Filologia Germanica
LA FILOLOGIA
La FILOLOGIA è una disciplina che studia i testi letterari, al fine della ricostruzione della loro forma originaria
attraverso l'analisi critica e comparativa delle fonti che li testimoniano, con lo scopo di arrivare ad una
interpretazione che sia la più corretta possibile.
La filologia è anzitutto un metodo, è una finestra aperta su antichità e contemporaneità.
Non importa quale sia il testo oggetto di studio, perchè ogni testo è prodotto di una certa cultura e merita di
essere studiato.
Non è facile dare una definizione univoca di ciò che è la filologia, perché è una disciplina dai molteplici aspetti.
Originariamente, la filologia nasce come una disciplina legata molto alla grammatica, intesa come "arte dello
scrivere bene".
Siamo nel periodo ellenistico (primi secoli a.C.).
Il primo studio filologico sistematico e scientifico dei testi letterari (quindi Filologia come scienza) risale
all'opera dei filologi della Biblioteca di Alessandria d'Egitto (distrutta nel 48 a.C.) e della scuola di Pergamo.
Tali filologi analizzavano l'aspetto grammaticale, formale e retorico dei testi delle opere classiche precedenti
(ad esempio i poemi omerici), e si soffermavano sui numerosi problemi linguistici e culturali, ossia sulle
'varianti, le 'corruzioni' dovute alla trasmissione orale. Quindi analizzavano in particolare le differenze tra i vari
testi.
Queste differenze, queste varianti, sono la prova concreta che il testo è effettivamente esistito e si è evoluto
(paragone con la biologia).
Tutto ciò tali studiosi lo facevano riflettendo sulla grammatica, sulla cura della lingua.
Questo tipo di studio è una vera e propria analisi scientifica, complicata e raffinata che assegna ai filologi una
grande responsabilità.
Col passare degli anni la disciplina si evolve, come si evolve anche la grammatica.
Oggi, la grammatica è quella scienza che ci permette di valutare la correttezza di una forma e che ci permette di
'parlare bene'.
Comunque, è importante capire che nasce prima la lingua e poi la grammatica!
E' nel medioevo che la grammatica diventa la disciplina che è oggi.
In passato, la grammatica era semplicemente "arte dello scrivere bene" in una lingua classica.
Nel medioevo, poi, si avverte l'esigenza di insegnare il latino ed il greco a chi non lo conosceva, a persone non
di madrelingua latina o greca. Tale esigenza di insegnamento è dovuta molto alla cristianizzazione, all'esigenza
pratica di dover leggere la Bibbia, che era scritta appunto in latino e greco.
Un filologo, quando vede forme diverse, che potrebbe ritenere sbagliate, non si ferma all'apparenza ma le
analizza, si chiede perchè sono diverse, rintraccia il loro periodo storico e giunge ad una conclusione. Le forme
diverse si discostavano tra di loro per antichità o diversità culturale.
Filologia è un termine che deriva da 'filos' (amico, amore) e 'logos' (discorso, parola) e significa 'amore per la
parola'. Il filologo riflette su tutto ciò che è forma scritta. Il testo ha una centralità assoluta. Il filologo lavora
sulle parole, sulla loro forma assunta nel corso del tempo, sulla loro evoluzione, sui vari significati e modi di
trasmissione. Lo scopo della filologia è riportare i testi alla loro forma originaria, senza però discriminare le
forme intermedie.
Per fare ciò la filologia si avvale del contributo di altre discipline: la linguistica, l'archeologia, la storia la
paleografia, l'antropologia.
La filologia la definiamo disciplina ma in realtà nasce come approccio multidisciplinare. Il filologo è un
“ficcanaso” che si interessa a tutto e che ha una mente molto aperta per dare la giusta interpretazione del
testo studiato, ed è di natura diffidente.
La filologia insegna il rispetto della verità, sollecita la conoscenza e il sapere, potenzia lo spirito critico.
Nella prefazione ad “Aurora”, Nietzsche scriveva: “La filologia è quell'onorevole arte che esige dal suo cultore
soprattutto una cosa, tirarsi da parte, lasciarsi tempo, divenire silenzioso, divenire lento, essendo un'arte ed
una perizia di orafi della parola. Essa insegna a leggere bene, cioè lentamente, in profondità, guardandosi
avanti e indietro, non senza secondi fini lasciando porte aperte, con dita ed occhi delicati”.
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La Filologia Germanica è la scienza che studia le testimonianze scritte in quelle lingue definite 'germaniche', che
hanno avuto origini nel mondo germanico antico, che hanno degli elementi comuni e simili. L'oggetto di studio
della filologia germanica sono proprio tali elementi comuni.
-Cosa vuol dire “germanico”?
'Germanico' non è sinonimo di 'tedesco', in quanto relativo alla Germania.
'Germanico' s riferisce a tutto il mondo germanico e a quel gruppo di lingue costituito da inglese, olandese,
frisone, danese, norvegese, islandese (e longobardo e gotico, due lingue morte).
-Quando si parla di “germanesimo” ci si riferisce a tutto ciò che accomuna le lingue elencate, in ambito
linguistico, culturale e geografico.
I termini “germanesimo” e “germanico” esprimono un concetto linguistico ed hanno un significato preciso solo
se riferiti all'ambito linguistico.
Materia di indagine della filologia germanica è anche il diverso modo in cui tali civiltà entrano in contatto con il
mondo europeo non germanico e ne accolgono gli apporti culturali, modificando di conseguenza la loro
evoluzione.
Gli elementi comuni tra le lingue germaniche nella loro fase più antica sono la grammatica ed il patrimonio
lessicale. Ciò ci spinge a credere che deve essere necessariamente esistita un'epoca precedente a quella delle
prime attestazioni scritte in queste lingue in cui l'affinità tra le stesse fosse ancora maggiore.
Ipotesi: in una fase preistorica, anteriore alla scrittura, le lingue germaniche costituivano un gruppo linguistico
unitario, da cui oggi discendono le singole lingue. Tale lingua unitaria possiamo chiamarla 'germanico'.
Differenza: Il latino è una lingua storicamente attestata, di cui abbiamo numerose testimonianze scritte. Il
germanico è, invece, una lingua ricostruita, non attestata da nessuna parte, ma che rappresenta il presupposto
dal quale si sarebbero sviluppate le attuali lingue germaniche. Per questo, quella del germanico come lingua
unitaria è un'ipotesi!
I imiti cronologici entro cui opera la Filologia Germanica sono sono piuttosto elastici, dall'Alto Medioevo (IV-V
sec d.C.) fino all'età moderna. Tuttavia, l'indagine sulle lingue germaniche può spingersi ancora più indietro nel
tempo.
La comune matrice germanica di buona parte delle odierne lingue europee diventa sempre più evidente man
mano che ci avviciniamo alle origini delle civiltà che studiamo.
Le lingue germaniche hanno una documentazione antica rilevante, che ci permette di individuare gli elementi
linguistici e culturali che le accomunano:
Arco Cronologico
-gotico (IV-VI sec d.C.)
-inglese, tedesco (VIII sec)
-nederlandese, frisone (XIII sec)
-islandese (XII-XIII sec)
Oggetto della filologia germanica sono gli elementi comuni che consentono di individuare in queste lingue e
culture origini comuni, che definiamo 'germaniche'.
Lingue occidentali.
-Inglese: è la lingua più diffusa sul pianeta, di cui abbiamo pidgin e varianti (British English, Scottish English,
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Lingue nordiche.
-Islandese: lingua più conservativa fra quelle germaniche, contraria ai prestiti linguistici. Ciò è dovuto molto alla
posizione geografica isolata.
-Norvegese: abbiamo una variante occidentale ed orientale. La conoscenza delle due varianti è obbligatoria per
i bambini nelle scuole. La varietà più diffusa è il bokmål, la varietà orientale.
-Danese: lingua germanica che mostra i cambiamenti più radicali, soprattutto nella fonologia e nella
morfologia. E' la lingua della Danimarca.
-Svedese: lingua della Svezia e della Finlandia, assieme al finlandese.
-Feringio (o Feroese): lingua ufficiale, assieme al danese, nelle Faer Øer.
Per ricostruire l'unità culturale germanica, il Germanico, ci si avvale di fonti relative ai popoli germanici. Si
analizzano diversi tipi di fonti.
Col passare del tempo i rapporti tra Galli e Germani si intensificano e i dati sulle popolazioni germaniche degli
storici latini diventano più dettagliati.
Man mano la storia va avanti. Attorno al IV sec appaiono sulla scena storica informazioni molto dettagliate
relative, per la prima volta, ai singoli gruppi germanici. Le fonti storiche sono:
Chi si è occupato per la prima volta dello studio delle fonti archeologiche di tale area geografica è l'archeologo
tedesco Gustav Kossinna.
-Gustav Kossinna, a fine 800, nell'interpretare queste fonti, ritiene che le origini dei Germani siano da ricercare
nella preistoria, II millennio a.C.
Anche Tacito parla di un popolo preistorico.
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All'inizio dell'era volgare, negli anni che trascorrono subito prima e subito dopo Cristo, l'area geografica della
Cerchia nordica appare completamente differenziata rispetto alla cultura de La Tène (arancione).
In queste regioni si riconoscono 3 tipi di culture, in base ad alcune particolarità negli usi funerari:
1. cultura dei Germani dell’Elba: dal fiume Elba verso sud fino alla Moravia e al Danubio; (rosso)
2. cultura di Przeworsk, nelle aree dei fiumi dell’Oder e della Vistola (Polonia); (verde oliva)
3. cultura dei Germani occidentali, tra i fiumi Weser [Veza] e Reno (piena Germania attuale). (giallo)
Queste aree culturali sono differenziate tra loro, ma possiamo comunque definirle come culture 'parenti', che
potrebbero aver avuto un'origine comune. Le differenze sono sorte col passare del tempo.
2
3 1
La Tène
Noi insistiamo nel cercare l'unità culturale germanica ma i dati archeologici non parlano di un'unità germanica.
In particolare, queste tre aree culturali corrispondono, andando molto indietro nel tempo, ad altre tre aree
culturali:
1. cultura di Jastorf nel mezzo; (rosso)
2. cultura di Pomerania o Gesichtsurnenkultur a Est; (verde oliva)
3. cultura di Harpstedt a Ovest. (giallo)
Tali culture risalgono al I millennio a.C. e si evolvono contemporaneamente a La Tène.
