si
è ormai abituati a unlindeterminatezza che comporta inevitabf
1i esclusivismi; tuttavia identificare tout court, come da
più parti si fay la linguistica applicata con la glottodidat-
tfca equfvale a restrfngere arbftrarïamente fl campo e le prâ
rogative dellbuna e delldaltra: se occuparsi della problema-
tica dell'insegnamento linguistico (elaborare e mettere a co/
fronto strategie didittiche diverse, studfare le condizfoni e
le variabili dellffnsegnamento e del'l'apprendimento di una
lfngua, ecc.) non è llunfca applfcazione della linguistica, è
10

altrettanto vero che le prospettive linguistiche sono ben 1om


tane dalldesaurire i compiti e le finalità della glottodidat-
tica.
E' stato osservato (HENDRICKS, 1974, pp. 7-8) che la quali
fica di applicata, per una scienza, connota in generale 'uti-
litl', o ciö che Sapir (1949) designa come convertibilità in
valori contanti: se questo è vero per tutti g1i altri tipi di
indagine a cui puö attribuirsi fl titolo di lfngufstica ap-
plicata, lo / a maggior ragione per la glottodidattica, il
cui 'valore in contantif si puö calcolare in termini di svi-
luppo e di potenziamento delle capacità linguistiche: un va-
lore commisurabile allfimportanza vitale che ha per l'indivi
duo, nella società, il pieno possesso di (almeno) una lingua.

1.2. Ne1 campo della ricerca applicata allrinsegnamento


delle lingue è tenacemente radicata, bench; spesso non sor-
retta da fondamenti teorici saldi e coerenti, la convinzione
che la glottodidattica debba basarsi sullo studio dell'usoy
anzi degli usi linguistici in reali situazionf comunicative.
Occuparsi della lingua come effettivamente viene adoperata dai
parlanti, osservare come, mutando il contesto linguistico ed
extralinguistico, modificandosi le condizioni d'impiego, po,
sa variare il senso di uno stesso enunciato e, reciprocamen-
te, lo stesso senso possa essere veicolato da espressioni di
verse, sembrano operazioni addirittura ovvie, quando si inte/
de fornire modelli di esecuzione tali da provocare, o da fa-
vorire, l'acquisto di determinati gradi di abflità nell'uso
di una lingua.
Attraverso l'ottica applicativa l'appello alla ''realtàïldel
parlarey i richiami atla nconcretezza'', quando ci sono, si
presentano con l 'aspetto rassicurante de1 'camminare su1 si-
cu ro '. Eppure, quando ci si avventura su1 terreno soltanto
all'apparenza solido di una tale 'realtà', cioè de1 linguag-
gio in atto, si ha llimpressione di una mutevolezza e di una
fnstabilità incessanti. E' il miraggio della parole, di cui,
secondo.una ben nota tradizione che risale al Cours saussu -
riano (SAUSSURE, 1916), non si dà come possibile una descri-
11

zione sistematica: una linguistica (che non sia statistfca)


della parole si esaurirebbe ne1 tentativo di 'fcontrollare 19
incontrollabile''. L'espressione / di Roland Barthes, che,
al termine della sua esplorazione sulla retorica classicay ri
portava la llfuria tassonomicall con cui erano stati dfstinti
e classificati g1i ornamenti de1 discorso (tropi e figurae)
alla pretesa di ''codificare la parola... vale a dire, pro-
prio lo spazio in cui, in linea di principioy viene a cessa-
re il codice... E ' nella misura in cui la Retorica ha prefi-
gurato una linguistica della 'parola' (non statistica), il
che è una contraddizione ln termini, che si è sfiancata a
sorreggere, in un reticolo necessariamente sempre più fine,
le 'maniere di parlare'...ll (R. BARTHES, La retorica antica,
tr. it., Milano: Bompiani, 1972, p. 101).
Da una partey dunque, avremmo una lfngufstica (teorica e
generale) che si occupa della languey oppure, in termini chom
skyanf (CHOMSKY, 1965), una grammatica che provvede modelli
(parziali) della competence de1 parlante, dallraltra il domi-
nio fluttuante della parole, o delle svariate performances im
dividuali, irriducibili a sistema, e destinato a sondaggi e-
pisodici, a ripartizioni e a descrizioni atomistiche.

1.2.1. Insistere sulla scissione tra i due campi (pur te-


nendo presente che quello della lingua in atto è il terreno E
ve il linguista attinge i dati per le conferme empiriche del-
le teorie) non ci porterebbe al di 1à dell'ovvia constatazio-
ne che la scienza procede necessariamente per astrazioni e per
generalizzazioni e che de1 dato singolo si ha conoscenza sciem
tifica ne1 momento in cui esso cessa di essere un individuum
ed è riportato a un 'tipo', definito in base a caratteri ge-
nerali e prevedibili. Cosl un fatto linguistico puö essere dâ
scritto e confrontato con altri fatti lingufsticf solo in re-
lazione alla sua appartenenza a un sistema; se il nostro sco-
po fosse di studiare un fenomeno nella sua sfngolarità, come
produzione particolare e propria di un dato individuo, stori-
camente determinato (localizzato e definito nei suoi caratte-
rf peculiarf, ecc.), le nostre conclusioni avrebbero una va-
lidftà soltanto occasionale, limftata a quelllunfca occorrem
12

za a cui sono applicate: non cf permetterebbero di spiegare


altri fatti, anzf non ci farebbero uscire dall'ambito dell'oz
getto stesso a cui sono dirette (sarebbero qualcosa di ripeti
tfvo rispetto all'oggetto). Df piùy l'uso df un metalinguag-
gio, o semplfcemente delle etichette con cui classifichiamo f
fattf per descriverli, implica l'esistenza e i1 rfconoscimen-
to di tipi e di classi fissati per astrazione.
Pfuttosto, sarebbe fnteressante vedere se almeno qualcuno
degli elementi che sono stati confinati ne1 dominio dellfin-
dividuale, dell'asistematico, e dichiarati non pertinenti per
la teoria della lingua tanto dalla linguistica di derivazione
saussuriana quanto dalle tendenze della grammatica generativa
più vicine al modello chomskyano classico, si possa invece d:
scrivere nell'ambito di teorfe linguistiche inclusive degli
aspetti pragmatici della comunicazione .
Una sfmile dflatazfone df orfzzonti caratterfzza la lfn-
guistica de1 testo (Textlinguistik), il cui compito principl
le è attualmente quello di fornire adeguati supporti teorici
a uno studio della lingua che sia una descrizfone esplicita
della competenza (testuale, o, come alcuni preferiscono, co-
municativa: cfr. S. J. SCHMIDT, 1973) de1 parlante e dellfa-
scoltatore, in quanto essi sono capaci di formare e di com -
prendere (disambiguare) non enunciati descrivibilf come uni-
tà frasali concepite e trasmesse 'in isolamentot, fuori si-
tuazione, ma testf, cioè entità comunfcatfve la cuf dfmensiz
ne verbale, sullTasse sintagmatico, puö anche coincidere con
llestensione df una frase (o di un monorema, enunciato costi
tuito di una sola parola), ma la cui consistenza va al di 1à
di quella tradizionalmente riconosciuta alla frase come uni-
tà primaria della descrizione linguistica. Un testo è una
struttura di livello superiore a quello di una frase o di u-
na somma di frasi; esso comprende tutta una serie di relazi/
ni dette transfrastiche (fatti di coreferenza, o identità rm
ferenzfale tra sfntagmi nominali in enunciati dfverâf; feno-
meni di enfasi o di intonazione atti a contestualizzare frasi;
presupposizioni di significatoy ecc.) alle quali si deve, in
superficie, la tessitura degli enunciati come brani intercom
nessi di discorso coerente. A livelli astratti di descrizf/
ne si arriva alla Igenerazioneî (descrizione strutturale ipo-
tetico-deduttiva) di testi, o grammatica testuale (cfr. 11AP-
PENDICE A. de1 presente vo1.).

1.3. Mi sembra che un tale sfondo teorico si presti ad as


cogliere istanze operative di varia provenienza, che avverto-
no come troppo riduttivi, e fnsufficienti ai fini della glo;
todidattica, i modelli ancorati ad una rigida esclusione dei
fatti comunicativi non strettamente 'linguistici'y 'lsi tratti
del dfstribuzfonalismo o della grammxtica generativa prima ml
nfera'? (D. COSTE, 1975, p. 11): una ''ridefinizione'l della 1im
guistica applicata (lndilazionabile, a detta di Coste) richit
de che si prenda in considerazione ciö che attiene alla paro-
.1: o alla performance, alle relazioni interpersonali nell'at-

to di comunicazione, poichè la lfngua non puö 'lessere veramem


te posseduta - e ancor meno imparata o insegnata - indfpendem
temente dai legami che essa intrattiene con quelli che la us1
no, legami sia psicologici e individuali, sia collettivi e sé
cia1:i.f'.
La focalfzzazione delllaspetto comunicativo della lingua ai
fini delltinsegnamento comporta, secondo Coste, che si consi-
derino: llintenzione comunfcativa, a partire dai livelli con-
cettuale e semantico (comunicare significa l'non solo dire, ma
aver qualcosa da dire a qualcuno con una certa intenzfonebg;i
sistemi paralinguisticf (intonazione, mimica, gesti) portat:
ri di informazione; g1i impliciti, i presuppostiy i sottinte-
siy riguardanti Mil contesto di connotazioni condivise che c:
stftuisce una culturaI': tutto, insomma, il complesso degli e-
lementi verbali e non verbali che sono parte integrante dell'
atto di comunicazione, per il cui compimento occorre non so1
tanto Navere padronanza parziale o completa de1 sistema della
lingual', ma anche l'possedere informazioni e mezzf d'espressiâ
ne complementaril! da ascriversi alle variabili extralingufsti
che de1 parlare .

Queste fstanze sono pienamente accettabili solo a patto df


non assimflarle a un'illusoria rfvincita deltx asistematico su1
la sisteraatizzazioney a una presuntuosa quanto inconcludente
14

introduzione df materiale spurio nell'ambito df una scienza


chey dilatando i suof confini, deve pur sempre garantire un
isomorfismo df fondo tra i suoi oggetti di ricerca.

1.3.1. Per soddisfare le esigenze indicate sinteticamen-


te e con molta chiarezza nell'articolo cit. di D. Coste, ci
si puö muovere in direzioni dfversey riducibili a due modi di
procedere alternativi, che hanno come discriminante i compi-
ti e 1 limitf assegnati alla teoria linguistica. L 'uno, che
coincide con la nlaggior parte degli indirizzi attuali della
glottodidattica, consiste in uno sfruttamento più o meno co/
sapevole e sistematico dellïinterdisciplinarità caratteristi
ca di questfultima; non si sente il bisogno di ricorrere a M
na teoria linguistica capace di dar conto degli aspetti pra:
matici della comunicazione poichè si convogliano nella probl:
matica dellfinsegnamento le risultanze di varie discipline ip
teressate alle relazioni interpersonali, verbali e non verba-
1i, a complemento delle proposte di teorie linguistiche da
cui sono escluse de1 tutto le variabili situazionali.
11 rischio di questa soluzione Y che essa dia adito a una
piuttosto artificiosa convergenza di discipline specialisti-
che (quando non a un vero e proprio sincretismo di posizionf
teoricamente divergenti) chiuse ognuna ne1 proprio campo sp1
cifico e solo occasionalmente interagenti nello stadio ulti-
mo, quello dei risultati che l'una darebbe in prestito all'
altra; senza contare che una visione eccessivamente limitati
va dell 'ambito di una teoria lfnguistica rischia dl renderla
impraticabile a indagini in cui prevale la componente peda-
gogica e per le quali % impensabile una brusca esclusione dei
fattori lum anil.
L'altra via consiste nellfassegnare a una teoria, che sa-
râ sempre una teoria 'parzialeï del linguaggioy il compito di
assumere tra le proprie categorie anche le categorte pragma-
tiche: di esplicitare le regole del funzionamento di una 1in
gua in rapporto agli utenti e alle circostanze dellfuso. Un
tale orizzonte (che abbraccia, pur tollerando differenziazio
ni profonde tra le varie correnti di rfcerca, alcuni indiriz
zi della sociolinguistica e le principali manifestazioni del
la lingulstica testuale) sarà in grado di fornire basi suffi-
cientemente allargate alla didattica linguistica, perchd / eé
so stesso, al suo interno, interdisciplinare. Per quanto ri-
guarda la linguistica testuale, bisogna notare che i vari mo-
delli di grammatica de1 testo si differenziano principalmente
per il posto assegnato da ciascuno di essi alla pragmatica
semplice componente 'aggiuntivo' rispetto ai componenti semam
tico e sintatticoy o allfopposto teoria primaria (come prima-
ria è la funzione comunicativa interindividuale dellfatto 1im
guistico) dalla cui elaborazione dipende la struttura di una
grammatica de1 testo.
Più che di rischi occorre parlare, in questbultfmo casoydi
difficoltà organizzative e applicative, dovute al fatto che
larghi settori degli indirizzi che confluiscono nella lingui
stica testuale sono in via di elaborazione o presentano a-
spetti scarsamente definiti.
NOTE E RIM ANDI BIBLIOGEAFICI - 1.

1.1. La bibliografia della linguistica applicata alll/n-


segnamento delle lingue è vastfssima, specialmente per quan-
to rfguarda l'fnglese. Do qui soltanto qualche riferimento
sommnrfo, da cui sf potranno ricavare ulteriori indispensabi
li indfcazioni. Una rassegna critica, aggiornata fino a tu$
to il 1971: deglf studi glottodidattici in Itatfa in relazio
ne ai prfncipali indfrizzi fnglesi, amerfcanf e francesi si
trova in BERRUTO, CALLERI e SOBRERO, 1972. Dedicato a pro-
blemi dellttnsegnamento linguistico tn ltalia e all'estero è
i1 vol. SLI, 1971. Trattazionf teoriche e metodologiche di
problemf e compiti della glottodidattica sono: ARCAIN1,1967;
GIRARD: 19729 WILKINS: 19729 P1T CORDER, 19739 D'ADDIO COLO-
sIMO, 1974, tutti dedfcati all'fnsegnamento delle lfngue stra
niere. L4educazione lingufstica nef suof aspetti più impor-
tantf e sfgnfflcatfvf Y il tema dellteccellente vol. collet-
tivo GISCEL, 1975.
Riviste: italfane, Lingua â- Nuova Didattiiî, a cura del
L.E.N.D., Roma; Rassegna I#aliana df Linguistica Applicata
(Roma; Bulàoni); Studi Italfani di Lingu-fética Teorica e Aa-
plfcasâ (Padova: Liviana); tra le numerosfssime stranfere,
Engliâh Langpqge Teachipz, a cura de1 British Council (Lon-
-

don: Oxford U.P.); English Teachïng Forum,


w/
a cura de11tU.S.
Informatfon Agenty, Washington D.C.; studqy de Lfngufstique
Appliquée (Paris: Didier); Le Erançais dans 1: monde (Paris:
-

Hachette); I.R.A.L., Internatlppal Review of Applied Linguf-


.

Jsics fn Languagt Teachfn: (Heidelberg: Julius Groos); R:vue


.

des Langues Mivantes (Bruxelles: Tijdschrift voor Levende


Talen).
1.1.1. Sono d'accordo con HENDRICKS, 1974 ne1 rilevare che
non si parla di linguistica applicata per il caso in cui si
ricotra alla linguistica per risolverey poniamo , problem i fi-
losofici, benché l'abbozzo di definizione che ho dato possa
autorizzare a comprendere nell'ambito delle rrapplicazioni'f a/
che circostanze come questa. I ''fini pratici'' a cui ho acceL
nato sono piuttosto da intendersi nell fambito dei ''valori in
contanti'! di cui parla Sapir.

1.2.1. I sommari richiami, fatti alllinizio de1 paragra-


fo, a uno statuto che & proprio di tutte le scienze non han-
no altro scopo se non quello di invitare a una riflessione su
problemi epistemologici fondauentali. Sullfargomento rimando
a POPPER, 1959.
Per la bibliografia, già molto vasta e in continuo aumen-
toy della Textlinguistik rimando alle notizie contenute in
GARAVELLI MORTARA, 1974, a cui bisogna aggiungere, almeno y
RAVAZZOLI, 19 75 e llarticolo di Elisabeth CONTE sugli sviluz
pi della disciplina, attualmence in corso di pubblicazione..
ottre al Reader cit. neII'APPENDICE

1.3.1. quadro teorico della sociolinguistica è assen-


te da queste pagine, dove pure si troveranno utilizzati più
dluna volta concetti e temi comunf alla stilistica e alla s/
ciolinguistica. Per le necessarie integrazioni rimando a
BERRUTO, 197: b; cfr. pure i saggi di ïmpostazione sociolingui
stica, con la relativa 'tbibliografia minimal', contenuti in
GISCEL, 1975.

2. - 8. F)8)'
7ELLt ?
'
l0iI)il: C1i usi della parola.
2.

GLOTTODIDATTICA E STILISTICA: CENNI ALLA PROBLEMATICA DELL'IX


SEGNAMENTO-APPRENDIMENTO D1 UNA LINGUA . TEMI E PROCEDIMENTI
DELLA RICERCA STILISTICA E LORO RILEVAN ZA PER LA DIDATTICA
LINGUI STICA

2.1. Qualf sono f caratterf generalf pfù salfenti df quel


l'attività essenzialmente comunicatfva che è lrinsegnamento
di una lingua, in relazione allTattività complementare, cioè
alllapprendimento di essa?
Darö soltanto le indicazioni strettamente necessarie alla
impostazione e agli scopi de1 nostro lavoro; tali indicazio-
nf rfsulteranno fnevftabflmente unflateralf e incomplete, per
llassenza di ogni illazione di tipo psicologico e psicopeda-
gogico.

2.1.1. Assumiamo che le caratteristiche della didassi in


quanto processo (comunicativo) si mantengano costanti, almE
no nelle linee generaliy qualunque sfa lfoggetto dellrinsegn,
mento. Se questo oggetto è la lingua, bisogna tener conto
innanzf tutto di quella che Jakobson chiama la funzione met,
linguistica de1 linguaggio, prevalente quando quest'ultimo è
nello stesso tempo oggetto e strumento di una descrizione.
Questo è il tratto che distingue il linguaggio verbale d,
g1i altri codici comunicativi: la sua ed esclusivamente sua
20

proprietà metalinguistica, cioè la capacitâ di 'parlare di sd


stessof, di essere impiegato per descrivere tutti i codici s,
miologici possibili, coaprese le lingue.
Ne deriva che tutto puö essere detto per mezzo della lin-
guay con l'avvertenza, perö, che una lingua non va considera-
ta solo come strumento (secondo la concezione ingenua de1
linguaggio come mezzo di espressione o di ttasmissione de1
pensiero), ma come attività simbolizzante, attraverso la quz
le si organizza l'esperienza interna ed esterna degli indivi
dui e delle comunità.
Una riflessione su1 linguaggio in generale, come sistema
simbolico, e su una lingua in particolarey come manifestazi:
ne e prodotto storico della facultd de langage comune agli
esseri umani, puö riuscire utile alla formazione intellettul
le dei giovani e interessante non meno dellàosservazione e
dello studio di un qualsiasi altro oggetto di i'
ndagine sciem
tifica, a patto che si usino mezzi tali da soddisfare il cri
terio di una fondam entale duplice adeguatezza, scientifica e
didattica. Perchè eih avvenga sono oecessarie almeno due co/
dizioni : che l'apparato teorico di cui dispone lfinsegnante
non si riduca a quello della grammatica scolastica tradizio-
nale, e che le procedure descrittive non si avviliscano nel-
la pratica ripetitiva della malfamata lanalisi grammatfcale e
logicaî che non ha cessato artcora di imperversare nelle scuo-
le (o Y stata episodfcamente rimpiazzata da surrogati che ta1
volta non hanno altra novità se non infelici pastiches termi-
nologicily provocando fastidio negli allievi e disagio in mo1
ti docenti. Una tale riflessione ; perö condannata allbinsus
cesso se non appare fmotivatal, se non si crea preliminarmen-
te o non si favorisce, nell'allievo, la curiosità di scoprire
come è fatta e come funziona la lingua. Non intendo qui en-
trare nella problematica delllinsegnamento grammaticale: se,
quando e come insegnare la grammatica; che vuol dire, ammes-
so che si debba, o si voglia, insegnarla, a quali lfvelli di
scolarità introdurla e quali modelli preferire. Vorrei sol-
tanto osservare: 1) per imparare a capire e a farsi capire
(questo vale prima di tutto per la lingua maternay ma in u-
na certa misura anche per l'acquisto di una lingua stranieraly
per imparare a comunicare, a voce e per fscritto, in gna 1iS
gua nön ocforreyfn lfnea df princfpioysa/er pirlare' della 1i/
gua, cioè saper eseguire operazioni metalinguistiche su di e,
sa; 2) buona parte degli esercizi che le migliori grammatiche
scolastiche attualmente in uso propongono a vario titolo (i1-
lustrazione e applicazfone di regole, arricchimento lessica-
le, capacità di manovrare strutture frasali complesse, ecc.)
possono effettivamente giovare alla terapia di lacune e di
lmalformazioni' nellîimpiego della lingua: basta applicarlf
ad hoc, caso per caso, proprio come si dovrebbe fare con le
medicine, e non somministrarli collettfvamente, indiscriminz
tamente e 'fuori situazionef.
Ne consegue una constatazione piuttosto ovvia: se per im-
parare una lingua non è necessario saper descriverla, per im
segnare una lingua occorre conoscere ben più della sua strul
tura grammaticale. Ma, riguardo a questlultima, come minimo
si richiederebbe: a) di averne una conoscenza non limitata al
le nozioni superficiali della fgrammatichetta! scolastica; b)
di essere consapevoli della relativitâ di quelle costruzioni
astratte che sono i 'modelli' graomatfcali (i cui assiomi ham
no validità allbinterno delle singole teorie, e relativamente
a queste, e non sono 'verità assolutely articoli di fedel); c)
di saper desumere dalle proposte e dalle elaborazioni della
linguistica 'pura' g1i spunti più produttivi da1 punto di vi-
en Adatticö (come A reysape mettere ln opera quela 'grammatfca
pedagogica' che ancora manca alla nostra lingua). A questi
requisiti minimi si dovrebbe aggiungere un insieme (aperto)
di conoscenze riguardo ai principali condizionamenti sociolE
gici e psicologici a cu1 un individuo è sottoposto nell'esel
cizfo effettivo della sua facoltà linguistfca; e ancora ri-
guardo alla realtà dialettale, allo sviluppo diacronico del-
la lingua e delle sue varietà, se si vuole essere in grado di
intervenire efficacemente nei casi in cui 'qualcosa non fun-
ziona' nella competenza lessicale e sfntattica dei nostrf a1'
lievi (per non parlare che di questa, per il momento). Non
hanno ancora perso attualità le parole di GUIRAUD (19705, p.
145) che, dirette alla scuola francese, si possono trasferf-
re tali e quali allfambiente italiano:

.
u.
. :.t'I0T(.
7o
'M tg
z/;'- p o 4h4 ..
.
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4-
.
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%//I1'It
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!çj
kq,
',
ui
'
-k.
è'
.
22

nLfapprendimento della linguay materna o straniera, re=


ctama esercizi appropriati e non modelli astratti. Ma
questi modelli sono indfspensabilf per la programmnzio-
ne di questl esercizi, per la loro progressione, per il
loro adattamento. E se i nostri allievi fanno trop-
pa grammatica teorica, i nostri maestri, fnvece, non ne
fanno per nienteî'e
Un'ultima osservazione: avvertire che per imparare ad e-
sprimersi non sono nd necessarie, né, tanto meno, sufficien-
ti le operazioni metalinguistiche non significa negare la 1E
ro utilità e il loro possibile interesse su altri piani e fn
altre direzioni di apprendimento: sfgnifica, al contrario, ri
conoscere autonomia scientifica, e non attribuire semplicemem
te un carattere propedeutico, alla riflessione sulla lingua,
che a seconda dei modelli teorici e delle procedure di anali-
si adottate, puö sfociare anche in campi diversi da quelli
che tradizionalmente si assegnano alla linguistica (alludo al
la logica, alla teoria delllinformazioney alla yemiotica, a1-
ltanalisi dei testi, ecc.). In ogni caso, se si farà posto
alle scienze linguistiche nelle scuole secondarie, bisognerà
finalizzarne lo studio ad altro che non sia la pretesa dï faz
le giovare direttamente e soltanto all'effettiva padronanza
della lingua. (Per il concetto di îmodello linguistico' si v,
da I'APPENDICE B).
2.1.2. Anche per l'insegnamento vigono le regole che pre-
siedono alla buona riuscita di un atto comunicativo; l'appli-
cazione corretta di queste regole, unita al verificarsi delle
condizioni esterne necessarie e sufficienti al felice compi-
mento dellîatto, e al raggiungiNento dellfeffetto voluto, d:
vrebbe dar luogo alla migliore ricezione, cioè allbacquisto
de1 numero ottimale di informazioni da parte de1 destinata -
rio.
Ma per poter stabilire un apparato di regole, o anche se/
plicemente una tassonomia delle condizioni a cui sottostanno
g1i atti dellfinsegnare, dovremmo disporre di inventari pre-
cisf delle variabili delllinsegnamento-apprendimento. G1i im
ventari non mancanoy nella letteratura pedagogica, specie ne1
23

la pfù recente: i1 guafo è che uno sfruttamento sfstematico di


simili dati A reso assai difficoltoso dalla loro precarietà,
dovuta prevalentemente alla vaghezza delle categorie impiega-
tey oltre che alla complessitâ de1 materiale da descrivere.
Indubbiamentey le variabili in gioco ne1 processo didatti-
co sono tali e tante e condizionate da fattori cosl numerosi
e cosl poco omogenei, che il darne conto con esattezza mediam
te un calcolo sembra unîimpresa disperata. E' difficile non
essere d'accordo con PIT CORDER, 1973, pp. 9 e seggpy quan-
do nega che si possa quantificare il valore di tutte le va-
riabili che intervengono nell'insegnamento linguistico: atti
vitl a più ïncognite, tale da non poter essere ffsimulata su
un computer, cioè descritta da un modello matematico, o ess,
re ridotta a un apparato di procedure logicamente relatey o a
un algoritmol'. Ma se una parte dei componenti e dei fattori
di tale attivitl Olattivitll!in questo caso appare contrappo-
sta a ''scienza'g & mal nota e non controllabfle, un settore
consistente delle operazioni che essa comporta è ''potenzial-
mente suscettibile di un certo tipo di rigorosa sistematizzl
zionef', quale spetta appunto alla linguistica applicata met-
tere in atto (PIT CORDER, 1973, p. 11). L'assunzione di quE
sto principfo ha reso possibile elaborare tecniche assai peI
fezionate per l'insegnamento dellbinglese come lingua straniâ
ra; Pit corder stesso, pur dichiarando che l'auspicata siste-
matizzazione è ancora lungi dallbessere raggiunta, se ne ser-
ve come det criterio metodologico fondamentale nell'ampia tra;
tazione delle ''tecniche della linguistica applicata/', che oc-
cupa tutta la terza parte de1 suo manuale, e comprende la co/
parazione delle varietâ di lingua, principi ed esempi di stu-
di contrastivi, analisf della lingua de1 discente, cfoè deglf
errori, struttura de1 Syllabus, ecc.
Dunquey se una teoria generale dellrinsegnamento, e sia px
re limitata allrinsegnamento linguistico, presenta gravi dif-
ficoltà, legittime e realizzabili appaiono, in settori ben dE
finiti, descrizionf sistematiche delle operazioni flaj
teti -
che ' e delle regole che le governano, fino alla costituzione
df modellf didattfci.
24

2.1.3. Preliminare all'organizzazione delle tecniche Y


la scelta dei principi pedagogici suf quali fondare l'attivi
tà didattica. Questo argomento, per ovvie ragioni, puö essz
re qui soltanto menzionato; basterl tener d'occhio i risultl
ti comuni alle attuali tendenze della ricerca pedagogicayco/
cordanti almeno su questo punto, cioè ne1 sottolineare come
necessaria llintegrazione di insegnamento e apprendimento,
spostando prevatentemente su1 secondo llasse de1 processo di
dattico. Tale orientamento, i cui prodromf si vogliono ri -
trovare nelle discusse manifestazioni e teorizzazioni de1 c:
siddetto metodo attivo, A agli antipodi della ricezione-accel
tazione passivay o comunque acritfca e acquiescente, di nozi/
ni prefabbricate e trasmesse secondo un ordine precostituito
o addirittura deterministico, mediante una precettistica 'i/
partita dallfaltoî; e postula come corrispettivo un insegna- .
mento inteso non come puro e semplice travaso di contenuti,
ma come stimolo a un'attività autonoma di assimilazione e/o
di ricerca. Insegnare vuol dire essenzialmente suscitare e-
' nergie latenti ne1 discente, originando in 1ui nuna catena
' di processi trasformativi e creativi'' (Titoney in TITONE (a
cura di), 1974, p. 98). Questa operazione complessà che è la
, didassi, o meglio questo complesso di operazioni interdipen- ,
vp den ti, di durata e consistenza variablli, si compie attraver-

' so una serie di atti communicativi, che si distinguono dagli
.
. '.
altrl per il tipo particolare dï îintenzione' da cui sono o-
k )
=. rïginati: che non èy come ormai sappiamo, quella di trasmet-
r
i7' ..
tere informazioni, ma di compiere un'attività îpromozionale'.
.;'a,..
.' Attualm ente, nello studio delle tecnologie educativey si
inslste molto sulldanalisi dellrinterazione, vista ''come rap-
porto tra comportamenti di insegnamento e comportamenti df a2
t
! prendimento (e non più soltanto come comunicazione
' , verbale e
k non verbale, tra insegnante e alunnop? (PONTECORVO, 197:, p.
i
, 227). Tale interazione ha effetti immediati specialmente su
quello dei due individuf coinvolti che / pi; sottoposto a co/
dfzfonamenti, ed è il discente (riduciamo, per ipotesi sem-
plificante, il rapporto, che di fatto è 'uno a più', a rap-
porto 'uno a uno', dove per3 il secondo dei due terminf puö
essere concepito come un insieme di più unità o come un gru:
25

po). Normalmentey infatti, il discente si trova ad occupare


la posizione secondaria (one down) mentre il docente occupa
la posizione primaria (one uply ne1 tipo di relazione che si
instaura nellfatto della didassi e che è, almeno nella fase
iniziale e nelle manifestazioni più comuni, una relazione
complementare.

Uno scambio dei ruoli (pur mantenendo iauutato lo status)


nello svolgersi dellbinterazione didattica puö portare a un
rovesciamento, effettivo o alllopposto solo apparente, de1
rapporto comportamentale, secondo che il docente si trovi a
'far la parte', reale (a) o simulata (b), de1 discente. Ne1
caso (a) in cui egli assume realmente il ruolo di discente,
la relazione Y ancora complementare, ma capovolta rispetto ai
partecipantim Ne1 caso (b) in cui il docente simuli il cam-
biamento di ruolo, la relazione diventa metacomplementare,cm
ratterizzata da1 fatto che è sempre l'insegnante a mantenere
l
il controllo della situazione, mentre induce il discente ad
assumerne la direzione; cosl facendo, ï1 primo attua una fu/
zione direttiva 'nascosta ', in cui i condizionamenti agisco-
no a un livello più profondo, e pi; stabile. Per fare un e-
sempio, è questo il caso dellîespediente didattico di lfar
prendere l'iniziativaf della lezione a uno o più allievi,mem
tre l'insegnante assume la parte provvisoria di 'scolaro fra
g1i altri scolari! (Y ovvio che, anche ne1 corso di un simi-
le esperimentoy possa verificarsi la condizfone (a))o E' fo;
se superfluo notare che l'esp/diente citato è cosa ben diver-
sa (più tradizionale, talora scarsamente motivata) dellfauto-
gestione delllinsegnamentoxapprendimento, che è stata ed &
tuttora al centro di proposte e di polemiche.
E' possibile, ma direi piuttosto eccezionale, almeno fino
ai primi anni di scuola secondaria superiore, che il rappor-
to docente/dfscente si configuri, anche se non stabilmente,
come un'interazione simmetrica, cioè paritaria, nella quale
le differenze sono minimizzate fino al raggiungimento di una
effettiva eguaglianza reciproca; più frequente perö / il ma-
nifestarsi di una relazione pseudosimmetrica, cost denomina-
ta perché uno dei due partecipanti (1n questo caso il docen-
te) permette all'altro di tenere un comportamento simmetrfco,
26

o addirlttura lo induce a tenerlo.


G1i studi sui 'comportamenti' che caratterizzano llinse-
gnare e l'apprendere, al di 1à delle pregiudiziali behavio-
ristiche eviden ti in molti di essi, vanno tenuti presenti in
quanto contributi indispensabili alla comprensione degli a-
spetti pragmatici di quelltinterazione verbale che è parte
cosl cospicua de1 processo didattico.
Se consideriamo la didassi ne1 suo aspetto più evidente,
cioè come atto, o serie di atti comunicativiy siamo indotti
a vedervi come enfatizzaEe alcune caratteristiche della co-
municazione 'tipicaï: a trovarvi, cfo/, particolarmente ac-
centuato, quel momento della 'ldialettfcan del discorso, per
la quale il parlante I'si protende'' verso llinterlocutore, in
uno sforzo di adeguamento, la cui fase opposta e complemen-
tare è la tendenza a segnalare la propria personalit; lïopp:
nendosi'' allfinterlocu tore. E 9 la concezione terraciniana
de1 discorso come dfalogo, come continuo gioco agonistico E
ve i partecipanti della situazione comunicativa agiscono da
protagonista ad antagonista, in una 'situazione' dinamicamem
te concepita come ''equilibrio che continuamente si stabili-
sce tra l'esercizio di un prestigio che anima f1 soggetto e
l'effetto di persuasione e di imitazione che esso provoca
nelllinterlocutore'' (TERRACINI, 1963, pp. 68 segg.).
Le pagfne di Terracini (riportate neII'APPENDICE C de1
presente vo1.), che sono dedicate alla lqingua in atton, of
frono spunti illuminanti per situare sullo sfondo dellfesel
cizfo concreto de1 linguaggio l'insegnamento, che è fra le
attività comunicative quella che lega il proprio successo al
la riuscita de1 moto di adeguamento,
i
de1 proiettarsi de1 de-
stfnatore verso i1 destinatario de1 messaggio. Di un inse-
gnante che non sappia farsi comprendere si suol dire che
''parla una lfngua diversa da quella dei suoi allievil'; da1
punto di vista psicologicoy questo fatto ha un'importanza cl
pitale, e la ha anche in rapporto al fattori che tra poco vE
dremo comporre la situazfone comunicativa, in primo luogo 1,
insieme delle conoscenze condivise da parlante e ascoltatore.
Lo squilibrio o la mancata corrispondenza reciproca di que-
ste puö pro/ècare 'disturbi' ne1 processo comunicativo, fino
a comprometterne de1 tutto lo svolgimento e la riuscita .

2 .1.4.e Tenendo, per cosl dire, sùllo sfondo le indicazio-


ni della didattica generale, ci concentreremo sugli obiettivi
specifici della didatcica linguistica, osservando come su quM
sti si modellino, comunemente, le scelte dei contenuti e le
relative strategie di manipolazione dei dati.
E ' di rigore distinguere, per una preventiva delimitazione
di competenze, tra insegnamento della lingua materna (L1)
insegnamento di una lingua straniera (L2).
Ne1 primo caso oon si insegna ex novo una lingua: sf inten
de favorirne e migliorarne la padronanza in parlanti che già
la possiedono.
Ne1 secondo caso è compito dell'insegnante provocare nell'
allievo l'acquisto (graduale) di una lingua che questi non c/
nOSCe .

Questa sommarla delimitazfone di eompiti ; de1 tutto inadâ


guata, perchd in parte è tautologica e per la parte rimanente
Y semplicistica, in quanto raggruppa in due blocchi realtà tu1
t'altro che omogenee. Ed Y proprio dalla consapevolezza e da1
1 'esatta valutazione di una tale eterogeneità che debbono par-
tfre g1f fnterventi pedagogici.
Per quanto riguarda 1'insegnamento della lingua materna, è
fondamentale tener conto della circostanza in cui la lingua
che viene ritenuta L , cioè quella della comunità nazionale a
1
cui appartengono insegnante e allievf, è da consfderarsf, rf-
spetto a un individuo, a un gruppo o anche alla totalità dei
discenti, alla stregua di una L . E ' un'evenienza non infre-'
2
quente in Italia, dove parlanti dialettofoni, come 'fstranieri
in patrial', si trovano nella condizione di dover fmparare a
scuolay a partire da un grado di conoscenza di poco superiore
allo zero, 11italiano 'unitario', ossia la lingua ufficiale ,
la lingua delle classi e degli scambi culturali dominanti,que-l
l.a di maggior circolazione e prestij-io, il cui raancato o di-
fettoso possesso è una delle prime cause di discriminazione s.û
28

ciale.
In questo caso i problemi delltinsegnamento non potrebbe-
ro essere risolti trasferendo semplicemente dalla didattica
della madrelingua le tecniche collaudate nell'insegnamento di
una lingua straniera: è intuitivo che anche il parlante dia-
lettofono più inesperto della lingua nazionale possiede un
qualche grado di competenza passiva riguardo a questa (tale
conoscenza g1i puö derivarey se non dallbambiente sociale in
cui vive quotidianamente, da contatti occasionali, più o me-
no frequenti, con altri jruppi, dai mass-media, ecc.). La pE
dagogia linguistica, basandosi sullfindividuazione valutati-
va delle Idifferenze l, deve chiedere aiuti soprattutto alla
sociolinguistica e alla dialettologia, rispetto alle quali la
stilistica avrebbe una funzione integrativa, corrispondente .
al ruolo interpretativo che le compete in generale, riguardo
alle modalità d'uso di codici e sottocodici.
Sull'apprendimento di una lingua straniera, il possesso
più o meno sicuro della L1 incide in misura non trascurabi-
1e, benché sopravvalutata e comunque interpretata in modo di
storto dalla pedagogfa linguistica tradizionale. Un bambino,
il quale per cause diverse abbia una padronanza difettosa
insufficiente della madrelingua, sarà svantaggiato, almeno in
partenza, nellfacquisto di una seconda lingua per g1i stessi
motivi per cui anche in seguito sarà in difficoltà in ogni
impegno che trascenda la sfera ristretta delle necessità e11
mentari; non padroneggiando adeguatamente il fmezzo di comu-
nicazione! prevalente nelllambiente scolastico, potrà sentir
si un escluso o comunque un 'diverso '. Come tutti sanno, il
sentimento di inferiorità derivante dalla consapevolezza de1
le proprie insufficienze è radice di sicuro insuccesso, e lo
è tanto più a scuola, perché comporta di solito una scarsa mo
tivazione ad applicarsi in campi, come quelli delle attuali
materie di studio, ove è quasi dato per scontato il posses-
so preliminare di unlabilità quale la verbalizzazione, che
viene ancora intesa da m olti come l'unica ed esclusfva mani-
festazione della ncapacità di esprimersid'. Inoltre, se l'al
tività verbale, come insêgna la psicolinguistica, è esercizio
della faculté de langage comune agli esgeri umaniy un parlam
29

te che non sappia usare passabilmente la propria lingua, si


tratti della lingua nazionale (in una delle varietà regiona-
1i) o di un dialetto, avrà maggiori difficoltl, rispetto a
quelli che possiedono una maggior competenza linguistica at-
tiva della L , se non altro per g1i intralci che inevitabil-
mente g1i crea la 'mancanza di pratica f ne1 far funzionare i
meccanismi produttivi dellîattività verbale. In questo sett.q
re il compito promozionale (sollecitazione dell!esercizio di
facoltà latenti) che dovr: svolgere 1'insegnante di lingue
straniere non differisce da quello di un insegnante della li!à
gua '
nazionale, se non per le difficoltà che presenta, in pïù,
1'insegnare una lingua al di fuori de1 suo ambiente 'natura-
le', storico e geografico.
Qui non ci Y possibile entrare in questa complessa e aff,
scinante problematica; mi lioiterö soltanto ad aggiungere qual
che considerazione su un fatto che, per quanto marginale ri-
spetto a quello a cui ho accennato, ha più diretta corrispom
denza co1 nostro tema specifico.
Se consideriamo un idioma straniero come manifestazione e
nello stesso tempo come elemento costitutivo di tradizioni
storiche e culturali estranee alle nostre, non dobbiamo perö
dimenticare che ogni lingua, come qualsiasi altro fatto cul-
turale, ha, al suo interno, stratificazioni e differenziazi:
ni molteplici chey in lingue df culture affini, spesso sf
corrispondono: ne conseguono, per esempio nelltambito dei soi
tocodici tecnici, scientifici, ecc., analogie di fondo, sopral
tutto lessicaliz tra lingue diverse. Questo fatto giustifi-
ca, in una certa misura, quello che è stato detto a proposi-
to delle varie koiuài specialistiche: che possono esserci più
differenze tra due sottocodici dello stesso codice linguisti-
co (tra una lingua speciale, scientifica o tecnica, poniamo,
e il parlare quotidiano) di quante non ce ne siano tra due
sottocodici appartenenti allo stesso campo specialistico
lingue diverse .
Un tale aspetto va tenuto presente nella scelta de1 mate-
riale e nella programmazione delle tecniche glottodidattiche,
il cu1 prerequisito essenziale Y untadeguata analisi contra-
30

stiva tra livelli corrispondenti nella L1 e nel1a L2.


Ne derivano inoltre conseguenze importanti su1 piano del-
l'applicazione spicciola:
(i) la necessità di insegnare non tutta una lingua (che sm
rebbe una pretesa ambiziosa, ben poco realisticay e proporreb
be obiettivi difficilmente raggiungibili, specie in campo
scolasticoly ma uno o più sottocodici appartenenti a un codi
ce comune, di cui ci si limiterà ad apprendere le costanti
strutturali e il lessico di base;
(ii) llimportanza da attribuirsi ai contesti culturali,
che sono fattori determinanti ne1 particolare strutturarsi
della lingua, sui piani de1 contenuto e delllespressionm, t:
nendo ferao che tipo di messaggio e modalitâ della comunica-
zfone sono interdipendenti.

2.2. Rimane da accennare ai principali temi della stili-


stica e alla loro rilevanza per la glottodidattica. Per sti-
listica si intende qui lo studio delle variazioni della lin-
gua, orale e scritta, in relazione agli utenti e al contesto
verbale e situazionale. (Su questf concetti saranno date eé
senziali delucidazioni ne1 prossimo capitolo).
Studiare le variazioni linguistiche sul piano delltesprel
sione come fenomeni, occorrenzey fatti osservabili e classi-
ficabili, presuppone ovviamente il riconoscimento di una prE
prietà generale della linguay la variabilità, che fra i suoi
numerosi aspetti presenta anche la capacità di trasmettere M
no stesso contenuto proposizionale mediante locuzioni diver-
se. (Per sommari chiarimenti sugli aspetti locutorio, fllocM
torio e perlocutorio dell'atto linguistico si veda la NOTA
SUPPLEMENTARE, pp.121-138 di questo volurae). Occorre preci-
sare che, da1 punto di vista stilistico, tale proprietà si E
splica in diretto riferimento alla 'situazione di discorso'
(che comprende, di norma, un parlante e un interlocutore ti-
picamente distinti l'uno dalltaltro, e le coordinate spazio-
-
temporali della comunicazione) e al contesto verbale dei sim
goli enunciati (0 testi) presf in considerazione.
La distinzione tra fenomeni (1e variazfoni o dfversifica-
zioni della lingua) e la proprietà che essi manffestano ci
riporta alla distinzione di fondo tra una teoria stilistica,
che dovrebbe occuparsi della 'variabilità' al livello astraâ
to delle virtualitâ de1 sistnmn per formulare 'istruzioni'
predittive nellbambito di modelli stilisticiy e una stilisti
ca descrittiva (fenomenica), che analizza, descrive e ordina
i dati.
A rigor df termini, la costituzione della teoria dovrebbe
precedere le applicazioni. E1 banale osservare che non si
puö trovare nulla se non si sa che cosa cercare, e il 'che c:
sa1 dipende, in linguistica come in ogni altra scienza, da1
come si cerca. Ma Y anche vero che un rflevamento di dati e
una loro sistemazione preliminare giovano alla corretta for-
mulazione delle ipotesi da cui partirà la teoria. Una tale
indagine empirica preventiva si fonda a sua volta su ipotesi
molto generali, e assume come postulati proposizioni già ve-
rificate nellbambito di teorie esplicite; i fattf che si an1
lizzano hanno questo di peculiare: che sono presi in esame
non per confermare o infirmare ipotesi teoriche, ma per desM
mere da essi generalizzazioni applicabili ad altri fatti .

