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Filologia Germanica - Onesti Riassunto, Sintesi di Filologia Germanica

1. STORIA Breve profilo storico dei popoli germanici Il territorio originariamente abitato dai popoli
germanici era limitato nei primi a.C. alla Scandinavia meridionale (Svezia e Norvegia meridionali), all’attuale
Danimarca (penisola dello Jutland e isole Danesi) e alla pianura della Germania settentrionale. La mancanza
di toponimi di origine non germanica fa supporre che nessuna altra lingua fosse diffusa prima di allora.
Giulio Cesare fu il primo autore latino a parlare dei Germani nel 50 a.C. nel suo “De Bello Gallico”. Lo storico
latino Cornelio Tacito dedicò un intero trattato ai popoli germanici: il “De Origine et situ Germanorum”,
comunemente conosciuto come “Germania”, nel 98 d.C. In questo documento venivano descritte cultura,
usanze, religione e struttura socio-giuridica, alle basi vi era un forte interesse antropologico; dava inoltre un
quadro delle popolazioni germaniche prima delle loro dirette documentazioni. I Romani avevano
conoscenze più dirette dei popoli più vicini a loro: quelli stanziati ai confini dell’Impero sul Reno e il
Danubio, mentre dei più lontani (che abitavano la Scandinavia) avevano delle concezioni più vaghe. Tacito
suddivise i germani in tre gruppi: Ermìnoni Germani dell’Elba Ingèvoni Germani del Mar del Nord Istèvoni
Germani del Reno-Weser

I Germani Orientali Sono un gruppo che ha transitato lungo le coste del Baltico e nell’attuale Germania
orientale e Polonia per poi migrare in varie direzioni. Appartengono al gruppo dei Germani Orientali
Burgundi, Rugi, Gepidi, Vandali, Goti (solo i più importanti).

I Burgundi arrivarono sul Reno nel 407 e formarono il I Regno Burgundo, annientato successivamente dagli
Unni. Si spostano poi nella valle del Rodano (tra Francia e Svizzera), questa regione ha preso il loro nome:
Burgundia, in fr. Bourgogne e in it. Borgogna. Vennero vinti nel 534 dai Franchi.

I Vandali traversarono la Francia, la Penisola Iberica e , nel 429 traversarono lo stretto di Gibilterra per
insediarsi in Africa (Algeria e Tunisia). Il loro regno era incentrato su Cartagine, esteso poi su Sardegna,
Corsica e isole Baleari. Nel 455 saccheggiano Roma, ma poi, tra il 533 e il 534, i bizantini, su ordine di
Giustiniano distruggono il loro impero Vandalo.

I Gepidi, come i Goti, si spostano verso Sud-Est e si stanziano nell’odierna Ungheria, l’antica Pannonia, sulla
riva sinistra del Danubio. Nel 570 vengono sopraffatti da nuove invasioni asiatiche: gli Ávari che si spostano
in migrazione verso Occidente. Intanto erano stati in contatto con i Goti e i Longobardi, anche loro in
transito per la regione danubiana. Il popolo dei Goti, durante l’ultima migrazione si divide in due gruppi
distinti: gli Ostrogoti (o goti dell’Est) e i Visigoti (Goti dell’Ovest). Gli Ostrogoti occupavano la pianura
ucraina e le coste del Mar Nero. Avevano rapporti di intesa con l’Impero d’Oriente e con gli Unni di Attila.
L’imperatore bizantino manda poi gli Ostrogoti in Italia a contrastare Odoacre. Teodorico riesce a formare
un regno ostrogoto in Italia che durò 60 anni, finché Giustiniano decise di riconquistare l’Italia. I Visigoti
sconfiggono l’imperatore Valente ad Adrianopoli. A sud del Danubio era stanziato un gruppo di visigoti
(Goti minores) che cominciano a convertirsi al cristianesimo durante il IV secolo. Il loro capo spirituale
Wulfila traduce per il suo popolo il Vangelo il lingua gotica, trasmettendolo anche ad altri popoli: Burgundi,
Ostrogoti, Vandali e Longobardi. Il grosso dei Visigoti si dirige verso l’Italia e compiono il sacco di Roma nel
410, tentano di arrivare in Africa ma il loro re Alarico muore in Calabria. Così tornano indietro e passano
nella Gallia Meridionale. Fondano un nuovo regno con capitale a Tolosa, per poi estendersi in Spagna dove
costituiscono un regno con capitale a Toledo. Il regno di Tolosa viene però schiacciato dai Franchi nel 507,
mentre il regno di Toledo durò fino al 711, quando gli Arabi arrivarono in Spagna.

