Nel corso del ‘900 la letteratura comparata è diventata una disciplina veramente generale, critica e
mondialistica. Alcuni studiosi americani negli ultimi 20 anni hanno accelerato la crisi della
comparatistica proponendone il superamento o addirittura l'abbandono. Il suo posto/funzione, ovvero
quello di interessarsi delle letterature nei loro rapporti e in rapporto al mondo, sarebbe ereditato da
due nuovi orizzonti transdisciplinari: i translation studies e i cultural studies.
Per "storia comparata della letteratura" si intende una storia letteraria che ha come oggetto di studio e
di scrittura le interazioni tra diverse letterature. Nel caso della comparazione storico-letteraria c'è
bisogno, secondo Jauss, di un tertium comparationis, ovvero di un terzo elemento al di fuori di quelli
che vengono confrontati tra loro, che agisca come orizzonte direttivo della comparazione. Questo
implica che la comparazione non è fine a se stessa poiché non si tratta di una semplice
giustapposizione di oggetti da comparare, ma si incentra sulla problematica del confronto. Alla storia
letteraria, in particolare a quella comparatistica, Jauss affida il compito di rinnovare la fruizione della
letteratura.
Nel Settecento si scrivevano storie universali della letteratura che sono all'origine della storiografia
letteraria comparata vera e propria. Per quest'ultima bisognerà attendere tuttavia la seconda metà
dell'Ottocento, quando in alcune università francesi venne istituito l'insegnamento di una disciplina che
comparava tra loro le letterature europee antiche e moderne, poi denominata littérature comparée.
(Villemain, Ampère e Chasles).
"pratica della storia letteraria": ci si riferisce al fatto che la letteratura comparata nasce in forma
storiografica
"critica della storia letteraria": alludiamo alla crisi della storia letteraria intorno alla metà del 900
(Wellek tiene una conferenza sulla crisi della letteratura comparata nel XX secolo)
"teoria della storia letteraria": intendiamo un lavoro intellettuale che ha prodotto a partire dagli
anni ‘70 un vero e proprio mutamento all'interno degli studi letterari e quindi anche all'interno
della comparatistica internazionale
Nella storia letteraria nazionale rimangono certi concetti tipici della storiografia tradizionale, come
l'idea di "sfondo" europeo della letteratura italiana e quella di "scambio" tra la nostra letteratura
nazionale e le altre letterature europee. Dal 1850 circa fino ai giorni nostri, il genere letterario insieme
a temi e miti ha costituito l'oggetto principale della ricerca storico-letteraria comparata, mentre quella
1
L'uso della comparazione in storiografia letteraria risale in Europa alla seconda metà del 700. La sua
prima forma di espressione è la cosiddetta storia universale della letteratura che, insieme alla storia
letteraria "nazionale" e alla critica letteraria comparata della prima fase del Romanticismo europeo,
costituiscono le basi per la nascita della vera e propria storia comparata della letteratura. Dunque,
nella seconda metà del 700 abbiamo due idee diverse di studio della storia letteraria: quella nazionale
e quella universale. In entrambi i casi si tratta della storia di ogni aspetto della cultura, sia essa
limitata al territorio di una nazione o intesa in senso mondiale.
Studio nazionale: (Es: Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi). In ambito
europeo tra 700-800 vanno ricordate opere come l'History of English Poetry di Warton. Si
tratta storie letterarie in cui la letteratura serve per rappresentare il progresso sociale e
politico di una nazione, sino ad arrivare alla Histoire de la littérature française di Lanson.
Studio universale: consisteva, invece, in una serie di opere di storia sovranazionale della
letteratura (Es: Discorso sopra le vicende della letteratura di Carlo Denina). Le storie
universali della letteratura dovevano fronteggiare le differenze esistenti tra le varie culture
nazionali, a cominciare da quelle linguistiche. Nell'800 vi è stata una crisi della storia
universale a vantaggio di quella critico-nazionale, che ha raggiunto il suo massimo sviluppo.
Per De Sanctis la letteratura è l'essenza della storia di una nazione. Sul piano della storia
universale della letteratura, invece, vanno ricordate Geschicte der alten un neuen literatur di
Friedrich Schlegel e De la littérature di Madame de Stael, entrambe costruite sull'idea di
letteratura come espressione della società. Importante è anche l'opera di Herder, Voci dei
popoli in canti, che studia la poesia dei popoli per conoscere la loro specificità psicologica e
culturale. Dall'ambiente del cosiddetto salotto di Coppett in Svizzera, raccolto intorno a
Madame de Stael, deriva anche De la littérature du Midi de l'Europe di Sismondo Sismondi, in
larga parte concentrato sulla letteratura italiana (dunque ha un ruolo fondamentale nello
sviluppo della storiografia letteraria in Italia). Nei 4 volumi di Sismondi si ha un'analisi
comparata delle letterature romanze tra loro e anche in rapporto alle letterature mediorientali,
in particolare l'araba e la persiana; un'attenzione particolare è data all'influsso della
letteratura araba sulla poesia provenzale e spagnola.
Parallelamente allo studio storico della letteratura nazionale, intorno alla metà dell'800 nasce in
Francia la storia comparata della letteratura (insegnamento accademico della comparatistica nella
Scuola Francese). Villemain e Ampère ne furono i capostipiti, i quali praticavano una storia letteraria di
tipo "accademico", finalizzata dunque all’insegnamento di tale disciplina. Villemain scrisse Cours de
littérature française, diviso in due volumi, mentre Ampère scrisse Histoire de la littérature française au
moyen-age, comparée aux littératures étrangères . Queste opere avevano come obiettivo quello di
individuare l'evolversi di particolarismi nazionalistici di temi, motivi, miti e forme letterarie comuni alla
cultura europea medievale. Un aspetto particolare riguardava il fatto che venissero evidenziati i debiti
e i crediti che una letteratura aveva contratto nei confronti di un'altra, grazie alla ricezione di certi
grandi autori o di opere canoniche. E' a partire dalla fine dell'800 dunque che la storia comparata della
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letteratura europea riceve una prima sistemazione a livello teorico e programmatico grazie
all’insegnamento universitario della comparatistica. La sua funzione viene però ben presto subordinata
al ruolo svolto dalle singole filologie nazionali. Nella formazione di una nuova fase storiografico-
letteraria è stata fondamentale una forte volontà di concepire e rappresentare una cultura europea
avente origini comuni e di delineare così un canone della letteratura europea. Il processo di
canonizzazione definisce determinati autori/testi come "classici" che diventano poi rappresentativi
dell'identità storica di una nazione/civiltà. L'epoca di maggiore fiducia nell'unità della cultura europea
risale agli anni 30-40 del '900. Ricordiamo Storia della letteratura europea di Babits e le opere di
Hazard, Curtius e Auerbach. Subentra in questo periodo l'acquisizione psicologica della nozione di
"differenza" che si sostituisce a quella di "superiorità" della civiltà europea (soprattutto in Hazard). Con
Curtius, nella Letteratura europea e Medio Evo latino , si recupera lo studio della letteratura latina nel
primo Medioevo visto come legame tra mondo antico mediterraneo e quello moderno occidentale.
Nella Introduzione alla filologia romanza troviamo la definizione dell'oggetto di studio della storia
comparata della letteratura, che consisterebbe nel "confronto delle epoche, delle correnti e degli
autori". Un esempio primonovecentesco dello studio universalistico di storia letteraria ci è fornito
dall'opera Storia universale della letteratura di Giacomo Prampolini; qui la diversità culturale
sopracitata è alla base della possibilità di esistenza delle letterature. Viene data anche importanza alle
minoranze etniche che sono fondamentali per valutare lo sviluppo della letteratura di una data area
culturale. Importante il concetto di "fondo umano" nella sua opera, ovvero la continuità dei popoli
basata su sentimenti ed esperienze comuni.
[SINTESI: 5 FASI:
Umberto Eco sviluppa la teoria del lettore nel testo (lector in fabula), ovvero del lettore modello
previsto dal testo. Durisin afferma che l'influenza di un'opera letteraria in un contesto diverso da
quello originario va letta come un processo di ricezione e di appropriazione, criticando così il
pregiudizio secondo il quale una letteratura minore si limiti a importare passivamente da un'altra
letteratura maggiore autori, opere, temi ecc. Intorno alla metà del '900 entra in crisi anche l'identità
tra storia comparata della letteratura e letteratura comparata in quanto tale. A partire dall'opera di
Wellek, The Crisis of Comparative Literature , si inizia ad articolare maggiormente i campi di studio
della disciplina. Qui Wellek evidenzia la necessità di una vera e propria analisi estetico-formale del
testo accanto allo studio delle relazioni storico-letterarie. In Theory of Literature, Wellek insieme a
Warren, teorizza la distinzione tra uno studio "estrinseco" dell'opera letteraria definita nei suoi rapporti
con la storia e la società, e uno studio "intrinseco", il cui oggetto era invece l'opera intrisa di segni e
significati, indipendente dalla psicologia dell'autore e dagli influssi esercitati dal contesto storico-
sociale. In The Fall of Literary History, egli mostra la caduta del ruolo dello storicismo nello studio
letterario, iniziato in Europa e negli USA tra le due guerre mondiali. Il saggio approda alla negazione
della validità della storia letteraria.
Nell'opera Histoire comparée des littératures de langues européennes ci sono 3 punti innovativi:
3. la tensione tra particolare e generale, intesa come continuità dei rapporti che intercorrono tra
opera e interpretazione.
Intorno al 1950 circa sono emersi nuovi modelli di storia comparata della letteratura, nati in seguito
alla messa in crisi della prospettiva eurocentrica. Dagli anni ‘80 sono state elaborate una serie di studi
di teoria della storia letteraria che hanno fatto da quadro generale alle opere di storiografia letteraria.
Alla teoria della storia letteraria in ambito comparatistico ha contribuito anche l'opera di Claudio
Guillén, Teorias de la historia literaria. Fondamentali in questo cambiamento di prospettiva della storia
comparata della letteratura alla fine del '900 sono almeno 3 condizioni generali:
1) la critica all'eurocentrismo
Il genere letterario, oltre al tema, sembra costituire un tramite tra le diverse lingue letterarie poiché
permette di controllare meglio il rapporto tra dimensione diacronica e sincronica della letteratura, tra
produzione e ricezione di testi. Nel Documento dei saggi si traccia il profilo della scuola italiana del
futuro, sottolineando la necessità e l'intenzione di riformare in senso tematico-interdisciplinare
l'insegnamento della letteratura nella scuola d'obbligo, ma anche l'imprescindibilità dei docenti di
4
avere una mediazione critica di tipo interculturale (non eurocentrica). Non sono però chiare le
modalità in cui lo studio interdisciplinare di un testo si debba attuare.