La differenziazione culturale attestata all’inizio dell’era volgare non nasce dalla disgregazione di un'unica cultura
che accomunasse tutte le popolazioni germaniche. Probabilmente l'unità culturale germanica non è mai esistita
e sarebbe più appropriato parlare di vicinanza culturale delle popolazioni germaniche (elementi comuni nella
religione, nella società, nella lingua).
Ad esempio in Bacenis abbiamo il fenomeno della Prima mutazione consonantica: dall'ie. Bhagos si
passa al germanico abbiamo Bac, rispetto al latino Fagus. Chi ha riportato il nome, ha imitato la
struttura fonologica del termine gm. senza rendersi conto della corrispondenza con lat. “fagus”, in caso
contrario avrebbe utilizzato un nome a base “fag”, non “bac” e non avrebbe fornito alcun elemento
germanico.
Onomastica: in base all’onomastica, si può affermare che dal I sec. a.C. al I sec. d.C. sembra delinearsi
una progressiva diffusione di tipi lessicali e di tratti fonematici caratteristici delle lingue germaniche
che diventano più frequenti nell’onomastica dei secoli successivi.
Grazie a tutte queste fonti (storiche, archeologiche e linguistiche), siamo in grado di parlare del mondo
germanico, descrivere le lingue di queste popolazioni, la loro religione e società.
La filologia germanica, o comunque l'interesse per il mondo germanico antico, sorge nel 1455, anno in cui viene
riscoperta la “Germania” di Tacito, opera che parla del mondo degli antichi germani.
Si sviluppa un interesse per la storia e per i testi antichi scritti in lingue germaniche.
Grazie a questo interesse oggi i i manoscritti originali sono andati perduti. Quelle che oggi possediamo sono le
trascrizioni che ne fecero i filologi di quel periodo, XVI e XVII sec, che sono:
-Justus Lipsius
-Franciscus Junius
Passano gli anni e l'interesse si evolve e matura. Nel corso dell'800, si sviluppa linguistica storico-comparativa,
che rintraccia parentele genetiche tra le lingue. E' a questi studi che dobbiamo il concetto di 'lingua madre', di
indoeuropeo. Nei paesi germanici si sviluppa l'interesse per le origini antiche. Questo tipo di ricostruzione viene
fatta da ora su base comparativa.
Ciò accade nell'800 perchè in questo periodo vengono riscoperti gli antichi testi della religione indiana, testi
redatti in sanscrito. In virtù della loro antichità, tali testi vengono messi a confronto con le altre lingue
dell'antichità classica, il latino e il greco. Tutto ciò per individuare le caratteristiche comuni tra queste lingue.
Approccio linguistico:
• Friedrich von Schlegel (1808) e Franz Bopp (1816) in Germania – a quest’ultimo si deve l’impiego del termine
germanico in senso linguistico
• Il danese Rasmus Rask (1818) applicò il metodo comparativo alle lingue germaniche
• 1822, seconda edizione della Deutsche Grammatik [in cui deutsch stava per “germanico” e non ancora per
“tedesco”] di Jakob Grimm.
Metodo filologico:
• Nello stesso periodo operava Karl Lachmann, che si occupò di ricostruire l'originale di testi scritti in lingue
germaniche antiche, esaminando tutte le varie versioni.
Mettiamo a confronto le forme documentate di una stessa parola nelle lingue germaniche, la parola per 'padre'
e la parola per 'piede':
Per 'padre':
la f è presente in tutte le lingue germaniche e quindi si pensa che anche in germanico antico la parola possa
cominciare col suono f;
per quanto riguarda la prima vocale abbiamo una maggioranza del suono a (solo in ingl.a. la vocale è una ae) e
quindi scegliamo la a come suono anche del germanico antico;
per la seconda consonante abbiamo una maggioranza di tre d contro la t dell'ata. e quindi scegliamo la d come
suono del germanico antico;
Per 'piede':
la f è presente in tutte le lingue germaniche e quindi si pensa che anche in germanico antico la parola possa
cominciare col suono f;
per quanto riguarda la prima vocale abbiamo una maggioranza di o lunga (solo in ata. È presente il dittongo uo)
e quindi scegliamo la o lunga come suono anche del germanico antico;
per quanto riguarda la dentale abbiamo una maggioranza di t contro la z dell'ata. e quindi scegliamo la t come
suono del germanico antico.
Tra tutte queste lingue il gotico è la lingua germanica più antica e a cui ci affidiamo di più per ricostruire quello
che era il germanico comune.
I comparativisti hanno fatto questo lavoro per tutte le parole del lessico germanico, aiutandosi anche con
parole del lessico moderno.
Quello che viene ricostruito come germanico viene poi confrontato con le lingue classiche del mediterraneo,
latino e greco:
Comparazione greco – latino – germanico
greco: patḗr
latino: pater
gm.: *faðēr
Perchè la p e la t in germanico diventano un f e una ð? Ciò è dovuto alla prima rotazione consonantica!
Osservando tutte e tre le forme di queste lingue indoeuropee e dovendo ricostruire il suono iniziale scegliamo
il suono p per una questione di antichità.
A fine Ottocento, con i Neogrammatici, parte l'analisi del germanico. I neogrammatici iniziano a studiare le
corrispondenze a livello fonetico delle lingue germaniche e vengono formulate Leggi Fonetiche.
Una legge fonetica è una legge che descrive e formalizza, a posteriori, una serie di regolari corrispondenze.
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Nel 1872, J. Schmidt formula la Teoria delle Onde. E' la teoria che detta le basi su cui è fondata la Geografia
linguistica e che si occupa di studiare il mutamento linguistico nello spazio e i contatti linguistici.
Schmidt fa notare che i tratti comuni a due o più lingue sono direttamente proporzionali alla vicinanza tra loro.
Da qui l'idea che questo mutamento si propaghi come un'onda a cerchi concentrici, che rappresentano l'area di
ogni singola lingua, che si affievoliscono allontanandosi.
Le innovazioni e i cambiamenti linguistici si propagano esattamente come si propagano le onde che vengono
generate in una pozza d'acqua di un lago dal lancio di un sasso o più sassi. I lanci creeranno tante onde e queste
onde a un certo punto si incontreranno e le loro traiettorie si intersecheranno. L'incrocio fra queste onde
produce quelle forme fonetiche che sfuggono alle leggi fonetiche dei neogrammatici.
Quindi con questa teoria del contatto linguistico è un modo per spiegare quelle eccezioni linguistiche e quelle
anomalie delle lingue che le leggi fonetiche non sono in grado di spiegare.
Come è possibile concretamente visualizzare questi contatti linguistici e questi fenomeni anomali? Possiamo
farlo tacciando delle 'isoglosse'.
Le isoglosse ('stessa lingua', 'stessa parola') sono delle linee immaginarie di confine linguistico, che non hanno
nulla a che vedere con i confini politici, ma che tengono conto della realtà dei parlanti.
Le isoglosse sono create dall’unione di punti geografici in cui si osserva una variazione linguistica, che può
essere di natura fonetica o lessicale o morfologica. Ogni isoglossa individua un preciso mutamento linguistico.
Da un punto di vista pratico, in macro-aree geografiche, con la Teoria delle Onde si cerca di creare dei
collegamenti fra i vari rami dell'albero genealogico del germanico ideato da Schleicher. Effettivamente vengono
fuori degli elementi comuni tra le lingue germaniche, fenomeni di interferenza linguistica, che dall'albero
genealogico non dovrebbero risultare, perchè i rami delle lingue germaniche sono ben separati.
Studiosi di geografia linguistica hanno intervistato i parlanti della Germania chiedendogli di pronunciareuna
determinata parola del lessico tedesco. Ogni linea rappresenta una precisa interrogazione. Ad esempio, ci sono
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linee legate alla pronuncia del pronome di prima persona singolare Ik/Ich o della parola appel/apfel. L'isoglossa
più a nord nella cartina è proprio quella che riguarda la pronuncia del pronome di prima persona singolare.
Dalla carta risulta che i parlanti a nord della linea pronunciano il pronome con una pronuncia velare sorda (ik), i
parlanti a sud della linea lo pronunciano con una fricativa velare sorda (ich).
Queste linee quindi ci danno un'idea della distribuzione dialettale di alcuni termini.
Riassumendo:
L'analisi del germanico parte con i neogrammatici e le loro leggi fonetiche. I Neogrammatici esaminano le
caratteristiche comuni a tutte le lingue germaniche e si domandano come si sono originate le differenze. Le
Leggi fonetiche però hanno dei difetti, perchè non tengono conto dei contatti tra le varie lingue.
I Neogrammatici, comunque, formulano il concetto di 'lingua madre' che stabilisce una cronologia nelle
evoluzioni linguistiche, da un modello unitario fino alle singole lingue storicamente attestate. A formulare la
teoria dell'albero genealogico è Schleicher.
Poi Schmidt (1972) affina queste riflessioni linguistiche con la Wellentheorie, la Teoria delle Onde, proponendo
la creazione di isoglosse che tenessero conto dei contatti linguistici tra le varie lingue.
Si arriva poi a Wenker (1876) che contribuisce a far nascere in maniera decisiva la geografia linguistica; in
particolare Wenker indaga gli esiti della seconda mutazione consonantica, fenomeno medievale dal punto di
vista linguistico, nell'area dell'attuale Germania.
Tutti questi studi (neogrammatici, geografia linguistica, teoria delle onde) ci mostrano come la frammentarietà
linguistica, ossia le differenze tra le lingue germaniche, persiste fin dal Medioevo.
Quindi, le lingue germaniche sono classificabili come appartenenti a questo gruppo germanico, in virtù di tratti
comuni, ma il germanico è, fin dal Medioevo, abbastanza frammentario, non fisso ed invariato.
Nel 1970, F. Van Coetsem, in mancanza di dati dati cronologici e storici utilizzabili per stabilire una storia
dell'evoluzione del germanico, per dare profondità alla storia, all'evoluzione del germanico ricostruito, ha
stabilito una gradazione cronologica su dati linguistici. Van Coetsem ha diviso la sua “storia” in due fasi distinte,
caratterizzate da tratti linguistici diversi:
• “protogermanico”, fase antica che raggruppa i fenomeni fonetici che caratterizzano tutte le lingue
germaniche antiche (I mutazione consonantica, legge di Verner, riduzione del sistema vocalico dell'ie. A
8 suoni). Il periodo potrebbe essere collocato tra II e I sec a.C.