I Germani Settentrionali Il gruppo settentrionale è quello dei popoli scandinavi. Questi non parteciparono
ai grandi spostamenti, ma restarono nelle sedi scandinave originarie. La società scandinava era quindi
abbastanza statica. I Danesi si trovano nella Svezia meridionale e nelle isole danesi, solo nel V-VI secolo si
estendono alla penisola dello Jutland.
A Nord dei Danesi si sono stanziati i Geati (Gotar Gotaland), vinti dai vicini Svìar, abitanti della Svealand che
ampliavano il loro regno. In Norvegia avveniva invece la graduale espansione verso nord dei norvegesi che
vivevano lungo i fiordi. Nel Nord della Scandinavia vivevano i Lapponi, popolazioni non Germanica né
indoeuropea, ma di origine asiatica. Con la fine del IIX e l’inizio dell’IX secolo si apre l’età vichinga, periodo
della grande espansione marina degli Scandinavi. I Vichinghi erano pirati/navigatori che cercavano fortune
oltremare. L’espansione vichinga segue tre direttrici principali: Danesi verso Sud-Ovest si muovono nel IX
secolo attaccando le coste francesi e inglesi. Occupano così le regioni orientali dell’Inghilterra, ma gli
anglosassoni riescono solo a fermarli e non a cacciarli. I vichinghi restano così nelle regioni da loro occupate
che amministrano (territorio della legge danese Danelaw). Nel X secolo, gli Scandinavi diventano residenti
fissi e costituiscono un regno con capitale York, assimilandosi poi con la popolazione anglosassone. Nel
1016 il re danese Knut riunisce sotto la sua corona Inghilterra, Danimarca e Norvegia, impero che so
sfalderà con la sua morte. Dopo ripetuti attacchi alla Francia, i vichinghi (Danesi, Norvegesi e Islandesi)
ottennero una regione che prederà il loro nome: la Normandia (da Normanni uomini del nord) e si
francesizzano. Norvegesi a Ovest occupano le isole anord della Scozia: lo Shetland, le Orcadi, le Ebridi, le
Fær Øer. Attaccano anche Irlanda e Inghilterra. Molto importante fu l’occupazione dell’Islanda, la
cosiddetta “Terra dei Ghiacci”: a partire dall’874 le famiglie lasciano la Norvegia che si sta unificando sotto
Harald Bellachioma e si stabiliscono sulle coste e vallate islandesi. Qui costituiscono la più antica repubblica
d’Europa, amministrata da un’assemblea generale, l’allthing. Dall’Islanda, nel X secolo, parte anche una
spedizione guidata da Erik il Rosso per colonizzare la Groenlandia, si tocca anche l’America del Nord, ma
l’insediamento qui non riesce. Svedesi a Est (detti Vareghi) traversano il baltico per risalire i fiumi della
Russia, dove fondano grandi empori commerciali. Raggiungono il Mar Nero e il Mar Caspio, dove
intrattengono importanti scambi con Arabi e Bizantini. Nell’ XI secolo l’egemonia inizia a sfaldarsi e si
chiude l’epoca vichinga. In Scandinavia si sono comunque consolidati i tre regni di Norvegia, Danimarca e
Svezia. L’Islanda rimase indipendente fino al 1262.

I Germani Occidentali I Germani del Reno-Weser Dominanti fra le tribù occidentali sono i Franchi, che
danno il nome alla regione tedesca della Franconia, e premono sui confini dell’impero romano. Sono divisi
in due gruppi: - Franchi Salii stanziati sul basso Reno fino al mare, nel IV secolo d.C. sconfinano oltre il fiume
per occupare l’attuale Belgio e formano il primo regno franco. - Franchi Ripuari stanziati lungo il medio
corso del Reno. Sotto Clodoveo il regno franco si estende su quasi tutta la Gallia, a eccezione del regno
burgundo. Il Paese prende appunto dai Franchi il nome di Francia e il francone occidentale (dialetto
germanico dei franchi), assorbito poi dal latino locale. Nel 476 avviene la loro conversione al cattolicesimo.
Poco dopo vengono inglobati nel regno Franco anche gli Alemanni che erano a Est del Reno. Il regno franco
crea una forte potenza militare, tanto da riuscire a battere l’incursione degli arabi nel 732. Quando sale al
trono Carlo Magno, si intraprende una forte espansione: Carlo riesce a domare i Sassoni e i Frisoni,
battendo anche i Longobardi in Italia nel 774. A questo punto l’impero franco è una delle due grandi
potenze mondiali del tempo e Carlo Magno si pone da pari a pari rispetto all’imperatore di Bisanzio. Gli
succede Ludovico il Pio i suoi figli si spartiranno poi l’impero nell’843, dividendolo in tre parti: la parte
tedesca, quella francese e quella dell’Italia. Comunque, nonostante la forte penetrazione franca, la lingua
neolatina ha prevalso in Francia. I Germani del Mar del Nord La comunità del Mar del Nord comprende i
Frisoni, gli Angli, Gli Iuti e i Sassoni. Al tempo di Tacito erano noti solo i primi due. Erano separati dai
germani settentrionali dalle lande e dagli acquitrini dello Jutland. Sassoni, Angli, Iuti e gruppi di Frisoni
iniziano a migrare dalle sedi originarie (Jutland e coste della Germania e Olanda attuali) nella metà del V
secolo, per stanziarsi sulle coste e pianure dell’Inghilterra sud-orientale, che prende appunto dagli

Angli il nome di Englaland “paese degli Angli”. La graduale penetrazione e conquista dell’Inghilterra
continua per tutto il VI secolo e dalle varie tribù occupanti si forma il popolo degli Anglosassoni. A
differenza di quanto accade in Francia, qui è la lingua Germanica a prevalere: il paese è stato
profondamente anglicizzato. Gli Anglosassoni si organizzano in vari piccoli regni: il Kent, il Sussex, l’Essex, il
Wessex, l’East Anglia, la Mercia, la Northumbria; restano per ora celtici il Galles, la Scozia e la punta di
Cornovaglia. Le varie dinastie regnanti si convertono ben presto al Cristianesimo e si diffonde nei centri
monastici inglesi una cultura latino-cristiana di buon livello opere storiografiche del monaco northumbro
Beda il Venerabile e Alcuino di York. Dopo alcune vicende in cui i Danesi perdevano e riacquistavano il
potere, nel 1026, ritorna sul trono inglese una dinastia Anglosassone. L’Inghilterra è ormai un unico regno
con capitale a Winchester, poi a Londra, ma non è politicamente solida e gli anglosassoni dovettero
respingere un ultimo attacco vichingo da parte dei norvegesi. Pochi giorni dopo si trovarono a dover
affrontare l’attacco di Guglielmo duca di Normandia (Battaglia di Hastings), che si impadronisce del Regno
mettendo fine al periodo Anglosassone. Inizia la nuova dinastia normanno-francese. I Frisoni sono una
popolazione costiera stanziata nell’attuale Olanda Settentrionale e lungo le rive del Mar del Nord fino alla
base dello Jutland, oltre che nelle isole costiere (isole frisoni). Nel V secolo alcuni gruppi di frisoni
partecipano alla migrazione in Inghilterra con gli Angli. Il loro territorio, anche se delimitato da zone
paludose, è sempre stato esposto a continui contatti con i popoli vicini: Sassoni, Franchi, Danesi. Esposti alle
incursioni danesi e alla pressione dei Franchi, riducono progressivamente il loro territorio, fino a venire
inglobati nell’Impero Carolingio. Vengono infine convertiti dai missionari Anglosassoni e Franchi. I Sassoni
Sorgono probabilmente come lega di diverse tribù preesistenti nelle pianure dell’attuale Germania
Settentrionale tra l’Ems e l’Elba. Anche loro partecipano alla grande migrazione in Inghilterra insieme agli
Angli, ma una parte di loro rimane nel continente, dove vengono definiti “vecchi sassoni”. I Franchi di Carlo
Magno iniziano la conquista del territorio dei Sassoni ancora pagani. Minacciati e deportati entrano a far
parte dell’impero Franco e si piegano al Cristianesimo. Dopo la divisione dell’Impero Carolingio nell’843 la
Sassonia rientrò nella parte orientale con il resto della Germania.

