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DODECAFONIA

Metodo di composizione ideato da Arnold Schönberg intorno al 1920 che consiste
nel considerare i 12 suoni della scala cromatica in rapporto solo tra loro e non con
un centro tonale predeterminato.

Il linguaggio tonale si fondava su rapporti di carattere gerarchico tra suoni più o
meno importanti, sulla gravitazione dell'ambiente armonico intorno ad alcuni gradi
fondamentali inglobati in una costituzione di modi   o scale all'interno delle quali
assumono un ruolo specifico e non trasferibile. Il meccanismo generale ruota intorno
alla tonica, cioè primo grado della scala in una tonalità determinata, punto d'avvio e
d'arrivo   della   composizione,   e   ogni   nota   o   accordo   ha   un   valore   “funzionale”
graduato, obbligando le parti ad un moto preciso (si pensi solo all'accordo di settima
diminuita, che vede obbligati ad una risoluzione prefigurata tre dei quattro suoni che
lo   costituiscono,   e   poi   ancora   gli   accordi   di  nona,  undicesima,  ecc.).   Con   lo
scompaginamento   del   sistema   tonale   e   la   conseguente   scomparsa   delle
polarizzazioni verso gradi più o meno importanti, le dodici note della scala cromatica
(do, do diesis o re bemolle, re, re diesis o mi bemolle, mi, fa, fa diesis o sol bemolle,
sol, sol diesis o la bemolle, la, la diesis o si bemolle, si: a non voler considerare anche
ulteriori suoni omologhi, come le doppie alterazioni) vengono ad essere livellate,
hanno   tutte   la   medesima   importanza,   vengono   ridotte   al   rango   di   materia:
semplicemente, a suoni più acuti e suoni più gravi. Una materia in sé indifferenziata,
che non porta i germi della forma, entro cui si può vagare nell'anarchia più completa.
Un   immenso   campo   di   esplorazioni,   che   blocca   sul   nascere   ogni   tentativo   di
“figurazione” tradizionale. L'ingegnoso sistema dodecafonico, creato da Schönberg,
e   subito   adottato   dai   suoi   allievi   e   correligionari,   Berg   e   Webern,   sovrappone
appunto alla nuova materia, di per sé amorfa, schemi costruttivi che ne prescindono
completamente,   se   non   nel   senso   di   impedire   ogni   condensazione   di   nuove
“toniche” o di nuovi accordi prioritari e polarizzanti; una volta prodotto un suono,
prima che esso possa riapparire è necessario che siano fatti udire gli altri undici, a
completare   il  totale  cromatico  (naturalmente   vi  sono   delle  eccezioni  nel   metodo
dodecafonico,   anche   nella   sua   formulazione   più   dottrinaria   ma   non   è   possibile
entrare   nel   merito   della   questione   in   uno   scritto   puramente   orientativo).   E'   la
cosiddetta serie,  cioè  un ordine di intervalli per
      il totale dei dodici suoni , serie che
poi   viene   sottoposta   ai   tradizionali   artifici   contrappuntistici,   sia   pure   in   forma
estremamente sfaccettata. Si tratta di un nucleo di partenza, di un microcosmo che
contiene   potenzialmente   il   macrocosmo   della   composizione:   qualcosa   di   molto
diverso e addirittura opposto al tema della musica classica e romantica, già di per sé,
si diceva inizialmente, riassuntivo, perentorio, estremamente caratterizzato. La serie
è invece, più semplicemente, una pietra da costruzione,  una consistenza più nuda
del suono, priva del determinismo propulsivo di una aprioristica organicità formale.
Al meccanismo spetta di delimitare la materia, ma solo a questo si limita la sua
responsabilità  compositiva:   il   meccanismo   di   partenza   è   in   un   certo   senso   uno
schema astratto, e non ha nulla a che vedere con la solare intervallistica del tema
tonale.   L'intervallo   melodico   scade   poi   nel   senso   di   una   sua   specifica   funzione
nell'ambito di un organismo determinato: si tratta, come s'è detto, ormai solo della
differenza che passa tra un suono più acuto e un suono più grave (s'intende che ci
sono poi vari modi di articolare melodicamente una serie, e basterà ricordare gli echi
“tonali”  di certe frasi di Dallapiccola o degli stessi viennesi: ma si parla qui della
tendenza generale, ovviamente).
Resta   inteso   che  la   dialettica fondamentale   tra   determinato   e  indeterminato,   tra
immagine tonale e sua lacerazione non viene esautorata dalla dodecafonia, perché
con i criteri seriali si possono eventualmente riprodurre spettri di soluzioni tonali.
Schönberg e soprattutto Berg ricorreranno spesso a tali ambiguità linguistiche.
Come hanno rilevato alcuni critici, anche di tendenze diverse (tra cui F. D'Amico), la
dodecafonia non è affatto il ribaltamento razionalistico dell'espressionismo, ma la
sua consacrazione. Impedendo che il discorso musicale possa organizzarsi su basi
sintattiche   ricavate   dalla   ricognizione   del   materiale,   mediante   un   formulario
matematico la dodecafonia, rinserrata nei suoi schemi, si rivela come il veicolo ideale
all'eversione schönberghiana, assicurando al compositore che in ogni caso la trama
che egli va elaborando si nega al linguaggio così come storicamente è giunto fino agli
ultimi anni del secolo scorso,  e anche  dopo. Tanto è  vero che più tardi, quando
l'espressionismo, dopo aver schiuso straordinari orizzonti musicali alle generazioni a
seguire,   tenderà   a   decadere   nei   suoi   aspetti   di   più   disperata   e   soggettivistica
negazione,   i   musicisti   consapevolmente   avviati   a   raccoglierne   l'eredità,  non
identificheranno   più   la   coerenza   nel   numero   di   dodici,   ma   in   altri   fattori,   come
l'insistenza   su  zone   timbriche,   su  agglomerati,   su  figure   ricorrenti,   questi   sì
veramente reali su un piano propriamente “linguistico”. La volontaria “aridità” della
dodecafonia  viennese, le sue gelide serpentine, sono  lo specchio di una ben più
vasta aridità, di una sempre più difficile comunicazione.
(Armando Gentilucci: Guida all'ascolto della musica contemporanea. Feltrinelli – Milano 1969, pp.
14‐6)