Negli ultimi anni ci si è occupati della tematizzazione e della valorizzazione di realtà "diverse", come le
culture delle minoranze etniche o la scrittura prodotta dalle donne, che esprimono un punto di vista
alternativo. Per delineare la situazione attuale potremmo individuare 4 voci che evidenziano i campi di
crisi della storia letteraria tradizionale: il canone, la narrazione, l'enciclopedia e il punto di vista. Ogni
storia letteraria veicola presso i suoi lettori l'immagine di un canone, cioè un insieme esemplare di testi
e di autori al fine di creare l’identità culturale di una comunità. Ciò avviene attraverso l'invenzione di
una continuità letteraria nel tempo grazie a un'operazione critica che è la storia letteraria, appunto,
che media tra memoria e attualità. La questione del canone costituisce oggi uno dei cavalli di battaglia
dei cultural studies, un'area di studio interdisciplinare sviluppatasi in Gran Bretagna a partire dagli anni
‘60 e poi ripresa in Nordamerica durante gli anni ‘80, nella quale si indagano i rapporti tra cultura e
società. Fondamentale nella rivalutazione della narrativa nel discorso storico sulla letteratura sono
state, oltre ai cultural studies, le tesi del new historicism, una tendenza della cultura accademica
nordamericana emersa alla fine degli anni 70, la quale pone l'accento sulle connessioni tra testi e
contesti. White afferma che l'opera storiografica è un testo poetico, cioè funzionale, quindi una
narrazione. Il new historicism va inteso anche come reazione al movimento di critica dello storicismo
degli anni ‘50, ovvero il new criticism che aveva criticato la fiducia eccessiva nella comparazione
storico-letteraria, fondata su un'idea della letteratura come insieme dei propri antecedenti storici. Un
esempio italiano di storia letteraria enciclopedica (che organizza gli eventi secondo uno schema
aperto, non unidirezionale, teso ad esprimere il passato come entità eterogenea e molteplice) è la
Letteratura italiana Einaudi diretta da Alberto Asor Rosa, in cui si rinuncia sin dal titolo alla dimensione
storica come carattere dominante. Sollors evidenzia come nella storia delle storie letterarie prodotte
nel corso nel '900 negli USA si sia sviluppato un canone letterario esclusivamente anglofono, il quale a
sua volta presuppone un fruitore esclusivamente monolingue. Sollors propone una nazione multilingue
e di conseguenza una letteratura multilingue.
Si ha poi la tematizzazione di nuovi punti di vista che fanno sì che si siano create le letterature della
diaspora, dell'emigrazione e delle donne. Da ricordare anche gli woman studies che hanno posto una
serie di problemi su come si debba scrivere oggigiorno la storia della letteratura delle donne.
[SINTESI: si è passati alla crisi dello storicismo negli studi letterari ( new criticism) a partire dagli anni
50, a un recupero in diverse chiavi, critica/teorica/polemica, della storia letteraria durante gli anni 80-
90].
L'antichità classica, con le sue letterature greca e latina, è stata a lungo considerata la radice più
profonda della cultura occidentale ed è dunque imprescindibile per lo studio delle letterature
comparate.
Gli studi classici individuano i fondamenti della civiltà europea nella Grecia del VI-IV secolo a.C dove i
filosofi migliori sono considerati Socrate, Platone, Aristotele ecc. Per secoli si è detto che la storia del
pensiero europeo non è altro che la rielaborazione delle filosofie platonica e aristotelica, e per la
letteratura ci si rifa invece ad Omero, Alceo, Saffo. Dunque, si sente spesso che quanto l'umanità è
stata in grado di creare dal punto di vista filosofico e letterario si deve al miracolo creativo che si
verificò in condizioni di eccezionale splendore ad Atene. Questa credenza, soprattutto negli ultimi anni,
è andata scemando in quanto si riconosce l'importanza della mediazione romana. Ci sono stati recenti
studi sui miti delle origini e sulla loro elaborazione; in particolare ricordiamo Black Athena di Bernal, il
quale ripercorre il processo che gradualmente ha portato a costruire il mito dell'origine della civiltà
greca. Il titolo fa riferimento ad una dea greca di origini africane presupponendo un'equazione
egizi=neri che poi è stata smentita (es: la democrazia greca era stata anticipata dall'assemblea dei
liberi in età sumerica e alcuni teoremi di Pitagora sarebbero stati scoperti già dai babilonesi--> dunque
si vogliono evidenziare le origini afroasiatiche della civiltà greca). Le basi dell'operazione di Bernal si
sono rivelate piuttosto fragili ed inoltre è stato criticato di un eccessivo eurocentrismo che nobilita le
civiltà afroasiatiche collocandole all'origine di quelle europee.
Momigliano mostra come i greci non nutrirono mai interesse per la cultura straniera in quanto tale, né
impararono mai altre lingue, anche se questo ovviamente non impedì loro di risentire delle influenze
esterne. Un passo avanti è stato compiuto da Burkert, il quale spiega come Omero sia stato
influenzato dai poemi epici accadico-babilonesi. Galinsky, invece, ripercorre i miti di un'occupazione
della Grecia originaria da parte di popoli non greci e raccoglie alcune testimonianze che mostrano
come l'influsso egizio sia stato determinante nell'arte e nell'architettura greca. Un grande risultato si è
però avuto con West negli ultimi anni, in quanto ha esteso l'indagine alle forme espressive ed ha
ipotizzato molte occasioni di incontro che potrebbero giustificare queste consonanze.
L'interesse che riguarda l'individuazione dell'influenza delle letterature classiche sulle letterature
europee medievali e moderne è più antico. Ricordiamo infatti Curtius con la già citata Letteratura
europea e Medio Evo latino in cui spiega come determinati elementi della letteratura, tra cui
l'immagine di Dio come artigiano, si trasmettano con una certa continuità dalle letterature classiche a
quelle moderne attraverso la scuola e l'imitazione. L'altro grande contributo arriva da Auerbach,
filologo romanzo di origine ebrea, con l'opera Mimesis, in cui, partendo da un determinato autore, ne
analizza lo stile per ricavarne caratteristiche peculiari da mettere poi a confronto con citazioni di altri
scrittori per poi disegnare il quadro di un'epoca culturale o di una tendenza stilistica. Auerbach come
Curtius mostra come solo la comparazione sia in grado di definire le peculiarità di un autore. Segal,
invece, mostra come debba essere rinnovato l'interesse nei confronti della letteratura classica poiché
questo contribuirà ad offrire un panorama letterario più ampio. Agosti, inoltre, critica l'isolamento
dell'antichista che è tanto più insensato in un'epoca in cui egli ha perso il suo ruolo guida
dell'istruzione occidentale.
L'immagine dello straniero che ci arriva dagli antichi è condizionata moltissimo dalla definizione di
"barbaro" con cui i greci designavano i non parlanti la loro lingua. Lo straniero greco effettuava una
distinzione tra xenos, ovvero lo straniero greco per esempio spartano, e bàrbaros, lo straniero non
greco per esempio i persiani. Il termine è di origine onomatopeica e designerebbe il balbettamento cui
assomiglia una lingua non conosciuta. I greci dell'età arcaica (fino al VI secolo a.C) e classica (fino al
IV secolo a.C) sono caratterizzati da una precisa consapevolezza della propria identità e da un
accentuato eurocentrismo. Fu così che in virtù della loro consapevolezza di essere superiori, poterono
esercitare una sorta di dominio sui barbari che rimasero esseri diversi ed inferiori, impossibilitati nel
partecipare ai giochi olimpici o ad altre manifestazioni religioso-sportive. Euripide considera legittimo il
dominio dei greci sui barbari, poiché i primi sono uomini liberi ed i secondi sono schiavi, mentre
Aristotele spiega questa differenza come un'inferiorità naturale non superabile. La situazione cambia
quando l'espansione militare di Alessandro Magno getta le basi, fragili sul piano militare ma
radicatissime su quello linguistico culturale, per l'ellenizzazione del mondo asiatico ed egizio. Molti
degli intellettuali dei paesi che subirono l'invasione alessandrina, infatti, adottarono la lingua greca; di
fatti, molta della letteratura che noi consideriamo greca è in realtà produzione dei nativi dell'attuale
Siria, Libia, Libano, Turchia. Lo xenos greco corrisponde infine all'hostis romano, termine che designa
sia l'ospite sia il nemico. In sintesi, lo studio dell'imagologia degli antichi greci, cioè l'immagine che
essi si facevano degli altri popoli, si articola su 2 piani: 1) si assume come oggetto di indagine i
reportage etnografici di storici e geografi antichi, soprattutto greci; 2) l'altro piano è quello
iconografico. Ad esempio si ricorda il lavoro di Snowden sull'iconografia dei neri nell'antichità: il
risultato è a suo parere che i neri non furono una minoranza iconografica, ma un soggetto frequente
con diverse interpretazioni. Nel complesso, la mentalità romana è più aperta alle altre culture, sia per
influenza della filosofia greca nella sua forma ellenistica piuttosto che classica, sia per la vocazione
imperialistica che portò Roma a governare popoli di lingue, religioni e usanze senza umiliarne le
specificità e le tradizioni, ovvero l'identità. Solo con il cristianesimo, però, si arriverà ad imporre l'idea
di un'equivalenza degli uomini di qualsiasi lingua e paese.
Con il termine "ellenismo" si indica il periodo di espansione della cultura greca in Oriente,
caratterizzato dalla fusione di elementi greci con elementi orientali, a seguito della conquista,
realizzata da Alessandro il Macedone, dei territori asiatici fino al Punjab. L'immenso territorio venne
conquistato da Roma tra la fine del III e la metà del II secolo a.C. (tranne l'Egitto che divenne romano
nel I secolo a.C.). Con l'ellenismo entrano a svolgere un ruolo fondamentale nella storia della
letteratura greca, cioè europea, centri culturali africani e orientali, italici, palestinesi ecc. L'impero
romano eredita l'ellenismo dal punto di vista politico, creando un impero multietnico, e da quello
culturale e letterario (romanzo, epigramma, commedia...). I romani assunsero il meglio di un'altra
cultura senza però indebolire la propria egemonia e senza rinunciare alle proprie tradizioni. Le origini
della stessa letteratura latina rimandano al contributo di uno straniero: Livio Andronico, l'autore delle
prime opere latine, che era uno schiavo greco la cui lingua era probabilmente il greco. Terenzio era
uno schiavo africano accolto poi nel circolo degli Scipioni…e così via. Tutta la società romana, dopo
l'incontro con la Grecia, rimase a lungo bilingue e ciò agevolò una familiarità con la multiculturalità
dell'espressione e del confronto. Un altro evento di pari importanza fu l'incontro della cultura classica
nella sua forma ellenistica con la cultura biblico-semitica nella sua variante cristiana: questo evento
consentì l'ingresso nell'Occidente di una religione monoteista, di una preferenza per il contenuto
anziché per la forma, di un rilievo maggiore dato alla donna, di un'idea di perfezione raggiungibile
sono nel rapporto con l'altro e con Dio. Questa fusione di civiltà portò nella letteratura una rivoluzione
totale, dando nuovo prestigio allo stilus humilis (generalmente evitato dagli antichi, come ha
documentato Auerbach) e all'espressione popolare, ma soprattutto restituendo alla scrittura un
rapporto vitale con la realtà.