Secondo Fr. Van Coetsem la riduzione del sistema vocalico si collocherebbe in una fase intermedia tra
protogm e gm comune che egli chiama “periodo e-a”, collocandolo proprio intorno al II-I sec. a.C.;
• “germanico comune”, fase che allo stesso modo raccoglie fenomeni comuni alle lingue germaniche ma è
una fase che guarda già alla realizzazione delle differenze che si manifesteranno tra tutte le lingue
germaniche nel corso dei secoli. A tale fase vengono attribuiti fenomeni quali lo stabilizzarsi dell’accento
sulla sillaba radicale, la metafonia e le altre variazioni vocaliche dipendenti.
LA SCRITTURA RUNICA
Le iscrizioni runiche rappresentano il primo tipo di documentazione diretta in germanico antico. Le iscrizioni più
antiche risalgono al II-III sec d.C.
Futhark è il nome dell'alfabeto runico, costituito da 18 consonanti e 6 vocali (il nome Futhark è tratto dalla
lettura delle prime sei lettere).
Le rune sono state incise su varie tipologie di oggetti e superfici. Il supporto più antico su cui la sequenza runica
è stata trascritta è la Sequenza runica di Kylver.
La parola Runa nelle lingue germaniche antiche aveva il significato di “segreto / sussurro / mistero”.
La scrittura runica è bustrofedica: la direzione di lettura/scrittura varia da riga a riga, cioè da sinistra verso
destra e da destra verso sinistra, dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto (alcune lettere asimmetriche ci
indicano il verso di lettura).
Ogni runa indica un suono e un concetto. Il nome le viene assegnato secondo un criterio acrofonico: il nome
della runa inizia con il suono che la runa stessa vuole indicare (solo due rune sfuggono al criterio acrofonico).
Ad esempio il primo simbolo della sequenza Futhark indica il suono [f] ed il concetto di 'ricchezza', 'fehu', che
appunto inizia con il suono f.
In origine le rune avevano una funzione magico-sacrale e venivano utilizzate per prevedere il futuro. I
conoscitori delle rune erano pochi 'eletti', di solito sacerdoti.
Col tempo vennero utilizzate per scopi più pratici e per fornire vari tipi di informazioni (forse per l'influsso
romano. Tali informazioni sono deducibili dalle iscrizioni runiche stesse.
Dalle iscrizioni emerge l'importanza di Odino come inventore delle rune: gli autori dei testi delle iscrizioni,
infatti, prima di indicare il loro nome, utilizzavano in riferimento a se stessi degli appellativi riconducibili ad
Odino.
Uso pratico delle rune: ricordare un caro o un amico defunto, il nome del proprietario di un oggetto, il nome
dell’incisore delle rune (sia in futhark antico che in futhark recente), elenchi di oggetti da acquistare o da
vendere, brevi messaggi ad amici (in futhark recente).
L'iscrizione runica che ci fornisce maggiori informazioni linguistiche è l'Iscrizione sul Corno di Gallehus, 400 d.C.
Circa (Danimarca). Questo testo è importante sul piano formale, perchè è presente un'allitterazione, ci dà
informazioni sulla lingua germanica (lingua SOV), ed anche sul piano morfologico (verbi al passato, suffisso in
d).
Quale che sia l'origine dei segni, la scrittura runica si presenta, già dai primi documenti, come un sistema
alfabetico compiutamente formato, che sembra corrispondere al germanico comune così come è stato
ricostruito dai linguisti.
Le rune rappresentano la più importante ed originale espressione culturale del mondo germanico antico.
Oltre a ciò, le prime iscrizioni runiche rivelano una lingua essenzialmente compatta ed unitaria. Le iscrizioni
runiche non offrono la documentazione di un singolo dialetto ma di una lingua sopradialettale, in un momento
cioè di particolare coesione politica e culturale.
Le iscrizioni runiche si muovono con le popolazioni germaniche. Se ci spostiamo in Inghilterra vediamo che
anche lì sono testimoniate iscrizioni runiche, solo che l'alfabeto runico in Inghilterra va incontro ad una serie di
modificazioni piuttosto consistenti legate alle pronunce dell'inglese antico. Per cui l'alfabeto runico che si
forma, o meglio che si riforma, in area anglosassone si presenta come un insieme di 33 segni. Sono state create
nuove rune e sostituite alcune. Questa versione dell'alfabeto anglosassone non si chiama più Futhark ma
“Futhorc”(Fuþorc /fuθork/). L'inglese ha un inventario vocalico molto più consistente del tedesco, per esempio.
Ci sono vari documenti in futhorc antico dell'area inglese, soprattutto croci monumentali con incisioni runiche
(talvolta trascritte anche il latino). Da ricordare è il Cofanetto Franks (prima metà dell'VIII sec), con un incisione
riguardante un osso di balena, importante perchè in esso si ben distinguono le rune del futhorc inglese.
C'è poi la questione riguardante l'Elmo di Negau (II sec o V sec aC). I caratteri di questa iscrizione sono molto
simili all'alfabeto venetico; assomigliano a delle rune ma non sono ancora rune. Tuttavia, pare certo che il testo
sia in germanico. Probabilmente siamo in una fase intermedia verso il futhark antico. L'elmo di Negau è
importante perchè, da un punto di vista linguistico, è presente il fenomeno della PMC.
La ricostruzione linguistica tende a proporre il germanico come un’entità fissa e unitaria; Il confronto con il dato
storico e archeologico, invece, aiutano a dare al germanico un carattere più ‘reale’.
Il germanico rappresenta una realtà linguistica preistorica in cui i parlanti di un certo numero di dialetti
sarebbero venuti, in un dato momento della loro storia, in così stretto contatto, da poter diffondere tra di loro
quei caratteri linguistici che definiscono come affini le lingue germaniche antiche. Situazione sociale e
mutamento linguistico, dunque, sono strettamente connessi; la diffusione di elementi linguistici comuni e la
ricostruzione del protogermanico provano il costituirsi di una unità culturale tra i gruppi sociali antenati dei
parlanti lingue germaniche.
Le rune venivano impiegate anche come scrittura crittografica, segreta, e ciò rimanda alle lettere dell'alfabeto
runico vero e proprio, GEHEIMNISRUNEN.
Le rune (sia nel futhark antico che in quello recente) erano suddivisi in 3 gruppi di 8 lettere ciascuno disposti in
righe e colonne: ogni runa nel sistema di scrittura crittografica era identificata da due coordinate, una indicante
la riga e l'altra la colonna. Le coordinate erano rappresentate da piccole aste disposte lungo i lati di un'asta
centrale verticale (spesso le coordinate erano collocate all'interno di raffigurazioni di pesci).
Ovviamente tale codice era conosciuto da pochi.
1. Nel sistema fonetico: corrispondenze tra vocali e consonanti; in particolare, nel sistema fonologico
(fonemi), per le consonanti si mantiene la serie delle occlusive, sebbene muti il modo di articolazione;
2. L'utilizzo dell’apofonia, variazione spontanea della vocale: lat. toga – tegere – tectum , radice ie. *teg-;
ingl. sing – song – sang – sung. Con una stessa radice semantica e vocale diversa possiamo creare parole
appartenenti a diverse categorie morfologiche.
3. Nel sistema morfologico, la struttura flessiva sia per i nomi che per il verbo: suffissi e desinenze aggiunti
alla radice (l'elemento della parola che comunica il contenuto semantico essenziale della parola).
Il sostantivo gm* gebo 'dono' è formato dalla radice *geb- e il suffisso -o, che indica:
a. femminile singolare (morfologia)
b. nominativo (sintassi)
4. Il sistema pronominale: il pronome dimostrativo dell'ie. *so, *sa *tod “questo/questa” corrisponde al
gm. *sa, *so, *þat, got. sa, so, þata; ingl.a. se, seo, þæt
6. I sistemi di formazione di nuove parole mediante derivazione con suffissi e mediante la composizione di
due o più radici.
LE CARATTERISTICHE ESCLUSIVE
Le isoglosse che accomunano tutte le lingue germaniche e le distinguono dalle altre lingue indeuropee sono:
1. Trasformazione dell'accento ie.
2. Riduzione del sistema vocalico
3. Evoluzione delle sonanti (liquide e nasali) mm nm l m rm in um, un, ul, ur;
4. Prima Mutazione Consonantica (o Legge di Grimm) e la Legge di Verner;
5. Riduzione dei tempi a due (presente e preterito) e tre modi;
6. Il sistema apofonico dei verbi forti;
7. Formazione della categoria dei verbi deboli;
8. Semplificazione delle declinazioni con riduzione dei casi a 4: nominativo, genitivo, accusativo, dativo;
9. Sviluppo di una flessione debole in –n per i sostantivi; doppia flessione forte e debole per gli aggettivi;
10. Lessico innovativo rispetto al lessico di tutte le altre lingue ie.
L'ACCENTO
Trasformazione dell’ accento ie, che da libero e musicale quale era (e resta in alcune lingue
indoeuropee, come il greco) diventa fisso sulla sillaba radicale e intensivo (il germanico è una lingua
rizotonica, cioè con parole con accento sulla sillaba radicale).
In ie. l’accento era prevalentemente musicale (elevazione e abbassamento di tono) ed aveva una
posizione libera, nel senso che poteva trovarsi tanto sulla radice che su prefissi, suffissi e desinenze, di
conseguenza poteva avere una funzione morfologica: it. amo-amò, parlo-parlò, mangio-mangiò ed
anche una semantica: it. meta-metà, pero-però. In germ. l’accento è intensivo e fisso sulla sillaba
radicale, in tal modo l’accento in germ. è diventato un elemento demarcativo, segnale d’inizio di parola.
Solo in epoca recente le lingue germaniche stanno facendo riacquisire all’accento una funzione
oppositiva: ing. the sùbject / to subjéct, présent /to presént.
Conseguenze della fissazione dell’accento sulla sillaba radicale:
• le sillabe iniziali e finali perdono di intensità nella pronuncia, col tempo diventano indistinte e
potrebbero anche scomparire;
• se scompaiono le desinenze le lingue devono per forza sviluppare nuovi metodi per stabilire le
differenze tra le parole. E tali strumenti diventano le sillabe radicali stesse: processi assimilatori e
dittongazioni delle vocali radicali (metafonie e fratture);
• passaggio da strutture sintetiche ad analitiche (creazione di sintagmi preposizionali): introduzioni di
nuovi elementi nella frase;
• Fonologia → fonemizzazione degli esiti della metafonia: attribuire valore ad un fonema che prima non
ne aveva, ad es:
ata. wārun “erano” – wārin “fossero”
in ata., il compito di distinguere tra indicativo preterito e ottativo preterito è assegnato alla desinenza
-in; col tempo la vocale i della desinenza influenza la vocale radicale a, portandola verso una pronuncia
più alta, verso [e]. Poi, per effetto della fissazione dell'accento sulla sillaba radicale, la i assume una
pronuncia indistinta, una sorta di -en. A questo punto, la a palatalizzata diventa l'unico elemento che
distingue i due tempi verbali e assume un valore sul piano morfologico che prima non aveva.
