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La razza e la lingua (Moro)

1. Che razza di lingua


L1 è paragonabile all’utero della madre, il ventra da cui siamo generati mentre L2 per
l’apprendente straniero è qualcosa di irriconoscibile, è l’esperienza.
Una lingua non è un’entità garantita ad ogni modo e a prescindere perchè certe lingue
possono essere minacciate da forze esterne come l’assoggettamento militare, economico,
religioso o da forze interne come l’attitudine negativa della comunità nei confronti della
propria lingua e alle volte corrono il rischio dell’estinzione specie se parlate da una minorità.
La lingua italiano al momento non si trova in una situazione di svantaggio anche se, da qualche anno a
questa parte abbiamo notato una colonizzazione linguistica dalla cultura anglosassone→ tanglese.
Se un patrimonio rischia di essere compromesso significa che è un bene comune da
custodire. Da questo momento in poi si è iniziata la creazione di una legislazione che mira al
custodimento e al porre attenzione alle lingue più marginali al fine di rispettare qualsiasi
lingua a prescindere da razza, religione di chi la parla. La lingua è un bene fragile e
cancellarla significa cancellare la memoria di chi l’ha parlata. Ciononostante la lingua può
essere messa a repentaglio dalle cosiddette derive linguistiche che contaminano il
linguaggio (parole straniere che si aggiungono ai dizionari). E’ vero che non bisogna
cristallizzare la lingua ma è vero anche che c’è, alle volte, un abbassamento della guardia
nell’attenzione alla correttezza linguistica. Quando si parla di politiche linguistiche si fa
riferimento al sistema di mobilità ovvero le persone che si muovono. L’italia potrebbe essere
il paese di destinazione ma anche quello transitorio.Oggi sono poche le parti del mondo
dove non si insegna l’italiano che è un idioma in contatto con le altre lingue, prima invece
era soltanto la lingua etnica degli emigrati di origine italiana oppure la lingua di una élite
intellettuale mentre oggi anche lingua altra perchè la si incrocia per diversi motivi.
I possibili apprendenti sono:
-immigrati, profughi, richiedenti asilo perché l’italiano è la lingua del lavoro e dell’integrazione
sociale
-bimbi adottati perchè l'italiano è la lingua della scuola
-l’italiano è la lingua degli studi sia accademici che interculturali
-l’italiano è la lingua del culto
-l’italiano è la lingua della patria elettiva per chi sceglie l’italia come residenza temporanea o
definitiva
-l’italiano è la lingua della relazioni internazionali
-l’italiano è la lingua del commercio e del made in italy
-l’italiano è la lingua delle nuove reti di rapporti che rinsaldano oggi gli antichi legami
dell'Italia con i popoli che si affacciano sul mar mediterraneo.
Chi insegna una l2 deve avere gli strumenti per farlo e si devono tenere presente il modo e i
tempi in cui gli apprendenti imparano L2 e cosa cambia quando cambia la nazionalità.
Il rischio insito nell’insegnamento L2 soprattutto per l’italiano è assurgere una posizione imperiosa
alla luce del fatto che la nostra lingua si lega alle eccellenze→ il rischio di considerare la nostra lingua
superiore alle altre può succedere ed è per questo motivo che è importante il discorso di Moro il quale
spiega l’operazione di scardinamento di alcuni luoghi comuni. Si tratta dell'atteggiamento
etnocentrico ovvero la costruzione di un piedistallo a partire dal quale insegnare la nostra lingua,
atteggiamento che può falsare l’azione didattica. Il presupposto è che non esistono lingue geniali,
nessuna lingua è migliore di un’altra.
Esempio→ la lingua geniale secondo Andrea Marcolongo è il greco .
Non esistono lingue più musicali e lingue stonate, c’è la convinzione che si possono vedere
le cose in modo diverso a seconda della lingua che si parla infatti ci sono scrittori che hanno
utilizzato la lingua registrando il fatto che chi ha letto quel libro ha vissuto un’apertura
mentale ma ciò è da considerare solo un un piccolo contesto perché non esistono lingue
migliori o peggiori o evolute e altre non evolute.