-Trasmissione di culture nel Medioevo: germani e latini dallo scontro ai "Carmina Burana"
Ciò che diede origine alla letteratura europea si produsse tuttavia nel passaggio dalla tarda antichità al
Medioevo, fa IV e VIII secolo (stanziamento di franchi, visigoti, ostrogoti, vandali, longobordi,
alamanni ecc.). I loro testi sono composizioni esclusivamente orali, destinati tuttavia a scomparire in
gran parte col passaggio alla cultura scritta che assicura una diffusione coerente del sapere. Il primo
nome che si ha nella letteratura germanica è quello di Otfried; dopo la riforma carolingia, la mancanza
di una trasmissione scritta viene percepita oramai definitivamente come assenza di memoria storica e
dunque come assenza di identità. Nei regni romano-barbarici l'opposizione barbari/romani resta vitale,
ma non dipinge più una contrapposizione strettamente etnico-linguistica. E' l'oppressione degli strati
più miseri della popolazione che spinge a giustificare sul piano morale la pur dolorosa "liberazione"
portata dai barbari. La Chiesa si pose così come ente di mediazione fra i barbari e la popolazione
romana, compresi i suoi reggenti politici: l'ipotesi di convertirli e di farne membri della Chiesa
costituiva una possibilità efficace di assorbimento ed un collegamento fra le civiltà. Secondo
Momigliano, la conversione al cristianesimo fu parte di quel processo per cui i germani vennero
romanizzati e poterono convivere coi cittadini dell'impero romano. Questo connubio letterario romano-
germanico si ritrova in opere storiografiche che narrano le storie dei germani, in indovinelli ecc. Con
Carlo Magno si ebbe poi un recupero e una valorizzazione della lingua latina, tanto nella liturgia
quanto nella formazione scolastica. Questa latinità internazionale ritarda certamente lo sviluppo delle
lingue volgari. In quest'epoca il codice dei Carmina Burana ospiterà poesie latine e tedesche e, in
qualche caso, testi bilingui che documentano il sentimento di una pari dignità delle due espressioni
culturali. Mentre la grande letteratura e la storiografia romana erano scritte in latino da autori di ogni
parte del mondo, ma si occupavano sempre e comunque di storia universale, cioè dell'espansione
romana, la produzione medievale esprimeva in latino il punto di vista di autori di provenienza
estremamente varia su problemi anche regionali, perché non esisteva più un centro localizzabile
geograficamente.
Non possiamo non ricordare fra gli esempi più significativi il mistero dell'origine della lirica d'amore
provenzale, che è alle radici del nostro stilnovo e in ultima analisi della concezione romantica
dell'amore in Occidente, che secondo alcuni studiosi deriverebbe dall'influenza delle poesie d'amore
scritte dagli arabi stanziati in Europa (in particolare quelli d'Andalusia). Si è pensato dunque che le
crociate e la Reconquista cristiana della Spagna abbiano offerto occasione di conoscere questi versi
grazie alle cortigiane fatte prigioniere e poi messe a cantare nelle corti provenzali. Però la realtà è più
complicata, in quanto ci sono testimonianze di influssi occidentali sulla letteratura araba. Inoltre,
recentemente è stata ripresa in considerazione l'ipotesi di un'influenza della scala Mahometi, versione
latina di una visione araba dell'aldilà, sulla Comedia di Dante. Solo negli ultimi anni comincia a
svilupparsi, con l'estendersi dell'insegnamento di lingue orientali nelle università europee e americane,
una medievistica comparata in senso interculturale.
Nell'opera di Frappier si illustrano le opportunità che il settore medievale offre all'analisi comparata
grazie alla sua natura multiculturale. Egli proponeva una vasta gamma di opzioni di ricerca che in
parte coincidono con quelle sperimentate da Curtius: la comparazione di temi e motivi, di formule e
topoi, miti e generi ecc. Il continuo confronto col Medioevo ha costituito lo sfondo implicitamente
comparatistico dei migliori studi di medievistica letteraria, anche attraverso la possibilità di estendere
l'analisi a una "psicologia comparata" dei popoli. Altrettanto costante, tuttavia, è rimasta la limitazione
di questi confronti all'orizzonte eurocentrico. Il primo passo verso una medievistica interculturale è
stato forse compiuto dai translation studies e ciò ha portato ad uno sviluppo di una traduttologia
medievistica. Importante in questo senso in Italia è stato il convegno bolognese "Poetica medievale.
Confronti e incontri: tradizione arabo-islamica e tradizione occidentale", che ha visto per la prima volta
in Italia un dialogo fra ricerche sulla tradizione retorico-poetica occidentale e orientale.
La tematologia è quella impostazione metodologica che studia gli aspetti contenutistici di un testo
(temi, miti e topoi). Questa branca di studi ha origine prevalentemente tedesca, tantoché è stata
tradizionalmente denominata Stoffgeschichte, ovvero storia dei "materiali”, affermatasi a fine ‘800. In
un saggio del 1970 intitolato The name and Nature of Comparative Literature, René Wellek ha
individuato l'origine di quella che in seguito sarebbe stata definita come Stoffgeschichte nell'attività dei
fratelli Grimm, i quali ad inizio '800, inaugurarono, con i loro studi comparati sulla migrazione delle
favole, delle leggende e delle saghe, un filone di indagine sulla trasmissione dei motivi attraverso la
letteratura popolare di tradizione orale o anonima. All'incrocio tra Stoffgeschichte e letteratura
comparata fu importante la nascita della ricerca tematologica, a partire dalla fine del 1800 attorno a
due pubblicazioni tedesche. Paul Van Tieghem, nel primo manuale sistematico dedicato alla letteratura
comparata (1931), introduce da una parte il nuovo termine thématologie a indicare la branca di studi
comparatistici che si occupa di indagare temi e miti letterari, mentre dall'altra si mostra perplesso nei
confronti del suo valore critico. Guyard, invece, mostra come la tematologia, nonostante si fosse
prefissata di far evolvere e far crescere la ricerca comparatistica, si ritrovi collocata in posizione
marginale all'interno della disciplina in quanto opera ad avere un arido censimento, una schedatura di
temi e motivi in ordine cronologico (come farà Farinelli in Italia). Nel complesso, fino agli anni '60 si
diffuse in modo differente una sostanziale critica nei confronti della ricerca tematologica in quanto
quest'ultima perde di vista ciò che rende stimolante la letteratura e non può mai penetrare nell'opera
letteraria poiché il punto di partenza è il tema, ovvero un'astrazione. Secondo Wellek, dunque, la
9
- Gli sviluppi dello studio comparato dei temi e dei miti letterari
Fu a partire dagli anni '70 con i contributi di Trousson e Levin che cominciò ad affermarsi una nuova
tematologia comparatistica che riguardava anche un aspetto storico-critico. Trousson è stato infatti
uno dei riorganizzatori della Stoffgeschichte, mosso dall'obiettivo di sottrarla a un'impostazione
meramente genealogico-documentaria per restituirla a un approccio storico-critico più complesso.
Secondo lo studioso belga, lo scopo di uno studio tematologico è di interpretare le variazioni di un
tema letterario attraverso il tempo, alla luce delle loro relazioni con gli orientamenti storici, ideologici e
intellettuali.
Si distingue tra i "temi dell'eroe", legati ad una figura mitica che si rende autonoma rispetto al
contesto narrativo che l'ha generata (es. Orfeo; Prometeo), e "temi di situazione" che vertono su
vicende mitiche in cui la figura principale non assume un'esistenza indipendente dal contesto narrativo
(es. Mito di Edipo). Trousson afferma anche che i miti letterari, derivati talvolta da remoti miti religiosi,
hanno generato, una volta entrati nella tradizione letteraria e culturale, i temi. Egli differenzia tra
critica tematica, intesa come l'indagine del tema caratteristico di una singola opera, e la tematologia,
intesa come studio comparato delle trasformazioni storiche di un tema attraverso una pluralità di testi.
La nuova critica tematica venne soprattutto tra gli anni 50-60 incarnata in alcune delle tendenze
fondamentali della nouvelle critique ginevrina e francese, che individuò nel tema la chiave
dell’interpretazione di un'opera letteraria. Tra gli esponenti fondamentali di questa scuola abbiamo
Jean-Paul Weber, teorico del "monotematismo", per il quale l'intero atto creativo può essere
interpretato come la ripetizione di un tema unico, di un'immagine originata da un ricordo di infanzia
custodito nella memoria dell'autore e che si può manifestare sotto forma di un oggetto, un'immagine,
di una scena ecc. Nasceva così la psicocritica di Mauron, la quale indagava l'inconscio dello scrittore
sulla base delle metafore ossessive, ricorrenti e spesso involontarie, criptate, per poi risalire ad un
mito personale, espressione sintetica della personalità inconscia dell'autore. Tra gli anni 60-70 si ha la
fioritura in Francia della cosiddetta "mitocritica" che troverà il suo maggiore teorico in Pierre Brunel.
Importanti sono le opere di Trousson sul tema di Promoteo e di Dédéyan sul tema di Faust nella
letteratura europea, evidenziando il problema terminologico legato all'uso del termine "tema" al posto
di "mito" letterario da parte di entrambi gli studiosi. Sempre a partire dagli anni '60, Levin sostenne
l'importanza e il valore storico-critico della ricerca tematica, soprattutto in area comparatistica.
Lo studio tematico venne marginalizzato per diversi motivi, primo tra i quali la difficoltà di conciliare la
tematologia e tutte le sue dinamiche di sconfinamento extraletterario con l'analisi formale. Un secondo
motivo era legato al rifiuto della soggettività che si ha quando un critico individua, seleziona e
interpreta dei temi. Nel corso degli anni '80, però, divenne sempre più evidente che lo studio critico
non poteva ignorare i temi di un'opera e dunque cominciò a diventare fondamentale un legame
contenuto-struttura.