Stessa cosa accade per gm* mann-manniz 'uomo'-'uomini'. Col tempo la i della desinenza influenza la
vocale radicale a, portandola verso una pronuncia più alta, verso [e]. Il plurale diventa quindi menniz,
doppiamente marcato. Poi, per effetto della fissazione dell'accento sulla sillaba radicale, la desinenza -iz
cade e il plurale si presenta come menn. A questo punto la e della radice rimane l'unico elemento in
grado di distinguere il plurale dal singolare e assume un valore sul piano grammaticale che prima non
aveva.
• Morfosintassi → sviluppo dell’articolo e dei sintagmi preposizionali che sostituiscono nelle loro funzioni
le desinenze (es. soggetti obbligtori, 'to' per il dativo..).
ie. *ă *ŏ *ǝ in gm. *ă (a breve, o breve e schwa confluiscono tutte nel fonema germanico a breve):
ie. *ăgros > gm *ăkraz;
lat. ager: got. akrs, ingl.ant. æcer, ata ackar “campo”
ie. *nŏkt > gm. *năht;
lat. nox-noctis-noctem: got. nahts, ata. naht “notte”
ie. *pǝtér > gm. *făðer;
lat. pater: sass.a. fader, got. fadar.
ie. *ā *ō in gm. *ō (a lunga e o lunga confluiscono tutte nel fonema germanico o lunga):
ie *bhāg > gm *bōk;
lat. fagus : ingl.a. bōc, sass.a. bōk “libro”
ie *pōd- > gm *fōt; lat. pedem : ingl.a. fōt, ata fuoz “piede”;
Si tratta di mutamenti vocalici spontanei, non indotti da un preciso contesto fonetico.
Il sistema vocalico europeo è equilibrato; in quello germanico troviamo invece dei 'buchi', il sistema è
squilibrato, non abbiamo un'esatta corrispondenza tra vocali brevi e lunghe (a,o).
Ogni lingua germanica colma queste lacune nel sistema vocalico in modo indipendente.
Tra tali strategie abbiamo le metafonie e la fonemizzazione degli esisti delle metafonie – il gotico non
sfrutterà tale possibilità, poiché in gotico non si sono verificate metafonie: per questo motivo gli esiti
metafonetici non vengono collocati nella fase unitaria – essi non riguardano tutte le lingue germaniche.
Tutte le lingue germaniche, invece, mettono in atto un particolare allungamento delle vocali, legato ad
un contesto particolare.
In germanico, le radici che presentano vocale breve seguita dal nesso “nasale + h” subiscono
l’allungamento di compenso della vocale in seguito alla caduta della nasale davanti a spirante velare
sorda: gm *-anh- > gm *-āh-
gm *-inh- > gm *-īh-
gm *-unh- > gm *-ūh-
In seguito all’evoluzione *-anh- > *-āh- nel sistema vocalico del germanico comune si ricostituisce un
fonema /a:/, scomparso nel passaggio da ie. e a gm, e si ritorna, così, ad un sistema con cinque vocali
lunghe.
Esempi:
ie. TONG-, lat. tongēre “conoscere”: gm *þankiðo(n), “pensai”
got. þāhta, isl.a. þātta, ingl.a. þōhte (ō è effetto della nasalizzazione di a prodotta dalla nasale n prima
della sua caduta; ingl. mod. thought), ata. dāhta ;
La PMC è stata la prima legge fonetica sistematica ad essere stata scoperta. La legge è conosciuta anche
come Legge di Grimm.
Grimm, sulla scia degli studi fatti da Rask ed altri studiosi dell'800, ha individuato delle regolarità che
emergevano dal confronto costante tra parole germaniche e parole indoeuropee e le ha sintetizzate in
una legge fonetica. Tale sintesi Grimm la elabora nel testo Deutsche (leggere 'doce') Grammatik, nel
1822.
Si sono conservate in germanico le serie delle occlusive indoeuropee (labiali, dentali, velari, labiovelari)
che hanno subito delle modificazioni riguardo al modo di articolazione.
•le occlusive sorde indoeuropee *p, *t, *k e *kw diventano in germanico le fricative sorde
rispettivamente *f, *θ (trascritto þ), *h e *hw.
• le occlusive sonore aspirate indoeuropee *bh, *dh, *gh e *ghw diventano in germanico le fricative
sonore rispettivamente *ß (trascritto b), *ð, *ɣ (trascritto g), *ɣw (trascritto gw). Tali fricative
germaniche tendono a mutarsi in occl. sonore *b, *d, *g e *gw, specialmente se la consonante ricorre
all’inizio di parola o dopo nasale.
•le occlusive sonore indoeuropee *b, d*, *g e *gw corrispondono le occlusive sorde del germanico
rispettivamente *p, *t , *k e *kw.
•Alle liquide e alle nasali sonanti indoeuropee *mm , *nm , *l m e *rm corrispondono in germanico
rispettivamente *um, *un, *ul e *ur. Le lingue germaniche sviluppano un appoggio vocalico in u che
precede le consonanti in questione. -->Tale mutazione non riguarda la Legge di Grimm ma il
consonantismo!
• alle occlusive sorde p, t, k, dell'ie. corrispondono in gm le fricative sorde /f/, /θ/, /x/
ie *p > gm */f/:
ie. *peku > gm *fehu (questo esempio è doppio, muta anche la velare k!)
lat. pecu : got. faihu, ingl.ant. feoh, ata fihu (“bestiame”)
Dunque la *p dell'indoeuropeo la ritroviamo come *f in got., in ingl.a., in ata.
ie *t > gm */θ/:
ie. *tu > gm *þu
lat. tu : got. þu, ingl.ant. þu, ata thu (pronome“tu”)
• Alle occlusive sonore aspirate bh, dh, gh, ghw dell’ie. corrispondono in germanico le fricative sonore
/β/, /ð/, /ɣ/ , /ɣw/.
Queste fricative tendono a mutarsi in occlusive sonore b, d, g, se si trovano all’inizio di parola o dopo
nasale.
Varianti allofoniche: quando le occlusive sonore aspirate dell'ie. anziché diventare fricative sonore si
presentano invece come occlusive sonore, quindi perdono solo l'aspirazione nel passaggio da ie. a gm.
• Alle occlusive sonore b, d, g, gw dell’ie corrispondono in germanico le occlusive sorde del germanico
/p/, /t/, /k/, /kw/.
ie *b > gm */p/:
ie *leb-/lab- > gm *lepjan/lepiōn;
lat. labium : ingl.a. lippa (“labbra”)
ie *d > gm */t/:
ie *ed- > gm *etan;
lat. edo : isl.a. eta, ingl.a. etan (“mangiare”)
oppure
ie. *pēd-/pōd- > gm *fōt-;
lat. pēs, pedis : got. fōtus, ingl.a. fōt, ata. fuoz “piede”
ie *g > gm */k/:
ie *eg(om) > gm *ek(an);
lat. ego : got., sass.ant. ik, isl.a. ek, ingl.a. ic, ata. ih “io”
I nessi fricativa + occlusiva possono essere di eredità indoeuropea (*sp, *st, *sk) oppure nessi che si
sviluppano dalla stessa legge di Grimm (*ft, *ht).
Se un'occlusiva sorda si trova in un nesso “fricativa + occlusiva” di eredità indoeuropea , l'occlusiva non
cambia.
LA LEGGE DI VERNER
Karl Verner, nel 1877, notò che c'erano altre irregolarità rispetto ai normali esiti di mutazione consonantica
individuati da Grimm, sempre mettendo a confronto forme linguistiche indoeuropee e germaniche.
Verner notò che quando un'occlusiva sorda indoeuropea si trovava in una posizione fortemente sonora, ossia in
posizione intervocalica, e in più era seguita da una vocale accentata, tale occlusiva sorda indoeuropea non si
presentava nelle lingue germaniche come fricativa sorda ma come fricativa sonora.
Questo esito particolare delle occlusive sorde germaniche ci dice che ci sono, nell'ambito del consonantismo
germanico, delle fricative sonore che vanno a coincidere con le fricative sonore esito del secondo mutamento
della legge di Grimm.
Nel fenomeno individuato da Verner non sono coinvolte solo le occlusive sorde indoeuropee ma anche l'unica
fricativa sorda che le lingue germaniche ereditano da quelle indoeuropee, la *s.
Anche la /s/, se ricorreva nello stesso contesto fortemente sonoro, subiva un mutamento: invece di conservarsi
inalterata nelle lingue gm, aveva una realizzazione di tipo sonoro in /z/.
• ie. WES- “stare, abitare” indica un'azione stativa, ferma nel tempo, ed è utilizzata dalle lingue
germaniche per esprimere il preterito singolare e plurale.
• ie. BHEU- / BHU- “abitare” indica un'azione momentanea ed è utilizzata dalle lingue germaniche per
esprimere il presente (di solito un presente che guarda al futuro) o il participio.
Noi notiamo che l'attuazione della LV non ha prodotto solo un diverso modo di pronunciare una consonante. La
LV ha creato anche un'opposizione tra preterito singolare e preterito plurale. Quindi vediamo come un fatto
fonetico diventa significativo anche dal punto di vista morfologico, perchè distingue le persone del singolare da
quelle del plurale.
La LV viene classificata in ambito morfologico con l'appellativo di 'alternanza grammaticale'.
L'ALTERNANZA GRAMMATICALE
L'alternanza grammaticale rappresenta il riflesso morfologico della Legge di Verner ed è un fenomeno
riscontrabile nell'ambito dei verbi forti del gm.
Tale fenomeno riguarda le consonanti dei paradigmi verbali. L’alternanza grammaticale è, in generale,
l’avvicendarsi di fricative sorde e fricative sonore in parole etimologicamente affini in quanto derivate dalla
stessa radice.
I fenomeni della LG e della LV caratterizzano, come abbiamo visto, le lingue germaniche antiche. Ma quando
sono avvenuti? E perchè?
Il perchè un gruppo di parlanti indoeuropei, ad un certo punto nella storia, abbia sviluppato questa serie di
mutamenti fonetici non possiamo dirlo. I motivi sono piuttosto imprevedibili e legati al modo di pronunciare le
parole.