2.2.1. E' noto che possedere una lingua non significa so1
tanto saper riconoscere e produrre enunciati grammaticalmen-
te corretti e provvisti di significatoy ma che vuol dire an-
che (e soprattutto) essere in grado di analizzare.lcioè di
comprendere) e di mettere in atto, ne1 ventaglio delle possi
bilità offerte da un 'codice comunel, i tipi di realizzazio-
ni richiestf dai particolari contesti (ivi compreso, in pri-
mo luogo, fl ruolo degli interlocutori) in cui avvengono i
singoli atti de1 parlare, secondo modalità d'impiego (inglo-
banti condizioni e regole) diversissime, quelle appunto che
definiscono e distinguono le cosiddette varietà della lingua.
ln riferimento a queste ultime si va da un minimo a un massi
mo (teoricamente definibile per tratti generalf, ma non as-
soggettabile a lfmiti, nella pratica) di 'competenza attiva';
la soglia inferiore è quella al di sotto della quale la com-
Prensione recfproca è ancora garantita, e la comunicazione è
32

quindi possibile, ma non è più garahtita l'adeguatezza conte


stuale delle singole produzioni, che risultano in qualche mo
do non appropriate alla situazfone comunicatfva. Se, per e-
sempio, un giorno qualsiasi in un momento qualsiasi della
consueta routine quotidiana, voglio far sapere a mio figlio
che ho controllato se la sua camera era in ordine e g1i di-
co di l'aver effettuato un sopralluogo nella parte di abita-
zfone a 1ui riservata e da 1uf adiblta a locale di studfo, dl
trattenimento e di riposo, per verificare ecc.f! riuscirö cer
rc. (0 forse) a farmi capire; ma, a prescindere dalle reazfo-
ni (stupore, o irritazione, o preoccupaziane per il mio sta-
to mentale) de1 destinatario iamediato de1 mic messaggio, è
fuorf discussione che il mio discorso apparirebbe a chiunque
decisamente anomalo, sia rispetto alle circostanze in cui è
stato fatto, sia rispetto ai ruoli degli interlocutori.

Quando una simile anomalia è intenzionalmente sfruttata


per un fine diverso da, e supplementare ay quello della co-
munfcazïone 'normale f, per esempfo a scopo parodfsticoy sf
ha untinformazione in più, che è data dalle 'marche' aggiun
tive de1 codice retorico sovrapposto allduso 'non marcato '.
Risultati opposti hanno, evidentemente, le anomalie derivan-
ti da errori non voluti di selezione su1 piano lessicale, in
prevalenza, ma anche sul piano sintactico: errori che non s/
no tanto da riferirsi a difetco di competenza riguardo al si
gnificato (denotativo) delle singole voci o delle loro combi
nazioni, quanto allFfncapacità dï implegarle in modo pragma-
ticamente corretto, cio/ per produrre enunciati appropriatf
alla situazione.
La constatazione fatta all'inizio di questo paragrafo ri-
guardo a ciö che significa 'possedere una lingua' ha risonam
ze teoriche e pratiche.
Da1 punto di vista teorico, e con immediate conseguenze mE
todologiche, essa giova a delimitare l'ambito della stilisti-
ca rispetto alla grammntica (morfosintassi) e alla semantica,
distinte come livelli di analisi dei fatti linguistici; da1
punto di vista operativo, se ne possono trarre indicazioni im
dispensabili per impostare correttamente l'insegnamento del-
33

la lingua .
Quale è il lfvello fn cui opera la stilistica? Una prf-
ma risposta potrebbe essere quella data da LEECH (1969, p.
83) sullo sfondo della tradizione firthiana: la 'rstilistica
generalen opera in quel particolare livello linguistico ('com
testo' o 'contesto dl situazione') che mette in relazione
patterns formali con eventi non linguisticill. Se questo è
vero, la stilistica si trova ad agire in un territorio comx
ne ad altre scfenze del linguaggio, che studiano i fatti di
lingua, o i comportamenti linguistici deglf utenti, correlam
do g1i uni e/o g1i altri af contesti culturali, alle situa-
zioni comunicative, ecc. Tali discipline sono la sociolin -
guistica (e, in certi fndfrizzi, larghe zone della dialettE
logia), la psfcolinguistica, oltre alle varie correntf di
studi che sf possono etichettare come lpragmalinguistiche'.
Alldinterno de1 proprio settore, ne1 campo che offre ma-
teria comune a più discipline, la stilistfca si distingue,
in riferimento agli oggetti dellbanalisi, per il 'punto di
vfsta' e per i compftf che sf prefigge: a) dalla semantfca,
in quanto gli aspetti de1 significato di parole e di enuncim
tf sono stilisticamente pertinenti non in sé, ma nelle loro
probabilità di occorrenza in rapporto al contesto: Y ancora
Leech a farci osservare che, se Y la semantica a isolare e a
definfre, poniamo, l'area sinonimica di lessemi come ''casal',
rlabftazionell, lldimora'' ecc., è la stilistica generale a diI
ci qualcosa di signiffcatfvo sulle loro condfzfoni dï fmpie-
go, sui motivi e sui risultati delle 'scelte'; b) dalla gra/
matica vfsta come indagine sistematica concernente scelte
assolute, esclusive (all-or-none), mentre la stilistica tral
ta le varfe manifestazioni linguistiche come scelte alterna-
tive di elementt equfvalenti, perchd ugualmente accettabili
a un qualche livello grammaticale, e ne studia le probabili-
tà di occorrenza.
E' in questo senso che si usa contrapporre alla grammati-
ca come studio tdeterministico' la stilistica come studio
lprobabilisticol (LEECH, 1969, pp. 83 segg.; ENKVIST, 1973,
pp. è0 segg.).
3. - 8. SIFIkELLI rg8Tlil: Cli usî della parola.
34

Rientrano nelle competenze della l'stilistica generale'' non


solo le variabili tradizionalmente designate come registro ,
ruolo, modalità d'uso in genere, diatipi, ma anche quei fatti
che g enericamente possiamo indicare come connotativi, compo-
nenti ciö che, in modo piuttosto improprio, si dice ''signifi
cato emotivon, cioè ''l'insieme delle valutazioni positive o
negative connesse allfuso di parole e di testi, e che sono al
la base di eufemismi e di tabù linguisticil' (LEECH, 1969, p.
85). A questi si suole aggiungere il complesso dei fatti di
intonazione che marcano enunciati, o parti di essi, e in paI
ticolare la cosiddetta enfasi tematica, che permette di di-
stinguere, in un enunciato, l'elemento lnuovo ' dallfelemento
'noto', il 'remaî da1 rtemal; tale enfasi Y costituita da un
particolare accento contrastivo che puö accompagnarsi (e ne1
la lingua scritta ciö accade quasi sempre) ad accorgimenti sim
tattici (ordine delle parole, o speciali sintagmi la cui fum
zione è, appunto, enfatizzante; per esempio: I'E' questo che
...!'; nProPrio questo'', ecc@).
Questi accenni ai temi più comuni della stilistica non poâ
sono pretendere di delimitarne con un minlmo di precisione il
campo, e meno che mai di indicare i fondamenti di una teoria
stilistica. Tenendo fermamentq separati i compiti di chi si
occupa delle 'applicazionil di una disciplina o di un indfriz
zo di studi, daï compiti di chi costruisce delle teorie, ci
volgererno, seguendo la prima delle due vie, ad esaminare la
consistenza e la maneggevolezza def lferri de1 raestiere' che
sono stati impiegati negli studi più recenti di stilistica.
Questo atteggiamento prevalentemente informativo, utile,
se non altro, per un primo orientamento in un campo quanto
mai indeterminato, non ci vieta di sottolineare l'esigenza di
una teoria generale dei fattf di stile. Forse questf potram
no trovare una spiegazione adeguata ne1 quadro di una grammm
tica testuale, impostata come una teoria pragmatica capace di
dar conto anche delldaspetto probabilfstico dei fatti dl lin-
gua .
Assorbita la 'stilistica generale' in una 'teoria de1 te-
sto ', rim arrebbe la stilistica come veriffca empfrica della
applicabilità della teoria al campo specifico delle varietà
35

di lingua contestualmente relate che sono dette stilistiche,


e come analisi df fatti: sarebbe, per definizioney una 'sti-
listica applicata', rispetto a una teoria testuale della 1i/
gua .

2.2.2. Puö sembrare sbrigativo e semplicistico affermare


che tutti i principali temi della stilistica sono rilevanti,
sia pure in varia misura, per l'insegnamento lingufstico. E:
purey se torniamo per un momento al punto di partenza de1 n/
stro discorso, alla constatazione di come e perchè sia necel
sario addestrare g1i utenti di una lingua a padroneggiarne le
varietà (nTutti g1i usi della parola a tuttil': che sembra di
scordare, ma solo sul piano tecnico, particolaristicoy con
quanto detto in 2.1.4. a proposito dell'opportunftâ di inse-
gnare 'settorialmente' una lingua straniera; su1 piano gene-
rale, il possesso, anche parziale, di un'altra lingua rapprâ
senta un arricchimento consistente delltuso della parolalysz
rà inevitabile concludere che lo studio della variabilità 1i/
guistica potrà, in qualsiasi evenienza, fornire strumenti prM
ziosi a chi deve intervenire sulla formazione o su1 perfezio-
namento della competenza comunicativa non di uno, ma di una
massa, e spesso eterogenea, di parlanti.
I capïtoli seguentf mostreranno fn maniera analftica come
le categorie stilistiche più comuni possano avere capacità ,
splicativa degli usi linguistici su cui verte la glottodidal
tica, e efficacia orientativa sui metodi di questlultima.
In questo consiste il già affermato lruolol della stilisti
ca nellrinsegnamento di una lingua: ne1 mostrare, prima di
tutto (e quï la problematica stflistica concorda e sf fntegra
con le prospettive della storia e della geografia linguisti -
che, della sociolinguistica e della dialettologia) chey quam
do si parla della lingua (1î lingua italiana, 11 lingua fram
- .

cese, ecc.) si fa unbastrazione o una generalizzazione (e ne


abbiamo visto l'importanza teorfcay scientffica). Non esfste
nella realtà .11 lingua come entità uniformemente posseduta da
tutti i membri di una comuniG nazionale (1a competenza uni-
forme, assioma della grammntica generativa trasformazionale
chomslcyana, / un'idealizzazione, unlipotesi teorica, appun -
to), e questo è vero per l'italiano come per tutte le grandi
lingue nazionali, ed / vero dai punti di vista geografico e
storico (1a 'realtàî dialettale italiana ne Y un esempio pro-
bante), come da1 punto di vista degli stili, dei livelli di
lingua. Altra è la lingua dei documenti ufficiali, poniamo,
altra quella dei colloqui privati, delle dissertazioni accadâ
miche, ecc.; ho già fuggevolmente accennato alle lingue spe -
ciali (i 'linguaggi' tecnici, politici, pubblicitari, giorna-
listiciy ecc.), dove le 'differenze' degli usi, più o meno i-
stituzionalizzate su tutti i piani d'analisi linguistica, so-
no le marche di riconoscimento dei vari sottocodici. ln se-
condo luogo, la stilistica aiuta a impostare la questioneyse/
pre attuale e destinata forse a non avere che soluzioni di co/
promesso: quale italiano insegnare? Llitaliano letterarfo?
Ma, come amnonisce DE MAURO (Parlare italiano, Antologia di
letture, Barf: Laterza, 1972, p. VII), nscrfvere versf o ele-
ganti prose d'arte non Y l'unico raodo corretto di usare la 1im
gua, certo non è il più frequenter'. La risposta sembrerebbe
facile: si insegna l'italiano standard. Ma, al momento di dâ
finirlo, ci si accorge che la realtâ è ben piG complessa: che,
in ogni caso, esistono, alldinterno di questo standard, regi-
stri e stili differenziati (da un minimo a un massimo di 'fol
malitlf, di definitezza).
Qualsfasï discorso sulla lfngua, su1 terreno applfcativo,
deve dunque partire dalla consapevolezza della variabilftà 1i/
guistica, di come g1i usi de1 codice comune possano cambiare e
dffferfre l'uno dallfaltro, mutandosi le condfzfonf fn cuf un
testo Y prodottoy le intenzioni comunicative de1 parlante,
destinazione de1 messaggio: qualslasi discorso applicativo,
fn modo specfale un programma glottodfdattfco, se l'fnsegna-
mento di una lingua è essenzialmente addestramento a dominar-
ne, in senso ricettivo e produttivo, il maggior numero possi-
bfle di varfetA.
37

NOTE E RIMANDI BIBLIOGRAFICI 2.

2 .1.1. Le l'funzioni de1 linguaggiol! sono enunciate in


JAIC BSON, 1963, ne1 saggio ''Linguistica e poetica'î (pp. 181-
-
218 della la ediz. italiana). Sull'uso della metalingua si
vedano le rigorose precisazioni, seguite da brevi e illuminam
ti proposte didattiche, in SIMONE, 1974. Non è questa la se-
de per una bibliografia adeguata sulla problematica dell'ins,
gnamento grammaticale: mi limito ai saggi di RENZI, LEPSCHY ,
CINQUE e VIGOLO contenuti in GISCEL, 19759 importanti pure i
lavori di LEPSCHY, 1972, BERTINETTO, 1976, PARISI, 19749 in-
teressanti sperimentazioni, sulla base di metodologie nuove,
sono documentate da BERRETTA, 197% e 1975.

2.1.2. Per la quantificazione delle variabili nellbinse-


gnamento/apprendimento rimando a PONTECORVO, 1974 e alla riE
ca bibliografia ivi contenuta.

2.1.3. Non è qui possibile dare indicazioni, benché som-


marie, sugli indirizzi più recenti della pedagogia e della
didattica. Rimando una volta per tutte a TITONE (a cura di),
1974, alle pubblicazioni delle case editrici specializzate ne1
settore (Angeli, Armando, La Nuova Italia, Loescher, Sei, ecc.)
e alle riviste didattiche di maggiore diffusione, tra le qua-
li segnalo, per le (parzfalf) coincfdenze coi puntf di vista
qui esposti, Scuola e Città, Riforma della Scuola, Orientamen-
ti pedagogfci, La Ricerca (Loescher).
2.1.Y. Cfr. BERRUTO, 197%b,pp. 18-19. Per la necessitâ di
insegnare Hsettorialmente'' una lingua cfr . PIT CORDER, passim.
Una rassegna critica utilissima, e densa di suggerimenti, ri-
38

guardo alle pfù recentf tendenze socfolfngufstfche e dfalet-


tologiche per quanto riguarda le prospettfve dellfeducazione
linguistica, è 11 lavoro di BENINCA'-VANELLI, 1975.

2.2.2. Ho usato con una certa disfnvoltura, alla fine de1


paragrafo, la parola stfley come equivalente df regfstro e co
me insieme delle modalftà d'uso caratterizzanti un sottocodi-
ce. Avverto che questfèuso informale ed equfvoco de1 termine
& comune, e df solito non provoca imbarazzo nd frafntendfmen-
tf. Cfr. VANELLI, 1975, p. A3: 'T ossiamo chiamare le varie
forme d'uso di una lfngua stfli (o regfstril... Per f1 nostro
discorso basterâ fare una grande divfsione fra quello che
chfameremo stile informale o colloquiale e quello che deffni-
remo stile formalen, che cfto perchd il lavoro è un esempio
eccellente di analisi stilistfca finatizzata ai problemf del-
lfeducazfone lfngustfca e in prospettfva socfologfca.
Da notare ltosservazione di ENKVIST, 1973, p. 25, secondo
cui stile Y un termfne nnotazfonale'' (notational), non un pri
m
'itivo linguistico (linguistic prfme); è un termine che puö
essere definfto secondo altre nozioni pfù basflarf. '% e g1f
stilf sono deffniti come quelle varietà di lfngua che entra-
no ln correlazfone con contesti, cfoè con intorni testuali e
sftuazionalf, ci sarà sempre una notevole sovrapposizfone tra
questf e una quantità df concettf della lfngufstfca storica,
geografica e sociologica. La stflfstica lingufstfca U'Lfn-
gufstic Styli'
stics'! o ''Stylolingufsticsïo è uno dei punti di
vista da cuf possiamo considerare la linguan. Essa ha a che
fare, sempre secondo Enkvist, con g1i stessf tratti CYeatu-
res'') linguistici che da altre prospettfve e con altri meto-
di possono essere descritti con term fnologie diver se.
CHIARIMENTI ESSENZIALI SUI FATTORI DELLA VARIABILITA' LINGUI
STICA (SITUAZIONE - CONTESTO VERBALE - STATUS E RUOLO DEI PA#
TECIPANTI) IN RELAZIONE AD ALCDNE DELLE CATEGORIE STILISTICHE
PIUI COMUNI (REG1STRO, SOTTOCODICE, STILE FUNZIONALE, DIATI -
P0, ECC.)

3.1. Fattore essenziale della variabilità linguistfca è


il contesto, o 'contesto di situazione' ('contesto situazio-
nale' o semplicemente 'situazione'), secondo il significato
messo in circolazione dalla linéuistica firthiana.
Assumiamo come base di partenza per chiarire l'ambfto di
tale concetto la nozione llintuitiva e indefinital' di conte -
sto sviluppata in LYONS, 1968, p. 546 . Lyons individua dap-
prima la situazfone spazio-temporale fn cui un enunciato (scril
to o orale) viene prodotto, situazione che comprende l'emit-
tente, il ricevente, le azioni che essi compfono o g1i attez
giamenti che assumono al momento delllenunciazione, g1i og-
getti e g1i accadimenti esterni concomitanti, cioè l'ambien-
te fisico e sociale in cuf avvfene l'atto di enunciazione.
L'enunciato stesso puö contenere riferimenti espliciti alla
situazione spazio-temporale mediante deittici (pronomi, av-
verbi spaziali e temporali) e in questo caso puö essere capi
to completamente solo se si / in grado di correlare i deitti
cf af 'ltrattf pertinentf della sftuazfoned'. Ma la situazio-
40

ne spazio-temporale non b tutto il contesto: questo è anche


costituito dalla 'Yonoscenza, condivisa da1 parlante e da1
ricevente, di ciö che è stato detto prima, nella misura in
cui questa C pertïnente alla comprensione delldenunciatoà? e
dallfaccettazione, da parte di entrambi, di tutte ïq e con-
venzioni, le credenze e i presupposti rilevanti 'dati per
scontatiî dai membri della comunità linguistica a cui es-
si appartengono'h 1 'tratti contestuali' elencati da Lyons
accomunano dunque la situazione di discorso, parte de1 con-
testo linguistico, la situazione socio-culturale, le presuz
posizioni pragmatiche: lïeterogeneità di un tale complesso
basterebbe da sola a giustificare la sfiducia che g1i studio
si de1 linguaggio hanno sempre avuto nella possibilitâ di tt
nerne, e di darne, conto adeguatamente; ma non basterebbe tu1
tavia per affermare che i tratti contestuali non sïano rile-
vanti per lîinterpretazione semantica degli elementi lingui.
stici e, si aggiunga, per la descrizione delle 'varietà! di
lingua (sottocodici, stiliy registrf, eccs).

3.1.1. L'origine della nozione di îcontesto situaziona.


le', come è stata sviluppata dalla scuola firthiana, si fa
risalire alllantropologo polacco Bronislav Malinowski (Crac/
via, 1884 - New Haven, Connecticut, 1942), che fu anche il
creatore delle espressioni context of situation, situational
context, context of culturle Si ritiene che Malinowski abbïa
ricavato il termine situazione da1 filologo tedesco Philipp
Wegener, che era stato il primo a introdurlo in linguistica
ne1 1885.
Per Malinowski l'analisi linguistica era funzionale alla
ricerca etnografica; era ioevitabile che egli trovasse insuf
ficienti ai suoi fini sia i metodi della grammatfca formale,
sia il semplice ricorso a criteri semantici nella classificl
zione di parole e di enunciati che, per di più, erano 'segni'
di entità culturali radicalmente diverse da quelle della ci-
viltà occidentale. Ne derivarono alcune importanti constatz
*
zioni:

i) la situazione nella quale le parole si producono non puö


mai essere considerata come non pertinente. L'osserva -
zioney dapprima riferita a lingue orali di popolazioni
lprimitive ', fu poi estesa a comprendere anche la lingua
scritta della scienza (una posizione analoga a questa Y
assunta attualmente dalla etnometodologia; cfr. NOTE E R1
MANDI BIBL. 3: 3.1.2)
ii) la frase, benchd talvolta possa essere undunità autosuffi
ciente, non / !!i1 dato linguistico totalef': il fatto lin-
guistico ''realell, per Malinowslciy Y ll/'enunciato globale
alllinterno de1 suo contesto di situazione'' (l'importanza
di questa affermazione si apprezza meglio, se la si rifor
mula ne1 quadro teorico della linguistica testuale);
iii) il context of situation è il complesso delle condizioni
nelle quali si producono g1i enunciati.
Ne1 saggfo The Problem of Meaning in Primitive Langua-
ges, 1923 (tr. it. in appendice a C. K. Ogden - J. A. Ri-
chards, 11 significato de1 significato, Milano: 11 Saggil
tore, 1966, pp. 334-383) il 'Yontesto di situazioneïï, com
siderato come il limite inferiore al di 1à de1 quale Y iz
possibile comprendere sia pure per sommi capi il senso di
un testo o di un enunciato, costituisce il livello (contE
stuale) essenziale, separato da1 livello superiore delle
conoscenze più specializzate di tipo etnografico e socio-
logico, che permettono allsosservatore unlanalisi e una
comprensfone più precïse de1 sfgnfficato di parole e di :
nunciati. 11 l'contesto'? viene perciö a comprendere l'in-
sieme delle conoscenze linguistiche (della struttura gen,
rale della lingua; degli enunciatf e dei loro costituenti)
e llinsieme delle conoscenze extralinguistiche (contesto
di situazione e conoscenze etnografiche e sociologiche).
In seguito (nellfopera coral Gardens and their Magic,
1935), M. allarga e precisa il dominio de1 ''contestodl, di
stinguendo:
a) un Ncontesto verbale'' (ltintorno delle singole unità
lingufstfche, su1 livello sfntagmatico);
b) un ''contesto grammaticalel' (delle Nespressioni opposte
e similif', cioè, si direbbe ora, delle opposizioni e
associazioni su1 livello paradigmatico della lingua);
42

c) un ''contesto paralinguisticoll (gesti, mimica, ma an-


che llla cadenza, g1i accentilg;
d) il ''contesto di situazionelf (che comprende g1i Helemen
ti fisicin osservabili);
e) il ''contesto di cultura speciale'' (conoscenze extra-
linguistiche di carattere sociologfcb e etnografico).
3.1.2. Le concezioni di Malinowski furono sviluppate da
Firth, che pone il Ncontesto df situazione percepito'' alla bz
se della semantica: indfspensabile per lo studio de1 signiff-
cato (inteso come una serfe df 'tontestualizzazionin) è la
conoscenza dell'entroterra culturale in cui si svolgono le
''esperienze'' dei parlanti; contesto situazionale e contesto
linguistico, distinto nei livelli fonologico, lessicale, moI
fologico e sfntattico, costftuiscono per Firth il 'Yontesto
df culturaT'.
Non importa qui seguire nei particolari le vicende inter-
pretative a cui è stata fatta segno la nozione di contesto
allfinterno della scuola firthiana (M.A.K. Halliday, R. Dï-
xon, J. Lyons, e altri): importa piuttosto render conto del-
la complessitâ di un fattore da cui è difficile, per non di-
re impossibile, prescindere nello studio della lingua fcome
effettivamente viene usata r.
L'osservazione malinowskiana secondo la quale la conoscem
za de1 contesto situazionale è condizione necessaria per la
comprensione de1 significato di parole ed enunciati / sen -
z'altro valida in sede antropologica e da1 punto di vista o-
perativo; g1i esempi addotti da Malinowskf confermano ampia-
mente che una conoscenza, da parte de1 ricercatore, dei dati
puramente linguistici (grammnticali e semantici in senso stre;
to) è insufficiente per capire il senso di un qualsiasi te-
sto.

Si veda, a titolo esemplificativo, il testo pubblica-


to da M. nellbart. cit. nThe Problem of Meaningn con la
traduzione letterale inglese, per mostrare: (a) che per
afferrare almeno i1 senso generale bisogna conoscere in
quale situazione esso / stato prodotto (è la soglia in-
43

ferfore, quella de1 ''contesto situazionale''): ne1 caso


in questione, bisogna sapere che sf tratta df un epfso-
dfo avvenuto durante una spedfzione commerèiale in mare,
a cui hanno preso parte delle piroghe, con intentf compm
titfvi; (b) che per capire esattamente fl significato di
determinate espressioni occorre una conoscenza accurata
e precisa di datt antropolo/ict ed etnografici rtguardam
tf la cultura fn cui la lfngua è radicata.
Le tesf suddette sono confermabili anche in sede df rico-
struzione storfca di lingue antiche o df stadi anteriori df
lingue moderne, fvi compresa la stessa lingua madre de1 rf-
cercatore. Non è senza motfvo se proprfo la lfnguistica stE
rfca ha affermato co1 maggior vigore f legamf strettfssfmf e
multfformi tra lfngua e cultura df un popolo. Ne1 dominio de1
lo studio éfncronico della propria lingua o di lingue affini
a questa, invece, tali criterf sembrano perdere efffcacia, e
ciö non'perch; la lingua cessf di essere radicata nella cul-
tura, ma semplicemente perchd la conoscenza de1 contesto cu1
turale fa parte della 'competenzat intuitiva dello studioso:
i1 fatto che egli non abbfa bfsogno (o l'abbia solo in mini-
ma parte) di acqufsire la conoscenza di dati riguardantf l'om
ganizzazione de1 'mondof, dellfambiente in cuf è immerso, fa
sl che egli possa inconscfamente utflfzzare tale conoscenza
al parf di una 'abilftâî istfntfva, trascurando quasf de1
tutto il problema di esplicftarla. Questo per quanto rfguar-
da cfö che Malfnowski chiamerebbe il Hcontesto df cultura spï
ciale''. Per quanto rfguarda la pettinenza della sftuazione
ne1 definire f1 significato, essa sembra indiscussa nei casi
di enuncfatf ambigui, df om onim fa, o df deissf.
fatto che si sfano potute dare descrizionf esaurientf
di tratti semantfci e di strutture grammnticali 'fuori situa-
zione' non signiffca perö che una teoria de1 linguaggioye df-
ciamo pure una 'teoria parziale de1 linguaggio' (quale aspira
noyper esempioyad avere i modelli più coerentf di grammntiche
testualilynon debba proporsf tra f suoi compiti quello di da-
re una rappresentazfone esplicita dei tratti contestuali. U-
na grammmtica che voglia essere un modello della competenza
44

de1 parlante nativo non dovrebbe escludere dalla tcompeten-


za' elementi e fattori contestuali che hanno incidenza di-
retta sulla conoscenza intuitiva della lingua. La difficol-
tà maggiore, in tale prospettiva, ù quella di disporre di u-
na lista dei tratti contestuali linguisticaraente pertinenti.
Ricordiamo intanto che il problema de1 contesto pragmati-
co & fondamentale per la Textlinguistik, che si propone di
spiegare allrinterno di ceorie coerenti corae i tratti cont:
stuali si possano correlare con la struttura grammaticale de1
testo. A quest fultima, secondo la terminologia introdotta da
J.S. Petyfi e largamente diffusa nella linguistica testuale,
si assegna la denominazione di co-text (co-testo), che desi-
gna le regolarità interne al testo, mentre l'insieme dei fat
z

tori esterni al testo e pertinenti alla sua produzione, ric,


zione e interpretazfone costituisce il Con-text (con-testo).
(Si veda, a questo propositoyla citaz. da PETUFI, 1975, nel-
l'ultima parte di: NOTE E RIMANDI BIBLIOGRAFICI 3: 3.1.20).

3.1.3. Da1 punto di vista comunicativo è superfluo osser


vare che non ha senso prendere in esame enunciati lfuori si-
tuazione n per chi si occupi degli atti di parola, il riferi
mento al contesto pragmatico è sempre pertinente. Questa af
fermazione si giustifica se si tiene presente che in un atto
linguistico la conoscenza delia situazione Y condizione indi
spensabile per comprendere:

1) il contenuto proposizionale della locuzione, nei seguenti


casi:

1a) ove appaiono deittici in genere.


, e in particolare i
pronomi di prinaa e di seconda persona, che fanno riferim en
to diretto ai partecipanti della situazione comunicativa;

1b) con la maggior parte dei nomi propri, elementi indes-


sicali per eccellenza (Paolo = la persona che io e tuy pa:,

lante e interlocutore, conosciamo, di cui abbiamo parlato,


ecc.);
1c) ne1 caso di sintagmi nominali definiti, contenenti un
articolo determinativo con valore individualizzante, che
45

designa un individuo particolare in una situazione deter-


minata (e non con funzione generalizzante, quella, per im
tenderci, che i logici rappresentano mediante un operato-
re universale, come nelllenunciato ''Lfuomo è mortalelg .
Se dfcoz ML'uonao % passato stamattina'' intendo: Houell'u:
(che conosciamo, di cui ho già parlato, ecc.lf';
1d) ne1 caso df enunciati ambigui. Per capire una frase
come nnon sento nienten bisogna sapere a quali condizio-
ni è riferita: se nessuno parla, se non si sente parlare
perchd intorno c'è rumore, o se chi dovrebbe sentire Y
sordoy
la forza illocutoria dellbatto linguistico. Un enunciato
come ''Verrai da me domani'l puö essere una semplice asser-
zione, un ordine, una promessa, una concessione, a secon-
da dei ruoli degli interlocutori, delle prexsùpposizioni co/
nesse al contenuto proposizionale, e di altre ancora fra
le componenti della situazione comunicativa;

3) la qualità dell'enunciazione, dai punti di vista retorico


e stilistico. Cosl, un particolare modo di dire sarà clas
sificato come 'enfatico', Iironico' ecc., a seconda de1
contesto pragmatico in cui appare (per giudicare se una frJ
se come HBella azione, la tualff è o non è fronica, o sarca-
stica, bisogna sapere a quali circostanze è riferita);
4) l'appropriatezza di un enunciato (0 testo). Questo caso
puö essere considerato come logica conseguenza de1 prece -
dente (unbespressione giudicata 'enfatical, 'arcaicaï, ecc.
puh apparire non appropriata a un particolare contesto co-
municatfvo, e approprfata fn un altro contesto).
Per quanto riguarda g1i effetti perlocutori delltatto di
parola, e in proporzione diretta alla loro importanza per lo
svolgersi della cornunicazione, basta la semplice osservazio-
ne intuitfva che essi sono parte integrante de1 contesto si-
tuazionale.

3.1.A. Manca, a tu ttfoggi, una tista dei tratti pertinen-


ti di situazioni, cioè dei caratteri comuni alle situazioni
46

raggruppate in una stessa classe, tratti che dovrebbero ser'


vire a descrivere le situazioni (secondo il metodo impiegato
in fonologia per i fonemi).
DUCROT (in DESL, p. 362) fa osservare che l'impresa, per
quanto complicata, non ; impossibile, se si considera che
Hdue situazioni di discorso dfverse (e anche assai più
di due) possono avere un effetto identico per quanto ri
guarda l'interpretazione di un dato enunciato. Ogni â
nunciato induce dunque a una sorta di classificazione
nelllinsieme delle situazioni di discorso possibiliypor
tando a raggruppare in una stessa classe quelle che lo
piegano in una medesima direzioneb'.
All'interno di una tale classificazione bisognerebbe poi
distinguere t tratti che sono sttlisticamente rtlevanti dai
tratti rfdondanti, con l'avvertenza che 'ridondante', in
stilfstica come in fonologia, non significa 'privo di signi
ficato'. Come in fonologia g1i elementi paralinguistici (to
no di voce, tratti idiosincraticiy ecc.) sono fonemicamente
ridondanti, ma nelle concrete realizzazioni possono servir-
ci a identificare chi pronuncfa una parola, cosl, su1 piano
stilistico, l'ambfente sociofisico puö contenere caratteri
non immediatamente collegati con le tmarche' di uno stile,
utfli a determinarne certe condizioni.

A questo proposito è opportuno richiamare una distinzione


introdotta nella linguistica strutturale americana (dalllindi
rizzo detto tagmemico), tra elementi Lemici e elementi -eti-
â-
t. 11 primo suffisso (qualificativo) designa le unità stru;
turali (astratte) de1 sistema linguistico (langue); fl se-
condo, le unità effettivamente realizzate (parole). Per toI
nare agli esempi già fatti, f caratteri paralinguistici sono
ridondanti su1 piano fonemico, ma significativi e rilevanti
a lfvello fonetico. Per ciö che concerne lo stile, llambiem
te sociofisico e il contesto verbale contengono tratti 'eti
ci' che solo una selezione 'emica' puö pertinentizzare.
Una tassonomia dei tratti contestuali stilfsticamente ri-
levanti non potrà che essere molto generale. Se non si vor-
47

rl complicarla inestrfcabilmente fntroducendo una moltiplica-


zione di livelli (col postulare, cioA, che certi tratti sono
ridondanti a un certo grado della scala de1 livelli ma non lo
sono più a un grado superiore, o a un livello di analisi di
maggiore 'delicatezza') bisognerà stabilire, concomitante a1-
le fregole', la serie delle condizioni necessarie e sufficiem
ti al sussistere delle regole. Queste ultirne dovrebbero essâ
re de1 tipo descritto da SEARLE (1965 e 1969) sotto il nome
di 'reiole costitutive' (quelle che non solo Mregolanof'# ma ll
-i
stftuiscono'', ne1 definfrla, una attfvità, la quale & dunque
logicamente dipendente dalle regole: cfr. la NOTA SUPPLEMENTA
RE).
La tassonomia dei tratti contestuali (situazfonali) rilevam
ti su1 piano stilistico finirebbe poi per coprire tutta ltarea
def trattf pertinentf delle sltuazfoni, se queste ultfme, come
pare, vengono a identificarsi con le condizioni di impiego de-
g1i enunciati: il rapporto tra un enunciato (o testo) e le sue
condizioni di impiego in una data collettività (in un ambien-
te sociofisico) sarebbe determinabile attraverso una serie di
leggf generali vicine alle leggi della retorica. Seguiamo am
cora l'esempio Helementare't con cui DUCROT (in DESL, p. 362)
illustra questa possibilità:
louando il contenuto di un enunciato è in contraddizione
con certe credenze la cui evidenza / data nella situazio-
ne df dfscorso, l'enunciato deve essere interpretato co-
me la constatazione, ln modo ironico, delllinverso di
quanto esprime esplicitamente (è la figura retorica del-
l'antifrasi): cfr. l'Come / bello 11 tempol'' (detto davan-
ti a una pioggia scrosciante), HCome è generoso il mini-
stro delle finanzeln.

3.1.5. Nellbambito contestuale, come appare già nellbulti-


ma proposta malinowslciana (cfr. 3.1.1.), rfentrano anche g1i e
lementi di quello che comunemente si precisa come 'contesto ver
balet, che a sua volta, per compdità di analisi, puö essere sud
dfviso fn contesto intratestuale e contcsto fntertestuale.
11 primo comprende l'intorno delle unitl linguistiche allflm
48

terno df un testo - inteso secondo l'accezione comune di re,


lizzazione compositiva, di insieme strutturato - e il comples
so degli elementi paralinguistici - intonazione, enfasiy paM
se... - che sono importanti specialmente nelle realizzazioni
orali e pongono interessanti problemi per quanto riguarda g1i
eventuali passaggi da queste allo scritto, sia che sf tratti
della riproduzione grafematica de1 parlato, sia che si trat-
ti della trasmissione di uno stesso contenuto informativo in
entrambi f 'mezzi', nellfuno fndipendentemente dallfaltro.
11 secondo coincide con ltinsieme (aperto) delle realiz-
zazioni concomitanti: possiamo citare come esempio, nella 1im
gua orale, i discorsi che in qualche modo richiamano il di-
scorso ïn questione, o g1i si connettono come antecedenti o
conseguenti, ecc.; nella lingua scrittay le composizioni coE
ve o appartenenti allo stesso genere letterario o a generf con
trapposti, ecc.
11 contesto verbale, e in partfcolare i1 contesto intrate-
stuale, è sempre pertinente all'analisi stilistica, che non
puö mai prescindere da esso, pena il Tanificarsi de1 suo raz
gio di azione: se si vogliono individuare i tratti stilisti-
ci di un enunciato, ; possibile farlo prima di tutto in rif,
rimento al complesso verbale di cui l'enunciato fa parte (per
sapere se 'T iove'' è marcato come poetico o colloquiale, devo
sapere se 11 suo contesto è la dannunziana ''Pioggfa ne1 pin,
ton o una qualsiasl comunicazione familiare, usuale, ecc.).
Tali osservazioni sono implicite nella definizione correpte
della stilistica (linguistica) come studio delle variazioni
della lingua correlate con il contesto (verbale) e con la si
tuazione (cfr., fra g1i altri, ENKVIST, 1973).
I parametri contestuali che appartengono al piano lingui-
stico si possono determinare secondo le consuete segmentaziE
ni orizzontali, verticaliy o pluridimensionali de1 continuum
linguistico: rapporti sintagmatici df enunciati'è parti di
essi con le unità più vaste di cui fanno parte, sulllasse o-
rizzontale; rapporti di selezione allbinterno delle stratifi
cazioni dei livelli di analisi (semantico, morfosintattico,
fonologico, metrico); relazioni gerarchizzate entro quel com
49

plesso pluridimensionale che Y il testo nella sua accezione as


siomatica di unità linguistica primaria.

3.1.6. Ne1 dominio della fsftuazione' rientrano anche lo


status e il ruolo dei partecipanti. Status e ruolo sono con-
cetti mutuati dalla sociologia; essi costituiscono una coppia
interrelata e indicano, il primo la posizione di un membro ne1
llorganizzazione socialey il secondo il comportamento da que-
sti tenuto o da tenersi in corrispondenza con la posizione oE
cupata nel gruppo.
Per esempio, nella comuni#.â scolastica, allo status di do-
cente corrisponde, o ci si aspetta che corrisponda, una se-
rie di comportamenti, quali sollecitare ne1discente la capaci
tà di comprendere e di apprendere, promuovere lfattività di
scoperta, correggere, o provocare ltautocorrezione, ecc., che
costituiscono appunto il ruolo dellïinsegnante alllinterno
de1 gruppo in cui egli opera.
Si puö svolgere un ruolo senza avere status corrispon -
dente o viceversa: si puö compiere una vera e propria attivi
tà di insegnante senza possederne lo status, mentre di un im
segnante inetto si dirà che ha lo status, ma che non ricopre
adeguatamente 11 suo ruolo.
Lo status-ruolo dei partecipanti determina le modalità de-
g1i atti comunicatïvi e ha incidenza soprattutto su1 confor -
marsi delle locuzioni che veicolano la forza illocutoria, o
addirittura puö modificare llaspetto illocutorio dellbatto.
Cosl un ordine impartito da superiore a inferiore avrà una
forma diversa da quella di un ordine analogo dato da pari a
pari. In questdultimo caso anzichJ un comando si potrà ave-
re un'esortazioney un consiglio, ecc. G1i svariati rituali
delle cosiddette forme di cortesia, nelle varie lingue, sono
forse llesempio più appariscente dellrinfluenza dello status-
-ruolo sugli usi linguistici. Nella tradizione letteraria e
retorica si hanno i ben noti esempi di 'stili di discorsoî 1E
gati allo status dei personaggi.

#. - 8. CIEI/ELLI 80qTli):E1i usî della iarola.


3.1.6.1. Nella determinazione dei ruoli bisogna distin-
guere vari parametri: quello sociale, or ora chiarito, quel-
lo pragmatico, in riferimento alla situazione di discorso, al
la dialettica tra parlante e interlocutore (destinatore e dE
stinatario'de1 messaggso)
!
e, su un piano de1 tutto diverso v
quello narrativo, in riferimento ai personaggi-attanti (ri-
cordo a questo proposito lo sfruttamento che, nelltambito de1
la semantica generativa, alcuni modelli grmmmmticali, fra
cui grammatiche de1 testo, hanno fatto di categorie attanzi:
1i, quali sono, per esempio, i 'ïcasi'! della struttura profom
da - semantica - introdotti da FILLMORE, 1968 e 1971: îruoli'
w '
dAgente'' ''Gontro-agenteï' ''Oggetto't ORisultato'! f'Strume/
to''# ''Punto di partenza'!# ''Punto d!arrivo'î> t'Pazi'enteî' .. asse
-

g'
nati ad argomenti logici gravitanti intorno a un predfcato,
a costituire le configurazioni astratte sottostanti agli
nunciatile
Quando parliamo di ruoli come responsabili di particolari
variazioni negli usi linguistici ey reciprocamente, di usi di
pendenti dallo status-ruolo degli utenti, ci riferiamo prev,
lentemente alla dimensione sociale. Da1 punto di vista del-
la dïnamfca de1 dfscorso, la considerazione dei ruoli socfa-
li (quando questi influiscono direttamente sulla struttura e
sullfandamento della comunicazione) viene ad essere concomi-
tante, o a sovrapporsi, alla considerazione pragmatica deï
ruoli assunti, nella situazione e negli atti comunicativi,dai
partecipanti diretti e indiretti; in questo caso si puö assi
stere a un continuo 'scambio delle parti', reso esplicito nei
dlaloghi, ove, nell'alternarsi delle battute, il parlante di-
venta ascoltatore e viceversay e al moltiplicarsi o all'in -
trecciarsi di situazioni comunicative svariate, quando intem
vengono pfù interlocutorï. t
Anche per questo aspetto della struttura della comunfca-
zione 'lfnguistica e dei testi scritti e orali, come per a1-
tri aspetti (i1 'tempoî, per esempio, per cui si distingue
fra tempo interno e tempo esterno al testo, fra tempo narrz
tivo e tempo îreale', tempo dell'azione narrativa, scenica,
ecc. e tempo della produzione e della ricezione di essa) si
impone la bipartïzione fondamentale tra dimensione della re-
51

altà vissuta (fattuale) e dimensione della realtà riferita,i/.


maginata (o narrativa).
La prima è la dimensione de1 'mondo' a cui appartengono il
parlante/scrittore e l'ascoltatore/lettore, ognuno co1 pro-
prio status-ruolo sociale e con quello di partecipanti della
sftuazfone comunfcativa (che potremmo dire primaria) in quam
to produttori/fruitori di messaggi. La seconda Y la dimensi/
ne de1 messaggio, che puö anche configurarsi come una proie -
1
zione o una reduplicazione della precedente, e a sua volta puö
contenere altre dimensioni esistenziali in numero potenzialme/ .
te infinitoe Alla dimensione de1 messaggio partecipano i pem
sonaggi-attanti delle situazioni comunicative 'simulateî o 'ri
ferite' (situazioni secondarie), ciascuno co1 rispettivo sta-
tus-ruolo sociale e coi corrispondenti ruoli pragmatici e na;
rativi (questi ultimi in rapporto alle 'funzioni narrative' rx
peribili ne1 racconto). Un esempio banale: X racconta a Y u-
na vicenda in cui Z1 e Z sono impegnati come antagonisti. Ab
b 2 -
iamo due situazioni, con almeno otto possibilf ruoli. Sùpp/
nendo che X sia il padre e Y il figlio, avremo, da1 punto di
vista sociale, i due suddetti ruoli; da1 punto di vista prag-
matico, i ruoli de1 parlante-narratore e dell'ascoltatore; tu1
ti e quattro sono riferibili alla situazfone comunicativa 're1
le '. La seconda situazione A quella narrativa; a11'interno di
essa, se Z1 e Z2 sono specificati socialmente, ponfamo, come
.
colleghi di lavoro, avremo altri due ruoli socfa1i, a cui co;
rispondono i due ruoli narrativi che qualificano i personaggi
come îantagonistf'.