I Germani dell’Elba Il loro nome deriva dalla loro localizzazione iniziale lungo il corso dell’Elba.
Comprendono varie tribù, fra cui quelle dominate dagli Svevi, sotto il cui nome sono spesso associati anche
gli Alemanni. Una parte degli Svevi emigra verso Ovest, traversa il Reno per stabilirsi nella Penisola Iberica,
qui si costituisce un breve regno svevo in Spagna e Portogallo. Ma il grosso degli Svevi durante il III secolo
d.C. scende con gli Alamanni verso sud e si stanzia nella Germania Sud-Occidentale. Gli Alamanni (=tutti gli
uomini) nel V secolo raggiungono il sud della Germania e si stanziano nell’alto corso del Reno, in quella che
oggi è l’Alsazia, il Baden-Wurttemberg e la svizzera tedesca. Nel 536 vengono inclusi nell’impero Franco. I
Bavari o Bavaresi si espandono anch’essi verso sud, traversando il Danubio e occupando l’odierna
Germania sud-orientale (Baviera) e l’Austria. Con Carlo Magno il territorio bavarese venne definitivamente
incluso dell’Impero Franco. La Germania ad Est del Reno si configura quindi come un insieme di popoli
diversi: Nord Frisoni e Sassoni Centro Franchi e Turingi Sud Alemanni con Svevi e Bavaresi I Longobardi si
trovano nell’Elba e si spostano lentamente risalendo il fiume. Nel V secolo raggiungono la riva del Danubio
e lo seguono fino a stabilirsi in Pannonia (attuale Ungheria) dove vengono in contatto con Gepidi e
Ostrogoti. Nel 568 emigrano verso l’Italia e, contrastati dai Bizantini, i Longobardi riescono a impadronirsi
solo del nord (Friuli, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia) e della Toscana. Formano i ducati di Spoleto e
Benevento, la capitale del Regno è Pavia in Lombardia. Il dominio Longobardo in Italia dura circa due secoli,
finché Carlo Magno con la conquista di Pavia mette fine al regno Longobardo, nel 774. 2. LINGUA

2.1 Le lingue germaniche nella famiglia indoeuropea Quasi tutta l’Europa è oggi coperta da lingue del
gruppo indoeuropeo. Le maggiori famiglie linguistiche che attualmente si estendono sul territorio d’Europa
sono quella neolatina, quella germanica e quella slava. Non meno importanti, ma quantitativamente meno
rilevanti sono le lingue celtiche, le baltiche, l’albanese e il greco. Non appartengono alla famiglia
indoeuropea il finlandese, il lappone, l’estone, l’ungherese, il basco. Le lingue indoeuropee sono così dette
perché si estendono appunto dall’India all’Europa. Le lingue indoeuropee sono flessive: esprimono cioè a
mezzo di flessioni (desinenze e declinazioni) la funzione delle parole nella frase e hanno in comune gran
parte del lessico, ciò significa che moltissime parole nelle diverse lingue indoeuropee hanno radici comuni.
La sostanziale parentela fra le varie lingue ie. è stata osservata, compresa e studiata dai linguisti
dell’Ottocento a partire da Schlegel, Bopp, Rask e Grimm. La linguistica comparata e storica ha analizzato a
fondo i rapporti fra le varie lingue ie. ed ha approfondito il concetto di un indoeuropeo comune, una sorta
di lingua madre originaria, da cui sarebbero discese poi le singole lingue storicamente attestate. Questo
indoeuropeo non è documentato, ma è ricostruito a tavolino dai linguisti mediante la comparazione. Si
pensa per la comunità indoeuropea al III-II millennio a.C. Le lingue ie. di più antica attestazione sono il
greco, il sanscrito e l’ittita; e risalgono al massimo al II millennio a.C. Le lingue germaniche sono attestate
non prima del II secolo d.C. (con le primissime iscrizioni runiche) e in modo esauriente solo a partire dal IV
secolo d.C. Le lingue germaniche si collocano, sia per affinità linguistica che per posizione geografica, fra le
lingue celtiche (occidente), baltiche (oriente) e il latino e le altre lingue italiche antiche (sud). Non mancano
alcuni legami con il greco. Le lingue germaniche condividono infine con il restante gruppo delle lingue ie. le
caratteristiche generali comuni, come il cosiddetto “vocabolario compatto”, ovvero l’insieme delle radici
presenti in tutte le lingue ie. Ci sono isoglosse (cioè tratti linguistici uguali) che uniscono alcune lingue, ad
esempio latino e lingue germaniche o lingue germaniche e lingue baltiche e slave. Es, corrispondenza
germanico-latino-celtica: got. fisks, airl. Iasc, lat. piscis <- da un ie. PISK- Le lingue germaniche si collocano
comunque nel gruppo ie. occidentale, caratterizzato dal mantenimento delle consonanti velari ie. K, G,
KW,GW, che non si palatalizzano come invece avviene in sanscrito, ad esempio.

