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Cos’è il linguaggio?

La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio umano.


tutti usiamo un linguaggio che chiameremo linguaggio naturale o umano.
ad. ex il linguaggio dei computer, il linguaggio dei fiori... sono tutti sistemi di comunicazione che servono per trasmettere informazioni da un
individuo, emittente, ad un altro, ricevente.
i linguaggi sono identici nella loro funzione cioè nel fatto di permettere la comunicazione ma non è detto che siano identici nella loro
struttura.
La struttura del linguaggio umano è specifica e solo la specie umana ha la capacità di acquisire il linguaggio umano.
La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio umano dunque.
Lo studio scientifico deve formulare ipotesi generali che spieghino molti fatti particolari, queste ipotesi inoltre devono essere fatte in modo
chiaro: ciò vale anche per la linguistica.
La linguistica è una disciplina descrittiva infatti che deve spiegare, usando leggi generali, ciò che effettivamente si dice.
ogni lingua inoltre presenta una varietà d'uso, ogni varietà ha delle caratteristiche proprie che vanno conosciute per poter utilizzare tale
varietà nei contesti appropriati. L'indicazione delle forme buone o meno buone è comunque compito della grammatica normativa invece la
linguistica vuole investigare i meccanismi che stanno alla base del comportamento linguistico degli esseri umani.

Il linguaggio umano è discreto mentre il linguaggio di molte specie animali [ex. api) è continuo.
è discreto nel senso che i suoi elementi si distinguono per l'esistenza di limiti definiti. ad esempio [p] e [b] hanno un effetto di contrasto
netto, non esistono dunque entità intermedie tra p e b. nei sistemi continui invece è sempre possibile specializzare sempre più il segnale: la
danza delle api ha questa caratteristica.
inoltre, una delle caratteristiche del linguaggio umano è quella di poter formulare un numero alto di segni, cioè di entità dotate di
significante e significato mediante un numero molto limitato di elementi, i fonemi, che non hanno significato ma hanno la capacità di
distinguere significati. questa caratteristica è chiamata doppia articolazione ed è assente nei linguaggi degli animali.
un'altra differenza è che i sistemi di comunicazione animale sono caratterizzati da un numero finito di segni; le parole di origine umana
invece non sono un insieme finito poiché se ne possono creare sempre di nuove, e, nel nostro parlare quotidiano facciamo uso di frasi nuove
create sul momento. A questa capacità contribuisce il meccanismo della ricorsività che permette di costruire frasi nuove inserendo in una
frase data, un'altra frase.
partiamo da una frase semplice:
“Maria mi ha colpito”
usando un verbo come "dire", possiamo trasformare questa in una frase complessa, cioè formata da una frase principale e una frase
dipendente:
“I ragazzi dicono che Maria mi ha colpito”
anche questa seconda frase può diventare dipendente da un verbo come credere:
“I vicini credono che i ragazzi dicano che Maria mi ha colpito”
ecc...
Un altro modo per formare frasi complesse di lunghezza indefinita e ricorrere all'uso della congiunzione e.
Il limite alla lunghezza delle frasi non esiste in linea di principio ma c'è un contrasto tra la capacità potenziale di produrre frasi infinite e la
possibilità effettiva di realizzare tali frasi: c'è contrasto tra competenza ed esecuzione.
Sono gli esseri umani gli unici a poter acquisire un sistema di comunicazione caratterizzato dal fenomeno della ricorsività. I tentativi fatti nel
1960 circa per insegnare ad alcuni gorilla una lingua umana confermano questa tesi.
Le scimmie non parlavano perché la loro anatomia non lo permetteva perciò si ricorse al linguaggio gestuale. Le scimmie mostrarono però di
non saper ricorrere alla ricorsività. Inoltre cominciavano a comunicare solo dopo che erano state stimolate a farlo.
Abbiamo dunque visto che il linguaggio umano è caratterizzato da discretezza e ricorsività.
il linguaggio dell'informatica tuttavia è caratterizzato da queste due stesse proprietà ma si differenzia dal linguaggio umano. La differenza sta
nella dipendenza dalla struttura.
ex. “La donna che i ragazzi dicono che mi ha colpito è Maria”
il verbo "ha colpito" è alla terza persona singolare e si accorda con il nome "donna" che non è immediatamente vicino ad esso, cosa
necessaria per il linguaggio informatico. Il nome "ragazzi" è più vicino al verbo "ha colpito" ma se trasformassimo "ha colpito" in "hanno
colpito" la frase risulterebbe agrammaticale:
“*La donna che i ragazzi dicono che mi hanno colpito è Maria”
dove l'asterisco indica le combinazioni di parole che sono agrammaticali.
Tenendo conto che la linguistica è una disciplina descrittiva, agrammaticale non significa scorretto ma malformato per un parlante nativo di
una determinata lingua.
il senso intuitivo di grammaticalità rappresenta una caratteristica essenziale della competenza dei parlante nativo di una lingua!!!
Le relazioni tra parole all'interno di una frase non sono determinate dalla loro successione ma sono dipendenti dalla struttura.

Con linguaggio intendiamo la capacità di sviluppare un sistema di comunicazione dotato delle caratteristiche appena accennate. Con lingua

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intendiamo la forma specifica che questo sistema di comunicazione assume nelle varie comunità.
Le lingue sono differenti ma entro limiti ben definiti, ossia quelli del linguaggio come capacità umana specifica. Bacone, filosofo medievale,
diceva che la grammatica è unica nella sostanza anche se varia accidentalmente. nel '800 si pensava invece che non ci fosse nulla in comune
a tutte le lingue del mondo. nel 1950 circa si tornò invece sulla posizione di Bacone.
gli universali linguistici, ossia gli elementi comuni a tutte le lingue sono ad esempio la ricorsività e la dipendenza dalla struttura.
una caratteristica che distingue le varie lingue è l'ordine delle parole o meglio l'ordine degli elementi principali della frase. in italiano
abbiamo soggetto-verbo-oggetto ma in arabo ad esempio verbo-soggetto-oggetto.
esistono dunque degli universali linguistici e delle proprietà che caratterizzano soltanto alcune lingue.

Che cos’è una lingua?


sin dalla nascita siamo circondati da atti linguistici.
una lingua è un sistema articolato su più livelli e dunque un "sistema di sistemi". i livelli linguistici sono 4: quello dei suoni, fonologia, quello
delle parole, morfologia, quello delle frasi, sintassi, quello dei significati, semantica. Le unità di ogni livello sono interdipendenti.
La linguistica privilegia la lingua come espressione orale piuttosto che scritta perché ad esempio il bambino impara prima a parlare che a
scrivere, la lingua cambia nel tempo prima ad un livello orale infatti gli alfabeti sono spesso in ritardo rispetto all'evoluzione delle lingue.
In una lingua è fondamentale la capacità distintiva dei suoni. ad esempio la vocale [a] si oppone alla vocale [e] in parole come "manto",
"mento".
se pronuncio però ad esempio la parola "mano" 12 volte avrò ad esempio 12 "a" diverse dal punto di vista fisico [altezza tonale, lunghezza...):
vi è quindi un livello astratto dove vi è una /a/ e poi questa /a/ si può realizzare in n modi diversi.
c'è dunque un livello nel quale ciò che conta è l'opposizione tra i vari suoni e poi c'è un livello concreto in cui c'è molta varietà che dipende
da come sono atteggiati gli organi della fonazione in quel momento.
esiste così un livello astratto della lingua nel quale i fenomeni sono pertinenti!

"Langue" e "parole":
Saussure creò una serie di distinzioni come quelle tra sincronia e diacronia, rapporti associativi e rapporti sintagmatici, tra significante e
significato e tra langue e parole.
la "parole" è un'esecuzione linguistica realizzata da un individuo, è un atto individuale. Un individuo A può produrre dei suoni concreti, un
atto di "parole", che è individuale. Ma un individuo non possiede tutta la lingua; questa infatti preesiste agli individui e sopravviverà ad essi.
Vi è dunque una lingua della collettività, astratta: la "langue". la "langue" è il sistema di riferimento collettivo.

Codice e messaggio:
Jakobson distingue tra codice e messaggio.
il codice è un insieme di potenzialità ed è astratto. un messaggio invece viene costruito sulla base delle unità fornite dal codice ed è un atto
concreto. anche le lingue umane funzionano così: ad esempio a livello del codice esistono unità come /p,n,e,a/ e queste unità astratte
possono combinarsi per formare dei messaggi come dei non messaggi:
a.pane,pena
b. eanp, eapn
a. rispettano le regole con cui tali unità devono essere messe insieme in italiano mentre b. sono dei non messaggi.

Competenza ed esecuzione:
Chomsky fa questa distinzione. La competenza è tutto ciò che l'individuo sa della propria lingua, l'esecuzione è tutto ciò che l'individuo fa, è
un atto di realizzazione e dunque concreto.
La competenza è profondamente diversa dalla "langue": quest'ultima è sociale e trascende l'individuo mentre la competenza è individuale e
ha sede nella mente dell'individuo.
competenza è l'insieme delle conoscenze linguistiche che un parlante ha. E sono tantissime!
procediamo per livelli:
1 - competenza fonologica: un parlante italiano sà che i suoni [p,n,a,e] sono suoni della sua lingua ma che suoni come [pf] non lo sono. un
parlante sa anche in qualche modo che se una parola in italiano inizia con tre consonanti, la prima deve essere [s]. Sa che se deve fare il
plurale di "amico" cambia automaticamente il suono [k] di amico nel suono [tς] di amici. ecc..
2 - competenza morfologica: un parlante italiano sa che in italiano le parole finiscono di norma per vocale, sa che due parole in tutto uguali
tranne che per l'accento hanno significati diversi [ex. àncora/ancòra). conosce bene il vocabolario della propria lingua, sa formare parole
nuove ex. da "lucido" sà formare "extralucido": cioè sa che a partire da parole semplici si possono formare parole complesse.
> conosce le parole della propria lingua e le distingue da forme che non solo della propria lingua, sa distinguere tra parole possibili ma non
esistenti e parole non possibili.
> sa formare parole complesse a partire da parole semplici ma sa che non è sempre possibile applicare lo stesso meccanismo ex da "veloce"
"*disveloce".

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> ad una parola come "libro" si possono aggiungere molti suffissi "valutativi" ex. librone, libresco... ma lo stesso non può avvenire per una
parola come "balcone" ex. ?balconone, *balconesco
> sa costruire composti ma questi non si possono formare da due parole qualsiasi ex. "uomo civetta" "uomo scimmia" funzionano ma non
esiste "*uomo matita"!
> sa che i termini di un composto non si possono invertire liberamente. ad esempio capostazione/*stazionecapo
un parlante quindi conosce le parole della propria lingua, alcuni aspetti della loro struttura e i meccanismi per formare parole complesse.
3 - competenza sintattica: i parlanti conoscono le regole della sintassi, possono formare vari tipi di frase. A partire da una frase dichiarativa
semplice si può formare una frase interrogativa ad esempio. un parlante ha conoscenze sintattiche molto sottili. certe operazioni sintattiche
sono possibili con certe strutture frasali ma non con tutte.
4 - competenza semantica: i parlanti di una lingua sanno riconoscere il significato delle parole e delle frasi e sanno istituire molti tipi di
relazioni semantiche tra le parole ex. relazioni di sinonimia, antonimia. I parlanti sanno distinguere diversi tipi di ambiguità, sanno che
esistono determinati rapporti tra le parole.