-I miti letterari
La definizione del mito può richiamarsi all'etimologia greca del termine mythos che indica il racconto in
10
accezione "favolosa". Il mythos fa riferimento ad una realtà che eccede i limiti dell'esperienza e della
ragione. "E' sempre il racconto di una creazione, in quanto si narra come qualcosa è stato prodotto,
come ha cominciato ad essere" (Eliade). Il mito è narrazione poiché è evidente il legame mito-
racconto. Per Brunel, letteratura e arte giocano un ruolo fondamentale nella conservazione dei miti in
quanto è grazie a loro che possono sussistere e sopravvivere, all'interno però di un processo di
adattamento, di eclissi che li riattiva in base ad una determinata epoca. Secondo Trousson il mito è
una rappresentazione simbolica di una situazione umana esemplare e diviene un tema di cui si
impadronisce la letteratura. Da un punto di vista etno-religioso, il mito si configura come un racconto
fondatore, anonimo e collettivo che ha una funzione socioreligiosa proponendo modelli di condotta
morale e sociale. Per Lévi-Strauss i miti non hanno autore, mentre lo studioso strutturalista Greimas
afferma che ciò che contraddistingue i miti è la ridondanza. Brunel stabilisce 3 funzioni essenziali
all'individuazione del mito:
Si ha l'abitudine di parlare del mito di Ulisse, in seguito a numerose riprese dell'Odissea come l' Ulysses
di Joyce. Ma questo costituisce un problema perché non è necessario che ci siano numerose riprese
per far sì che si parli di mito letterario. Dunque, secondo la classificazione di Sellier, troviamo i miti
letterari nati dalla rielaborazione narrativa di racconti d'origine mitica, dall'altra ci sono i miti letterari di
nascita "recente", originati da opere letterarie (Es: Tristano e Isotta, Faust, Don Juan...).
ELEMENTI DEL MITO LETTERARIO: il mito ha un carattere polisemico e polivalente che è degno di
attenzione da parte degli studiosi. Le sue caratteristiche, infatti, sono rappresentate dal valore di
esemplarità di cui esso è portatore, dal potere che ha sulla coscienza collettiva e dall’attitudine a
nascere e rinascere trasformandosi continuamente. Si pone poi il problema della ricezione letteraria: i
parametri di aspettativa del lettore condizionano il tema svelandoci le ragioni della permanenza, della
trasformazione o dell'eclissi di un mito o tema letterario all'interno di contesti differenti. Daniel-Henri
Pageaux specifica che "non c'è mito senza destinatario". La relazione tra mito e testo letterario si può
articolare in modi differenti: il mito si può configurare come integralmente mitico, oppure può
integrare al suo interno dei miti sotto forma di racconti incastonati; oppure ancora la presenza del
mito può essere criptata, non esplicita. All'interno del mito ci possono essere unità invarianti che
definiscono il modello mitico permanente, che è ciò che assicura la trasmissione dell'identità del mito,
e unità varianti che riguardano questioni di poetica e di immaginario individuale. Si parla poi di
"metamorfosi laterali", ovvero dei passaggi del mito attraverso generi letterari differenti. Ci sono così
diversi metodi di analisi mitologica che vanno appunto dall'analisi della struttura del testo (schema
mitico) ai problemi del passaggio da una versione all'altra del mito letterario o al rapporto tra mito e
storia culturale.
-I temi letterari
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Pierre Brunel definisce il termine "tema" come un "deposito", basandosi sulla radice del verbo greco
tithemi che significa porre, posare, depositare. In generale, i temi sono soggetti di interesse collettivo
che si depositano nell'orizzonte storico-letterario trasmettendosi in prospettive di lunga, media o breve
durata. I temi letterari, dunque, sono entità mobili, flessibili, metamorfiche. Troviamo così i cosiddetti
"universali tematici" a longues durées, e a forte radicamento culturale, e le tematiche/ imageries
d'epoca, fino ad arrivare alle tematiche personali. Per quanto riguarda le categorie, si va dai temi
mitologici, leggendari e storici ai temi sociali e morali, ai topoi e luoghi comuni, a episodi o scene
ricorrenti che certi generi richiedono per convenzione, ai temi storici, sentimentali ecc.
I MOTIVI: sono le particelle più piccole del materiale tematico, dalla cui associazione si generano i
temi dell'opera. Il tema rappresenta così l'unità maggiore capace di aggregare e organizzare al suo
interno una molteplicità di motivi--> i temi si configurano come aggregazioni di motivi. Quando la
concorrenza di diversi motivi diventa stabile si designa questo complesso tematico come topos.
Pageaux afferma che ogni tema ha una doppia dimensione: quella legata al testo specifico e quella
aperta alle dinamiche storico-culturali/letterarie. Importante anche il discorso dell'ipertestualità, in
quanto, rileggendo dei patrimoni tematici e miti ricorrenti, si fa sì che questi possono essere collegati
a determinati testi tra i quali si crea un collegamento ipertestuale. Un approccio invece intertestuale
prevede la costituzione di serie tematiche, ovvero di insieme di testi raggruppati a partire da uno
stesso tema o motivo e analizzati contrastivamente. I temi sono polisemici e ciò li rende mobili e
soggetti ad una pluralità di letture interpretative. Proprio perché il tema è un punto di incontro tra
realtà e testo si giustifica il proliferare di correnti come women studies, gender studies, black studies,
ethnic studies, cultural studies e new historicism.
Genere deriva dal latino e significa "stirpe", "nascita". E' inteso oggigiorno come una serie di oggetti
particolari che hanno in comune degli elementi essenziali e allo stesso tempo dei caratteri secondari
che li distinguono singolarmente. Già con Aristotele si erano date delle definizioni di genere, ma la
prima stretta definizione si ha in epoca alessandrina. E' la cultura rinascimentale che riscopre il testo
aristotelico come avente una funzione classificatoria nei confronti dei generi letterari. Nella lingua
italiana, "genere", nell'accezione di genere letterario, è attestato intorno alla metà del '500 come "tipo
di composizione avente specifici caratteri di contenuto e di forma". Con Hegel si recupera il criterio
nomenclativo (classificatore) dei 3 generi maggiori: epica, lirica e dramma. Il Romanticismo ha dato
un apporto fondamentale alla storia del genere letterario in quanto ha segnato una frattura vera e
propria nel modo di concepire il genere. Questo apporto è visibile ad esempio nella pratica delle forme
miste dei generi e nella progressiva definizione del rapporto tra generi e sottogeneri in termini storici.
Un altro concetto fondamentale che viene dal Romanticismo è l'idea di evoluzione e di progresso della
letteratura attraverso l'evolversi dei generi. Croce critica il concetto di genere letterario, in quanto puro
nome con funzione nomenclativa e storiografica, di nessuna funzione nella creazione artistica.
-Una "nozione-esorcisma"
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Per Todorov, il genere letterario è il frutto di una codificazione di determinati atti linguistici ricorrenti
che una società istituzionalizza in quanto funzionali alla sua ideologia. Genette afferma che solo le
variazioni del genere contino dal punto di vista letterario. I generi, non solo mutano in continuazione,
ma non è nemmeno possibile farli coincidere con specifici testi letterari, in quanto un testo può
appartenere a generi differenti. Il concetto di genere è strettamente legato a quello di ricezione.
Il genere riacquista importanza nella cultura italiana del dopoguerra e proprio nel campo dell'estetica
con Anceschi e Pareyson. Negli USA Wellek e Warren nella loro celebre Theory of Literature, partono
proprio dal veto crociano per riesaminare il genere letterario. Warren distingue tra una teoria classica
e una teoria moderna dei generi. Quella classica è normativa e prescrittiva, tende cioè a definire un
canone di regole da seguire nella composizione di un'opera letteraria. Di conseguenza vige l'idea di
"purezza del genere", ovvero di unità formale e tematica. Quella moderna ha innanzitutto un carattere
descrittivo per cui ne deriva la possibilità della mescolanza tra i generi e il fatto che non ci sia un limite
al numero dei generi possibili.
-Il genere come categoria collettiva nello studio generale e comparato della letteratura
La comparatistica ha contribuito ad evidenziare il fatto che una teoria dei generi possa condurre alla
costruzione di "modelli" o autori-modello. Guillén afferma che ci si debba sforzare ad osservare i
generi da un punto di vista sia tematico sia formale. Si ritiene inoltre che i generi siano dei veri e
propri attivatori della memoria culturale, in particolare il romanzo storico e la (auto)biografia. Con il
tema, il genere condivide il carattere metamorfico e allo stesso tempo la ricorsività all'interno della
storia letteraria.
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Proprio il '900, ed in particolare la sua seconda metà, ha segnato una svolta nell'approccio allo studio
delle arti, e più in particolare nello studio dei loro rapporti, problema che era stato precedentemente
lasciato da parte. Oggi è la letteratura comparata che analizza i modi in cui si incontrano le diverse
espressioni artistiche. Solo alla fine degli anni 40 del '900 si amplia la definizione di comparatistica
estendendola fino ad inglobare i rapporti tra la letteratura e le altre arti, specificando che queste
ultime intrattengono spontaneamente tra loro dei rapporti proprio come da sempre lo fanno le diverse
letterature. La comparatistica analizza in modo concreto i modi in cui le arti interagiscono tra di loro.
Nel capitolo 11 di Theory of Literature di Wellek e Warren si mostra come sia labile il confine tra teoria
della letteratura e comparatistica. Ricordiamo il capolavoro di saggistica sui rapporti tra letteratura e
arti visive di Mario Praz, Mnemosyne, in cui si mostra la necessità del rapporto tra arti diverse (Wellek
e Warren ne mostrano solo la possibilità). E' la letteratura che guida il gioco delle arti, in quanto è
tramite la lingua che avviene la riflessione su tutte le arti.