2.2 Il germanico comune Come sappiamo, le lingue germaniche sono documentate a partire da un’epoca
abbastanza tarda, non prima del II secolo d.C. con le antiche iscrizioni in caratteri runici e in modo esteso
solo dal IV secolo d.C. con la traduzione dei vangeli in gotico. Queste prime attestazioni ci mostrano lingue
già abbastanza differenziate. La documentazione successiva mostra che le particolarità individuali di
ciascuna lingua si accentuano con il tempo, portando a un progressivo allontanamento di queste lingue tra
di loro, avendo ciascuna una sua evoluzione e una sua storia. Per questo motivo gli studiosi di grammatica
comparata e di linguistica storica hanno ipotizzato che queste lingue, in un’epoca precedente ai documenti
scritti, convergessero e cioè che avessero avuto una fase originaria comune e non differenziata. A questa
fase comune venne dato il nome di urgermanisch, dai linguisti tedeschi, cioè germanico comune/ primitivo
o protogermanico. Naturalmente l’ipotetico protogermanico non è documentato da nessuna attestazione
scritta. Il pensare a una lingua germanica comune e primitiva, veniva suggerito dal paragone con le lingue
neolatine che, già diversificate nel Medioevo, risalivano tutte a una stessa matrice: il latino. Però, il lavoro
dei linguisti e filologi germanici in questo senso è differente da quello dei filologi romanzi, in quanto il
protogermanico può soltanto essere riscostruito a tavolino mediante ipotesi e comparazioni. Perciò, più
che credere in un protogermanico compatto, come una sola lingua, si preferisce pensare a una fase
preistorica che viene ricostruita raccogliendo i tratti linguistici presenti in tutte le lingue germaniche.
Questo germanico comune è costituito allora dagli elementi che sono comuni a tutte le lingue germaniche
conosciute.

2.3 Caratteristiche del germanico Il gruppo delle lingue germaniche si individua nettamente nella famiglia
indoeuropea perché è

ben caratterizzato da una serie di tratti linguistici propri. Le peculiarità fonetiche morfologiche e lessicali
delle lingue germaniche sono riassumibili in sette punti principali.

2.3.1. Accento L’accento germanico è un accento di intensità, il che comporta che la sillaba accentata sia
pronunciata con maggior energia espiratoria. Questo tipo di accento si dice anche dinamico o percussivo.
Non solo, ma l’accento germanico è anche fisso sulla sillaba radicale, non può trovarsi su desinenze, suffissi
o prefissi, che sono sempre atoni. Questo fenomeno è chiamato rizotonìa. Pare invece che l’accento ie.
fosse libero e comportasse un’altezza di tono musicare più che una intensità. L’accento germanico è
intensivo e la sillaba tonica viene evidenziata a scapito delle sillabe non accentata che non il tempo
tendono a offuscarsi o anche a cadere del tutto. La rizotonìa germ. comporta infatti una lunga serie di
conseguenze: tutta una serie di fenomeni fonetici che hanno avuto luogo nel corso dell’evoluzione storica
delle varie lingue germ. e riconducibile all’azione dell’accento, così la sincope, il frangimento vocalico, la
riduzione delle desinenze e probabilmente anche la metafonia. L’accento germ. è dunque intensivo e fisso
sulla radice. Ad esempio il verbo ingl. give “dare” ha un composto forgive “perdonare” in cui l’accento si
mantiene sulla radice /giv/

Partendo dalla fase del germ. comune, si è pensato che le diverse lingue germaniche storiche si fossero
successivamente separate, come mostra il modello dell’albero genealogico.

2.3.2 Esito di A, O indoeuropee Le vocali ie. A ed O hanno nel germ. esiti diversi a seconda se sono lunghe o
brevi. Le vocali brevi Ă, Ŏ danno luogo tutte e due ad una ă breve germanica. Mentre le lunghe Ā, Ō
producono tutte e due una ō lunga germ. Es. ie. Ŏ > germ /a/ nella parola GHOST-IS “straniero” (lat. hostis
“nemico”) > germ. *gast-iz, ted. gast “ospite”, got. gasts “nemico” Inversamente, ie. Ā > germ. /o:/ ie.
BHĀG-OS “faggio”> germ.*bōk-, ags bōc “faggio”

ie. germ. Ă > Ă Ŏ > Ă Ā > Ō Ō > Ō

2.3.3 Esito delle sonanti indoeuropee Le liquide e le nasali ie. L, R, M, N, potevano essere delle sonanti, cioè
avere anche una funzione vocalica e sostenere una sillaba. In molte lingue storiche sviluppano vocali di
appoggio, di vario timbro. Nel germanico sviluppano sempre la vocale di appoggiou. Es. ie. KNTÓM “cento”,
lat. centum, gr. ekatón, ma got. hunda. Così, anche la particella negativa ie. N produce in latino il prefisso
in-, in gr. a- e nel germ. un-. Il fenomeno fonetico più vistoso che caratterizza il germanico è la I mutazione
consonantica. E’ nota anche come “legge di Grimm”, essendo stato Jacob Grimm il primo ad esporla con
sistematicità nel 1822. In realtà il linguista danese Rasmus Rask aveva già intravisto il fenomeno nel 1818
ma non l’aveva enunciato con la stessa precisione. La prima mutazione consonantica caratterizza tutto il
germanico nel suo complesso. Si tratta di un completo spostamento delle consonanti occlusive ie. che
producono nel germ. nuove serie di fonemi consonantici. Si ipotizza per l’ie. un sistema di consonanti
occlusive formato da tre serie: sorde, sonore, e sonore aspirate; in ogni serie si distinguono labiali, dentali,
velari e labio-velari.

Labiali Dentali Velari Labio-velari Sorde P T K KW

Sonore B DF G GW

Sonore aspirate BH DH GH GWH

(Primo Passaggio) A questo sistema di occlusive ie. corrisponde nel germ. un sistema diverso: le occlusive
sorde hanno prodotto delle spiranti sorde.

