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Frasi importanti per lo stile e la lingua di camilleri

 Le trovate di Camilleri sono spesso di grande effetto, i suoi intrighi sono quasi sempre ben
costruiti, ma né le une nè gli altri raggiungerebbero quel risultato se lo scrittore non usasse
quell' impasto fatto di italiano e siciliano, giri di frase vecchiotti, buon senso popolare, proverbi.
In altre parole: il racconto di vite quasi normali racchiuse in una notevole eleganza stilistica.  
Augias, C. La via di Camilleri : la sua forza negli intrighi e nalla lingua, in La repubblica, luglio
1998. Accessibile su : https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/08/la-
via-di-camilleri-la-sua-forza.html
 Per dirla in breve l' italiano "sporco" corrisponde al parlato di gran parte del paese ormai da
molto tempo: per ragioni culturali e ambientali la lingua si piega e s' adatta e prende sapori
particolarissimi variando e inventando un po' come accade alla cucina regionale, insidiata dai
fast food, così come l' italiano vero è insidiato dagli "attimini" della lingua artificiale dei nuovi
"preziosi ridicoli". Mentre i vecchi dialetti tramontano inevitabilmente, sciogliendosi in una nuova
realtà linguistica, l' italiano parlato e di conseguenza quello letterario più incline all'
espressionismo non dimentica le molte radici delle molte Italie che convivono nell' Italia reale e
insieme un po' fittizia del modello Unico 740. D' altra parte le due esigenze sono ben chiare: da
un lato un paese giovane e assai frastagliato culturalmente aveva l' esigenza d' una lingua
comune, dall' altro lo scrittore non poteva e spesso non può neppure oggi rinunciare a
rappresentare "dal vivo" una realtà ancora multiforme.  Mauri, P. Montalbano un
commissario con la lingua molto sporca, in La Repubblica, luglio 1998. Accessibile su :
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/07/14/montalbano-un-
commissario-con-la-lingua-molto.html
 Camilleri dice che vorrebbe che i suoi lettori, oltre che divertirsi, facessero
"macari" attenzione alle referenze civili e politiche dei suoi libri. A me pare che la
travolgente circolazione della sua lingua abbia un peculiare rilievo civile. Non so
se c'entri l'Europa. Si paragona l'Europa della moneta unica e delle piccole patrie a
quella della neolingua da rete e dei rianimati dialetti. Ma Camilleri non è, per
fortuna, dialettale. La sua è la lingua mista che tanti parlano, passata al setaccio
dell'uomo di lettere. Forse l'Europa ritroverà le lingue franche, un po' nei libri, un
po' nei porti di mare. Forse le ha già ritrovate, in modo ancora clandestino, nel
poliglottismo dal basso degli ultimi arrivati e della gente di passaggio. Chissà che
cosa ne direbbe Sciascia, se fosse vivo.  Sofri, A. La lingua mista di Camilleri,
in Panorama, marzo 2000. Accessibile su :
http://www.vigata.org/rassegna_stampa/2000/Archivio/Art06_Dial_Mar2000_Pan
o.htm
 Al momento di scrivere un libro, pero', e' questione di scelte: uno puo' anche
fregarsene e fare parlare tutti i personaggi del romanzo in un buon italiano, come
ha fatto Manzoni. oppure c'e' la scelta di Verga di una lingua inventata: la lingua
dei "Malavoglia" - continua Lo Piparo - non e' quella che avrebbe parlato nella
realta' un padron 'Ntoni o un Bastianazzo, non e', insomma, la vera lingua dei
pescatori e dei contadini. E' una lingua molto colloquiale nella quale si riesce a
sentire chiaramente la diversita' regionale. Verga, a differenza di altri scrittori
marcatamente siciliani, non si limita a infilare qualche parola dialettale ogni tanto
ma inventa una sintassi. Camilleri, invece, compie un'operazione di tipo lessicale,
non di sintassi. Nei suoi romanzi ci sono dei termini dialettali ma l'impianto resta
italiano. Diciamo che Camilleri parte dall'italiano per arrivare al siciliano. E' una
scelta sicuramente importante ma diversa da quella di Verga, che in definitiva
attuo' la sua fortunata formula solo per i "Malavoglia". Considerazioni, quelle di
Lo Pipero, che premiano comunque la scelta linguistica di Camilleri e la sua
maniera di sicilianizzare le sue storie. "Non c'e' dubbio che i meriti letterari di
Camilleri restano alti - conclude il docente - Anche perche' il siciliano ormai e'
diventata una scelta colta: sono le persone colte che oggi parlano il siciliano, gli
incolti, invece, parlano un brutto italiano".  Di Caro, M. Ma il suo siciliano è
una scelta colta, in La Repubblica, novembre 1997. Accessibile su :
http://www.vigata.org/rassegna_stampa/1997/Archivio/Art04_Dial_nov1997_Rep
.htm
 non è facile capire la fonte principale di questo linguaggio, possiamo però cominciare
cercando di definirlo, dicendo che si tratta di un linguaggio artistico, un linguaggio creato
apposta per produrre opere letterarie – potremmo definirlo un  idioletto artistico-
letterario, ma è un linguaggio che non trova riscontro completo nella realtà locutoria
siciliana, se non per alcune caratteristiche. Dal punto di vista espressivo, il linguaggio di
Camilleri si avvicina secondo noi molto di più alla tradizione dei  grammelot, di cui nella
contemporaneità ha fatto largo uso Dario Fo: si tratta di un linguaggio di fantasia
utilizzato principalmente dai teatranti che unisce a parole inventate mescolando diverse
varietà linguistiche anche suoni, onomatopee, espressioni facciali e posturali particolari,