L’idea di fondo dell’autore è che tutte le lingue dovrebbero essere considerate una variazione
possibile di un tema unico, una variazione di una stessa struttura biologicamente determinata. Si parte
quindi da un altro presupposto ovvero che tutti gli esseri umani parlano la stessa lingua. Se c’è un
testo particolarmente suggestivo deve regionale sulla conoscenza che possiamo avere della lingua e
non assolutizzare questo aspetto→ relativismo linguistico di Moro.
Moro ragiona anche su un altro aspetto e si rivolge a chi colleziona le parole che non contengono
significati così come i cieli non contengono le costellazioni ma sono le stelle, attraverso la loro luce,
che ci consentono di riconoscerle in quanto costellazioni→ noi vediamo gli effetti che la luce ha sugli
oggetti ed è inutili affezionarsi alle parole che non imprigionano significati. Se la parola che
pronuncio incontra un altro, questo può capirla perché la parola diventa qualcosa. noi decodifichiamo
le frasi perché il senso non sta nelle frasi ma perchè il nostro cervello è costruito in modo tale che
quelle frasi diano delle istruzioni.
Questo discorso ci permette di assumere un atteggiamento democfratico verso le lingue.
Moro conclude dicendo che non abbiamo vaccini per contrastare le infezioni delle derive
linguistiche tra le quali ritroviamo il razzismo nonché la forma più pericolosa. Che nozione di
razza abbiamo noi oggi? Quella più pericolosa è quella che deriva dalla convinzione che
possono esistere culture migliori di altre e quindi anche persone migliori di altre. Il razzismo
per esempio che si concentra non sui tratti fisici ma sulla capacità di comprendere,
comunicare e riconoscere negli altri.
L’avvertenza generale di Moro è che bisogna tenere in considerazione perché siamo di
fronte apprendenti che stanno in una situazione subordinata, non dobbiamo considerare la
lingua madre come una lingua ostruzionistica rispetto a L2 perchè l’apprendente L2 può
parlare L2 perchè ne ha le competenze ed è questo il vaccino da somministrare per evitare
derive razziste.
Eliminare la parola razza dal nostro dizionario o uso non risolverebbe il problema del
razzismo perché quello che c'è di inutile o dannoso in questa parola rimarrebbe vivo. Non si
può pretendere di cambiare la mentalità solo cambiando le parole. Bisogna comprendere
cosa c’è di sbagliato nel termine razza, perché usare un altro termine risulterebbe inefficace.
Differenze e caratteristiche proprie degli animali e degli uomini esistono, negarle è negare la
realtà, qualsiasi sia il termine utilizzato per esprimere ciò. Il termine razza è utile nel caso si
riferisca agli animali, in quanto torna comodo raggrupparli in base alle caratteristiche
somatiche comuni, data anche l’etrema variabilità di aspetto che manifestano. Nel caso degli
uomini sicuramente ci sta un vantaggio o svantaggio che dipende dall’apparenza a un
gruppo o all’altro, legato ad un criterio di utilità.Esiste tuttavia un ambito dove la possibile
graduatoria è falso, l’ambito del linguaggio. Se esistono razze allora esistono anche “razze
linguistiche”, dove alcune famiglie linguistiche hanno caratteristiche simili che le
accomunano. Allora la questione della razza rischia di rivivere nella questione della lingua e
eliminarla per i tratti somatici non solo non risolve il problema ma lascia scoperto il punto più
importante ovvero quello del linguaggio e della nostra capacità di elaborare e comunicare il
pensiero, legato ovviamente al linguaggio. Dobbiamo ricordare che la lingua madre non
dipende dai tratti somatici dei genitori di chi la parla e che le persone acquisiscono in modo
naturale la lingua della comunità dove vengono accolti, indipendentemente da tratti somatico
o razziali. Quindi il cosiddetto “razzismo linguistico” non è altro che un pregiudizio senza
fondamento scientifico.