ARGOMENTO CORRELATO 1: SISTEMI DI INTONAZIONE

Il sistema di intonazione è quella regola che ci dice come esattamente devono essere
intonate le note della scala rispetto ad una nota, di frequenza stabilita, presa come
riferimento,   cioè   che   precisi   intervalli   o,   meglio   ancora,   che   precisi   rapporti   di
frequenza devono intercorrere fra le note.
Quando abbiamo detto che le 12 note della nostra musica sono disposte tutte alla
stessa distanza nell'ottava, che tale distanza si chiama semitono temperato, e che
infine la nota  di riferimento è il LA  diapason  440 Hz, abbiamo così specificato le
principali  caratteristiche del sistema di intonazione  in uso al giorno d'oggi, detto
temperamento equabile (bruttissimo termine: sarebbe meglio dire “equalizzato”).
Per spiegare il significato di questo nome, ripercorriamo brevemente la storia degli
altri   due   principali   sistemi   di   intonazione   apparsi   nella   musica   della   civiltà
occidentale.
Nell'antichità vigeva il  sistema pitagorico, la cui invenzione è attribuita appunto al
celebre filosofo e matematico greco. La sua caratteristica principale era di avere i
toni un po' più grandi e i semitoni un po' più piccoli dei nostri (un tono quindi era più
ampio   di   due   semitoni).   Questo   sistema   andò   bene   finché   la   musica   rimase
monodica, cioè ad una sola voce; ma con l'inizio della musica polifonica, verso l'anno
1000, esso si dimostrò inadatto principalmente perché gli intervalli armonici di 3.a
maggiore, formati da due toni così grandi, risultavano dissonanti. Perciò nella pratica
l'intonazione   veniva   corretta  ad  orecchio,   in   attesa   che   venisse   stabilito   un   altro
sistema privo di quei difetti.
Questo fu presentato alla fine del 1500 da Gioseffo Zarlino, un teorico veneziano il
quale, sul modello dei suoni armonici, corresse le 3.e di Pitagora   restringendo il
secondo dei due toni che le costituivano. Ammetteva cioè due specie di toni, uno
grande come quello di Pitagora (tono maggiore) e uno più piccolo (tono minore), i
quali dovevano alternarsi fra i gradi in un certo ordine fisso. Questo sistema, ancor
oggi considerato il modello perfetto dell'intonazione degli intervalli, si dimostrò però
fin dall'inizio inapplicabile in pratica, perché la piccola differenza di ampiezza fra le
due specie di tono produceva piccole differenze nell'intonazione delle stesse note da
una tonalità all'altra: per avere a disposizione tutte le note necessarie in tutti i casi
gli strumenti a tastiera avrebbero dovuto avere tanti tasti da renderne impossibile
l'esecuzione. E così pure gli altri strumenti a intonazione fissa: solo i cantanti, o gli
strumenti   ad   arco,   o   i   tromboni   a   tiro,   che   possono   graduare   l'intonazione   per
infinitesimi, possono usare il sistema zarliniano quando suonano fra di loro.
Ecco perché verso l'anno 1700 si affermò la proposta attribuita al teorico tedesco
Andreas   Werkmeister,   di   perfezionare   secondo   una   regola   precisa   ciò   che   già   si
faceva in pratica:
1.   prima  temperando,   cioè   appiattendo,   smussando   le   differenze   di   intonazione
troppo piccole, e unificando così in un suono intermedio le note che avessero una
differenza di altezza minore di un semitono: in tal modo le note vengono ridotte alle
solite dodici;
2. poi equalizzando, cioè rendendo tutti uguali gli intervalli (semitoni) fra di esse. In
tal modo tutti gli intervalli, eccetto le 8e giuste, risultano un po' “stonati” rispetto alla
loro misura perfetta zarliniana: ma è un sacrificio che l'orecchio tollera benissimo, e
che produce in cambio un gran vantaggio di semplicità e mobilità per la musica.
Oggi a sua volta il sistema temperato è diventato un modello di intonazione per la
musica dodecafonica, la quale, fondandosi sul principio della scala cromatica, in cui
non esiste grado di inizio né di fine, bensì le note sono tutte d'uguale importanza,
non chiede di meglio che ciò sia confermato e garantito dalla perfetta uguaglianza di
tutti gli intervalli.
(Stefano Lanza: Introduzione alla musica. Manuale ragionato di teoria musicale. Zanibon‐Padova,
1987, pp. 46‐7)
ARGOMENTO CORRELATO 2: ESPRESSIONISMO MUSICALE