Tutto ciò fa parte della grammatica dei parlanti intesa come un insieme di conoscenze che sono immagazzinate nella mente. Il bambino
costruisce una grammatica a partire da dei dati che sono chiamati dati linguistici primari.
una lingua è un codice e un codice è costituito fondamentalmente da due livelli: le unità di base e le regole che combinano le unità.
Le regole combinano le unità più piccole per formare le unità più grandi. comunque tutte le possibilità non vengono realizzate e ciò vale non
solo per il lessico e per i suoni ma anche per la morfologia e la sintassi. ad esempio le unità di suono [p-a-n-e] possono essere combinate solo
in due dei 24 modi possibili: pane e pena e non ad es. nape.

In un atto linguistico, i suoni vengono disposti in una sequenza lineare diventando così una catena parlata. [In quest'operazione i suoni si
influenzano l'un l'altro ex. la "n" di canto è foneticamente diversa dalla "n" di anfora. ) Questi rapporti vengono definiti rapporti sintagmatici
e si hanno tra elementi che sono "in praesentia", cioè co-presenti.
in una parola come "stolto" tra la [s] e la vocale [o] c'è il suono [t]. al posto di [t] però possono comparire altri suoni tra [s] e [o]. i suoni che
possono comparire in un certo contesto intrattengono tra loro dei rapporti di tipo paradigmatico, ma sono rapporti "in absentia": cioè se
realizzo [t] non posso realizzare gli altri.
Rapporti paradigmatici e sintagmatici non riguardano solo i suoni.
ex.
a. questo mio amico
b. queste mie amiche
vi sono rapporti sintagmatici tra la "o" di "questo", la "o" di "mio" e la "o" di "amico". vale lo stesso per la "e" di b.
c. il libro
d. questo libro
e. quel libro
Tra "il", "questo","quel" vi sono rapporti paradigmatici.
In definitiva qualsiasi unità della lingua, intrattiene rapporti sintagmatici con le forme vicine ma anche rapporti paradigmatici con le unità
assenti che avrebbero potuto essere realizzate in quel dato punto.

Le lingue possono cambiare nel corso del tempo. lo studio del cambiamento linguistico è detto diacronico ed è lo studio di un fenomeno
attraverso il tempo. Una lingua può essere studiata anche escludendo il fattore tempo. In questo caso si parla di studio sincronico. Un
fenomeno sincronico è un rapporto tra elementi simultanei, un fenomeno diacronico è la sostituzione di un elemento con un altro nel corso
del tempo.

Una parola è segno e un segno è l'unione di un significato e un significante. il significante è la forma sonora mentre il significato è la
rappresentazione mentale del segno, il concetto.
il segno ha varie proprietà tra cui:
a) - la distintività: ad esempio il segno "notte" si distingue dal segno "botte" o dai segni "lotte"...
b) - la linearità: il segno si estende nel tempo, se orale, e nello spazio, se è scritto. ciò implica una successione, un prima e un dopo. Ad
esempio "al" ha un significato diverso da "la" così come "rami" ha un significato diverso da "mira".
c) - l'arbitrarietà: il segno è arbitrario nel senso che non esiste alcuna legge di natura che imponga di associare al significante [libro] il
significato "libro". L'associazione tra il significato e il significante deriva da una specie di accordo sociale convenzionale. ci sono eccezioni
all'arbitrarietà del segno costituite soprattutto da forme onomatopeiche per esempio "sussurrare". nel corso del tempo l'evoluzione cui sono
soggette le lingue può eliminare però la motivazione del segno ex. il latino "pipio", piccione, era onomatopeico ma l'italiano "piccione" ha
perso la motivazione originaria.
i segni possono essere sia linguistici che non linguistici. Un vestito nero (significante) può voler dire lutto (significato). Mentre i segni
linguistici sono tipicamente lineari, quelli non linguistici non sono lineari: in un cartello di divieto di accesso non è importante se è stata
realizzata prima la parte in rosso o quella in bianco.

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La disciplina che studia i segni in generale è la semiotica.

Per Jakobson sono 6 le componenti necessarie per un atto di comunicazione linguistica:


parlante; ciò di cui si parla cioè il referente; il messaggio; il canale attraverso cui passa la comunicazione; il codice; l'ascoltatore.
Il referente è ciò cui l'atto linguistico rimanda cioè la realtà extra-linguistica invece il canale è di norma l'aria ma può essere anche una linea
telefonica ecc... a ciascuna di queste componenti Jakobson fa corrispondere una funzione linguistica:
1) La funzione emotiva è quella che riguarda il parlante e si realizza quando il parlante esprime stati d'animo, quando il parlare è più inteso a
esprimere che a comunicare qualcosa a terzi.
2) La funzione referenziale è informativa, neutra. Ex. una frase come "il treno parte alle sei". Riguarda il referente.
3) La funzione fàtica si realizza quando vogliamo controllare se il canale è aperto e funziona regolarmente. Espressioni come "mi senti?" "ci
sei?" spiegano bene questa funzione.
Riguarda il canale.
4) La funzione metalinguistica si realizza quando il codice viene usato per parlare del codice stesso. Riguarda il codice.
5) La funzione poetica si realizza quando il messaggio che il parlante invia all'ascoltatore è costruito in modo da costringere l'ascoltatore a
ritornare sul messaggio stesso per apprezzarne il modo in cui è formulato. se il parlante ha costruito un messaggio del tipo "nel mezzo del
cammin di nostra vita", l'ascoltatore dovrà sospendere la funzione referenziale e tornare sul messaggio per decifrarlo, per capire come è
costruito. [cosa vuol dire "nel mezzo del cammin di nostra vita"?). Riguarda il messaggio.
6) La funzione conativa si realizza sottoforma di comando o esortazione rivolta all'ascoltatore perché modifichi il suo comportamento.
Riguarda l'ascoltatore.
ogni tipo di testo realizza prevalentemente una delle funzioni di Jakobson: un manuale di chimica per esempio realizzerà soprattutto la
funzione referenziale, le liriche di Petrarca la funzione emotiva...
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In Italia si parla una lingua ufficiale che è l'italiano e una quantità enorme di dialetti. Un parlante porta con sé una certa patina che ne
denuncia la provenienza. si parla di italiani regionali.
Esistono tre grandi italiani regionali: quello del Nord, quello del centro, e quello del sud. L'italiano regionale è una varietà di italiano parlata
in un'area corrispondente ad una delle tre principali aree geografiche dell'Italia. L'italiano regionale costituisce un tramite tra il dialetto e
l'italiano standard.
ogni lingua è inoltre stratificata sia socialmente che geograficamente.
La stratificazione è la seguente:
italiano scritto
italiano parlato formale
italiano parlato informale
italiano regionale
dialetto di koinè
dialetto del capoluogo di provincia
dialetto locale
Il parlato informale è quello che usiamo nelle situazioni non controllate, è piuttosto rapido e conterrà molti regionalismi.
Il dialetto di koinè identifica una regione dialettale.

In uno stesso luogo possono coesistere diversi registri linguistici e i parlanti possono passare dall'uno all'altro. Una lingua è stratificata in
registri stilistici.
molto importante sottolineare che un dialetto è un sistema linguistico a tutti gli effetti.
La differenza tra lingua e dialetto è solo una differenza socio-culturale.

Qualcuno pensa che siano esistite lingue primitive con sistemi fonologici... poco sviluppati e che da queste lingue si siano evolute le lingue
complesse. In realtà lingue di questo tipo non sono attestate. Altri invece pensano che vi siano lingue per eccellenza "logiche" ex. greco. In
realtà tutte le lingue hanno una loro logica interna.

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I suoni delle lingue: fonetica e fonologia
Un suono è un fatto fisico. Di tutti i suoni che possiamo produrre, solo una piccola parte fanno parte di una lingua in senso stretto. Ogni
lingua ha un suo inventario di suoni (fonemi) e ogni lingua ha regole proprie per combinare questi suoni in sillabe e parole. I fonemi possono
influenzarsi l'un l'altro e per rendere conto di questo le lingue dispongono di regole fonologiche.
La disciplina che studia la produzione dei suoni è detta fonetica articolatoria. Vi è poi la fonetica acustica che studia la natura fisica del
suono. C'è poi la fonetica uditiva che studia l'aspetto della ricezione del suono da parte dell'ascoltatore.

Fonetica articolatoria:
un suono è prodotto dall'aria che viene emessa dei polmoni, questa attraversa la laringe
e incontra le corde vocali. Dopo la faringe, l'aria giunge alla cavità orale e fuoriesce dalla
bocca. Se l'aria fuoriesce solo dalla bocca avremo suoni orali, se invece il velo palatinio
resta inerte, l'aria fuoriesce anche dalla cavità nasale e avremo suoni nasali.

Per classificare un suono sono necessari tre parametri:


1) Modo di articolazione: riguarda i vari assetti che gli organi assumono nella produzione
del suono.
2)Punto di articolazione: è costituito dal punto dell’apparato vocale in cui viene
modificato il suono.
3)Sonorità: e data dalle vibrazioni delle corde vocali: se vibrano si otterrà un suono
sonoro altrimenti un suono sordo.

I vari organi della fonazione possono essere posizionati in modi diversi nella produzione
di un suono: i vari assetti che gli organi assumono producendo un suono sono detti modo
di articolazione.

Il flusso d'aria necessario per produrre un suono può essere modificato in diversi punti dell’apparato vocale: ognuno di questi punti è
chiamato punto di articolazione.
La sonorità infine è data dalle vibrazioni delle corde vocali: se vibrano avremo un suono sonoro, se non vibrano avremo un suono sordo.
l'Alfabeto Fonetico Internazionale [IPA) risponde all'esigenza fondamentale di usare gli stessi simboli per gli stessi suoni in tutte le lingue del
mondo!
I suoni possono essere classificati in tre classi maggiori: consonanti, vocali e semiconsonanti o approssimati. Nella produzione di una vocale
l'aria non incontra ostacoli e le vocali sono quasi sempre sonore. Per produrre una consonante l'aria o viene momentaneamente bloccata ex.
[b] o deve attraversare una fessura molto stretta ex. [f]. Le consonanti possono essere sia sorde che sonore. Le semiconsonanti condividono
proprietà delle vocali e delle consonanti.
Le vocali, le semiconsonanti, le liquide e le nasali formano la classe delle sonoranti. Tutti i suoni non sonoranti si chiamano ostruenti. Le
sonoranti sono tutte sonore. Il flusso d'aria necessario per produrre le ostruenti invece incontra ostacoli.