2. Perché non accada più (in linguistica)


Una lingua funziona meglio ed è superiore ad altri se veicola meglio il linguaggio. Le
considerazioni sul legame tra lingua e pensiero e tra lingua e cultura risalgono a molto
tempo fa. Quando si prende in giro il diverso dal punto di vista linguistico, la cosa più facile è
imitare l'accento storpiandolo o magari semplificando la grammatica. Già in passato con la
parola dispregiativa “barbaro” si indicavano le persone ritenute diverse da noi per cultura e
costumi e che parlavano una lingua diversa dalla nostra. Fino all’epoca barocca non c’era
motivo di teorizzare che le lingue potessero essere inserite in una graduatoria di merito. Fino
al Rinascimento la dignità linguistica era riconosciuta solo dal greco e dal latino.Dante, però,
riconosce dignità la volgare. Gli studiosi Port-Royal, Arnauld e Lancelot diffondono l’idea che
la lingua sia lo specchio della mente e sottostante ad un principio di economia, secondo la
quale si tende a utilizzare un minor numero di parole possibili.Le due attività maggiori della
mente sono la costituzione di concetti autonomi e la sintesi del giudizio tra concetti.
Si è arrivati, quindi, ad ammettere che una lingua è superiore ad altri quanto più è capace di
veicolare e conservare meglio i concetti tramite parole dalla struttura stabile e trasparente.
Gli eventi concomitanti che cambiarono completamente lo scenario in linguistica furono
estranei al dibattito linguistico e si trattò delle conseguenze dei nuovi assetti di tipo
economico e sociale, vale a dire l’apertura dei mercati europei e il contatto con le civiltà
lontane.
(Humboldt) Si studiarono così le lingue dell’800 in base ad un approccio comparativo
secondo due tipi:
1 lingue flessive→ sono superiori alle altre perché in queste si manifesta l’unità della parola, cioè gli
elementi che la compongono sono saldati insieme, fusi in modo perfetto e dunque avrebbero una
maggiore congruenza con il pensiero che, nella visione della psicologia del tempo, si esprime in modo
unitario. Sono come mattoni e quindi scomponibili. Sono organiche,vitali come lo sono gli organismi
biologici e quindi più resistenti e per giunta tutte apparentate. Fanno parte delle lingue flessive quelle
indoeuropee simili al sanscrito, adatte a veicolare concetti, funzionali, organiche.
2 lingue isolanti→ non possono essere scomposte
Humboldt sintetizza insieme a Muller che le lingue flessive sono superiori per l’idea di
graduatoria e si può usare un approccio comparativo solo tra lingue morte e non
morte( sanscrito e altre alingue). A queste considerazioni si aggiungono motivi sociali e
politici perché, come dice Muller, le lingue flessive sono possibili in società stabili e il
nomadismo viene considerato come fonte di corruzione linguistica perché tiene in
considerazione i rom che, nell’accezione negativa, non sono altro che gli zingari quando
invece il nomadismo considera i rom come una minoranza linguistica e la lingua influisce
sulla cultura della nazione e viceversa. Vuol dire che il razzismo è esistito sul piano
ideologico attraverso il paragone tra le lingue collegate ad un sistema di pensiero, dove le
lingue flessive sono le migliori, quelle nobili proprio perché stabili e adatte a veicolare
concetti. Nella seconda metà dell’800 si aggiungono gli studi neurobiologici che sostengono
che a lingue diverse corrispondono due organizzazioni cerebrali diverse, quindi persone che
parlano in modo diverso. Si radica così il linguaggio nella struttura biologica dell’individuo e
quindi non si può decontesualizzare la lingua e tutti devono condividere la stessa struttura
biologica. Per fortuna la linguistica ha smontato per tempo l’assioma di una lingua migliore di
un’altra e si è arrivato a questo risultato non guardando più la differenza tra lingue flessive e
isolanti ma osservando la capacità di creare significati nuovi cambiando l’ordine delle parole,
capacità che noi riusciamo a dare un nuovo significato con le risorse linguistiche che
abbiamo. Non a casa pensiamo allo schwa.

3. I confini di Babele ovvero una soluzione


inaspettata.