La versione dell'avanguardia nei paesi di lingua tedesca ebbe il suo movimento più
importante nell' “espressionismo”. Anche questo termine, come molti altri, non ebbe
la sua origine nel contesto musicale, ma fu adottato posteriormente dagli storici
della musica: il contesto d'origine era quello delle arti figurative. I pittori tedeschi
della  seconda metà dell'Ottocento  dovettero combattere prima contro  la politica
culturale   del   governo,   che   ne   ostacolava   l'affermazione   (e   da   qui   nacquero   i
movimenti della cosiddetta “secessione”) poi contro il monopolio di cui godevano a
fine   secolo,   presso   i   mercanti   d'arte   e   gli   acquirenti   facoltosi,   i   pittori
dell'impressionismo francese e i loro seguaci locali. In altri termini i pittori nuovi
combattevano   contro   il   “pubblico”   delle   arti   figurative,   così   come   i   musicisti
combattevano contro il pubblico delle sale da concerto. Il termine “espressionismo”
nasce dunque da una contrapposizione al termine “impressionismo”. Quest'ultimo
movimento era ormai considerato agli inizi del Novecento, come una manifestazione
della borghesia ricca, del ceto dominante contro cui gli espressionisti combattevano.
L'identità   del   movimento   espressionista   è   molto   composita:   da   un   lato
l'espressionismo   ebbe   componenti   utopiche   che   profetizzavano   quasi   un'epoca
nuova dello spirito contro il materialismo e l'egoismo della società industrializzata,
che vedevano nell'arte un'uscita dalla gabbia dell'urbanesimo disumanizzato; d'altro
lato   nell'espressionismo   s'insinuarono   riflessioni   sull'erotismo,   considerato   a
seconda dei casi in forme positive (come vitalismo rigenerante) o negative (come
minaccia della carne – o in qualche caso addirittura della donna stessa – contro
l'affermazione spirituale); in altri casi l'espressionismo accolse suggestioni potenti
dagli   studi   freudiani   sull'inconscio;   in   altri   ancora   propose   immagini   astratte   del
mondo interiore, come un rifiuto della rappresentazione del reale. Nella difficoltà di
trovare un denominatore comune semplice, per tendenze così molteplici e diverse, si
potrebbe affermare che questi artisti manifestavano una sorta di globale “disagio di
vivere” in una società alla quale si sentivano profondamente estranei. Una spia di
questo rifiuto si può scorgere persino in alcuni casi estremi di artisti del movimento
espressionista   che   si   arruolarono   durante   la   guerra   mondiale   e   vissero   questa
esperienza non in termini di nazionalismo o di militarismo, bensì come strumento
per far uscire allo scoperto tendenze profonde dell'uomo: il pericolo, la paura, il
sangue, la morte.
Il   musicista   più   sensibile   ai   richiami   del   movimento   espressionista   fu   Arnold
Schönberg,   sia   per   la   sua   collaborazione   con   alcuni   pittori   e   uomini   di   teatro
dell'espressionismo, sia perché egli stesso fu anche pittore, sia infine perché il clima
espressivo   delle   sue   opere   dei   primi   vent'anni   del   Novecento   corrisponde
pienamente   a   quello   delle   altre   arti.   Il   tema   che   più   spesso   emerge
nell'espressionismo musicale, di Schönberg e degli altri musicisti della sua cerchia, è
quello   dell'esperienza   del   terrore   e   dell'angoscia,   che   emerge   dal   profondo   e   si
manifesta in voce immediata e primordiale, in una sorta di urlo non filtrato dalla
ragione: in musica ciò significa suono non controllato da una organizzazione, da una
sintassi preordinata come quella della tradizione tonale. Il suono doveva uscire dalla
fantasia nel modo più immediato possibile, e per esprimere angoscia doveva anche
essere il più possibile aspro e dissonante.

(Mario Baroni: L'orecchio intelligente. Guida all'ascolto di musiche non familiari. LIM – Lucca, 2004,
pp. 170‐1)

ARGOMENTO CORRELATO 3: Commento all'ascolto di Vorgefühle (Presentimenti),
n.1 dai Cinque Pezzi per orchestra op. 16 di Arnold Schönberg.