Occlusive sorde ie. Spiranti sorde germ. P /f/ scritto <f> T /θ/ scritto <þ> K /x/ scritto <h> KW /xw/ scritto
>hw>

Es. radice PEL- “pelle” > ags. fell, ted. fell “vello”

ie. TU “tu” > ags þu, got. þu, ingl. thou “tu” ie. KERD- “cuore” > ags. heorte, ingl. heart, ted. herz ie. KwOD
>got. hwa, ags. hwæt, ingl. what “che cosa” inversione Le sorde però non si alterano se sono precedute da
una s. ie. STER- “stella” > ted. stern, ingl. star Evidentemente i nessi consonantici esercitano una certa
protezione sulle occlusive sorde; così nei nessi PT, KT, si muta solo il primo elemento, producendo nel germ.
ft, ht.

(Secondo Passaggio) Le occlusive sonore ie. diventano in germanico occlusive sorde.

Occlusive sonore ie.

Occlusive sorde germ.

B /p/ scritto <p> D /t/ scritto <t> G /k/ scritto <k, c> GW /kw/ scritto <q,cw,qu>
es. ie. DHEUB- “profondo” > got. diups, ags. deop, ingl. deep ie. DEKM “dieci” > got. taihun, ingl. ten ie. EGO
“io" > got. ik, norr. ek ie. GWEM “venire” > got. qiman, ata. queman.

(Terzo Passaggio) Le sonore aspirate indoeuropee diventano sonore semplici in germanico.

Sonore aspirate ie. Sonore semplici germ. BH /b/ DH /d/ GH /g/ GWH /gw/

es. ie. BHER- “portare” > ags. beran, ingl. bear ie. DHWOR- “porta” > got. daur, ingl. door ie. LEGH- “giacere”
> got. ligan, ted. liegen ie. SENGWH “intonare” > got. siggwan, ingl. sing Il sistema di consonanti risultante
per il germanico è quindi formato da due serie di occlusive (sorde e sonore) e da spiranti. I fonemi sonori *
/b, d, g/ hanno a livello germ. comune delle varianti di posizione sonore che compaiono in posizione
intervocalica, non iniziale di parola. L’epoca in cui si è prodotta la prima mutazione consonantica non si
conosce, ma è ipotizzabile che abbia agito in un periodo compreso tra il 400 e il 200 a.C., ovvero nell’epoca
non documentata del protogermanico. Infatti, i prestiti dal celtico in germ.

entrati attorno al quinto secolo a.C. hanno fatto in tempo a presentare questo fenomeno, mentre altri
prestiti più tardi non presentano più la prima mutazione consonantica.

Legge di Verner Le occlusive sorde ie. P, T, K e la spirante ie. S, quando sono in ambiente sonoro tendono a
sonorizzarsi, quando l’accento ie. non cada sulla vocale immediatamente precedente. ie. MATÉR “madre” >
germ. *moðer, > norr. móðir, ags. modor.
2.3.5 Nascita dei verbi deboli Un’importante caratteristica morfologia del germ. è la formazione di una
nuova categoria di verbi, detti deboli, che utilizza un tipo di coniugazione diverso da quello degli antichi
verbi ad apofonia (verbi forti) di discendenza indoeuropea. Mentre i verbi forti germ, sfruttano appieno
l’alternanza vocalica (apofonia) ie. per la formazione dei tempi, i verbi deboli mantengono inalterata la
radice, usando per la formazione dei tempi un suffisso in dentale *-d- (live, lived) sono gli attuali verbi
regolari. Questo perché i verbi deboli sono derivati da altri verbi (deverbali), o da aggettivi e sostantivi
(denominali); non sono verbi antichi, non possono più utilizzare l’apofonia vocalica. Un esempio di verbo
deverbale è il verbo debole ags. feran “viaggiare, partire”, derivato dal verbo forte faran “andare,
viaggiare”; forma il tempo preterito ferde “partì” e un part. passato ge-ferd “partito” Un verbo denominale
è l’ags. fyllan “riempire”, derivante dall’aggettivo ags. full “pieno, che ha preterito fylde.

2.3.6 Doppia declinazione dell’aggettivo La seconda caratteristica morfologica del germanico è la doppia
declinazione dell’aggettivo. Mentre l’aggettivo ie. segue un unico modello di declinazione qualunque sia la
sua posizione sulla frase, nelle lingue germaniche l’aggettivo ha due possibilità di flessione, a seconda che il
nome a cui si riferisce sia determinato o no. Infatti, quando il nome è determinato (dall’articolo o da
dimostrativo, possessivo, aggettivo) segue il modello della declinazione dei temi in nasale (declinazione
debole), si comporta come se fosse sostantivato. Se invece non c’è un determinativo, o l’aggettivo è in
posizione predicativa, questo segue la flessione forte, che ha desinenze di tipo pronominale. Alcuni
aggettivi come “tutto”, “altro”, seguono sempre la declinazione forte. Tutti gli aggettivi di grado
comparativo e superlativo seguono sempre il modello della declinazione debole in nasale.

2.3.7 Particolarità del lessico Tutte le lingue indoeuropee hanno una qualche percentuale del loro lessico
che non è di origine indoeuropea. Anche nel germanico comune ci sono delle parole che non hanno radici
indoeuropee: parole solo germaniche che non trovano riscontri in altre lingue. E’ il caso per esempio di got.
handus “mano” (ingl. hand) o della parola per “sangue” ingl. blood, ted. blut ecc.