3.1.6.2. Nella prassi didattica, / opportuno rendere espli


cita l'importanza de1 ruoli nella scelta delle modalità d'uso
della lingua e in particolare in quello che si suol chiamare
il 'regfstro'. Un utile esercizfo potrebbe essere, ne1 sen-
so dellfanalisi (della 'decifrazione' di un messaggfo) il ri-
conoscimento dei ruoli ricoperti dai personaggi di un dialogo,
ï
come composizione autonoma o come parte di un insieme narrati
vo, a partire dallfesame de1 contenuto e della sua organizza-
zione, e de1 particolare configurarsi dellîespressione; si p/
trebbe arrivare cosl a una specie di tipologia degli usi lin-
52

guistici appropriati ai diversi ruoli. Potr: risultare anche,


in particolari campioni di prosa, un appiattfmento della lin-
gua, ove le marche stilistiche dei ruoli fossero eliminate ,
sia nellîuniformità di un discorso impersonale, puramente 'con
statativoî, sia nellîattribuzione maldestra, da parte dello
scrïvente, di modi di esprimersi più o meno vistosamente ina
deguati ai ruoli degli attanti.
Faccio osservare che una delle differenze tra il discorso
diretto e il discorso indiretto puö essere la presenza di mar
che stilistiche dei ruoli, ne1 primo, e lîeliminazione o la
attenuazfone di tali marche, nel secondo, mentre nello stile
indiretto libero il parlato / riprodotto attraverso la media
zione di una forma indiretta che mantiene le marche stilisti
che riferibili al ruolo e allo status de1 personaggio.
Ne1 senso della sintesi e della produzione di enunciati,
g1i esercizf correlativi ai precedenti potrebbero essere: c:
municare una stessa informaziorte assumendo di volta in volta
un ruolo diverso; mettere in forma indiretta un discorso di-
retto; dare l'equivalente narrativo di un dialogoy o dramma-
tizzare un racconto. ln tali casi uno dei fattori principali
delldappropriatezza richiesta sarà l'adeguamento de1 discor-
so al ruolo specifico dellïemittente oppure delle fdramatis
Pergonae j.
Ritorneremo su questo argomento in altra occasione discu-
tendo sullbattività correttoria degli insegnanti: per ora ci
bastf dfre che non sarâ mai abbastanza raccomandato f1 dove-
re di richiedere, e dï rispettarey quando questa sia esibita
spontaneamente, la fedelt: dello scritto al parlato quando si
tratti di riferire dialoghi in forma diretta: fedeltà che non
si riduce a grezzi, e quasi sempre inadeguati, tentativi di
trascrizione 'bruta' della viva voce, ma richiede una ricer-
ca ben più sottile di equivalenze tra i ïmezzi espressivil de1
l'uno e delltaltro codice.

3.2. Lluso della lingua in relazione al contesto verbale


e situazionale copre allbincirca tutta lîarea di ciö che, in
53

stilistica come in sociolinguistica, si / soliti chiamare JI-


s tro.
gis Darne una definizione soddisfacente non sembra possi
bile sfa per l'indeterminatezza dè'lla realtà designata da
questo terminey sfa per le accezioni non sempre coincidenti,
quando non addirittura discordanti, che esso ha acquistato pres
so scuole diverse. Diffuso specialmente per opera degli stu-
diosi neofirthiani che lo hanno utilizzato in studi sullo sti
le e particolarmente nell'esame delle varietà lingufstiche fi
natizzato att'insegnamento della madrelingua e delle tingue
straniere (si veda HALLIDAY - Mc INTOSH - STREVENS, 1964), quE
sto concetto implica l'ammissione che tipi differenti di ùsi
della lingua, correlativi a tipi differenti di attività uma-
ne, sono contraddistinti da diversi tipi di tratt01 linguisti
ci: a determinati contesti corrfspondono determinate utiliz-
zazioni della lingua. !'Vaî fuori dai piediuf HVattene vial'',
lfLungi da meln sono realizzazioni diverse dello stesso ordi-
ne, dipendenti da diversi fattori situazionali. 11 registro,
come 'îvarietà relativa alldusoî' (dipendente dalle situazioni
e dalle funzïoni per le quali viene impiegata) si distingue
da1 dialetto, che è la nvarietà relativa alldutente'' (HALLIDAY
- Mc I NTOSH - STREVENS, 1964, pp. 100 seggm): queste sarebbe-
ro le due ndïmensioni'' in base alle quali sceverare le varie-
tà di lingua. Su tale fondamento Y stata costruita la cosid-
detta dottrina de1 registro, che verrebbe a coincidere Qoh
Pinte o dominio della stilistica.
11 concetto di registro & cosl malleablle e cost poco defi
nito da ammettere variazioni considerevoli. Per esempfo, es-
so ; stato scomposto (DARBYSHIRE, 1971) nei sottoinsiemi con-
cettqali
i
di cont
/'
est)o (1a situazione extralinguistica il cui
peso comunicativo ; inversamente proporzionale alla quantità
df elementi linguistici impiegati nella comunicazione), senso
(i1 contenuto de1 messa
1
ggioly mezzo Cbmediumfk parlato/scrit-
to, l'uno e l'altro suddivisi in formale/informale; pubblico/
/privato; non colloquiale/colloquialey e cosl vialy.tenore (1e
modalità d'uso influenzate dalle 'Yelazioni sociali'' tra de-
stinatore e destinatario: adulto/bambino; esperto/profano;
insegnante/studente, ecc.). Lo stile, in tale proposta, sa-
rebbe dato da1 'ltotale degli effetti di contesto, senso, me-
54

dium e tenore'' cio; dalla somma dei componenti de1 Hregistroï;


che permetterebbe di distinguere l'uno dallfaltro uso della
lingua.
La categoria de1 registro / sembrata a molti conveniente e
utilizzabile: fn realtà essa serve come etichetta di comodo
per designare caratterizzazioni informali, impressionistiche,
di 'usi' e in ta1 caso il termine registro Y considerato da
alcuni come slnonfmo di 'stile' (registroy o stile, colloqui,
1e, aulico, dotto, ecca).
Llinconsistenza teorica di tale nozione, resa evidente dai
llimpossibilità di definire il registro in modo univoco e ri-
goroso da un punto di vista linguistico, rende assai dubbia :
na sua utilizzazione sistematica nelle analisi dei testi. An-
che se si disponesse di un catalogo completo dei registriymam
cherebbe un criterio sicuro per assegnare un particolare uso
linguistico alltuno piuttosto che allfaltro. CRISTAL e DAVY
(1969), rifiutando la concezione de1 registro come Y stata fo<
mulata dalla stilistica neofirthianay criticano l'applicazio-
ne inclusiva e indiscriminata de1 termine a varietà di lingua
(i sottocodici, come vedremo) caratterizzate da profonde dif-
ferenze nelle variabili situazionali che in esse intervengo-
no, rilevando giustamente come il comprendere sotto lo stes-
so titolo (poniamo ''registro formaleïg variet: differenti, c/
me lingue tecniche e lingua giornalistica, ad esempio, serva
solo ad offuscare le peculiarità e a rendere banale un concet
to potenzialmente utile.

3.3. 11 carattere lfnterclassista' (mi si consenta la me-


tafora) della nozione di registro risulta più evidente se si
chiarisce lîambito di ciö che intendiamo per sottocodièe. Bi
sogna intanto osservare che spesso i denotati dellluno e de1
l'altro termine coincidono o si sovrappongono: troviamo cioè
indicate come registri entità che ci aspetteremmo di vedere
designate come sottocodici, mentre quest dultima denomfnazio-
ne è meno diffusa della precedente, anche perch; q'unldx Volta
è sostituita dallîetichetta di 'stile funzfonale' introdo;
ta dalla Scuola di Praga .
55

Una delimftazione socfolinguistica molto chiara de1 concel


to di sottocodice (BERRUTO, 1974b, pp. 68 sgg.) lo definisce
come Huna varietà de1 codfce lingua caratterizzata da una s,
rie di corrispondenze aggiuntive, che cfoè si aggiungono a
quelle comuni e generalf de1 codice (soprattutto a livello 1eé
sicale) ed usata in corrispondenza a sfere e settori definiti
di attività all'interno della società e in dipendenza dell'al
gomento di cui si parlalv Sono sottocodici le lingue specia-
listiche della scienza e della tecnfca, la lingua dello sport,
della pubblicità, dei giornali, ecc. Ciascuna di esse possfE
de un suo lessico specializzato, fatto di terminf peculfari ed
esclusivi (i cosiddetti tecnicismi) o di voci appartenenti an-
che ad altri sottocodici o al codice comune, ma rivestite di
significazfonl nuove (p. es. ''reten, in quella sezione de1
sottocodice sportivo che è la terminologia de1 gioco de1 cal-
cio). Normalmente un parlante possiede solo pna
(
parte dei
sottocodici della sua lingua; meglio si direbbe, ha una com-
petenza attiva limitata a un certo numero di essf, benchd sia
in grado di rfconoscerne una parte molto più grande. In re-
lazione ai sottocodicf, come avviene in generale in relazio-
ne alla lingua presa ne1 suo complesso, la capacftà ricettiva
dellfutente Y maggiore della sua capacitâ produttiva.

3.3.1. La linguistfca funzionale praghese, considerando la


lingua come un sistema complesso di stratificazioni formato da
sistemi funzionali parziali, indfviduay allbinterno della
lingua scritta e in particolare della lingua letteraria, lin-
gue speciali e stili funzionali (tecnico, poetico, familiare,
ecc.). La prfma designazione è in rapporto alla langue (M1a
lingua speciale è determinata da1 fine generale delllinsieme
normalizzato dei mezzi linguisticif', VACHEK, 1966), la secon-
da è funzione della parole (''10 stile funzionale è determin:
to da1 fine concreto di ogni manifestazione linguistican, i-
bid.). Benché la prospettiva funzionale della Scuola di Pr,
ga abbia prodotto risultati eccellenti ne1 campo dellfanali-
si dei testi, la sua terminologia non si è diffusa fuori de1
l'ambfto in cui è sorta, anche per la polivalenza de1 termi-
ne ufunzione''.
56

3.3.2. Un'etichetta comoda, perché neutra, potrebbe ess:


re diatipo CQinguistic diatypeds, che copre le varietà dlu-
so denominate come registri e sottocodici e puö designare g,
nericamente le vatie modalità dîimpiego della lingua (per maz
giori chiarimenti si veda BERRUTO, 197: b, ppa 72-73). 11 com
plesso delle caratteristiche individuali nellluso de1 codice,
proprfe di ciascun parlante, con le relative idiosincrasie
ecco, costituisce l'idioletto, o lingua (0 stile) indivi-
duale.
Questlultima designazione suggerisce un riferimento molto
opportuno a una classificazione delle differenze che si ri-
scontrano nei sistemi linguistici i qualiy come sappiamo,non
sono un tutto uniforme, ma varfano secondo tre parametri: lo
spazio, il gruppo sociale, lfindividuo. La classificazione
è dovuta a E. COSERIU (1970) ed ha il merito di schematizza-
re un complesso multiforme di caratteristicbe svariate, ordi
nandole in una tripartfzione che interessa i punti di vista
dialettologico (componente spaziale), sociologico (componen-
te socialely psicologico (componente individuale). Coseriu
distingue dunque :

a) varietà ''diatopiched': le differenze che una lingua pre


senta nello spazio, cioè i dialetti, che hanno caratteri pro
pri ai livelli fonetico, sintatticoj semantico e lessicale;

b) varietà lïdiastratichefn le differenze che una lingua


presenta negli strati sociali, e che distinguono i sottocodi
ci (lingue speciali e gerghi) denominati anche sociolettiyca
ratterizzati, allfinterno de1 codice comune a cui appartengo
no, da particolarità in prevalenza lessicali; a tali varietà
si riferiscono le etichette di stili sociali o stili collet-
tivi (in contrapposizione agli ''stili individuali'g ;
c) varietà Ndiafasichep: le differenze che contrassegnano
g1i usi di ciascun individuo, o idioletti (particolarità di
pronuncia, preferenze sintattiche e lessicali, ecce).
L'analisf stllistica è interessata a tutti e tre i suddel
ti livelliyama puö privilegiare l'uno o llaltro, a seconda
dei testi da descrivere e delle finalità immediate che essa
57

si propone. Per esempio, il livello delle differenze diafasi


che monopolizza llanalisi quando questa si esercita sullo sti
le di singoli autori; il livello diastratico sarà oggetto di
studio preferenziale nei casi in cui occorra assegnare un po-
sto preminente a considerazioni sociolinguistiche nelle caral
terizzazioni di sottocodici anche ai fini della stilistica 1e1
teraria; sulle differenze diatopiche si indirizzeranno preva-
lentemente analisi di testi fortemente marcati a llvello dia-. ?
.

1etta1e, ecc. ;,
Superfluo sottolineare lîutilità, evfdentissima: di tale
tripartizione anche da1 punto di vista didattico.

t
58

NOTE E RIMANDI BIBLIOGRAFICI

3.1.2. Postulare la pertinenza dei tratti contestuali per


lo studio linguistico de1 significato non equivale per noi a
condividere le tesi formulate, a proposito de1 linguaggioydal
lfindirizzo di studi sociologici noto co1 nome di etnometodo-
logia. (Un ragguaglio preciso ed essenziale su questa corren-
te si trova nell'lntroduzione di q'iglioli, in GIGLIOLI (a cu-
ra dily 1973, pp. 19-23, a cui rimando anche per le indicaziz
ni bibliografiche).
Per g1i etnometodologi (Cicourel, Berger, Luckmann, Sacks,
Schutz, Kjolseth e altri), tutti g1i enunciati de1 lfnguag-
gio naturale sono indessicali (dal lat. index). Indessicali
sonoy per definizione, quelle produzfoni linguistiche di cui
non sf puö stabilfre il senso senza conoscere chi / e che c:
sa si propone l'emittente, le circostanze in cui avviene 1',
nunciazione, il contesto linguistico in cui l'enunciato vie-
ne a trovarsiy le relazioni personali (df uguaglianzay di di
pendenza, ecc.) fra g1i interlocutori. I linguisti e i fil:
sofi che da tempo si erano occupati dei fatti indessfcali de1
linguaggio (parole-indice, o deittfci) ne avevano riconosciM
to i tipi più caratteristici def pronomi, in particolare nei
dimostrativi, e negli avverbi di tempo e di luogo. Ma g1i
etnometodologi vanno oltre ed estendono a tutto il linguag-
gio il carattere delllindessicalità. L'ipotesi più lforteî
conduce a posizioni cosl estreme, che g1i etnometodologi ste,
sf hanno cercato df correggerla, limitandone la portata. Poi
tando tale ipotesi alle logiche conseguenze, si verrebbe a
negare che esistanô invarianti, rispetto alle quali è invece
teoricamente e operativamente possfbile descrivere variazio-
59

ni di sfgnificato e di uso; inoltre si dovrebbe arrivare a


concludere che tutte le denoginazfoni funzionano come nomi
propri, il che evidentemente è paradossale e va oltre le in-
tenzioni degli etnometodologi. Essf infatti riconoscono che,
sebbene il significato degli enunciati sia legato al contesto,
i parlanti riescono a comunfcare senza dover ricorrere conti-
nuamente a precisazionf su1 senso dei termini di volta in vo1
ta impiegati, a glosse de1 tipo 'lche intendi dire con ciö?dl,
nche intendi dire con 'che intendi direî?b', e via di seguito
in una regressio ad infinïtum. Che cosa dunque garantisce la
comprensione fntersoggettiva, anche nei casi di condensazione
degli enunciati, di brachilogie, di ellissi, cosl frequenti
nella conversazione quotidiana? Alcuni etnometodologi hanno
elencato serie di procedure interpretative come condizioni nE
cessarie alla riuscita della comunicazione, senza perö fornii
re criteri rigorosi per lfapplicazione di tali procedure. Es-
se sono, per Cicourel, la llreciprocit; delle prospettive'' (o-
gni parlante assume che, fino a prova contraria, g1i interlo-
cutori condividano i1 suo modo di intendere oggetti e accadi.
menti), le Hforme normalil' (1a base comune che costituisce la
apparenza dei fatti culturali, senza tener conto delle varia-
zioni), il ïïprincïpio degli et cetera'd (con cui si riempiono
eventualf lacune), f ''vocabolari desctittfvf come espressionf
indessicali'' (per cui si suppone una continuità ne1 verbaliz-
zare esperienze passate e presenti). (cfr. GIGLIOLI, 1973, pp.
22-23).
11 limite più pesante di una parte almeno dellîetnometodo-
logia consiste ne1 misconoscere lq bimportanza delllastrazione
nella ricerca scientifical! e ne1 condannarsi perciö !9a unrin-
finita descrizione di una multiforme realtà sociale che non s,
rebbe possibile unificare sotto categorie convenzionalif? (GI-
GLIOLI, 1973, p. 24), ne1 privilegiare il token su1 type. Per
quanto concerne la nostra indagine, la questione dellîindessi
calità della lingua si ripropone, naturalmente in termïni ben
diversi da quelli coi quali è stata impostata nelllambito de1
la etnometodologiay come ricerca dei tratti contestuali (si -
tuazionali) capaci df determinare il valore (semantico) di
tratti testualf e df porsf come parametrf suf qualf mfsurare
60

lïappropriatezza di un testo.
!1
Per la distinzione tra con-text e co-text si veda PETOFI,
1975, p. 1: HCon l'espressione 'teoria de1 testo' io designo
la teoria che sf assegna il compito di descrivere tutti g1i
aspetti di un testo in quanto oggetto linguistfco. Divido
g1i aspetti da descrivere in due gruppi: g1i aspetti Lg-te-
stuali e g1i aspetti con-testuali (e di conseguenza le com-
ponenti co-testuali e con-testualf di una teoria de1 testo).
Fra g1i aspetti co-testuali si annoverano i problemi della
struttura grammxticale (sintattica: semantica intensionale e
fonologico/grafica) come quelli della struttura formale non
grammaticale ma appartenentf nondimeno allloggetto verbale
(struttura metrica, ritmica e eufonica); fra g1i aspetti con
-testuali si comprendono tutti g1i altri: quelli concernenti
l'interpretazione semantica estensionale, la produzione dei
testiy la ricezione dei testi, ecca'l.

Per una discussione delle tesi contrastanti circa


l'importanza da attribuirsi alla situazione, rimando a DESL,
pp. 358-362. L'articoloy dovuto a 0. Ducrot, illustra sinte
ticamente dapprima g1i argomenti contro lîopportunftâ di in-
trodurre la situazione in una teoria generale de1 linguaggio:
la dipendenza dellïenunciato dalla situazione / un fatto co/
cernente non la langue ma la parole, o almeno una zona margi
nale della lingua. 11 potere di astrazione di quest'ultima,
che permette di parlare delle cose in loro assenza, si spie-
ga con la possibilità di descrivere g1i enunciati prescindem
do dalle condlzioni de1 loro impfego. E' sempre teoricamen-
te possibile evitare il ricorso alla situazione, in una lin-
gua naturaley rendendo espliciti g1i elementi che, per pura â
conomia, si lasciano impliciti: tutti g1i enunciati che ab-
biamo addotto come esempi di dfpendenza dalla sftuazfone po-
trebbero esserne sottratti formulando linguisticamente g1i
elementi lasciati impliciti (p. es.: IITi prometto che verrai
da me domani'', ''Ti ordino di venire''# ecc.). Lo stesso uso
dei pronomi personali puö essere sostituito da costruzioni
non indessicali: p. es., chi narra di sd parlando in terza
persona, 11 numero infinito di sfumature contestuali dovreb

t
61

be scoraggiare il linguista da1 tenerne conto nella descrizfo


ne degli elementi lïnguistici.
Ducrot confuta poi punto per punto g1i argomenti addotti,
mostrando che se / vero che si puö parlare di una cosa in sua
assenza non Y detto che questo si debba fare per ogni cosa e
per ogni situazione e che il lioguaggio possa esercitarsi in
isolamento assoluto. Se si rendono espliciti g1i elementi
della situazione ampliando e complicando g11 enunciatiy l'in
formazione globale sarà conservata, ma saranno alterate le mo
dalità e il vatore delldatto di enunciazione. Questo ê evi-
deot e nella sostituzione dei pronomi personali io e tu coi
nomi deg1i interlocu tori: 1a forza il1ocuto1:ia de11'enuncia-
to muta completamente (lo ti ordino di... è un enunciato #per
formativo @; X ordina a Y di eaz è un enunciato ïconstatativo';
co1 primo chi parla esegue ldatto di ordinare; co1 secondo si
ha una semplice descrizione delllatto). Lo scopo di indicare
lfeffetto della situazione ne1 senso degli enunciati non è ir
realizzabile: non tutte le sfumature contestuali sono da de-
scriversi: ma quelle il cui senso contiene tîcome parte inte -
grante undallusione alle loro condizioni d'impiego@t. E' pos -
sibile raggruppare in classi le situazioni di discorso e de -
finire i tratti pertinenti con unloperazione analoga a quelle
comuni fn fonologia. E' possibile anche stabilire le leggi g:
nerali, su1 tfpo delle leggi della retorica, che regolano le
coodizioni di fmpiego degli enunciati in una data collettivi-
tk.

3.1.6.1. Charles FILLMORE, ''The Case for Caseï! in E. BACH


& R. ï. HARMS (eds.), Universals in Linguistic Theory, New
York: Holt, 1968, 1-889 ID., nTypes of Lexical I'
nformationîl,
in D. D. STEINBERG & L. A. JAKOBOVITS (eds.), Semantics, Ca/
bridge: Unfversity Press, 1971, 370-392.

E ' comune presso i sociolinguisti caratterizzare


registri secondo una scala che va da un minimo a un massimo
di 'lformalitàîl. Berruto, 19 74 b, p. es., proponendo una seg-
mentazione de1 continuum dall'elto verso .kk Yasso, ''da una
.

massima ad una minima attenzione ed accuratezza dei valori foI


62

mali de1 messaggio'ï (p. 72), individua i tipf seguenti di rE


gistri1
..aulico (o solenne, o ricercato), colto, formale (o uf
ficialely medio, colloquiale, informale, popolarey familiare,
intimo, ecc. Intuitivamente, si possono avanzare dubbi sul-
la successione dei gradini della scala (perché colto precede
ufficiale? è per contiguitâ con aulico? e questo sarebbe da
intendersi come un supercolto? ecce). In realtà mancano cri
teri rigorosi di caratterizzazione dei registri. FRXNCESCA-
T0, 1974, propone di chiadare registro !'i1 parametro defini-
to dalla scala dei fattori che determinano il livello e dal-
llinsieme delle funzioniff: livello, per lui, è l'equivalente
di ciö che altri dicono stile; i lfvelli sono cinque, da1 più
al meno familiare; 1) intimo, 2) casuale, 3) fnformativo, %)
formale, 5) rigido; le funzioni corrispondono alle funzioni
de1 linguaggio di Halliday (cfr. HALLIDAY, 1970). Per Fran-
cescato dunque il registro comprende i cinque livelli defini
ti secondo la scala che va da 'fmassimamente a minimamente for-
maledl, i qualf si realizzano in correlazione con la destina-
zione de1 messaggio comunicatô e con ciö che il parlante fa
in ogni specifïco atto dï comunicazïone verbale. Lo stfle veI
rebbe invece definito, sempre nella prospettiva sociolinguisti
ca in cui si pone Francescato, in relazione all'uso della
lfngua e al parlante, come ''un parametro di valutazfone della
adeguatezza reciproca tra i fattori dellbuso linguistico e
quelli dell'utenteff, cioè tra codice, registro e idioletto, d,
finito, questdultimo, come ''il linguaggio che un parlante de-
terminato usa in una situazione determinata di comunicazione
linguistica'' (p. 217).
4.

L0 STPDIO DELLO STTLE. BREVE RASSEGNA DE1 PRINCIPALI COMPITI


ATTRIBUI T1 ALLA STILISTICA E DELLE SUE DIREZIONI D1 RICERCA .
STILE COME 'SCARTO ' DA UNA NORMA: DIFFICOLTA ' DI DEFINIRE LA
NORMA. LA 'SCELTA' E LE SCELTE: PARAMETRI DI VALUTAZIONE. IL
PIANO DELLïANALISI STILISTICA: TRATTI DISTINTIVI DELLO STILE .

4.1a Llanalisi dei risultati prodotti dallbinterazione di


fattori situazionali (condizioni di impiego determinanti la
appropriatezza degli enunciati), pragmatici (concernenti ï1
parlante e lfinterlocutore) e co-testuali (riguardanti il co/
testo linguistico) coincide con una parte cospicua di quello
che convenzionalmente si intende per studio dello stile.
Non tenteremo, per il momento, di dare una definizione ri-
gorosa dello 'stileî, né ci porrèmmo, come ha fatto GRAY,
1969/, l'interrogativo se esista effettivamente ciö che si chiz
.

ma stile.
La risposta di Gray è negativa! lo stile ; come i ve-
i>A
stiti dell'imperatore o l'etere zella fisica antica. In
pratica, chi crede di studiare lo stiley fa della psico-
logia, se intende lo stile come comportamento; o dà per
dimostrati concetti che devono invece essere provati, se
si basa sulle asserzioni della vgcchia retorica; o fa de1
la filologia o anche della critica letteraria, e allora
si occupa non di quel xacuum che sarebbe lo stile, ma di
64

temi, di contenuti ecc . La nozione di stile individua-


11 sarebbe una pura tautologia: llopera di un dato auto
.
re si interpreta non attraverso lo stiley ma attraverso
un Hpattern totaled'. N; sf puö parlarey secondo Gray,
di stile come comparazione tra testi e norme, immagina-
rie o fissate dai critici o descritte dai linguisti, né
di ltsceltebl: se le sceltey obietta Gray, avvengono tra
espressioni sinonimichey allora la differenza fra i ter
mini ; di n significatoîl, e parlare di stile & df nuovo
superfluo . Essendc lîopera 'îuna e indiv idualeï', ogni
opposizione tra contenuto e forma, processo e risuitact'
sarebbe arbitraria.
Le argomentazioni di Gray interessano soprattutto come do
cumento di quella crisi di identitâ che sembra divencata cr:
nica nella stilistica (intesa prevalentemente come studio de1
lo stile dl opere letterarie, c lcrïtica stilistica') e che
si manifesta con sintomi di volta in volta diversi: come ne-
gazione totaie o parzlale della sua legittimità in quanzo di
sciplina autonoma, come denuncia delia vacuitâ de1 suo ogge:
to o delle compromissioni che esso comporta con entità indefi
nite, o sospette (per alcuni l'Oindividuo'' anzi ll'findivi-
dualità delllautore'' per certe correnti delia scilistica 1et
terarla; per altri l'dlidioletto'' ecc.).
In realtà, in questo campo forse più che altrove, si sco-
pre in modo direi drammatico la natura deile interconnessio-
ni fra la ricerca e il suo oggetto: se rimane sempre vero il
principio saussuriano secondo il quale è il punto di vista
che crea lfoggetto della rfcerca e non viceversa, potremo di
re che vi sono tante entità definibili come stile quanti so-
no i modi di accostarsi a questo aspetto della lingua.
In ogni caso, anziché definire prima lîoggetto dellrind,
gine, tenteremo qualche approssimazione alla problematica
dell'indagine stessa, assumendo 1.e etichette di 'stilef
'stilistica! come abbreviazioni di comodo, e tenendo presem
te che l'una e l 'altra sono suscettïbfli di usi metaforici.

4.1.1. I principalf impfeghi metaforici de1 termfne 'sti

t
65

1eI sono quelli nef quali la voce suddetta è stata assunta a


fndicare nozionf che si possono designare con termini più az
propriatf al loro ambito specffico:
a) ''stfle'î per sottocodice, per tlpo funzionale df lfnguag-
gio, o lfngua speciale, come quando si parla df flstile
giornalisticoî' per indicare f1 sottocodice stesso e non so
lamente fl complesso delle proprietà verbali che lo cara;
terizzano;
''stilef' anzichd periodo (simbolismo, surrealismo, ecc.);
f'stile'ïal posto di genere ('Tstfle tragico'î 'lnarrativo'!
ecc.), o tipo: l'uno o l'altro, a seconda della prospetti
va di analisi, induttiva, ne1 prfmo ca so, deduttfva e co-
incidente con una teoria (assiomatica) della letteratura,
ne1 secondo;
d) f'stilet: per coerenza interna di una qualsiasi produzione
umana (di un'opera priva di unità si dice talvôlta che
''nbn ha 'stile'!); quesEo è lrusô più inconsistente che
venga fatto de1 termine, poiché la categoria che esso cû .
Pre Y cosl sfuggente ed equivoca da non poter essere adE
perataya meno di non scinderla nei tratti specff1cf (stl
listici) costftutfvi della îcoerenza' interna deRîopera.
In linea di massima, eviterö di usare l'etichetta stile
nei sensi tmpropri quf elencatiyriservandola a designare, c:
me concetto operativo, le proprietâ de1 discorso marcate da
tratti dipendenti dal contesto (verbale e situazionale), af
varf lfvelli dellAanalisi lfnguistica.

4.1.2. THORNE, 1970, osserva che il denomfnatore comune


degli studf diversi che vanno sotto il nome di stilistica è
l'Hanalfsi della struttura linguistica df testib'. Caratterfm
zazionf stilistiche com e ''enfatfcoff.$ flscorrevole'',9 'lconciso'''
eccx, se rfescono a dïrcf qualcosa sulla lingua, ci rfescono
perch; alludono a 'lproprietà strutturali identificabilit'; r,
ciprocamente, concettf fondamentalf in lfnguisticay come
'înon accettabflel': ''grammatfcale'': I'semfgrammaticalen#o cla,
siffcazioni come ï'complesson, riferite a frasfyfmplfcano gi:
dfzi stflistici. Si puö quindi affermare che grammatica ge-
5. - 8. CI8IkELLI 80iI)8l: C1i usî della parola.
66

nerativa e stilistica concernono lo stesso tipo di fenomeni:


entrambe sono nmentalistfchell nei loro postulati fondamenta-
1i. La capacitâ de1 parlante di dare giudizf stilistici sp-
g1i enunciati prodotti e producibili è manifestazione della
ltompetenza linguistica in quanto capacità di formulare giu-
dizi di grammaticalità e accettabilitâ''.
Le affermazioni di Thorne sono molto importanti, più per
le prospettive che fanno intravedere che per le soluzioni pro
poste; è importante, innanzi tutto, dai punti di vista teori
co e metodologico, l'apertura della grammatica generatlva su1
campo controverso della stilistica (anzi, nella direzione f/
dicata da Thorne, sui giudizi impressfonistici, individualiy
riguardo alle proprietà dei testi).
A questo punto, perö, si tratterebbe di definire, se ci
sonoy le aree di competenza della 'stilistical rispetto a1-
la 'grammatica' generativa: la stilistica si occupa solo de1
le forme in qualche modo devianti? Essa allora diventa una
lgraKmatica della poesial, se si esercita nell'ambito della
lingua letteraria; o un sottoprodotto della graanatica gene-
rativa, se si limita a spiegare ciö che la tgrammatica della
lingua' non puö generare perché inaccettabile a qualche livel
1o; oppure si identffica con la grammatica stessa ne1 dar
conto delle variazioni linguistiche nef loro vari gradi di
grammaticalità, se si accetta che esistano altrettante 'gram
mitiche genetative' quante sono le varietà di lingua (gramm:
tiche cioè capaci di rendere esplicite le varietà linguisti-
che, mediante descrizioni strutturali formalizzate e basate
su assiomi, da cui derivare sistemi di regole predfttive).
Una soluzione semplificatrice (ma in buona dose semplici-
stica) tenderebbe a identificare la stilfstica con lo studio
dellfesecuzione (1a performance chomskiana). 61i argomenti
addottf a favore di questbfpotesi da TURNER, 1973'
, sembrano
avere untevidenza rassicurante, ma non sono specifici dell'i
potesf che fntenderebbero appoggiare, perch: nella loro va-
ghezza sono applicabili anche a punti di vista che non ac-
cetterebbero di assimilare tout court stilistfca e studio de1
la parolç saùsàutiana o della éekforpanc: df Chcmsky oy cômu
jrensivamente, ''delle partiçolari applicazioni dhe k1i scrit-
Eori e i parlànti hànno fatto delle potenzialità detla lina
gua'' (Turner, 1973, p. 19). ,
Asserisce dunque Turner ne1 cap. intitolato suggesti-
vamente I'Language, Style and Situationn che, mentre la
linguistica descrive la lingua e mostra come esm funziona,
la stilistfca è quella parte della linguistica che si oc-
cupa delle Hvariazioni nellbuso della lingua'' (con parti
colare rfguardo aglf usf pfù consapevolf e complessf de1
la lingua letteraria). Mentre la grammntica considera
le frasi Hfuori situazionelf o in( situazioni fittizieyprl
scindendo dai molteplici fattori extralinguistici che
intervengono ne1 processo comunicativo, la stilistica sf
occupa di varietà indfviduali d'uso che sortiscono effel
tf particolari in deterc/nate situazioni, e dei moltepli
ci modi di comunicare g1i stessi contenuti in situazioni
diverse. Compito degli studiosi di stile / descrivere
la lingua nei suoi aspetti .'Iindividualill e dare informl
zioni sulle varie situazioni in cui una parola o una frK
se vengono prodotte.

4.2. Quali sono le principali direzioni di indagine della


stflfstica e f modf fondamentalf di fntendere lo stile da1 pu/
to di vista operativo? Utili suggerimenti a questo proposito
trovfamo fn ENKW ST, 1973, da cuf rfcavfamo f seguenti sche-
mi espositivi .
Partendo dalla trfade parlante/scrittore - testo - ascoltz
tore/lettore, si possono individuare tre direzioni nelle ri-
cerche stilistiche. Un testo si puö analizzare:
(a) in relazione al parlante/scrittore; g1i lindizi' dello sti
le sono cercati nella personalità o nelltambiente che ha
prodotto il testo (stilistica orientata sulllemittente);
(b) in relazione allfascoltatore/lettorey assumendo che le re1
zioni di questi siano più facilmente osservabili df quelle
dellbemittente; g1f 'indizi' dello stile sono rintracciati
68

nelle risposte de1 ricevente a certe caratterfstiche de1


testo (stilistica orientata su1 ricevente: è la posizio-
ne di RIFFATERRE, 1971)9
(c) concentrandosi su1 testo stesso, senza stabilire connes-
sioni coi partecipanti de1 processo comunicativo: g1i
îindizf' dello stile sono colti fra i caratteri struttu-
rali de1 prodotto (stilistica come studio immanente dei
testi).
Partendo da1 rapporto fra i tratti stilistici e l'insieme
da cuf sf fsolano questi trattiy lo stile è stato definito:
(i) come scarto da una serie di lmodelli! (patterns) che
sono stati assunti come norma;
(ii) come 'aggiunta' o sovrapposizione (addition) di tratti
stilfstici a un bespressione f'neutraf!# prestilistica;

(iii) come connotazione: ogni tratto stilistico si precisa


come tale in riferimento al contesto situazionale
linguistico.
La labilità teorica delle nozioni-base e l'elasticitâ mâ
todologica con cui esse sono state impiegate fanno sl che
queste tre approssimazioni al concetto df stile sfano in maz
giore o minor misura complementari o addirittura sovrapponi-.
bili: per ese, la norma di (i) puö essere considerata come
una specie di sfondo 'non stilisticamente marcato ', e allo.
ra rientrerebbe in (ii) (è possibile, naturalmente, anche il
procedimento inverso); oppure la norma in (i) puö essere st1
bilita sulla base di comparazioni con tratti co- e con-testul
li e allora saremmo nellîambito di (1ii).
A riguardare attentamente, in ognuna delle tre prospetti-
ve lïanalisi dello stile si esplica in forma di 'comparazio-
nen in serie di operazioni in cui si mettono a confronto
'tratti' con strutture base (si definiscono trattf in rap-
porto a insfemi strutturali); anche fl contesto sftuaziona-
le di (iii) si deve intend,ere come una struttura complessa,
se lo si vuole assumere come un qualcosa di analizzabile.
Per questo possiamo, in certo modo, unfficare alla base i
l
tre tipi di approccio, scartando g1i elementi più sospetti
69

(per esempio, ci sbarazzeremo subft


l
o della riduzione df (ii)
a una tassonomia degli 'ornamentil'che trasformano unlespres
sione non marcata da1 punto di vista retorico-stilistico in
unlespressione marcata con intensità e frequenza variabili di
tratti connotatlvi retorico-stilistici) e prendendo in esame
t concetti più rilevahti per un primo orientamento sui compi
ti e sui limiti di una ricerca stilistica.
l

La concezione, perdurante con varia fortuna e operâ


tivamente fruttuosa, dello stile come 'scarto' (écart), 'de-
viazioneï da una norma, incappa nelle maggiori difficoltà quam
do sf cerca di definire la 'norma'. La prima difficoltà è
la circolarità in cui si incorre quando, per fissare la nor-
ma, st fa appello proprio a quef caratteri stilistici che la
norma dovrebbe consentirci di dedurre o di classificare. 1-
noltre, dire che una particolarità stilistica (per qualunque
via essa sia stata individuata e descritta) A in qualche mo-
do e misura 'deviante' rispetto a un qualche pattern privo dei
caratteri specifici che abbiamo rintracciato in essa non si-
gnifica altro che riconoscere la specificità di quella data
espressione; in questo senso, e ammessa la lcreatività' del-
la lingua (che non Y un corpus definito e chiuso) tutte le E
spressioni possono considerarsi devianti.
Se nof fdentfffchiamo la norma con la languq, allora tut-
te le realizzazioni linguistiche dfventano stilistiche, es -
sendo la langue la sede df tutte le possibilftà di attuazio-
'
j
ne di ciö che descriviamo come lingua.
Sappiamo che la dicotomia saussuriana ha dovuto ess,
re superata proprio per poter studiare le 'realizzazfo-
ni' linguistiche. COSERIU, 1952, ha postulato un livel
lo intermedio tra nsistema'' (astratto e collettivo) e
ffparola'' (ïndfvïduale), quello della nnorma'fo uso; RO-
l
SIELLO, 1965, parla di lluson legato alla norma per mez-
zo della forza di standardizzazione; dai linguisti del-
la Scuola di Praga è stato elaborato un Napproccio a tre
livelli'' (threçllevel approach) che inserisce il piano
delllenunciazione (utterance level) tra il modello a-
70
'

jtratto della frase e la realizzazione concreta de1 paE


lare. Unlanaloga esigenza ha spinto HERDAN, 1964, a im
terpretare statisticamente il concetto saussuriano di
language come la langue più le sue probabilità di at-
tuazione.
: In campo generativo, Labov, neé suoi studi
dialettologici e sociolinguistici, ha modificato e am-
)
pliato la portata dei modelli di competence inserendo ti
pi df quantificazione probabilistica in una grammatica
generativa. (Chiarimenti a questo proposito in ENKA ST,
1973, pp. 44-46 e passim).
Se la norma si identifica con l'uso standardizzato, il prâ
blema è di stabilire una 'grammatica dellluso' fn rapporto al
la 'grammntica della langue': ricadiamo nella già lamentata i
circolarità, con problemi, di faèto, insolubilf.
Se facciamo coincidere la norma co1 codice (a parte le mo1
teplici assunzioni de1 termine 'codicet, e facendo l'ipotesi
favorevole che questo possa coprire tutta l'area della lin-
gua da1 punto di vista comunicativo) ci troviamo nella nece,
sità di suddividere (o di moltiplicare) questo concetto; una
:
produzione linguistica qualsiasi
?
non è quasi mai messa in rE
lazione dfrettamente co1 'codice'y ma con uno o più 'sottoc/
dici' scomponibili a loro volta in livelli e registri.
Per esempfo: un resoconto giornalistico di un avveni
mento sportivo, per essere caratterizzato stilisticamem
te, deve essere rapportato almeno a due sottocodici: la
lingua della cronaca sportiva e la lingua gfornalfstica,
con la questione supplementare, e metodologicamente im-
portantey della reciproca inclusione dei due sottocodi-
ci (cfr. BERRUTO, 197:py pp. 25-27).
A questo punto, perö, se ci mettiamo nelllottfca de1 rif,
rfmento ai codici, entriamo in un ambito semiotico più gene-
rale, poich; la codificazione riguarda tutti i livelli df
strutturazione di un messaggio; dobbiamo allora accettare di
considerare la stilistica come uno dei livelli di analfsf de1
la lingua e integrarla con g1i altri livelli dello studio sx
miologico.
71

A.3.1. 11 concetto di tnorma', che sembra ovvio quando


entra sul piano dello stile, diventa sorprendentemente problâ
matico, ammesso che non si vanifichi, quando si tenta di prE
cisarlo, di farlo corrispondere a una qualche entità reale o
virtuale.
Operativamente questo concetto / valido non tanto di per
s;, quanto per l'operazione che implica: la comparazione. U-
.
no dei compiti preliminari della stilistica è appuhto
3 la ri-
cerca dei parametri a cui commisurare g1i oggetti della sua
descrizione. 1 parametri possono essere stabiliti:

(a) con criterfo statisticop la maggiore frequenza serve


come termine di confronto per la frequenza minore.
Da1 punto di vista sintattico, enunciati minoritari
sono caratterizzati rispetto ai corrispondentf enuncia-
ti maggioritari: è il caso, per es., di certi tipi almï
no di frasi nominali, che si considerano come marcati,
perchè numericamente meno consistenti dei tfpi co1 verbo
esplicito. Da1 punto di vista semantico, nell'area si-
nonimica, lessemf a bassa frequenza d'uso tendono ad eé
sere considerati come varianti rispetto alle 'forme noI
mali' rappresentate dai sinonimi con più alte occorren-
ze. Da1 punto di vista fonetico, puö accadere che la
pronuncia pi; diffusa in unlarea linguistica finisca per
essere considerata quella normale.

(b) con criterio generativo: due enunciati concorrenti, sM


perficialmente diversi, per es. nella struttura sintattica,
possono avere la stessa matrice, e le dfversftà della strutr
'
tura superficiale dipendere dalllapplicazione di regole tr1
sformazionali diverse . In ta1 caso funzionerebbe come norma
fl pattern astratto, sottostantek stabilfto dalle regole (prx
dittive) della grammatica. Un tale criterioy nei termini in
cui l'abbiamo enunciato, non serve perö specificamente per
la determfnazfone df tratti stilistici: serve anche per que-
sto, ma non ci fornfsce sufficienti criteri di riconoscimen-
to delle marche stilistiche propriamente dette.

4.3.2. In ogni caso, se ci si riferisce a una qualche em


tità o complesso (realizzatf o puramente ipotetici) intesi cz
me norma, si presuppone un altro concetto, quello di devian-
za, da applicarsi a ogni espressione stilisticamente marcata.
Per es.y in un modello sintattico lîanacoluto puö esse-
re generato come una violazione dalla regola della concor
danza tra soggetto e predicato, quando il formativo de1
predicato nella struttura superficiale viene a concordl
re con un formativo dipendentey nell'indicatore sintag-
matico, da un simbolo di categorfa diverso da1 sintagma
nominale soggetto.
Le marche stilistiche possono essere fatte corrispondere
a diversi tipi e gradi di devianza. Ci accostiamo cosl al
nocciolo di quella che ci apparirà la questione fondamentale,
da1 nostro punto di vista: nelle varie fdeviazioni', quali
sono i tratti che ne marcano alcune come stilistiche? Come
rendere esplicita llammissione intuitiva che non tutte le
'deviazioni' graanaticali sono stilisticamente pertinenti eg
reciprocamente, che non tutti i fatti stilistici sono grammm
ticalmente devianti?

4.4. Un altro dei concetti rilevahti per l'indagine sti-


listica, e complementare a quelli di scartowdevfazione e di
normay è la îscelta'.
La nozione di scelta sembra connaturata alla nozione steé
sa di stfle. E' certo che le due concezfonf si trovano strel
tamente congiunte alle orïgini: se risaliamo al primo confi-
gurarsi di una teorizzazione dello stile, di uno sfruttamen- d
);
to cosciente delle risorse dell deloquio, risaliamo alle tec- t
.
niche retoriche, cio/ alla 'scelta' dell'espressione più 1d2
nea e più persuasivay e, conseguentemente, alla teoria e a1- 1
4
).