I suoni dell'italiano:

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Consonanti dell'italiano:
I diversi modi di articolazione servono per produrre le consonanti:
- occlusive: il suono è prodotto tramite una occlusione momentanea dell'aria cui fa seguito una specie di esplosione. Sono
[p,b,t,d,k,g]
- fricative: l'aria deve passare attraverso una fessura stretta producendo una fricazione. Si possono prolungare nel tempo. Sono
[f,v,s,z,ς]
- affricate: iniziano con un'articolazione di tipo occlusivo e terminano con un'articolazione di tipo fricativo. Sono [ts,dz,tς,dЗ]
- nasali: il velo palatino lascia passare l'aria attraverso la cavità nasale. Sono [m,m,n, ,ŋ]
- laterali: la lingua si posiziona contro i denti e l'aria fuoriesce dai due lati della lingua stessa. L'italiano ha due laterali [l],[ ]
- vibranti: c'è vibrazione o dell'apice della lingua o dell'ugola. L'italiano ne ha una [r]
- approssimanti: sono suoni in cui gli organi articolatori vengono avvicinati ma senza contatto. Le approssimanti dell'italiano sono le
semiconsonanti [j] e[w].in italiano [i] e [u] sono semiconsonanti quando sono seguite da una vocale tonica: ad esempio "piede" si
trascriverà [pjεde], sono semivocali quando seguono una vocale tonica: ad esempio "pausa" si trascriverà [pauza].

L'italiano usa sette punti di articolazione:


1. bilabiali: il suono è prodotto tramite l'occlusione di entrambe le labbra [p,b,m]
2. labiodentali: il suono deve attraversare una fessura che si forma appoggiando gli incisivi superiori al labbro inferiore [f,v]
3. dentali: la parte anteriore della lingua tocca la parte interna degli incisivi [t,d]
4. alveolari: la parte anteriore della lingua tocca agli alveoli [n,l,] o si avvicina agli alveoli [s,z,ts,dz]
5. palato-alveolari: la parte anteriore della lingua si avvicina agli alveoli e ha il corpo arcuato [ς,tς,dЗ]
6. palatali o anteriori: suoni prodotti con la lingua che si avvicina al palato [ , ,j]
7. velari o posteriori: suoni prodotti con la lingua che tocca il velo palatino [k,g,w]

Vocali dell'italiano:
per classificare le vocali che si basa sull'altezza della lingua, sull'avanzamento o l'arretramento della lingua, sull'arrotondamento o meno
delle labbra e sulla realizzazione di questi movimenti in modo teso o rilassato. Se la lingua assume una posizione alta si produrranno suoni
come [i] o [u], se assume una posizione bassa si produrranno suoni come [a]. Se la lingua è in posizione avanzata si produrrà una [i] o una [e],
se in posizione arretrata una [u] o una [o]. Se le labbra sono arrotondate si produrranno vocali come [u] o [o], se non sono arrotondate si
produrranno [i] ed [e]. In italiano le vocali [e] ed [o] possono essere sia semiaperte che semichiuse e vi è una sola [a]. il sistema è così
eptavocalico che da luogo a un triangolo:

anteriore centrale posteriore

alte (chiuse) i u
medio-alte (semichiuse) e o
medio-basse (semiaperte) ε
basse (aperte) a

Il sistema è eptavocalico per alcuni italiani regionali come il toscano. Vi sono delle aree, come la Sicilia, dove il sistema ha solo cinque vocali.
i alta, anteriore, non arrotondata
e medio-alta, anteriore, non arrotondata
ε medio-bassa, anteriore, non arrotondata
a bassa, centrale, non arrotondata
medio-bassa, posteriore, arrotondata
o medio-alta, posteriore, arrotondata
u alta, posteriore, arrotondata

Combinazione di suoni.
Le consonanti possono combinarsi insieme e formare dei nessi consonantici. La loro combinazione è soggetta a restrizioni. Io posso fare in
italiano [pr] ma non per esempio [gv]. Alcune combinazioni possibili in posizione interna di parola non sono possibili in posizione iniziale. Per
esempio [r+p] è possibile in posizione interna (arpa) ma non in posizione iniziale. In italiano se una parola inizia con tre consonanti, la prima
deve essere una [s].
La combinazione di vocali e approssimanti in una medesima sillaba da luogo ai dittonghi che possono essere ascendenti [approssimante
seguita da vocale accentata ex. fienile, quasi) o discendenti [vocale accentata seguita da approssimante ex. cauto, noi). esistono anche
trittonghi ex. miei [mjεi].
La combinazione di due vocali appartenenti a sillabe diverse da luogo a uno iato.

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Suoni e grafia.
Nell'italiano ci sono incoerenze del sistema grafico. Un sistema è coerente quando a un suono corrisponde un segno e viceversa.
In italiano invece troviamo:
a. due simboli diversi per un solo suono. ex. cuore/quando [k]
b. due suoni diversi scritti con lo stesso simbolo. ex. sera/rosa [s] e [z]
c. due simboli per un solo suono o tre simboli per un solo suono. ex. che [k] o aglio [ ]

Il simbolo dell'alfabeto "c" sta per due suoni diversi [tς] e [k]... vi sono simboli dell'alfabeto che non sempre rappresentano un suono: il
simbolo "i" può rappresentare una vocale alta anteriore o può stare per la semiconsonante palatale ma può anche essere solo grafico. ex. in
scienza [ςεntsa] la "i" è solo grafica.

Trascrizione e fonetica.
I suoni possono essere semplici per esempio [t,d,k,tς,dz] o geminati [tt,dd,kk,ttς,ddz]. La lunghezza si indica con due punti e dunque
scriveremo [t:,d:,k:,t:ς,d:z].
Il simbolo IPA per l'accento è ['] e si colloca prima della sillaba accentata. scriverò dunque ['kaza], [lam'pjone], [intimi'ta]. sui monosillabi
l'accento può non essere segnato. Da ricordare che in IPA non esistono le maiuscole e gli apostrofi.

Confini.
Nelle trascrizioni è importante indicare vari tipi di confine:
quello di sillaba, quello di morfema e quello di parola.
Il morfema è l'unità più piccola dotata di significato.
Il confine di sillaba viene di norma rappresentato con un punto (.). ex. ot.to.bre, ve.lo.ce.men.te
Il confine di morfema è rappresentato con il simbolo (+). ex. ottobre, veloce+mente, bar+ista
Il confine di parola è rappresentato con il simbolo (#) e marca l'inizio e la fine della parola. ex. #ieri#, #ottobre#

Fonetica e fonologia.
Mentre la fonetica si occupa dell'aspetto fisico dei suoni, la fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni. L'unità di studio della
fonetica è dunque il fono, l'unità di studio della fonologia è il fonema. La fonologia cerca di scoprire:
→ quali siano i fonemi di una lingua; si ricorre alla nozione di distribuzione e di coppie minime
→ come i suoni si combinano insieme; vengono descritte dalle regole fonologiche
→ come i suoni si modificano in combinazione ; vengono descritte dalle regole fonologiche

Il contesto.
Un suono ha una sua distribuzione, ha cioè alcuni tipi di contesti in cui può comparire, è la posizione della parola. Per esempio [r] in italiano
può comparire tra due vocali, dopo [t]...

Foni e fonemi.
I “foni” sono suoni/rumori del linguaggio articolato e hanno valore linguistico quando sono distintivi, cioè
contribuiscono a differenziare dei significati. Le “coppie minime” sono coppie di parole che si differenziano solo per un
suono nella stessa posizione. Due foni che hanno valore distintivo sono detti “fonemi”. Un fonema è un segmento fonico che ha:
- una funzione distintiva;
- non può essere scomposto in una successione di segmenti che abbiano valore distintivo;
- è definito solo da caratteri che abbiano valore distintivo.
Il fonema è l’unità che si colloca a livello astratto, e dunque a livello di langue; i foni invece si collocano a livello concreto e dunque di parole.
Il fonema è una unità astratta che si realizza in foni. I fonemi sono rappresentati tra barre oblique ex. /t/ mentre i foni tra parentesi quadre
ex. [t].
I suoni intercambiabili sono quelli che possono apparire nel medesimo contesto, i suoni non intercambiabili sono quelli che non possono
comparire nel medesimo contesto.

Le regole di Trubeckoj
Per stabilire se due foni abbiano valore distintivo, Trubeckoj [1939], ha proposto una serie di regole.
1° - quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere scambiati fra loro senza con ciò mutare il significato delle
parole o renderle irriconoscibili, allora questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di due diversi fonemi.
ex. varo - faro
2° - quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle medesime posizioni e si possono scambiare fra loro senza causare variazione di

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significato della parola, questi due suoni sono soltanto varianti fonetiche facoltative di un unico fonema.
ex. rema - Rema [R] uvulare
3° - quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi sono due varianti
combinatorie dello stesso fonema.
ex. naso - ancora ([nazo] - [aŋkora]

La linguistica statunitense ha utilizzato invece le nozioni di distribuzione contrastiva e distribuzione complementare. quando due foni
possono comparire nello stesso contesto e si ottengono così due parole di senso diverso, allora i due foni sono in distribuzione contrastiva ed
i due foni sono realizzazioni di due fonemi diversi. Quando invece due foni non possono mai ricorrere nello stesso contesto, ma il fono X
ricorre in una certa serie di contesti e il fono Y ricorre in un'altra serie, allora, se questi due foni sono foneticamente simili, si tratta di due
allofoni dello stesso fonema.

Allofoni:
ad esempio in italiano [z] ricorrere prima di consonante sonora e tra due vocali, [s] altrove. il solo fonema /s/ si realizza come [s] in certi
contesti e come [z] in altri.
gli allofoni sono prevedibili perché sono legati ad un determinato contesto.

Varianti libere:
se due suoni foneticamente simili si possono trovare nello stesso contesto, ci sono due possibilità. O danno luogo a due parole con significato
diverso o il significato non cambia. Nel primo caso i due foni sono realizzazioni di due fonemi diversi, nel secondo caso sono varianti libere.
Se dico [rema] o [Rema] cioè con una [r] vibrante, [r] e [R] sono varianti libere.

I fonemi di una lingua intrattengono tra loro dei rapporti di opposizione. Trubeckoj ha studiato le opposizioni fonologiche:
a) - una opposizione è bilaterale quando la base di comparazione è propria solo nei membri dell'opposizione, altrimenti è multilaterale: ad
esempio bilaterale è l'opposizione tra /p/ e /b/ in italiano perché la base di comparazione (occlusiva bilabiale) è propria solo di questi due
fonemi. L'opposizione tra /p/ e /k/ è invece multilaterale dato che in italiano c'è almeno un altro occlusiva sorda (/t/).
b) - ci sono poi opposizioni privative o non privative. Questa opposizione riguarda quelle coppie di fonemi in cui si potrebbe dire che un
fonema ha le proprietà x e l'altro fonema ha tutte le proprietà x più un'altra proprietà. ad esempio /p/ è priva della sonorità mentre /b/ ha
tutto quello che ha /p/ più la sonorità.
Il termine dell'opposizione che ha una proprietà in più è detto marcato. l'opposizione tra /p/ e /k/ non è privativa ma equipollente perché la
bilabialità di /p/ equivale alla velarità di /k/.
c) - ci sono infine le opposizioni costanti e quelle neutralizzabili. Quelle costanti, sono opposizioni che funzionano in tutti contesti, mentre
quelle neutralizzabili in certi contesti non funzionano. in olandese ad esempio il contrasto tra /t/ e /d/ funziona in posizione iniziale e interna
di parola ma non funziona in posizione finale dove si trova sempre [t].