Negli ultimi anni si è parlato molto del segno dello schwa che ha un genere maschile ed è un
allofono ovvero una variazione fonematica = due vocali unite che rimandano allo stesso
significato utilizzato per indicare una vera e propria inclusione terminologica, includere le
differenze di genere. L’accademia della crusca non è molto d’accordo nell’utilizzo di questo
segno perché afferma che il sistema linguistico cambia e si trasforma e le regole sono
dettate dalle persone e lo schwa non può essere utilizzato perché è solo una moda. La
studiosa Vera Gheno ci illustra questo simbolo tramite un video su youtube. Gheno ci
racconta la storia di questo simbolo che è ebraico e indica il nulla, il niente, lo zero e si fa
con la bocca al riposo. Durante le conferenze o gli incontri i saluti sono sempre stati
“buongiorno a tutti e a tutte” ma come ci si rivolge ad una moltitudine se in questa c’è chi si
identifica come no binary? Si utilizza allora la chiocciola, l'asterisco, la u, la y, la lettere a+e
del latino. I no binary sono quelle persone che non si identificano in nessun genere e, pur
essendo meno dell’1% della popolazione, questo non ci deve interessare perché noi
dobbiamo includere tutti. Tuttavia, anche la parola includere pone dei problemi perché toglie
oggettività ai divergenti. Per questo motivo, Fabrizio Acanfora parla di convivenza delle
differenze ovvero imparare a convivere con le differenze. Ma allora perchè si utilizza lo
schwa? Perché si può pronunciare, non è stato uscito da altri generi, è un genere indistinto,
non si nota ed è esotico perché considerato più hipster rispetto all’asterisco. E’ un suono
alieno all’inventario fonematico dell’italiano standard, è difficile da usare, è abolista, si parla
quindi di modificare la morfologia dell’italiano. Nonostante i molti aspetti negativi, sono molti
quelli che lo usano vedi l’editoria, i fumetti, le pubblicità e le comunicazioni sui social. La
lingua non cambia a tavolino e nessuno vuole e può imporre nulla e allora si parla di
sperimentazione, cercare le formule più adatte per definirci. Aprire la richiesta a tutti i generi
è importante.
Le nuove frontiere di studi non scindono il sistema linguistico dal soggetto ma ne tengono
conto per gli sviluppi. La sperimentazione è il minimo comune denominatore soprattutto in
quanto corso in cui si parla di testi mediali che veicolano saperi politici, sessuali,
antropologici etc..
Nei primi anni del 900 con Saussure nasce lo strutturalismo linguistico e la lingua viene vista
come un insieme di elementi e un sistema. Saussure ricorre all’immagine della partita a
scacchi per spiegare il legame tra sistemi diversi. Nel corso di una partita si può non sapere
l’esito ma si deve sempre sapere la posizione delle pedine. E’ questa la nozione di sistema
che sta alla base dello strutturalismo linguistico ovvero non conta la posizione dell’elemento
ma la relazione che ha questo rispetto agli altri. Io posso non sapere come si dice “casa” in
un’altra lingua ma devo sapere se i due concetti hanno una relazione, un legame. Saussure
formula così uno degli enunciati più importanti della linguistica ovvero che tra le lingue non ci
sono differenze ed è da qui che ci si lascia alle spalle l’approccio razzista. A seguito di
Saussure, le scuole di pensiero di Praga e di Copenaghen confutano lo stesso pensiero
ovvero che il valore di una lingua dipende da un sistema linguistico che si interfaccia con gli
altri codici. Moro dice che il giocatore madrelingua se parla con un parlante interculturale
non riconosce il ruolo che ha quella pedina ma per capire il ruolo posso osservare un’altra
scacchiera e se riconosco la forma della mia pedina posso anche prenderla in prestito. La
teoria del prendere in prestito viene chiamata teoria della commutazione che intende il
linguaggio come sistema intercambiabile e si può applicare in termini concreti: ovvero per
sapere se una parola è appropriata in un dato contesto si prova a scambiarla con un’altra,
bisogna prendere una parola che per me va a condividere lo stesso concetto, bisogna
giocare con la struttura del discorso. Ciò spiega che le lingue sono un sistema
intercambiabile e chiaramente quando devo prendere in prestito devo chiedere a un esperto
se la parola è appropriata al mio contesto ed ecco perché il formatore non è altro che un
mediatore culturale. Da qui si può vedere l’approccio distribuzionalista (si deve conoscere la
distribuzione del testo e in che modo le parole si relazione tra di loro, si impare una lingua grazie
all’osservare i comportamenti degli altri→ ciò fa riferimento alla teoria delle neuroscienze e alla
teroria dello specchio) della scuola di pensiero dello strutturalismo. Lo studio di questi dati si
basava sullo studio dei corpora linguistici che aiutano a capire le regole di distribuzione della
parte di un discorso. Con la teoria commutativa, con il giocare con le parole, posso
apprendere in che posizione corretta va inserita quella parola nel mio discorso. Questo
approccio è definito come un gioco sociale perché si impara ad osservare il comportamento
sociale dell’altro e questo metodo di distribuzione dei fraseggi è automatizzato perché si
incamerano fraseggi e poi automaticamente si ripetono (ciò ci riporta a una delle fasi di
didattizzazione del testo ovvero quella della produzione in quanto si restituisce in forma
scritta quanto si è visto).