2.3.8 Il sistema vocalico germanico Le vocali germ. risultano essere le seguenti. Vocali brevi: ă, ĕ, ĭ, ŭ (ŭ
potrà eventualmente produrre anche ŏ nelle lingue germ. così si forma una ŏ che non discende dall’ie.)
indoeuropeo Ǎ Ǒ ∃ Ě Ǐ Ǔ germanico \/ / | | | *ă ĕ ĭ ŭ (>ŭ, ŏ) */a e i u/ Vocali lunghe ō, ē, ī, ū. Si riforma poi
anche una ā germ. in seguito all’allungamento di compenso della vocale nel nesso
germ. *anh in cui *n cade davanti a */x/ es. germ. *fanhan-an > fāhan “ottenere”. Nasce anche una nuova
ē germ., detta ē2, probabilmente chiusa, di origine non chiara ma comunque non discendente da ie.

indoeuropeo Ā Ō Ē EI Ī Ū germanico \ / | \ / | *ō ē1 ī ū ē2 (ā> *anh)

Quanto ai dittonghi, nel germ. commune ne risultano sostanzialmente solo tre perché da ie. EI otteniamo in
germ. ī lunga.

ie. AI OI germ. *ai ie. OU AU germ. au ie. EI ī ie. EU germ. eu

2.3.9 Eredità indoeuropee nella morfologia del germanico Esistono tratti di continuità fra ie. e germ., che ci
permettono di considerare il germanico come facente parte della comunità linguistica indoeuropea. Oltre
alla conservazione di molti tratti fonetici e lessicali, è in campo morfologico che le lingue germ. mostrano il
mantenimento di alcune strutture fondamentali ereditate. I. Innanzitutto la struttura flessiva della lingua:
per alcune categorie grammaticali quali sostantivi, aggettivi, pronomi e verbi, il germ. (così come l’ie.)
esprime a mezzo di morfemi (desinenze) la funzione della parola nella frase; i morfemi danno anche
indicazioni paradigmatico-grammaticali che sono: caso, genere, numero, tempo, modo, aspetto, persona,
diatesi attiva o passiva per il verbo. II. Il germanico conserva inoltre l’apofonia ie., cioè l’alternanza delle
vocali radicali. Direttamente ereditato dall’ie. è anche il sistema pronominale, e in particolare quello dei
pronomi personali. Così anche la comparazione sintetica dell’agg., che si forma con suffissi appositi,
ereditati dall’ie. (ingl. long-er; long-est) III. Nella flessione nominale, si osserva che le lingue germaniche
antiche conservano la distinzione ie. in tre generi (masch., femm., neutro), quella del numero (sing, plur,
qualche traccia di duale nelle lingue più antiche) e quella dei casi. Qui il germ. presenta già un forte
processo di semplificazione: degli otto casi che dovevano sussistere in ie. (nominativo, genitivo, dativo,
accusativo, vocativo, ablativo, strumentale e locativo) ne restano in pratica solo quattro in germ.:
nominativo, genitivo, dativo e accusativo. IV. I sostantivi ie. erano raggruppabili in classi di flessione a
seconda del tema; il tema comprende la radice con eventuali suffissi per formare derivati e l’eventuale
vocale tematica. Al tema si aggiungono le desinenze specifiche dei casi. Esistono anche i cosiddetti temi-
radice, cioè temi costituiti dalla sola radice, a cui si attaccano direttamente le desinenze, senza vocale
tematica. Ecco le principali classi tematiche per i sostantivi germ.

Temi in vocale, detti “forti” comprendono i:

• Temi in -a (vocale tematica germ. *-a- < ie. -o-), costituiti da sostantivi maschili e neutri, come l’ags. word
< germ. *wurð-a- neutro < ie. WRDH-O-M “parola”. Nei temi germ. in -a si possono raggruppare anche le
sottospecie dei temi in *-ja e in *-wa (ad es. germ. *har-ja-z “schiera” > got. harjis, got. here, ata. hari, heri
“esercito”).

• Temi in - ō (vocale tem. germ. *- ō- < ie. Ā-) che coi sottogruppi in -jō e -wō comprendono solo sostantivi
femminili, come l’ags. giefu, ata. geba “dono” <germ. *gebō.

• Temi in -i (< ie. I) che comprendono sia maschili che femminili e neutri, come il got. gasts, ata. gast, ted.
gast “ospite” < germ. *gast-i-z masch. < ie. GHOST-I-S.

• Temi in -u (< ie. -U-) che comprendono maschili, femminili e neutri, come got. sunnus, ags. sunu, ted. sohn
“figlio” < germ. *sun-u-z masch. < ie. SUNUS. Questi temi in -u- tendono a passare ad altre declinazioni già
nella fase antica delle lingue germ. storiche. In queste lingue germ. storiche, quasi tutte le vocali tematiche
sono scomparse o trasformate.

Temi in consonante, detti “temi deboli” comprendono i:

• Temi in -n che nel germanico si allargano a comprendere anche nomi originariamente di altre
declinazioni. Ad es. ags. tunge, gen. tungan, norr. tunga, ingl. tongue “lingua” < germ. *tungon- femminile <
ie. DNGHWĀ
• Temi in -r che comprendono solo i nomi di parentela, di origine ie. come got. fadar, ata. fater < germ.
*faðer < ie. PETÉR.

• Temi in -nd che sono in realtà antichi participi presenti, e comprendono pochissime parole, come il got.
frijonds, ags. freond, ted. freund “amico” < germ. *frijond < ie. PRI- “amare”.

Temi- radice, che comprendono sostantivi di tutti i generi, come ad esempio ags., ata., ingl. man “uomo” <
germ. *man-s masch.