Le opposizioni privative hanno costituito la base per lo sviluppo di una teoria nota con il nome di binarismo, dovuta a Jakobson: ogni
elemento linguistico si differenzia dagli altri per una serie di scelte binarie. ogni fonema può essere analizzato in un insieme di tratti distintivi
che definiscono quel fonema in opposizione a tutti gli altri.
alcuni tratti distintivi sono:
- sillabico, arrotondato, alto, basso, arretrato per le vocali.
- sillabico, sonoro, nasale... per le consonanti.
Se il fonema ha un determinato tratto lo si designa con il segno "+", se ne è privo con il segno "-".

Regole fonologiche:
una regola fonologica collega una rappresentazione astratta (fonematica) ad una rappresentazione concreta (fonetica). Una regola fa si che
una data unità cambi con un'altra in un determinato contesto. La forma è tipicamente la seguente:
A→B/___C cioè A diventa B nel contesto C. Un esempio pratico: k→ tς/___+i cioè [k] diventa [tς] prima di [i] preceduto da un confine di
morfema.

La sillaba:
rappresenta una unità costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un picco di intensità.
La sillaba minima è costituita in italiano da una vocale, il nucleo sillabico. Questo può essere preceduto da un attacco e seguito da una coda.
Il nucleo più coda costituiscono la rima.
La sillaba ha una struttura interna di questo tipo:

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sillaba

attacco rima

nucleo coda

c o n (con-durre)
tr o n (tron-co)

L'attacco può essere costituito da una o più consonanti e il nucleo può essere costituito da un dittongo ad esempio p-ie-de.
una sillaba è aperta o libera se è priva di coda cioè finisce in vocale altrimenti è detta chiusa o implicata. in alcune lingue il nucleo può essere
costituito da sonoranti come [r,l,n,m].
L'aplologia prevede la cancellazione della sillaba in composizione: ad esempio
eroico-comico > eroicomico, esente+tasse > esentasse
si cancella la sillaba finale di parola prima di una parola che inizia con una sillaba con attacco uguale.

Fatti soprasegmentali:
la parola [kane] ad esempio è costituita da quattro segmenti [fonemi): /k//a//n//e/. La fonologia basata sui segmenti è di tipo segmentale. Vi
sono però fenomeni che oltrepassano il segmento: sono soprasegmentali appunto. Essi sono la lunghezza, l'accento, l'intonazione e il tono.
► la lunghezza è relativa alla durata temporale con cui vengono realizzati i suoni. Non tutti i suoni hanno la stessa durata. In alcune lingue
come il latino la lunghezza vocalica ha valore distintivo. In italiano è la lunghezza consonantica ad essere distintiva invece. esistono lingue
dove non è distintiva nè la lunghezza vocalica né quella consonantica.
► accento: è una proprietà delle sillabe. Una sillaba tonica è più prominente di una sillaba atona perché realizzata con maggiore intensità.
L'accento può essere contrastivo. Solo nelle lingue con accento non fisso esso può avere funzione distintiva e dar quindi luogo a coppie
minime. Una parola inoltre può avere più di un accento: ad esempio in "capostazione" vi è un accento primario sulla "o" di "stazione" e uno
secondario sulla "a" di "capo". L'accento primario si marca in apice ['], quello secondario in pedice [,].
► intonazione: l'altezza dei suoni non è uniforme, ci sono picchi e avvallamenti. L'intonazione ha rilevanza sintattica. Le dichiarative hanno
una curva melodica con andamento finale discendente, mentre le interrogative hanno andamento finale ascendente.
► tono: una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse. Vi sono lingue dove a differenza di altezza di pronuncia
corrispondono variazioni di significato. Sono le lingue tonali. le lingue tonali si raggruppano in tre aree linguistiche:
lingue amerinde, lingue africane, lingue della famiglia sino-tibetana.

Le lingue differiscono tra loro sia per l'inventario dei fonemi e degli allofoni che per le regole fonologiche. Ad esempio in inglese ci sono più
fricative che in italiano…

La struttura delle parole: morfologia


Morfologia è lo studio delle parole e delle varie forme che una parola può assumere. Le parole possono essere semplici o complesse. Le
parole complesse sono le parole derivate che possono essere prefissate o suffissate e le parole composte. Le parole semplici e complesse
possono poi essere flesse.

Struttura interna: appartiene alle parole complesse ma non alle parole semplici.

Morfologia è concepita come lo studio della struttura interna delle parole. oggi alla morfologia è affidato un compito complesso cioè dar
contro a tutte le conoscenze che un parlante grado della propria lingua. Il parlante conosce il genere delle parole sa come formare forme
complesse e il grado di complessità che una parola può raggiungere.

Nozione di parola:
Parole: unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei parlanti. Abbiamo a che fare con parole quotidianamente
e in italiano non sembrano esservi problemi per l'identificazione delle parole. Ma ciò che conta come parola in lingua non è detto che valga
anche per le altre lingue. Ex. puer/il ragazzo. Le diversità tra le lingue rende difficoltoso definire le parole.

Criteri per definire una parola: sono molti ma quasi tutti inadeguati.
A) è parola ciò che è compreso tra due spazi bianchi.
Questa definizione di parola è semplice e sembra molto efficace ma ha un limite di applicazione: può funzionare solo per le lingue dotate di
scrittura non per le lingue che le sono sprovviste.

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B) sono parole le unità della lingua che possano essere usate da sole cioè possono formare un enunciato (‘domani’ in risposta a ‘
quando?’)

Soluzioni:
a)non è possibile definire la nozione di parola una volta per tutte. Distinzione di varie accezioni di parola a seconda del punto di vista a
partire dal quale si considera quest'oggetto. La nozione fonologica non coincide con la nozione di parola morfologica o di parola sintattica.
Da un punto di vista fonologico per esempio “telefonami” è una parola sola ma sintatticamente è costituita da più unità: “telefona a me”.
b) considerare le parole come unità che non possano essere interrotte, o meglio al cui interno non si può inserire dell'altro materiale
linguistico. ( lat. ‘sentis’, qui non posso inserire nulla ; it. ‘tu senti’, qui si tra “tu” e “senti”).
c) assumiamo che nella maggior parte dei casi un parlante nativo abbia intuizioni corrette su cosa siano le parole e che sappia identificarle in
un discorso.

Tema, radice e forma di citazione:


Ex. “amare” è la forma di citazione che troviamo sui vocabolari chiamata anche lemma. Questa forma rappresenta tutte le forme flesse che il
verbo può avere. Le entrate nel dizionario, i lemmi, non sono forme flesse, sono sempre le forme di citazione.
Convenzionalmente per l'italiano la forma di citazione è la seguente:
1. il verbo è all’infinito, mentre per le altre lingue vige una tradizione diversa.
2. nome: maschile o femminile singolare
3. aggettivo: maschile singolare o la forma unica di maschile/femminile per gli aggettivi a due uscite ex. bello, felice.
Differenza importante: tra un dizionario e un testo. In un testo compaiono forme flesse mentre in un dizionario compaiono forme di
citazioni o lemmi.
Lemmatizzazione:operazione che porta dalle forme flesse ai lemmi. Ex. “amavo” > “amare”
Tema e radice: importante è questa distinzione in un verbo. Nel verbo “amare” si toglie la desinenza flessiva “–re” e resta “ama” che è il
tema del verbo. Il tema stesso si può analizzare come una radice “am” e una vocale tematica ‘a’. Le vocali tematiche dell’infinito italiano
sono tre: a, e, i . ex. contare, temere, sentire

Le classi di parole:
Le parole della lingua sono state tradizionalmente raggruppate in classi, o parti del discorso dette anche categorie lessicali. Secondo le
grammatiche scolastiche nell'italiano le parti del discorso sono: nome, verbo, aggettivo, pronome, articolo, preposizione, verbo, ,
congiunzione, interiezione.

Alcune di queste parole assumono desinenze diverse a seconda delle altre parole con cui si combinano.
Le classi di parole che assumono forme diverse sono in italiano: nomi, verbi, aggettivi, articoli, pronomi. Sono perciò detti anche parte del
discorso variabili. Le altre parti del discorso invece sono invariabili.
Altra distinzione è quella tra parole aperte e chiuse: le prime sono quelle a cui si possono sempre aggiungere nuovi membri, le seconde sono
formate da un numero finito di membri che non può essere aumentato.
Classi aperte: nomi, verbi, aggettivi e avverbi. Le interiezioni costruiscono un caso un po' particolare, forse è possibile pensare che nuove
interazioni possano essere formate per esempio usando come interiezioni parole appartenenti ad altre classi.
Comunque questo elenco delle nove parti del discorso non è valido per delle lingue del mondo. alcune parti come l'articolo manca in tante
lingue, ma ci sono anche parti del discorso universali cioè presenti in tutte le lingue: nome e verbo, probabilmente lo sono.

Problema: quali sono i criteri in base ai quali si dice che una determinata parola è un nome, un verbo o un aggettivo?
I criteri tradizionali sono di tipo semantico cioè basati sul significato. Il nome designa delle entità e degli oggetti; i verbi designano delle azioni
o dei processi. Esistono però delle parole come ‘descrizione’, ‘nascita’ che non designano oggetti ma piuttosto processi. Viceversa è
abbastanza strano dire che verbi come ‘ sapere’ ‘conoscere’ indicano azioni: piuttosto designano degli stati.
Si può supporre che le parole siano immagazzinate nella memoria dei parlanti ed è plausibile che le parole siano immagazzinate nella
memoria insieme alla loro categoria lessicale.
Le parti del discorso possa essere perciò riconosciute in base a criteri puramente distribuzionali. I nomi, verbi… saranno definiti in base alle
altre classi di parole assieme a cui possono o non possono ricorrere. La definizione precisa delle varie parti in termini distribuzionali è
un'operazione complessa ma necessaria.

Categorie e sottocategorie:
nomi: ci sono dei tratti che suddividono la categoria del nome, in altre sottocategorie del nome: +umano [persona),-umano [non è nome di
persona) -comune [equivale a proprio) –astratto [equivale a concreto).
Il tratto [+/- numerabile] divide i nomi in nomi che possono essere contati, come il libro e nomi che non possono essere contati cioè nomi
massa come zolfo. i nomi non numerabili non hanno il plurale ma se ce l'hanno, questo ha significato particolare o idiosincratico ex. “la
rottura della acque”.

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Verbi: sottocategorizzati in transitivi o intransitivi, regolari o irregolari, possono avere una costruzione progressiva ex. “sto leggendo” o verbi,
detti stativi che non possono avere questa costruzione ex. “*sto sapendo la risposta”.

Tutte queste informazioni categoriale e subcategoriali sono fondamentali.


Se consideriamo nomi propri come “Gianni”, nomi comuni come “bambino”, nomi di animali come “coniglio”… si constaterà che ognuno di
essi può comparire assieme a certi suffissi ma non a tutti.
conclusione: la categoria e i tratti specificati nel lessico sono informazioni importanti per il funzionamento dell'apparato morfologico di una
lingua. tutte le informazioni associate ad una determinata parola nella sua presentazione lessicale servono per il funzionamento dei processi
morfologici che possono riguardare quella parola.