Con Chomsky si riapre il dibattito sul legame tra biologia e lingua, apparentemente sepolto
e si ripristinò il pericolo di un nuovo razzismo linguistico. Chomsky non fu solo uno studioso
del linguaggio ma ricevette anche il premio nobel per la medicina. Egli si concentrò su tre
approcci alla ricerca riguardo al legame tra biologia e linguaggio che acuiscono quanto
detto:
- la tecnologia per comprendere i codici astratti. Qui fa riferimento a Turing e alla
creazione di macchine astratte per classificare e comprendere tutti i tipi di codici
possibili
- gli studi della logica che aiuta a scomporre la parola complessa in semplice
applicando il sistema distribuzionalista e fa riferimento anche alla differenza tra
lingue flessive e isolanti
- gli studi clinici di Lemberg il quale affermò che il recupero della capacità linguistica in
un individuo con lesioni al cervello avviene in maniera efficace solo prima della sua
pubertà.
L’approccio distribuzionalistico riguarda l’uomo che è l’unico essere capace di distrubuire le
parti del discorso perché nessuno è in grado di cambiare la disposizione delle parole. Il
sistema è imprevedibile ed è un’idea che avanza la teoria seconda la quale solo l’uomo può
cambiare la disposizione della parole (fa riferimento all’approccio del 1600 sul discorso del
metodo di Cartesio). I punti finora spiegati ci portano alla conclusione che Chomsky opera
una vera e propria rivoluzione creando la grammatica generativa universale e sostenendo
che esistono tre fenomeni che proseguono versa una stessa direzione e indicando che una
serie di informazioni vanno a descrivere la grammatica di ogni lingua perché tutte le lingue
hanno una grammatica= concezione innatista del linguaggio e della comunicazione.Afferma,
inoltre, che:
1 le lingue hanno delle strutture complesse e inconsce perché non si sa se un madrelingua
sa di avere delle strutture nel proprio codice linguistico
2 queste strutture sono identiche e le relazioni tra le diverse componenti sono gerarchiche→
disposizione gerarchica che genera una gerarchia
3 i bambini imparano spontaneamente una lingua ed ecco perché il recupero è possibile
prima della pubertà.
Non dobbiamo vedere la linearità per una frase di senso compiuto ma dobbiamo vedere la
relazione tra le parole.
Dal momento in cui tutti nasciamo per apprendere qualsiasi lingua, il compito di chi
apprende sarà di scartare le informazioni che non sono compatibili con gli ambienti linguistici
in cui cresce. Noi apprendiamo solo quello che ci interessa grazie alla sovrabbondanza dei
dati,quindi, apprendiamo per dimenticanza.
Chomsky paragona l’apprendimento di una lingua al sistema immunitario perché tutti noi
siamo disposti ad imparare una lingua come tutti noi siamo disposti a difenderci dai virus. Gli
anticorpi fanno parte del nostro capitale semantico e il linguaggio può manifestarsi dentro
strutture consone o più o meno inconsce e possono innervare delle alterazioni.