I fenomeni della PMC e della LV sono stati datati ad un periodo compreso tra il V-III secolo a.C. (inizio) e il II-I
secolo a.C. (fine). (Pensiamo Cesare che cita Silva Bacenis attorno al I sec a.C. La PMC deve essersi verificata
sicuramente prima). Tale limite cronologico è stato stabilito in base ai prestiti stranieri in germanico.
Intorno al V secolo si sarebbero avuti contatti tra Celti e Germani. Tali prestiti presentano in germanico gli esiti
della PMC, come si può vedere da:
gm *ambaht, got. andbahts, ingl.a. ambeht, ata ambaht “servo” .
Questa parola non è di matrice germanica ma celtica. Nel celtico, in particolare nel gallico, è testimoniata la
parola:
gall. Ambaktos con occlusiva velare sorda *k che nelle lingue gm si presenta come *h.
Quindi, se in contatti tra celti e germani sono documentati al V sec a.C. e le lingue gm. hanno introdotto nel
loro lessico una parola celtica, però modificata nell'aspetto fonologico, la PMC comincia a partire dal V sec.
I termini introdotti nel lessico germanico dal celtico, cioè, devono aver avuto il tempo di entrare in germanico
(intorno al V secolo) e poi di mutare (successivamente a tale data) il proprio consonantismo.
Mentre per il consonantismo ie. vi era un correlazione di sonorità P sordo vs B, BH sonoro e una correlazione di
aspirazione BH aspirato vs B non aspirato, nel consonantismo germ. si osserva una correlazione di continuità
germ. f continuo vs p occl., e una correlazione di sonorità p sordo vs b sonoro.
I modi si riducono a tre: Indicativo, Imperativo e Ottativo (oggi ottativo e congiuntivo sono confluiti nel
congiuntivo: l’ottativo indicava desiderio e possibilità; il congiuntivo indicava volontà, possibilità, la proiezione
nel futuro dell’azione pensata dal parlante – poi il congiuntivo ha assunto le funzioni desiderativa e potenziale,
invadendo il campo funzionale dell’antico ottativo) – in indoeuropeo esistevano l’indicativo, il congiuntivo,
l’ottativo, l’imperativo (e l’ingiuntivo-modo che esprimeva ordini e proibizioni, successivamente espresse con
l'imperativo) .
I tempi si riducono a due: presente e pretérito (o passato) contro il presente, futuro, imperfetto, perfetto,
piuccheperfetto, aoristo (tempo storico – aspetto momentaneo, indica un’azione colta nel momento in cui ha
avuto inizio o fine nel passato).
Le singole lingue germaniche esprimeranno i tempi diversi dal presente e dal preterito in vari modi, a volte
facendo ricorso a forme perifrastiche.
Dagli otto casi dell’ie. (nominativo, vocativo, accusativo, genitivo, dativo, ablativo, locativo e strumentale) ai
quattro del germanico (nominativo, genitivo, dativo, accusativo).
Altro tratto germanico (ma non del tutto esclusivo) è lo sviluppo della declinazione in –n dei sostantivi: tale
declinazione verrà usata per la flessione ‘debole’ degli aggettivi, in contrasto con la flessione ‘forte’, di tipo
vocalico e con terminazioni di tipo pronominale.
Per apofonia si intende una variazione vocalica all’interno dei tre elementi costitutivi della parola (radice,
suffisso e desinenza) per cui si produce una variazione funzionale della parola, es: ingl. sing – song – sang –
sung derivano da una radice ie. con le consonanti /s/, /n/ e /gwh/; ie. *sengwh- > gm *sengwan-;
la sola parte stabile della parola è quella consonantica e il cambiamento di vocale all’interno della radice
determina una variazione di categoria morfologica (negli esempi considerati, dal sostantivo al verbo, e,
nell’ambito della coniugazione verbale, dal presente al passato).
Le lingue germaniche, rispetto a quelle ie., usano questo espediente delll'apofonia solo sulla radice della parola
e per distinguere per creare delle opposizioni fra tempo presente, tempo passato e participio passato.
Abbiamo due tipi di alternanze apofoniche IE:
• Apofonia quantitativa, in cui non c’è variazione di suono vocalico, ma solo della sua lunghezza (breve –
lunga);
• Apofonia qualitativa, in cui invece varia il suono vocalico sostituito da un altro qualitativamente diverso
(e – o).
Ad esempio:
gr. lego “dico” - logos “discorso” : apofonia qualitativa
Si pensa che l'origine dell'apofonia sia legata alla posizione dell'accento all'interno della parola, come mostra il
greco antico:
pét-o-mai “io volo”
é-pt-ó-men “io volai” nella radice pet- scompare la vocale: apofonia di grado Ø;
l'accento si sposta dalla é di pet- alla ó.
L’apofonia nel germanico è utilizzata, come già detto, solo nei verbi, precisamente nei verbi forti, quelli che oggi
noi chiamiamo 'irregolari' (ma irregolari in realtà non sono, perchè in passato questa era la regola!).
Nei verbi forti l'apofonia è utilizzata per distinguere variazioni di tempo (presente, preterito) o di numero
(preterito singolare e plurale).
Dunque, nel caso di apofonia qualitativa in IE si aveva un’alternanza di questo tipo: ĕ (grado normale) ŏ (grado
normale) Ø (grado zero), ē (grado allungato), ō (grado allungato). L'alternanza vocalica comprende cinque
gradi! Non tutti i gradi risultano sempre attestati per ogni tema.
lat. sĕd-eo “siedo” – sŏlium < *sŏd-ium “seggio” – nī-d-us < *ni-sd-os “nido” lat. sēd-o “faccio stare giù”.
Riflettiamo sulla struttura di una sillaba. Una sillaba è una microstruttura del lessico costituita da tre parti:
attacco, nucleo e coda (nucleo e coda rappresentano la rima della sillaba). Le sonanti possono occupare la
parte finale della sillaba e completare la sillaba stessa.
ton-do: “t” attacco, “o” nucleo, “n” coda; “d” attacco e “o” nucleo”, Ø coda
L'apofonia è presente nel germ. come lo era nell’ ie., ma nel germ. le alternanze apofoniche subiscono delle
variazioni rispetto all’ ie.
Le lingue germaniche, rispetto a quelle ie., usano questo espediente dell' apofonia solo sulla radice della parola
(apofonia radicale) e per distinguere per creare delle opposizioni fra tempo presente, tempo passato e
participio passato.
L’apofonia in germ. ricorre soprattutto nei paradigmi dei verbi forti e ne caratterizza le diverse classi.
Esistono sei classi di verbi forti, più una settima di altra origine (preteriti per raddoppiamento della sillaba
radicale), differenziate da una diversa alternanza della vocale radicale nelle quattro forme del paradigma:
infinito, preterito singolare (per le tre persone del singolare), preterito plurale (per le tre persone del plurale) e
participio preterito.
L'alternanza vocalica comprende cinque gradi! Non tutti i gradi risultano sempre attestati per ogni paradigma e
categoria verbale.
L’elemento che permette di distinguere queste tre classi, a parità di grado apofonico, è il suono che segue la
vocale soggetta ad apofonia:
i (Y semivocale), per la I classe,
u (W semivocale), per la II classe,
{m,n,l,r} + C (una sonante seguita da una consonante) per la III classe.
Osservazione. La radice di ogni verbo è una sillaba, che solitamente è costituita da una Consonante (indicata
con C), una vocale (indicata con V) e un’altra consonante (indicata con C) – la prima consonante può non essere
presente: (C)VC.
Fenomeno particolare: Nelle forme del participio preterito, dove per il germanico si ricostruisce la desinenza
*-anaz, si ha un abbassamento della */u/ radicale, prodotto dalla vocale */a/ della desinenza gm.: */u/ > /o/
(tenendo a mente il trapezio vocalico, la a, che è una vocale bassa, determina l'abbassamento della u, che è
una vocale alta, in o). Vedre il part. pret. boden dell'ingl.a.
Il nesso “vocale+nasale” provoca l’innalzamento vocalico (e > i) nelle forme dell’infinito, impedendo, di
conseguenza, l’abbassamento della vocale radicale nelle altre forme del paradigma (participio preterito) – cosa
che avviene, invece, in presenza di una liquida (worpen in ingla.). Questo stesso fenomeno si verifica anche nei
verbi della IV classe – per questo motivo le radici con nasale vengono distinte dalle radici con liquida.
Come già anticipato, anche la IV classe, al part. preterito, presenta gli esiti dell’abbassamento vocalico
*/u/ > /o/ per effetto di */a/ della desinenza *-anaz; in questa classe, tuttavia, si osserva che il fenomeno non si
verifica in inglese antico. L’inglese antico (numen, e non nomen), infatti, diversamente dalle altre lingue
germaniche antiche mostra gli effetti dell’innalzamento */e/ > /i/dovuti alla presenza della nasale e ciò
impedisce l’abbassamento al part.pret.
*quiþan “dire” (in ingl.mod. tale radice ha prodotto to bequeath “parlare, esortare”, ma anche “trasmettere,
tramandare, lasciare in eredità”);
*metan “misurare” (ingl.mod. to mete, measure; ted.mod. messen);
*geßan “dare” (ingl.mod. to give; ted.mod. geben);
*wesan “essere” (solo al passato: ingl.mod. was, were; ted.mod. Waren)
Nelle forme del preterito di standan dell'ingl.a. scompare la n (infisso del tempo presente e che quindi
scompare al passato); in ata. la n permane per analogia).
Le lingue gm. decidono di abbandonare il raddoppiamento. Il problema è però la struttura radicale dei verbi
CVC- e le gradazioni apofoniche che sono già state utilizzate dalle altre classi. Allora accade che, fatta eccezione
per il gotico, nella VII classe si presenta un nuovo tipo di preterito che presenta comunque un grado apofonico
allungato di tipo ē, ma una ē che non corrisponde alla ē dell'ie. Questa nuova ē la chiamiamo ē2, perchè è una
nuova invenzione vocalica delle lingue gm.
Fino ad ora nei paradigmi delle classi precedenti la ē non è mai stata utilizzata al pret.sing.
Un gruppo di verbi di VII classe esprime il preterito con ē2, un altro gruppo invece esprime il preterito con il
dittongo eu.
Osservazione su ē2.
I VERBI DEBOLI
La dicitura “verbi forti” vs. “verbi deboli” è stata introdotta da Jakob Grimm. I verbi “forti” si chiamano così
perchè hanno la capacità di individuare da soli il valore temporale che essi esprimevano, senza la necessità di
alcun altro elemento morfologico, essi da soli cambiano la loro vocale radicale. Al contrario, i verbi che hanno
bisogno di un suffisso per formare un verbo diverso dall'infinito sono chiamati “deboli”.