Morfema:
Definizione: la più piccola parte di una lingua dotata di significato. È un segno linguistico, costituito da un significante ed un significato. Ci
sono morfemi lessicali e morfemi grammaticali.
Lessicale cioè non dipende dal contesto. Ci sono poi forme che esprimono soprattutto delle funzioni grammaticali e ricevono significato dal
contesto in cui compaiono.
Osservazione:
a. la distinzione tra morfemi lessicali morfemi grammaticali non è sempre netta;
b. la frequenza di queste classi di morfemi nei testi si avvicina al 50% cioè molto spesso un’alternanza perfetta tra morfemi lessicali e
morfemi grammaticali.

Morfemi liberi e legati (definizione):


a. liberi sono quelli che possono ricorrere da soli in una frase ex. bar, virtù, ieri;
b. legati sono quelli che non possono ricorrere del soli in una frase e che per poterlo fare si devono aggiungere a qualche altra unità.

Parola e morfema:
Le parole “boys” “libri” sono composte da due morfemi sono cioè bimorfemiche. Generalmente in inglese le parole semplici sono
monomorfemiche, in italiano generalmente nomi ed aggettivi semplici sono bimorfemici, mentre i verbi regolari sono trimorfemici.

Morfema e allomorfi:
definizione: morfema designa propriamente una unità astratta che è rappresentata a livello concreto da un allomorfo. La distinzione è
parallela a quella che in fonologia esiste tra fonema e allofono.
Generalmente un morfema è rappresentato da un solo allomorfo ma ci sono casi in cui un morfema può essere è rappresentato da più
allomorfi. È l'esempio della formazione delle plurale inglese.
esempio: graficamente il plurale regolare in inglese è marcato con una ‘s’ o ‘es’; ma foneticamente ci sono tre realizzazioni diverse [s][z][Iz].
Ognuno di questi tre allomorfi compare in contesti definiti e in quei contesti gli altri allomorfi non possono comparire. Si dice che i tre
allomorfi hanno distribuzione complementare.
esempio di allomorfia in italiano: articolo maschile.

Flessione, derivazione e composizione:


definizione: la derivazione, la composizione, la flessione sono i processi morfologici più comuni che possono modificare le parole semplici.

A) Derivazione:
raggruppa tre processi diversi, è caratterizzata dall’ aggiunta di un affisso, cioè una forma legata ad una forma libera.
PREFISSO: quando l'affisso si aggiunge a sinistra della parola > PREFISSAZIONE
SUFFISSO: quando l'affisso si aggiunge a destra della parola > SUFFISSAZIONE.
INFISSO: quando l’affisso si aggiunge in mezzo alla parola > INFISSAZIONE.

Ex. fortunato > sfortunato; dolce > dolcemente; kuhbil ‘coltello’ > kuhkabil ‘del coltello’ [ulwa, lingua del Nicaragua)

B) composizione
forma nuove parole a partire da due esistenti

C) flessione
si aggiungono alla parola di base informazioni relative a: genere, numero, caso, tempo, modo, diatesi, persona.

La flessione di parole derivate e composte non è diversa quanto a desinenze da quella delle parole semplici.

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Morfologia come processo:
Una categoria lessicale ad esempio il verbo può nascere come tale o diventare verbo attraverso vari processi. Ex. N > V magnete >
magnetizzare
Aspetto dinamico della morfologia: esistono diverse modalità che possono portare alla categoria del verbo ad esempio.

La parola “indubitabilmente”:
a. è un avverbio dal punto di vista categoriale
b. costruzione: dall'aggettivo indubitabile viene aggiunto e il suffisso –mente
c. l'aggettivo indubitabile è a sua volta scomponibile in prefisso: in, aggettivo: dubitabile, , quest'ultimo costruito a sua volta dal verbo
“dubitare” più il suffisso –bile.
conclusione: la parola “indubitabilmente” è stata costruita attraverso una serie di processi ognuno dei quali ha portato ad una nuova
categoria: verbo, aggettivo, aggettivo, avverbio.
questo aspetto di formazione si chiama dinamico.
Composizione: Ci concentriamo sul risultato, oppure sul processo.
“capostazione”: formato da due nomi: capo e stazione. Intrattengono un certo tipo di relazione grammaticale e semantica cioè si tratta del
‘capo della stazione’ e non della ‘stazione del capo’…
Non tutte le combinazioni però portano a risultati accettabili. Ex. *luce-interrogazione

Costituenti: elementi costitutivi dei composti.


La combinazione di categorie uguali non da sempre, come risultato, la stessa categoria.
Ex. Verbo + Verbo > Nome: “Saliscendi”

Problema: capire attraverso quali vie sono state formate le parole.

Differenze:
a. tra composizione e derivazione: la composizione combina due forme libere, la derivazione combina una forma libera ed una forma
legata.
b. tra prefissazione e suffissazione:
 la prefissazione aggiunge un morfema legato a sinistra della parola, la suffissazione aggiunge un morfema legato a destra della
parola.
 la prefissazione non cambia la categoria lessicale della parola cui si aggiunge mentre la suffissazione di norma la cambia.
 La suffissazione può operare cambiamenti di categoria o di sottocategoria.
Ex. N > V con il suffisso –izzare: atomo > atomizzare
Conclusione dell'esempio:
A. in derivazione ogni categoria lessicale maggiore (N,V,A) può diventare qualsiasi altra categoria lessicale maggiore.
B. Questa generalizzazione esclude le preposizioni sia come categoria di entrata sia come categorie di uscita. Gli aggetti possono anche
diventare avverbi.

La sua suffissazione in italiano di norma cambia la posizione dell'accento della parola di base, mentre di norma con la prefissazione questo
non avviene. Ex. da “onesto”: “disonesto” e “onestà”

Infissazione: è un processo che consiste nell'inserimento di un infisso all'interno di parola, processo poco diffuso in italiano. Tipico infisso
italiano potrebbe essere –isc che compare in una voce come ‘finisco’ ma non in una voce come ‘finiamo’. L'italiano dispone però di infissi
prodotti per la formazione di parole nuove, non ci occuperemo di infissazione.

Altri processi:
Conversione, reduplicazione, parasintesi: sono processi che non consistono veramente nella aggiunta di un morfema a una base.

- Conversione: cambiamenti di categoria senza che sia stato aggiunto alla base un affisso manifesto.
In inglese dal nome “water” [acqua) si è formato il verbo “to water” che significa “innaffiare”.
- Reduplicazione: raddoppiamento di un segmento e può essere parziale o totale. Può riguardare sia la flessione che la derivazione
ma anche la composizione.
- Parasintesi: può essere sia verbale che aggettivale. Una forma è paresintetica quando è formata da una base più un prefisso ed un
suffisso, ma dove la sequenza “prefisso+ base” non è una parola dell'italiano e dove nemmeno la sequenza “base+ suffisso” lo è.
Cioè per esempio “in-giall-ire” esiste ma non esistono ne “*ingiallo” nè “*giallire”.

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Processi di formazione di parola più rari sono quello che porta a retroformazioni ex. il verbo inglese “edit” da “editor”, e la formazione di
ideofoni ex. “glu glu” “bang”.

Allomorfia e il suppletivismo:
Suppletivismo: avviene in una serie morfologicamente omogenea. Si trovano radicali diversi che intrattengono evidenti rapporti semantici
senza evidenti rapporti formali.
Caso emblematico: suppletivismo della flessione del verbo “andare”, per le radici and- e va(d)-
Il suppletivismo si trova non solo nella flessione ma in tutto il dominio della formazione della parola. Ex. l’aggettivo di “acqua” è “idrico”.
Un'entrata complessa può arrivare a comprendere diverse unità, per esempio in italiano può capitare che accanto alla voce principale, siano
elencate altre forme suppletive,una greca e l'altra latina. Anche qui c’è una distribuzione complementare degli affissi.
Avrò: cavall+eria, equ+estre, ipp+ico.

Suppletivismo può essere sia forte che debole. È forte quando vi è un’alternanza dell’intera radice, debole quando tra i membri della coppia
vi è una base comune riconoscibile e la differenza è di singoli segmenti fonologici. Ex Arezzo/aretino. C’è difficoltà a distinguere tra
suppletivismo forte e debole.

Parole semplici e parole complesse:


In sintassi si distinguono frasi complesse e frasi semplici. Una distinzione simile è anche per le parole come “ieri”, “sempre”, “ogni”: sono
parole che non possono essere ulteriormente analizzate sul piano morfologico, perché ogni segmentazione non porta ad unità
morfologicamente riconoscibili.
Parole invece come capostazione, possono essere ulteriormente analizzate: capo+ stazione.
Le parole semplici sono date, costituiscono il lessico dei parlanti invece quelle complesse sono formate tramite regole morfologiche.
La morfologia deve rendere conto della formazione di tutte le parole complesse.

Per quel che riguarda la sintassi non esistono frasi date, elencate nel lessico. La sintassi deve, al contrario della morfologia, costruire tutte le
frasi, da quelle più semplici a quelle più complesse con l'eccezione delle cosiddette frasi fatte che hanno significati idiosincratici ex. “fare di
tutte le erbe un fascio”…

Parole suffisate:
i suffisi dell'italiano possono essere raggruppati in grandi categorie, queste possono anche incrociarsi. Ci sono ad es. i suffissi deverbali:
questa classe comprende i suffissi che formano nomi da verbi. Tali suffissi formano nomi d’azione o deverbali astratti che in certi casi
possono concretizzarsi e diventare nomi risultato, cioè nomi concreti, non astratti.
Ex. da “–zione” avremo nomi deverbali astratti: ammirazione, inibizione; nomi risultato: costruzione.

Lo stesso nome può fungere come nome d'azione come nome risultato.
Ci sono poi suffissi che formano nomi agentivi [+umano] (ed a volte strumentali [-umano], [- astratto]):
ad esempio da “-aio” un nome agentivo è “giornalaio”; da “-tore” avremo un agentivo “colonizzatore” o uno strumentale “contatore”.
C’è poi la classe dei suffissi valutativi, che è formata dai cosiddetti diminutivi, accrescitivi, peggiorativi, vezzeggiativi. Ex. –ino,-one…
I valutativi sono molto numerosi e produttivi in italiano, al contrario di quanto avviene in inglese. I suffissi possono essere rivali ed in questo
caso si spartiscono le base cui posso aggiungersi.

Parole prefissate:
i prefissi dell'italiano sono molti ad es. ante-, con- infra-…
Sui 53 prefissi elencati, le categorie privilegiate della prefissazione sono i nomi, 45, e gli aggettivi,42. Segue il verbo con 28 casi. I prefissi che
si aggiungono a una sola categoria lessicale sono 12.
In 19 casi i prefissi si possono aggiungere a due sole categorie, nome e aggettivo per 15 casi, aggettivo e verbo per quattro casi. Un prefisso
può aggiungersi a tutte e tre le categorie in 19 casi.
L'elenco dei prefissi dell’italiano:
A. è una lista approssimativa dei prefissi ITALIANI;
B. non si sono incluse forme prefissali molto specifiche;
C. non sono incluse tutte le varianti possibili.
D. non tutti prefissi elencati sono ugualmente produttivi
E. Le costruzioni, mimi+ nome, in+ aggettivo, sono molto produttive.
F. in altri casi la produttività della costruzione è legata a linguaggi settoriali come quello della medicina. In altri casi le costruzioni
apparentemente possibili per esempio ri+ aggettivo o non sono produttive o hanno struttura interna diversa da quella richiesta.