elementi che operano in coesione al fine di comunicare un particolare messaggio. Fatta
questa premessa, passiamo all’analisi del linguaggio di Camilleri. La base del linguaggio
di Camilleri è senza dubbio l’ italiano, un italiano modellato in maniera molto particolare
con lo strumento del siciliano. Lo deduciamo dal fatto che quantitativamente le
espressioni piene in italiano rappresentano la maggior parte delle composizioni.
Il siciliano viene usato per modellare questo italiano nei modi più disparati. Innanzitutto,
quando una parola italiana e una siciliana sono molto simili, la parola italiana prende
almeno una caratteristica della parola siciliana corrispondente: basti vedere la coppia
formata dall’italiano “mattina” e dal siciliano “matina”, nella quale la parola italiana vede
la riduzione della doppia T in una sola: nel quarto estratto leggiamo infatti “tutte le
matine”.
Altre volte, se abbiamo parole molto simili tra italiano e siciliano, la parola siciliana
corrispondente viene presa e il suo vocalismo, cioè le vocali che la caratterizzano, viene
adattato a quello dell’italiano: si veda ad esempio il participio passato “abbastatu”,
corrispondente all’italiano “bastato”, che prende un vocalismo tipicamente italiano, nel
caso in questione la sostituzione della U finale con la O, e sempre nel quarto estratto
leggiamo quindi “era abbastato”. In questa formula la base italiana viene tradita anche
dall’uso del verbo ausiliare: nei tempi composti alla forma attiva, il siciliano usa sempre
e solo il verbo aviri come ausiliare, e mai èssiri: in siciliano abbiamo infatti “avìa
abbastatu”.
Altre volte ancora però non è semplice dire se Camilleri abbia voluto mantenere intatte
dal punto di vista del vocalismo delle parole siciliane, o se abbia applicato il vocalismo
siciliano a una parola italiana: è il caso dell’aggettivo “forti” nel secondo estratto, per il
quale è difficile dire se sia stato preso dal siciliano e mantenuto tale, oppure se sia stato
preso l’italiano “forte” e sia stata sostituita la E finale con la I tipica del siciliano.
Il discorso viene poi farcito con un numero relativamente basso di parole pienamente
siciliane: nel primo estratto, ad esempio, su un totale di 38 parole, 3 parole sono
pienamente siciliane, 8 risultano comuni sia al siciliano che all’italiano, mentre le restanti
27 sono ibridazioni tra siciliano e italiano, ibridazioni che però sono sbilanciate nelle loro
caratteristiche più verso l’italiano che non verso il siciliano. Queste ibridazioni sono
creazioni puramente letterarie, che non trovano riscontro nel parlato quotidiano dei
siciliani; anche alcune combinazioni sono totalmente estranee ai siciliani – nessun
siciliano direbbe mai, ad esempio, “il jorno” come si legge nel primo estratto, mischiando
un articolo italianissimo e una parola ibridata con una desinenza non siciliana.
Attraverso questo linguaggio ibridato, che è sostanzialmente un italiano particolarmente
colorito di siciliano, Camilleri riesce a far assaporare ai suoi lettori se non la Sicilia nella
sua interezza, comunque la propria Sicilia, una Sicilia dalle molte sfaccettature e dai
molti colori. è qualcosa di molto personale, che nasce dalla propria esperienza personale e
unica dell’arte, del mondo che ci circonda; ragion per cui, uno scrittore che volesse
scrivere un’opera utilizzando il linguaggio di Camilleri non otterrebbe come risultato
finale che delle imitazioni/parodie, perché quel linguaggio nasce e si sviluppa in un
contesto diverso, e in un cervello diverso, che in quanto creatore di quel linguaggio sa
come sfruttarlo al meglio per comunicare col lettore. Detto questo, essendo l’italiano la
base del camilleriano e il siciliano solo uno strumento per affinarlo, la nostra risposta al
quesito precedente è che no, il  camilleriano non può essere considerato un linguaggio di
riferimento per la letteratura in siciliano. Al contrario, è decisamente più auspicabile che
chi voglia comporre opere letterarie in siciliano acquisti coscienza del fatto che
il camilleriano è un linguaggio non replicabile che purtroppo se n’è andato via col suo
creatore, e acquisisca consapevolezza della potenza espressiva del siciliano, che è già
parte del nostro bagaglio espressivo, e impari ad affinarla per riuscire a comunicare in
letteratura con la stessa potenza e coloritura.  Baiamonte, S. Andrea Camilleri e il suo
particolare linguaggio , Cademia siciliana.
 Camilleri utilizza un ampio repertorio linguistico che va dall’italiano standard al dialetto
siciliano passando per l’italiano regionale (varietà diatopica), l’italiano popolare (varietà
diastratica) e l’uso di colloquialismi o termini propri del linguaggio burocratico (varietà
diafasica). Queste varietà del repertorio contribuiscono a caratterizzare i vari personaggi e
a renderli linguisticamente riconoscibili agli occhi del lettore. Generalmente Montalbano
utilizza l’italiano anche in situazioni più formali, come quando l’interlocutore è il questore
di Montelusa, l’Agrigento della finzione letteraria. Tuttavia, quando deve “fare breccia” nel
cuore di qualche funzionario per ottenere un favore, il commissario non esita a utilizzare
l’odiato “burocratese”  Taffarel, M. Un’analisi descrittiva della traduzione dei dialoghi
dei personaggi di Andrea Camilleri in castigliano.