La caratteristica principale dei verbi deboli, rispetto a quelli forti, è che sono verbi che formano i preteriti e il
part.pret. non cambiando la vocale radicale ma aggiungendo un suffisso all'infinito, alla forma base del verbo.
Tale suffisso è un suffisso in dentale, un suffisso in -ð-, che si realizza diversamente nelle varie lingue
germaniche.
Questo suffisso deriverebbe da una occlusiva sonora aspirata ie. /dh/, suono che in base alla LG si presenta
come fricativa sonora interdentale /ð/.
Dal punto di vista della ricostruzione sarebbe corretto parlare di questo suffisso in dentale /ð/ però
comunemente si indica questo suffisso tipico dei preteriti deboli con -ed (dentale+vocale che può cambiare da
lingua a lingua e da classe a classe).
Il suffisso -ð- si realizza diversamente nelle varie lingue germaniche, a volte presentandosi come -d-, -ð-, -t-.
Esaminando tutti i verbi delle lingue gm., i verbi deboli sono numericamente molto pochi. Sono formazioni
secondarie, cioè derivate da nomi e aggettivi (denominali, come gm *full-na-n “riempirsi” < gm *full-az
“pieno”) o da verbi (deverbali, come gm *sat-ja-n “sedersi, porre” vs gm *setjan “essere seduto”, vb ft. di V
classe). Esistono, tuttavia, verbi primari, non derivati, come gm *sōk-ja-n “cercare”. La derivazione avviene per
mezzo di quattro suffissi (abbiamo IV classi) che si aggiungono alla radice del verbo che nel germanico vengono
mantenuti per tutto il corso della coniugazione.
Le classi produttive sono le prime tre (nel gotico c'è qualche traccia di verbi di IV classe ma numericamente
molto pochi). La stessa III classe in ingl.a. possiede solamente quattro verbi.
Oggi siamo abituati a dire che i verbi dell'inglese con suffisso -ed sono “regolari” e gli altri “irregolari”. In realtà
in prospettiva storica è l'esatto contrario, perchè in passato usare l'apofonia era la norma e questa aggiunta di
-ed era una novità.
Qual è l'origine del suffisso interdentale -ð- per la formazione del preterito dei verbi deboli?
L'ipotesi più accreditata è che il preterito dei verbi deboli sia in realtà una forma particolare di passato di tipo
perifrastico, espresso mediante due forme verbali, quella che indica l'azione + il preterito del verbo “fare,
diventare”, che mostra appunto il raddoppiamento della radice,
ie. DHŌ-/DHĒ-,
ingl.a. dō(n), pret. dyde
ata. tuon, pret. teta
La radice per “fare” avrebbe sottolineato il carattere concluso, “fatto” dell’azione, quindi il passato dell’azione
(come il futuro italiano canterò = cantare ho < cantāre habeō – la radice per “fare” avrebbe sottolineato il
carattere concluso, “fatto” dell’azione, quindi il passato dell’azione).
NOME E AGGETTIVO
Parlando sempre delle caratteristiche esclusive delle lingue gm., abbiamo detto che esse nella categoria del
nome mettono in atto una riduzione del numero dei casi rispetto all'ie.
Abbiamo due tipi diversi di nomi: nomi a flessione forte e nomi a flessione debole.
Ogni nome è costituito da:
radice,
suffisso tematico (che può anche essere assente-in tal caso il nome si dice atematico),
suffisso derivazionale (le desinenze che definiscono genere, numero e caso).
Il suffisso tematico determina l'appartenenza del nome alle due categorie di nomi forti e deboli. La classe
tematica è un elemento della parola segnalato da una vocale. Non sempre essa è individuabile, perchè spesso
la vocale tematica è scomparsa dalla declinazione del nome, e quindi si ricorre all'etimologia per individuare il
tema.
Sono osservabili delle corrispondenze tematiche tra ie. e gm.:
ie. gm.
-Ŏ temi in -ă (masch. e neutri)
-YO temi in -ja
-WO temi in -wa
-Ā temi in -ō (femm.)
-YĀ temi in -yō
-WĀ temi in -wō
La declinazione forte del nome si distingue da quella debole sulla base delle desinenze che osserviamo nella
flessione del nome. Se le desinenze sono diverse, siamo di fronte ad una flessione forte. Se invece tutti i casi di
un nome si presentano sempre con la stessa desinenza, siamo di fronte ad una flessione debole.
Lo stesso tipo di distinzione, tra flessione forte con desinenze diverse e flessione debole caratterizzata da un
suffiso nasale in -n-, si osserva anche per la categoria dell'aggettivo.
Flessioni dell'aggettivo
Uno stesso aggettivo può avere sia flessione forte che flessione debole (l'ingl. oggi non presenta
tendenzialmente la doppia flessione dell'agg.).
In gm. ci sono anche aggettivi che per il loro valore semantico non possono avere tutte e due le declinazioni:
eall 'all' tutto,
fea(we) 'few' poco,
genogh 'enough' abbastanza,
manig 'many' molti,
oðer 'other' altro, che sono sempre indefinite (flessione forte)
ilca 'same' stesso, medesimo, i numeri ordinali, i comparativi e i superlativi presentano solo la declinazione
debole, cioè definita.
LA METAFONIA
La metafonia (Umlaut) è uno di quei fenomeni vocalici che non riguardano tutte le lingue germaniche e che
perciò non può essere considerata caratteristica esclusiva. La metafonia interessa tutte le lingue germaniche
tranne il gotico.
La metafonia è un processo di assimilazione vocalica (non diverso dai processi di assimilazione consonantica) a
che avviene a distanza: la vocale che innesca il processo non è accanto alla vocale che cambia il proprio
aspetto ma è distante da essa.
Quello che accade è appunto che la vocale tonica di una sillaba radicale anticipa nella pronuncia le
caratteristiche articolatorie della vocale che si trova nelle sillabe successive.
Metafonia palatale
E' la metafonia indotta da i/j. La metafonia palatale è attestata più o meno in tutte le lingue germaniche ad
esclusione del gotico. Nell'ambito delle varie lingue ci sono diversi modi di palatizzazione.
La i è una vocale alta (palatale) e anteriore.
Se in una sillaba forte troviamo una a che è seguita nella sillaba successiva da una i, la tenderà a 'salire' e a
diventare e.
I mutamenti che si riscontrano sono:
Metafonia da u/w
La metafonia determinata da u/w in inglese antico è chiamata più comunemente metafonia velare, perchè
porta a una velarizzazione delle vocali.
Diversamente dalle altre metafonie, la metafonia velare produce degli pseudo-dittonghi, con l’inserimento di
un elemento velare che accompagna la vocale anteriore: i > io ed e > eo.
Esiti analoghi sono attribuiti anche, in misura molto più limitata, alla presenza di germ. *o, divenuto poi /u/
oppure /a/ nelle fasi storiche, cosicché si parla talora di ‘metafonia da a/o’ distinguendola da quella ‘da u’,
oppure di ‘metafonia velare’ comprendendo in questa definizione entrambi i tipi.
Questo tipo di metafonia comporta esiti che somigliano a quelli della frattura, diverso è però il contesto. La
frattura si attua davanti a /r,h,l/ + Consonante, o davanti a semplice /h/ – si veda più avanti:
Antico nordico=isl.a.
Le vocali non arrotondate a, e, i, per effetto
della u, assumono un arrotondamento delle
labbra nella pronuncia.
Metafonia da ‘a’
Non è una vera e propria metafonia. Questo tipo di metafonia comporta un abbassamento della vocalica. Le
vocali alte /i, u/ e il dittongo /eu/ subiscono l’abbassamento vocalico se nella sillaba seguente vi è una vocale
bassa /a/ (o, secondo alcuni anche media /o/), purché non sia interposto il nesso “nasale + consonante”:
Questo abbassamento vocalico si verifica sistematicamente nel part. preterito dei verbi forti di II, III e IV classe
per effetto della vocale /a/ del suffisso gm *-anaz. I verbi di tali classi al part. preterito, per il grado apofonico Ø
di tale forma verbale, presentano nella radice la vocale gm */u/, che, nelle singole lingue germaniche si
presenta come /o/, es.:
LA FRATTURA
VERBI PRETERITO-PRESENTI
E' una categoria di verbi importanti in tutte le lingue germaniche (rientrano nella categoria quelli che oggi
chiamiamo “verbi modali”). E' una categoria verbale molto ben documentata.
I verbi preterito-presenti mettono in relazione due categorie temporalmente opposte.
Morfologicamente, sono verbi al passato ma, a livello di significato, sono al presente. Sottolineano l'effetto
contemporaneo di un'azione passata.
Nelle lingue gm., sono verbi forti dal punto di vista morfologico. Avendo però perso il loro originario significato
passato, le lingue gm. hanno sviluppato per questi verbi un nuovo tipo di preterito, di tipo debole, con suffisso
in dentale.
Quali sono questi verbi?
…...........................................
1.Isoglosse goto-nordiche
a. Intensificazione del suono delle semivocali geminate palatali jj e velari ww mediante lo sviluppo di
un’occlusiva sonora.
germ. *jj > got. ddj, nord.ant. ggj:
germ. *ajjan > got. *addi, isl.a. egg ma: ata ei, ingl.a. æg “uovo”;
germ. *twajjōn > got. twaddjē, isl.a. tveggja, ma ata. zweio “di due”;
germ. *ww > got. ggw [–gw], isl.a. ggv:
germ. *trewwaz > got. triggws, nord.ant. tryggr, ma: ata gitriuwi, ingl.ant. treowe “fedele”;
b. Conservazione della spirante dentale sonora finale germ. z (got. -s, isl. -r, cade in germ. occ.).
germ. *dagaz > got dags, isl.a. dagr, ma: ata tag, ingl.a. dæg “giorno”;
c. Formazione della seconda persona sing. del preterito dei verbi forti con il grado apofonico del singolare e la
terminazione –t. Nel germ.occ., invece, la seconda persona del pret. sing. dei verbi forti ha il grado apofonico
del plurale e la terminazione –i:
got. bart, isl.a. bart; ingl.a. b ` re, ata b W ri “tu portasti” (beran ft. di IV).
a. Il pronome personale di 3 masch. sg. appare in got. come is, in ata er entrambi dal germ. *iz < ie. *eis (lat. is)
in contrasto con le forme ingl.a., sass.a. he, isl.a. hann dalla forma ie. con k- iniziale;
b. Il pronome riflessivo viene formato con se-: got. sik, ata. sihh > sih, ma una forma corrispondente si trova
anche in isl.a. sik;
c.Le forme del dativo e dell’accusativo dei pronomi personali di I e II pers. risultano distinte in got. e in ata., a
differenza delle lingue ingevoni che hanno una forma unica: got. mis/mik, ata. mir/mih “a me/me”, ma ingl.a.
mē.
a. Il parallelismo più frequente è rappresentato dal cambiamento della spirante germ. /z/ (in origine non
finale), conservata in gotico (s) > liquida /r/ per il fenomeno di rotacismo in nordico e germ.occ.:
got. maiza, ma: ingl.a. māra, ata. mēro “più”;
b. Passaggio di ē1 del germanico (< ie. *ē) ad ā nel germ. sett. e occ., rispetto al gotico che conserva ē1:
got. lētan, ma sass.a. lātan, ata lāzan, isl.a. lāta, ingl.a. lætan “lasciare”;
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c. La presenza di ē 2 nel preterito dei verbi forti della VII cl. nel germ. occ. e sett., mentre il gotico presenta
forme a raddoppiamento: isl.a. lēt, ingl.a. lēt; ata liaz; ma got. lailot.