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Morfologia e significato:
La formazione delle parole consta di una parte formale e di una parte semantica.
Ex. vino+aio = persona che vende il vino

-aio: il significato delle diverse parole consta in una parte fissa, persona che vende, e una parte variabile cioè l'oggetto che si vende. Ex. vino
La parte fissa è la parte di significato interrotta dal suffisso, mentre la parte variabile corrisponde al nome di base. Si può arrivare una
parafrasi unica se formuliamo il significato utilizzando delle variabili: “persona che vende N”, dove N è la base.
questa parafrasi può essere applicata nel numero di parole in –aio. non a tutte però. per esempio orologiaio è colui che vende orologi ma li
ripara anche o addirittura li fabbrica:
la parafrasi quindi non è ancora abbastanza generale e andrà quindi modificata così: “persona che svolge un'attività connessa con N”.
si noti che in altre occasioni a significati diversi possono corrispondere suffissi diversi: ad esempio giornalaio è colui che vende i giornali
mentre giornalista è chi li scrive. Esiste anche una serie di forme in –aio dove la parafrasi non è quella della ‘persona che vende N’, ma ‘luogo
pieno di’ ex. pollaio.
Il suffisso –bile ha un significato passivo: ex.“osservabile” è “colui che può essere osservato”. Possiamo riassumere ciò in una parafrasi: “che
può essere X-ato”, dove X è un verbo transitivo.
La semantica di una parola complessa è trasparente o composizionale, vale a dire che significato della parola complessa si può ricavare dal
significato degli elementi componenti. Ciò è vero quando la regola è produttiva mentre una parola che permane a lungo nel lessico può
acquistare significati idiomatici non più desumibili degli elementi che costituiscono. ad esempio con una parola come “tavolaccio” non
significa soltanto un “pessimo tavolo” ma si riferisce al “giaciglio del prigioniero”, significato, questo, che non si può desumere dai due
costituenti tavolo e –accio.
nella formazione delle parole la semantica svolge anche un altro ruolo: i vari suffissi selezionano uno dei significati della base. Il verbo
“tentare” ha un significato ‘cercare di corrompere’ ma anche il significato ‘cercare di riuscire’. Ogni suffisso che si aggiunge a questo verbo
seleziona un significato ed uno solo della base.
Tentare tentazione tentativo tentatore
Sign. 1 + - +
Sign. 2 - + -

Composti dell'italiano:
viene mostrata una lista delle possibilità combinatorie della composizione in italiano.
Ex.

categorie dei categoria del esiste produttivo esempi


costituenti composto
N+P no *abitosenza
V+N N si si scolapasta
P+V si no contraddire

Non tutte le combinazioni sono possibili. Si può concludere che la composizione in italiano forma essenzialmente nomi, tranne in due casi e
cioè quando il composto è formato da due aggettivi o quando il composto è formato da un aggettivo di colore più nome ex. giallo oro.

testa dei composti:


si consideri un composto come camposanto. La sua struttura può essere rappresentata [[campo]N+[santo]A]N
come si vede il composto ha la stessa categoria lessicale, cioè il nome, di uno dei suoi costituenti, il nome campo. Diremo che campo è la
testa del composto e che la categoria N del composto deriva dalla testa.

In altre parole, camposanto E’ UN nome perché campo E’ UN nome. È da campo che la categorie nome viene passata a tutto il composto.
Identificare la testa del composto è importante perché è dalla testa che derivano al composto una serie di proprietà. Per individuare la testa
di un composto si può applicare il test ‘E’ UN’. Questo vale sia per quanto riguarda la categorie lessicale che per quel che riguarda la
semantica. Se al composto, “capostazione” si applica il test ‘E’ UN’ la risposta non è chiara, perché sia “capo” che “stazione” sono nomi. Ma
“stazione “ è un nome [-maschile] e [-animato] mentre “capostazione” è [+maschile] e [+animato] come “capo”! “capo” sarà dunque la testa
del composto. Se la categoria lessicale non basta dunque, si può ricorrere ai tratti sintattico-semantici.
Un costituente è la testa di un composto, quando tra tale costituente e tutto il composto vi è identità sia di categoria che di tratti sintattico-
semantici.
Una testa deve essere sia testa categoriale che testa semantica.

Vi sono lingue in cui le teste dei composti può essere identificata ‘posizionalmente’. per esempio inglese, si dice comunemente che ‘ la testa
è a destra’. Ex. “overdose”

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La categorie lessicale di tutto il composto è sempre uguale alla categoria del costituente a destra. In italiano la situazione è più complessa. I
dati sembrano suggerire che in italiano la testa del composto può essere sia destra che a sinistra. ma non è così.
analizzando i dati più da vicino si noterà ad esempio che il composto “gentiluomo” presenta un ordine marcato [si dice un uomo gentile, non
un gentile uomo) e non è più produttivo in italiano!
Concluderemo pertanto che la regola sincronica produttiva per la formazione dei composti in italiano contemporaneo genera composti con
testa a sinistra, come “pescecane”.

Composti e sintagmi:
non è facile distinguere tra composti e sintagmi. Faremo riferimento solo a questi due criteri: inseribilità di materiale lessicale e trasparenza
ai processi sintattici. Un composto è una parola e la parola è caratterizzata dal fatto che non è interrompibile: non si può cioè inserire del
materiale lessicale all'interno di una parola.

Applicando questo criterio, costruzioni come ferro da stiro (*ferro pesante da stiro), sembrano essere dei composti. Il secondo criterio
riguarda il fatto che i costituenti di un composto non sono visibili alle normali regole della sintassi.
Ex. * questa [[lava]+[piatti]] è costosa ma non li lava bene

Altri tipi di composti:


le lingue del mondo presentano una grande varietà di tipi di composti.
Vi sono composti formati con forme legate e costruzioni ‘multiparole’.
ecco alcuni esempi:
a. Composti neoclassici sono formati da due forme legate di origine perlopiù greca o latina o da una forma libera più una forma
legata; ex. antropo+fago, dieta+logo.
b. Composti incorporati derivano da un sintagma costituito da un verbo seguito da un SN oggetto. L'incorporazione consiste
nella formazione di un verbo composto il cui primo costituente è il SN oggetto. Di norma il nome incorporato nel verbo è
l'oggetto, come si vede nell'esempio del nahuatl, in una lingua uto-azteca parlata in Messico.
Ni-naca-qua = “io carne-mangio”
In genere il nome incorporato è l'oggetto diretto ma talvolta anche complementi obliqui come gli strumentali possono essere
incorporati.
c. Composti sintagmatici :tipo di composto che si trova in inglese e in afrikaans ed è chiamato così in quanto sembra più di
origine sintattica che morfologica, ex. “an [ate too much] headache” “un mal di testa (da) mangiato troppo”
d. Composti reduplicati : composti reduplicati in ‘spagnolo’. Si tratta di composti costituiti dalla stessa parola ripetuta ed hanno
in genere un significato intensivo o iterativo. Ex. “duermeduerme” “dorme-dorme”
e. Composti troncati: in russo vi sono composti che vengono formati per troncamento o del primo costituente o di entrambi.
Ex. “zarabotnaja plata” > “zar-plata”
In questi composti si concatenano delle sottoparti dei due costituenti un po' come le cosiddette parole-macedonia tipo motel [da motor e
hotel).

Composizione e flessione:
La flessione dei nomi composti è un aspetto piuttosto irregolare della morfologia e non sempre si riescono ad identificare delle regolarità
senza eccezioni. Un nome composto è formato da
parola1 + parola2. teoricamente la flessione dei nomi composti può presentare alcune possibilità.
I casi possibili sono pertanto i seguenti
a. flessione alla fine del composto ex. mezzogiorni
b. flessione dopo la prima parola del composto dove la prima parola è la testa ex. capistazione
c. flessione dopo entrambe le parole ex. cassepanche
d. composti senza flessione cioè composti invariabili ex. tritacarne
e. flessione della sola parola 2 ex. portalettere
f. flessione della sola parola 1 dove la prima parola non è la testa ex. *scuolebus. Non si realizza

Osservazione: è importante assicurarsi che i composti in esame siano produttivi perché è solo per questi si può costruire una regola. si può
dire che i composti produttivi oggi sono quelli del tipo dell'esempio b., cioè composti con testa a sinistra e flessione della sola testa. Nel corso
del tempo i composti tendono a perdere trasparenza nel qual caso la testa diventa meno identificabile e il composto, percepito come privo di
struttura interna, viene flesso secondo la regola generale di flessione dell'italiano, vale a dire a destra.

Composti endocentrici, composti esocentrici, e composti ‘dvandva’:


tutti i composti sono endocentrici, cioè hanno una testa.

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In realtà non tutti i composti hanno una testa per es. “dormiveglia”. In questi casi si dice che il composto è esocentrico. Ex. Portalettere
osservazione: non vi è identità tra il nome lettere e il nome portalettere, in quanto il primo è non animato, femminile, plurale. Il secondo è
animato, maschile, singolare. Il nome lettere non può essere quindi la testa del composto che è dunque un composto esocentrico.
Anche per questo esempio è facile verificare la mancata corrispondenza tra categoria e tratti del costituente nominale categorie e tratti
dell'intero composto.

Esiste un terzo tipo di composti chiamati ‘dvandva’ dalla tradizione grammaticale sanscrita detti anche composti di coordinazione. Questi
hanno due teste, sono formati da due costituenti che sono entrambi teste sia categoriali che semantiche. Ex.cassapanca.

Regole di riaggiustamento:
quando le regole morfologiche combinano due forme libere o una forma libera più una forma legata la sequenza che ne risulta può essere o
perfettamente normale, o può necessitare di piccoli riaggiustamenti fonologici. Ex. vino+aio = vinaio
Servono quindi regole di aggiustamento che cancellino la vocale finale della prima parola. Sono regole di riaggiustamento anche quelle che
riaggiustano la vocale finale di parola in composizione con una forma legata: se la forma legata è di origine greca, la vocale finale di parola
diventa “o”, se è latina la vocale finale di parola diventa “i”. Altre regole guardano i casi di allomorfia ex. amico/amici o sporadici casi di
inserimento.

La combinazione delle parole: sintassi


La grammaticalità di una frase è indipendente dal suo senso.
per esempio posso dire: "il cerchio quadrato suona la cornamusa" anche se non ha alcun significato, è grammaticale.
La sintassi studia i motivi per cui certe combinazioni sono ben formate mentre altre no.
esistono combinazioni di parole che comprendono più frasi ma anche combinazioni di parole più piccole di una frase, ossia i gruppi di parole
o sintagmi. La sintassi studia ovviamente tutto questo.