La prima caratteristica importante  da rilevare riguarda il sistema delle altezze e in
particolare l'impossibilità di fissare, all'interno di questo magma di suoni, un suono
di   riferimento,   quello   che   nella   tradizione   musicale   si   chiamava   nota   “tonica”.   Il
brano è “a‐tonale”, secondo una definizione che Schönberg non gradiva, ma che è
entrata in uso nella tradizione storiografica. Anche il brano di Stravinskij, nonostante
le dissonanze, permetteva ogni tanto di individuare qualche centro tonale. Quello di
Schönberg no: è costruito in maniera tale da evitare che l'ascoltatore si orienti su
una nota più stabile o più attrattiva delle altre.
Un  secondo principio fondamentale  della tradizione è pure assente o largamente
compromesso:   quello   della   regolarità   metrica.   A   tratti   si   può   dire   che   essa  sia
presente,   ma   in   linea   generale   è   veramente  difficile   individuare   in  questo   brano
accenti regolarmente disposti sulla base dei quali sia possibile “battere il tempo”. Un
terzo   principio   mancante   è   quello   dell'assenza   di   melodie     anche   vagamente
cantabili o di temi più o meno chiaramente riconoscibili. Gli ascoltatori dell'epoca,
anche i più curiosi e i più ben disposti nei confronti delle tendenze della poetica
espressionista, non potevano prevedere se e come il brano si sviluppasse, dove e
come potesse concludere. Si stava in mare aperto e i venti potevano spingere da una
parte qualsiasi.
Un ascolto attento, tuttavia, può rilevare una certa logica formale: intorno alla metà
del brano (la cui durata è circa di 2') si raggiunge un culmine quasi parossistico di
energia e di violenza. Il brano fa perno attorno a questo culmine che prima viene
preparato   e   gradualmente   raggiunto,   e   successivamente   viene   a   poco   a   poco
dissolto. Nei primi 30” la sensazione più evidente è quella del disordine: compaiono
frammenti disorganicamente collegati , eseguiti da gruppi di strumenti diversi, acuti
o gravi, veloci o lenti, forte o piano, con mosse continuamente contrastanti. Dai 30”
ai 70” gli archi bassi introducono una melodia di tre note e cominciano a ripeterla
ostinatamente e sempre più forte. Su questo sfondo ossessivo si inseriscono gli altri
strumenti   con   illuminazioni   improvvise,   tonfi   sordi,   esplosioni   devastanti,   disegni
astratti che a poco a poco riempiono lo spazio sonoro fino a raggiungere un culmine
di intensità.   E' questo il parossistico punto centrale a cui prima ho fatto cenno. A
questo punto si fa avanti una specie di marcia goffa e brutale il cui ritmo continua
per un certo tempo e poi a poco a poco si dirada. Gli ultimi 15” sono punteggiati da
interventi disordinati di strumenti bassi e cupi o acuti e graffianti. Infine tutto si
conclude  con un intervento di violoncelli e contrabbassi che sembra voler introdurre
un nuovo motivo e invece s'interrompe improvvisamente, senza nessuna apparente
ragione.

(Mario Baroni: L'orecchio intelligente. Guida all'ascolto di musiche non familiari. LIM – Lucca, 2004,
pp. 170‐1)

ARGOMENTO   CORRELATO   4:  Ernst   Křenek   –   Prefazione   a  Studi   di   contrappunto


basati sul sistema dodecafonico (trad. R. Ruech). Curci‐Milano, 1983, pp.4‐6.

Tonalità e atonalità.
La musica tecnicamente coordinata in un sistema di toni maggiore e minore, viene
chiamata musica “tonale”. La musica non coordinata in base ad un tale sistema può
definirsi col temine di “atonale” termine particolarmente adoperato per la musica