Il linguaggio dei romanzi del commissario non è affatto l’italiano che tutti abbiamo imparato sui banchi di scuola e
tantomeno è un dialetto regionale.
L’autore stesso descrive così il suo lavoro sulla lingua: “Parto sempre da una struttura molto solida in lingua italiana. Il
lavoro dialettale è successivo, ma non si tratta di incastonare parole in dialetto all’interno di frasi strutturalmente
italiane, quanto piuttosto di seguire il flusso di un suono, componendo una sorta di partitura che invece delle note
adopera il suono delle parole”2(  Andrea Camilleri e Tullio De Mauro, La lingua batte dove il dente duole, Laterza, Bari-
Roma 2013, pp. 76-77). Si tratta di creare un linguaggio funzionale alla “rappresentazione” e alla “messa in scena”
degli avvenimenti. I testi originali sono scritti in più varietà linguistiche e di questo deve tener conto il traduttore per
non appiattire il romanzo. È importante che anche il testo tradotto – per quanto possibile – presenti “più lingue”.
Le varietà linguistiche che l’autore utilizza nei romanzi di Montalbano sono almeno cinque, ognuna con una funzione
precisa5:

1. Dialetto siciliano della zona di Porto Empedocle usato da alcuni personaggi (mafiosi, poliziotti, contadini)
oppure per proverbi e in elenchi di sinonimi.
2. Dialetto siciliano integrato nel discorso in italiano: quando l’autore esprime gli stati d’animo o le azioni di
Montalbano – “scantato” (spaventato) –, quando i termini dialettali si riferiscono ai piatti della gastronomia
siciliana – la pasta ’ncasciata – o a modi di dire come “rompere i cabasisi”, espressione ormai entrata nel
linguaggio italiano.
3. Italiano standard alternato a passaggi in dialetto: quando l’autore tocca temi di attualità (negli ultimi romanzi
lo fa molto spesso) e vuole fare commenti socialmente rilevanti, il lettore si trova di fronte a una pagina scritta
in italiano impeccabile e comprende immediatamente la gravità del messaggio.
4. Dialetto dell’agente Catarella: un miscuglio di italiano burocratico e popolare alternato a dialetto siciliano e
arricchito di esilaranti invenzioni lessicali, che crea continuamente incomprensioni e situazioni tragicomiche.
5. Dialetti di altre regioni: servono a caratterizzare personaggi che vengono da altri luoghi e a sottolineare la loro
estraneità rispetto alla società vigatese.

Per non perdere il filo della storia il lettore italiano – e a maggior ragione chi traduce – deve risolvere continuamente i
piccoli enigmi della strana parlata vigatese. Tuttavia Camilleri utilizza diversi stratagemmi – il più comune è la glossa –
per indicare al lettore il significato delle parole dialettali altrimenti incomprensibili, accompagnandolo pazientemente
come un moderno Watson.
 
Nei romanzi del commissario Montalbano Camilleri si serve di questa mescolanza di linguaggi per identificare
cinematograficamente e cronologicamente i luoghi dove si svolgono le azioni – luoghi reali ancorché immaginari –
ma anche per dare diverso rilievo alle azioni e alle scene che si svolgono di volta in volta in situazioni formali o
informali, burocratiche, domestiche, private e così via. Grazie al linguaggio vengono caratterizzati i personaggi –
Montalbano è forse l’unico che riesce a comunicare a tutti i livelli linguistici – e Camilleri se ne serve per mostrare al
lettore la “tragedialità” dei siciliani – così la chiama lui stesso –, la capacità dei siciliani di costruire e indossare
maschere sempre diverse, di fare teatro.
 