..

la pratica dellîornatus, che si esplica nella scelta degli T


l
i
'
r
?
,
-
,
;
'

'abbellimenti' da apporre al discorso. 'j

In tempi più vicini a noi, è stata la stilistica di deri-


vazione saussuriana a sottoporre a elaborazione teorica il
5.
concetto di scelta, che consentiva di dar conto degli ele-
menti 'espressivi' (o, come allora si diceva, 'faffettivis')
;.I
73

de1 linguaggio, rapportandoli a una lingua concepita come


stema 'tsighificativob'.
Nel campo degli studi stilistici francesf è stato soprat-
tutto J. Marouzeau (Traité de stylistique latine, 1946; Prd-
cis de stylistique française, 1956) a incentrare sulllidea
di îscelta' stilistica individuale la sua ricerca, che è un
repertorio tipologico dei t'mezzi espressivid'.
Marouzeau sviluppa un tema che era già nella stili-
stica della langue, di Bally. Questi si chiedeva di
quali mezzi espressivi una lingua disponesse per espri-
mere i contenuti concettuali che le normali realizzazio-
ni della langue potevano significare . Mezzi espressivi
sono, per es.: (i) lg'interrogazione; (ii) l'esclamazfo-
ne; (iii) l'ellissi; (iv) l'immaginei'cosl, la richfe-
sta di un favore potrebbe essere espressa come segue :
(i) ï'Mi fai un favore?''(ii) ''Fammi un favorel't (iii)
r'Un favore, ti prego'! (iv) î%on rimarrai sordo, spero,
alla mia richfestan OTspero che tu non faccia orecchi da
mercante'', ecc.). E ancora, si chiedeva Bally, quale
rapporto intercorre tra il ïmezzo espressivo! e il si-
stema df segnf sfgnificativf che ê la langue? L'utfliz
zazione dei mezzi espressivi, attraverso i quali si e-
sprimerebbe, secondo Bally, l'ltaffettività'l, è un ele-
mento perturbatore de1 sistema, un elemento che consen-
te agli utenti di una lingua la libertà di scegliere tra
le possibilità che questa offre.
Questo spunto, appena toccato da Bally, è ampliato da Ma-
rouzeau: lo stile Y per 1ui il complesso delle scelte che
l'fndi/fduo (1o scrittore, perchè Marouzeau si occupa solo di
lingua letteraria) compie tra le innumerevoli risorse che la
lingua mette a sua disposizione .
11 concetto di scelta stilistica è stato approfondi-
to e affinato da DEVOTO, 1950 e 1962, come effetto di
unrazione multiforme esercitata dall'individuo sulla
lingua, ora sotto forma di evasione (uscendo dai'conffhi
de/a linguayp.es.y con l'uso espressionistico de1 dfa-
letto), ora sotto forma di coercizione (per es., piegam
74

do elementi tradizionali a esiti nuovi). L'espressivi-


tà non è più vista come elemento perturbatore de1 sistâ
ma, ma ne è anzf il motore. Per g1i argomentf df cuf
ci stiamo ora occupando è fondamentale la trattazione di
TERRACINI, 1966.

4.4.1. 11 concetto di scelta, come tutti quelli che tro-


vano immediatamente consenzienti ltintuito e il buon senso,
deve essere trattato con una dfscreta misura df sospetto: se
lo assumiamo come concetto operativo, dobbiamo intanto parlâ
re di scelte (e non solo di 'scelta' in generale).
Un campo in cui le scelte sembrano indfscutfbfli
quello delle 'varianti d'autore' nella lingua lettera-
riayil cui studio sistematico caratterizza la ben nota
critica delle varianti (Contini).
Le varianti d'autore possono essere considerate, da1
punto di vista linguistico, come risultato al grado soz
mo de1 processo di interiorizzazione dei meccanismi de1
la lingua a tuttf i lfvellf (metrfco-fonetico, sintattï
co, semantico): allo stadio in cui la lingua da 'stru-
mentot diventa Ioggetto di analfsi'. G1i interventi de1
lo scrittore sulla linguay in questa fase, sono simili
agli interventi de1 criticoy dell'analista e perfino de1
teorico.
11 dato metodologico fondamentale è tuttavia questo:
operando con le varianti, lo scrfttore sceglie non solo
tra due (o più) entitâ linguistichey ma tra queste in
-

relazione a qualcosa d'altro; da1 punto di vista de1


critico questo parametro si presenta assai problemati-
co: se è rappresentato dalle proprietà strutturali de1
l'opera, il rischio della circolarità è evidente (an -
che le varianti fanno parte delle proprietà struttura-
li dell'opera) ma non inevitabile, se le proprietâ non
sono indiv iduate atomisticamente ma sono interpretate
come elementi df un sistema strutturato secondo leggi
fnterne .
75

4.4.2. Le 'scelte' degli scrittori possono essere consi-


derate come un caso limite (per semplificare ci contentiamo
df questa rozza affermazione) che rientrerebbe, ma solo in
parte, ne1 quadro generale delle cosiddette scelte de1 par-
lante. Enkvist (1973, p. 74) distfngue le ''scelte pragmati-
chen (compiute in base al valore df verità degli enunciati :
scelgo di dfre Nnevica'', anziché npiovel'y perchd è vera la
prima circostanza e non la seconda) e le Hscelte grnmmatica-
1in (fatte in base alla correttezza grammxticale degli enun-
cfatf) dalle Nscelte stilistichel', quelle che sono ncorrela-
te solo co1 contestor'. Direcmo piuttosto che scelte pragma-
tiche e scelte grammaticali confluiscono nelle scelte stili-
stfche, in quanto una scelta stilistica puö avere un aspetto
pragmatico oltre che pertinenza grammaticale. Per es., se
decfdo df dire 'lpiovel', anzichd ,!è sereno'l, solo perchd è fa1
tualmente vero che piove, compfo una scelta prazmaticax ma
ne1 momento in cui preferisco i1 significante / piove / al si
gnificante / cade la pioggia / la mia scelta, oltre che praz
matica, è stilistica (ed ha pertinenza grammaticaley in quam
to ltenunciato & formulato secondo le regole della grammati-
ca).
Più fnteressante : il caso di scelte stilistiche che
violïno regole di 'buona formazione' grammaticale e praz
matica. (1 lettori possono trovare facilmente esempi,a
titolo di esercizio applicativo).

i.5. Dire che la stilfstica non si occupa che delle scel


te stilisticamente rilevanti è una pura tautologia; è meglio
dire che si fa della stilistica quando si mettono in relaziz
ne (anzi, in correlazione) le scelte de1 parlante co1 conte-
sto, verbale e situazionale (inglobahdo, dunque, i due aspeî
ti: grammaticale e pragmatico); il termine llscelta''va assum
to ne1 senso più neutro possibile, come la fondamentale ope-
razione linguistica di selezione (sull'asse paradigmatico)com
piuta in rapporto al contesto ('intorno linguistico' e situa-
zione di discorso) e determinata dalle intenzioni comunicati-
ve de1 partante. Quello che dovrebbe distinguere l'analfsi
stilistica dalllanalisi puramente grammaticale è la sua capé
cità (o, se vogliamoy la sua pretesa) di stabilire una gerar-
chia nelle scelte, da1 grado più basso delle opzioni lincon-
scie'y effetto di mera adesione al codicey di accettazione e
applicazione delle 'regole de1 gioco', agli stadi progressivi
delle scelte rispondenti a connotazioni sempre più complesse
(legate al contesto).
Questione metodologfca basilare è in relazione a che cosa
si debba stabilire la gerarchia delle scelte. Se prendiamo
come punto di riferirnento esclusivo l'emittentey dobbiamo f,
re i conti con uno tpsicologismo ' che finisce per diventare
incontrollabile da1 punto di vista linguistico.
Istruttivay a questo proposito, è la posizione di L.
T. MILIC, ''Rhetorical Choice and Stylfstic Option: The
conscious and Unconscious Poles'', in CHATMAN (ed.),1971,
pp. 77-94 . Milïc, riferendosi alla lingua letteraria,
distingue tra ''opzione stilistical' che appartiene alle
decisioni dello scrittore al momento della produ zione
del messaggio e ''scelta retorica'', che non appartiene al
momento della produzione, ma a quello della valutazio-
ne: essa coinciderebbe con llattività correttoria. A ri
gor di termini la distinzione potrebbe rivelarsi sicura
solo in sede di esame delle varianti dlautorey dove il
testo documenta g1i interventi che corrisponderebbero al
le ''scelte retorichet'. A1 di fuori di questo caso par-
tfcolare, con quali criteri stabflire che una scelta è st1
ta fatta al momento della produzione de1 messaggio anzf-
ch; al momento della valutazione, o viceversa? Quando
llanalista si mette a lavorare su1 testo, ''tous 1es jeux
sont faitsl'; egli ha di frontey normalmentey un prodotto
finfto: come possiamo sapere se un chiasmo, o unlallit -
terazione, sono T'scelten o 'lopzionil'? Se non si posso-
no fornire criteri linguistici df decisione si rimane
nelllinconoscibile, almeno per quanto attiene alla sti-
listica. Abbiamo schematizzato la posizione df Mflic
per mostrare alcuni dei pericoli più vistosi in cui si
puö incorrere orientando lfanalisi sulldemittente; bisâ
gna perö aggiungere che le argomentazioni di Milic sono
Più sfumate e offrono sugger'imenti fruttuosi allo stu-
dio delle realizzazionf letterarie in rapporto a sotto-
codici e a generi (per es.y un particolare Iartificio',
istituzionalizzato in un genere letterario, avrebbe i c.
!
ratteri di una ''scelta retorical' se usato in un altro so1
tocodice, o nella lingua correntey mentre,& impiegato al-
lfinterno de1 suo genere, si configura come Nopzione stt
1istica'').
Se prendiamo come punto di riferimento il ricevente, dobbt,
mo, per non aggiungere ai rischi dello psicologismo quelli
dellbarbitrarietà derivante da1 fatto che il ricevente è e-
straneo al testo, accettare senza riserve metodi comportamem
tistico-statistici di esame dei testi.
E' questa la posizione di M. RIFFATERRE, 1971, che dâ
finisce per approssimazioni successive i tratti de1 lllei
tore medio'l, assumendo che una stilistica sia possibile
solo come studio de1 rapporto testo/lettore.
Se prendiamo come punto di riferimento il contesto, pos -
siamo avere un primo criterio obiettivo per decidere non so-
lo l'aspetto pragmatico (ho detto 'ïpiove''perchd Y vero che
piove), non solo lîaspetto grammaticale (decidibile in rappoi
to ai patterns della lingua in qualunque modo io voglfa esplf
citarlf: ho detto l'piovel! e non Npiova'' perchd / cosl che si
produce un enunciato dichiarativo), ma anche, e soprattuttö,
la determinazione dei tratti stilistici: cosl, nella 'T ioggia
nel pinetolf sarà la serie de1 contesti metrico, semanticoyecc.
a mostrarai lfevfdenza della scelta ffpfoveff; nellfuso collo-
quiale sar: lfaccettazione di una tacita convenzione a farmi
preferire, se sono io l'eraittente, 'lpiove'' a 'lcade la piog -
gia''# se questbultimo enunciato mi sembrerà letterarfamente
marcato.

11 riferimento al contesto implica, corntè naturaley il ri


ferimento, pragmatico, all femittente e al ricevente, che so-
no, come abbiamo visto, compresi nelllarea della situazfone
(cfr. 3.1.) e sono pertinenti, da1 punto di vfsta stilistico,
in relazione ai ruoli che essi ricoprono ne1 'mondo' df cui
fanno parte (cfr. 3.1.6.1.).
:
.

(
.

78

4.5.1. La ricerca dei parametri df valutazïone delle scel j


te mette in luce la natura relazionale dei fatti stilisticf;
Per quanto riguarda 1 Ioggetto dell'analisi, 1'attenzione viâ
ne, cosl, utilmente spostata da eventuali fpotesi sull'enti- '
tà definibile come stile a1l'operazione che il riconoscimen-
i.
to dei 'tratti' ammessi Come Stilistici ha sempre comportato:
il giudizio sulle modalità e sui risultati dellfattività 1im E
guistica, in relazione ai fattori (intra e extratestuali)che
intervengono in essa . Proprio questo, come sappiamo, vorreb
bero significare le tradizionali attribuzioni di Henfatico'',
nscorrevoler', ecc. al discorso o le tipologie dei registri
(cfr. NOTE E RIMANDI BIBL. 3.: 3.2), le une e le altre capa-
ci di funzionare da marche di riconoscimento caratterizzantf
delle realizzazioni effettive della lingua.

4.6. Le osservazioni fatte finora ci consentono di assu-


mere un primo orientamento ne1 campo che si apre alla stili-
sticay il campo dell' Ianalisi de1 discorso', il cui corri -
spettivo teorico puö trovar posto in una teoria pragmatica
de1 testo (cfr. 2.2.1.).
La stilistica opera su1 piano dellfespressione e copre al
l'incirca, come è stato affermato (TODOROV, 1970), l'ambito
dellfantfca elocutio (fq fespressione linguistfca delle fdee
trovate nella inventiol', LAUSBERG, 1967, p. 65, cioè la scel
ta e la disposizione delle parole nella frase e delle frasi
ne1 periodo) per rinvenire le relazioni, le costanti d'uso
e le restrizioni che caratterizzano un discorso.
1 tratti ktilisttci non sono elementi definibili ciascuno
di per sd, in assoluto, ma sono sempre 'relativi' ad altre
unitâ dello stesso rango che posseggono marche opposte o co-
incidenti. L'osservazione di SEGRE, 1969, p. 30, secondo cui
nun singolo tratto stilistico non è quasi mai univoco: la sua
funzione precisa risulta soltanto da1 confronto con g1i a1-
tri trattf stilisticf concomitanti o concorrentfy dall:fndi-
viduazione, insomma: di una serie di costanti'' puö essere gm 7
neralizzata da1 sistema stilistico de1 testo artistico (nin
'.
7
:
79

cuf ogni parte ha una sua funzione in rapporto con le altre't


ibid.) allrorganizzazione di un qualsiasi discorso sottoponi-
bile a un'analisi delle costanti d'uso che ne costituiscono
appunto lo 'stile'.
I tratti distintivi dello stile al livello fonematico e
grafematico sono rappresentati da1 numero, dalla frequenza e
dalla distribuzione delle unità minimali (fonemi e grafemi),
con le relative proprietà di intonazfone: la lunghezza delle
parole, le caratteristiche prosodiche (lrentit: e ta curva m,
lodica delle unità e dei complessi di unità ritmiche, per
cui rimando a BECCARIA, 19759 in poesia, le proprietà de1 ve<
so, ecc.ly la disposizione delle pause, g1i effetti grafici
nella composizfone di un testo scritto, ecc.
Su1 livello sintattico, i tratti stilistici si possono rim
venire attraverso la generazione di frasi fornita da modelli
trasformazionali (cfr. OHMANN, 1964): la natura e la frequen--
za di determinate trasformazioni (per es., le regole trasfor-
mazionali che generano le frasi relative) possono funzionare
da segni demarcativi.
Applicando criteri tassonomici e criteri distribuzionali
(di superficie), si puö caratterizzare uno stile secondo la
presenza df categorie grammaticali (relazioni df persona, di
tempo, di modo; frequenza relativa di nomi e verbi; frasi no
minali; tipi di enuncfati ellittici o brachilogici, ecc.).
A un rango superiore rispetto a quello dei costituenti sim
tattfcf dell'enunciato e a quello delle relazioni semantfche
interne ad esso, f tratti distintivi dello stile sono da ri-
cercarsi nelle relazionf transfrastiche: logiche, di fmplica-
zfone, inclusione, presupposizione e conseguenza, ecc.; tem-
porali, di contemporaneità, di successione, ecc.; spaziali, di
simaetria, di opposizione, di gradazione (cfr. T0DOROV,1968).
Rimane poi l'intero campo della ncodificazfone delle mano-
vre stilistiche in figure retorichen (DUCROT, 1972, pp. 16-18),
prodotta da1 meccanismo della connotazione. Quf stilistfca 63
poetica (o teoria della letteratura) si dividono il dominio un
tempo spettante alla retorica, come istituzione de1 'parlare
80

ornato''# m entre la grammatfca fïssava le leggi de1 'parlare


corretto'.

Per una stilfstfca come quella che siamo venuti quf fntrl
vedendo, fondata su una teoria pragmatica della lingua e ca-
pace di dar conto delle intenzfoni comunicative dellîemitten
te prendendo df mfra non solo il prodotto dell'attfvità lin-
guistlca, ma l'atto di parola, la linea di demarcazione ri-
spetto a uno studio grammaticale (inglobante sfntassi e se-
mantica) isola fl seguente territorio:
1) unfanalisi fl cui oggetto sfa non soltanto l'enuncfatoyma
il fatto che questo sfa prodotto da un jenunciazione; '

2) una consfderazfone de1 signlficato non limitata al îsenso''


dell'enuncfatoyma estesa all'insieme delle condizföni praz
matichey psicologiche e sociologiche da cui dipendono le
possibilità d'uso dell'enunciato stesso.
81

NOTE E RIMANDI BI BLIOGRAFI CI -

4.3. Tra le varie accezioni de1 concetto di norma, al qu1


le abbiamo cercato df approssimarci, abbiamo trascurato pro-
prio quella che Y fondamentalmente connessa a unlesigenza di-
dattica e che anzf è legata alllapparire delle analisi lingui
stiche . Una delle ragfoni, infatti, che fndussero i primf
grammaticl a descrivere le lingue fu proprio la volontà di
preservare fncorrotto quello che si riteneva il modello per
eccellenza di buona lfngua, la lingua ''purar', stabilendo la
norma rispetto alla quale le deviazioni dovevano essere consi
derate come aberrazioni. 11 grammatico indiano Pa-vini, de1
IV sec. a.c., a cui risale la prima descrizione linguistica c/
nosciuta, opera proprio ne1 momento in cui, per conservare is
tatte la forma e la pronuncia delle formule df preghiera, nei
testi sacri, si doveva fissare la lingua sanscrita colta, prm
muta dall'espansione delle parlate popolari. Ne1 mondo greco,
la prima grammatica sistematica appare alla fine de1 11 sec.
a.c., per opera di Dionisio Trace, nell 'ambiente ellenistico
alessandrino, ove lo studio dei testi era compiuto in funzio-
ne della conservazione-restaurazione de1 patrimonio classico;
rispetto alla filologia che preparava le minuziose 'edizioni
critiche' dei testi, la grammntica aveva il compito di rende-
re accessibili questi ultimi descrivendone la lingua, anzi i
dialetti, nessuno dei quali coincideva con l'idioma ufficiale
de1 mondo ellenistico, la Koind. Llammirazione per i grandi
autori de1 passato origfnö la convinzione che la lingua attrl
verso la quale essi si esprimevano fosse ''più pura'' e Hpi; coI
retta'' della lingua moderna. Si trasferiva cosl alla lingua

6. - 8. CIFI/ELLI 8081)81: usi della parola.


82

que11a somma df caratteri che marcava la 'letterarietàl delle


opere: il giudizio valutativo su queste, e dunque sulle parti
colari utilizzazioni di una lingua, era trasferito sulla lin-
8ua stessa. Lo scopo delle granunatiche era perciö duplice
spiegare la lingua e indfcare quale ne fosse 1'uso corretto;
la grammatica si presentava sia come 1'inventario delle stru.t
ture base (i paradigmi, le regolarità), degli usi particola-
ri (le eccezioni) e delle norme che presiedevano alle une e
agli altriy sia come il censore e il custode della lingua,con
1'incarico di preservarla dalla llcorruzione degli ignoranti e
degli illetterati't (cito da LYONS, 1968, p. 11, a cui riman-
do per i concetti qui sviluppati). Da questo duplice atteg-
giamento, descrittivo e moralistico, discendeva un principio
metodologico generale: per sapere come far funzionare una
lingua bisognava sapere esattamente come essa doveva funzio-
nare: il dovere era sinonimo di legge da osservarey la legge
stabfliva cfö che era corretto e ciö che non lo era; chi com
travveniva alle leggi fissate dai grammatici cornmetteva de-
g11 errori, parlava o scriveva in modo scorretto. G1i errori
df lfngua erano dunque infrazionf della norma che accettava e
codificava soltanto g1i usi î'purit' della lingua rifiutando g1i
altri come I'impurill o ''volgari'l. C'erano diversi equivoci in
questa posizione, equivoci che è bene chiarire perché essi sl
sono trasmessi quasi inalterati nella millenaria tradizione
delle grammatiche dette normative, che sono proprio quelle
su cui si è basato, e si basa ancora in gran parte, 1!insegn,
mento delle lingue . Innanzi tutto si riteneva che le regole
(normative) fissate dai grammntici rispecchiassero una qual-
che necessità interna della lingua: non si faceva distinzio-
ne tra norma stabilita dall!esterno e legge di funzionamento
interno . In secondo luogo, si assimilava 'lpuro'' a letterario
e ''impurof' a volgare, promovendo la convinzione che 1fuso co-
mune, e quindi la lingua parlata, fosse meno degno (e perciö
da evitarsi i1 più possibile nello scritto) dell'uso documen-
tato nelle opere letterarie. Nel pregiudizio della preminen-
za di particolari tipi di lingua e dello scritto su1 parlato
si perdeva la coscienza delle varietà di un idioma e della
differenza necessaria tra realizzazioni orali e realizzazio-
nf scritte dello stesso codice linguistico.
83

Attraverso la grammatica latina il concetto di norma si


trasmette alle lfngue europee: f grammatici si preoccupano di
tutelare la Hcorretta pronuncia'' (ortoepia), la llcorretta gr1
fia'' (ortografia), l'integrità de1 vocabolario (1a nevrosi pM
ristica e la condanna dei forestierismiy o barbarfsmi) e an-
che della sfntassi (i barbarismi e i solecismi sintattici,
ecc.: tutta una pittoresca fioritura di male piante in -ismi,
a cominciare dai neologismi, sempre sospetti a chi si collo-
ca su posizioni conservatrici). L'uso corretto della lingua
viene ad essere assai per tempo una ''
marcal' sociale (non più
soltanto una marca retorico-stilistica), un contrassegno di
classe, comportante un preciso giudizio valutativo. Vaugelas
(1647) definisce il buon uso della lingua (anzi, i bons usa-
ges) come composto ''dallrdlite delle parolell, quelle adoper:
te daglf strati migliori della Corte: la qualità della lin-
gua denota la qualità dellbutente. Che fa dunque il grammm-
tico? Registra g1f usi, ma discriminando 1 buoni dai malva-
gi, quelli da seguire, questi da rifiutare: non g1i interes-
sa ciö che la lingua èy ma ciö che essa deve essere.
Naturalmente, la situazione non Y uniforme in tutta Euro-
pa: la punta massima di zelo pedagogico si registra fra i
grammatici francesiy per i quali l'insegnamento della grammm
tfca è tuttfuno con l'insegnamento dellfuso corretto della
lingua (cfr. g1i interventi normativo-repressivf dell'Acadd-
mie). L'atteggfamento Y vivo tuttora in Francia, mentre maz
gior tolleranza si ha nei paesi anglosassoni, ove la pedago-
gia L'nguistica athlnlp ha da.tmc/o œ to il bando a/n Vecchfa gram-
matica normatfva. Punti fondamentalf de1 normatfvfsmo nella
tradizione grammaticale francese (e, di riflesso, italiana):
fornire un orientamento ai parlanti riguardo allduso della
lingua, distinguendo, fra le tendenze devianti, quelle psi-
cologicamente o artisticamente giustificate e giustificabi-
lf e quelle da censurare. El su questo terreno che fntentf
normativi e prassi descrittive coesistono: per stabilire la
norma a cui conformare g1i usi bisogna descrivere accurata-
mente g1i usi registrati in un corpus il più vasto possibile
(tesLimonianze di autori nei vari 'generi' e sottocodici de1
la lfngua e repertorf delle espressfonf correntf df maggfor
dfffusione), disponendo di criteri di riconoscimento delle for
me da giudicarsi corrette. Tali criteri possono essere: 1)
applicazione de1 principio dellfanalogia (Y più valfdo, tra x
si concorrenti, quello che è più conforme alle ''abitudini ge-
nerali'' della lingua); 2) ricorso alla îqogicadf, che viene fa1
ta coincidere con un generico 'buonsensot (è il criterio p1ù
sospetto perchd si presta a far scambiare per ï'conforme alla
logica'' quello che in realtà è conforme alle regole della tr1
dizione grammaticale); 3) riferimento alla storia linguisti-
ca, alle vicende diacroniche di determinati usi (per sapere
che cos'è una data forma bisogna sapere che costè stata; è più
legittima quella che è più profondamente radicata ne1 passato
della lingua: di qui lo slogan ''per parlare bene il francese
bisogna sapere il latinobn cfr. DESL, pp. 139 segg.).
Nella prospettiva pedagogica di come fornire una guida per
giudicare se una determinata espressione sia corretta o no,
ha particolare fnteresse per noi l'atteggiamento assunto, ne1
solco della grammatica tradizionale, da1 linguista danese 0t-
to JESPERSEN, che affronta il problema dei criteri df valuta-
zione della correttezza linguistica, nei seguenti due capito-
li de1 volume (che cito nella traduzione ftaliana) Umanftà,
nazione e individuo da1 punto di vista linguistico, Milano :
Feltrinelli, 1965: 'lLinguaggfo corretto e scorrettolf, pp. 63-
- 89 e NLa buona lingua'', pp. 90-102. Dopo aver discusso le
posizioni assunte al riguardo da1 filologo Adolf Noreen (Sprid-
da Studier, 1895), eglf elenca i punti di riferimento su cui
'q duomo comunen si basa quando giudica dell'esattezza di una
espressione: i criteri d'autorità, geografico, letterario, 1
rfstocratico, democratfco, logfco, estetico. La discussfone
a cuf Jespersen sottopone ciascuno dei punti df vista citati
mostra non solo le ragioni intuitive per le quali essi hanno
potuto di volta fn volta essere assunti, ma anche f punti de-
bolf df ognuno, dando lîimpressione che il problema, più che
rfsolto, debba essere o accantonato o riformulato in term ini
diversi. Lc esigenze de1 grammatico che si sente impegnato a
dare giudfzi di legittimità e de1 linguista che è portato ad
assumere un atteggiamento neutrale di fronte af fatti df lfn-
gua, tutti meritevoli di descrfzfone, tengono la trattazione
85

di Jespersen in un equflibrio che talvolta puö sembrare un


po' precario, ma che, tutto sommato, dà credibilipâ alle so-
luzioni normative da 1uf abbozzate. Egli % pienamente cons,
pevole de1 tatto che 'lil compito de1 linguista non è quello
di fare le leggi della lingua, ma di descriverlen, ciö che
non g1i impedisce di osservare che g'il linguista, in quanto
persona che usa la lingua, ha lo stesso diritto degli altri
di influire sulla lingua quando puö, e, grazie alle sue mag-
giori conoscenze, puö farlo con maggiore penetrazione e mag-
giore efficacia di coloro che non hanno un'educazione lingui
sticar'. Quanto di conservatore puö rilevarsi in tale atteg-
giamento non riesce perö ad oscurare una realtà che proprio
i modelli più formalizzati della lfnguistica generativa assM
mono come un dato: la competenza de1 parlante nativo a cui
spetta il giudizio sulla grnmmaticalità deglt enunciati. Bi-
sogna perö notare che in quest'ultimo caso si tratta di un
parlante ideale, non df persone realf; di una competenza 'u-
niforme', assiomatizzata, non di maggiore o minor padronanza
di una lingua da parte di parlantf in possesso di unbeduca -
zfone linguistfca differenziata.
Le accuse fatte a Chomsky di avere ripropostoy mascheran-
dolo, il normativismo della vecchia grammatica sono ingfuste,
perché non tengono conto de1 fatto che le nozfonf chomskyane
di grammaticalità e agrammaticalità non designano categorie
dellfuso (e tanto meno di usi legati a diverse classi socia-
1i), ma il gfudizio di un parlante ideale; tale giudizio non
concerne il valore degli enunciati, ma è unbosservazïone su1
la loro I'buona formazioned', ed è basato su regole, operanti
a vari livelli; inoltre non fa coincidere la grammaticalità
(o buona formazione, o correttezza) con la effettiva possibi
lità che un enunciato venga realizzato (si postulano anzf
enunciati grammaticali, benché non abituali e non ancora re1
lizzati o addirittura non realizzabili in concreto; cfr. an-
cora, a questo propositoy DESL, pp. 142-145).
Com'è noto, la linguistica generativa si oppone anche so1
to questo aspetto al descrittivismo degli indirizzf stru ttu-
ralistici, e ln particolare a quelli de1 distribuzionalismo
americano ne1 cui ambito essa si è affermata: si opponeycioYy
86

anche per il prfncipfo che f dati lfnguisticï empirfci non


sono tutti da considerarsi alla stessa stregua, ma vanno in
certo modo valutatiy per stabilire quali di essi sono gramm:
ticali e quali no (una grammntica generativa è una descrizi:
ne strutturale di tutti e solo g1i enunciati grammaticali di
una lingua; 11 criterfo per valutare l'adeguatezza di un mo-
dello Y infatti la sua capacità di generare solo g1i enuncil
ti ben formati, escludendone g1i altri).
La linguistica descrittiva precedente, invece, rifiutando
il normativismo della grammatica tradfzionale prescrittiva, 1
veva diretto il suo studio su tutte le manifestazioni del-
la lingua, comprese quelle ritenute aberranti, e anzi aveva
mostrato (H. Paul, F. de Saussure) che la tendenza allîanal/
gia, operante secondo il meccanismo delle proporzioni matem,
tiche, alla quale si deve il passaggio df ogni idioma dall'M
no allîaltro stadio della sua organizzazione, si rftrova anche
nei cosiddetti errori, prodotti dalle stesse forze che deter-
minano il funzionamento de1 linguaggio corretto (H. Frei). E-
ra talmente estraneo alla lingufstica descrittiva e storica,
a partire dalla seconda metà dell'ottocento, il compito di
dare giudizi sulla correttezza della lfngua, che la parola
norma ha potuto essere reimpiegata per fndicare un concetto
descrittivo e non un'entità a cui commisurare l'accettabili-
tà degli enunciati. Per HJELMSLEV, 1959, la norma è l'insiï
me deï tratti distintivi dei singoli elementi attraverso cui
si manifesta, e diventa osservabile, il sistema (che è un'em
tità esclusivamente formale, un complesso di relazioni astrai
te), mentre l'uso comprende i fenomeni semantici e foneticf
che realizzano concretamente il sistema; rispetto all'uso la
norma rappresenta un 'astrazione. Analoga tripartizione fn
COSERIU, 1952, il cui concetto di sistema, perö, si avvicina
alla norma hjelmsleviana, comprendente la definizione siste-
matica delle classi degli elementi linguistici (fonemi, mor-
femi, ecc.) attraverso i loro tratti distfntivf, mentre la
norma è l'insieme delle costrizioni a cui la lingua viene so1
toposta dalla comunità dei parlanti per essere effettivamen-
te realizzata in dipendenza dalle variabilf situazfonali; ne1
lfvello della parpla (nhablar') rientrano le varianti libere,
87

individuali, de1 parlante sulla norma sociale. nLa nozfone


df norma, per Hjelmslev e Coseriu, definisce dunque un cer-
to lfvello di astrazione nellranalisi de1 dato, nello studio
degli impieghi effettivi, e non, come si consfderava prima,
un certo tipo di impiego'' (DESL, 141).
Da1 punto df vista pedagogico sembra produttivo, tra i
concetti elaborati nell'ambito della linguistica più recen-
te, assumere la nozfone di accettabilità (per cui si vedano,
fra i testi utilfzzati fin quf, LYONS, 1968, pp. 177 segg.;
THORNE, 1970, pp. 186 segg.; ENKVIST, 1973, pp. 100 segg.;
DESL, pp. 141 segg.; P1T CORDER, 1973, pp. 1O1 segg., ai qu1
li sf deve aggfungere almeno BONOMI-USBERTI, 1972, pp. 158
segg.) fn quanto criterio riferito al parlante, che giudica
Haccettabile'' o no a un qualche livello un enunciato gener:
to dalle regole di una grammatica. Si possono dare cast di
enunciati non grammaticali che siano accettabili in particz
lari condizionf, per esempio come citazioni, nell'ambito di
un testo. L'accettabilità puö essere determinata in rappo:
to al contesto intra ed extratestuale; fn questo senso essa
include il concetto di appropriatezza: non è accettabile (o
non lo è a tutti i livelli, ma solo ad alcuni) un testo non
appropriato alla situazione .

4.6. Ho ricavato spunti e suggestioni per delimitare i1


campo della stilistica da Oswald DUCROT, Dire et ne pas di-
re. Principes de semantique linguistique, Paris; Hefmanù t
1972/ benchd:in quegkfopekà il jrbblema dellù stfle sia ap-
pena sfforatoedf scorcio.
5.

LA PRATICA STILISTICA: STRUMENTI CONOSCITIVI E DIDATTICI FO#


NITI DALLIANALISI DELLA VARIABILITA ' LINGDISTICA E DELLE SUE
CONDIZIONI . RIFIUTO DI PROCEDIMENTI TIPICI DELLA PEDAGOGIA
LINGDISTICA TRADIZIONALE . PROPOSTE DERIVANTI DALL 'APPLICA -
ZIONE DEI PRINCIPI AMMESSI COME BASE DELLA RIFLESSIONE SULLA
LINGUA.

5.1. Ho gfà avuto modo df richfamare l'attenzfone suf com


tributi che si possono richiedere alla stilistica ne1 campo
dellreducazïone lfngufstfca (2.2.1., 2.2.2.). Cercherö ora
di precisare alcune delle principali conseguenze pedagogiche
de1 'punto df vfsta stflfsticof e alcune delle possfbfli '
1ï-
nee di intervento nella didattica linguistica.
Ci muoviamo, come al solitoy su1 terreno applicativo: a1-
l'interno di questo, nell'ambito (a cui ho accennato nella
PREMESSA) della 'formazione' degli insegnanti e nella dire-
zlone, concomftante, de1 reperimento df strumenti didattlci g!
deguati a una pedagogia linguistica rinnovata nei punti di
partenza e negli scopi.

5.1.1. Una rapida parentesf: se l'analfsi stilfstfca & M


no dei modi df studiare la lingua, di accostarsi ai fenomeni
lfnguistici (i1 richiamo alltaspetto fenomenico della lingua
è tanto più pertinente, in quanto stiamo parlando di analisi
90

applicativa e non di costruzione di una teorialy essa non puö


essere considerata, a fini didattici, come alternatfva alla
riflessione sulle strutture grammaticali delle lingue. Essa
è piuttosto una concorrente della grammatica, se vogliamo una
concorrente pericolosa, che aspira a monopolizzare la presa
di coscienza de1 funzionamento di una lingua negli anni (a1-
l'incirca quelli della scuola dellfobblfgo) fn cui si puö ri
tenere che sia prematuro e infru ttuoso compiere le operazio-
ni astrattive richieste da analfsi grammatfcali scientifica-
mente plausfbfli. In altre parole, se si vuole assumere la
lfngua come oggetto df analisiy per esplicitarne i meccani -
smi e fnsegnare agli allievf a servirsene in modo appropria-
to alle diverse condizioni dluso, sono specialmente f princi
pi dell'ïndagine stilistica quelli che possono guidare la rf
flessione sulla lingua.
La spiegazione dei fatti linguistict secondo teorie gram
maticali impone che si adottino modelli adeguati dal punto
di vista scientifico e che se ne metta in luce la relatività:
tali operazioni si possono compiere soltanto quando il livel
lo di maturazione dei giovani consenta di servirsi di esse
attivamentey non relegando l'apparato teorico e metodologico
al rango inferiore df un armamentario recepito passivamente
e da usarsi in modo meccanico. Da più parti fnfatti si con-
tinua a ripetere che la grammatica (ma non la grammatichetta
scolastfca tradizionale) dovrebbe essere introdotta come 1im
guistica nelle medle superforiy proprio quando invece si tr1
lascia de1 tutto ogni tipo, sia pur rozzo ed empirico, di e-
splicitazione de1 funzionamento della lingua.

5.1.2. Dicfamo, naturalmente, che f1 raggio di azione


della stilistica è diverso da quello della grammatica. Se
torniamo a riferirci alla scuola dellfobblfgo, non avremo
difficoltà ad ammettere che / da rifiutarsi come inconcludem
te e dannosa una Hanalisi grammaticale'' (compresa la cosid-
detta analisi logica) come è stata praticata finora, salvo
sporadiche eccezioniy senza coscienza critica, come meccani
ca applicazione di un apparato vetusto, con definizioni in-
consistenti, quel che / peggio, senza una qualsiasi motiva-
zione plausibile, con la pretesa che la conoscenza di una
tale gram atica servisse a parlare e a scrivere meglio, e
con 1'obiettivo im ediato di fornire basi a11'insegnamento
de1 latino. Si noterà che sto mettendo in discussione non
la gram atfca tradizfonale fn sJ, ma f1 modo tradfzfonale df
fare granmlatica. Bisogna distinguere infatti tra l'grannnati-
ca'î come modello (e in questo senso si deve riconoscere che
il modello tradizionale non è nd formalizzato, né esplicito,
n4 coerente; cfr. a questo proposito, le osservazioni di PA-
RISI-ANTINUCC'
I, 1973), e ''grammaticafïcome applicazione di
questo modello . Le gram atiche scolastiche sono infelici ax
plicazfoni de1 modello tradizionale classico, che ; stato di
volta in volta complicato e distorto in un apparato incoerem
te e inutilmente macchinoso di schemi classificatori e di râ
gole e regolette normative, puntualmente contraddette dalle
relative l'eccezionir'. La pratica didattica si è limitata a
propinare le 'linfelici applfcazfonfff della gram atica tradi-
zionale rendendone intollerabili i difetti. Detto questo,
non si puö tuttavia escludere a priori 1 'utilità df e'
lement,
ri ricognizioni sulla struttura degli enunciati, in base a1-
le categorie grammntfcali primarie. Riconoscere le funzfoni
sintattiche fondamentali (soggetto, predicato, complementi de1
verbo e de1 nome) e saper etichettarle secondo la classifica-
zione che da sempre la rfflessïone su1 lfnguaggio, f1no alle
ultime affermazioni della linguistica generativa, ha assegnl
to alle parole (nome, verbo, aggettivo, preposizione, ecc.)
Puö avere un valore euristico notevole, purchd si sfrondi tî1
nalisi delle cavillose e insulse sottodistinzioni (come,per
esempio, la proliferazione dei complementi), si rinunci a pr2
tese definitoriey si mostri, nella pratica, che le descrizio-
ni della struttura deglf enuncfati non devono avere nulla df
dogmatico, e, soprattutto, si impostino g1i 'lesercizf di grau
kn
matical' come esercizi di riconoscimento e di produzfone di e-
nunciatf cortetti daf punti di vista morfosintattico, logico
e semantico.
Per sviluppare questo aspetto della didattica linguistica
(rfguardo alla lfngua madre e alle lfngue straniere) occor-
rerebbe ben più che l'excursus marginale a cui mi tiene co-
92

stretta l'aderenza al tema qui proposto. Mi limito perciö ad


insistere su1 posto prevalente che devono avere nellfinsegn,
mento gracm aticale g1i esercizi: esst devono essere organiz-
zati in modo da sollecitare non solo la pratfca delle strut-
ture morfologiche e sintattiche della ltngua, ma specialmente
la capacità di stabilire legami logici e semanticf tra eleme/
ti dello stesso enunciato e tra enunciati diversi; g1i stessi
esercizi di ''arricchfmento lessicalen che grammatiche scola-
stiche vecchie e nuove prospettano in senso quasi esclusiva-
mente nomenclatore, vanno riformulati in modo da provocare
Pacqc sto di costituenti, di insiemi e di microsistemi lessi-
cali attraverso lo sfruttamento consapevole delle principali
relazioni logico-semantiche (antonimia, iponfmta, sinonimia,
ecc.).
Ma con questo stiamo uscendo dal terricorio tradizional-
mente assegnato alla grammatica; già pariando di rapporti lo
gici tra enunciati siamo entrati ne1 settore delle relazioni
transfrastiche, e ancor più cf allontaniamo daf confini del-
la 'grammxtica della frase' se ci poniamo nella prospettiva
pragmatica della produzione non solo di enunciati ln fsola-
mento, ma di testi accettabili a tutti i livelli, perciö an
che su1 piano dellfappropriatezza contestuale. Coml; noto,
sarebbe vano tracciare linee nette di separazione nella con
creta analisi dei testi - qui finisce il dominio della gram
maticay 1à comincia quello della stilistica -, tanto più se
si tiene presente lfassunto di partenza, cioè l'assorbimen-
to della stilistica generale in una teoria pragmatica de1 te
sto, il che implica ta costituzione di una grammatica testuz
le capace di dar conto degli aspetti pragmatici della comuni
cazione . Tuttavia, anche ammettendo sovrapposizioni di cam-
pi e oggetti di indaginey non è dffficile estrarre e mettere
a fuoco g1i obiettivi propri dellfanalisi stilistica; a ben
guardare, essi coprono una gran parte, certo la piû signifi-
cativa, dell'ambito in cui si collocano g1i esercizi di com-
prensione e di produzione degli enuncfati: per questo si puö
dire che la stilistica è una concorrente temibile della gram
matica .
5.2. Nella prospettiva della comprensione dei testi (orz
li e scritti) proverö a indicare direzioni di analisi e a
produrre esempi, da varie fonti. Per ragioni di aderenza al
tema della ricerca, mi limfterö agli aspetti pertinenti alla
stilistica; superfluo, credo, avvertire che questbottica ri-
sulterà parziale e andrà naturalmente integrata. Per esem -
pioy nella 'ricezione-decodificazione' di testi scritti non
sï puö prescindere dallo studfo de1 contenuto: se sono in g1E
co strutture narrative, si utilizzeranno le procedure sug-
gerite dallfanalisi de1 racconto; va da sö che soltanto una
visione çkikièa globale puö consentire una comprensione non
frammentaria dei testi, tanto più se si tratta di opere lettm
rarie.
Un secondo avvertimento concerne le finalità dell'accostl
mento agli esempi che esamineremo qui. Sono finalftà pedag:
giche, non di ''critica pural': si tratta di vedere se e come
il punto di vista stilistico giovi a comprendere le svariate
manffestazionf della variabilità linguistica, e possa essere
utilizzato per programmnre tecniche didattiche.

5.2.1. Come guida a uno studio della lingua comprensivo


delle principali variabili (differenze diatopiche, diastrati
che e diafasiche e relativi fattoriy che sono allfincirca g1i
stessi indicati ne1 cap. 3) merita di essere preso in esame
il volumetto df Raffaele SIMONE, Libro d'italiano (Firenze.:
La Nuova Italia, 1973, pp. 285). Questo lfbro si rïvolge a-
g1i allievi della scuola media dell'obbligo (agli insegnanti
è dedicata l'efficace Guida acclusa al volume) e mostra con
dovizia di esempi, e con altrettanto numerose proposte di a:
plicazfoni pratiche, quali siano, in concreto, g11 usf che si
possono fare della lingua italiana e come legittimamente
differenzino, non solo a seconda delle intenzioni df chi paI
la o scrfvey ma anche co1 variare dei destinatari e della si
tuazione 0'i vari usf della lingua, le varie 'fette' di cui
la lingua si compone, sono tutti ugualmente opportuni e uti-
1i, ma ad una condizione: che si sappia sempre con precisfo-
ne a chf si sta parlando e in che situazione si sta parlan-
doï'# p. 144). cosl, accanto alle forme ltomuni'lsono registrm
94

te le forme Hufficialin (p. es.: l'correggere/emepdare; prepl


rare/allestire, approntareypredisporreb', ecc.), che ''voglio-
no dire le stesse cosen, ma fn modo appropriato a circostan-
ze reciprocamente ben diverse.
A vaglfare con un po' df pfgnoleria le lfste def lessemf,
è sempre possibile, come per ogni elemento linguistico isolz
to, immaginare contesti contraddittori rispetto a quelli im-
plicati da caratterizzazioni generiche come 'Y omune'' e nuffi
ciale''; ma questo servirebbe soltanto a mettere in dubbio la
capacità esplicativa delle categorie dell'analisi stilistica,
non l'opportunità di confronti, come quelli prospettati da Si
mone, fra enuncfazionf dïverse deglï stessf concettf.
Vorrei qui esaminare analiticamente 11impostazione di
quest 'opera, non per obbedire a intenti recensori e nep-
pure per attribuirle patenti di eccellenza: trattandosi
df un libro destinato alla scuola, potrà darne un giudi
zio motivato, che verta soprattutto sulla sua utilità cz
me 'testo scolastico', chi abbia accertato in qual misu-
ra esso funzioni come strumento didattico (e un simile ai
certamento non si puö ottenere che dando il libro nelle
mani dei ragazzi per i quali esso è stato scritto, e non
soltanto facendo petizioni df principio, 'a tavolinol).
Semplicemente, mi pare che valga la pena vedere come cr1
teri in buona parte analoghi a quelli che abbiamo rico-
nosciuto alla base dello studio di determinate variaziâ
ni linguistiche siano statf applicatf in proposte concrz
te di riflessione e di esercitazioni sulla lingua.