L’apprendimento linguistico spontaneo fa riferimento ai bimbi diversamente abili che
gesticolano senza sapere cosa fanno ma che, in realtà, ciò consente loro di comunicare e di
condividere.
Lo studioso Graffi definisce il 900 come era della sintassi perché ricalca quanto si è detto
sullo studio delle parti del discorso ovvero che cambiando l’ordine delle parole si possono
avere nuovi significati.Lui eredita l’approccio strutturalista perchè cambiando l’ordine delle
parole si creano nuovi significati quindi il sistema linguistico è intercambiabile e non è altro
che una risorsa perché noi possiamo usare le parole estraendo non solo un significato ma
tanti e diversi significanti e possiamo usare questi significati nel sistema interculturale
odierno.

Gli assiomi della comunicazione


1 assioma→ è impossibile non comunicare. In qualsiasi tipo di interazione tra persone, anche il
semplice guardarsi negli occhi, si sta comunicando sempre qualcosa all’altro soggetto
2 assioma → in ogni comunicazione si ha una metacomunicazione che regolamenta i rapporti tra chi
sta comunicando.
3 assioma→ le variazioni dei flussi comunicativi all’interno di una comunicazione sono regolate dalla
punteggiatura usata dai soggetti che comunicano.
4 assioma → le comunicazioni possono essere di due tipi:
*analogiche= immagini, segni
*digitali= parole che hanno un senso al di là del proprio, meta dimensione che riesce a
interlacciare un significato altro rispetto al proprio
5 assioma→ le comunicazioni possono essere di tipo simmetrico tra soggetti che comunicano sullo
stesso piano (due amici) o complementari tra soggetti che non stanno sullo stesso piano (docente e
alunno). In questo quinto assioma emerge il contesto socio culturale.
Si parla di assiomi della comunicazione 2.0 grazie all’uso delle nuove tecnologie. Il banale
uso delle emoticon (= piccola immagine spesso ottenuta combinando segni di punteggiatura
che nei messaggi elettronici viene usata per dare l’idea di uno stato d’animo del mittente)
individua una metacomunicazione che va al di là del significato stesso e permette di agire in
modo analogico.
Non vediamo solo il sistema linguistico come arte matematica di interscambio ma questa si
serve di simboli riconosciuti globalmente. Le nuove o più o meno nuove tecnologie riescono
ad aggiungere qualcosa in più nell’apprendimento che il discente deve compiere.
Al secondo livello degli assiomi della comunicazione 2.0 troviamo le emoji (= ovvero
pittogrammi, set di simboli usati nelle comunicazioni testuali per esprimere componenti
comunicative emozionali) e si parla quindi di stilizzazione di elementi analogici per
l’arricchimento di espressioni digitali.
Se volessimo parlare di sviluppo negli assiomi 2.0 si può fare riferimento ai meme che
nascono quasi per gioco, come messaggi di no-sense ma dai quali nasce anche la fortuna di
internet.