Trasporre tutto questo in una cultura diversa da quella siciliana – e italiana– mantenendo la pluralità linguistica e
trasmettendo a chi legge il carattere del testo originale è un lavoro complesso e affascinante. Il lavoro della traduzione.
 Che Camilleri faccia molta attenzione agli usi del dialetto o delle altre varieta` di lingua e` comprovato dal fatto che nei
romanzi vengono espressi giudizi su diverse varieta` linguistiche, per es., Catarella chiama il suo linguaggio maccheronico
taliano (Il cane di terracotta, p. 25); il questore dice che la lingua di Montalbano e` un italiano bastardo (Il cane di
terracotta, p. 54), Livia non vuole che Montalbano parli in siciliano (Il cane 227).
http://www.vigata.org/dialetto_camilleri/dialetto_camilleri.shtml
 https://www.fanpage.it/cultura/andrea-camilleri-il-suo-siciliano-non-e-solo-un-dialetto-
ma-un-modo-di-vedere-il-mondo/
 un autore diventa popolarissimo scrivendo in una lingua tutta sua. Ma è veramente
così? Che cosa emergerebbe da una radiografia approfondita della lingua e delle
parole camilleriane? Camilleri usa il siciliano? E se lo usa, di che siciliano si tratta?
Certamente il creatore del Commissario Montalbano poggia il suo stile e la sua
lingua letteraria sul lessico dialettale, ma occorre anche considerare che sarebbe del
tutto errato generalizzare ammettendo che ogni parola che non coincide con
l’italiano letterario sia indifferenziatamente una parola dialettale. A ben pensarci, le
parole del dialetto, quello dell’uso – reale o presunto che oggi esso sia –, possono
farsi rientrare in (almeno) tre categorie: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/la-
lingua-inventata-di-andrea-camilleri-il-peso-della-parola-dialettale/
 Occorre precisare che si tratta di una lingua messa a punto ex novo dallo scrittore di
Porto Empedocle, una lingua che prima di lui non esisteva e che dopo di lui
continuerà a sussistere solo nelle sue pagine. Si vuole dire che una cosa è la
pronuncia di Camilleri, una koinè creata lavorando su una base dialettale,
un dialetto della memoria che si contorce e mescida di continuo; un’altra
cosa è il “camillerismo”, ossia il becero mimetismo: non sono pochi i nipotini dello
scrittore empedoclino sbucati fuori negli ultimi anni come i funghi, ai quali si deve
un idioma posticcio, manieristico, tremendamente epigonale. Egli ha preso le
mosse da Verga, il grande rivoluzionario: la sintassi, i modi di dire, la
ricchezza dei proverbi, lo smalto luccicante dei soprannomi; da De Roberto, ma
lateralmente: pensiamo alla novella La paura, poche pagine che danno corpo a
un racconto raggelato sull’insensatezza della guerra. Lo stile denso e nervoso
dell’autore dei Viceré si fa incisivo e micidiale nelle impennate espressionistiche dei
dialetti parlati dai fanti (il siciliano, l’umbro, l’abruzzese): ne viene fuori un
efficacissimo caleidoscopio linguistico; infine da Pirandello traduttore
del Ciclope di Euripide (1918), un testo che Camilleri conosceva quasi a
memoria, per averlo messo in scena più volte: il dialetto contadino del gigante da
una parte e quello borghese di Ulisse dall’altra (un «uomo di mondo» lo definiva
Camilleri, «uno che aveva fatto il militare a Cuneo»). Il coraggio poi l’ha ricavato dal
principe dei plurilinguisti, Carlo Emilio Gadda (ad accomunarli, oltretutto, il ricorso
allo schema del poliziesco): il risultato è una lingua letteraria tutta sua — che ha
lambito la perfezione nella Concessione del telefono (1998) e nel Re di
Girgenti (2001) —, riconoscibilissima, che distilla sapientemente gli umori più
terragni dell’isola, in un concerto polifonico dove il burocratese dei funzionari e
degli impiegati si alterna al barocco di politici e di ecclesiastici, al dialetto dei
popolani, al gergo allusivo dei mafiosi. Si tratta, dunque, di un impasto
linguistico di siciliano autentico, siciliano reinventato, italiano
storpiato, che quasi miracolosamente rappresenta una carta moschicida
per i suoi lettori.  https://www.fatamorganaweb.it/ricordo-andrea-camilleri-
tradizione-innovazione-lisola-carnevalesca/

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