11 primo capitolo (HLa lingua che parliamofg enuclea


caratteri fondamentali della lingua come sistema comuni
cativo: codice comune, non proprietà esclusiva di un sE
lo individuo; manifestazione di unlesfgenza vitale e i-
nevitabile, nella società (non si puö non comunicare);
ne consegue il diritto e il dovere di tutti di possede-
re almeno una lingua; ricchezza e potenza di questa fra
g1f altri sistemi semiotici; la sua capacità di dire tut-
1â; prevalenza della sua funzione comunicativa. Ne de-
rfva una regola basilare: ''la regola della comunfcazio-
ne'l l'unica vera e propria norma che llautore intende
proporre nello studio e nella pratica della lingua: è
essenzfale capire e riuscire a farsi capire dagli a1-
tri; chi non ne / in grado, ''deve correggere la sua co-
noscenza della lingua fino a riuscfrcil'. Per quanto seE
plificante possa sembrare questa proposizfone, bisogna ri
conoscere che essa contiene implicite le ragioni dellfa:
prendimento di una lingua e i motivi per incrementarne la
competenza nei parlanti . I capitoli successivi sono vol-
ti a chiarire che non basta comprendere e farsi compren-
dere, ma che occorre saper scegliere tipo di lingua a sâ
conda di ciö che si vuol dire, delle circostanze in cuf
si comunica, degli scopi che si vogliono ottenere, del-
l'interlocutore a cui ci si rivolge, di che cosa ritenil
mo che questi sappia, ecc. Ne1 cap. 11 (Hcome comunichi:
mofg puntuali esempf (una lettera df Giacomo Leopardi a
suo padre, una lettera dei ragazzi della Scuola 725, di
una borgata romana, al sindaco) introducono il discorso
sui sisterai e sulle condizioni per comunicare e sugli e-
lementf della comunicazione, in riferimento ai qualf ve/
gono proposte formulazioni diverse degli stessi contenu-
ti. E' messo opportunamente in luce fl carattere di maâ
giore esplicitezza che deve avere un discorso rivolto a
persona che non condivida le stesse esperienze df chi
parla, rispetto a un discorso fatto tra interlocutori che
abbiano un massimo di conoscenze condivise; g1i esercizi
relativi propongono fl maneggio di registri di lingua di
versi nell'ambito di un genere determinato (i1 genere e-
pistolare) e il confronto df passi antologici (lettere di
illustri personaggi) basato su1 riconoscimento def ruoli
e delle relazionf (df parità, di superiorftà o di infe -
rioritàlreciproche tra destinatore e destinatarfo. For-
za fllodutoria e possibili effetti perlocutori degli
enunciati sono descritti, naturalmente senza essere chiz.
mati in causa con le loro designazioni tecniche, per mo-
strare come uno stesso atto di parola (per esempio un c/
mando) possa realfzzarsi attraverso locuzfoni diversissf
me. La destfnazione delllopera porta naturalmente il suo
autore ad insfstere su unbaffermazione che sembra ovvia,
ma che, sottoposta ad analisi con g1i strumentf stessi
96

egli ci offre (p. 40) si rïvela problemauica; affer


mare che nper dire una stessa cosa... si possono trovare
sempre una quantità di modi diversi'' non sembra cosl pa-
ciffco nei casi prospettati da Simone: g1i esempi di co-
mandi impartiti in forme svariate, o il celebre passo di
Monsignor Della Casa sull'opportunità di lasciar parla-
re g1i altri senza interromperli, sono manifestazioni di
verse di uno stesso atto di parola (0 di una stessa se-
rie di atti di parola), ma non ''dlcono la stessa cosalk
dicono cose diverse, trasmettono informazioni diverse, co
me vedremo tra poco, ponendocf un quesito cruciale nel-
l'analisi stilistica. In realtà, 3imone paria di ''con-
tenuto imperativo'ly dando perciö al termfne 'contenuto'
non l'ambiguo significato tradfzionale, da rapportarsi a
una 'formaî, e neppure il valore di 'contenuto proposizio
nale ' o 'proposizione! in senso logico, ma facendone un
equivalente della forza illocu toria, il che rende legit-
time le sue osservazioni ne1 caso specifico, ma non evi-
ta un confronto un po1 imbarazzante con i passi in cui
llla stessa cosa comunicatal' equivale proprio alltargomen
to de1 discorso e non al tipo di enunciazione.
Da Monsignor Della Casa alla funzione conativa de1
linguaggio pubblicitario mascherata spesso da funzione
referenziale, il discorso sulle modalità della comunic,
zione si sviluppa su1 tema delle variazioni stilistiche,
proponendo esempi di enunciati che 'tesprimono ptù o me-
no lo stesso significato... con sfumature diverse'! (per
esempio, a p. 48: I'E' un ragazzo che riesce simpatico
tutti. / E' un ragazzo davvero 'forte'. / Come si fa a
non provare simpatia per questo ragazzo?rg . Interessan
te il raggruppamento E (p. 68): l'
Non so se mi sono spi,
gato / Non so se avete capito / E' chiaro quel che ho
detto?fl. Noto per inciso che esso non è assimilabile A
g1i altri della stessa serie (per i quali si richiede di
riunire insieme lltutte le frasi dei vari gruppi che so-
no costruite secondo lo stesso principiolg, proprio pe;
ch; composto secondo un criterio diverso da quelli che
presiedono agli altri raggruppamenti, ove differenti mz
97

dalità d'uso sono ottenute, ora privilegiando aspetti df


versi di una stessa intenzione comunicativa (cfr. s: 1IGr:
zie, ma questi soldi non mi servono / E che me ne faccio
di questi soldiî / Non so immaginare che uso potrei fare
di questi soldilg ora puntando in prevalenza sulle condi
zioni della comunicazione legate allo status degli inter
locutori e ai loro rapporti reciproci, che determinano vâ
riazioni lessicali su1 livello diastratico (cfr. le for-
me gergali contenute nella maggior parte degli esempi).
Tra i motivi di interesse, nell 'opera che stiamo esa-
minando, possiamo rilevare l'illustrazione, sempre, s'im
tendey scevra affatto di tecnicismi, dei diversi tipi di
scelte, pragmatiche, grammmticali e stilistiche (pp. 50
segg.); tra queste ultime occupano un posto preminente le
scelte nelllambito dei sottocodici, cioè le opzioni che
qualificano e distinguono le varietà settoriali della 1in
gua, le cosiddette lingue speciali. Come materiale per
llosservazione / infatti proposto un avviso ferroviario,
di cuf si isolano i termïni tecnici, appartenenti alla
lingua giuridicay mettendone in evidenza la non appropriâ
tezza rispetto alla destinazione de1 messaggio: che è u-
na comunicazione diretta non a specialistiy ma al lcittâ
dino comune', che puö anche ignorare il sfgnificato di
tecnicismi quali 'T ifusione, agente constatante, azione
penale eccen. 11 cap. 1II C'Una lingua italiana, molte
lingue italiane'') dà interessanti esempi di analisi con-
trastive per lingue diverse (italiano, francese, ingle -
se, latino, russo) per mostrare che ognuna df queste si
differenzia dalle altre per le categorie che è obbligata
a manifestare (pe ese, il genere grammaticale in nomi,
aggettivi, participi, forme pronominali per l'italiano;
l'aspetto de1 verbo in russo, ecc.), che ognuna ha rego-
le proprie e cambia nel tempo. Segue un excursus, esem-
plificato su testi, sulla storia della lingua italiana e
sui più recenti rtsultatf dei mutamenti linguistici; il
dfscorso sui dialetti, preciso e, al solito, suffragato
da passi antologici e da proposte di esercizi, sfocia ne1
la problematica della sociolinguistica U'classi sociali e
7. - 8. EIqIkELLI 80qIlql: E1i asï della iarola.
98

uso della linguabt, pp. 129-138). Gli ultimi paragrafi


del cap. I1I sono dedicati alle lingue speciali, e qui
troviamo le osservazioni, a cuf ho giA fatto riferfmen-
to, sulla legittimftà dei vari usi della lingua in rap-
porto alle situazioni, ai destinatari, alle intenzioni
de1 parlante, ecc. Non intendo soffermarmi sui rimanen
ti capitoli: dallo studio de1 significato (tratti seman
tfci e relatfve restrizfonf, campi semantici, ecc.) a1-
l'analisi della struttura sintattica della lingua, i1
discorso si sviluppa coerentemente sulla linea seguita
fin dallbinizio del libro; nla per approfittare dei num/
rosï spunti df rfflessione offertf anche da questsultf-
ma parte delllopera dovremmo dilatare il nostro raggio
di osservazione det fatti di lingua oltre i confini prm
stabiliti .
Meglio invece considerare tutto lfinsieme dei problE
mi e delle proposte concernenti l'insegnamento dellfitl
liano, che esulano da1 campo della stilistica, come la
riprova che la didattica lfnguistica è unloperazione coz,
plessa, per la quale occorre chiamare a raccolta e uti-
lizzare fl maggior numero di conoscenze su1 maggior nu-
mero possibile delle prospettive di studio della lingua.

5.2.2. Esempi pratici di analisi, a complemento di 'lpreli


minari teorici'' e come traccfa per ulteriori esercitazioni di
cui sono puntualmente indicati i temi, troviamo in un'opera
di destinazione diversa dalla precedente e di ambito più spE
cialistico. Si tratta del volume di David CRYSTAL e Derek
DAVY, Investigating English Style (London: Longman, 1969, pp.
264) che teorizza ed esemplifica un'analisi stilistica fond:
ta su descrizioni lingufstiche a vari livellï. 11 primo 1i-
vello ; quello de1 ''materiale grezzol' della lingua, nei due
mediay il parlato e lo scritto; questi appaiono differenzia-
tf fondamentalmente nella sostanza dell'espressione, suonf e
segni di scrittura, rispettivamente oggetto di studio della
nfonetica'' (phonetics) e della l'grafetica'' (graphetics).
11 secondo livello si occupa della llorganizzazione di qu:
sta sostanza (fonica e grafica) nelltambfto di una particol:
99

re lingua o df un gruppo di linguen. E' il piano sistemati-


coydei patterns fonologici, cioè delle opposfzioni sistemati
che dei suonf di una data lingua (o della fonemica, ma Cry-
stal e Davy non adottano quest'ultima designazione) e r'graf/
logici'' (0 grafematici), cioè dei sistemi di scrittura del-
la lfngua. La stilistica, a questo livello, si occupa delle
varietà di lingua caratterlzzate dalla distinzfone specifica
di tipf fonologici (ritmici, di intonazione) e grafematici (x
si distintivi della punteggiatura, delle iniziali maiuscole,
degli ''a capo'! ecc.).
A1 terzo livello si studia ''il rfsultato delltorganizzazi:
ne fonologica e grafologica'' nelle unità più complesse che s:
no oggetto della grammatfca, o morfosintassi, e de1 lessico.
Rientrano in questo dominio le caratteristiche l'indfvidualil'
degli us1 di parole e gruppi di parole, o l'voci lessicalir:
(lexical items), in relazione a diversi contesti, che possono
essere analizzati anche indipendentemente dalla struttura gra/
matfcale dei testi. E' l'area delle 'scelte stilistfcamente
rilevanti', ove la presenza di una voce piuttosto che di un'
altra e la sua frequenza relativa in un testo costituiscono
tratti distintivi dello stile. Connesso a questo, benchd sE
parato, Y il livello Nsemantico'! che per Crystal e Davy con-
sidera Hil significato (meaning) lingufstico di un testo al
di sopra e al di 1à de1 signfficato delle singole voci lessi
cali prese singolarmente'' (p. 19). Quest'ultima area corri-
sponde a quella di cui ho parlato come della sede delle rel,
zioni transfrastiche logico-semantichey e che una teoria(praz
matica) de1 testo potrebbe far rientrare ne1 dominio della
'Grammatica testuale'. crystal e Davy vi comprendono i ''pat-
terns dello sviluppo tematico'fy la distribuzione di ''concet-
ti'' in un testo considerato ne1 suo insieme, 1'uso delle fi-
ure retoriche, ecc. (pp. 19-20).
Ltanalisi su livelli dtstinti è, secondo i due autori, so1
tanto un espediente per isolare e caratterizzare i vari a-
spetti dell'organizzazione linguistica df un testo. L'inter-
sezione dei livelli che si manifesta in tratti appartenenti
simultaneamente a più d'uno di essi comporta il problema del-
la gerarchizzazione dei livelli e dei tratti ('Ter esempio,
10O

se fl rftmo e l'ordfne delle parole di un testo sono entram-


bi stilfsticamente significativiy è molto spesso impossibile
dire se debba avere importanza prioritaria la descrizfone al
livello fonologico o quella al livello graomaticale'', pp.20-
21).
Principi base per stabilire l'importanza dei tratti sti-
listici (stylistic features) in un testo sono: (a) la r.
u ggic'
re frequenza allbinterno della varietà in questione; (b) la
minore frequenza in altre varietl (Per esempio, il sintagma
Nin ordine a...11 caratteristico della varietà 'burocratica'
della lingua è poco frequente o assente nelle altre varietà
d'uso).
11 concetto di varietà linguistica è, naturalmente, ceS
trale nella concezione di Crystal-Davyy che muovono proprio
dalla constatazione che una lingua determinata non è un tu1
to omogeneo, ma un complesso df varietà molto diverse df um
si linguistici (language in use) in ogni sorta di situazione,
in aree geografiche diverse e, bisognerebbe aggiungere, in
particolari momenti dello sviluppo storico della lingua. 0-

gni varietà ha fn comune l'appartenenza allo stesso codicey


ma è distinta dalle altre secondo stratificazioni diverse
(qui il dïscorso si puö ricollegare alla tripartizioney ci-
tata, di Coseriu: cfr. 3.3.2.).
L'esigenza fondamentale di Crystal e Davy è pedagogico-di
dattica: lo studio dello stile appare finalizzato al proposi
to di mettere il parlante (nativo o straniero) nella condi-
zione di padroneggiare le diverse varietà di lingua, tenen -
do conto, nell'organizzazione dellîattività educativa, della
scala delle difficoltà che ciascun settore (o sottocodice)
presenta e che rendono più difficoltoso il possesso dellbu-
no rispetto all'altro.
Alcunf degli esempi pratici di applicazione delle procedM
re analitiche sono riferibili esclusivamente alle varietà de1
la lingua inglese (per es., il capitolo HThe language of re-
ligionn e una cospicua parte di quello l'The language of con-
versationfg ; lîanalisi dei tratti distintivi di ciascun set-
tore non puö essere trasposta ai settori corrispondenti di
101

una qualsiasi altra lingua, per esempfo dellritalianoy ove i


relativi sottocodici non possiedono le marche che caratteriz
zano i sottocodicf inglesi. Certi tratti che in inglese di
stinguono la 'q ingua della religionel' sono, in italiano, ti-
pici di fenomeni della lingua letteraria marcati come 'larcai
ciu; certi stereotipi, e tra i più rilevanti, della lingua de1
la conversazione non sono omologhi nelle due lingue, ecc.
Resta pur sempre df grande utilità, ai nostri fini, l'e -
sempio di come le procedure di un'analisi stilistica coeren-
temente applicatey come qui, alla descriziohe dellbuso lin-
guistico, possano giovare all'organizzazione razionale di pr2
grammi didattici. Le varfetà di lingua sono infatti analizzz
te co1 preciso intento pedagogico di offrire ''modelli'' di de-
cïfrazione delle svariate possibilftà di uso. La comprensio-
ne / rftenuta la base indispensabile per una corretta produ-
zione: chi vuol servirsi di una lingua in modo accettabile a
tutti i livelli deve possedere un ampio e articolato reperto-
rio df possibilità tra le quali fare le scelte appropriate.
Conoscere, e quindi saper riconoscere, l'intonazione carattl
ristica di un discorso colloquiale è la base indispensabile
per poter servirsi della relatfva varietà di lingua in modo
accettabile a livello fonetico (e fonologico); individuare i
procedimenti brachilogici di una radiocronaca e saper espli-
cftarne le regole equivale a mettere in luce i tratti distim
tivi de1 sottocodice che essi concorrono a definire su1 pia-
no sintattico, ed equivale anche a mettere le basi per l'ac-
quisto e per la crescita di una competenza attiva (e non so-
lo ricettiva) in tale campo. 11 progracna didattico desumi-
bile dalle proposte di Crystal e Davy, specie se esposto sch,
maticamente, puö sembrare più vicino a una normativa di tipo
retorico che ad una serie organica df procedure descrittive.
In questo sta forse il suo limite, ma anche il suo punto di
forza, nella prospettiva dell'applicabilità pratica. Llidea
a cui i due autori si ispirano è che il miglioramento della
competenza linguistica (e comunicativa) di chi intende servil
si di una lingua, sia come parlante nativo sia come straniero
che la apprende gradualmentey deve necessariamente passare per
il possesso consapevole del maggior numero di varietà de1 co-
1O2

dice comune, e delle relative dfversificazioni ai livelli d:


scritti.
Nelle linee generali un tale programmn puö fornire utfli
suggerimenti specialmente per lo studio della madrelingua;
per quanto concerne una lfngua straniera esso non fornisce ox
viamente g1i avvii a chi ne sia totalm ente digiuno, ma offre
sia il quadro generale entro cui situare le tecniche glotto-
didattiche nelle prime fasi dellbapprendimento, sia le procï
dure di analisi utilizzabili a uno stadio pfuttosto avanzato
di padronanza della lingua.

5.3. Prendendo lo spunto dai tre enunciatf de1 raggruppl


mento E, in SIMONE, 1973, p. 48, al quale ho provvisoriamente
attribuito un carattere anomalo rispetto agli altri della
stessa serie (cfr. 5.2.1.), proverö ora a dare un esempio di
analisf intesa ad esplicitare le ragioni delle differenze che
distinguono varie modatit: d'uso della lingua realizzanti lo
stesso atto comunicativ o in una stessa situazione di discor-
SO .

Partirö da considerazioni intuitive e cercherö di verifi-


care giudizi impressionistici (del tipo di quelli che solita
mente si danno su1 'f
modo di esprimersilo riportandoli non a
generiche categorfe stilistiche, ma a relazioni logiche (e sl
mantfche) fra g1ï enunciatf. Se questo frammento df analisi
funzfonera
k e se i1 prfncipio che g1i sta alla base potrà es-
sere generalfzzato, avremo indivfduato una possibile direzfo
ne di indagine: m ovendo dai testi in quanto risultati di e-
nuncfazfoni, più che dalla scomposfzione analitica degli enun
ciati soltanto, dovremmo arrfvare a spiegarne i caratteri foE
mali (supcrflcialf) come manifestazloni di relazfonf logiche.
ln altre circostanze le differenti modalità dell'uso lingui-
stico potranno essere esplicitate partendo dallo status-ruo-
lo (sociale) dei personaggi e dalle relative conseguenze sul
piano comunfcativo, riferfbfli, penso, ancora a relazfoni-op-
posizfoni logfco-semantiche. In ognf casoy rinunciando alla
pretesa di attribuire capacftà esplicativa alle semplici e-
tichettature stilistfche (nappartenente a1- o caratterisfico
103

de1 - registro formale, colloqufale, ecc.r', ponfamo) si potrlt


uscire dalle strettoie delle affermazioni tautologiche in
cui spesso si è esaurita l'analisi stilistica volta a Mdefi-
nirelî stili individuali e collettivi mediante 'Y aratterizza-
zioni'' fondate esclusivamente sulle ben note - e incerte
categorie stflistiche (cfr. le osservazioni fatte al cap.
e sui giudfzi (valutativi) che ne scaturiscono.

5.3.1. 1 tre enunciati presentati, già lo abbiamo visto,


come sfnonfmf sono f seguenti:
(1) Non so se mi sono spiegato
(2) Non so se avete capito
(3) E' chiaro quel che ho detto?
Ciö che distingue questo dagli altri gruppi di frasf di-
chiarate equivalentf è l'essere tutto giocato sui ruoli dei
partecipanti della sftuazfone di discorso e su1 discorso ste,
so: il primo enunciato / centrato sullremittente; il secondo
/ orientato sui riceventi; il terzo sembra far perno sullloz
getto della comunicazione. Se analizziamo i tre enunciati in
base alle funzioni jakobsoniane del linguaggioy notiamo che
essi realizzano una stessa funzfone, quella fàtica o di com
tatto, ma in modo differente; lo studio delle modalità d'uso
della lingua deve dirci in che consistano tali dïfferenze.
Intuitivamente, ci rendiamo conto che (1), realizzato co-
me 'egocentrico'y mostra, per quanto riguarda l'aspetto dia-
lettico della comunicazione, un protendersi de1 parlante veI
so g1i interlocutori (cfr. APPENDICE C) che vengono, per co-
sl dire, scaricatf della responsabilftà di un eventuale fal-
limento delle intenzioni de1 parlante (llintenzione di farsi
capire). Reciprocamente, l'enunciato (2), pur chiamando in
causa i riceventiy non ne privilegia affatto il ruolo, sempre
sul piano dialettico:al contrario, sem bra proprio realizzare
un aspetto di quello che Terracinf chiama nil senso di distim
zione de1 parlante'l. 11 terzo enunciato si rivela superficial
mente piû simile a (1) che a (2), in quanto llunico parteci-
pante menzionato è quello che parla in prima persona; perö il
riferimento esplicito alllargomento Ckuel che ho detton) che
104

funziona come soggetto grammaticale dellffntero enunciato dâ


vrebbe mettere in ombra entrambi i partecipanti della situa-
zione. Tuttavia, sempre per via intuftiva, ci accorgiamo cbe
questo fn realtà non accade, e che tanto il parlante quanto
l'interlocutore (in questo esempio, g1i interlocutori) sono
pragmaticam ente presenti.
Cerchiamo di esplicitare queste constatazioni. All'atto
illocutorio di domandare, in (1), (2) e (3), corrisponde un
contenuto che puö essere classificato, in tutti e tre i ca-
siy come: (p) ''Verifica della riuscita di una comunicazionen.
Ma, oltre a questo nucleo comune, i tre esempi citati trasmel
tono cfascuno fnformazfoni diverse, come abbiamo rilevato i/
tuitivamente dallfesame delle varie locuzioni. Da che cosa
dipendono talï dffferenze? Esse dfpendono dalla dfversità
delle implicazioni che lo stesso 'contenutof presenta in cié
scuno dei tre enuncïatf e che sf possono esplfcftare meglfo
attribuendo ad ognuna delle domande in essi formulate una ri
sposta negativa. Se dunque a (p) corrisponde la rfsposta (q)
HLa comunicazione ha avuto esito negativo'' si avranno le se-
guenti implicazioni:
in (1)2 (p ) '!E' da attribuirsi a me se (q)l1;
1
in (2): (p ) ''E' da attribuirsi a voi se (q)'!.
2
In (3) sono possibili entrambe le implicazioni. L'elemem
to che differenzierebbe (3) da (1) e da *(2) dovrebbe essere,
secondo l 'ipotesi qui fatta, proprio questa doppia, e simul-
tanea possibilità. Per vedere un po' meglio come si presen-
ti, in concreto, questa coesistenza (o fusione) di implica-
ti diversi, proviamo a rendere simmetrici i tre enunciati ,
liminando in (1) e in (2) l'indicatore di funzione ''Non so
sel', a cui, come vedremo, corrisponde un tratto stilistico.
Avremo perciö:
(1 ) Mi sono spiegato?
(2a) Avete capito?
(31 EI chiaro quel che ho detto?
Diamo ora risposta negativa alle tre domande e riformulil
mo di conseguenza i tre enunciati come dichiarative:
105

(1 ) 'Io non mi sono spiegato


(2ai
. ) Voi non avete capito
(3i
Cl Quello che ho detto non % chiaro.
Per (1 .) e (2 .) valgono rispettivamente le implicazionf
(p ) e (pZl. Pera
ck diciamo che entrambe possono valere per
(31)? La2risposta va cercata nella (apparente) bidireziona-
i
litl del significato di chia& nell 'accezione che qui ci in-
te re ssa :

/ fn relazione al parlante / = detto chiaramem


te, in modo da (tale da) essere compreso
chiaro
/ in relazione allrascoltatore / = giudicato com
prensibfle, compreso

Ma questa bidirezionalità non comporta due significati


due usi distinti, perché il significato di ''chiarol' (sempre
limitatamente alllaccezione quf postulata) implica in ognf cl
so il riferimento al ricevente: se qualcosa (che viene detto)
è chiaro, lo Y a chi ascolta. ln altri termini, in un even-
to comunicativo, Mchiaro'' è il giudizio che il ricevente dà
riguardo al modo d'essere de1 messaggio; quindf una frase câ
me (3) vale sempre: ''Vi (= a voi) / chiaro quel che ho detto?'t,
anche ne1 caso in cui i1 parlante non menzioni esplicitamente
g1i interlocutori .

5.3.2. Rimarrebbe da dar conto dei tratti stilfsticf, Per


individuare i quali Y indispensabile il riferimento a un con-
testo, reale o, come qui, supposto. Nella situazione di dï-
scorso facilmente immaginabile, che si assum e sia la stessa
per i tre enunciati, il tratto che differenzia i primi due
da1 terzo è la 'forma indirettal dellbinterrogativa. In teI
mini impressionistici si suol dire che tale forma Y Npiù att/
nuatan rispetto alla diretta. Ne1 nostro caso cfè da rileva-
re una scala di nattenuazfonil', dovuta al fatto che l'indica-
tore df interrogazione è dato da una matrice dichiarl tiva
(''
xom solg lnziché da1 perforïatfvo esplicito'' / io / doman-
do / a voi /'r.
106

Partendo dalle interrogative dirette esemplificate in (1a ),


(2a ) e (3) e assumendo 1'esistenza de1 performativo implici-
to di domanday possiamo considerarle come 'trasformatiI di .!!
na frase il cui performativo logicamente presuppone un enun-
ciato come llnon so't. Una delle condizioni necessarie al sus
sistere di una domanda / infatti (cfr. SEARLE, 1969) che non
si sappia che cosa (o come) risponderà l'interrogato (questo
naturalmente non vuol dire llche non si sappia quale deve es-
sere la rispostal': Y intuitivo che moltissime domande si fa1
no proprio per accertare se l 'interlocutore conosce l'argo -
mento che g1i viene proposto come quesito; sono inoltre e -
scluse per ragioni cèmprensibilf, ma a cui qui non accennia-
mo neppure, le cosiddette interrogative retoriche). G1i e-
nunciati contenenti come frase matrice ll
Non so'' non sono dum
que semplicemente la 'versione indirettal della corrispondem
te interrogativa diretta, ma sono i presupposti dei performâ
tivi espliciti di domanda: rldomando se x:' presuppone ''non so
S e X 'î@

Questa scala di relazioni, e di differenze, è ciö che prâ


voca l'impressione, a cui già si è accennato, che la forma i/
diretta rappresenti una l'attenuazione'l della forma diretta.
Quanto più si allunga la catena logica delle implicazioni e
delle conseguenze, tanto più l'eventuale domanda risulta at-
tenuata; per es.: llvorrei sapele se xn presuppone Otpoichè
non so'') e implica: ''/ perciö / dorfkando''.
Lo sfruttamento, benchö rudimentale, delle relazioni logf
che tra g1i enunciati permette di render conto delle osservz
zioni intuitive che le varie modalità d'impiego della 1in -
gua suggeriscono e, soprattutto, di considerare tali modalf-
tâ non quali semplici 'variazioni su1 tema', o modi di dire
la stessa cosa con parole diverse, quasi fosse possibile scim
dere davvero le parole da ciö che esse significano (e da ciö
che il parlante intende significare con esse): ognuno dei
'modi di esprimersi' comunica (almeno) una informazione diver
sa dagli altri modi di esprimersi in cui si realizza lo stez
so atto di parola. Df più, le informazioni apportate dalle
singole ïvarianti' non sono solo df natura referenziale, 1e-
gate cioè ai vari concetti designati (41) ''Ti sentiresti di
107

uscire staserap'; (b) uEsci stasera?'u in (a) l'informazione


referenziale in piùy rispetto a (b)y è ta richiesta riguardan
te la disposizione dfanimo dellffnterlocutoreynon solo la sua
decisione rispetto alllazione di uscire) ma concernonoye spe,
so sono proprio queste le più interessantiyaspetti e funzioni
svarfate della interazione verbaleyper esempio il parlare per
stabflire un legame df solidarietà tra membrf della stessa co
munltà (cfr. la malinowskfana funzione fàtica o di contatto,
ripresa da Jakobson), te varie manifestazioni di egocentrismo
ne1 discorso, i1 parlare come 'agire' nelle molteplici acce-
zioni pragmatiche, una delle quali puö configurarsf come la
funzione conativa (o imperativa) de1 linguaggioy ecc.
La stflistica, in tale prospettfva, non coincide piA con
la retorica dei possibilf rivestfmenti da dare alle idee, m a
Y lo studio di come e perchd diversi 'usf della parola' servl
no a trasmettere informazfoni dfverseyinnanzi tutto sugli ute/
ti e sulla loro visione de1 mondoye su1 mondo stesso: che & un
modi di agganciare l'uso linguïstico ai parlanti e alla sftua
zione comunicativa. Per questo una stilfstica cosl concepita
deve fondarsi su una teoria pragmatica della lingua .
11 compito dellbanalisi stilistica appare evidente quando
si studianoyspecie se a fini dfdattici, tipi dt discorso 'con
correntiî, cio; realizzazionf linguistfche diverse degli steé
si atti comunfcatfvi a cuf sottostà un identico contenuto prE
posizfonale (per es.ynei due enunciati (1) e (b) citati or
orayil contenuto proposizionale puö essere alldincirca parafrt
sato come : l'esfste qualcuno che puö - o non puö - compiere 1'
azione di uscire in un tempo determfnato (staserapg. 11 con-
tenuto proposizionale puö essere fatto coincidere con l'am
gomento, o il tema, df un discorso, ma non va confuso con
essoy e dovrebbe comunque essere esplicftato con parafra-
si logicamente plausibili; esso andrebbe consfderato a
un livello molto alto di astrazione, in cui 1è tradu-
zioni in fra si di una lingua naturale sono sempre, per
necessitâ, approssimative, ey in una certa dose, arbi-
trarie). In ta1 caso viene in luce anche quellfoperazf:
ne che da più parti è riconosciuta come fondamentale in qual-
sfa si tipo df descrizione stflfstica : la comparazfone, da
108

cui, come abbiamo visto, scaturisce ltidea delte seelte che


il parlante opererebbe sutla iingua (o sui repertori fornitl
g1i nellbambito dei vari sottocodici), delle ktdeviazionit'che
le varie realizzazioni individuaii, ma anche collettive, ra2
presenterebbero rispetto a una qualche entità assunta come
n orm a .

Partendo dalla considerazione della dinamica comunicativa


che si manifesta negli atti df parola, da1 loro configurarsi
interno secondo precise relazionf logico-semantiche e dagli
effetti (perlocutori) che essi mirano ad ottenere attraverso
sfruttamenti molteplici della forza illocutoria, si puö ave-
re un quadro abbastanza preciso di come le intenzioni comuni
cative de1 parlante possano fpiegare! la lfngua fn dfrezioni
e in forme diverse. I rischi dello psicoiogismo, in rappor-
to a quell'entità ''misteriosa'' quale è stato definito il par
lante, si evitano focalizzando l'analisi sull/enunciazione e
su1 prodotto di questa, che sono pur sempre dati osservabili
e riducibili a regole esplicite.

5.4. Ho già osservato più d'una volta che un insegnamento


della lingua che accetti f criteri assunti a fondamento o
complemento della presente trattazione implica necessariamem
te un rifiuto consapevole dei presupposti e dei metodi della
pegagogia lfnguistica tradizionale, essenzialmente di quelli
che sono puntualizzati con efficacia incisiva nelle l'Dieci
tesi per lleducazione linguistica democratica'' (in GISCEL ,
1975, pp. 1-12 e in particolare nei paragrafi V, VI, Vllypp.
4-9) che trascrivo qui, per comoditl di consultazione:
V. Caratteri della pedagogia -linguistica tradfzionale
- La pedagogia linguistica tradizi/nale è rimasta as
saf al di sotto di questi traguardi / i traguzrdi indf-
cati dagli articoli 3 e 6 della Costituzione /. QualcM
no ha osservato chey spesso, vecchie pratiche pedagogi-
che in materia di educazione linguistica sono rimaste pl
recchi passi indfetro perfino rispetto alle proposte dei
programmi mfnisterialf, che, certo, non erano e non so-
1O9

no l'ideale dell'efficacia democratica.


La pedagogia linguistfca tradizionale punta i suoi
sforzi in queste direzioni : rapido apprendimento da par
te dei più dotati di un soddisfacente grafismo e de1 poé
sesso delle norme di ortografia italiana; produzione scri;
ta anche scarsamente motivata (pensierini, temi); classi
ficazione morfologica delle parti della frase (analisi
grammaticale); apprendimento a memoria di paradigmi veI
bali; classificazione cosiddetta logica di parti del-
la frase; capacità di verbalizzare oralmente e per i-
scritto apprezzamentiy di solito intuitivi, di testi 1e1
terari, solitamente assai tradizionali; su interventi cor
rettivi, spesso privi di ogni fondamento metodico e di
coerenza, volti a reprimere le deviazioni ortografiche e
le (spesso assai presuntive) deviazioni di sintassi di
stile e vocabolario.

VI. Inefficacla della pedagogia lïnguistica tradizionale


- Della pedagogia linguistica tradizionale noi dob-
biamo criticare fermamente anzitutto l'inefficacia. Da1
1859 esiste fn Italia una legge sulla fstruzione obbli-
gatoria, che, da1 decennfo giolittiano, ha cominciato a
trovare realizzazione effettiva a livello delle primissi
me classi elementari. Masse enormi sono passate da ses-
santa, settantbanni attraverso queste classi. La pedag:
gia tradizionale ha saputo insegnare loro l'ortograffa?
No. Essa ha sl puntato sull'ortografia tutti i suof sfo;
zi. Ma ancora oggi, in Italia, un cittadfno su tre è
in condizfoni di semianalfabetismo. E non solo. L'os-
sessfone deglf ''sbaglin di ortografia comincfa da1 primo
trimestre della prima elementare e si prolunga (e questa
ê già untimplicita condanna di una didattica) per tutti
g1i anni di scuola. Ebbene: sbagli di ortografia si a/
nidano perfino nella scrittura di persone colte. E non
parliamo qui df lapsus freudiani o di occasionali distr,
zioni, ma di deviazioni radicate e sistematiche (qui con
l'accento per esempio, o g1i atroci dilemmi sulla grafia
dei plurali di ciliegia e goccia ecc.).
110

come non insegna bene l'ortografia, cosl la pedagogia


tradizionale non insegna certo bene la produzione scrit-
ta. cali un velo pietoso sulla manfera fumosa e poco dq
cifrabile in cui sono scritti molti articoli df quotidiz
ni. E non si creda che l'oscurità risponda sempre a u-
n'intenzione politica, allblntenzione di tagliar fuori
da1 dibattito i meno colti. Una analisi df giornali df
consigli di fabbrica mostra che in pfù d'uno il linguaz
gio non brilla davvero per chiarezza. E non sempre la
limpidezza de1 vocabolario e della frase Y caratteristi
ca propria di tutti i comunfcati delle confederazioni
sindacali. Oray è fuor di dubbfo che g1i operai e i sim
dacalisti non hanno alcun interesse a non essere capiti.
L'oscurftà, f periodi complicati sono il rfsultato del-
la pedagogia linguistica tradizionale.
La pedagogia linguistica tradizfonale, dunque, non
realizza bene nemmeno g1i scopi su cui punta e dice di
puntare. In questo senso, essa è inefficace. Perfino
se g1i scopi restassero g1i stessf, nelle scuole biso-
gnerebbe comunque cambiare tipo di insegnamento.

VI1. Limiti della pedagogia linguistica tradizionale


Ma g1i scopi dellleducazfone lfnguistica non poss:
no restare piû quelli tradizionali. La pedagogfa lin-
guistfca tradizionale pecca non soltanto per inefficacia,
ma per la parzialftâ dei suoi scopi. Commfsuriamo tali
scopi alle tesi che abbiamo enunziato.
A) La pedagogia linguistica tradizfonale pretende di
operare settorialmentey nell'ora detta ''di italfanol'. Es
sa ignora la portata generale dei processi di maturazi:
ne linguistica (tesi 1) e quindi la necessità di coin -
volgere nei ffni dello sviluppo delle capacità lingui -
stiche non una, ma tutte le materie, non uno, ma tutti
g1i insegnanti (educazione fisica, che è fondamentale,
se è fatta su1 serio, compresa). La pedagogia lingui -
stica tradizionale bada soltanto alle capacità produtti
ve, e per giunta scritte y e per giunta scarsamente moti
111

vate da necessità reali. Le capacitl linguistiche ricel


tive sono ignorate, e con ciö è ignorata non tahto e so-
lo la metà de1 linguaggio fatta di capacità di capire
parole lette e scritte, ma proprio quella metà che è coy:
dizione necessaria (anche se non sufficiente) per il fu/.
zionamento dell'altra metà: come il bambino impara prima
a individuare le frasiy ad ascoltare e capfre, e poi im-
para a produrre parole e frasi, cos! da adulti prima dob
biamo leggere e rileggere e udire e capire una parola poi
ci avventuriamo ad usarla. Ma la pedagogfa linguistica
trae zbY le non fa akun œ nto di ciö.Anziyfa % gio . Molto spes-
so il bamblno (e cost l'adulto) controlla la bontà della
ricezione co1 collaudo. Vi sono insegnanti che non si
rendono conto di ciö e condannano le sperimentazioni con
cui lîallievo controlla sue ricezioni parziali e sue ipo
tesi provvisorie sulla funzione e il valore di un elemen
to linguistico appena appreso.

B) La pedagogia tradfzionale bada soltanto alla prodM


zione scritta, non cura le capacità di produzione orale.
Questa / messa a prova ne1 momento isolato e drammatico
della Minterrogazioner', quando l'attenzione di chi parla
e di chi ha domandato e ascolta è, ne1 migliore dei ca-
si, concentrata su1 contenuto della risposta e, nei casi
peggiori, sulle astuzie reciproche per mascherare e, ri-
spettivamente, smascherare quel che non si sa. La capa-
cità di organizzare un discorso orale meditato o estemp/
raneo cade fuorï dellporïzzonte abïtuale della pedagogia
linguistica tradizfonale. E fuori cade l'attenzfone a1-
le altre capacità (conversare, discutere, capire parole
e forme nuove) elencate alla tesf 111. Sf aggfunga pof
che la negligenza degli aspetti orali dellbespressioney
nella prima fascia elementare, signffica negligenza per
i complfcati rapportf, vari da una regione all'altra, fra
ortografiay pronunzia standard italfana e pronunzie re-
gfonali locali, ciö che ha riflessi certamente negativi
sullfapprendimento dell'ortografia, cui pure la pedago -
gia tradizionale pare annettere tanta importanza.

C) Nella stessa produzione scritta, la pedagogia lfn-


guistica tradizionale tende a sviluppare la capacità di
discorrere a lungo su un argomento, capacitâ che solo rl
ramente è utile, e si trascurano altre e pfù utili cap:
cità: prendere buoni appuntiy schematizzare, sintetizz,
re, essere brevi, saper scegliere un tipo df vocabolario
e fraseggio adatto ai destinatari reali dello scrittoy
rendendosi conto delle specifiche esigenze della reda -
zione di un testo scritto in rapporto alle diverse esi-
genze di un testo orale di analogo contenuto (cio/, im-
parando a sapersi distaccare, quando occorre, da una ver
balizzazione immediata, irriflessa, che più è ovviamen-
te presente e familiare al ragazzo).
D) La pedagogia linguistica tradizionale si è larga-
mente fondata sulla fiducia nella utilità di insegnare
analisi grammnticale e logica, paradigmi grammaticali e
regole sintattiche. La riflessione scolastica tradizi:
nale sui fatti linguistici si riduce a questi quattro
punti.
Tra g1i studiosi, i ricercatori e g1i insegnanti che
si sono occupati de1 problema delldeducazione linguisti
ca esiste un pieno accordo nelle seguenti critiche allo
insegnamento grammaticale tradizionale:

a) parzialità dellffnsegnamento grammaticale tradi-


zionale: se riflessione sui fatti linguistici deve es-
serci nella scuola, essa deve tener conto anche dei fâ
nomeni de1 mutamento linguistico (storia della lingua),
delle relazioni tra tale mutamento e le vicende stori-
co-sociali (storia linguistica), dei fenomeni di collz
gamento tra le conoscenze e abitudini linguistiche e
la stratificazione socioculturale ed economico-geogra-
fica della popolazione (sociologia de1 linguaggio),dei
fenomeni di collegamento tra organizzazione de1 vocab:
lario, delle frasi, delle loro realizzazfonf e organiz
zazione psicologica degli esseri umani (psicologia de1
linguaggio), dei fenomeni de1 senso e de1 significato
della strutturazione de1 vocabolario (semantica); rf-
dotta a grammatica tradizionale, la riflessione dei fa1
113

ti tinguistici esctude dunque tutta la comptessa materia


di studio e kiflessione delle varie scienze de1 linguag-
gio;
b) inutilit: dell'insegnamento grammaticale tradizio-
nale rispetto ai fini prfmari e fondamentali dellfeduca-
zione linguistica: se anche le grammatiche tradizionali
fossero strumenti perfetti di conoscenza scientifica, il
loro studio servirebbe allo sviluppo delle capacità lin-
guistfche effettive soltanto assai poco, cioè solo per
quel tanto che, tra i caratteri de1 linguaggio verbale
c'è anche la capacità di parlare e riflettere su se ste,
so (cosiddetta riflessività delle lingue storico-natura-
li e/o autonomicità delle parole che le compongono); pem
sare che lo studio riflesso di una regola grammaticale ne
agevoli il rispetto effettivo è, più o meno, come pensa-
re che ch1 meglio conosce lfanatomia delle gambe corre
più svelto, chf sa meglio l'ottica vede più lontano, ecc.;
c) nocività delltinsegnamento grammnticale tradiziona-
.1: : le grammatiche di tipo tradizionale sono fondate su
teorie de1 funzionamento d'una lingua che sono antiquate
e,più ancora che antiq:mte, largamente corrotte ed equivoc,
te (ùn Aristotele assai ma1 capito); inoltre, per quanto
riguarda le grammntiche della lingua italiana, a questo
difetto generale va aggiunto (ed è necessario che tutti
ne prendano coscienza), che, fra le infinite parti dei
nostri beni culturali in rovina o sconosciuti, c1è anche
questa: come non abbiamo un grande e civile dizionario st:
rico della lingua (che valga l'Oxford inglese, il Grimm
tedesco, f1 russo o spagnolo Dizionario dell'Accademia,
ecc.); cost non abbiamo un grande e serio repertorio dei
fenomeni linguistici e grammnticali dellfitaliano (e dei
dfalettilp lavori in questo senso sono avvfati, ma ci
vorrà molto tempo prima che per l'italiano si disponga di
una grammatica adeguata ai fatti; costretti a imparare pz
radigmi e regole grammaticali, oggi come oggi g1i alunni
delle nostre scuole imparano cose teoricamente sgangherau

8. - 8- SIFIïELLi F08Ilil: E1i usi della iarola.


te e fattualmente non adeguate o senzfaltro false.
E) La pedagogia linguistica tradizionale traseura di
fatto e, fn parte, per programma, la realtà lfnguistica
di partenza, spesso colloquiale e dialettale, degli a1-
lievi. La stessa legge de1 1955 sulldadozione e la re-
dazlone dei libri per le elementari, porta alla produzi/
ne di testi unici su tutto il territorio nazionale. Se/
za saperlo, forse senza volerlo, lfeducazfone lfngufstf
ca tradizionale ignora e reprime, con ci3, trasforma in
causa di svantaggio la diversità dialettale, culturale e
sociale che caratterfzza la grande massa def lavoratori
e della popolazione italiana.
F) che vi sia infine un rapporto sotterraneo ma sicy
ro tra le capacità più propriamente verbali, e le altre
capacità simboliche ed espressive, da quelle più intui-
tive e sensibili (danza, disegno, ritmo) a quelle p1ù
complesse (capacità df coordinamento e calcoli matemati
ci), /, anche, ignorato dalla pedagogia linguistica tr:
dizionale. Che buona parte degli errori di lettura e
di ortografia dipendano da scarsa maturazione della ca-
pacità di coordinamento spazfale, e che essf dunque vadz
no curati, dopo attenta diagnosi, non insegnando norme
ortografiche direttamente, ma insegnando a ballare, ad
apparecchiate ordinatamente la tavola, ad allacciare
le scarpe - queste sono ovvietà scientifiche sconosciute
alla nostra tradizionale pedagogia linguistica, che /
verbalistica, ossia ignora tutta la ricchezza e primaria
importanza dei modi simbolici non verbali, e che, proprio
perché verbalistica, sopravvalutandolo e isolandolo da1
resto, danneggia lo sviluppo de1 linguaggio verbale.
ln conclusione, rendiamo esplicito ciö che si annida
al fondo della pedagogia lingufstica tradizionale: la
sua parzialità sociale e politica, la sua rispondenza ai
fini politici e sociali complessivi della scuola df clal
se. Nella sua lacunosità e parzialità, nella sua ineffi
cacia, l'educazione linguistica di vecchio stampo è, in
realtà, funzionale in altro senso: in quanto è rivolta a
115

integrare il processo df educazfone lfngufstfca deglf al


lievi delle classi sociali più colte e agiate, i quali ri
cevono fuori della scuola, nelle famiglfe e nella vita del
loro ceto, quanto serve allo sviluppo delle loro capaci-
tâ linguistiche. Essa ha svelato e svela tutta la sua
parzialità e inefficacia soltanto ne1 momento in cui si
confronta con l'esfgenza degli allievi provenienti dal-
le classi popolari, operaiey contadine. A questi, lle-
ducazione tradizionale ha dato una sommaria alfabetizzâ
zione parziale (ancora oggi un cittadino su tre / in com
dlzfonf df semf - o totale analfabetfsmo), fl senso del-
la vergogna delle tradizioni linguistiche locali e coll:
qufali di cui essi sono portatori, la Hpaura di sbaglia-
re'l# l'abitudine a tacere e a rispettare con deferenza
chi parla senza farsi capire. Senza colpa soggettiva e
senza possibilità di sceltay molti insegnanti, attenen-
dosi alle pratiche della tradizionale pedagogia lingui-
stica, si sono trovati costretti a farsf esecutori de1
progetto politico della perpetuazione e del consolidamen
to della dfvisione in classi vigente in Italia. Senza vo
lerlo e saperlo, hanno concorso ad estromettere precoce-
mente dalla scuola masse fngenti di cittadini (ancora
Oggi 3 su 10 ragazzi non terminano l'obbligoy e sono fi-
g1i di lavoratori).