del XX secolo, in quanto manca di criteri tonali e nel senso dato più sopra.
Si   può   indubbiamente   dare   una   più   larga   definizione   della   tonalità.   Potrebbe
chiamarsi tonalità qualunque metodo atto a definire i riconoscibili legami esistenti
fra i vari elementi musicali. In questo senso, il sistema di toni maggiore e minore,
caratteristico di un certo periodo storico, non rappresenterebbe che uno dei molti
aspetti che possiamo concepire in fatto di tonalità, e la musica che non si conforma
ai   postulati   di   tale   sistema,   dovrebbe   palesare   qualche   altro   sistema   di   relazioni
elementari, ad esempio un altro tipo di tonalità. Siccome la musica contemporanea
[il   trattato   di   Křenek   risale   al   1940,  n.d.c.],   scritta   senza   toni,   è   chiamata
generalmente “atonale”, il problema viene semplificato limitando ciò che si riferisce
al   termine   “tonalità”   al   concetto   dei   modi   maggiore   e   minore.   Inoltre,   questa
definizione più ristretta è in concordanza con quella dei dizionari riconosciuti. Arnold
Schönberg, nell'articolo sulla “tonalità” della International Cyclopedia of Music and
Musicians (New York, 1939), ne dà la seguente definizione: “La musica non dipende
soltanto dall'acustica ma anche dalla logica e da quelle leggi particolari che risultano
dalla combinazione di tono e melodia....Tonalità tendente a rendere percettibili fatti
armonici ed a metterli in relazione fra di loro, e che costituisce perciò non un fine ma
un mezzo”.
Se la tonalità rappresenta un mezzo, quale sarà, dunque, il fine verso il quale tende?
Questo   indubbiamente   sarà   quella   coordinazione   del   materiale   musicale   che
permette di percepire espressioni musicali quali entità logicamente coerenti.
 Con la inevitabile disintegrazione della tonalità, derivata dalla evoluzione musicale
nel XIX secolo, nacque il problema dei nuovi metodi da escogitare per dare, con
logica, forme coerenti al materiale atonale.
L' “idea unificatrice”
Schönberg   propose   la   tecnica   dodecafonica   quale   mezzo   per   raggiungere   questo
fine.  In una lettera a Nicolas Slonimsky (pubblicata nel libro  Musica dopo il 1900,
pagina 574, del detto autore) Schönberg scrive in merito all'origine della tecnica
dodecafonica: “Mi sono sempre consciamente occupato di fondare la struttura della
mia musica su di una “idea  unificatrice” che desse origine non soltanto a tutte le
altre idee, ma ne regolasse anche l'accompagnamento, gli accordi, le “armonie”.
Una cura speciale per creare unità entro forme estese può essere effettivamente
rintracciata  in  tutte le opere  di   Schönberg.  Perfino nelle  sue  prime composizioni
tonali, egli costruiva una soprastruttura tematica di straordinaria compattezza per
quanto   concerneva   le   relazioni   tematiche.   Il   suo   primo  Quartetto   d'archi,   per
esempio, un lavoro di lunghezza e varietà non comune, è costruito solamente su
pochi   elementi   tematici   che   compaiono   e   ricompaiono   in   numerose   variazioni   e
combinazioni.
Quando   la   coscienza   tonale   scomparve   completamente   e   la   musica   diventò
“atonale”,   l'unità   tecnica   non   poteva   emergere  da   un   solido   substrato   armonico.
Logicamente   l'attenzione   si   concentrò   sulle   relazioni   tematiche.   Mentre   queste
costituivano la soprastruttura di un substrato armonico, ora diventano essenziali per
la consistenza dell'intero edificio.