Nella Grecia classica il concetto di arte non aveva la connotazione moderna di opera personale e
irripetibile, ma definiva un'attività più vicina all'artigianato o alla tecnologia; inoltre non esisteva una
distinzione netta tra poesia, musica e danza. Lo studio più completo che ricostruisce la creazione e
l'evoluzione del canone delle arti in Europa è di Kristeller, fondamentale per capire che parlare di
rapporto tra le arti può avere un senso soltanto per il periodo storico che va dal 1700 in poi. Infatti,
studiare il rapporto tra letteratura e altre arti vuol dire studiare allo stesso tempo i modi in cui il
rapporto si crea e i fatti che lo determinano (es: non si può parlare di un rapporto stretto poesia-
musica in Grecia, in quanto il rapporto stretto nasce più tardi quando queste due arti non sono più
fuse insieme). Le arti figurative o la musica possono essere l'oggetto della letteratura (es: Ode on a
Grecian Urn di Keats), oppure costituirne l'ossatura (" à rebours di Huysmans, intessuto di descrizioni
di oggetti d'arte). I rapporti tra letteratura e cinema sono forse anche più complessi e stretti di quelli
tra letteratura e musica; un atto di scrittura, infatti, precede sempre un film, anche quelli che non si
rifanno ad un'opera letteraria. D'altra parte, però, qualsiasi tipo di rapporto letteratura-cinema è più
indiretto, in quanto l'opera letteraria ha bisogno di un'intermediazione di una traduzione complessa
per far sì che si passi dalle parole alle immagini. Nel passaggio dal romanzo al film, il testo di partenza
può capitare che venga radicalmente rielaborato ed attualizzato. Spesso poi è capitato che le arti
seguissero percorsi differenti (es: Neoclassicismo in pittura in scultura, ma questo termine non
avrebbe senso in musica). Inoltre, un'arte può tentare di imitare i procedimenti di un'altra arte, come
è accaduto per lo stream of consciousness che si è basato sulla tecnica musicale della "melodia
infinita" di Wagner.
Il viaggio si può intendere sia in senso reale sia in senso allegorico/metaforico per far sì che entri a far
parte del genere della letteratura di viaggio? Il problema non è di facile soluzione. Innanzitutto, la
letteratura di viaggio è un genere mutevole che si sovrappone ad altri generi ed ha accolto nel proprio
ambito testi destinati ad altri scopi (es: l'antica letteratura scientifica che descriveva i luoghi esplorati
proponendosi come strumento di informazione). Lo scopo della letteratura di viaggio è quello di
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valicare i confini, di confrontare l'interno con l'esterno, che alla fine è il compito della comparatistica.
L'incontro con l'altro e con l'altrove costituiscono sia il fine del viaggio reale sia il motivo per il quale
esso viene raccontato. La letteratura di viaggio è internazionale e solamente negli ultimi 20 anni,
grazie ai gender studies a ai cultural studies, i testi di viaggio sono stati inseriti nei testi culturali. Lo
studio della letteratura di viaggio si troverà a lavorare a fianco di altri campi di ricerca come gli studi
postcoloniali, i gender studies, l'imagologia, la letteratura della migrazione ecc. Hodoeporicon (relativo
al viaggio) è il titolo del più antico diario di viaggio mai apparso nella letteratura anglosassone in cui si
racconta un viaggio a Gerusalemme.
I caratteri dominanti della letteratura di viaggio sono: partire, viaggiare e tornare. Spesso è solo uno
ad assumere un carattere rilevante. Il termine "partire" deriva dal sostantivo latino pars, partis cioè
"parte" ed implica quindi l'atto della separazione, termine riconducibile più alla morte che alla vita (es
"dipartita"). Ma dalla stessa radice si origina il verbo parere ossia partorire, chiaramente da collegare
alla nascita. Dunque, il termine ha una doppia connotazione di inizio/fine e nascita/morte: partire
significa lasciare (come dimostra meglio il verbo "leave" dall'inglese), abbandonare il vecchio alla
ricerca del nuovo se stesso. La parola "viaggio" invece, deriva dal provenzale viatge che a sua volta
deriva dal latino viaticum che implica tutto ciò che viene consumato durante la strada. Dunque, purché
un viaggio sia tale si deve considerare come l'esperienza stessa del viaggio, cioè la scoperta
dell'altrove, sia stata recepita. Infine, la parola travel conserva nell'etimologia qualcosa di relativo alla
sofferenza (tripalium era il nome di uno strumento di tortura): la parola assume quindi una
connotazione di sofferenza imposta. "Tornare", invece, designa l'idea di recuperare il luogo
abbandonato o perduto ed è ciò che completa e qualifica il viaggio: è dunque il ritorno la meta ultima
del viaggio. Si parte sempre per ritornare, anche nel caso in cui la meta non coincida geograficamente
col punto di partenza. In base all'enigma delle fonti del Nilo, la cui fonte si riteneva fosse nel cielo, si
può dire che ogni viaggio non può essere che la negazione della precedente visione del mondo.
[MITO DEGLI ANTIPODI: dall'altra parte della terra vive un popolo tanto diverso dai popoli di questa
nostra parte da costituirne l'esatto contrario; è l'idea di popoli e luoghi esattamente speculari ai
nostri.] Il mito di un mondo lontano e dunque diverso e contrario al nostro, è un motivo e un tema
ricorrente di una vasta parte della letteratura geografica e di viaggio ed è servito di volta in volta a
rappresentare l'altro in quanto "diverso". "L'altro" è stato visto come depositario del bene della società
ideale per denunciare la corruzione del nostro mondo, mentre è stato visto come luogo del male
quando serviva a giustificare l'ordine esistente.
Le carte geografiche sono modificate in senso soggettivo, essendo in un certo senso mappe
ideologiche e mentali. Mercatore nel 1500 disegnò il primo planisfero che tuttavia privilegiava il nord
del mondo in quanto veniva meno deformato rispetto agli altri territori. La migliore immagine odierna
della Terra ci è offerta invece da Peters. Il pregiudizio appartiene ad una sensibilità collettiva che
esprime attraverso esso l'egemonia culturale di un'idea rispetto ad un'altra (es. discriminazione di
genere, delle minoranze etniche ecc.).
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In Robinson Crusoe si analizzano tutti e tre gli elementi che dominano la letteratura del viaggio,
ovvero partenza, viaggio vero e proprio e ritorno. Fin dall'incipit si capisce il tema del viaggio, in
quanto si specifica che il protagonista nacque a York da una famiglia non del luogo ed egli stesso è
dunque uno straniero in patria (il suo vero cognome è Kreutznauer e questo fa sì che egli porti con sé
la condanna di appartenere ad un altro luogo).
Robinson porta nell'isola dove approda le strutture etico-religiose del suo mondo. Egli non si fa
cambiare dal viaggio, ma al contrario trasforma il luogo e l'altro che incontra (un indigeno ribattezzato
Venerdì che Crusoe aveva salvato dal sacrificio di altri indigeni) e li costringe a somigliargli. Invece,
Cabeza de Vaca in Naufragios viene totalmente cambiato e conquistato dal viaggio e, vivendo in una
tribù di indios per 7 anni, arriverà a designare con il termine "noi" gli indios e con "loro" i vecchi
connazionali spagnoli. Diverso è invece il viaggio di Maistre in Voyage autour de ma chambre che,
come suggerisce il titolo, è un'esplorazione, un viaggio all'interno di una stanza di Torino in cui il
protagonista è costretto a restare per 42 giorni per aver partecipato ad un duello. "L'altro" qui è il
protagonista stesso, ma Maistre ne parla come fosse un vero e proprio incontro.
La guida di viaggio appartiene a un sottogenere poco studiato dalla critica letteraria, nonostante vanti
una tradizione antichissima. Santiago de Compostela era considerato il più lontano e pericoloso dei
pellegrinaggi medievali, raggiungibile grazie ad itinerari verso Roma e Gerusalemme, resoconti
biografici, relazioni su spedizioni e crociate o veri e propri itinerari. Il quinto libro del Liber Sancti
Jacobi è una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda gli itinerari di viaggio. Mostra la durata
delle varie tappe, segnala strutture di assistenza sul cammino e descrive luoghi da visitare durante il
percorso. Tutte le guide di viaggio sono strumenti utili al fine di studiare processi come la
colonizzazione, l'imagologia ecc.
Lévi-Strauss mostra come i viaggiatori moderni siano irrequieti, senza più mete da raggiungere, orfani
di luoghi in cui tornare. Se oggi qualsiasi luogo è tanto vicino e così poco imprevedibile, si deve allora
ripiegare sulla quantità e visitare quanti più luoghi possibili. L'invenzione sociale che ha trasformato i
viaggiatori in turisti si chiama "vacanza", viaggio di piacere di una persona temporaneamente libera
dal lavoro, e risale al 1841 in seguito ad uno spostamento di una giornata di un gruppo di circa 600
cittadini inglesi. L'ospitalità, oggigiorno, è l'etica dell'incontro; ospitare lo straniero è di per sé motivo
di orgoglio che serve a rafforzare la comunità chiusa. La parola "ospitalità" significa colui che riceve lo
straniero, ma può voler dire anche ostilità, per cui lo straniero può essere accolto o rifiutato.
Le denominazioni più ricorrenti per questa disciplina sono traduttologia e translation studies. Per
traduttologia intendiamo un pensiero sulla traduzione, legato soprattutto alle opere della letteratura e
alla scrittura. Holmes chiama translation studies quel campo di studi che affronta i problemi derivanti
dalla produzione e dalla descrizione delle traduzioni, includendo tutte le sue diverse forme e categorie.
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La traduzione non è più da intendersi come un mero passaggio meccanico, come il risultato del
passaggio da una lingua di partenza a una lingua d'arrivo, ma come un atto dinamico che comporta
una serie di conseguenze. Il pregiudizio della traduzione, ovvero che un'opera tradotta non potesse
mai uguagliare quella originale, si è protratto fino a pochi decenni fa, quando ancora nemmeno si
faceva comparire nei libri il nome del traduttore. Ora ci possiamo rendere conto che questa disciplina
è molto vasta e si estende in qualsiasi campo sociale. Sapere tradurre è fondamentale per conoscere
le diverse culture. Dunque, adesso, si preferisce parlare dell'opera tradotta come di un prodotto
culturale originale che ha preso spunto da un testo di partenza, segnalando tuttavia in seguito la
propria alterità ed autonomia.
Già Cicerone, traducendo opere greche, affermava di essere orator piuttosto che interpres ed usando il
verbo converto implicava non solo la semplice traduzione, ma anche un processo di assimilazione di
espressioni e contenuti, adeguando la cultura greca a quella romana. Nel tardo latino, converto sarà
sostituito da transfero ed ancora da traducere. Tra '300 e '400 la traduzione acquista quelle
caratteristiche essenziali al suo riconoscimento come attività autonoma. Il linguista Roman Jacobson
individua differenti tipi di traduzione: "endolinguistica" (come la parafrasi, in cui per tradurre un
termine ci si serve di un sinonimo), "interlinguistica" (traduzione propriamente detta), "intersemiotica"
(si interpretano segni linguistici per mezzo di segni non linguistici; es: passaggio da una pagina scritta
ad un'immagine). Si distingue poi tra versione (traduzioni letterarie, spesso scolastiche dal
greco/latino), imitazione (traduzione libera), riscrittura (il testo originale è reinterpretato, manipolato),
adattamento/trasposizione (interessano le traduzioni intersemiotiche).