Al V sec. d.C. risalgono le isoglosse comuni a tutte le lingue del germ.occ., che distinguono appunto le lingue
del germ. occ. dalle lingue del germanico sett. e orientale. Si pensa, perciò, che il distacco del gruppo
occidentale dal resto delle lingue germaniche sia avvenuto intorno al V sec. d.C. Si tratta, in effetti, del periodo
al quale risalgono le grandi migrazioni dalla Cerchia nordica.
a. Geminazione di consonanti davanti alla semivocale palatale /-j-/ se nella sillaba radicale precedente c’era
vocale breve:
ingl.a., sass.a. biddan, ata bittan, ma got. bidjan, isl.a. biðia “chiedere, pregare”;
b. Caduta della spirante dentale -z della desinenza N. sing. germ. -az che in got. passa ad -s e in nordico
rotacizza in -r, mentre in tutte le lingue gm cade la vocale tematica -a. Tale variazione nelle lingue occ. avrà
conseguenze di carattere morfologico, nel senso che nom e acc., una volta caratterizzati da forme flessionali
distinte, vengono a coincidere: got. gasts (N) / gast (A), isl.a. gastr (N) / gast (A), ma: ingl.a. giest (N/A), ata
gast (N/A) “ospite”;
Si tratta dei fenomeni comuni alle lingue che fanno parte di un sottogruppo del gruppo occidentale e cioè delle
lingue delle popolazioni che si affacciavano sul Mar del Nord (inglese antico, sassone antico, frisone antico):
a. Caduta della nasale davanti alle spiranti sorde /f,s,θ/ con allungamento di compenso della vocale precedente.
fris.a., sass.a., ingl.a. fīf vs got. fimf, isl.a. fimm, ata fimf “cinque”;
fris.a., sass.a. ingl.a. mūð, vs got. munðs, ata mund “bocca”.
b. Monottongazione del dittongo germ. *ai. Il dittongo monottonga in tutte le lingue ingevoni, anche se in
modo non uniforme.
germ. *ai > ingl.a. ā, sass.a., fris.a. ē, ata. ei:
germ. *stainaz > ingl.a. stān, fris.a., sass.a., stēn, ma got. stains, ata stein, isl.a. steinn “pietra”.
d. Forme pronominalicaratteristiche.
il pronome di III pers. sg. masch. ha le seguenti forme: ing.a. he, sass.ant. fris.a. he/hi rispetto a got. is, ata er
“egli”.
“Tedesco antico” è una definizione d’insieme di tutti i dialetti germanici dell’area continentale (centrale), che
abbraccia un periodo di tempo che va dal 700 circa al 1000 circa e che include, oltre a varie aree dell’Europa
centrale, parte del territorio dell’attuale Germania.
Tale periodo antico della storia della lingua tedesca è inaugurato dalla realizzazione della Seconda Mutazione
Consonantica (700), nota anche come Mutazione Consonantica alto tedesca antica.
La parola “tedesco”.
Nella documentazione antica l'aggettivo “theodisk” significava “volgare”, lingua parlata dal popolo,
l'equivalente del latino “vulgaris”.
A partire dal IX sec, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico firmano i Giuramenti di Strasburgo (842) che
sanciscono la fine del Sacro Romano Impero di Carlo Magno. I due sovrani si giurano fedeltà e allenaza contro
un terzo fratello ed ognuno esprime il giuramento nella lingua dell'altro (seppur la sottoscrizione è in latino).
Carlo si esprime in Theudiska lingua e Ludovico si esprime in Germanica lingua.
Quindi, a partire dal IX sec cambia il significato di tedesco.
1.Proto-alto tedesco, scarsa documentazione (perlopiù onomastica). Dal 600 all'800. Già visibile qualche traccia
di SMC;
2.Periodo ATA. 700-800. Presenti tutti gli esiti della mutazione consonantica. Inizio della documentazione in
volgare.
3.Alto-tedesco medio. Dal 1000 al 1400 circa. Si afferma una lingua letteraria e sopradialettale. Periodo delle
opere cortesi.
4.Periodo moderno. Dal 1500 a oggi. (dal 1350 al 1650 fase del tedesco protomoderno).
“Alto” e “basso” fanno riferimento alla posizione geografica dei dialetti del tedesco antico: con “alto” si
indicano quei dialetti disposti sull’area montuosa (quindi “alta”) del territorio tedesco, che si trova nella parte
meridionale dell’attuale Germania e della Svizzera, vicino alle Alpi; con “basso” si indica una zona pianeggiante
(quindi “bassa”), che è situata nella parte settentrionale del suolo tedesco, verso il Mar Baltico e il Mare del
Nord.
La mutazione consonantica “alto tedesca” deve il suo nome al fatto che secondo gran parte degli studiosi di
linguistica germanica essa è un fenomeno linguistico prodottosi nella parte meridionale della Germania (quindi
in area alto-tedesca). Da questa area di origine essa si sarebbe diffusa al resto del territorio tedesco in modo
graduale sia in senso temporale (i mutamenti sarebbero avvenuti a intervalli di tempo, di due secoli circa in
base alla consonante mutata – tra 400 e 600) che in senso geografico. Gli esiti della mutazione consonantica,
infatti, compaiono sempre più “sfumati” man mano che ci si dirige verso il nord della Germania, giungendo fino
all’annullamento nella parte più settentrionale di essa.
La distinzione tra i vari dialetti tedeschi si è fatta proprio sulla base di questi esiti.
1.Basso tedesco, non interessato al fenomeno della SMC, che si divide in:
-sassone antico, che non è propriamente un “dialetto” tedesco antico, ma una lingua del gruppo ingevone; oggi
l’area in cui si parlava il sassone antico ricade nell’attuale Germania e per questo motivo viene inserito tra i
dialetti tedeschi;
-basso francone antico (la fase successiva è il basso francone medio, da cui si è sviluppato il medio
nederlandese).
La mutazione consonantica avrebbe avuto origine in quest’ultimo gruppo, nel tedesco superiore. Il fenomeno,
come anticipato, diminuisce di intensità man mano che si procede dal sud verso il nord dell’attuale Germania e
la distribuzione geografica dei suoi esiti disegna il cosiddetto “Ventaglio renano”.
Linea di Benrath (maken/machen): distingue l'area alto-tedesca da quella bassa-tedesca (priva di mutazione).
Confine che parte da Colonia (circa) e taglia la Germania in due parti, passando a sud di Berlino.
Oggi tali differenze sono visibili solo a livello dialettale.
Osservazione:
La documentazione in base alla quale si identifica la situazione dialettale dell’area tedesca si basa in particolare
su testi influenzati dalla tradizione scolastica che si trasmette all’interno di uno stesso scriptorium o da una
scuola all’altra indipendentemente dal dialetto parlato nella regione → la lingua del monastero non è sempre la
lingua della regione in cui esso sorge.
Nella Germania altomedioevale, la tradizione scritta è legata alle abitudini grafiche dei vari scriptoria: dignità
letteraria solo per i dialetti delle regioni in cui la vita monastica è più vivace e attiva in senso culturale.
SMC
La seconda mutazione consonantica è un fenomeno che riguarda le occlusive del germanico, sia sorde che
sonore, ma non in modo sistematico; tali consonanti, inoltre, hanno subito un esito diverso in base alla loro
posizione all’interno della parola:
Le spiranti doppie si semplificano se precedute da vocale lunga, dittongo, o se in fine di parola; si conservano se
in posizione mediana dopo vocale breve. Questi mutamenti si sono verificati in tutta l’area alto tedesca.
Come si è detto sopra e come si vede dagli esempi, la mutazione non si realizza allo stesso modo in tutta l’area
alto tedesca. L’affricata dentale è presente in tutti i dialetti ed è presente anche in tedesco moderno; l’affricata
labiale continua in tedesco moderno, mentre negli antichi dialetti della zona renana non è sempre presente;
l’affricata velare è relizzata solo nel tedesco superiore e non è attestata in tedesco moderno, ma continua in
alcuni dialetti svizzeri o della Germania meridionale (bavarese).
Come per la prima mutazione consonantica, i fenomeni appena elencati non si verificano se l’occlusiva sorda
germ. è preceduta da una spirante come nei gruppi: sp, st, sk, ht, ft:
L’occlusiva sorda dentale t, inoltre, non subisce variazione nel nesso tr:
ingl.ant. triewe ata triuwi “fedele, vero”.
Non tutte le occlusive sorde sono interessate dal fenomeno con la stessa intensità nei dialetti alto tedeschi: la
dentale /t/ è quella che risulta maggiormente mutata, meno lo è la labiale /p/; la mutazione della velare /k/,
inoltre, è regolare solo in alemanno e bavarese.
L'esame delle varie fonti ci autorizza a presupporre un'unità culturale germanica tra le tribù germaniche agli
inizi dell'era volgare.
La religione e l'organizzazione sociale delle popolazioni germaniche rappresentano gli elementi più evidenti di
tale unità.
Nota: Occorre sempre considerare che le informazioni provengono da fonti indirette e dirette e che su
entrambe ha agito il filtro culturale del mondo latino-cristiano.
Cesare attribuisce ai germani un atteggiamento religioso alquanto primitivo, privo di rituali caratteristici, dedito
al culto degli elementi naturali (principalmente del sole) e lontano da una rappresentazione antropomorfa delle
divinità.