V. L’aggettivo germanico come quello ie. concorda col nome; prende però desinenze di tipo pronominale
quando è forte, e segue la declinazione dei temi in nasale (-n) quando è debole e si comporta cioè come un
sostantivo (2.3.6). VI. Quanto al sistema verbale, il germ. mantiene molte caratteristiche fondamentali del
verbo ie., come l’apofonia vocalica, la distinzione di tempi, modi, persona, numero, in parte anche l’aspetto
e, sempre in parte, anche la diatesi attivo/passivo. Le complesse strutture del verbo ie. sono però già
semplificate nel germ.: dei tempi conserva infatti solo il presente e un passato, senza avere né l’imperfetto,
né il futuro. Dell’aspetto del verbo ie. il germ. mantiene solo il carattere durativo del tema del presente, che
infatti nelle lingue germ. antiche poteva valere anche da futuro. L’aspetto ie. prevedeva un durativo, che
indicava un’azione in corso o un valore generico di un’azione anche ripetuta o abituale. L’ie. aveva anche un
aspetto puntuale, e un aspetto perfettivo (azione portata a termine). Questi due ultimi aspetti del germ.
sono confluiti in un’unica forma di passato, detto preterito proprio perché comprende entrambe le due
indicazioni aspettuali. Delle antiche forme sintetiche di medio-passivo del verbo ie., le lingue germaniche
non conservano quasi traccia, a parte qualche eccezione. Per esprimere il passivo dunque, le lingue germ.
hanno dovuto fare ricorso a forme perifrastiche costruite con verbi ausiliari, come è accaduto anche alle
lingue neolatine. Dei modi il germ. mantiene l’indicativo, l’ottativo (che funziona anche da congiuntivo), e
l’imperativo. Dei nomi verbali conserva l’infinito e il participio. Si mantengono le desinenze personali, e la
distinzione fra sing. e plur.. Le antiche forme di duale sono invece perdute. I verbi forti germanici
mantengono e potenziano l’alternanza vocalica ie., che prevedeva solitamente il grado normale della
vocale radicale nel presente (es. WERT- “volgere” > germ. *werþ- “diventare”), il grado forte al preterito
singolare (WORT- > germ. *warþ-) e il grado zero al preterito plurale (WRT- > germ. *wurð-). I verbi forti
germ., a seconda della struttura fonetica della sillaba radicale e del tipo di apofonia impiegata, si
suddividono comunemente per chiarezza didattica in sette classi; la settima classe era costituita dagli
antichi verbi con preterito a raddoppiamento, ma solo pochi vb. gotici mostrano ancora questo tipo di
preterito. I verbi forti cessano presto di essere produttivi, sono forti infatti solo gli antichi verbi, ed ogni
nuova formazione germ., ogni verbo derivato non rientra più nel sistema dei verbi forti. Ecco che ricorre in
questo caso un altro sistema, quello dei verbi deboli. Nelle lingue germ. moderne i verbi deboli sono
diventati col tempo molto numerosi, fino a costituire la maggioranza dei verbi, per cui in molte
grammatiche sono definiti “regolari”. Alcuni antichi verbi atematici radicali (in cui manca la vocale
tematica) son conservati nel germanico. Uno di questi è il verbo “essere” che aveva una coniugazione
suppletiva già a livello ie. Questo significa che il verbo utilizzava diverse radici nella sua flessione, ciascuna
originariamente destinata ad esprimere i diversi aspetti. Così la radice ie. ES- era impiegata per il presente-
durativo, la radice BHEW-/BHU per il perfettivo. Le lingue germ. oltre a queste due radici ne impiegano
anche una terza, la radice ie. WES- che nel germ. forma il preterito, coniugato come un pret. forte della V
classe. Altri verbi atematici sono gan “andare” e don “fare”.

2.4 Posizione reciproca delle varie lingue germaniche Tutte le lingue germaniche condividono le
caratteristiche elencate prima. Le lingue germaniche storicamente attestate hanno tutte una stretta affinità
tra di loro, ma alcune sono più vicine, tanto da
portare all’ipotesi che formino un sottogruppo; in questo caso cioè sono unite da isoglosse comuni ad esse
soltanto. Tuttavia, ricostruire l’esatta provenienza di ciascuna lingua dal germ. comune, secondo lo schema
dell’albero genealogico, non è un’impresa facile in quanto i vai intrecci e prestiti tra lingue diverse hanno
confuso le acque rendendo più difficile il compito di individuare le varie discendenze.

2.4.4 Caratteri del nordico All’interno dell’unione nord-occidentale, si possono ben presto cogliere
importanti divergenze al suo interno, che permettono di individuare un ramo settentrionale (il nordico) con
caratteristiche proprie, opposto a un ramo occidentale comprendente le lingue restanti (asass., ags., afris.,
ata.). Le caratteristiche del gruppo nordico sono le seguenti: I. Esito di */j-/ germ. La semivocale germ. */j-/
in posizione iniziale di parola si dilegua, qualunque sia la vocale seguente. Ad es. germ. *jēran “anno” > got.
jer, ata. jar, ma norreno ár “anno”. Così anche germ. *junkan “giogo” > got. juk, ingl. yoke, ma norreno ok
“giogo”. II. Esito di */w-/ germ. La semivocale germ */w-/ in posizione iniziale di parola si dilegua davanti a
vocale velare: es. germ. *wurmiz “verme/serpente” > got. waurms, ingl. worm, ma norreno ormr
“serpente”. Germ. *woðanaz (nome di divinità) >ags. Woden, ma norreno Óðinn “Odino”. III. Sincope. In
epoca più tarda, verso il settimo secolo, il forte accento intensivo ha provocato casi di sincope, ovvero di
caduta di sillabe atone interne alla parola con conseguente allungamento della vocale tonica. Ad es. il verbo
faihiðo “ho dipinto” > norreno fáða “ho dipinto.

IV. Assimilazioni. La naturale tendenza all’assimilazione dei gruppi consonantici è presente in tutte le lingue,
ma nel norreno è particolarmente accentuata; si hanno così esiti di questo tipo: da un lato got. anþar, ara.
andar (<germ. *anþer-), ma norreno annar “altro”. Così anche ata. ags. asass. findan “trovare”, ma norreno
finna; ags. drinkan, norr. drekka “bere”. V. Metafonia da -r. La metafonia è l’alterazione del timbro della
vocale radicale tonica per effetto del contesto fonetico. In norreno è provocata non solo da suoni vocalici
(come accade anche nelle lingue occ.), ma anche da -r seguente. Es. *kaRa > norr. ker “recipiente”. VI.
Nascita dei verbi riflessivi. Un’innovazione del nordico è la formazione di verbi riflessivi dal valore medio-
passivo, per mezzo del pronome riflessivo sik che viene impiegato come suffisso del verbo. Ad es. norr.
finna “trovare” > norr. finnask “trovarsi”. VII. Nascita dell’articolo posposto. Solo il nordico sviluppa un
Nuovo tipo di articolo determinativo, che si appoggia al nome; si tratta dell’articolo enn neutron et con cui
si realizzano formazioni del tipo norr. Konungr-enn “il re”. Questa innovazione è tarda e si è sviluppata
verso la fine dell’epoca vichinga. (Dal 3 al 7 sono sviluppi tardivi).