5 .A.1. Tra i suggerimen ti che si possono ricavare da que-


sta ferma presa di posizione (e che sono chiaramente indicati
ne1 cap. VI11 delle 'lTesi'' cit., HPrfncipi dellleducazione 1im
guistica democratica:o riguardano llargomento specifico di
questo corso quelli concernenti lo sviluppo delle capacità ri
cettive e produttive in relazione alla padronanza delle va-
rfetà di lingua. I compiti dellteducazione linguistica in
tale settore consistono ne1 provocare e ne1 favorire: la com
sapevolezza che il testo scritto ha ndiverse esfgenze di foI
mulazionef' rïspetto allrorale, consapevolezza che si promuo-
ve non con esercizi in vacuoy ma ''creando situazioni in cui
serva passare da formulazioni orali a formulazioni scritte di
uno stesso argomento per uno stesso pubblico e viceversal';il
116

maneggio di registri diversi, dai meno ai più formaliyattra-


verso i varf gradi deglf usf, da1 meno af pf; consueti, e la
pratica dei vari linguaggi speciali, compresa la lingua let-
teraria, e con particolare riguardo alla funzionalità degli
usi alllinterno dei sottocodfdi, anche di quelli che la scuola
normalmente trascura, ma che nell'attività pratica hanno un
ruolo importante (linguaggi tecnico, giuridico, burocratico,
ecc.); la conoscenza della ''realtl linguistica circostante''
(delle varietà diatopiche), di come il linguaggio funzfona e
si sviluppa, dei mutamenti di una lingua ne1 tempo (in prospet
tfva diacronica). Si proponç di fntrodurre lo studio di que-
st'ultimo gruppo di argomenti nelle r'scuole postelementarin,
dopo che fin dai primi anni di istruzione elementare si sa-
ranno addestrati g1i allievi alle fondamentalf operazioni mE
talinguistiche di riconoscimento e di analisi dei fatti di
lingua (narricchendo progressivamente le parti df vocabola -
rio più specificamente destinate a parlar dei fatti lingui -
sticin). Le proposte fin qui elencate, e le rimanenti che
sono legate aglf aspettf della realtà sociale e yono fndfriz
zate, come de1 resto anche le altre, non a un apprendimento
fine a sé stessoy ma allleffettivo raggiungimento di una
''più ricca partecipazione alla vita sociale e intellettualef',
obbediscono a un criterio comune, che è l'elimfnazione del-
l'esclusivismo, de1 dogmatismo ristretto e delle ipoteche i-
mitative della vecchia pedagogia linguistica. Alle prescrï-
zioni che bollavano come errore tutto ciö che non rientrava
nei particolari tipi di usi assunti come modelli (si trattas
se di paradigmi letterari indebitamente avulsi da1 loro con-
testo storico o di ben più modeste manifestazioni di un lin-
guaggio 'scolastico' scolorito e pedissequamente imitativo di
assai discutibili ricettari di ''bello scriverebg si oppone la
coscienza critica delle innumerevoli possibilità espressive e
comunicative de1 linguaggio verbale che ha regole diverse e
produce effetti diversi a seconda degli usi che se ne fanno
nelle svariate situazioni (definite da1 complesso di fattori
che conosciamo) in cuf f parlanti realfzzano la loro facoltà
di comunicare (o di 'significare') mediante simboli verbali.
''La nuova educazione linguistfca (più ardua) dice: -
Puoi dire cosl, e anche cosl, e anche questo che pare e;
tore o stranezza puö dirsi e si dice; e questoy questo e
questtaltro è il risultato che ottienf ne1 dire cosY o
cos1. -'' (t''resi'
4cit.zp. 11).
ltBussolal' di questa pedagogia è Mla funzionalità comunica-
tiva di un testo parlato o scritto e delle sue parti a secon-
da degli interlocutori reali cui effettivamente lo si vuole dâ
stinare''. L'insistenza sulla realtà delle situazioni e dei
partecipanci è particolarmente opportuna in una scuola, come
l'attuale, in cui domina ancora, in larghissimi settorf,
pratica de1 ''tema d'italiano'l, come unico esercizio e momen-
to di verifica della capacità di scrivere.
Su questo argomento molto è gfà stato scritto (basti quf
rimandare a DE MAURO, 1975, pp. 13-22), varie proposte alter
native sono state fatte sulle riviste didattiche più impegna
Le, sono state, e sono tuttora, sperimentate in concreto e,
per quanto ne so, con risultati incoraggianti da parecchi do-
centi sensibili alie urgenze deiilinsegnamento linguistico: ci
to qui soltanto ï lavori de1 C.I.D.I. = Centro di Iniziativa
Democratfca degll Insegnanti, Roma, che ha recentemente elabo
rato una serie di f'Proposte alternative al tema df italianoll,
atte a sostituire ai carattere fittizio dl questfultimo tipi
di prove scritte motivate e utilï a'
-la concreta attività che
gli allievi si troveranno a svolgere nelia vita sociale: let-
tere formalf e informalf; telegrammi; domande df lavoro; 1-
struzioni (o richiesta di istruzioni; per ltuso di una macchi
na o per l'esecuzione di un lavoro, di un gioco, ecc.; que-
stionari; verbali di riu
'nioni; reiazioni di un 'assemblea, di
una lezione, di esperimenti scientifici o tecnici, ecc. e svi
luppo degli appunti presi fn tali circostanze; preparazione di
avvisi, ordini de1 giorno, volantini, prograami; inchieste gior
nalistiche nelle comunità di cui g1i allievi fanno parte. A
questi tipi di prove, che rtchiedono il possesso delle modali
tà d'uso caratteristiche delle singole varietà di linguay si
aggiunge la libera (e non imposta a comando in determinati mo-
menti) espressione delle esperienze individuali nei modi ade-
guati al grado di maturazione raggiunto dagli allievi.
.. - . ...

i .

118
i
5.4.2. G1i interventi correttori degli insegnanti nelle
produzioni orali e scritte degli allievi sono momentf fndi-
spensabili nella promozione e nellIincremento della competem
za dei discenti; a questo punto o non ci sarebbe altro da
aggiungere a ciö che già si è detto, rimanendo quindi nell '
ambito dei principi da applfcare, oppure bisognerebbe addem
trarsi in un campo aperto a molte e importanti precisazionl:
riguardo ai criteri di valutazione dell'accettabilità def
testi, da1 punto di v ista linguistico; riguardo agli atteg-
giamenti da adottare, alla prevalenza delllaspetto promoziz
nale su quello censorio, per esempio, da1 punto di vista psi
cologico; riguardo alle tecniche pfù razionali ed efficaci,
da1 punto df vista pedagogico. Come si vede, è questo un
dominio troppo complesso perché lo possiamo abbordare a quï
sto stadio de1 nostro discorso, benché la stilistica abbia,
o possa avere, un compfto preminente proprio in tale ambito.
Meglio rfmandare a una ricerca successiva il complesso dei
problemf e delle possibili soluzioni che l'argomento ci fa
intravedere: l'onesta rinuncia a trattarne qui non mi impe-
disce tuttavia di ritenere che quanto abbiamo osservato ne1
corso de1 nostro lavoro possa intuitivamente e con facilità
essere applicato anche a questa manifestazione dell'attivi-
'
tà didattica.
NOTE RIMM DI BIBLIOGRAFICI

5.2.2. Impostazfone de1 tutto dfversa da CRYSTAL-DAVY,


1969, a cui perö puö essere accostato per l'intento desctit-
tivo e pedagogico, / fl vol. di Virginia TUFTE, 1971, che si
propone di spfegare i procedimenti di formazione dei sintag-
mi e degli enunciati basilari della lingua inglese (definitiy
con le parole di Sapir, nthe basic form patternslt). Attrave;
so l'analisi di esempi tratti da scrfttori classici e contem-
poranei, l'autrice mostra g1i effetti stilistici dell'uso di
particolari strutture grammaticali, fndividuate secondo g1f
schemi di una grammatica a struttura sintagmaticaq frasi nu-
clearf, sintagmi nomfnalf e loro molteplfcf fmpieghï, congfum
zioni e coordinazione, frasi dipendenti, ecc.; trasformazione
passiva. Sono poi esaminati procedimenti retorici in varie m,
nifestazionf di nparallelismil' sintattici e semantici, per fi
nire con una rapida trattazione de1 Nsimbolismo sintatticon,
che, secondo la definizione della Tufte, sarebbe da intender-
si non come una funzione de1 linguaggio in generale, ma come
una particolare funzione della grammatica, atta ad esprimere
Mqualcosa di non verbale per mezzo di un certo ordine evoca-
tivo delle parole che rende leggibile (legible) l'illeggibi-
le (illegfblep', p. 234. A questa trattazione sf puö rfmpr/
verare di non essere abbastanza esplicita e di indulgere tro:
po spesso a illazioni impressionistiche non sufficientemente
provate.
Per fl lettore ftaliano & molto pfù profïcua la lettura y
non dico solo dei numerosi saggi di crittca stilistica, a
cui non accenno qui perché trascendono il tema da noi sviluz
pato, ma di opere come il vol. collettivo BECCARIA (a cura
120

dily 1973, dove le caratteristiche di alcuni dei sottocodici


più dfffusi della lingua contemporanea (i linguaggi giornalf
stico, politico, televislvo, pubblicitario, sportivo, della
crïtica letteraria, della scienza e della tecnica, i gerghi
della malavitalsono analizzate con dovizia di esempi ey qua-
si semprey con novità di impostazioni metodoiogichey o come
parecchi dei saggi contenuti nellfaltro vol. collettivo, Ita-
liano d'oggi. Lingua non letteraria e lingue speciali, Trie-
ste: Lint, 1974.

5.3. Se vogliamo procedeçe oltre e investire non tanto


modi quanto il tipo di critica che consiste ne1 ''caratterizzl
re'' l'idfoletto di opere e autori singoli, dobbiamo ammettere
con AVALLE, 1972, pp. 149-153, che questa critica ''definito -
ria'' (alla quale egli conduce un attacco serrato) si esauri-
sce in l'una operazione sostanzialmente tautologica e ripetiti
va nei confronti dellloggetto della... indaginell, operazione
tq egittima solo in casi particolari; quando ad esempio mf c/
struisco punti di riferimento, insomma parametri stilistici,
atti a facflitare perlzfe attributive in caso df opere adespc
te (soprattutto medievalillv
NOTA SUPPLEMENTARE

O.k. Ne1 corso de1 lavoro ho utilizzato più volte la no-


zione di atto linguisticcy senza perö specificarne il signi-
ficato. Mi propongc ora dl fornire elementari ragguagli sû-
g1i sviluppi della teoria degli speech acts esaminando alcu-
nf dei tentatfvf di rendere esplfciti g1i aspetti dell'atto
di parola. Un esame sistematico di tali aspetti potrebbe fom
nire efficaci strumentf di lavoro alldanalisi delle 'intenziâ
ni comunicative! de1 parlantey le qualf hanno un ruolo prima-
rio nell'esercizio effettivo de1 linguaggio.
Per uno studio deglf 'attf df parolaf o fattf de1 parlare'
Y indispensabile partire dalla classificazione proposta da1
filosofo inglese J . L . Austin, della scuola di Oxford, o de1
la filosofia analitica de1 linguaggio. La teoria di Austfn
cerca di precisare il ruolo degli enunciati in una situazio-
ne comunfcativa, fn quanto 'atti' effettivamente compiuti da
un parlante. Non è una teoria linguistica in senso stretto,
in particolare non è una teoria grammatfcale (una teoria che
riguardi specfficamente la costituzione grammaticale degli â
nunciati), ma puö fornire una base abbastanza solida alla
considerazione di uno dei due poli dialettici della comunicz
zione, il parlante, che produce un enunciato con l'intenzfo-
ne di comunicare (significare) qualcosa.
L'analisf degli 'atti di parola' seziona dunque non ciö
che vien detto, ma llatto che si compie nell'enunciare un dl
to contenuto proposizionale: è unfanalfsi orientata suglf ai
ti effettivi de1 parlante in quanto emittentey ne1 processo
comunfcativo, ma non privilegia l'aspetto soggettfvo, non è
centrata su quella che JAKOBSON, 1963, pp. 186-87, chfama la
funzfone espressfva de1 lfnguaggfo; è un'analfsf che dfstin-
gue l'intento (scopo) degli enunciati (1a loro forza illocu-
toria) dalla loro forma grammxticale (l'aspetto locutorio) e
dall'effetto (perlocutorio) che essi producono sull'ascolta-
tore.

L'informazfone trasmessa da un atto linguistico po-


trebbe essere comunicata con mezzi non linguistici: per
es., coi gesti, con la mimica, co1 disegno, ecc. (Per
la complessa problematica delldorganizzazione dei vari
sistemi comunicatfvi, df cui si occupa la semfotica - o
semiologia - basti rimandare a ECO, 19759 undfntroduzfp
pe succinta alle principall teorie semiotiche - ivi com
prese le proposte di ECO, 1975 - con una panoramica dei
diversi campo d'indagine, in CALABRESE-MUCCI, 1975).
Lîequivalenza, a livello di contenuto informatfvo, tra
un atto linguistico e un atto df comunicazione non lfn-
guistico ha fnteressanti implicazioni nella didattica de1
le lingue, a cominciare dalle tecniche elementari per
cu1 si spiega i1 significato di parole e di brevi frasi
sia con disegni che raffigurano g1i oggettf nominati o
le situazioni e i comportamenti ai quali si riferiscono
le frasi, sia co1 metodo ostensivo, cioè indicando g1i
oggetti in praesentia (o ancora le loro raffigurazioni)
0 mimando g1i atteggiamenti e i comportamenti descritti
dagli enunciati linguistici.

0.2. Quando un parlante fa una qualsiasi enunciazione coz


pfe una serie df atti, che proveremo a descrivere con un e-
sempio fra ï più semplici. Supponfamo che il parlante pronum
ci la seguente frase all'indfrfzzo di un interlocutorey in u-
na situazione facilmente immaginabile: ''Esci di quiln. Ne1
fare questa enunciazfone egli esegue i seguenti atti:
123

(i) formula un enunciato, secondo le regole della graauati


ca italiana che generano le frasi imperatlve;
(ii) dà un ordine, che potrebbe essere iapartito anche in
forma non linguistica (per es.y'indicando con gesto pe
rentorio la porta);
(iii) se l'ordine viene eseguito dallîinterlocutore, cioè se
l'intento della lillocuzione' Y stato realizzato (Y am
dato ad effetto), il parlante ha compiuto la perlocuzi:
ne di indurre l'interlocutore ad uscire. Naturalmente,
lfeffetto perlocutorio sarebbe stato lo stesso, se raà
giunto con mezzl non linguistici.
Tralasciamo come irrilevanti ai nostri fini le quâ
stioni puramente fattuali connesse alla realizzazione dE
g1i effetti perlocutori: quali siano le condizioni ne-
cessarie e sufffcientf per la sussistenN degll effetti
perlocutori: se, per eso, l'interlocutore ha compreso a
quale effetto mira l'illocuzione, ma si rifiuta di adol
tare 11 comportamento voluto dellîemittente de1 messag-
gio, non si puö certo parlare di perlocuzione riuscita
(ma si potrebbe parlare di perlocuzione al grado zero,
anzichd di effetto perlocutorio nullo, oppure, se l'al
teggiamento provocato risulta l'opposto di quello ini-
zialmente volutoy di perlocuzione inversaS).
Possiamo schematfzzare come segue ciö che avviene in un
atto di parola, distinguendo le tre categorie fn cuf esso è
analizzabile e osservando (sulla scorta di CHATMAN, 1974, p.
7) che tali categorie l'non sono delimitate per opposizionel':
124

aspetto locutorio forza illocucoria tpossïbile) ettet-


(locuzione) (iltocuzione) Lo perlocutorio
(perlocuzione)
'fperchè non vai a indurre l'tnterloc/
casa / ? /11 tore a darmï un iïn-
(2) I'Non vai a casa rormazione
Y MANDA
(3) !1A casa non k7i eonvincere l'ïnterlo
vai /-'? /1' iuLore ad andare
* @ * @ ** * @@ @ ** * @@ * @* sorprenderi.o
spaventarlo
faetterlo ln sospett:r
a
impedirgli di fare
kluakcos'alcro
* **@w@***@*@***@**

(11 punto interrogalivo tra parentesi quadra, nella


colonna di sinistra. 5 - un 'rozzo espediente introdotto
per avvertire che lfelemento designante la domanda aon
appartiene a1l'aspetto rocu torio, ma e h, u
-ome vedremo tra
poco, 1 'indicatore della forza iliocutoria. A rigore, w,0
gni traduzione lessematica della locuzione risulta, da
questo punto di vista, 1mpropria: anche l!aspetto locuto -

rio infatti andrebbe espresso mediante una categorizza -


zione - tzome si Z- fatto per la forza illocutoria -. o con
.
una parafrasi -* t'-ome per 1reffetto periocutorie -'
. . Per
comodita- ho zzreferito identificare tout court con la for
ma definitfva degli enunciati guella combinazione df suo
ni articolati provvfsti di significato che, secondo ku-
stin, c-ostituisce l'at- wo' locutorio. E ' ancora opportuna
una precisazione terminoiogica: traduco w -on Matto ii1ocu
toriol' o 'ftllocuzione'' l'ingl. illocutionary act, che al
tri traduce came ''illocuzionarfof' e clne in GI C IOLI, 1973,
pp. 89-.107 dfventa ''atto a1locutivof'/A.
Ogni illocuzione puö manifestarsi attraverso locuzioni dif
ferenti e dare adito a una varietâ difficilmente delimitabi-
le di perlocuzioni.
La struttura sintattfca e iessicaie delie locuzioni che pos
sono corrispondere a uno stesso atto illocutorio Y soggetta
ad una varietâ che rispecchia, in gran parte, se non totalmem
tey la varietâ delle perlocuzioni. Intuitivamente, ci rendiz
mo conto che in (1), (2) e (3) la diversa collocazione delle
stesse parole e la presenza, o ltassenza, di lessemi C'per-
chdn) introducono differenze di contenuto che sf possono rem
dere esplicite medfante parafrasi. Queste parafrasi chiari-
rebbero l'interdipendenza tra la varietà degli effetti perlE
cutori che lfillocuzfone mira a produrre e la varfetà delle
locuzioni in cui essa appare realizzata. Cfè da notare perö
che una stessa locuzfone puö comportare più di un effetto
perlocutorio e, viceversa, che a una sola perlocuzione poss/
no corrispondere locuzioni molteplici.
Ne scaturisce una prima conseguenza molto importante: g1i
effettf perlocutori sono legati non solo alla 'formal gramm,
ticale degli enunciati (nella quale appare l'aspetto locuto-
r1o dell'atto di parola), ma al contesto, intratestuale e si
tuazionale.

0.3. Centrale, nelltatto di parolay & l'illocuzione: essa


è ciö che caratterizza l'attoy è l'atto stesso nella sua 'for
za': l'atto che compiamo nel dire qualcosa: ''ciö che nof fac-
ciamo ne1 dfre ciö che dicfamo'' (nel domandarey ne1 consfglil
re, ne1 predire, nelltasserire, nelldordinare, nel prometterc,
ne1 negare, ecc.).
'ïciö che dfciamo'' appare, ne1 suo aspetto puramente lo
cu torioycome catena di lessemi organizzatf in una detel
minata struttura sintattica e intonazionale.

All'inglese to perform, che si puö rendere con Neseguiren


(un atto) è connesso l'epiteto di performativo (= esecutivo),
con cu1 si indica l'aspetto illocutorio di un enunciato. Io
posso compiere l'atto illocutorio de1 domandare facendo una
domanda: (4) HVfenf da me??', l'atto illocutorfo de1 comanda-
re dando un ordine: (5) ''Vieni da mer', g1i atti illocutori
de1 promettere, o de1 concederey facendo una promessa o una
. r@'
f y
concessione: (6) ''Domani ti farö venire sicuramente da me',
(7) ''Potrai venire da me domanin. Negli enunciati suddetti
126

la domanda, il comando, ecc., sono espressi in superficie (s2


no realizzati) da quelli che Searle chfama rlindicatori di fu:
zione (function-indicating devices); essi agisconoy general-
mente, associati e sono: ordine delle parole, modalità dei
verbi, intonazfone, punteggiatura, avverbi. Fra g1f indica-
tori di funzfone Searle comprende anche quelli che Austfn ha
chiamato nverbi performativi'! la cui caratteristica ; appun
to quella di rendere esplicito il tipo df atto illocutorfo
che il parlante esegue pronuncfando una frase: se, nellfesem
pio (4.) io inizio la frase dicendo: (4 ) '''
I'; domando se...!!
l a
a forza fllocutoria della domanda Y affidata non più a11'f.!z
tonazione (indicata, nello scritto, dalla punteggiatura), ma
al verbo (domando), che è percfö un indicatore di funzione
al pari dell 'intonazione, della punteggiatura, dell'ordine
delle parole, ecc.
Qual è dunque i1 tratto che distingue i verbf performati-
vi daglf altrf, che Austin chiama constative ('Yonstatatïvft')?
quando il parlante usa un verbo performativo, non enuncia sem
plicemente undazione, ma la compie nellbatto stesso di enun-
ciarla. Se dico ''io prometto'', sostiene Austiny io non in-
formo soltanto i1 mio ascoltatore riguardo a una mia azione,
ma compio l'azfone di promettere (non importa quf che la pro
messa non sia sincera); cosl se dico: ''ordinoy mi scuso, do-
mando, disapprovo, ecc.'' (Austin asserisce che f verbi perfo;
mativi inglesi sono circa un migliaio), eseguo le azioni e-
nunciate, nell'atto stesso fn cui le formulo. In tali verbi
fl dire e il fare coincidonoknon cosl in verbi come ''
mangiol',
''canto''# ''corroll# coi quali informo su azioni, descrivo at-
teggfamentf, ma non compio quelle azioni o assumo quegli at-
teggiamenti per il fatto stesso, e nellratto stessoy df enu/
ciarli. Questi ultimf verbi sono constatativi. (1)

(1) Indipendeniezenle da lusiïn (e priza diiui), i1 linçuista francese Ezile 8en


veniste era pervenuto a un concetto anaioço a kuello di perforzalîvo studian-
i
io la BscçgcltivitL ne1 linjuaççio'
'(Da la subjectivité dans le iannane.lsb8;
n8enveniste,lgbb,;;.310-320). In verbi cozeuîurare. prozettere, naran-
./.
127

11 tratto che distingue i verbi performativi Y dunque l'es


sere in grado di esprimere la forza illocutoria di un enuncia-
12. Ora, perchd ciö avvenga devono essere soddisfatte tre
condizioni: il verbo performativo deve

(i) essere alla prima persona,


(ii) essere al tempo presente,
(i1i) essere affermativo.
Nell'es. (8) 'qo ti ordino di usciren le tre condizioni

. /.tire,ccrtifïcare,8enveciste sccpre uqa specie 8i forza ticcazione,guanio


iali verbi sîano enunciati alla priza persona: ''io çiurol
'sîtua la realtà de1
jiurazento in colui che si enuncia iol. ûuesta enunciazione è un cozpizento;
Bçiurare'lconsiste apiunto nelltenuncîazione di Bïo çiurol'. Fa non L il sijnj-
ficalo dei verbo a contenere quesia condizîone:è la Bsoççettivitàn de1 discoz.
so a far sq che l'enunciazione sî identifichi con l'atto- Infatti, sostîiuen-.
do aila priza la terza persona, llatto non viene ;ir eseçuito nellfesser forzy-
lato, viene sezplicezenie descritto- 8enveniste rîtorna su questa dizasirazii.
nequando,ribaltendoalla lesi deifilosofi dîoxfort (La philosonhie analyti-
nue et le lannaqe,1g63, 'n8enveniste,hg66, ppo821-331), eçli resirinje la
nozione dî ierforzativo ai perfoczatlvi espliciti: Bkenite! è s) un ordine, za
linçuisticazente è una cosa cozpleiazente diversa da1 dire: ordino che voi ve-
niaten (;-328). 11cisultatn (praiico) che siottiene con entrazbiç1i enun-
ciati non è pertinenie per stabilirne llequivalenza da1 punto di vista lingui-
stico:ilcozportazento chesîziraa ottenere non va confuso con la forza del -
lienunciato, la iuale? ne1 caso de1 perforzativo, produce un enunciato che è 81'
atio stesso che esso nozina e che nozina il suo esecutorell. 8enché quesle con-
clusioni diverçano dai rîsuliati a cui ierviene la classificazione deçli attî
di parola di lustin e riflettano coerentezenie la posizione dî un iinçuîsia che
si occuia deçli elezenii osservabili della linçua, tultavîa il tener conto, co-
ze fa 8envenîsie? delle relazionî îniepsoççettive realizzaie forzalzente neçli
enucciati dà llavvio a un uoto di considerare la linçua che non trascuri i fini
e ç1i effetti perseçuiti e prodotti da1 suo izpièçoo kuesto consente untaper-
tura sulla dszensione praçzatica de1 linçuaççio, non zeno di quanto facciano le
prosiettive dischiuse daçli svilupii tella filosofia analîtica.
11 ierforzatîvo è introdotto cnze Bconfîçurazione dozinante'' rispetio a una
'confîçurazione dozinatal', la proposizîone, che è '
lla rapiresentazione de1 ooy-
tenuto dellafrase'l, da Farisi elniînucci (1g73), ;po1b2-16go Esso deve dar
conto della differenza tra frasicoze: (1)Franco rest-
a-in salotto: (2)Franco
resta in salottok;(3)Franco. resta in salottol,che hanno lostesso conlenu-
to iroposizionale, zenire dîversa è l'intenzione del parlante nelllenunciare qae -

sto contenuto. La rapiresentazione sezantica non gotr) dunque essere la stessa


;er le tre frasi, ierché dovrà raffiçurare llllintenzione de1 parlantell e il ;a.r-
/.
128

sono soddisfatte: l'enunciato ; performativo. Non sono per-


formativf, ma constatatfvf, f seguenti enunciati: (9) ''Egli
ti ordina di uscfrel', (10) lqo ti ordinai di uscireI', (11)
l'Io non ti ordino di uscirell, in ognuno dei quali sono sod-
ffsfatte soltanto due delle tre condlzloni elencate (cfr.
Ross, 1970, p. 222).

0.3.1. Esempi come (4a ) e (8) contengono un verbo perfor


-
mativo esplfcito; in esempf come (1), (2), (3)y (4)y (5), (6),
(7) il verbo performativo è implicito. ROSS, 1970, genera-
lizza l'idea di Austin e postula un verbo performativo impli
cito, astratto, nella struttura profonda di tutte le frasi,
comprese le dichiarative. In base a questo principio Ross
rappresenta la struttura profonda di una frase dichfarativa
come MPrices slumped'' co1 seguente indicatore:

/.ticolarecontenutosu cuiessa si esercïta. 8o1to int-eressanii ;er le canse-


.
çuenze che ne iossono trarre sul piano slflistîcu sonc le ussarvazioni sulla
gossibilità dî attribuire a un enunciato un valare perforzativo diverso da
quello che ha aiiarentezenie. Cosl ana dozanda aiiarenie coze: lFerchl non
vai in trenoî'
' ;uL non essere la richiesia ti un'inforzaziohe, za un ïnvito
a cozpiere una det-'zinata azicne. jbbiazo a che fare, coze sî veée, con 11
atto perlocutorio, il cuî dozinîo (coze,da an aliro punto di vista,quello
dellafunzioneconativa) sieslendea zanifestazioni svariate de1 linçuaççio
in atto, cozprese ruelle che la retorica antîca classificava coze Ildiscorsi
epidittiil. ra ancora ;iù interessanti potcebbero assere, ai nostrifîni, le
rappresentazioni delle frasi coordînate zediante la /oce lessicaleA t';p- 166
-
160),ovesipassaHdalla raipresentazionetellefrasîsinçoleallarappresqn
--
lazione del discorsoll. Fer discutere la pcoposta dî parisî e àntînucci dovraz
zo iriza chiarire, alzeno a çrandi linee,i1 loro iipo di analisi deçli enun-
ciati in cozponenti sezantici, che ha ana notevole oriçînalitb, anche se ovvia -

zente n9n pretende dî essere cozgleta. osservîazo soltanto che lfabbozzo dî


raigresentazione àe1 carattere essenziale f
'di cf5 cha chiazfazo discorso, cioè
di ciè che differenzia un insieze di frasi separaie da un insieze difrasi for
zanti un discorso'
' riaane solianto ùn abbozzo, lizitato a un caso sinçolo t
'un
tipo iarticolare ticoortinazione),né sivete coze una tale grocelura possa ve
razente rappresentare le grogpietà de1 Bdiscorso connessolle non solo una soz-
za tifrasi .
129

S
l
t
- l
NP VP
l I i l
1 v xp xp
+ verb - l I
+ performative you S
+ communicative NP VP
+ linguistic I
prices V
+ declarative I
slumped

I tratti elencati in parentesi quadra specificano la claé


se dei verbi dichfaratfvi; il performativo qui postulato Y
una forma astratta, non lessfcalizzatatun pro-verbo).
Immaginando, in via puramente ipotetica, di lessicaliz-
zare la stru ttura astratta, ne risulterebbe qualcosa co
me l11 tell you: prices slumped''. Una trasformazione di
cancellazione (deletion) elimina la frase sovraordinata,
e in uscita rimane la frase che nellfalbero compare co-
me 'innestatan Prices slumpedl'.
Ogni frase, secondo Rossy ha una, e una sola, frase performa-
tiva sovraordinata.
La novità de1 modello di Ross rispetto ai precedenti m/
delli di grammatiche generative trasformazionali consi-
ste nelllaver inserito nella struttura profonda (sinta;
tfca) delle frasf elementf della fsituazfone df dfscor-
so î, come fl parlante e l'ascoltatore (1 / you), e la
'modalitl' delllenunciato, contenuta nelllindicazione
della forza fllocutoria. Ross stesso ha perY precisato
che untalternativa all'analisi performatlva della strul
tura profonda delle frasi potrebbe essere rappresentata

S- - E- C)8lkELLI r0iTlil: E1î usi della iarola.


130

da unlanalfsf 'pragmatfcaf capace di dar conto def l'tral


ti contestuali''presenti negli speech acts (ROSS, 1970,
pP. 257-58).
La configurazione sintattica de1 performativo proposta da
Ross Y tradotta in termini di logica dei predicati dà LAKOFF,
1970, che interpreta la struttura grammaticale profonda degli
enunciatf come la loro ''forma logican. La forma logica de-
g1i enunciati imperativi, interrogativi e assertivi o dichil
rativi consta, secondo G. Lakoff, di un predicato a tre arg:
menti (prima persona, seconda persona e frase innestata), s:
condo la seguente rappresentazione:

PRED G ARG ARG


'
Ord -- l
x
l
y
l
S
Ask 1

t-
Sa
t
.
a-
yteJ ,l
)
1
tl

0.3.2 . Le analisi che abbiamo riportato danno rappresen-


tazioni, l'una sintattica, llaltra logico-semantica, dei pe<
formativi, o meglio, assegnano al performativo una funzione
ben precisa nella struttura sottostante, astratta, degli e-
nunciati (1a funzione di esplicitare modalità e partecipan-
ti della situazione comunicativa). Esse possono valere come
descrizioni delltaspetto locutorio dell'atto linguistico, co:
tenenti llindicazione della sua forza illocutoria, nella foa
damentale distinzione tra il contenuto proposizionale (rap-
presentato dalla frase innestata) e llindicatore di funzione.
come st vede negti ess. (4) e contenuto proposiziz
131

nale pu3 essere lo stesso in enunciati che differiscono solo


per la forza illocutoria.

11 contenuto proposizfonale, o proposizione in senso 1E


gico, puö essere definito in base alla referenza e alla
predicazione; in êntrambf gli esempi ci si riferisce a
una stessa persona (tu), di cui si predica la stessa a-
zione (venire) (non è necessario che sia fdentica la
struttura sintattica). In questi due esempi l'identità
della proposizione è accentuata dalllidentica disposizio
ne dei costituentf e dalla coincidemza morfematica di im
perativo e indicativo ne1 lessema / vieni /; generalmen-
te l'identità di contenuto proposizionale si puö mette-
re in evidenza con una parafrasi.
Le suddette frasi potrebbero rispettivamente essere de-
scritte cost, secondo il modello di Lakoff:

S S
PRED ARG ARG ARG PRED ARG ARG ARG

interr. y y S
imper
I. I
x
1
y S
I
1 1

venirû da f
ûe venire Cla r
le
v V
(lapers.ltzapers.) (laperseltzapers.)

dove g1i elernenti che corrispondono allTlindicatore di fun-


zionel (o 'indicatore di forza illocutoria', secondo Searle)
sono tenuti distinti rispetto alltindicatore di proposizio-
ne .

Tuttavia queste configurazioni non spiegano in che consi-


sta la forza illocutoria: sf limitano a mostrare quale ruolo
abbia l'fllocuzione, ma non sono in grado di descriverne g1i
elementi costitutivf. Un tentativo interessante in questa di
rezione è stato compiuto da SEARLE, 1965 e 1969, che si è
132

proposto di dare la Itregole per l'uso di certi tipi di indi-


catori di funzionen.

0.4. Secondo Searle, con l'illocuzione 'lil parlante in-


tende produrre un certo effetto facendo riconoscere all'a -
scoltatore la sua intenzione di produrre tale effetto''.Lîef
fetto puö essere ottenuto solo con l'applicazione di una
serie di regole costitutive .
Searle distingue fra regole normative Obregulativelo e
regole costitutive (''constitutiveff): le prime regolano
attivitA esistenti prima delle regole e logicamente im
dipendenti da esse (p. ese, le regole delldetichetta,
le quali sf esercitano su relazioni interpersonali che
avrebbero luogo anche senza tali regole); le regole c/
stitutive, invece, non si lirâitano a discfplfnare, kua
'îcreano o definiscono nuove forme di comportamenton la
cui esistenza non avrebbe luogo indipendentemente dal-
le regole; pe ese, sono costitutive le regole de1 fool
ball o degli scacchi senza l'applicazione delle quali
non si potrebbe dire di giocare a football o a scacchi.
E' invece normativa la serie degli accorgimenti tecni-
ci a cui si attiene un buon giocatore per giocare bene;
se non so usare tali accorgimenti, poniamo negli scac-
chi, si dirà che gioco male, non che non gioco a scac -
chi: cesserei di giocare a scacchi solo se violassi le
regole costitutive (p. es. llalternarsi delle mosse, u-
na per giocatore; la direzione de1 movimento e il ruolo
dei vari pezzi, ecc.).
Le regole che determinano l'uso illocutorio degli e-
nunciati sono costitutive rispetto agli enunciati: una
frase italiana costruita allfimperativo se non valesse
ad eseguire l'atto illocutorio de1 comandare (0 de1 co:
sigliare o dell'invitare.. . . ) sarebbe inaccettabile in
rapporto alla lingua italiana; cosl dlcasi per una for-
mula di promessa: non mantenere una promessa è contrav-
venire a una regola normativa (perché io posso promett,
re e non mantenere, senza perciö che l'atto de1 promet-
133

tere sia venuto meno), ma llimpegno che la promessa im-


plica, lïelemento che fa s! che una determinata enuncim
zione sia una promessa, è una regola costitutiva.
Llipotesi che è alla base de1 lavoro di Searle è che 'q a
semantica puù essere considerata come una serie di sistemi di
regole costitutivo e che g1i atti illocutori sono atti ese -
guiti secondo questi insiemi di regole costitutive'l (1965, p.
93 tr. it.).
L'aver inteso le regole unicamente come regole normati-
ve ha prodotto, secondo Searle, inciaapi e fraintendi -
menti nella filosofia del linguaggio e nella semantica:
l'l'uso delle espressioni'' non puö essere stabilito solo
mediante regole normative. Le regole normative hanno la
forma tipica di un imperativo, o possono essere parafrz
sate con un fmperativo (per es.: nNon parlate al mano -
vratore''# oppure ''E' vietato attraversare i binari''#che
si pu6 parafrasare con MNon attraversate f binari'g . Si
dà anche il caso di regole normative costruite come re-
gole costitutive, cio/ in forma apparentemente definit/
ria, che ticorda il tipo di deffnizione in qualche mism
ra tautologica della regola costitutiva, la funzione de1
la quale è appunto quella di fcostftufre' e qufndi 're-
golare' unlattività nla cui esistenza è logicamente di-
pendente dalle regolet': perciö una regola costitutiva
non solo dïsciplina, ma prima di tutto istituisce, defi
nendola, unlattività. (Esempi tipici le regole dei gio-
chi, senza le quali i giochi stessi non sussisterebbero).
Esempio di regola normativa somigliante nelltenunciazi:
ne a una regola costitutiva: '!La persona civile non spM
ta in terra e non bestemmiall, dove perö la parafrasi cor
retta è quella che esplicita la relazione antecedente -
-conseguente: l'Se sef una persona civile, a11ora...'%
La proposta di Searle di considerare la semantica come un
insieme di sistemi di regole costitutive, estratte da una li
sta dl 'condizionf? necessarfe e sufficfentl per il verkfkcaï
si di determinati atti linguistici, interessa per la sua por
tata generale : un 'adeguata formulazione di condizioni e di
134

regole potrebbe forse permettere di rendere esplicite le coc:


ponenti di ciö che volgarmente si chiama l'f'uso della 1in -
guadl. Nellrarticolo citato (SEAPQE, 1965) croviamo elenca-
te le condizioni (in numero dï 9) necessarie ciascuna a11 '
esecuzione dellfatto illocutorio de1 promettere, nella pro-
duzione di una frase; lfinsieme delle cor
ndizioni necessarie
costituisce la condizione sufficiente per il realizzarsi dei
l latto. Di qui si patte per ricavare le regole semantiche
(in numero di cinque) per ttuso delltindicatore di funzione
relativo allratto de1 promectere a
L'Autore chiarisce 1a natura di condizioni e regole, r-u-u'
correndo ancora una vo1ta a11 'esempio de1 gioco degli
scacchi: '.11 metodo qui usato / a'
nalogo a que11o per
cui si scoprooo 1e regole degli scacchi chledendoci quJ
li sono le condlzioni necessarie e sufficieoti per cui
si puö dire che sî / mosso correttamente uo cavallo o
si è fat,ta ta mossa di arrocco o si & dato scacco matto
a11'avversario. .Noi siamo oe1la posizione di uno che
ha ïmparato a giocare ag1i scacchl senza la formu1azio-
ne de11e regole e che vuole tal.e formulazione. Abbiamo
appreso come giocare al gioco degli atti i1locutori, ma
generalment.e questo è scato fatto senza un'esplicica for
mulazione delle regoleaea''(pps 98-99).
Per Searle, eseguire un atto illocutorio significa ''impe-
gnarsi in una forma di comporcamento governata da regolet'; il
concetto di atto linguistico si allarga a comprendere ogni e
missione di segoi linguistici, cioè di segni prodotti con 1î
intenzione di comunicare quatcosa per mezzo della lingua. E-
g1i adduce come esempio probante i tentativi di decifrare i
caratteri dt littgue sconosciute : si tenta dt decifrare i ge-
roglifici maya perch: si ipotizza che i segni che appaiono
su certe pietre sono stati prodotti da esseri umanf cortlfin
tenzione di comunicare qualcosa per mezzo di essi; se fos
simo sicuri che quei segni sono stati provocati da agenti nl
turali, non avrebbe senso la questione di decifrarli o an-
che solo di chiamarli geroglificig

L'bfintenzione di comunicaref' che caratterizza un

G
atto linguistico si esplica nellbillocuzione.
11 carattere intenzionale dellrillocuzione era già stato
messo in evidenza da Austin, che insisteva, oltre che sulltfm
tenzionalità, sulla 'convenzionalità' delllatto illocutorio
(carattere evidente, per es., in enunciati che valgono convem
zionalmente come 'Tichiesta di scusels , ma, obietta STRAWSON,
1964, possono esserci enunciati dotati di forza illocutoria
che non sono convenzionali (nella terminologia di Searle: il
cui indicatore di funzione non è convenzionalizzato). Seco:
do un esempio di Strawson, 8111 ghiaccio è molto sottile'' de<
to a un pattinatore è un avvertimento, non una semplice as-
serzione: / fldire qualcosa con la forza di avvertire?ï, senza
tuttavia far uso di un enunciato convenzionale a questo sco-
po.
Le lingue abbondano di frasi pronunciando le quali si
possono eseguire atti illocutori diversi senza tuttavia
che tali frasi contengano elementi atti a segnalare con-
venzionalmente la forza illocutoria: cosl, per esm, 11e-
nunciato (12) OQuesto è un abito da sera''puö essere se1
plicemente assertivo; ma puö avere la forza illocutoria
di 'consigliare', oppure di lmettere in guardia, di avvi
sare ', a seconda degli interlocutori e delle circostanze

in cui vfene eseguito (abbiamo già chiarito llimportan-


za della situazione per decidere la natura degli enuncil

Alcuni atti illocutori sono convenzionalfy altri no, tran-


'
ne in quanto sono atti locutori, in quanto partecipano, cio/,
della convenzionalità che caratterizza ogni produzione lingui
stica. Secondo Strawson, Austin avrebbe commesso l'errore df
generalizzare da alcuni casi a tutti il carattere specifico
che deve essere riconosciuto solo a quegli atti come avverti-
zâ, scusarsi, ecc. (esplicitati con l'impiego affermativo de1
la 1% persona singolare al tempo presente).

O.A.2. Le critiche di Strawson a Austin colgono ne1 se-


gno in quanto liberano l'atto linguistico da1 vincolo di una
convenzionalità che, se dovesse essere intesa correttamente,
136

rischierebbe di tramutarsi in una restrfzfone e df lfmftare


indebitarnente il raggfo della forza illocutoria. Noi ne ter
remo conto soltanto per f suggerfmenti che se ne possono tra/
re a fini interpretativi.
Osserviamo intanto che a unfanalisi grammaticale de1 per-
formativo nella struttura profonda degli enunciati sarebbe râ
lativamente facile spiegare sia con indicatori sintatticiysia
in termini di logica dei predicati, la presenza degli indica-
tori di funzione in enunciati come quello esemplificato fn
(12) o nellbesempio di Strawson citato poco prima
(e kicordlamo che, secondo la proposta
di Searle, ognuno dei suddetti enunciati sarebbe asse -
gnato a un tipo di illocuzione piuttosto che a un altro
in base alle regole costitutive che definfscono ciascun
atto illocutorio e che implicano a loro volta il verifi
carsi df condizioni preliminari).
Inoltre, il fatto che la forza illocutoria non sia marcata da
segni 'convenzionali' apre immediatamente una prospettiva su1
contesto: ê in base al contesto lïnguistfco e alla situazione
comunicativa che noi siamo in grado di decidere il tipo di for
za illocutoria di ciascuno degli esempi suddetti.
Quest'ultima constatazione sottolinea ancora llimportanza
degli sviluppi teorici proposti da Searle, 1969, dove 11 con-
testo e la situazione di discorso entrano implicitamente sia
nel fissare le condizioni per llesecuzione degli atti, sia
nella definizione delle regole stesse. Sf puö dunque immagi-
nare (qualcosa di simile fa CHATMAN, 1974, quando analizza fr1
si della narrativa letteraria) un'analfsf de1 discorso come
trama di atti illocutori, definibili ciascuno in base a un si
stema di regole costitutive. Questo punto di vista consenti-
rebbe di tener conto sia dei protagonisti della situazione co
municativa in generale, sia, trattandosi per esempio di una
narrazione in cui intervengano personaggi diversi, dei perso-
naggi in quanto tattanti ! in situazioni di discorso mutevoli.