Tema e serie dodecafonica
Relazioni   tematiche   di   vari   generi   si   trovano   espresse   in   tutte   le   composizioni
“atonali” di Schönberg, anche prima che egli sviluppasse la tecnica dodecafonica.
Benché   egli   cominciasse   a   comporre   nel   nuovo   linguaggio   musicale   soltanto   al
principio   del   1900,   non   fu   che   nel   1923   che   pubblicò   la   prima   composizione
dodecafonica. In questa tecnica, le relazioni tematiche come “idea unificatrice” del
nuovo materiale sono adoperate con eccezionale profondità.
La   serie   di   dodici   suoni   –   elemento   fondamentale   della   tecnica   dodecafonica   –
prende il posto di quel basilare complesso tematico dal quale Schönberg traeva le
varie   idee   delle   sue   composizioni   tonali.   E   ciò   avviene   in   quanto   la   detta   serie
comprende   la   somma   totale   del   materiale   disponibile   –   i   dodici   suoni   che
suddividono   la   nostra   ottava   –   e   presenta   questo   materiale   in   un   ordine
caratteristico.
Così, la prima funzione  della  serie è quella di costruire  una  specie  di  “riserva di
motivi” dalla quale viene tratto ogni singolo elemento della composizione. Però, in
virtù delle sue incessanti ripetizioni che si estendono per tutta la composizione, la
serie   riveste   una   funzione   più   importante:   essa   assicura   l'omogeneità   dell'opera,
compenetrandone l'intera struttura, a somiglianza, per esempio, del filo rosso che,
tessuto in una trama dà a questa un aspetto caratteristico senza essere appariscente
di per sé.
Tecnica dodecafonica e contrappunto
L'idea di tonalità (come mezzo “atto a rendere percettibili i fatti armonici”) emana da
una fondamentale concezione  armonica  della musica. Le caratteristiche essenziali
della tonalità – quali gli accidenti, la funzione di tonica‐dominante, la cadenza – sono
fenomeni armonici. L'atonalità mette in primo piano il fenomeno melodico per quel
tanto che essa dipende da un'organizzazione che si basa su relazioni tematiche. Così,
il nuovo linguaggio si fonda su una concezione essenzialmente polifonica, in modo
molto  simile a quello  col quale si concepiva la musica del Medio Evo, prima che
venisse sviluppata la tonalità (come viene considerata oggigiorno). Perciò sembrerà
logico accostarsi all'atonalità ed alla tecnica dodecafonica attraverso il contrappunto.
I fatti armonici non hanno, nell'atonalità, che un significato secondario, almeno al
suo presente grado di sviluppo.