-Fedeltà o bellezza?
Il problema che si lega alla traduzione è quello della traduzione fedele spesso non bella dal punto di
vista estetico-creativo che si oppone a quella infedele che tuttavia è più originale e creativa. Per
quanto riguarda la traduzione fedele facciamo riferimento alla Bibbia, dove cambiare la quantità o la
qualità delle parole ha rappresentato e rappresenta tuttora un problema. L'idea dell'infedeltà della
traduzione si lega ad un'interpretazione che di fatto non tiene conto della cultura di partenza, ma che
proietta il testo direttamente nella cultura di arrivo, come se si trattasse di un prodotto nuovo ed
originale. Con il Romanticismo si darà più importanza ai tradizionalismi e di conseguenza a distinguere
in maniera più netta i prodotti culturali propri di una nazione. Nelle diverse traduzioni è poi da
considerare l'epoca storica in cui sono state scritte, oppure il pubblico al quale sono rivolte.
Berman afferma che le traduzioni ipertestuali sono sempre etnocentriche, ovvero che riconducono
tutto alla propria cultura, alle sue norme e valori. Tuttavia, Berman sostiene che la finalità etica del
tradurre consiste nel riconoscere e ricevere l'Altro in quanto Altro. Borges afferma che tradurre
riscrivendo parola per parola è come se si trattasse di una scrittura capovolta.
-Importazione ed esportazione
La comparatistica considera nazione, lingua e cultura come entità mobili e dinamiche. Riconoscere
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l'importanza della traduzione significa riconoscere l'esistenza di società plurilingue e rinunciare all'idea
che ci siano culture dominanti o lingue di maggior/minor prestigio. Le traduzioni, secondo Even-Zohar,
svolgono un ruolo innovativo all'interno di una data cultura, in particolare se: 1) la letteratura è in fase
di formazione, 2) la letteratura è o periferica o debole (qui si verifica una sorta di dipendenza nei
confronti delle letterature canonizzate), 3) quando ci sono vuoti o crisi nella letteratura (basti pensare
durante il fascismo all'antologia "Americana" di Elio Vittorini in cui venivano raccolte traduzioni di testi
rappresentativi della produzione romanzesca nordamericana).
La produzione letteraria di una determinata cultura che si esprime in una lingua specifica è soggetta
alla relazione e al rapporto con le letterature straniere. E' in epoca romantica che la traduzione
assume un ruolo centrale nel pensiero letterario, trovando in autori come Goethe e Schlegel delle
riflessioni fondamentali. L'idea di traduzione di Goethe nasce in una Germania che dalla seconda metà
del '700 si interroga sulla specificità della propria cultura. Egli si inserisce in questa fase di grandi
traduttori e mediatori culturali tedeschi; la traduzione incarna in lui l'idea stessa di Weltliteratur, e
rappresenta l'interazione tra popoli e culture differenti. Per Goethe il traduttore ha un compito
primordiale, ovvero quello del mediatore tra culture. I traduttori e le loro traduzioni hanno subito per
secoli il ruolo secondario dettato dal dover essere invisibili e assenti per lasciare che l'"originale"
risaltasse nella traduzione. L'autore è visto come "genio" eterno a prescindere dai cambiamenti
linguistici, sociali e culturali, mentre il traduttore è una presenza effimera, invisibile. Venuti sostiene
che si debba attuare una traduzione foreignizing (estraniante), cioè che estranei il testo al lettore
lasciando che sia portatore di una differenza, di un'alterità dichiarata e manifesta.
Il riconoscimento storico della traduzione e delle sue teorie non è stato immediato. Le fasi dello
sviluppo recente dei translation studies si riconducono principalmente a tre momenti fondamentali:
1. nel decennio successivo al primo dopoguerra, fino agli anni '60 in cui si cercavano criteri e
metodi universali per tradurre. Qui si dà preferenza alla source language, per cui questa prima
fase è anche detta source oriented, ossia proiettata sull'indagine del testo di partenza, o
meglio della lingua di partenza. Si crea così un testo privo di autonomia effettiva e si rimane
ancorati ad una visione meccanicistica della traduzione.
2. a partire dagli anni '70 ci si orienta maggiormente verso i testi tradotti. I termini traduttologia e
translation studies si sostituiranno a quelli di teoria o scienza della traduzione . Si ha così il
primato del testo originale in quanto opera portatrice di un significato nuovo e si afferma
l'autonomia di questo testo in quanto testo altro e non facsimile di un testo precedente
detentore di autonomia e originalità assolute. La prospettiva è target oriented.
3. a partire dagli anni '80, l'attenzione si sposta dal testo alla cultura, dalla letteratura alla
traduzione come processo di scambio culturale. Si crea un'opera portatrice di un valore e di
un'ideologia proprie. Il contesto storico e sociale acquista un'importanza fondamentale, fino ad
oscurare il testo di partenza, la "fonte". L'attenzione è spostata sul fenomeno di ricezione del
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testo e sul fatto che la traduzione sia intesa come stimolo generato da un testo originale a
creare una nuova opera nella cultura in cui viene tradotto. La prospettiva è nuovamente target
oriented. Ciò che conta è lo scambio che si realizza tra due culture, quella di partenza e quella
di arrivo; è fondamentale contestualizzare i fenomeni in una situazione politica, sociale,
culturale, linguistica e letteraria. Il rapporto tradizione-produzione-importazione è un circolo
continuo e virtuoso.
Superare la visione eurocentrica è obiettivo fondamentale sia della comparatistica sia degli studi sulla
traduzione. L'attenzione, dunque, è sempre più rivolta ai testi postcoloniali, ibridi e meticci per cui si
deve attuare una lettura che prescinda dai modelli occidentali e dalle loro norme. Da notare che
comunque la vitalità e l'originalità di tali letterature trova spesso origine e ispirazione in quelle
europee, dovuto soprattutto alle lunghe dominazioni coloniali che fanno sì che oggi si posso parlare di
realtà culturali e linguistiche in between. Spesso, infatti, i popoli di questi paesi hanno utilizzato per le
loro opere, affinché acquisissero autonomia e potessero essere tradotte, lingue europee (es: nel Nord
Africa si continua a scrivere in francese). Questo ci porta a parlare di letterature minori, come quella
prodotta dagli ebrei di Praga che scrivono in tedesco (Kafka ad esempio): essi lo fanno per necessità
di scrivere, per far passare la propria coscienza nazionale attraverso la letteratura.
La studiosa Chamberlain mostra come l'atto della scrittura sia prerogativa maschile, mentre la
traduzione che ne deriva spetti alle donne. La traduzione è sempre stata vista come qualcosa di
qualitativamente differente dalla scrittura. L'alleanza tra gli studi sulla traduzione e quelli femminili si
fonda sulla sfiducia nelle gerarchie tradizionali e nei ruoli sessualmente predefiniti. Questo legame
risiede anche nel carattere storico che mette in luce la traduzione come forma di espressione
femminile capace di introdurre le donne nel mondo delle lettere, facendole promotrici di scambi
culturali (es. Madame de Stael, importante mediatore culturale del 1800, autrice di De l'esprit des
traductions). Gayatri Spivak, invece, afferma che la vera apertura, la vera traduzione riconosce le
alterità che comprendono dunque anche la conoscenza delle lingue minori.
La traduzione si interseca con lo studio letterario e culturale, ma non impedisce agli studi sulla
traduzione di assumere una fisionomia propria ed una visione allargata. La traduzione, in conclusione,
non è mai fedele, ma libera; è un'apertura che a partire da un testo ne produce un altro,
realizzandone una trasformazione interpretativa. E' così che la traduzione è riconosciuta come un
luogo di valorizzazione e non più di soppressione delle differenze culturali.
Secondo Yves Chevrel, il punto di partenza e l'interesse essenziale della letteratura comparata è dato
dall'incontro con l'"altro", con i testi letterari stranieri e con le culture diverse. Di conseguenza,
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l'imagologia letteraria può essere intesa come una delle forme di indagine più "concrete"
dell'approccio con l'alterità. Un'altra modalità di indagine strettamente legata con l'imagologia è quella
degli studi interculturali, i quali si occupano delle analogie, delle differenze e dei rapporti tra i diversi
grandi sistemi culturali.
Con lo sviluppo della storiografia è cresciuto l'interesse per i popoli stranieri con i quali la comunità
greca e poi anche quella romana intrattenevano contatti di commercio o di guerra. Per imagologia si
intende lo studio delle immagini, dei pregiudizi, dei cliché, degli stereotipi e in generale delle opinioni
su altri popoli e culture che la letteratura trasmette, partendo dalla convinzione che queste images,
hanno un'importanza che va al di là del puro dato letterario. L'interesse principale dell'imagologia è
quello di risalire al valore ideologico e politico di certi aspetti propri di un'opera letteraria che
solitamente sono propri dell'autore e del contesto ambientale e sociale in cui vive. Ogni image muove
da un confronto tra identità e alterità, per cui parlare dell'altro significa in qualche modo rivelare
qualcosa di sé. Può risultare anche interessante seguire lo sviluppo diacronico di una determinata
image (visione dell'Italia nella letteratura tedesca della seconda metà del '900, che non emerge più
ome "giardino dell'Europa").
La scuola di Aquisgrana, nata tra gli anni '60-70 intorno a Hugo Dyserinck (comparatista di
origine belga).
Una riproposta e una revisione teorica significative dell'imagologia avvennero nel 1966 da parte di
Hugo Dyserinck con Intorno al problema di "images" e "mirages” nell'ambito della letteratura
comparata, che si pose come una sorta di manifesto della nuova ricerca imagologica. Lo studioso
belga si pone l'obiettivo di definirla in relazione all'interpretazione datane dalla scuola francese ed
inoltre sostiene la necessità della sua esistenza all'interno dei programmi universitari di letteratura
comparata; afferma, inoltre, che debbano essere chiarite le problematiche dell'imagologia. Dyserinck
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mette in luce il ruolo giocato da images e mirages nella diffusione e ricezione di determinate opere
fuori dal proprio contesto. Egli è convinto che nei manuali scolastici si contribuisca ad una
propagazione dei mirages (rappresentazione nazista della Germania, rappresentazione stereotipata
dell'Africa). La scuola di Aquisgrana ha partecipato intensamente negli ultimi anni alla discussione
intorno alle problematiche connesse al concetto di identità nazionale tornato alla ribalta in Germania
ma anche altrove dopo gli eventi del 1989. La nazione, infatti, secondo Anderson, è una "comunità
immaginata" costruita e mantenuta in vita dai discorsi che la rendono immaginabile, discorsi all'interno
dei quali spesso si creano dei topoi. Può avvenire inoltre che una comunità si identifichi in
un'eteroimage, ovvero in un'immagine sviluppata dai propri vicini, per trasformarla in un'autoimage.