Molto ampio è invece il quadro che offre Tacito nella Germania. Nel cap.9, in particolare, Tacito cita alcune
delle divinità dei germani, una triade di divinità maschili, identificabili con i romani Mercurio, Ercole e Marte, e
una divinità femminile identificata con Iside. Nel capitolo 40, poi, Tacito si sofferma sull'ambigua divinità
Nerthus, la madre terra.
Iside (Freya)
e poi abbiamo Nerthus
Asi e Vani
Abbinando ciò che ci dice tacito e le credenze del mondo nordico distinguiamo due grandi famiglie tra le
divinità: i Vani e gli Asi.
I Vani rappresentano una religiosità più pratica e concreta, legata alle pratiche agricole, alla fecondità e alla
pace. Sono: Njorðr, Freyr, Freya.
Gli Asi sono le divinità legate alle attività belliche: Oðin, Thorr, Tyr.
Queste due schiere divine, inizialmente nemiche, si integrano in seguito in un unico cosmo. Tuttavia, gli Asi
prevalgono sui Vani.
Gli Asi.
Gli Asi erano guidati da Odino, il maggiore degli Asi.
La parola Āss, oltre che in got. e insl.a, si ritrova in tutte le lingue germaniche, come si deduce da:
ingl.a gescot “colpo degli Asi”, in una formula magica contro la lombaggine.
La parola è attestata anche nelle iscrizioni runiche a partire dal III sec.
Etimologicamente, abbiamo che:
gm* ansu- < ie* ans- “respirare”.
• Odino.
Oðinn (isl.a, ingl.a. Wōden, ata. Wuotan < wōðanaz; ie*WAT- “essere spiritualmente eccitato).
E' la divinità in cui Tacito riconosce il Mercurio romano-cfr. Il calco che introduce il terzo giorno della
settimana, infatti
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• Thor
Þorr (isl.a, ingl.a Þunor. ata. Donar sostantivi che indicano il “tuono).
Fu identificato da Tacito con Ercole per la sua esuberanza fisica. Viene presentato come una divinità fortissima
ma benefica, sempre dalla parte dei più deboli. Combatte contro mostri e giganti, ed in questo è simile a Ercole.
Ma più spesso è identificato con Giove. Il nome del giovedì (lat. Jovis diees) compare nelle lingue germaniche
come giorno di Thor (ingl.a. Þunres dæg, ingl. Thursday).
Thor dispone di un'arma, un martello molto pesante, che riconosce solo la sua mano, Mjollnir (“che stritola”).
Fisicamente è un uomo imponente, con una folta barba rossa e una voce possente.
E' rappresentato seduto su un carro trainato da capri. La sua immagine era scolpita su numerosi oggetti. A Thor
si fa risalire l'uso di pendagli claviformi (elemento di identificazione con Ercole).
• Týr
isl.a Týr, ingl.a Tiw, ata. Ziu.
Il nome è riconduvibile alla radice ie.*deywos > gm*teiwas “luce celeste”.
Tyr è una figura complessa che Tacito identifica con Marte (lat. martis dies, ingl.a. Tiwesdæg, ingl. Tuesday).
L'etimologia del nome fa pensare che questa divinità un tempo occupasse una posizione predominante nella
triade (il nome è riconducibile al gr. Zeus e al lat. Juppiter) ma, nel mondo germanico, sembra perdere il suo
primato in favore di Odino.
A tyr venivano offerti sacrifici umani e parte del bottino di guerra. Davanti a lui ci si presentava disarmati, in
segno di sottomissione.
Definito come Mars Thingsus, il “Marte del Thing”, da cui Thinga “assemblea popolare”.
L'arma di Tyr è una lancia. La lancia di Tyr è uno strumento simbolico tramite il quale il dio decideva se muovere
guerra oppure no.
I Vani.
Divinità importanti nei culti agrari, invocati per la fertilità e la pace. Sono: Njorðr, Freyr, Freya,
radice ie. *WEN- (desiderare, amare, lat.venus “piacere, desiderio”).
I Vani sono considerati maestri di magia. Freya avrebbe insegnato agli Asi la pratica del seiðr, “vincolo, legame”.
I Vani si dice abbiano rapporti incestuosi tra loro.
-Snorri racconta dell'attacco di Odino ai Vani, quello che porta all'iniziale attrito tra le due schiere.
Questa lotta altro non è che il riflesso di un contrasto storicamente avvenuto tra due tipi diversi di popolazione.
Rispecchia l'indoeuropeizzazione dell'Europa del Nord, dove si trovava una “precedente cultura megalitica”,
una cultura indigena.
Alla fine del conntrasto tra i due popoli, e quindi tra le due schiere, si arriva a una fusione. Ma questa è solo
un'ipotesi.
Il contrasto tra le due scheiere potrebbe basarsi anche su una questione di status sociale, tra persone dedite
all'agricoltura e persone dedite alla guerra.
• Njorðr
Nerthus di Tacito, è il padre (?) di Freyr, che significa “signore, primo”.
Tacito parla di questa divinità come di una dea, la madre terra (ambiguità circa il suo genere sessuale)
che veniva portata in processione tra i popoli a lei devoti, donando gioia e pace, finchè alla fine, il carro
e la divinità stessa venivano purificati nelle acque di un lago, dove morivano affogati gli stessi schiavi che
lo avevano portato in processione. Questo culto presenta i caratteri tipici del rito per la fecondità dei
campi e ci introduce in un ambiente pacifico e agreste, lontano dalla società guerriera degli Asi.
LA SOCIETA' GERMANICA
La società germanica non può essere ricostruita tramite comparazione. Abbiamo a disposizione solo le fonti
storiche di Cesare (De Bello Gallico) e Tacito (La Germania). Tacito ci dà un'immagine molto ricca delle
istituzioni germaniche, in vari capitoli.
La Sippe.
L'istituzione su cui si regge la società germanica è la famiglia, la Sippe, l'unità costitutiva.
Famiglia va intesa nel suo senso più ampio, come gruppo che si riconosce nella discendenza di un antenato
comune.
Mannus: il primo uomo generato dalla terra. Tutte le Sippe discendono da Mannus.
Nella Sippe il matrimonio ha rilevanza sociale e tramite esso la Sippe si allarga.
Tacito ne parla nei capitoli 18-20. Tacito sottolinea la sobrietà dei rapporti coniugali, e anche una certa 'parità'
tra i sessi. Uomo e donna condividono le attività lavorative e belliche. Ogni uomo “acquista” una donna dopo
aver portato vari doni. Le donne non sono viziate e di facili costumi. Pochi sono i casi di adulterio, puniti
severamente. La vita sessuale inizia ad un'età piuttosto tarda, per garantire ad entrambi i sessi una solidità
fisica maggiore. I figli sono affidati agli zii materni.
Questo è quello che ci dice Tacito, ma non sappiamo se egli possa aver avuto degli intenti politici, riferiti alla
società romana.
I legami di sangue.
La Sippe è basata sui legami di sangue. Il sangue lega gli individui gli uni gli altri nel comune impegno ad
accrescere la Sippe, mantenendo legami pacifici al suo interno. La vendetta di sangue e le faide familiari
vengono sentite come obblighi giuridici che inducono nel caso dell'assassinio di un parente ad uccidere
l'omicida o un suo congiunto.
Le linee di parentela.
Nella Sippe sono importanti entrambe le linee di parentele, quella materna e quella paterna. La
Denominazione è distinta per indicare gli zii paterni e materni:
-zii paterni: fædera (masch.), faðu (femm.)
-zii materni: ēām (masch.), mōdrige (femm)
Tacito evidenzai come, rispetto alla cultura romana, sia rilevante anche la linea di parentela materna.
Nella successione ovviamente predomina la linea maschile.
Il Comitatus.
Alla Sippe, stile di vita che ha come unico scopo il benessere della società familiare, si contrappone un ideale
opposto che tende alla piena realizzazione dell'individuo e all'esaltazione delle sue qualità personali,
indipendentemente dall'interesse collettivo.
Gruppi di uomini tendono ad evadere dalle consuetudini pacifiche ed agresti della Sippe per dedicarsi
completamente all'esercizio delle armi, a servizio di un capo illustre. Lo fanno per vari motivi:
-per difendere la comunità,
-per il piacere di dedicarsi alle attività belliche,
-per desiderio di nuove esperienze ed avventure.
Tacito parla del Comitatus nei capitoli 13-15.
Princeps e Comes
Questa nuova istituzione è chiamata Comitatus. Il Comitatus ovviamente non si fonda sui legami di sangue ma
su una libera scelta, in base al quale il capo ed il suo seguace stipulano un patto: il Princeps, la figura
predominante, si impegna ad accettare e proteggere i suoi seguaci, i comes, garantendogli banchetti e doni
prestigiosi; in cambio, il comes combatte per acquistare fama e potenza al suo capo.
Mentre nella Sippe vale perlopiù un principio di eguaglianza, il comitatus si regge su un rapporto gerarchico,
non solo tra princeps e seguaci, ma anche tra i membri stessi del seguito, che competono in un continuo sforzo
di emulazione.
Comitatus come entità intertribale.
Il comitatus può prestare la sua opera non solo presso la popolazione in cui è nato, ma anche presso altre
nazioni, dove esista uno stato di guerra e quindi possibilità di bottino.
Ciò sottolinea l'aspetto intertribale di questa istituzione.
Il comitatus è un'organizzazione sociale esclusiva delle popolazioni germaniche. Tipicamente germanico è il
contrasto tra i legami naturali di sangue è l'impegno di fedeltà e devozione nei confronti del signore.
I reges germanici.
I reges germanici di cui parlano gli autori antichi sono tutt'altra cosa. Il re viene eletto dall'assemblea e può
essere da essa deposto in qualsiasi momento, soprattutto quando vuole imporre autoritariamente le sue
volontà. La sua funzione è essenzialmente sacra, è un simbolo, e viene scelto in base alla sua capacità di
assecondare il volere degli dei. Qualora non dimostrasse più queste capacità può addirittura essere sacrificato
agli dei.
Classi sociali.
Per quanto riguarda le classi sociali, possiamo affermare che c'era una stratificazione sociale, data la presenza
di tombe principesche e tombe povere e ordinarie.
Tacito riferisce l'esistenza di schiavi, ma afferma che essi venivano trattati “con una certa mitezza”.
Wudokindo di Corvey (fine X sec) ci parla della distinzione tra nobili, liberi e liberti presso i Sassoni e gli
Anglosassoni. Erano severamente vietati matrimoni tra membri di classi diverse