5. Dove vanno le lingue


Moro postula all’inizio del suo scritto se esiste un razzismo linguistico. Oggi è sbagliato
parlarne e scrive quindi alcune cose interessanti e che devono essere ricavate. Secondo il
suo presupposto, le lingue sono considerate come un organismo vivente perchè mutano
come l’uomo, si evolvono. Molto spesso la mutazione linguistica avviene in modo
impercettibile come lo scioglimento dei ghiacciai. Il sistema linguistico è,infatti, come il
cambiamento climatico che avviene ed è accettato da tutti per la cause ecologiche e quindi i
cambiamenti, pur essendo naturali, sono impercettibili. Delle lingue cambiano spesso i
suoni, il lessico e la sintassi. Per quanto riguarda la sintassi dobbiamo sempre collegarci
all’approccio distribuzionalista: per una determinata comunità si ricava senso dalle parole
tramite la loro posizione nella frase. Esiste allora una graduatoria tra le lingue? Qua nasce
allora un varco teorico. Se paragoniamo l’italiano con l’inglese possiamo notare come
l’italiano sia una lingua complessa dato anche il suo statuto oncologico e come l’inglese sia
semplice. Pensiamo per esempio ai verbi che in italiano hanno una forma diversa per tutte le
6 persone mentre in inglese la radice è la stessa e l’unica cosa che cambia è la S alla terza
persona singolare. Moro vuol dire che se noi commisuriamo due lingue, vedremo che ci
saranno sempre delle differenze recepite come patrimonio di una determinata lingua che
sussiste in virtù del patrimonio. Se l’inglese ha preso piede grazie all’evoluzione sarà
sicuramente più semplice rispetto all’italiano. La difficoltà di una lingua nasce dall'intreccio
del codice linguistico per esempio come si articolano insieme la sintassi e la morfologia. Le
Interazioni tra sintassi, fonetica e uso della punteggiatura rendono complicato il discorso del
sistema linguistico visto come un cubo di rubik. La cosa importante qui è sempre saper
distribuire (sembra che il saggio di Moro si basi tutto sulla teoria della distribuzione). Non è
tanto complicata la lingua se la studio ma se io debbo parlare di difficoltà devo prima capire
la relazione delle diverse componenti nel sistema linguistico. Quindi, per capire se una
lingua è difficile bisogna:
1 studiare il corredo genetico di una lingua
2 capire in che modo avviene la combinazione tra i diversi elementi nel sistema linguistico.
Ecco perchè bisogna sottolineare il concetto di sistema linguistico come organismo vivente.
Pensiamo ai latini che hanno usato il sistema linguistico e come noi oggigiorno lo
imbastardiamo.
Moro arriva ad una conclusione ovvero che il patrimonio linguistico è ereditato dal sistema
mondiale. La fonte della narrazione è la televisione che sopravvive vendendo beni e servizi
e si infiltra dove l’attenzione è massima. Tira in ballo i nativi digitali e pensare che un
sistema linguistico possa e debba essere rinnovato è già un atteggiamento discriminatorio.
Moro si allinea a Vera Gheno la quale afferma che è impensabile che ci sia un’elite che
voglia subito scardinare degli elementi.
E allora, dove vanno le lingue? Moro risponde in modo deciso. Le lingue vanno osservate
nel tempo, il futuro non è prevedibile, bisogna osservare, leggere, studiare, non c’è solo
un’unica direzione o solo una risposta. Noi non siamo nella posizione tale da poter decretare
la difficoltà di un sistema linguistico rispetto ad un altro perché non sappiamo cosa accadrà
e quindi, l’unico nostro dovere è capire dove va, in quale direzione va la lingua ed ecco
perché dobbiamo conoscere anche la storia dello schwa anche se può rappresentare solo
una moda.
Allora, al formatore di una L2 cosa resta? La consapevolezza che non c’è un metodo unico
ma esiste solo la sperimentazione, unica via per il cambiamento trattata anche da Vera
Gheno. Moro dice che avendo consapevolezza della globalizzazione della lingua inglese che
ha il dominio, è evidente e farebbe comodo la nascita di una koiné ovvero di un sistema
dialettale come formula linguistica minore ma comune che ci consenta di veicolare messaggi
all’interno di una comunità= una lingua di una lingua. Pensiamo per esempio ai nostri parenti
che da un piccolo paesino della sicilia si postano in canada e lì trovano una koiné che li fa
stare tranquilli almeno nella loro intimità.
Un’ultima metafora suggestiva che fa Moro è quella del sistema linguistico come un volto. I
nostri volti sono tutti diversi ma hanno dei tratti in comune come anche le lingue, quindi
possiamo dire che forse Babele è un dono, forse tutte le diversità lo sono.

VIDEO MARCOLONGO→ ipotizza che le lingue morte in realtà non sono veramente morte e chi
apprezza il greco o il latino vanta un atteggiamento classista delle lingue → il greco è una lingua
geniale. Questo suo pensiero va in contrasto con quello di Moro il quale, invece, dice che non
possiamo avere una gerarchia tra le lingue.La lingua unica non è unica.

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