L'enunciato delle images è in bilico tra l'oggettivo e il soggettivo: sebbene esse non corrispondano ad
una realtà oggettiva, sono in grado di creare nuove realtà. Questo perché la forza suggestiva della
letteratura fa sì che il lettore sia portato a fare propri i giudizi che essa veicola. Esistono poi casi di
rappresentazioni letterarie di luoghi ed etnie stranieri, le quali si trovano in contraddizione con la realtà
storica. Uno dei punti saldi dell'imagologia, infatti, è che non ha importanza l'enunciato di un' image,
ma il suo valore di riconoscimento ( recognition value). Leerssen stabilisce una distinzione tra empirical
report statements, i quali possono essere valutati secondo criteri vero-falso, e rappresentazioni
imagotipiche, che possiedono la caratteristica di manipolare i primi mettendoli in luce diversa. Il
principale fautore dell'imagologia in ambito francese, D.H Pageaux, sostiene che la saggistica sulle
letterature straniere debba essere studiata mettendo in risalto il fatto che essa è soggetta ai
meccanismi di condizionamento propri della cultura di appartenenza. Si studiano testi imagotipici
anche nella paraletterarura che comprende ad esempio la fumettistica. Il mito rappresenta una delle
forme che images e autoimages possono assumere all'interno del testo letterario e, dunque, può
creare degli stereotipi. Caratteristica fondamentale di mito, stereotipo e image sarebbe, di
conseguenza, la loro tendenza a rinviare alla cultura da cui sono originati, della quale rivelano i
problemi interni. Pageaux evidenzia tre modalità di rappresentazione dell' "altro" attraverso attitudini
mentali che sono:
Non si tratta di raccogliere delle singole images, ma di mettere in luce una serie di elementi che
compongono la "scrittura dell'alterità" di una società e di un'epoca. L'interesse è dunque quello di
capire come una cultura si autodefinisca in rapporto alle altre. I metodi per capire come si arriva a
costruire un'image partono dall'analisi del testo in cui si ricerca la ricorrenza di determinate parole
chiave ed espressioni che costituiscono il materiale lessicale delle images. Una seconda fase mette in
luce i meccanismi attraverso i quali uno scrittore ha attuato determinate scelte linguistiche; questa
fase si appoggia al contesto storico-culturale. Una terza fase si concentra sull'analisi delle principali
unità tematiche. Tutto ciò richiede una buona conoscenza delle altre discipline.
Gli studi postcoloniali hanno un ruolo centrale per quanto riguarda la questione di identità e alterità.
Essi propongono di mettere in luce l'egemonia culturale dell'immaginario europeo, difatti una delle loro
principali caratteristiche è la critica all'eurocentrismo. L'imagologia europea non ha finora riconosciuto
in sé gli elementi che la avvicinano alla teoria postcoloniale, la quale si divide in diverse correnti, tra
cui l'ibridismo culturale. Una corrente postcoloniale è quella del nativismo che ha come obiettivo quello
di costituire un'identità culturale, in questo caso africana e di distanziarsi dai modelli artistici e culturali
europei.
Una delle tendenze principali che si sono registrate dagli anni '50 del '900 all'interno ella
comparatistica letteraria internazionale è stato il lento ma progressivo ampliamento delle ricerche sulle
letterature extraeuropee e su quelle europee che erano state considerate minori. Lo scopo principale
era quello di creare dei presupposti per impiegare la letteratura comparata in senso veramente
generale al fine di poter individuare i tratti comuni a tutte le letterature e a tutte le poetiche. Lotman
afferma che senza l'affluire di testi letterari una cultura non è in grado di svilupparsi: è così che nasce
l'idea che i popoli e le culture si immaginano e definiscono reciprocamente. Le diversità dei codici
linguistici, però, possono far sì che avvengono delle "disletture" ( misreadings) e ciò giustificherebbe la
tesi dell'intraducibilità tra sistemi culturali diversi. Prima dell'avvento degli studi postcoloniali, la branca
della comparatistica letteraria che si è interessata maggiormente a tali questioni è stata quella degli
east-west studies, che si occupa delle relazioni tra il sistema letterario occidentale e quello asiatico,
dedicando una particolare attenzione al triangolo delle letterature cinese, giapponese e coreana.
La letteratura della migrazione non è un fenomeno recentissimo: in alcuni paesi europei come
l'Inghilterra e la Francia, i quali hanno avuto un passato coloniale importante, essa include ormai
scrittori di seconda o terza generazione. Anche in Germania la Migrantenliteratur ha superato la prima
generazione, mentre in Italia, dove emerge alla fine degli anni '80, sta compiendo i primi passi.
Inizialmente il genere è quello dell'autobiografismo per poi passare a rappresentazioni letterarie più
elaborate. Il primo a essere infranto è il mito del paese dove l'emigrante si dirige. Un altro complesso
tematico proprio della letteratura della migrazione è quello del problema dell'inserimento in un
contesto etnico-sociale diverso. Questo tema assume connotazioni diverse a seconda di che si parli di
prima o seconda generazione, in quanto quest'ultima si trova ad essere avvantaggiata rispetto ai
primi.
Il concetto classico di canone, ovvero l'insieme di regole o suggerimenti da seguire per ottenere
un'opera perfetta, si ricollega con l'ideale goethiano della Weltliteratur, la letteratura del mondo o
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letteratura mondiale, che nasceva dalla convinzione che la poesia è proprietà di tutta l'umanità, in
quanto le opere migliori esprimono valori universali. L'idea che il valore dell'opera letteraria sia
misurato dalla sua capacità di trasmettere valori genericamente umani è discutibile, ma ha avuto ed
ha tuttora una grande fortuna. Molto spesso, però, i sostenitori di questa idea della Weltliteratur
hanno tenuto conto unicamente del sistema culturale occidentale, scegliendo opere e valori propri
della nostra visione del mondo. Inoltre, quando vengono scelte delle opere come esemplari c'è da
considerare che questa scelta è arbitraria e soggettiva. Ad esempio, T.S. Eliot elabora in The Sacred
Wood una teoria del canone letterario occidentale in cui il contesto ha un ruolo fondamentale.
Fin dagli anni '60 del '900 si sono verificati profondi cambiamenti nei dipartimenti umanistici delle
università nordamericane, dovuti soprattutto all'approfondimento della conoscenza delle nuove
correnti filosofiche e letterarie e al cambiamento della composizione della popolazione che aveva
accesso all'università (la borghesia nera poté iscrivere i propri figli agli ordini scolastici superiori). E'
proprio qui che è stata messa in discussione la formazione del canone, facendo nascere il movimento
noto come "multiculturalismo" che ha visto la revisione del vecchio concetto di Weltliteratur. Il canone
italiano, invece, creatosi subito dopo l'Unità nazionale, ha subito pochissime revisioni nel corso degli
anni e ha continuato ad includere sostanzialmente opere consacrate dalla tradizione che fanno
riferimento alla proposta di de Sanctis.
Nel mondo anglofono americano, una fra le prime manifestazioni di un nuovo atteggiamento di
rivendicazione identitaria della gente di colore è costituito dal movimento della Harlem Renaissance
che si affermò negli USA tra gli anni 20-30 del '900. Si trattò di una corrente letteraria e di pensiero
che ebbe il suo epicentro ad Harlem, un agglomerato urbano con una grande concentrazione di
popolazione nera in cui scrittori e musicisti iniziarono ad affermare i valori della nuova generazione di
neri americani, in contrasto con la cultura bianca. Poco dopo anche in Francia si svilupparono
movimenti culturali simili. Il primo a parlare di "negritudine" fu Du Bois, il quale denunciava la
situazione scandalosa dei neri negli USA ed aveva come obiettivo quello di eliminare lo stereotipo del
nero non totalmente umano. A Parigi, dopo la grande influenza avuta, si formò La Revue du monde
noir. Secondo Sartre, la negritudine è una fase di autocoscienza attraverso la quale il poeta nero tenta
di risvegliare in se stesso e nei suoi lettori neri quanto rimane dell'eredità africana. Il movimento si
propose come espressione di tutti i neri del mondo, per denunciare la loro condizione di oppressione,
ma di fatto fu l'espressione di una élite limitatissima e molto privilegiata rispetto alle grandi masse di
cui voleva farsi portavoce, e questo fu motivo di numerose critiche. Giunto al momento della
decolonizzazione, il mondo che è stato colonizzato e che dopo le lotte per l'indipendenza è diventato il
Terzo Mondo, si accorge che l'indipendenza politica non è sufficiente a ricreare le condizioni di vita
precedenti alla colonizzazione. E' quindi necessario intraprendere il processo della decolonizzazione
che ha aspetti fondamentalmente economici. Le opere tradizionali africane che non corrispondevano ai
canoni della letteratura inglese, inoltre, venivano considerate folklore.
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Una delle prime questioni affrontate dagli intellettuali delle ex colonie fu quella della lingua che era
stata profondamente modificata in seguito ai vari processi di colonizzazione. Difatti, una volta che i
colonizzatori abbandonano i luoghi colonizzati, lasciarono questi ultimi in una situazione culturalmente
compromessa che riguarda in primo luogo la lingua. Le lingue coloniali, d'altronde, sono tutt’oggi le
lingue più parlate al mondo. Si sostiene che sì debba essere utilizzata la lingua dei colonizzatori, ma in
qualche modo essa debba essere adattata ad un differente contesto culturale e storico. Distinguiamo
nel mondo postcoloniale 3 gruppi linguistici:
1. monoglossici: si parla una sola lingua che è quella colonizzatrice che ha sopraffatto totalmente
gli indigeni (USA, Nuova Zelanda, Australia).
2. società diglossiche: si parla due lingue, quella utilizzata prima dell'arrivo dei colonizzatori e
quella successiva al loro sbarco. Queste due lingue si affiancano completamente (Maghreb).