0.5. L'accenno de1 tutto provvisorio che ho fatto al di-


scorso come connessione di elementi linguistici secondo intem
137

zioni comunicative ben precise ci riporta a un suggestfvo fra/


mento saussuriano (Ms. fr. 3961 ''Cahier d'dcolier sans titre'j
in J. Starobinski, Les mots sous 1es mots. Les anagrammes de
Ferdinand de Saussure, Paris: Gallimard, 1971, p. 1A): 'qe di,
cours consiste, fût-ce rudlmentairement et par des voies que
nous fghorons, à afffrmer un lien entre deux des concepts qui
se prlsentent rev@tus de la forme lingufstique, pendant que la
langue ne fait prdalablement que rdaliser des concepts isolds,
quf attendent d'être mis en rapport entre eux pour qufil ait
signification de pensde''.
La realizzazione di tale legame è un attoy commenta Staro-
binski, che implica un uso ''libero e regolato?! de1 materiale
linguistico; Yy aggiungiamo, unroperazione che si svolge se-
condo regole, paragonabfli ancora alle :egole dï un gfoco.
Trovare le 'regole costitutive ' di tale operazione equivale
a scoprire l'organizzazione del discorso, con la possibilità
di formularla in senso predittivo: di costruire cioè dei mo-
delli che consentano di spiegare altre operazioni. Secondo i
principi della linguistfca de1 testo un modello de1 discorso,
per essere adeguato, deve essere capace di correlare i trat-
tï formali degli enunciati con il contesto (situazionaleù; bi
sogna ammettere che il compimento di un slmile modello è anco
ra una meta lontana .
Sembra che gli scheml di regole costitutfve ffssatf da Se-
arle abbiano unlapplicabilità piuttosto ampfa. Essi, come ab
biamo già notato, danno conto delllaspetto illocutorio del-
l'atto linguistico (df ciö che si fa ne1 dire ciö che si di -
ce); ma noi sappiamo che llesecuzione delldatto comporta un
aspetto che pare sfuggire a una regolamentazione precisa, ed
è la perlocuzione, sede dei possibili effetti che un atto di
parola mira a provocare
(Si confronti lo schema delle categorie di analisi del-
l'atto linguistico esemplificato in (1), (2) e (3)).
La perlocuzfone è llaspetto dell?atto df parola pfù fmmâ
diatamente orientato su1 contesto lingu-istico e extralingui-
stico. Se nelllanalisi dellbaspetto locutorio l'oggetto è
llorganizzazïone semantico-sintattica delllenunciato e se la
forza illocutoria viene definita prevalentemente in riferimem
to alle ïïintenzionl comunicativel! dellîemittente, l'effetto
perlocutorio puö essere analizzato solo in riferimento alla
situazione .
P E N D 1 C T
APPENDICE

tkartîcolo qui lradotto apparso nella versione francese dovuta a Da-


5
!
nièle îlézent e8lanche Erunîg in Lanuaneszb, 1S72, pp. 7b-8@, riproduce
c:n kualche taçlio e in forza un ;oî sezjl
11ificata, î1 testo di una lett.t
ra indirizzata nellïaçosto 1g71 a kolf Ihuzzel da1 linguîsta tedesco E-
vald Ll$C, il quale in seguîto ha trattato con zaççiore azpiezza lo stel-
.

so argazento ne1 saççio rldeber einiçe Schvieriçkeîten beiz postulïeren el-


neIextçrazzatskl
:(pubbl.ne1 vol.a cura di J-l8kE,LiteraturHissen -
schaftundtinquistik,Frankfurt az haîn:Fischer-lthenluz,1g73)atiuai
zente in corso di pubblicazione, in traduzione italianay ne1 vol. a cura
dî 8. Elisabelh COSTE, Lîqquistica tesfuale, Filano:Feltcineili-
ho preferito attenerzi, ;er evidenti rajionî dî spazio, alla priza rx
daziope abbreviata; banchl assa npn sia asaariante, paL tattavia sarvire
coze accostazento prelizinace a problezi che hanno trovato aziio svilupir)
nella linçuistica éei testo- lnche per çuesto rîçuardo la tratlazione tï
Lang è interessante, perché offre spuntî e raçioni per verifîcare; alla
luce deî successîvî svolgizenti delle teorie tesiuali, i lnoti' da cui
queste hanno pres: lfavkio.

EWALD LANG, nQuando una Grammatica de1 testo / più adeguata


di una Grammatica della frase?n

Tutti parlano in questo crmento di graamatica de1 testo,


ma in prospettive cosl eterogenee che si sente il bisogno di
ricercare c/me il testo possa essere oggetto di studio lin-
guistico. / ..0 / -

CercherY di analizzare criticamente la tendenza, molto


dfffusa al giorno dloggi (ISENBERG, STEMPEL, PETC
'FI, ecc.),
1:2

la quale postula Hche si deve allargare al testo il campo


della linguistica per il fatto che esistono fatti linguisti-
ci la cui spiegazione esige che si faccia appello a un conte
sto al di fuori def confini della fraser'.

considerazioni preliminari
Mi domando innanzi tutto: Quali sono f fatti che non posso -
J
l
no essere descrittf e che tuttavia dovrebbero poterlo essere? $N=...
Che significa ''allargare al testo il campo della grammxticaff'
?
Una risposta soddisfacente dovrebbe mostrare :
che esistono dei fatti che l'apparato grammaticale attual
mente a disposizione non permette di descrivere;
che il mezzo di descriverli puö essere il seguente: alla;
gare la grammatica provvedendosi di un apparato più ric-
co che permetta di formulare un condizionamento testuale.
Rivedere dunque la teoria perchd essa abbia un pi; alto
grado di adeguatezza ne1 rendere conto cosl di fatti 1a-
sciati finora da parte.
Sono condizfoni preliminari molto impegnative, ma metodolo
gicamente indispensabili se si vuole considerare la grammati-
ca testuale come una nuova importante tappa nella rfcerca 1im
guistica. Per il punto (1) g1i esempi non mancano. 11 pun-
to (2) pone più problemiy perché presuppone che si mostri:
che bisogna indubbiamente stabilire una differenza tra
HFrase'l e llTestoll;

(4) che questa differenza va stabilita in modo tale che i1 tg


sto appaia veramente come l'unità responsabile dei rap-
porti strutturali che oltrepassano i confini della fra-
l
Se .

2. Accezioni preteoriche de1 termine ''Testo''

Testo 1: Si trova sovente usato il termine NTesto'' per dâ


signare una forma linguistica di una certa complessità, e la
frase viene allora ad essere llunità di misura di tale com -
plessità, che puö raggiungere quella de1 romanzo ecc. Quan-
do i linguisti operano con questa concezione sono soliti ri-
correre, verso i piani alti della gerarchia, a categorie fum
zionali, letterarie, ma verso fl basso a categorie più o me-
no grammaticalf. Mescolanza che Y sintomatica delltinsuffi-
cienza di questa concezfone per i1 linguista.
Testo 2: In un messaggio (nel senso più ampio della semi/
logia e non soltanto della lfnguistica) si puö voler distin-
guere tra il materiale verbale, che viene chiamato l'Teston,e
i1 materiale non verbale, che assume cosl una funzione signi
ficante (cosl la forma e il colore de1 cartello ne1 segnale
stradale che porta la parola 'ISTOP'!' o la musica rispetto al
-

le parole di una canzone).


Testo 3: Testo designa anche la forma assunta dagli eleme:
ti linguistici entro l'atto di comunfcazione.
Nessuna di queste tre concezfoni puö, nella forma fn cui
si presenta, essere presa a fondamento di una teoria, ma ci1
scuna contiene almeno un aspetto linguisticamente interessam
te di cuf il modello dovrà dar conto. Bisognerà dunque pre-
vedere una descrizione coerente di questi tre aspetti, per né
tura molto diversi.

3. 11 testo considerato a partire dalla frase


La maggior parte dei tentativi di applfamento de1 campo
della grammatfca fattf ffnora sono partïtf dalla concezfone
de1 Testo 1. Si deve alltesigenza di spiegare fenomeni im-
plicanti un dorninio più esteso di quello della frase (refe -
renti testuali, analisi in termini di Tema/Rema, intonazioni
legate al contesto extrafrastico...), e rientranti tuttavia
nella competence, se si / cercato di situare la frase in un
contesto, cioè in unbentità di grado superiore (ISENBERG
19689 HELDOLPH 1966). E' giustificato che si voglia descri-
vere talï fenomenï, ma bisognerebbe ancora distinguere da u-
na parte la descrizfone della struttura superficiale della
frase, dalllaltra la topologia delle frasi allbinterno delle
strutture complesse di più frasi. Questlultimo punto ha a
che fare con la coerenza ed Y perciö certamente un fatto te-
stuale; ma il primo punto puö essere trattato senza estende-
144

re la grammatica al testo: si possono stabflire relazioni tra


frasi senza chiarnare ''Testo'l l'entitA superiore di cui tali
relazioni sarebbero elementi costftutivi. Constatare che la
struttura superficiale delle frasi dipende da elementi cont,
stuali, e arrfvare a generare testi sono due cose diverseyche
non sf fmplfcano necessarfamente.
ci sono parecchi lavori che cercano di integrare in un mâ
dello la descrizione di fatti contestuali da cui dipende la
struttura superffcfale della frase. Questi tratti sono, in
breve, informazioni sulla classe dei contesti possibili del-
la frase e governano l'applicazfone delle operazioni trasfol
mazionali.
Assegnando allIindicatore sfntagmatico (P-Marker), sotto
forma di frasi che saranno cancellate mediante una trasformm
zione, certe informazioni Clprevious knowledge of the spea-
kerb') che condizfonano l'impiego di un articolo definito, AN
NEAR (1967) integra, di fatto, nella descrizione della frase,
elementi testuali. Questo approccio è un artificio tecnico
per rendere conto de1 parallelismo di effetti fra le presup-
posizioni di una frase, implicite, e i contesti verbalizzati
sutto 'forma di frasi, cioè espliciti. 11 parallelismo esi-
ste', senza dubbio, ma Annear avrebbe dovuto precisare che è
il parallelismo degli effett'i (sulla struttura superficiale)
df questi due tipi di condizionamenti sfstematici che puö fa.n
li considerare alla stessa stregua dei fatti lingufstici.
I simboli complessi (contenenti fra l'altro delle informa
zioni referenzfali) introdotti da ISENBERG (1968) condizionl
no l'fnterpretazione e il blocco delle frasi in un testo. Quï
sto tentativo rappresenta un progresso rispetto al lavoro de1
la Annear, essendo integrato in modo coerente in un modello
conforme alle proposizioni / della semantica generativa / di
LAKOFF (1965). Ma il saggio di Isenberg va senza dubbio com
siderato come una tappa provvisoria, perché l'interpretazio-
ne da attribuirsi ai tratti che costituiscono 1 simboli coa-
plessi h troppo eterogenea: questi contengono informazionl
che si dovrebbero riformulare in termini di presupposixioni,
fnformazioni che sono assegnate al lessico, ecc.
145

E' ben vero che nei casi citati da Isenbergy Annear (e al


tri) si ha una relazione fra determinatf elementi della fra-
se e altri che sono esterni ad essa, ma dovremmo perciö con-
cludere, con Isenberg, che si debba elaborare una grammatica
de1 testo? Io farei due riserve fondamentalf. Una prima df
ordine generale: estendere al testo il campo della grammatf-
ca è sensato soltanto se si è in grado di distinguere chiarm
mente i due oggetti ''Testol, e t'Frasel!# e questo è da provare.
La seconday legata all'argomentazione presentata in questi 1,
vori: le relazioni referenziali lltestuali'' in questione non
mi sembrano affatto rendere necessaria una grampatica de1 tâ
sto. Non c1Y bisogno di specificare l'ampiezza de1 contesto
ove intervfene 11 coreferente, per renderne con to.
Esamfnerö successivamente questi due punti.

4. Frase versus Testo


E! difficile scorgere la differenza tra frase e sequenza
di frasiy cio; fissare il confine di frase:
(a) le operazioni trasformazionali (riduzioni in certi casi
di coordinazione, gapping...) che provöcano la fusione di
più frasi e mettono cosl in corrispondenza frasi comple,
se e sequenze di frasi, rendono f1 confine di frase dif-
ficile da percepire;
11
(b) la stessa cosa vale per la descrizfone fatta da THUMMEL
(1970) dei rapporti fra coordinazione e subordinazione;
(c) io non conosco una sola regola di grammatica per la qua-
le sia pertinente l'unità frase.
Riassumendo: se il testo non è che una successione di frm
si, poich; non c'Y differenza netta tra frase e sequenza di
frasi, ne consegue che non c'è motivo di modificare il model
.
-

lo della grammatica frasale perchd esso si adatti alllogget-


11
to 'fTestol'. Si vede ne1 lavoro di Thummel che la sostituzio
ne delltassioma iniziale Frase con l'assioma Testo, nella gram
matica, non è in realtà una modfffcazfone fondamentale, qua-
litativa, de1 modello.
1g. - 8. EIiIyELLI 8gqT)ql: S)î usi della iarola.
146

5. Relazioni referenziali testuali


E: certo che la grammatica deve descrivere come i1 parlam
te che possfede la 'competenza' df una lingua ; fn grado di
riconoscere liidentità o la non-identità referenziale di due
sintagmi nominali, per esempio, anche se questi sintagmi no-
minali appaiono in una successione di frasi e non in una fr1
se sola. Io proporrei in ta1 caso che si notasse per ogni
sintagma nomfnale fn qualf condfzionf esso sia predecessore
successore possibile in una relazione di coreferenza, senza
preoccuparsi di sapere se llaltro termine è verbalizzato o
no. Non è necessarto designare esplicitamente i sintagmi n,
minali in relazione . Si vede che in queste condizioni le re
lazionf referenzfali testuali non sono un argomento per post,
lare l'esistenza di una grammatica de1 testo.

6. 11 testo come risulLato di operazioni di integrazione


lo spero dlavere mostrato che g1i argomenti fin qui propo
sti non bastano per rendere necessaria una grammatica de1 te
sto qualitativamente differente da una grammatica della fra-
se, che non comportano, iosomma, l'dlesplosione'' de1 modello
anteriore. 0ra vorrei enumerare le proprietà di un comples-
so linguistico (che io chiamo ''Testod') che mi sembrano, al
contrario, caratterizzarlo come una unità differente dallïu-
nitàflFraselî poichd per enunciare queste proprietà io utiliz-
zo la NFrasel!come elemento: i1 significato di un testo (os-
sia l'informazione che esso fornisce) Y un tutto che Y più
della sommm (o della lista) dei significati delle frasi che
lo costituiscono. Questo supplemento di significazione Y le
gato alle seguenti proprietà:
g) 11 testo è l'ambito alllinterno de1 quale le frasi si
sambiguano;
I
3) 11 testo contiene presupposizfonf e implfcazfonf dfverse
da quelle delle frasi che lo costituiscono;
f) 11 testo possiede possibilità di parafrasi diverse da quel
le della frase (cfr. le possibilità di riduzione fino al
riassunto minimale).
Un tale supplemento di significazione ; ottenuto per mezzo
delle operazfonf seguenti, che - elementi costitutfvi della
competenza - costruiscono la significazione de1 testo:
a) Integrazione in una superstruttura semantica delle inter-
pretazionf semantiche delle frasi che lo costituiscono;

b) Determinazione delle condizioni di compatibilità tra


parte presupposta e la parte data delle frasi isolate
la parte presupposta e quella data de1 testo;
c) Determinazione df relazioni d'equivalenza (tra le altre)
in frammenti df lunghezza variabile, fino alla comprensi/
ne della coerenza de1 testo (comprensione = capacità di
condensare).
Questf ultimi fatti, più che i precedenti, mf sembrano giy
stfficare l'esigenza di allargare al testo il campo della
grammatica. Da una parte essi ''vanno al df 1à della frasen,
ma in un senso diverso dai casl precedenti: non si taglia pi;
una catena lineareynon si cerca più un limite alla complessf-
tày cf si mette a un livello al di sopra della significazione
della frase . D laltra parte, queste operazionf che io assegnc.
alla competenza necessitano che si passi a un modello diversc:
bisogna introdurre delle operazioni logiche sulle significa -
zioni (deduzioni, equivalenze...) nella direzione della 'lNaty
ra1 logfcr' df LAKOFF (1970).
Un esempio:
Pietro studia il francese, Susanna non fuma che Gitanes,
e Rudi vuole assolutamente sposare BB. Tutta la famiglia
è francofila.
Pietro studia il francese, Rudi vuole sposare BB.
sl che noi passiamo la serata.
Nelllesempio (f), si ricavano dall'enumerazione delle pri-
me tre frasi le inforn:azioni semantiche che determinano la
coerenza, confermata dallîultima frase. Le operazioni non si
fanno soltanto su materiale semantico: esse richiamano tutto
un insieme dl conoscenze (le Gitanes sono un prodotto france-
se, BB Y una francese...). Nell'esempio (ii) al contrario,
148

non si puö desumere alcun punto di vista comune.


Con ciö che ho detto, l'oggetto di studio ''Testol' non ri-
sulta ancora definito: ho semplicemente messo in evidenza il
mezzo df descrivere certuni dei suoi aspetti importanti. Una
teorfa de1 testo non puö, de1 resto, stabilfrsi che progressi
vamente, per integrazioni successive, di diversi aspetti. Ud
altro punto di vista da integrare sarebbe il seguente:

7. Strutturazione globale dei testi

ISENBERG (1970) esige che si parta, in una teoria de1 te-


sto, dai fattori che î'determinano la sua strutturazione glo-
baled'. Ma le funzioni che egli enumera sono di natura molto
diversa l'una dall'altra. Prospettando funzioni come 'lMessaz
gio'' e HEspressionet', egli si colloca fn effetti piuttosto ne1
la rubrica Testo 3. D'altro canto, egli non precisa come de-
scrivere i rapporti che intercorrono tra queste funzioni e la
struttura (e il significato) delle frasf che costituiscono il
testo, mentre bisognerebbe saper descrivere tra queste un
gioco di selezione reciproca. E' l'analisi performatixa quel
la che mi sembra la meglfo adattabile a tale disegno / ... /.
.

Un meccanismo capace di organizzare gerarchicamente tuttf


questi aspettl costituirebbe una granu atica testuale. Tale
grammntica non sostituirebbe la grammatfca della frase, ma ri
guarderebbe un settore particolare della lfnguistica, al pun-
to d ffncontro con altre scienze sociali.
149

RIMANDI BI BLIOGRAFI C1

ANNEAR, Sandra
1967 'Relative clauses and cons
Wunctions'' /
= Ciclostil..
< Ohio. ./

HEIDOLPH, Karl Erich


1966 ''Kontextbeziehungen zwischen Sktzen in efner generativen
Grammntik'l, Kybernetièa 2, pp. 274-281.

ISENBERG, Horst
1968 nUeberlegungen zur Texttheorie'', ArbeitsgrMppe Struktu-
relle Grammatik (ASG)-Bericht, 2, Berlin / Ciclostil. I
1970 ''Der Begrfff 'Text' in der Sprachtheoriell, AsG-Bericht,
8, Berlin / ciclostil. /

LAKOFF, George
1965 ''On the nature of syntactic irregularityn, Harvard com-
putationàl Laboratory, 17.
1970 'Iinguistics and natural logic'' (Phonetic Laboratory of
the University of Michigan).
,?
PETOFI, Janos S.
1971 î'Transformationsgram atilcen und die grammatische Beschreé
bung der Textelly Linguistische Berichtey 1A, pp. 17-33.

STEMPEL, Wolf Dfeter (hrsg.)


1971 Beitrkge zur Textlinguistik (Mïnchen: Fink).
!!
TRUMMEL, Wolf
1970 ''Vorzberlegungen zu einer Textgranuatik. Koordination
und subordination in der generatfven Transformations -
11
grammatik'' (Stuttglrt, Universétat Stuttgart - Institut
fur
'' Linguistik ) / ciclostil. /.
APPENDICE B

Fiporto qui, in traduzione italiana, azpi estcatti di due capitoli de1


voloElézenis sur 1es idées et 1es zéihodes de la linnuistinue structura-
le c'dntezporaind (Farîs:0unod,'1g73),che a
' sua voltaè la fraduziane
francese dç un'oiera de1 linçuista russo Ju. ù. IFFESJIhI, ldei i zelody
sovrezanno! strukturno! linçuisliki (Fosca,1g6ë).
Questa trattazione ha il zerïto di esporre con esezplare chiarezza e
senza ricorrere a tecniciszi dï ardua cozprensione i princlni fondazen-
tali della leoria dei zodelli linguisticî, sullo sfondodiîlluzïnanti coi
siderazioni sui rapporti tra questlultiza e la linguistica 'ltcadiziona-
lel
k gvvîo, za qui non inulîle? sottolineare lkizportanza di conoscere
esatlazente la iortata teorica del concetto éi lzodellol, di cui talvol-
ia si tiscorre con troipa disinvoltura-

Ju. D. APRESJAN, HI1 concetto di modello linguistico'l; !1I ti


pi di modelli linguisticif', in APRESJAN, 1973, pp. 81-1049
105-120 .

11 concetto dï modello lingufstïco


La necessità di un modello si fa sentire in tutti i campi
scientifici ove l'oggetto non è accessibile all'osservazione
diretta. In tali condizioni esso / paragonabile a una 'sca-
tola nera ', di cui si sa solamente quali sono i materiali i-
niziali che riceve 'in entrataî e i prodotti finali che dà
1in uscita'. 11 problema consiste nello scoprire il conteny
to della 'scatola neral - i1 meccanfsmo nascosto che effettua
la conversione dei materiali di partenza in prodotti ffnali.
Nella misura in cuf è impossibile smontare la 'scatola neral
senza distruggerne al tempo stesso 11 funzionamento, rimane
una sola via dfuscita : costruirey partendo da1 confronto dei
dati iniziali coi datf finali, unfimmagine dellfoggettoycioY
avanzare un fipotesi concernente la sua struttura probabile e
realizzarla come una macchina logica capace di trattare qual
siasi materiale esattamente nello stesso modo in cui lo tral
ta la tscatola neraï. Se la nostra costruzione logica fun-
ziona effettivamente in modo analogo, allora essa rappresem
ta un'approssimazione o un modello dellfoggetto e noi possil
mo ritenere che il meccanism o introdotto in questo modello con
cordi, in tutti i punti essenziali, co1 meccanismo contenuto
nella 'scatola nera'. Noi cerchfamo di atrivare alla compren
sione de1 meccanismo nascosto assimilandolo a un meccanismo
la cui organizzazione ci A ben nota. In ta1 modoy costruire
un modello è procurarsi i mezzf per studiare le proprietà re
se evidenti de1 modello, invece delle proprietà celate del-
l'oggetto, e per estendere all'oggetto tutte le leggi desun-
te da1 modello.
11 problema della 'scatola nera' si è presentato per la
prima volta in elettrotecnica , ma una situazione analoga esi
ste in numerosi campi, per esempio nella fisiologia dellrat-
tivitl nervosa superiore e nella fisica atomica: noi non poz
siamo osservare dfrettamente l'attività de1 cervello, n; i
processi che si svolgono alllinterno dellïatomo. ln questo
senso llatteggiamento de1 linguista non sf distingue affatto
da quello de1 fisiologo o de1 fisico: x
'a sola realtl con la
quale egli è in contatto iauediato è il testo, è i meccanisgtf
linguistici che lo interessano, quelli cij.e sono alla base de1
l'attività verbale, non g1i sono accessibili mediante l'osse/
vazione diretta . Per questo anche in linguistica uno dei
mezzi fondamentali di conoscenza dellloggetto è la costruzio-
di modelli.
Esaminiamo qualche proprietà importante dei modelli,
compresl i modelli linguistici.
1) Si possono costruire modelli soltanto per i fenomeni le
cui proprietà essenziali si esauriscono nelle caratteristiche
(funzionali) della loro struttura e non sono in alcun modo 1ï
152

gate alla loro natura fisica. La sfera di tali fenomeni ap-


pare come infinitamente più ampia di quanto non sf pensasse
un tempo. Molti autorevoli ricercatori vi comprendono anche
i processi della vita e de1 pensiero.
Se / giusta la concezione saussuriana della lingua, si pu3
annoverare la lingua tra f fenomeni i cui tratti essenziali
si riducono alle loro proprietà funzionali.
Per modello di un oggetto per il quale sono essenzfali le
sole proprietl funzionali, si intenderl una qualsiasi costrM
zione funzionalmente simile a questo oggetto. In altri ter-
mini, tutto ciö che si esige da1 modello A che il suo compor
tamento sia sfmile a quello dellroggetto; il materiale in cui
esso Y realizzato puö differire (e praticamente differisce qu1
sf sempre) da1 materiale ne1 quale è costruito l'oggetto. I'St,
bilire un modello de1 raodo di organizzazione di un sistema mz
teriale'l, scrive a questo proposito KOLMOOOROV, ''non puö con-
sistere in nient daltro che nella creazione, a partire da a1-
tri elementi materiali, di un nuovo sistema, dotato, nei suoi
tratti essenziali, della stessa organizzazione de1 sistema reâ
lefl. Da questo punto di vista non è necessario esigere, per
esempio, che il modello della coniugazione russa sia realizzl
to nella stessa sostanza de1 suo oggetto (1a coniugazione rus
sa), vale a dire codificato mediante g1i stati delle cellule
nervose de1 cervello; esso puö essere - con uguale risultato
segnato sulla carta per mezzo di una matita o impresso su
schede perforate e realizzato sotto la forma di impulsioni in
una calcolatrice elettronica. In tutti questt casf le rego-
le che esso contiene devono essere riconosciute come regole
della coniugazione russa, se i risultati de1 suo funzionamem
to concordano in tutti i dettagli essenziali coi risultati
corrispondenti dell'attività de1 cervello umano.
11 punto di vista funzionale è interessante perchd fa de1
la descrizfone scientifica de1 mondo un problema di comples-
sità finita. Indfviduare le proprietà della struttura del-
l'oggetto in quanto proprietà essenziali permette di creare
la teoria di una struttura data, teoria applicabile ad ogge;
tf di qualsivoglia altra natura fisica, purché alla loro ba-
153

se si trovi la medesima struttura. Cosl il ricercatore si


svincola dalla necessità di elaborare una nuova teoria ogni
volta che si trova di fronte alla realizzazione della stessa
struttura in una nuova sostanza. Posto che, sotto certi
spetti, un oggetto che non è ancora stato studiato si compom
ta nello stesso modo in cui si comporta un oggetto già stu-
diato e munito df una teoria, il ricercatore puö tentare di
estendere questa teorfa (con tuttf f teoremi dfmostrati a1-
l'interno di quest'ultima) al primo oggetto, anche se, da1
punto di vista della sostanza, tali oggetti sono del tutto
dissimili. Come esempio classico df una tale generalizzazi/
ne si puö citare la teoria delle oscillazioni: i sistemi o-
scillatori si descrivono con uno stesso modello (con le stes
se equazionily indipendentemente da1 fatto che si tratti di
oscillazloni acustiche, meccaniche o elettromagnetiche.
L'influenza di queste idee si Y fatta sentire di recente
anche in linguistica; in particolare N. Chomsky, il fondato-
re della linguistica strutturale matematica contemporanea,h.-.
mostrato che varf tfpf df grammatfche dette l'generative't pol
sono essere concepitf come automi finiti; perciö la teoria dâ
g1i automi finitiy elaborata con mezzi matematici, è applic,
bile alle suddette grammatiche .
Tutte le altre proprietà de1 modello sono connesse a que-
sta proprietl fondamentale: 11 naodello costituisce unfappros-
simazione funzionale dell toggetto .

2) 11 modello costftuisce sempre una certa idealizzazione


dellloggetto. 1 fenomeni reali sono molto complessi; per
comprenderli, Y necessario cominciare dallo studio dei casi
più semplici e più generali, anche se essi non si incontrano
mai allo stato puro, e avanzare, partendo da questi, verso si
tuazionf particolari più compllcate. Questo procedimento non
è nuovo. Esso ci è familiare fin dagli anni di scuola, qua:
do risolvevamo problemi di fisica e di chimica: non erano i
problemf reali che la natura pone al rfcercatore, ma dei pr2
blemf logici artificiali e semplificati, dove sono descritte
situazioni ideali che non si incontrano praticamente mai a1-
lo stato puro. Risolvendo questi problemi semplificati, nei
154
N
quali noi hon avevamo a che fare se non con gli sc
'h emi delle
cose, noi assimilavamo non una funzione scientifica, ma im-
13ortanti verita
h teorfche. / ... /
- -

Un7idealizzazione di questo tipo conduce fn'evitabilm ente


a irrigidire il fenomeno vivo e a schematizzare i fatti, co-
sa che 1 fautori della linguistica classica sono inclini a
coTtsiderare come una vfolenza fatta alla lingua. Tuttaviay
senza una tale schematfzzazione la descrizione scfentiffca ià
impossibile; la concezfone scientifica di questo o quel feno
meno :'è un diagraama piuttosto che un quadro'' (H. J. ULDALL,
Houtiine of glosseo:aticslf, Travaux du Cercle lingulstfque de
coperA aau e. , X, 1, 1957, p. 8) e lo studioso che insistesse
-

per insûrire in questo diagramma tutti i fatti che concerno-


no un determinato fenomeno, non zotrebbe venire a capo d'un
solo problema scfentifico. /... / .

11 principio de1 'sottintenderel, o di sostituire, che ra:


presenta il caso più semplice di idealizzazione degli ogget-
ti linguistici, è conosciuto da tempo. Tale prlncipio si uti
lizza frequentemente in sintassi, nella descrizïone di certi
tipi di frasi che, a prima vista, sembrano essere interamen-
te isolate e occupare un posto a parte ne1 sistema sintatti-
co della lingua. / ... /
11 principio de1 sottinteso Y un caso particolare de1 prin
cfpfo pi; generale della rfcostruzfone di frasi che non si fn
contrano ne1 discorsoyma che sono necessarie per spiegare l'in
sieme dei fatti linguistici. / ... / .

A questo proposito si dfstingue, alllinterno de1 materiale


linguistico correttoycfö che si dfce abitualmente e ciö che
puö essere dettoyma non è detto abitualmente./ ..zl 11 gram-
matico inglese H.SWEET ha esaminato (A new english granuar,
logical and historical, 1931) le forme verbali I shall have
beqp seeing, I shall have been being qsiqy che non si incon
. -

trano praticam ente mai in condizioni naturaliyma sono deduci


bilf a partire da regole grammnticali. E 1 interessante nota-
re cheyavendo uno straniero domandato a Sweet se si puö dire
in inglesc an eleppn t supperysw eetyda linguisM
. conseguen-
texripgose éhe l'ingsése è llbero e che si puö effettivaDente pronuncinre
155

questa espressione, benché egli, per parte sua, non ricordas-


se d'aver maf, in quale che si fosse occasione, chiamato una
cena Nelegantll.
11 caso più importante di idealizzazione dellloggetto lin-
guistico è rappresentato dall'ipotesi che il numero di frasi
di una lingua / infinito e che la lunghezza d'una frase è, in
linea di principio, illimitata (vale a direy che è sempre po1
sibile avere delle frasi la cui lunghezza sia maggiore di quel
la di un qualsiasi enunciato dato preliminarmente). Noi sap-
piamo che, di fatto, il numero delle frasi scritte o pronun-
ciate in una lingua Y finito, per quanto immenso esso sia. Ma
per spiegare la capacità de1 soggetto parlante di costruire
frasi interamente nuove che non erano mai state pronunciate
scritte prima, bisogna esaminare non la situazfone osservata
nella realtà, ma una situazione ideale che sola puö darcï la
chiave per risolvere il problema. Ugualmente, benchd tutte
le frasf realmente pronuncfate o scrftte in una qualsiasi 1i/
gua siano di lunghezza finita, non ci sono regole, nella strul
tMra d<lle lingue naturalf, che lfmftino la loro lunghezza.
/ ... /
-

Cosl, se si scartano fattori come il volume limitato del-


la memoria umana, la durata limitata della vita umana, ecc.,
bisogna riconoscere che le regole grammaticalf della lingua
permettono la costruzione di frasi di lunghezza infinita; per
questo si dirà che una grammatica che si orienti verso una si
tuazione fdealizzata è Hpiù chiaroveggenten e più profonda df
una grammatica che parta da un fatto realmente osservato in un
enuncfato di lunghezza finfta. Una tale fdealfzzazfone sem-
plifica la descrizione in p1ù d'un campo: & evidente che non
sf possono formulare delle regole semplici lfmftando la 1un -
ghezza della frase ed / poco probabile che regole simili, per
quanto complfcate, possano essere df natura ffnfta.
3) Abitualmente il modello opera non con dei c/ncetti ri-
guardanti oggetti reali, ma con dei 'îcostrutti'' / la parola
construct è stata conïata da S. K. Saumjan /, che sono concel
-
ti concernenti degli oggetti fdeali, che non si possono dedur
re direttamente dai dati sperimentalï, ma costruiti 'liberames
te' a Partire da certe ipotesi generali suggerfte dalllinsie-
N

me delle ricerche e delle intuizioni de1 ricercatore. Ciascun


modello rappresenta una costruzione dedotta logicamente da i-
potesi per mezzo d'un apparato matematfco determfnato. / ..ml
Un llcostrutton linguistico tiplco Y il concetto di flessi:
ne zero per il plurale di parole qualiy p. es., i nomi inglâ
si sheep, afrcraft, deery ecc. G1i elementf zero non sono
osservabili direttamentey ma sono introdotti dallo studioso
per chiarire fatti osservati, in particolare l'accordo di t:
li nomi con le 'persone' plurali def verbi. / Lo zero puö es
sere simbolizzato con ;, e quindi i1 plurale di sheep si puö
rappresentare con sheep+ ;, dove il segno ; sta per il morfâ
ma formativo de1 plurale /.
Da un punto di vista ideale, i ''costru tti '' linguistici s/
no concetti elaborati senza fare appello direttamente alla
sostanza, fonetica o semantica, def fenomeni per lo studio
def quali essi sono stati creati. Non ne consegue tuttavia
che la signfficazione non possa costituire l'oggetto della
teoria linguistica; nella misura in cui la funzione princip:
le della lingua consiste ne1 trasmettere il pensiero, la co-
struzione df modelli della semantica costituisce una Hparte
integrante della descrizfone completa della lfngua'' (N. CHOM
SKY, ''Logical structure in languagell, American documentatfon,
VI1I, 4, 1957, p. 284). HDescrivere la lingua senza postull
re delle significazionf a una tappa qualsiasi - scriveva fl
ben noto psicolinguista americano J. CARROLL (11The study of
language. A survey of lfnguistfcs' and related dfscfplfnes fn
Americar', Cambridge, Mass., 1953, p. 19) - è la stessa cosa
che elaborare un codice senza averne la chiavel'.
#
64) Ogni modello deve essere formale. Un modello puö essE
rë considerato come formale se vi si trovano in modo chlaro
e evidente g1i oggettf di partenza, le proposizfonf che per -
mettono di collegarli e le regole del loro impiego (1e rego
le di formazione di nuovi oggetti e di nuove proposizioni).
Idealmente, ogni modello formale rappresenta un sistema mat:
matfco. E' per questo che, in un certo senso, il conce tto
di 'formale' Y sinonfmo di quellf di 'matematico', 'preci -
so' o 'univoco'. (La formalizzazione di un ambito di rapprâ
157

sentazioni ricche di contenuto si accompagna gemeralsente a1-


l'introduzione di designazioni simboliche, ma / ... / non sf
-

riduce a questo. Sottolineiamo a questo proposito che llinfa


tuazione attuale per i simboli dietro i quali non si trovano
concetti definiti con precisione, cfo/ in maniera univocaynon
ha niente in comune col metodo scientifico. 11 simbolismo ml
scherato df apparenza scientifica non puö sostituire il pensiâ
ro, e non puö che screditare un lavoro serio agli occhi dei m:
le informati).
11 carattere formaley preciso e univoco deve essere la prE
prietâ de1 linguaggio nel quale si espone la teoria. In sé ,
tale carattere non garantisce la concordanza tra le predizio-
ni della teoria formale e i dati sperimentali oggettivi. La
precisione della teoria rende possibile la costruzione di e-
sperienze non equlvoche, che vengono a confermare o a sovver-
tire la teorfaima non ci puö essere alcun legaae logico tra
la precisione e la verità di una teoria.
modello formale è legato ai dati sperimentali per mezzo
df una interpretazione. Dare l'interpretazione di un modello
è indicare le regole per le qualf si possono sostituire agli
oggetti (slmboli) de1 modello oggetti appartenenti a un campo
qualsiasi, per esempio alla lingua.
Da ciö che abbiamo detto in precedenza sulle proprietâ de1
modello come approssimazione funzfonale dellboggetto, derfva
che il numero delle fnterpretazioni possibili di un modello dm
to non è, per principio, limitato, e, in ogni caso, è superio
re a uno. Ammettfamo, per esempio, che ne1 modello si consi-
derino g1i elementi a , a , a , ..., a e b , b y b ,...,b'
1 2 3 u-r-x 1 2 3 m
e delle catene de1 tipo ai.-, bi, ai 'f aj, ecc. (la frec-
cia indica che bi rappresen@a 1telemento principale e as, aj
degli elementi secondari); i1 modello puö essere interpreta-
to fonologicamente: al posto di a1-
. a .....;a. .'sk' introdurranno
2- '- 7n
delle consonanti; al posto di b . b ..... b , delle vocali, e
1- 2 - - m
sf interpreteranno le catene enumerate come delle sillabe fo-
nologiche con un vertice sillabfco vocalico. Si puö anche dm
re di questo stesso modello un 'fnterpretazfone gramrnmticale :
al posto df a . a ..... a , si introdurrà un gruppo di nomf,
1- 2- - n
158
N
in luogo di b , b ,..., b , un gruppo di verbi personali e s:
L
1 2 m
interpreteranno le catene de1 tipo a . bf, a b a . , ecc .;
. i i
me fr1si con al vertice (elemento nucleare) un prelicate.
/ ...z1.
-

Questi esempi mostrano in qual modo costruzioni liberq (i


dealfy matematiche) pos:ono spfegare il comportamento di ceI
ti oggetti di natura interamente definita. Un modello co-
struito per spiegare un materiale empirico qualsiasi, se non
ammette alcuna interpretazioùe rigorosaj è una ffnzione scien
tifica; in ta1 caso esso deve essere abbandonato e rimpïazza-
to da un modello diverso. 11 modello è tanto più efficace
quanto più ampfo è il suo dominio, cfoè quanto maggiore è il
numero di interpretazioni che esso ammette. (De1 resto, bisz
gna ricordare che c'è una relazione inversa tra l'ampiezza df
un modello - il numero di interpretazioni da questo ammesse -
e la sua rfcchezza; più i1 dominio de1 modello Y largo più
i1 suo contenuto è povero - pfù la sua potenza 'modellizza -
trice' ; ridotta - e viceversa).
5) Ognf modello interpretato deve essere dotato di potere
esplicativo. Un modello possiede questa proprietà se: 1) spiâ
ga dei fatti o def dati forniti dalla sperimentazione, e di
cuf le teorie anteriori non potevano rendere conto; 2) predi
ce il comportamento delldoggetto, che sar: confermato ulte-
riormente dallbosservazione o da una nuova sperimentazione.
Nelltuno e nell'altro caso il potere esplicativo de1 modello
è tanto più grande quanto più elevato è il grado di concor -
danza tra predizionl e dati sperimentali.

Un esempio classico de1 primo caso è la teoria della rell


tività limitata di Einstein, che ha spiegato la celebre espE
rienza di A. Michelson, i cui risultati erano de1 tutto in-
comprensibiti per la ftsica pre-einsteiniana. 11 secondo cl
so è illustrato dalla teoria della relatività generalfzzatay
la cui conclusione fondamentale ; stata confermata due anni
ddpo 1m sua formulazione dalllesperienza di A. Eddington.
/ ...- /
La linguistica pure pEssiede degli esempi che illustrano
ciascuno def due casi. / ... /
come esempio che fllustra il secondo caso - quello df una
teoria linguistica che non solo spiega tutto il materiale esi
-1

stente ma predice anche dei fatti fino allora non osservati ..


citeremo la concezione saussuriana delle latingali (F. de SAUS
SURE, Mdmoire sur le système prfmitif des langues indo-euro-
plennesy Lefpzig, 1879) /
= Apreslan, alle pp. 98-100 de1 sag-
gio qui tradotto, dà unlesposizione semplificata, e molto chi:
ra, dellîipotesi saussuriana circa llesistenza di una sonante
laringale, ne1 sistema primitivo indoeuropeo, per spiegare u-
n t irregclarità nel sfstema delle alternanze vocaliche indo-
europee /.
1!11 vantaggio di una tale analisi rispetto allfanalisi clas
sica, scrive a questo jroposito L. Hlelmslev, consiste, in
primo luogo, ne1 fatto che essa dà una soluzione più sempli-
ce al problema, eliminando da1 sistèma le vocali dette 1un -
ghe e, dtaltra parte, nel permettere di ottenere un'analogia
completa con le alternanze vocaliche le quali, fino allora,:
rano conosciute come qualcosa df fondaDentalmente diverso...
Questa analisi / stata effettuata unicamente in virtù di prin
cipi interni, con l'intento di penetrare più profondamente nel
sistema fondamentale della lingua; essa non si fondava su1 d,
ti apparenti delle lingue più facilmente assoggettabili a com
parazione, ma era unfoperazione interna effettuata ne1 slste-
ma indoeuropeor'.
F. de Saussure aveva ventun anni quando scrisse questîo-
peray che superava di almeno cinquantlanni la scienza dellfâ
poca. Soltanto ne1 1927, dopo la decifrazione della lingua
ittita, furono scopârti i primi fatti predetti dalla teoria
di saussure. / ... /
-

La storia delle decifrazioni llngufstiche conosce moltf


esempi di questo genere. J. F. Champollion ha decffrato f
geroglffici egiziani ne1 1824, ma la giustezza de1 Hmodelloff
da 1ui proposto Y stata definitivamente confermata solo nel
1866, quando il suo discepolo P. Lepsius trovö a San,
fn Egitto, una pietra recante un testo in tre lingue (il dâ
creto di Canopo); trasponendo il testo egiziano in greco, sâ
condo i1 metodo de1 suo maestro, egli ottenne una traduzione
160

che concordava interamente co1 testo greco de1 decreto/


- s ..-
/.
In tutti questi casi sl ha una ricostruzione dei fatti stE
rici, la cui giustezza è stata confermata da un materiale sco
perto molto più tardi e quasi sempre per caso. Questa situà
zione sperimentale eccezionalmente favorevole si incontra an
che nella ricerca sfncronica, ma sprovvista dellfelemento di
azzardo legato allo studio diacronico. Da tale punto di vi-
sta c'Y, tra le ricerche diacroniche e le ricerche sincroni-
chey questa sola dffferenza, che non % una dffferenza df prim
cipio : nelle ricerche diacroniche sf ricostruiscono dei fat-
tf gfl passatf, nelle ricerche sincroniche si costruiscono
dei fatti che esistono attualmente o che potranno esistere
nelllavvenire.
ciA crea larghe possfbflftà sperfrnentali, sulle quali L.
V. Scerba fu uno dEi primi ad attirare l'attenzione. / ... / .