Alcune regole di composizione dodecafonica
La serie deve essere costituita dalla successione di dodici suoni differenti.
L'importanza   degli   intervalli   sussistenti   tra   i   vari   suoni   della   serie   comporta
un'attenzione ad evitare: troppi intervalli uguali, perché la ripetizione del medesimo
intervallo renderà difficile l'evitare la monotonia nello sviluppo melodico; evitare più
di due triadi maggiori o minori formate da un gruppo di tre nuovi suoni consecutivi,
perché   il   senso   tonale   che   deriva   implicitamente   da   una   triade   è   contrario   al
principio di atonalità.
L'ordine di successione dei suoni è importante, senza riguardo alla loro posizione. I
suoni   della   serie   possono   essere   usati   in   qualsiasi   ottava,   purché   l'ordine   di
successione rimanga invariato.
L'uso   del     #   e   del  b  è   arbitrario,   non   come   nella   musica   tonale,   nella   quale   la
coordinazioni di questi suoni si riferisce a differenti centri tonali.
Per ragioni pratiche non si scrivono le alterazioni in chiave.
Nella   tecnica   dodecafonica   una   composizione   consiste   nella   continua   ripetizione
della serie fondamentale che, una volta iniziata, non deve venire interrotta.
Un   tema   non   deve   necessariamente   identificarsi   con   la   serie,   o   meglio,   solo
occasionalmente. Perciò le cesure tra i temi (o, in generale fra le varie articolazioni
della linea melodica) non dovranno coincidere con le entrate consecutive della serie.
La   ripetizione   di   un   suono   è   permessa   soltanto   prima   dell'entrata   del   suono
successivo e sulla stessa ottava.
La vivacità ritmica è condizione essenziale in questo stile. L'uso insistente di disegni
ritmici uniformi produrrebbe una monotonia, meno ammissibile in questo stile che
in   qualunque   altro.   Periodi   simmetrici   (4   o   8   battute)   sono   estranei   al   sistema
dodecafonico.
Imitazioni.
E' necessario, specialmente quando si prendono in considerazione composizioni di
maggior estensione, stabilire una forte unità tematica fra le parti (e ciò oltre alla
omogeneità di struttura che automaticamente deriva dall'uso della stessa serie). Il
procedimento   che si chiama  imitazione  ha luogo quando uno spunto tematico [di
una voce o parte] viene ripetuto da una seconda parte, mentre la prima è ancora nel
suo   svolgimento   o   già   terminata.   Quando   questo   procedimento   si   protrae   e
attraversa tutta l'intera composizione, si parla di  canone. Se l'imitazione  si limita
soltanto   alle   note   iniziali   del   tema   per   procedere   poi   in   modo   diverso,   potremo
chiamarla imitazione irregolare.

Ordini derivati dalla serie originale.
Da ogni serie dodecafonica può derivare un'altra serie cambiando successivamente
gli intervalli ascendenti della serie originale con intervalli equivalenti discendenti e
viceversa. Questa viene chiamata inversione (o serie per moto contrario) della serie
originale.  Leggendo la serie originale dall'ultima nota alla prima si ottiene la serie
nell'ordine retrogrado detto  anche  cancrizzante. Il procedimento di cambiare   gli
intervalli ascendenti della serie cancrizzante con intervalli equivalenti discendenti e
viceversa dà luogo all'ordine retrogrado inverso.
L'applicazione della tecnica dodecafonica non può garantire spigliatezza musicale  e
qualità espressive. Nel comporre melodie destinate ad una futura presentazione in
forma retrograda, il compositore deve tener conto che la retrocessione abbia senso
musicale,   e   questo   tanto   per   le   composizioni   basate   su   una   serie   dodecafonica
quanto per qualsiasi altro genere di composizione.
Non è obbligatorio che la serie venga sostenuta esclusivamente da una sola voce o
parte. Anzi,   essa può passare ad un'altra voce (ed anche non immediatamente)
prima ancora di essere stata esposta completamente dalla parte che l'ha introdotta.
Ognuno dei quattro ordini della serie può essere trasposto undici volte sui differenti
gradi della scala cromatica; in altre parole, essa può cominciare con dodici suoni
differenti. Sarò perciò utile trascrivere tutti i quarantotto modelli della serie.