1. La valenza
I verbi, così come gli elementi chimici, hanno bisogno di essere accompagnati da un determinato numero di altri elementi, affinché la frase
risulti ben formata. Esiste quindi una valenza verbale. Gli elementi richiesti obbligatoriamente da un verbo sono detti argomenti. Tipologie
della valenza dei verbi:
- verbi avalenti: non sono accompagnati da nessun argomento. Ad esempio piovere;
- verbi monovalenti: un solo argomento, sono verbi intransitivi. Ad esempio correre, parlare, arrivare...;
- verbi bivalenti: due argomenti, sono verbi transitivi. Ad esempio catturare, piantare, lanciare...;
- verbi trivalenti: tre argomenti, sono i verbi “di dire” o “di dare”. Ad esempio <Il professore ha detto ai ragazzi di fare silenzio.>.
All’interno di una frase esistono inoltre degli elementi facoltativi detti circostanziali.

2. I gruppi di parole
Un gruppo di parole è detto “sintagma”. Esistono dei criteri che ci permettono di individuare gruppi di parole:
- Movimento: le parole che fanno parte di uno stesso gruppo si muovono insieme.
- Enunciabilità in isolamento: le parole che fanno parte dello stesso gruppo possono essere pronunciate da sole.
- Coordinabilità: le parole che fanno parte dello stesso gruppo possono essere unite ad un altro gruppo.
La parola intorno alla quale è costruito un gruppo di parole è chiamata “testa” del gruppo di parole, gli altri elementi del gruppo sono detti
“modificatori”; a seconda del tipo di parola otterremo diversi gruppi di parole:
- Sintagmi preposizionali: testa=preposizione;
- Sintagmi nominali: testa=nome;
- Sintagmi verbali: testa=verbo;
- Sintagmi aggettivali: testa=aggettivo.
Una rappresentazione della struttura dei sintagmi è costituita di diagrammi ad albero (indicatori sintagmatici), tramite
lo “schema X-barra”, oppure tramite parentesi. I sintagmi sono i costituenti della frase mentre le parole sono i
costituenti ultimi della sintassi. I sintagmi più semplici sono quelli costituiti dalla sola testa che è l’unico elemento la cui presenza è
necessaria.

3. Le frasi
3.1 Frasi e gruppi di parole
Una frase è un gruppo di parole che esprime un senso compiuto, ma è anche vero che una sola parola può esprimere
senso compiuto: se grido: <Gianni!> questa sola parola è sufficiente ad esprimere senso compiuto, cioè a richiamare

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l’attenzione di Gianni. Esiste una differenza essenziale tra i gruppi di parole chiamate “frasi” e gli altri gruppi di parole, cioè che le frasi sono
composte di soggetto e predicato(con struttura predicativa). Il rapporto soggetto/predicato è di “dipendenza reciproca”, ossia l’uno dei due
elementi esiste solo perché esiste l’altro. Con il termine “proposizione” si intende un frase con struttura predicativa di senso compiuto o
meno. Esistono tre tipi di entità che possono essere
chiamati frasi:
1)proposizioni di senso compiuto;
2)espressioni di senso compiuto che non sono gruppi di parole (struttura non predicativa);
3)proposizioni senza senso compiuto.

3.2 Tipi di frasi


Una prima distinzione è quella tra frase semplice e complessa; la frase semplice non contiene altre frasi mentre quella
complessa è formata da più frasi. Il rapporto tra le frasi che costituiscono una frase complessa può essere di
coordinazione o di subordinazione: frasi semplici sono coordinate quando sono sullo stesso piano, sono subordinate
quando non sono sullo stesso piano e in questo caso avremo frasi principali o dipendenti.
Modalità delle frasi:
- Dichiarative.
- Interrogative, che si dividono in “sì\no” e “wh
-” (di specificazione).
- Imperative.
- Esclamative.

Dal punto di vista della Polarità le frasi si distinguono in affermative e negative esempio (Gianni è partito/ Gianni non
è partito); dal punto di vista della diatesi si distinguono frasi attive da frasi passive (Gianni ama maria/ maria è amata
da Gianni), il punto di vista della segmentazione oppone frasi segmentate a quelle non segmentate (questo libro, non
lo avevo mai letto /non avevo mai letto questo libro).

4. Soggetto e predicato
A livello sintattico si definisce “soggetto” l’argomento che ha la stessa persona e lo stesso numero del verbo; a livello semantico il “soggetto”
è colui che compie l’azione, a livello della comunicazione il “soggetto” è ciò di cui si parla. E’
meglio però limitarsi ad usare i termini “soggetto” e “predicato” per riferirsi alle nozioni di livello sintattico. A livello semantico si parlerà di
“agente” e “azione”, mentre a livello della comunicazione si parlerà di “tema” per indicare il “soggetto” e di “rema” per indicare il
“predicato”.

5. Categorie flessionali
Le desinenze delle parti del discorso variabili esprimono le diverse categorieflessionali: ad esempio il genere, il numero,
il caso, il tempo, la persona e il modo. Se due parole hanno le stesse categorie flessionali si parla di “accordo”; se invece una parola ha una
data categoria flessionale perché le è assegnata da un’altra parola con categorie flessionali diverse si
parla di “reggenza”.

5.1 Genere, numero e persona


In italiano esistono due generi, il maschile e il femminile; gli elementi del sintagma devono accordarsi con il genere del
nome testa del sintagma nominale, questo non succede ad esempio in inglese in quanto l’aggettivo è invariabile. Per
quanto riguarda il numero, l’italiano oppone l’indicazione di un solo oggetto a quella di più oggetti appartenenti alla
stessa classe, quindi singolare e plurale. In lingue come il greco o il sanscrito esistono tre numeri grammaticali: il
singolare, il plurale e il duale; altre lingue hanno un’espressione anche per il triale. Come il genere, anche il numero
manifesta il fenomeno dell’accordo: se la testa del sintagma nominale è singolare devono esserlo anche gli altri elementi
del sintagma. Le persone grammaticali sono tre: prima persona (colui che parla), seconda persona(a chi ci si rivolge) e
terza persona (quella che non entra nel dialogo).

5.2 Caso
Il “caso” indica la relazione che un dato elemento nominale ha con le altre parole della frase, in cui si trova. In italiano, le relazioni tra verbo e
argomenti sono espresse mediante 1) l’ordine delle parole e 2) l’uso di un morfema grammaticale libero. In latino la diversa relazione degli
argomenti con il verbo è espressa dalla loro desinenza:
nominativo, accusativo, dativo, genitivo, vocativo e ablativo.

5.3 Tempo e modo

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Una frase come <Gianni è partito.> contiene un’espressione di tempo. La frase può essere enunciata in un determinato
momento, il momento dell’enunciazione, mentre il tempo indicato nella frase è detto momento dell’evento. In
determinate frasi viene indicato anche un momento di riferimento diverso dal momento dell’enunciazione e del
momento dell’evento (ad esempio <Gianni parte.>. Per operare invece altre distinzioni all’interno del sistema dei tempi
dell’italiano si ricorre alla categoria dell’aspetto: questa categoria ci permette di distinguere fra i tempi del passato cioè l’imperfetto, il
passato prossimo e il passato remoto. Il termine “imperfetto” rimanda a qualcosa di non finito, si parla quindi di aspetto imperfettivo;
passato prossimo e remoto sono esempi di aspetto perfettivo, cioè compiuto. Il passato prossimo descrive un evento passato i cui effetti
sussistono ancora nel presente; il passato remoto descrive un evento
che non ha più alcun rapporto con il presente.

lessico e lessicologia
Ci sono due accezioni di lessico:
a. lessico mentale dei parlanti
b. prende la forma del dizionario o vocabolario, realizzato dai lessicografi. Questo è meno adeguato alle conoscenze grammaticali e
lessicali dei parlanti.
Lessico si oppone a grammatica come “memorizzato” si oppone a “costruito tramite regole”, perché le parole di una lingua sono
memorizzate mentre le frasi sono costruiti tramite regole ma non memorizzate. Infatti una parola semplice non è costruita con regole. Va:
a. memorizzata
b. ricordata
c. ripescata quando serve.
Secondo questa scala: morfema> parola> sintagma> frase,
tutti morfemi di una lingua devono essere memorizzati, molte parole devono esser memorizzate, quasi tutti i sintagmi sono costruiti tramite
regole, tutte le frasi sono costruite tramite regole. Questa è una semplificazione, che serve per risolvere il problema.

Il lessico mentale:
è una sottocomponente della grammatica dove sono immagazzinate tutte le informazioni che i parlanti conoscono relativamente alle parole
della propria lingua.
Per lessico mentale intendiamo la conoscenza delle parole prese ad una ad una ma anche le conoscenze relative al funzionamento delle
parole dei complessi rapporti tra le varie parole, tra varie classi di parole…

Ogni parlante è in grado di fare una lista di nomi concreti, verbi, aggettivi…; è facile constatare che esista un lessico mentale. Ognuno di noi
ha un proprio dizionario mentale.
Il lessico implica conoscenze molto profonde da parte dei parlanti che coinvolgono:
a. attività cognitive dovute alla scolarizzazione [riconoscimento, comprensione, produzione, lettura, scrittura delle parole,
collegamenti tra le varie unità e rapporti semantici come sinonimia, antinomia)
b. conoscenze che riguardano il funzionamento delle parole una volta estratte dal lessico e collocate all'interno di frasi.
Alle parole sono associate informazioni complesse perché possano funzionare morfologicamente, sintatticamente, semanticamente.
esempio: ‘amare’ è etichettato come [+ regolare], mentre un verbo come ‘cuocere’ è etichettato come un verbo [- regolare] perché il suo
participio passato è ‘cotto’ e non *cuociuto.
I parlanti hanno anche conoscenze relative a come si traducono i suoni di una parola nella grafia del proprio alfabeto. Da un punto di vista
linguistico il problema dell'accesso al lessico richiede risposte relative a come gli esseri umani hanno accesso alle conoscenze lessicali e come
tali conoscenze devono essere rappresentate. Un problema su cui si discute tuttora molto per quel che riguarda la rappresentazione delle
parole nel lessico è se le parole sono rappresentate effettivamente con un lemma solo o se questo debba essere rappresentato insieme a
tutte le sue forme flesse e a tutte le sue forme derivate.

Modalità con cui gli esseri umani hanno accesso al lessico, ci sono diversi modelli:
uno di questi si suppone che alle parole si acceda tramite i primi suoni delle parole stesse; se sentiamo la parola ‘Baltimora’ prima si
attiverebbero tutte le parole che iniziano con [b], poi con [ba], poi con [bal].
Altro problema riguarda il fatto se il riconoscimento delle parole avviene solo sulla base dell'input fonetico o se vi è anche ausilio di
informazioni contestuali sintattiche e semantiche.

Dizionari:
un dizionario non è un tentativo di descrivere la competenza lessicale di un parlante perché contiene un numero altissimo di parole in larga
parte sconosciuto ad ognuno di noi.

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Un dizionario corrisponde al livello della langue, è insieme delle parole usate da tutta una comunità linguistica. Può essere anche molto di più
di questo perché in un dizionario c’è molta diacronia e vi si conservano parole che appartengono a fasi precedenti della lingua e che pertanto
non sono più in uso.
Struttura di un dizionario:

a. è costituito da entrate lessicali o lemmi, non parole flesse. Si devono lemmatizzare le parole,
b. è costruito a partire da ‘corpora’ per lo più scritti. Esempio: tutto ciò che è stato scritto da Dante. Il lemma nel dizionario viene
evidenziato in neretto, segue la trascrizione fonetico fonologica, l’etimologia, e la definizione della categoria lessicale. Ci sono poi
esempi e rare eccezioni di significato.
c. ci sono molte parole, più di quelle che un parlante nativo possiede, ma si deve sottolineare che un dizionario possiede meno di
quello che un parlante nativo sa. Un dizionario è sempre arretrato sia rispetto ai neologismi che sorgono continuamente sia rispetto
ai significativi nuovi che le parole possono assumere.