Su idee analoghe / a quelle de1 linguista russo cit. / si


fonda fl sfstema df verffica sperfmentale della potenza esplf
cativa de1 mcdello linguistico, pr8posto da N. chomslcy: il
modello deve poter costruire non soltanto g1i oggetti lingui
stici già incontrati nelllesperienza dei soggettl parlanti,
ma anche altri oggetti che, benchè non siano stati incontra-
ti nella pratica de1 discorso, sono tuttavia teoricamente am
missibili. Nello stesso modo, il modelloy mentre simula l'a;
tivifà , linguistica dell'uditore, deve poter analizzare non
solo i prodotti della langue che sono serviti corne materiale
di partenza per t'lelaborazione della teoria, ma anche altri
prodotti corretti de1 discorso. Solo modelli simili possono
spiegare la capacità dell'emittente di costruire qualsiasi
frase nuova (ad eccezione delle frasi scorrette) e quella de1
ricevente di capire qualsiasf frase nuova (ad eccezïone, an-
coray delle frasi scorrette). Notiamo che tali modelli sono
capaci anche di spiegare i1 processo dell'acquisizione de1
lfnguaggfo da parte de1 bambfno.
Beninteso, questo non risolve f1 dffficile e appassiona/
te problema dei mezzi sperimentali che permettono di verifl
care le predizioni de1 modello e di determinare la sua po-
tenza esplfcatfva. Per princfpio si puö asserfre che le prE.
16 1

dizioni de1 modello sono confermate dai dati dell'esperienza


solo nel caso in cui tali predizioni siano formulate con una
precisione totale, suf piani quantitativo e qualitativo. La
storia delle scienze comprende un numero abbastanza grande di
false teorie, la cui non concordanza con la realtà è apparsa
non per il fatto che esse non predicessero la forma generale
de1 comportamento dellboggetto, ma perché esse si sbagliavano
nella predizione della sua quantità. Disgraziatamente la 1in
guistica è solo agli infzi nelllelaborare sperimentazioni ca-
paci di confermare non soltanto g1i aspetti qualitativf, ma
anche gli aspetti quantitativi delle predizioni (in tutti qu:
sti casi noi consfderiamo .dâcisive le sperimentazioni che con
fermano o infirmano la teoria. Queste non devono essere con-
fuse con i procedimenti sperimentali di trattamento de1 mate-
riale grezzo, çhe sono da tempo ben noti ln linguistica: p.
es., il sfstema elaborato dai descrittivfsti americanii...).
Per la costruzione di un modello si esige dunque:

1) di determinare i fatti che richiedono una spiegazione,


2) di avanzare unlipotesi per spiegare tali fatti,
3) di presentare l'ipotesi sotto la forma df modelli che non
solo spieghino i fatti di partenza ma predlcano aùche fat-
tl nuovi che non sono ancora stati osservati,
di verificare sperfmentalmente il modello.
Tutto conAincia dalla sperimentazione e tutto finisce con
essa; se tra la situazione predetta e la situazione reale
c'Y una divergenza, allora, secondo l'importanza di tale di-
vergenza, il modello sarà precisato, riorganizzato, o rifiutm
to; in questfultimo caso, bisognerà ricominciare daccapo. Se
un sistema di proposfzioni non ammette alcuna verifica speri-
mentale e non puö essere provato con altri mezzi (per esem-
pio, deduttivamente), g1i si rifiuterà il nome di modello
di teoria.

2. 1 tipi di modelli linguistici


f
La tipologia dei modelli linguistici si trova attualmente
a uno stadio preliminare di elaborazione; per questo non sa-
premmo dare una classificazione esaustiva di tutti i tipi poé
11. - 8. CIFIkELLI 80iTlq): C1î usi della iacola.
162

sibili di modelli. Ci limiteremo a indicare i tratti fonda-


mentali secondo f qualf sf possono classificare i modelli
a caratterizzare le particolarità di questo o quel tipo.
Comfnceremo con la descrfzfone def modellf che si dfstfn-
guono secondo il carattere dellîoggetto che hanno di mira.
Da questo punto di vista si possono distinguere tre tipi di
modelli:
1) 1 modelli che hanno per oggetto i processi e i fenomeni
linguistici concreti. Questi modelli imitano l'attività
verbale dellfuomo; i prfmi passi serf verso la loro elabora-
zione sono stati fatti dai linguisti praghesi.

2) I modelli nei qualf sf esamïnano le procedure che permet-


tono al ricercatore di scoprire questo o quel fenomeno. In
una certa misura questi modelli simulano l'attività di ricer-
yz de1 linguista. Noi lf chiameremo più avanti modellf di ri-
cerca. 11 primo passo serio verso la loro elaborazione è do-
vuto ai descrittivisti americani che hanno tentato di creare
degli algoritmi universali per scoprire le grammatiche del-
le lingue naturali.

3) I modelli che studiano le descrizioni linguistiche com-


piute, senza preoccuparsi nd dellfattività verbale delltuomoy
né dell'attività di ricerca de1 linguista. Se la grammatica
tradizionale appare come una teoria dei processi linguistici
concreti, il modello de1 terzo tipo appare come una teoria
della teoria, o una metateoria . 11 primo passo verso l'ela-
borazipne dei modelli di questo tipo Y stato fatto dai glos-
éematicf.
I modelli che simulano l'attivftà di parola dellluomo ra2
presentano il tipo più importante dei modelli propriamente 1i/
guistici. In rapporto ad essi i modelli de1 secondo e de1
terzo tipo ricoprono un ruolo ausiliario.
I modelli che imitano llattività di ricerca de1 linguista
sono desG c u a e ndare in modo obfettfvo la scelta dei concetu uti
lizzati per esporre un modello de1 primo tipo, per esempio la
grammatica di questa o quella lfngua. Nella loro forma idea-
le (che non è ancora mai stata raggfunta) essi riducono al mi
163

nimo il ruolo de1 fattore soggettivo nella ricerca. In ta1


modo essi appaiono, in un certo senso, come il criterio del-
l'adeguatezza (della verità) dei modelli de1 primo tipo.
Si puö incrementare l'efficacia de1 modello de1 primo ti-
po con un altro mezzo: non dando un fondamento ai concetti che
esso utilizza, ma confrontandolo, secondo vari criteri di cui
akunfsperfmentali, ad altri modellf analoghf. D'altra parte
è proprio a questo che sono destinati i raodelli del terzo ti
po: essi forniscono un sistema di çrfteri e di prove teoriche
(metalingua) sulla cui base si possano scegliere i migliorf
fra diversi modelli concernenti lo stesso fenomeno.
Tenendo conto de1 fatto che i modelli di ricerca precedo-
no fdealmente i modellf def processf linguisifcf concretf e
che i metamodelli succedono a questi, / ... / cominceremo col
-

l'esaminare i modelli dl ricerca, poi passetemo ai modelli


dei processi linguistici concreti (modelli dellfattivitl di
parola dellluomo) e presenteremo, per concludere, le idee fom
damentali della metateoria.
Abbiamo già detto che f modelli de1 secondo tfpo imftano
l'attività di ricerca de1 linguista. Tale attività consiste
nell bestrarre, a partire da una somma di osservazioni sui
prodottf linguistïci (testfh una certa rappresentazfone de1
loro modo d'essere organizzati, cioè de1 sistema che li genE
ra. Di conseguenza, imitare l'attività del linguista signi-
ffca accertare fl passaggio di un insfeme di testi verso il
sistema che Y alla base di tali testi. Si dirà che il sistâ
ma è stato studiato sufficientemente se si conoscono: 1) le
sue unità elementari, 2) le classi di unità elementari, 3) le
leggi di associazione degli elementi di differenti classi
tutti i livellï df analfsf, compreso ï1 lfvello semantïco
(cfr. il modo in cui questo problema è impostato presso i dâ
scrittivistf aml
ericani).
1 modelli di ricerca possono essere ripartitt in tre cat,
gorie, fn funzfone dellffnformazfone utilizzata come punto di
partenza. Nei modelli della prima categoria si utilizza uni-
camente come informazione dl partenza il testo, e tutte le
informazioni concernenti i1 sfstema, cio/ la lingua che genï
164

ra il testo, derivano esclusivamente dai datf forniti da1


testo. Sono i modelli classiciy di decifrazione. Nei model
li della seconda categoria è dato non solamente il testo,
ma anche l 'insieme delle frasi corrette della lingua. Prati-
camente ciö significa chey per l'elaborazione de1 modello, î1
linguista ricorre allfaiuto dellfinformatore che deve dire,
a proposito di ciascuna delle frasi che g1i vengono presen -
tate, se essa sia corretta o no. L'informatore puö essere
fl lingufsta stesso, se possfede perfettamente la lfngua stM
diata. Infine, nei modelli della terza categoria si danno
non solamente il testo e l'insieme delle frasi corrette, ma
anche l'fnsfeme delle fnvariantf semantiche. Pratfcamente
ciö significa che llinformatore deve deterrninare non soltan
to la correttezza grammaticale di ciascuno degli enunciati
che g1i vengono presentatiy ma anche dire per qualsiasi co:
pia di enunciati se questi hanno lo stesso senso o no. I m:
delli di questa categoria sono vicini a descrizioni tradizi/
nali, perciö non occorre che ci soffermiamo su dl essi.
Passiamo ora ai modelli dei processi e dei fenomeni lin-
gufstfcf concretf, che sf potrebbero anche chianm re modellf
dqllrattività verbale dell'uomo, o modelli della padronanza
de11a lingua. 1-... -1.
Secondo l'accezione che si d: al concetto di Hpadronanza
della linguàn (secondo che esso includa o no la capacità di
comprendere il significato delle parole) i modelli delldat-
tività verbale si differenziano e possono essere distinti in:
J 1) modelli non semantici o puramente sintatticfy che imita-
/
no il possesso della grammaticay cio/ la capacità dei soggel
ti di comprendere e costruire frasi grammnticalmente corret-
àte, ma non obbligatoriamente provviste di significato; 2)
modelli #emanticiy che simulano la capacità dei soggetti di
comprendere e costruire frasi provviste di senso.
Secondo l'aspetto dellrattività di parola (ricezione o e-
missione) che costituisce l'oggetto de1 modello, i modelli
dell'attività verbale si dividono in modellf di analisi e
modelli di sintesi. Si chiama modello di analisi un numero
finito di regole capaci df analfzzare un numero infinito di
165

enunciati in una lingua data. I modellf analitici sintatti-


ci rfcevono Nin entrata'' fl testo e danno ''in uscita'' per
ciascun enuncfato, la descrizione della sua struttura sintal
tica. 1 modelli analftici semantici ricevono in entrata lo
stesso materiale e forniscono allbuscita una descrizione (raz
presentazione) de1 senso di ciascun enunciato in un lfnguag-
gio semantico particolare. Si chiama modello di sintesi un
numero finito di regole capaci di costruire un numero infini
to di enunciati corretti. I modelli di sintesi sfntattici i/
piegano come informazione di partenza la descrizione della
struttura sintattica degli enuncfati e danno allfuscita g1i M
nunciati corretti della lingua considerata. I modelli di sim
tesi semantici ricevono alllentrata la rappresentazione semam
tica di un enunciato qualsiasi fn un linguaggio semantico paI
'
ticolare e danno all'uscita un insieme di enunciati della
lingua naturale, sinonimi dell'enunciato iniziale.
Accanto ai modelli di analisi e di sintesi esistono anche
modelli detti generativi, che sonoy in un certo senso, inte/
mediari tra g1i uni e g1f altri. Si chfama modello generati
vo un dispositivo contenente un alfabeto di simboli (ldinsiâ
me degli elementi df partenza de1 modello, il suo dizionario:
p. es., l 'fnsieme dei fonemi, o dei morfeci , o dei simboli de1
le categorie grammaticali, o dei simboli dei tipi p1ù sempli-
ci di frasi) e un numero finito di regole di formazione (e di
trasformazione) delle espressfoni a partire dagli elementi di
questo alfabeto, capaci di costruire un insieme infinito di
frasi corrette nella lingua considerata e di assegnare a ci:
scuna di esse una descrizione stru tturale.
Al concetto di modelli analitici sinteticf Y legato il
concetto fondamentale di reversibilità de1 modello. 11 mo-
dello M è detto inverso in rapporto al modello M se g1i oz
1 2
getti di partenza di M appaiono come oggetti finali di M
1 di M appaiono come oggetti iniziali
e se g1i oggetti finali 1
di M . Alcuni ricercatori considerano i modelli di sintesi
2
come inversi rispetto ai modelli di analisi. Una tale mani.â
ra di affrontare la questione elimina la necessitâ di costru-t
re due modelli indipendenti per un fenomeno dato: il modello
di analisi puö essere ottenuto mediante una semplice fnversi.q
166

ne de1 modello di sintesi e vfceversa. I ... 1


.

Secondo la forma matematica nella quale si trovano enun -


ciati i modelli, questi si dividono in calcoli e algoritmi.
La prfncipa1e differenza tra ques'ti due tipf sf puö esprfmâ
re come segue: il calcolo è un sistema di concessioni (di a:
torizzazioni), e l'algoritmo Y una successione di ordini (di
comandi).
Abitualmente il calcolo ha la forma di un sistema matema-
tico che comprende: 1) dei concetti di partenza (primari o
non definibili), i cui nomi formano l'alfabeto dei sfmboli;
2) delle asserzioni primarie (indimostrabili) che riguardano
le relazioni fra questi concetti (assiomi); 3) delle regole
di deduzione di nuove asserzioni (teoremi) a partire da quel
le che gfà sf possfedono. A1 posto deglf assfomf e delle r/
gole di deduzione si usano talvolta regole di formazione e
di trasformazione delle espressioni realizzate con llausilio
degli elementf delllalfabeto.
Nei calcoli vengono utilizzate fraquentemente definizioni
e regole dette ricorsive. Si dicono ricorsive le definizio-
ni e le regole che si costruiscono in due tappe tali che la
prima contiene la definizione de1 caso particolare più sem-
plice, e la seconda la definizione de1 caso generale tramite
il caso particolare. La definizione seguente def numerf na-
turali (cioé qualsiasi numero intero positivo a partire dal-
l'unità) puö servire come esempio di definizione ricorsiva :
(1) 1 (l'unità) è un numero naturale; (2) se i è un numero
naturale, allora anche i + 1 Y un numero naturale. E' faci-
le verificare che questa defimfzione ingloba gutti i numeri
naturali ed essi soli. / ... 1 .

11 calcolo permette di ottenere per mezzo di un meccani-


smo finito tutti g1i oggetti di un insieme qualunque anche
se fnfinito (per esempio tutti g1i enunciati di una lingua d,
ta). Questa proprietà dei calcoli deve essere utilizzata da1
la linguistica che ha a che fare con inventari, molto grandi
o infinitiy di unità. / ... / Illustriamo ora questo concel
-
to con un esempio astratto.

= .
Sia l'alfabeto df simboli Xy a, c. La regola obbligatoria
di formazione delle espressioni in questo alfabeto / la se-
guente:
X --> ac (X deve essere riscritto come ac).
Affinché il calcolo generi un insfeme infinfto di espres -
sioni, noi vi aggiungeremo una regola ricorsiva facoltativa :
X --> axc. Di conseguenza X puö essere riscritto sia come
ac, sia come aXc e la X di questa ultima espressione puö di
nuovo essere sostituita con altri simboli, applicando ltuna
o l'altra delle due regole di calcolo. L'elemento X al quale
è legata questa regola ricorsiva è detto elemento ricorsivo.
lllustriamo il calcolo costruito qui, applicando una volta o-
gni regola:

Regola Rfsultato dellrapplfcazfone

(1) X --+ aXc aXc


(2) X --> ac aacc

/ ... / Si chiama algoritmo una successione d'ordini la cui


-

esecuzfone conduce a lfberare o a costruire l'oggetto desfde-


rato. / ... /
-

Un algoritmo deve poter essere realizzato in modo totalmem


te automatico per essere accessibile al programmatore. A que-
sto proposito si puö paragonare l'algoritmo alle istruzioni
per una macchina di laboratorio che eseguisca esattamente le
prescrfzfonfy senza errori, ma che non sfa capace df pensare.
Le istruzioni che si darebbero a un tale dispositivo potrebbm
ro contenete ordini de1 tipo indicato prima, ma non prescrizf:
nf de1 tfpo ''sff ragfonevole''# Magfsci correttamentell# lleffel
tua questa deduzione'' o ''trova l'aggettivo'l (se non ci sono
regole dettagliate, applicabili matematicamente, per far ciö).
Un algoritmo scritto in un lfnguaggio comprensfbfle per la
macchina si chiama programma.
Ogni modello, compreso il calcolo, deve essere presentato
sotto la forma di un algoritmo (o provvisto di un algoritmo),
per poter passare in macchina; infatti la macchina non compre:
168

de che lfnguaggfo deglf ordinf e non quello delle permissio


ni .
Prima di passare ad altri tipi di modelli, indichfamo la
dipendenza che esiste tra i modelli di ricerca, analiticiysin
tetici e generativi da una parte e g1i algoritmi e i calcoli
dalllaltra. I tre primi tipi di modelli si enunciano abitual
mente sotto la forma di un algoritmo, mentre per i modelli gE
nerativi si usa f1 calcolo.
Secondo il genere di regole utilizzate ne1 modello, si di
stinguono dei modelli probabilistici (statfsticf)e def model-
li deterpinisticf (strutturali).
Esistono anche modelli misti strutturali-statistici. Le
lingue naturali,nella maggior parte dei casi, sono costruite
in modo che un numero ridotto di regole abbraccia l'insieme
dei fatti essenzialf, ma per la spiegazione di qualche fatto
residuo (per lo più non produttivo), sf rivela necessario un
gran numero di regole. Per questo, in una buona percentuale
di casi, sarà più vantaggioso spiegare un fnsieme dato di
fatti non mediante un modello deterministico che, a causa de1
la profusione dei fatti, sarebbe inutilmente ingombrante, ma
con un modello probabilistico che si limiti a un numero p1ù
piccolo di regole puramente statistiche e perciö sia meno co/
plicato. La perdita di precisfone delle regole è compensata
in tale modello dalla sua semplicità relativa. Come illustrz,
zioney rinviamo i1 lettore all 'opera di 1. A . MEL'CUK sulla
determinazione de1 genere de1 nome francese alla fine della
parola; delle regole assai semplici permettono di risolvere
correttamente il problema ne11,85% dei casi. Regole analoghe
sono ancora più efficaci per lo spagnolo: esse danno una rk-
sposta corretta ne1 95% dei casf.
1 modelli deterministici più fmportanti sono quelli delle
strutture differenziali binarie ne1 dominio della fonologia e
della morfologia, il modello in costftuenti immediati, i mo-
delli trasformazionale e applicativo ne1 dominio della sintas
si e il modello dei Ilmoltiplicatori semanticil' nel dominio
della semantica.
APPENDICE

Le iaçine che seçuono sono una garte cosiicua de1 quinto iaraçrafo del
cap. 11 ('
ILinçua liberal
j di TE88l2I$I,1S63,chesvîluppa un concetlo 0..
riççnale di sltaazione, intesa coze '
lil zozanto in cui dobbiaao izzajina..
re che si attui oçni espressione linçuisiical
k La linçuistica terraciniék
na (jer cui rizando a C0iTl,1S6# e 1970),centrata sulla dialettica par-
lante-interlocutore, puL offrire suççerizenti feconti a uno studio che quy-
ti sullbattività cozunicativa deçli utenti tenendo presente llidea huzbolj
-

tiana de1 linçuaççio coze enérnheia (attività,creazione: în sd, nelle rel..


lizzazîonistoriche, collettive, e neisinçoli attilinçuistici),che jii '
ïerracinî aveva assunto aila base teiia sua rîflessione sulia lïnqua e che
aitualzante è stata ripresa in azbito çenerativo coze zassa a fuoco tï a..
sietti dellacreatività linçuistica (cfr.i1nazeroaonpçrafico diLipnat
e Stîle, 4111 1,1S73: kilhelz von puzboldt: Inter4retazionicritiche ne
-- i-
la cultura contesnoranea, oltrea SOïTE, 1076)-

BENVENUTO TERRACINI, 1'La lfngua fn atto) situazione'' (V, II)j


in Lingua libera e libertà linguistica. Introduzione alla lin-
guistfca storfca (Torfno: Efnaudf, 1963). Nuova edfz. con
unlintroduzione di MARIA CORTI (Torino: Einaudi, 1970), pp.
68-74.

La barrfera che sf frappone fra fl parlante e f proprf si


mili la conosciamo: è la lingua, la quale appunto / stata pl
ragonata da1 Devoto1 ad una barriera che unisce e divide il
parlante e l'fnterlocutore; questa duplice funzione suggeri-
sce pure al Devoto l'immagine di una lingualfiltro alla qua-
le spetterebbe il compito di accettare o no le innovazioni de1
la lingua individuale e di dar loro corso. E' questo uno dei
tantf modf fngegnosf con cuf la linguistica vecchia e nuova
tenta di rendersi conto df come la lingua dellffndividuo si
agganci alla lingua comune.
Ma la linguistica saussuriana distingue cosl inesorabil-
mente i due anelli della catena che si tratta di congiunge-
re, e tanto faticosamente insiste su1 loro carattere etero-
geneo - il Devoto, giustamente da1 suo punto di v istay par-
la di una differenza qualitativa tra lingua individuale
lingua comune -. che prima di rfçorrere a questo benedetto mx2
ro sarà bene che ci proviamo - sulle orme di altri linguisti
- a lasciare semplfcemente il parlante faccia a faccia con
il suo interlocutore, fondandoci su uno dei tanti aspettf sq
to cui ci appare il linguaggio : 1laspetto dranvaatico, de1
linguaggio come dialogo.
Intanto, nemmeno in teoria, possiamo concepire che questo
dramma si svolga tra due personaggi generici: dobbiamo sem -
pre postulare un parlante determinato che si rivolge ad un
interlocutore determinato. Non penso qufy soltanto, alla di
versa capacità linguistica dei parlanti secondo l'età, a co-
mfnciare dallffnfanzfa, o a una diversa attitudine dettata
da particolari condizioni df stato dlanimo o df ambiente, o
ancora a una diversa esigenza di precfsione tecnica o df e-
videnza espressfva, tutte distinzioni che sf possono racco-
gliere, come più tardi vedremoy sotto un denominatore comu-
ne: la reazione diversa df ciascun parlante, e quindi una
variabile attitudine di prestfgio o di sottomissfone, verso
l'azione lfngufstica dei propri simili.
Penso piuttosto alle conseguenze formali di questo eleme/
tare individualismo che / alla base di ogni atto linguisti -
co, cos! variamente riconosciuto dalla lingufstfca generale
per poco che esca dagli scheii originali della distinzione
saussuriana o liberamente li elabori. Intanto l'atto 1in -
guistico concreto suppone un centro di partenza e di irrag-
giamento dell'azione lfnguistica che è costituito dallo steé
so soggetto parlante. Questo centro & presupposto dallo
stesso riconoscimento di una delle funzioni primordiali del
lfnguaggio: la segnalazfone della presenza de1 soggetto, fu/
171

zione che è dotata di speciali segni, come purj la sua funzio


ne contraria: la cessazione di questa presenza. Si sale,poi,
grado a grado, alla funzfone defttfca de1 pronome ed afffnf,
inserita entro il sistema di segni significativi a tracciare
la prospettiva sotto il cui angolo il parlante vede s: e l'im
terlocutore e quanto li circonda. Di qui si puö proseguire
oltrey a tutto quanto in gramnatica esplicitamente mostra 1':-
diffcio de1 linguaggio orientato su1 soggetto parlante; tan-
tIè che f1 carattere egocentrico de1 linguaggio è stato e-
spressamente rilevatoy# almeno per le lingue di tipo indoeuro
peo. Un passo, un piccolo passo più in 1à, e riusciamo ad in
serire queste osservazioni nelle vedute della linguistica i-
dealïstica: siamo sulla vfa della forma internay come Humboldt
la concepiva, che Y unrindividuale presa di posizione da par
te de1 soggetto ch
,
e imprime forma a ciö che sta fuori de1 suo

Ma è ben noto che tutte queste forme, esplicite o implici


te, rivelanti la presenza de1 soggetto, quale momento elemem
tare e necessario delllatto linguistico, hanno un senso sol-
tanto se le concepïamo come concretamente dirette, per una
sorta df messa a fuoco, verso l'interlocutore. Siamo anche
quf dfnanzf ad una delle funzfonf prfmarfe de1 lfnguaggfo che,
secondo g1i psicologi, ejige appunto la presenza e llatten-
zfone dellfïnterlocutore. Ma questa messa a fuoco fu osser-
vata soprattutto sulla dialettica con cui il soggetto ora nel
discorso si atteggia ad opporsi alllinterlocutore, ora inve-
ce si protende verso di 1ui e quasf ne assimfla la mentalità.!
uno dei temi favoriti da chi indaghi la stilistica della 1im
gua viva, calda dellIelemento drammatico, diciamo pure agoni
R z -
stico; che è proprio de1 linguaggio concreto. Ora basta esâ
minare con un poco di attenzione i1 corsp di una di queste i/
daginf, per esempio quella dello Spitzer, dove il momento diz,
logfco della nostra lfngua è preso particolarmente di mïra,
per constatare come da questo gioco dialettico che rivela la
presenza delle due personalïtà si passf senza soluzfone di ctn/
tinuftà a ciö che si chiama la 'tsituazione'l, la quale non è
una sorta di campo neutrale su cu1 questo gioco dialettfco sf
svolge, ma ne è addirittura il prodotto che drammaticamente
172

si sprigiona dalla presenza de1 protagonista e delllantagonl


sta.
11 Bally sf sofferma per vero sugli aspetti esterfori de1
la situazione, sulle circostanze in cui il dialogo ha luogo
ecc.;î ha perö il merito di rilevare quell'aspetto della sf-
tuazione che si profila da1 fine pratico, dalla intenzione di
azione sprigfonantesi da1 dialogo (discussione di un affare,
consulto di un medfco, ecc.). Di qui è facile passare ad u-
na concezione de1 drammn lfnguistico come un reciproco cona-
to di persuasione da parte dei due interlocutori. Ed ecco
che, sotto questo aspetto, la situazione viene a rappresentâ
re quellbequilibrio che continuamente si stabilisce tra 1'e-
sercizio di un prestigio che anima il soggetto e lleffetto di
persuasione e di imitazione che esso provoca nelltinterlocu-
tore. Equilibrio abbastanza facile da raggiungersi, visto
che da un lato il prestigio linguistico, appunto perché tale,
presuppone sempre, in dose maggiore o mfnore, una certa ade-
sione de1 soggetto allfambiente circostante, cioè è legato in
modo vario ad una certa quale ricerca di llpopolaritàb'. Lfi-
mitazione a sua volta contiene sempre un elemento attivo, per
lo meno di adesione o di accettazione, altrimenti non è che
cosa morta .

Ad approfondire fl concetto di situazioney sotto questo z


spetto agonistico, si verrebbe probabilmente a scoprire che
in questo equilibrio tra conflitto e intesa, perpetuamente ri
cercato dai parlanti e ad ogni fstante turbato e raggiunto, ri
mane riflesso quel senso di limfte soggettivo e df sforzo com
piuto da1 soggetto ad ogni atto linguistico per superare i
propri confini, che abbiamo definito0come una delle caratte-
ristiche della attività linguistfca. Insomma, il concetto di
situazione è uno di quelli che offrono al linguista una via
facile e piana per orientarsf, movendo da un oggetto specifi
co de1 suo studio, su1 potere subiettivante e obiettivante
de1 linguaggio. In proiezione, per cosl dire, orizzontale
ai due puntillimite de1 campo proprio dell'attività lingui-
stica, questa infatti giunge a liberarsf da1 senso di limi-
tatezza soggettiva che è rappresentato dalla situazione; fl
suo prodotto tende allora ad assumere un valore assoluto, im
173

dipendente da qualsiasi elemento contingente: e siamo da un


lato alla lfrfca pura, da1 lato opposto siamo alla formulazi:
ne pura e semplice de1 pensfero. In posizione verticale, se
vogliamo continuare la metafora, esaurito il momento attfvo e
particolare de1 linguaggfo in atto, resta la sua permanenza
come prodotto e modello potenziale progressivamente liberato,
attraverso atti successivi, dalla concretezza limitata dalla
situazione, per cui il potere significativo di ogni elemento
della lingua tende a valori sempre più astratti e la carica
espressiva si riduce a una costante indefinita, ora latente,
ora subllmata e trasfigurata. 11 complesso di questa produ-
zione linguistica si libra quindi fuori delllindividuo che
ltha prodotto, come una mobile costruzione che pare interpor
j-
si fra nof e un unfverso concepito come reale, ed fn effetto
fornisce a ciascuno di noi la capacità di intendere quel mo-
bile universo dandogli forma.10

Ai circoscritti fini nostri il concetto di situazione e il


progressivo svincolarsi da essa di cui il linguaggio, inteso
come produzione collettiva, Y suscéttfbile, ci interessano
per l'avvio che ci offrono ad affermare un fatto semplicissi
mo, eppure di ioportanza capitale per il problema della libei
tà linguistica. ciö che abbiamo chiamato tono espressivo11 ri
veste ad un tempo l'aspetto di un tono che potremmo chiamare
sociale; la duttilità di cui il parlante dà prova nella scel
ta del primo corrisponde a quella che spiega nel secondo, più
esattamente l 'uno e llaltro rappresentano due aspettf df una
stessa libertà. 1 trattati di retorica medievale insegnano
che altro è lo stile di chi scrive ad un amfco o parente, a1-
tro quello di chi dirige unfepistola al vescovo o all'impera-
tore. Tutta quanta l'onda ritmica de1 discorso esige che
molto sia lasciato nella penombra di sottintesi e df valori
impliciti, mutevoli co1 mutare dellbinterlocutore. Parlante
e interlocutore stanno rinchiusi in un circolo magico fatto
di condizioni, di premesse e di intenzioni sottintese; ogni
situazione esige la sua grammatica: tra amici, al caff/, le
battute de1 dfalogo scoppfettano carfche di allusionf, df fm
magini, di un tono quasi furbesco ch'é in una conversazione ccn
sconosciuti sarebbero privi di senso e di umorismo. Se par-
174

lo con me stesso, posso addirittura far getto di tutto un al


mamentarfo della grammatica comune, mi basta una forma per
mio uso e consumo senza i fronzoli e g1i indugi della logica,
basta un lampeggiare telegrafico di associazionf giustappo -
ste. Ogni sftuazione esige dunque una messa a fuoco, la scel
ta di un tono che abbiamo chiamato sociale e rappresenta uno
dei momenti pi; nettamente individualf de1 linguaggio umano:
il grado di simpatia, di comprensione che unisce il parlante
non solo all'interlocutore in carne ed ossa, ma pure a quel
l'interlocutore ideale che Y il pubblico. Pn tono che cam -
bia quando il pubblico cambia; per metterlo a punto, al par-
lante occorre un sesto senso, il senso di una flessibilftà
spirituale che reagfsca a tutte le situazioni man mano che
g1i si presentano: quel sesto senso che mette in opera un al
tore o un conferenzfere che sappia calcolare l'effetto delle
sue parole.
ora questa flessibilit: de1 tono sociale si identifica ad
dirittura con quella de1 tono espressivo, dfref che ne rap -
presenta la faccfa esterna. 11 poeta, secondando fl moto de1
la tensione lirica che ora lo sommerge tempestosa nella real
tà, ora lo allontana perché possa serenamente contemplarla,
sempre si dirige ad un pubblico, cantay racconta per un pub-
blfco, per convfncerlo, persuaderlo o semplicemente per ritrz
varvi riflessa come in uno schermo l'onda dei propri senti -
menti. Quanto più a fondo il poeta guarda in se stesso - ho
in mente lflnfinito leopardiano - tanto più l'orizzonte de1
suo pubblico ideale si alla/ga, perde ogni limite e diviene
semplicemente e unfversalmente umano.
%@

E' fnutile fnsistere su tutti i gradi e le forme di que-


sta messa a punto sociale; il Bally dfce appunto che la llsi-
tuazionel', con l'intesa fra i protagonisti de1 dialogo che
essa presuppone, ''aiutall la comprensione; qualche filosofo 12
in questa intesa, mossa da una simpatia sociale, vede addi-
rfttura la condizione de1 fenomeno della comprensione. Cer-
to fl giudizio comune: non sfintendono perchd ffnon parlano
la stessa linguan (e le discussioni fra scienziati o fra di
plomaticf ce neporjo
gnificato profondo.
Jno occasione ognigiorno) ha un suo s'
i
-*
175

Ma, si dirà, a furfa di accrescere il numero delle perso-


ne partecipanti al dfalogo, queste dfventano unffntera comu-
nità linguistica, e la considerazione che il parlante deve
alle molteplici persone dei suoi interlocutori si trasforma
ne1 generfco ossequio alla lingua - ed ecco il muro df Devo-
to che minaccia di innalzarsi. Ma un muro non è, o è di ben
labile consistenza. Lfuomo della strada (e talora anche 1:
artista) non distingue addirittura il linguaggio dalla vita,
dalla propria vita; al popolano questa distinzione riesce tam
to difficile che appena nell'esercizfo de1 linguaggio g1i si
offre l'occasione di uscire dalla realtà di una situazione im
mediata e de1 dialogo che essa comporta - (e ciö accade ne1
racconto) - egli Y incline a riportare continuamente il rac-
conto a momenti di vita realmente vissuta16. A questo stesso
senso realistico e drammatico de1 lïnguaggio si deve, come fu
osservato, il vezzo dellîoperaio o de1 contadino di apostro-
fare e rivolgere la parola aglf strumenti de1 lavoro, come a
compagni. lnvece quelldartigiano della lingua che è il gram
matico, o lo scrittore, o comunque lluomo colto, personifica
la lfngua, e a volte dialoga con essa. Qui certo le condizio-
ni sono radicalmente diverse: per ltuomo colto la lingua pretl
de la consfstenza di una nobile signora alla quale sf deve
ossequio e che detta le sue brave leggi. Ci troviamo in un
mondo ideale, non certo separato, ma ben distinto dalla vita
comune, dove il commercio con la linguay ora semplice gioco,
ora arte, ora eloquenzaj ora forza di persuasione, assume u-
na df quelle forme - qui Whitney vedeva gfusto - volontarie
e intenzionali che oggi attirano sempre più l'attenzione dei
1infb
uisti quando ci parlano della funzionalità de1 linguag-
gio. Questa dunque per esser tale si identifica addirittura
con i moti di ciö che comunemente si chiama vita. Una fun -
zfonalità alla quale possfamo dare il nome comprensfvo di
chiarezza - che sarebbe niente altro che il lato formale del
la persuasione - e vale per qualsiasi grado di maturità spi-
rituale raggiunto da1 parlante. Dall'espressione evidente
del più angusto sentimento alla più alta manifestazione de1
pensfero, eglf dunque si protende ugualmente verso f proprf
simili per uscire dalla sua chiusa individualità ed essere i:à
teso / ...- /.
176

Ifondazenll
' della storia lingul
'stica, Firenze, 10S1, p. #0; cfr. ;. bù.
2 lo particolarzente presenii, oltre a Schuchardtt ç)i scritti tî 0. Jesiersen
(cfr.la iaçina con cuisi înizia The Fùylostphy ofCrazzar,London 1S2# e'1a
espressa sua irofessîone di individaaliszo, ribadita in Linduistica. Copena-
çhen 1033, ;;.126-27) e l'handbuch der erklrrendenSpniax,palle1931, dik.
8lkEqs, Si cfr. l'analoça esilicita dichiarazione di 8.COFES, Four une so-
cîolonie du lannane, Faris ISS6, ;p. 8S-g2.
îfr. ;er llaspetto prizordiale di kuesla funzione, il trattato de1 T8LEECLOJ
che cito sulla versione francese Traiié de phonoloqîe. paris 10#S, ;p.b-2S, e
SFIT2E8, Italienische dzuannssnrache, harburç 1018, ;p. 2 sçç. e 78.
# Sfr.IIyEiS, Fandbuch cît., p. #8.

sfr. biblioçrafia cit. ia1 OEkCTO, în Fondazentî cît-, ;. #S, e F. hlld2, Fsv-
cholouie der Snrache, 1,Stuttçart 1041, p;. 179-82.

Fer questo concetto, cfr. Fondazenti cît-, p.31, con la biblioçrafîa cii. e cfr.
8. TE88lsI$l,Conflittî di lînnue e di cultura, kenezia 1Sb7, ;;. 179, 207, 2#8
- 51.

7 ItalienischeLznannssprache cit-, p;.101,277;cfr.gure leconsidjrazioni de1


T8L8Egr0J, Traité cit., ;;. 24-20 e guelle di F. 808E8@, gozunicacîon 9 situa-.
ciép.în BFevisia defiloloçfa hisplnical',k (1S#3),;;.2t#-50.
8 Le lannane et la vie, 2a ed. Cenève 1S3b; cîio daila versione siaçnola di 1.A ,

lonso (iuenoslires 1941), pp.124-32.


îfr. cai.

1g îfr. 8. TE88lCI$l, BLa speculazione teorelica dei linçuistill, relaz. a l pro-


Llezi de1 linnuann'io, 8oza 1062, ;. 114; 10., lnalisi stilistica. lilano 1S66,
cap. 1.

k. 8. d8El$, Lannvane and iealitv, deH tork 1S3g, pp. 23b-#0.

;iù avanti p;.16#-6b.


#
liscendi e il notissizo fenozepo di anizazione di ojçetti o enti inanizati che
è progrio de1 linjuaççio iecnico - e di zanifesla oriçine popolare - non dissl-
zile dalllanizazîone di cuî uno scrittore puè doiare qualsiasi oçjetto kuando
stia al centro da1 suo inleresse in quel zozento. Cfr. ad esezpio SCIEd, So-
ciolonîe cit-, ;. 86, dove rîcorda lloperaio che apostrofa lo slruzento de1 1a
-

voro (Ron peul dire au clou: tu ce vas pas tlenfoncer, toiî..Jj.


15 In sede di critica alle çeneraiîzzazioni arbitrarie per cui, attraverso il con -

cetio di funzionalità, si è credulo di ioter attribuire alla linjua stessa un


carattereteleoloçico, E.Coseriu Sincronia cii-, p;. ##,126) nola ilcarat
tere strettazente indiviiuale che rfveste la ficaliià dek linçuaggfo e si scf-
ferza altrove a considerarne î zolteplici aspetti. gella considerazione fina-
listica dî cui è suscetiibîle gualsiasi forza delllattivîtà linçuistica, basii
qui ricordare la cozplessa elaborazione per cui il linçuaççio viene addirittu-
raad essere considerato cozetecnîca de1 dîscorso uzano,coze Bariel'tcfr. 1.
8lîLll80, 11 linuuanqio coze conoscenza, Santa àlarta in katicano 1g51, p. 56 e
passiz'
,lD.,La parola cîl., ;p.18S-22S)o iîcorderezo ancora, ierché zetle b-q
ne in rilievoil lato forzale della îuestione,ilcenno della Schickche (I1
linnuannio. Iorîno 1g6g, p.160) parla di Brîcerca delllespressioneadeçuala'
l.
ûuanlo alla finalità persuasiva, si veda il quadro ezpirîco delle forze che el-
sa ;uL socialzente rivestire in COFEC, Spciplonie cit., gp. 252-63.

12. - 8. EIFI4ELLI 80qTlql: C1i usi della papala.


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Elenco ;ui soltanto 1e oiere citate in forza abbreviata ne1 teslo o


nelle note. Le oiere in linçua straniera lradotte in italiano apiaio-
noconladatadellIodizioneoriçinale(generalzentelairiza),za la
nuzerazîone delle iaçine rinvia allpedizione ilaliana. $on cozpaîono
kui alcuni deçli stuti ;iù izporlanti della linçuistica contezioranea,
né i zanuali di storia della tisciplinaa che pure sono siati lenuti ben
presenti nel corso de1 lavoro: la bibl. di CI8AkELLI 808Tlil, 1g7#,
;uè riezpire alzeno kualcuno dei vuoti più vistosi.

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INDICE ANALITICO DEGLI ARGOMENTI TRATTATI NEL ''CORSO''
(sono escluse le APPENDICI A, B e C)

ACCETTABILITA Q XOTE E RIM . 4: 4.3.


APPROPRIATEZZA: 3.1.39 NOTE E RIM. A: 4.3.

COMPETENCE / PERFORMANCE: 1.29 1.39 3.1.29 4.1.2.


COMPETENZA COMUNICAH VA: 2.2.2. e passim .
COMDNICAZIONE, ASPETTI COMUNICATIVI DELLA LIN GUA, ATTO COMU-
NICATIVO: 1.39 2.1.2. e passim .
CONTESTO: 1.29 2.29 3.19 3.1.19 3.1.29 3.2. Con-testo e Co-
testo: 3.1.2. (e nota relativa in NOTE E RIM. 3); Contâ
sto verbale: 3.1.5.
COREFERENZA: 1.2.
.1.

DEVIAZIONE (SCARTO): 4.3.2.


DIAFASICHE, DIASTRATICHE, DIATOPICHE (VARIETA'): 3.3.2.
DIATIPO: 3.3.2.

-EMICO e -ETICO : 3.1.4.


ETNOMETODOLOGIA: NOTE E RIM. 3: 3.1.2.

GLOTTODIDATTICA: 1.19 2.2.2.

IDIOLETTO: 3.3.2.
ILLOCUTORIA (FORZA): 3.1.39 3.1.69 5.3.2 e NOTA SUPPLEMENTA-
RE .
LANGUE / PAROLE: 1.29 1.39 4.3 (e nota relatfva fn NOTE E
RIM. 3).
LINGDISTICA APPLICATA :
LOCUZIONE: 2.23 3.1.6 e NOTA SUPPLEMENTARE.

METALINGUISTICA IFDNZIONE): 2.19 - e fnsegnamento della graz


matica: 2.19 5.1.19 5.1.2.
MONOREMA: 1.2.1.

NORMA: 4.39 4.3.1 (e nota relatfva in NOTE E RIM. 4).

PAROLE (v. LANGUE).


PERFORMANCE (v. COMPETENCE).
PERFORMATIV0: 5.3.2 e NOTA SUPPLEMENTARE.
PERLOCUTORIO (EFFETTO): 3.1.39 5.3.2 e NOTA SUPPLEMENTARE.

REGISTRO: 3.2 (e nota relativa in NOTE E RIM. 3).


REGOLE COSTITUTIVE e R. NORMATIVE: 3.1.4 e NOTA SUPPLEMENTA-
RE.
RELAZIONI : COMPLEMENTARE E SIMMETRICA : 2.1.3.
RUOLO (e STATUS): 2.1.39 3.1.69 3.1.6.19 3.1.6.2.

SCARTO (v. DEVIAZIONE).


SCELTA: 4.3.29 A.4. segg.; 4.59 5.3.2.
SITUAZIONE (di D1Sc0RS0): 2.1.39 2.29 5.3.19 v. CONTESTO.
SOCIOLINGUISTICA: 1.3.1 (e nota relativa in NOTE E RIM. 1);
2.2.2.
SOTTOCODICE: 3.39 5.2.2.
STILE: NOTE E RIM. 2: 2.2.29 3.29 4.19 A.1.1 e passfm.
STILE FDNZIONALE: 3.3.1.

TEXTLINGDISTIK: 1.2.1 (e nota relatfva in NOTE E RIM. 1);


1.3.19 7.1.2.
TESTO: 1.2.19 3.1.5.(TEORIA de1 -): 2.2.19 A.6 e passim.
TRANSFRASTICHE (RELAZIONI): 1.2.15 4.69 5.2.2.
TRATTI STILISTICI: 4.69 5.2.29 5.3.2.

VARIABILITA' LINGUISTICA: 2.2 e passim.


)y
y
,
'

D 1

Premessa Pa8 .

1. Linguistica applicata e glottodidattica: reci


proca inclusione. Obiettivi delle ricerche
comprese nei due campi

2. Glottodidattica e stilistfca: cennf alla pro-


blematica delllinsegnamento-apprendimento di
una lingua. Temi e procedimenti della ricer-
stilistica e loro rilevanza per la didatti
linguïstica

Chiarimenti essenzlali sui fattori della va-


riabilità linguistica (situazione - contesto
verbale - status e ruolo dei partecipanti) in
relazione ad alcune delle categorie stilisti-
che più comuni (registroy sottocodice, stile
funzionale, diatipo, ecc.) 39

A. Lo studio dello stile. Breve rassegna def


principali compiti attribuiti alla stilistica
e delle sue direzioni di ricerca. Stile come
'scarto' da una norma: difficoltà di definire
la norma. La 'sceltaf e le scelte: parametrf
192

di valutazione. 11 piano dellfanalisi stili-


stica: tratti distintivi dello stile pag.

5. La pratfca stilfstfca: strumentf conoscftivf


e didattici forniti dalllanalisi della varia-
bilità linguistica e delle sue condizioni. Ri
fiuto di procedimenti tipici della pedagogia
linguistica tradizionale. Proposte derivanti
dall'applfcazfone def prfncfpf amnessf come
base della riflessione sulla lingua 89

Nota supplementare 121

Appendici:
Appendice A 14.1
Appendfce B 150
Appendice C 169

Bibliografia

Indice analitico degli argomenti trattati


ncorso'' 189

N AZ1(7N AtE Ci'


f.N1'R A LE
J ;U
ib 2-
a ,
iisp.8: o
c
# >
3 DIRITTO STAM PA
COPIA PRES.COKSIGLIO

Lllizatn ti staziare ne1 zese dî dagçio


nella Lilografia lrlîgiana 8. ! S. di Iorino

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