Accordi
L'incontro simultaneo di tre parti impone la trattazione degli "accordi".
Nel   sistema   atonale   non   vi   sono   regole   per   uno   speciale   trattamento   delle
dissonanze,   né   viene   formulata   una   teoria   armonica   paragonabile   a   quella   del
sistema tonale. L'unica caratteristica di un accordo da prendersi in considerazione è
il   "grado   di   tensione"   che   l'accordo   possiede   per   virtù   degli   intervalli   che   lo
costituiscono.
La   rigidità   che   la   tecnica   dodecafonica   impone   fino   ad   un   certo   punto   alla
costruzione   melodica   e   contrappuntistica,   è   compensata   dalla   libertà   che   essa
permette nel campo dell'armonia. Tenendo questo presente, lo studioso si renderà
conto   che   la   musica   basata   sul   sistema   dodecafonico,   come   quella   sancita   da
qualunque   altro   principio,   riposa,   in   ultima   analisi,   sull'immaginazione,   e
sull'ispirazione.
Si può redigere pertanto una tavola dimostrativa di triadi in riferimento al loro grado
di   tensione.   E'   evidente   che   questi   gradi   di   tensione   dipendono   dal   genere   di
intervalli che costituiscono i differenti accordi.
Gli accordi possono essere  costituiti da:
1)  tre consonanze  (il terzo accordo, per esempio, ha tre consonanze: DO‐MI, DO‐
LAb‐MI‐LAb).
2)  due consonanze e una lieve dissonanza  (il secondo accordo, per esempio, ha le
consonanze DO‐SOl e DO‐LA e la lieve dissonanza SOL‐LA).
3) una consonanza e due lievi dissonanze (il primo accordo ha la consonanza DO‐MI e
le lievi dissonanze DO‐RE e RE‐MI).
4) due consonanze e una forte dissonanza.
5) una consonanza, una dissonanza lieve e una dissonanza forte.
6) una dissonanza lieve e due forti.

Accordi contenenti 4e giuste e 5e diminuite
Se in una triade gli intervalli di 5 semitoni (4a giusta) e di 6 semitoni (5a diminuita)
assumeranno   il   carattere   di   consonanza   o  di  dissonanza,   ciò  dipenderà   dal   terzo
suono aggiunto. Nella seguente tavola gli accordi contenenti i  citati intervalli, sono
classificati   come   "consonanti",   "lievi",   "forti"   (dissonanze)   secondo   l'influenza
esercitata dal terzo suono aggiunto (Es. 7 e 8).
La  sopracitata   classifica   di   accordi  non   implica   alcuna   valutazione   di   "bello"   o  di
"brutto"   secondo   il   concetto   tradizionale,   o   della   ammissibilità   od   utilità   di   tali
accordi  nella   composizione.  Da   questa  rassegna  di accordi  lo  studioso  non potrà
apprendere nulla di più di un certo criterio col quale determinare il grado di tensione
degli  accordi in  generale.  Egli   dovrebbe tenere  in  mente che  nella  composizione
pratica, i gradi di tensione sono soggetti a molte variazioni, risultanti dalle posizioni
degli intervalli, dalla dinamica, dalla stesura strumentale, ecc.
Le seguenti tre posizioni del secondo accordo dell'esempio 6 dell'elenco, mostrano
con evidenza differenti sfumature dello stesso grado di tensione.
D'altra parte, in uguali condizioni di dinamica, di strumentazione, ecc., l'ultimo dei
tre accordi risulterà probabilmente come il più aspro.     
Tre note di una serie, anziché essere fatti sentire melodicamente, possono essere
fusi   in   un   unico   accordo.   Talvolta   questa   possibilità   viene   sconsigliata   oppure   è
addirittura impossibile.

(Ernst Křenek: Studi di contrappunto basati sul sistema dodecafonico. Curci‐Milano, 1940)

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