Importante è la distinzione tra dizionario e enciclopedia.


un dizionario è una lista di parole che contiene informazioni sulla natura e sull'uso delle parole,1'enciclopedia contiene informazioni su tutto
lo scibile umano. Mentre il dizionario definisce conoscenze soprattutto di tipo linguistico-lessicale, l’enciclopedia definisce le nostre
conoscenze del mondo.

Lessicalizzazioni:
Le entrate nel dizionario sono parole semplici non flesse. Gli altri tipi di parole vengono invece costruiti tramite le regole della morfologia.
in un dizionario però non ci sono solo parole semplici ma anche altre unità tra cui le forme lessicalizzate e le sigle. In un dizionario devono
trovare posto tutte le forme imprevedibili che non si possono spiegare in modo regolare, forme cioè che non vengono formate tramite
regole e che pertanto hanno forme e significati idiosincratici.
Si troveranno anche le cosiddette lessicalizzazioni dette anche costruzioni polirematiche.
Ex.: espressioni idiomatiche come “tagliare la corda”. Ma anche unità originariamente frasali come “nontiscordardimè”.

Grammaticalizzazione: processo per cui una unità perde il suo significato lessicale e ne acquisisce uno grammaticale, come il suffisso
dell'italiano -mente, che è oggi è un suffisso mentre in latino era una parola.
Sigle e abbreviazioni:
Le sigle sono il risultato dei procedimenti di formazione di parola non prevedibili. Si tratta di processi di morfologia minore. Nella
maggioranza dei casi si tratta di cancellazioni. Ex. “prof.”, “TV”
acronimo: si forma a partire dalle lettere iniziali di ogni parola del sintagma di partenza, è un processo che si può formare anche sulla base di
sillabe iniziali. Ex: CGIL
Altri processi sono all'origine di parole come ‘POLFER’ da ‘polizia ferroviaria’, sono formazioni chiamate parole-macedonia, o incroci e
derivano dall'abbreviazione di parti di parole.

Particolarità: mentre a ‘prof.’ è stata sottratta -essoressa, che non è unità morfologica, in “spiega” [da “spiegazione”) la parte cancellata è -
zione, che è unità morfologica.

Stratificazione del lessico:


il lessico di ogni lingua è stratificato, nel senso che è costituito da vari strati. Lo strato [+ nativo] è quello centrale di una lingua data, quello [-
nativo] definisce gli strati periferici che spesso riflettono le vicende storiche. L'italiano ha diversi strati non nativi come testimoniano le voci di
origine latina ad esempio. Le distinzioni sono rilevanti perché affissi diversi possono scegliere strati lessicali diversi. Per esempio nell'inglese
un tratto che ha molta importanza è il tratto: [+/- latino]. L’invasione normanna nel XI sec. ha comportato l'imponente irruzione nell'inglese
di voci lessicali di origine romanza.

Ad esempio suffissi inglesi sensibili al tratto latino sono: -ity che si aggiunge a parole marcate come il [+ latino] ma non a parole marcate
come [- latino]. Di solito radici native si aggiungono ad affissi nativi e radici dotte ad affissi dotti.
La selezione “di strato” non è sempre esclusiva ma esistono anche forme miste. I tratti di strato sono rilevanti per il lessico delle maggiori
lingue europee.

Stratificazione dell'italiano
lo strato [- nativo] dell’italiano è costituito da prestiti e da calchi. Sia prestiti che calchi sono forme di interferenza tra sistemi linguistici
diversi e riguardano la produzione di una data parola da una lingua di partenza ad una lingua di arrivo. Se la riproduzione è di struttura
morfologica, sintattica o semantica avremo un calco strutturale o semantico; se la riproduzione è più centrata sul significante avremo un
prestito.

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I calchi sono chiamati anche “prestiti semantici” e rappresentano trasposizioni di modelli morfologici o sintattici della lingua di origine a
quella di arrivo. Per esempio retroterra viene dal tedesco Hinterland.

Tra i prestiti si possono distinguere quelli adatti e quelli non adatti.

Adattati: sono parole entrate a far parte del lessico italiano in epoche remote ed hanno una forma fonetica che non identifica che la loro
origine è straniera. Ad esempio: complimento, alfiere. Sono però parole italiane a tutti gli effetti ed un criterio per verificare l'ingresso
definitivo di una parola nel lessico della lingua è di controllare se può dar luogo a derivazione.

Non adatti: prestiti che conservano una forma estranea alle regole fonologiche dell'italiano. La sola forma fonologica non è sempre una spia
di estraneità infatti parole come “leader” che terminano in consonante mostrano di essere integrate nel sistema morfologico dell'italiano
dato che danno luogo a parole derivate come ‘leaderino’.

In italiano dominano oggi prestiti dall'inglese, ma vi sono anche prestiti dal francese, tedesco, spagnolo. In ogni lingua convivono moltissimi
strati e così un esame accurato del lessico italiano rivelerà la presenza di voci russe, giapponesi, arabe, ebraiche, turche. Un dizionario
contiene anche molta storia della lingua ed ha lemmi che si dispongono lungo il corso dei secoli. Un dizionario riflette stratificazioni di uso e
di registro stilistico. Il DISC identifica i livelli d'uso: antico, antiquato, dialettale, letterario, non comune, regionale. E diversi registri stilistici:
familiare, gergale, ironico, popolare, scherzoso, spregiativo, volgare.

Categorie introdotte dai dizionari più recenti:


a. fondamentale
b. di alta disponibilità
c. di alta frequenza
Un dizionario è anche il risultato della somma di vari glossari settoriali. Ci sono lemmi che sono specifici di determinati settori. Ex.
aeronautica, agricoltura…

Dizionari specialistici:
Diverse tipi di dizionari:
1. monolingui , scopo principale è dare definizioni
2. bilingue, fornire una traduzione di un termine da una lingua all'altra
3. plurilingui, dove si trovano corrispondenza tra diverse lingue
4. etimologici, che tracciano la storia delle parole dalle origini alla contemporaneità
5. sinonimi e contrari
6. neologismi
7. elettronici
8. inversi
9. di frequenza e concordanze

Dizionari elettronici:
I 3 dizionari consultati sono: DISC, Zingarelli, DM.
I dizionari elettronici su CD-ROM permettono una serie di funzioni importanti:
 ricerca di lemmi
 ricerca di più lemmi con caratteristiche comuni
 caratteri speciali: di solito hanno il punto interrogativo che sostituisce un carattere e l'asterisco che sostituisce un numero
indeterminato di caratteri
 operatori logici ex. “e”… per fare ricerche incrociate
 possibilità di creare dizionari personalizzati, salvare e stampare liste di parole
 sillabazione dei lemmi
 ottenere forme flesse con indicazione degli ausiliari per i verbi
 trovare sinonimi e contrari
 arrivare ad un lemma a partire da una forma flessa
 ascoltare la pronuncia delle parole, soprattutto quelle straniere o di cui vi è incertezza nella pronuncia.

Giochi:
Molti dizionari di supporto elettronico accanto alle ricerche più tipiche prevedono un settore giochi. Un gioco linguistico è strumento di
conoscenza di una lingua.

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Tipi di giochi:
 anagrammi
 rime
 palindromi, cioè parole che rimangono le stesse anche se scritte al contrario
 bifronti, cioè parole che diventano altre parole diverse se scritte al contrario
 omografi, cioè parole uguali per la forma scritta ma distinte per significato
 ‘scarti’ quando da una forma data viene tolta una lettera alla volta e vengono cercate tutte le forme possibile anagrammando
le lettere rimanenti

Dizionari inversi:
invertono il principio di ordinare le parole in ordine alfabetico, ordinano cioè le parole a partire dall'ultima lettera. Se per due parole l'ultima
lettera è uguale si passa alla lettera immediatamente precedente e così via. Ex. l’ordinamento sarà: epoca, estensione, estate, rubacuori,
antico, valoroso.

È un principio di ordinamento che vale per dizionari inversi, questo tipo dizionari è importante perché fa ricerche in ambito linguistico,
perché ordinando le parole partire a da destra permette di tener liste di parole che terminano con le stesse lettere quindi anche con lo stesso
suffisso. Tramite questo dizionari si può vedere anche la rima.

Dizionari di frequenza:
nell'epoca degli elaborati elettronici è concettualmente semplice pensare di raccogliere mezzo milione di parole e chiedere all'elaboratore di
disporle o in ordine alfabetico o in ordine di frequenza. Queste imprese, che si rivelano molto complesse, sono state realizzate per l'italiano
dal LIF e dal LIP.

1. LIF cioè “lessico di frequenza della lingua italiana contemporanea” presenta circa 5000 lemmi che sono presentati in ordine alfabetico e in
ordine di frequenza. una proprietà molto interessante di questo dizionario è che sono stati spogliati testi diversi come testi teatrali, romanzi,
copioni cinematografici, periodici, sussidiari.
La parola ricorre più spesso in testi letterari nei sussidiari nei romanzi che ne copioni cinematografici e nei periodici. La seconda parte è una
lista dei lemmi in ordine di frequenza. LIF, e sostiene che le prime 100 parole più frequenti arrivano a coprire il 60% di qualsiasi testo che per
le prime 1000 l'85% e le prime 4000 il 97%. Nell'affrontare una lingua straniera converrà dunque cercare di tener conto di questa proprietà
statistica dei vocabolari.

2. LIP: “lessico di frequenza dell'italiano parlato”, di dimensioni simili a quelle del LIF ma raccoglie campioni di parlato in quattro città,
Milano, Firenze, Roma, Napoli in quattro blocchi da 125.000 occorrenze ciascuno. Il parlato raccolto è di varia natura, comprende vari tipi di
interazioni linguistiche: scambi faccia a faccia, conversazioni telefoniche, dibattiti... E’ stato costruito per poter essere confrontato con il LIF.
Si constata che il vocabolario del parlato per il 97% è costituito da parole ben radicate nel suolo italiano. Il parlato si rivela relativamente
povero dal punto di vista lessicale rispetto allo scritto. Dunque un buona lista di frequenza della lingua scritta è in grado di dare conto anche
delle forme più frequenti nel parlato.

Concordanze:
non sono propriamente dizionari ma sono piuttosto le liste dei contesti in cui una determinata parola appare. Oggi si possono elaborare
piuttosto facilmente ricorrendo ad ausili elettronici.
Si possono ad esempio cercare le concordanze della Divina Commedia per le forme “amor” e “amore”.
Le concordanze sono utilissimi strumenti di analisi testuale e oggi si possono ottenere con molta facilità grazie a software specializzati.
Particolare importanza riveste il contesto: di solito per la poesia il contesto è il verso, per la prosa una riga, ma si possono ovviamente tenere
contesti più ampi.

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