Questo settore nasce nel mondo anglofono e spazia dalla critica letteraria ai cultural studies. Il termine
"postcoloniale” ha assunto accezioni differenti: negli anni '70 si usava per riferirsi ai luoghi che
avevano ottenuto la propria indipendenza dai poteri coloniali dopo la 2GM; in tempi più recenti si usa il
termine per riferirsi a quelle opere letterarie ed artistiche prodotte in paesi un tempo colonizzati e che
hanno ottenuto un certo livello di autonomia nel XX secolo. Un testo importante è Orientalism di Said,
in cui si mostra come l'Occidente abbia costruito l'immagine dell'"altro" e battezza questo
procedimento, appunto, "orientalismo" nella costruzione di un Oriente che non rispecchia la vera
realtà, ma che è teso, anzi, a rafforzare i pregiudizi e gli stereotipi. Il termine "postcolonialismo" è
ambiguo in quanto vuole accomunare esperienze varie e complesse.
-La decolonizzazione
Questo processo non riguarda più soltanto quanti sono stati colonizzati, ma l'intero sistema culturale
del XX secolo. Fa parte del processo di decolonizzazione critica tutto ciò che mette in crisi la visione
eurocentrica del mondo e che costringe gli studiosi ad adottare un linguaggio critico più preciso e
libero dai pregiudizi europei.
Gli studi postcoloniali sono serviti ad affermare alcune concezioni, tra cui l'abbandono del pregiudizio
dell'assoluta superiorità occidentale che ha permesso che le opere letterarie del mondo postcoloniale
venissero lette, valutate, pubblicate e tradotte, contribuendo ad alimentare in modo sostanziale il
mercato editoriale mondiale. Said afferma inoltre che non è possibile pensare il romanzo europeo tra
800-900 indipendentemente dal colonialismo.
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Per alcuni studiosi i misreading sono inevitabili e spesso produttivi. Nel rapporto fra dominatori e
sottoposti, invece, le donne hanno sempre costituito un elemento a sé stante: le donne dei
colonizzatori erano infatti sottomesse ai loro uomini, ma dovevano essere viste come dominatrici delle
classi subalterne. Le donne delle popolazioni colonizzate, invece, soprattutto nei tempi più recenti e
neocoloniali, venivano considerate come donne da salvare dai loro stessi compagni. Imitare una data
cultura o lingua porta spesso ad un'imitazione ironica o mimicry, che porta a sua volta alla creazione
di identità ibride o meticce e non alla perdita di sé.
La letteratura postcoloniale si distingue anche per un'insistenza sulla riscrittura ironica o interpretativa
(ovvero mai ingenua) della tradizione occidentale. Ma è nella distanza fra l'originale e il suo riuso
interpretativo che ha sede non solo la creatività postcoloniale ma anche una possibile critica al punto
di vista occidentale. La cultura postcoloniale e i suoi soggetti sono quindi creature ibride, nate
dall'incontro di tradizioni e lingue diverse. L'ibridità coincide infatti con le lingue e le culture creole che
si sono create in seguito alla fusione degli elementi provenienti dalle diverse lingue e culture che la
colonizzazione ha messo in contatto. La tesi di Glissant è che tutto il mondo si creolizza, per cui tutte
le culture sono in contatto con tutte le altre e non possono resistere ai continui scambi e alle
reciproche influenze. Nel mondo esistono 2 gruppi distinti di culture: le "culture ataviche", che si sono
creolizzate molto tempo fa e che oggi tendono a considerarsi entità a sé stanti, e le "culture
composite", in cui la creolizzazione è avvenuta più recentemente ed è ancora presente nella memoria
collettiva cosicché hanno difficoltà minori a riconoscersi meticce. Ma la creolizzazione continua ad
avvenire, che lo si desideri o meno e, ad un certo punto, diverrà chiaro per tutti coloro che osservano
tali fenomeni che essa avviene solo quando si riesce a capire che gli elementi che vengono a contatto
sono di pari valore, perché se vengono sminuiti la creolizzazione non avviene.
Uno degli obiettivi della letteratura comparata, secondo Yves Chevrel, è quello di rendere possibile
l'incontro con l'altro e di individuare un metodo che rendesse possibile questo incontro. Gnisci sostiene
che la letteratura comparata è uno dei pochi luoghi in cui un incontro paritario tra le culture diventa
possibile. Dal multiculturalismo e dagli studi postcoloniali viene il suggerimento di occuparsi delle
letterature così dette minoritarie che spesso sono espressione dei gruppi cosiddetti minoritari
all'interno di letterature nazionali. Oggi la comparazione avviene alla ricerca della ricchezza della
pluralità.
La letteratura è la voce delle donne scrittrici, come Virginia Woolf o Emily Dickinson, e molte altre
rimaste nell'ombra di una tradizione prevalentemente maschile. Gli studi femminili hanno potuto
indagare sul ruolo della donna intellettuale, su quello della lettrice e sulla trasmissione della cultura al
femminile.
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Si può individuare la nascita storica del pensiero femminista nell'Inghilterra del 1700, con le
rivendicazioni di emancipazione delle donne ispirate agli ideali di uguaglianza dell'Illuminismo. Il primo
manifesto in questo senso è il celebre A Vindication of the Rights of Women di Mary Wollstonecraft,
del 1792. Le loro rivendicazioni erano soprattutto politiche: diritto al voto, partecipazione alla vita
sociale in tutte le sue forme. Fu così che in Inghilterra, nel 1857 fu fondata la Association for the
Promotion of the Employment of Women . Nella sua storia, dopo la prima fase "eroica", il movimento
delle donne è passato attraverso diverse fasi, ognuna delle quali caratterizzata da una teoria
particolare.
Negli anni '60 l'obiettivo primario era la prassi politica; alla base vi è l'opera di Simone de
Beauvoir. I mass media aiutano a propagare un nuovo ideale di donna e nuove aspettative
sociali.
Gli anni '70-'80 sono l'epoca d'oro dei women studies: il femminismo nel campo della critica
letteraria si oppone alla scuola del new criticism e alla teorizzazione di modalità critiche
impersonali e oggettive, ricercando piuttosto un nuovo approccio al femminile. Parallelamente
al femminismo americano si sviluppa quello di scuola francese che si incentra sul concetto di
differenza. Le donne rivendicano la propria fondamentale differenza in tutte le dimensioni
(ricordiamo l'antropologa Margaret Mead). Dalle loro riflessioni emerge che il pensiero ha come
punto di riferimento l'uomo, rispetto al quale la donna risulta essere l'Altro.
Negli anni '80, invece, si sviluppano i gender studies in cui si ha avuto un dibattito
sull'essenzialismo, ovvero il riconoscere alla donna, per il fatto stesso di essere donna,
un'essenza femminile immutabile, che di fatto non si adatta alla realtà delle donne, le cui
identità si caratterizzano anche per classe, razza, nazionalità ecc. Il concetto di gender mira a
decostruire il concetto di divisione dei ruoli, ma anche la tradizionale contrapposizione
maschio/femmina. Nascono in seguito i Queer Studies, che studiano tematiche relative
all'orientamento sessuale o all'identità di genere.
Ella pubblica Le deuxième sexe che analizza in vari campi del sapere le ragioni della discriminazione
femminile ed i motivi per cui l'intera cultura occidentale sia "costruita" a misura del soggetto maschile,
mentre la donna è sempre subordinata e relegata al ruolo di "secondo sesso". L'opera costituisce il
primo esempio di uno studio vasto ed articolato sulla condizione femminile e sull'origine della
disuguaglianza sociale e sessuale: per questo motivo conobbe uno straordinario successo. Il testo si
basa su due principi rivoluzionari: la donna non è un soggetto e la natura femminile non esiste, ma
esiste solo come elemento di costruzione sociale che ha portato alla creazione di una società
gerarchica in cui la donna è in condizione subordinata. L'opera presenta una sezione dedicata ai miti,
dove vengono analizzati gli stereotipi femminili e l'atteggiamento degli scrittori nei confronti delle
donne, in quanto la letteratura ha creato immagini del mondo femminile idealizzate o astratte.
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I suoi saggi critici sono rivolti in primo luogo alla riflessione sul ruolo della donna intellettuale e sul
senso di una tradizione al femminile. Ma anche come autrice di romanzi e racconti ha fatto emergere
prepotentemente il punto di vista femminile e i personaggi creati costituiscono la risposta ideale agli
stereotipi maschili. Importanti sono To the Lighthouse, Orlando, ma soprattutto A Room of One's Own,
che va interpretato come lo spazio concreto e le condizioni materiali che rendono possibile
l'indipendenza e quindi la pratica della letteratura. Secondo Woolf, nel 1700 le donne hanno
cominciato a scrivere e ad essere pagate: il denaro ha conferito loro una dignità mai avuta. Da
ricordare che i generi scelti dalle donne (soprattutto romanzo, diario, autobiografia) sono strettamente
legati alla costrizione a valori come castità, silenzio ed ubbidienza. Si arriva così a dire che i generi
letterari sono legati a gender. Woolf evidenzia come il romanzo sia stato di gran lunga preferito dalle
scrittrici, poiché imponeva il minor numero di vincoli rispetto alla tradizione maschile e per sua stessa
natura sollecitava l'inventiva e l'originalità nella scrittura femminile. Il problema per le scrittrici di tutti i
tempi, infatti, è definire la tradizione femminile e affrancarsi alla schiacciante influenza dei modelli
maschili che rischiano di sopprimere l'originalità e la creatività della scrittura femminile.
Il poststrutturalismo ha teorizzato la crisi del soggetto, vale a dire ha evidenziato la rottura della
visione umanistica dell'individuo come fonte di conoscenza del mondo. Di conseguenza, il femminismo
si è avvalso di questo pensiero arrivando ad affermare che se il soggetto maschile non è più unitario,
allora l'intera tradizione su di esso fondata può essere rimessa in discussione. Le femministe parlano a
partire da se stesse, recuperando così la dimensione personale. Una parte della critica letteraria
femminista, soprattutto tra gli anni '70-'80, si è occupata del rapporto tra scrittura, identità e corpo
delle donne. Le donne teorizzano la riappropriazione del corpo per poter definire un'identità autonoma
attraverso il corpo ed il linguaggio. Il femminismo acquisisce la consapevolezza che l'identità femminile
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va definita. Poiché essa è sempre stata condizionata dalla corporeità, il primo passo è proprio la
rilettura del ruolo femminile a partire dal corpo. Di conseguenza, l'identità non è una condizione
statica, ma è dinamica ed in continua evoluzione.
Nel campo dei women studies in America si è aperta una nuova frontiera: il pensiero femaleist
contrapposto a quello feminist. Qui si afferma la supremazia della donna sull'uomo: sul piano biologico
la donna rappresenta il punto più alto della specie umana (spiegabile grazie anche a molte teorie che
mostrano le maggiori abilità delle donne dovute a nessi neuronali più fitti nelle donne).
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