2.4.5 Isoglosse germaniche occidentali Anche le lingue del ramo occidentale sviluppano ben presto
caratteristiche proprie che lo distinguono dal nordico e dal gotico. Le isoglosse che individuano il germanico
occidentale sono: I. Geminazione: le consonanti germ. davanti a semivocale si raddoppiano, soprattutto
davanti alla semivocale */-j-/; così abbiamo ad es. got. Bidjan “pregare”, norr. Biðja, ma asass. biddjan, ags
biddan ecc; got. Setjan, norreno setja “mettere”, asass. Settjan, ags. Settan. II. Esito di germ. *ð. Nel germ.
occidentale, la spirante sonora germanica *[ð] (variante di */d/ in posizione non iniziale) diventa d. Ad
esempio: germ. *mōðer “madre” > norr. móðir, ma ags. Modor, asass. Modar. Questo passaggio deve
essere avvenuto abbastanza presto (forse prima del 500 d.C.), prima che agisse la seconda mutazione
consonantica alto-tedesca. III. Caduta della desinenza germ. *z. La desinenza dei temi masch. al nom.
singolare, germ. *-az passa > got. -s e norr. -r; cioè in queste lingue è caduta la vocale tematica ma non la
desinenza *-z. Nel gruppo occidentale invece essa è già del tutto scomparsa: es. germ. *dagaz “giorno” >
got. dags ma asass. dag, ingl. day. IV. Infinito flesso. Nelle lingue germaniche occidental, si produce
un’innovazione morfologica: l’infinito del verbo, specie se preceduto da preposizione, si può flettere come
un sostantivo, con suffisso germ. occ. *-annja; questa forma è anche detta gerundivo. Es. ags. to nimenne
(dative, da niman, “prendere”).

2.4.8 La II mutazione consonantica La seconda mutazione consonantica, o mutazione consonantica alto-


tedesca, è la più vistosa caratteristica dell’alto tedesco, l’unica lingua germanica che presenti tale peculiare
riassetto dei fonemi consonantici germanici. La II mutazione consonantica è così riassumibile partendo dal
sistema di occlusive germaniche. sorde */p t k sonore b d g/ che a loro volta erano esito della prima
mutazione consonantica, si nota che le sorde /p, t, k/ in ata. hanno due esiti: risultano affricate in posizione
iniziale, o dopo consonante, o quando geminate, cioè:
germ. /p/ ata. /pf/ scritto <pf> es. ags. æppel, ingl. apple e ata. apful, ted. apfel germ. /t/ ata. /ts/ scritto
<z>, <tz> es. germ. *tehun “dieci”> ata. zehan, ted. zehn germ. /k/ ata. /kx/ scritto <ch>, <cch> es. germ.
*werk “opera” > ata. alemanno werch

Invece, in posizione mediana, o finale dopo vocale, le occlusive sorde germ. /p, t, k/ danno luogo a spiranti
sorde; quindi:

germ. /p/ ata. /f/ scritto <f> es. germ. *slēpanan “dormire” > ata. slafan, ted. schlafen “dormire” germ. /t/
ata. /s/ scritto <z> es. germ. *hwat “che cosa” > ata. hwaz, waz, ted. was “che cosa” germ. /k/ ata. /x/
scritto <h>, <ch> es. germ. *ek “io” > ata. ih, ted. ich “io”

Quanto alle sonore germaniche /b, d, g/, diventano sorde in ata. Perciò:

germ. /b/ ata. /p/ scritto <p> es. germ occ. *b-ist “tu sei” > ata. bavarese pist, ma ted. bist. germ /d/ ata. /t/
scritto <t> es. germ. occ. *rīdan- “cavalcare” > ata. ritan, ted. reiten germ. /g/ ata. /k/ scritto <c>, <ck>, <k>.
es. germ. occ. *liggjan- “giacere” > ata alemanno likken, ma ted. liegen “giacere”. L’alto tedesco antico ha
ancora altre particolarità fonetiche che lo distinguono dalle altre lingue occ., ma la II mutazione
consonantica è certamente la più caratterizzante; infatti si considera alto-tedesco solo ciò che presenta
questo fenomeno. Essa deve aver cominciato ad agire non prima del VI secolo d.C., o addirittura verso il VII
secolo.

2.5 Il germanico orientale (gotico)

Il “ramo orientale” delle lingue germaniche è rappresentato in pratica solo dal gotico, la lingua cioè dei
Visigoti e degli Ostrogoti; le altre lingue che si presuppone facessero parte del gruppo orientale non sono
infatti sufficientemente note: abbiamo solo qualche nome proprio ma non una vera documentazione scritta
(si tratta delle tribù dei Vandali, Burgundi, Gepidi, Rugi e altre minori). Di queste in pratica non si sa nulla.
Procopio, storico bizantino del VI secolo, dice che Vandali e Burgundi parlavano sostanzialmente la stessa
lingua dei Goti. Il gotico stesso si è poi estinto, in seguito alle vicende storiche del popolo goto, per cui non
è continuato da nessuna lingua moderna: è una lingua morta. Nessuna lingua germanica moderna discende
quindi dal ramo orientale. Un tempo si credeva che il più antico documento got. fosse l’iscrizione runica
incisa sull’anello d’oro di Pietroasa (Romania), ma oggi la sua datazione non si fa risalire a prima del V
secolo. La documentazione più ampia e sicura è invece fornita dalla cosiddetta Bibbia di Wulfila. Si tratta in
realtà della traduzione dei Vangeli completata dal vescovo visigoto Wulfila (311-382), nel IV secolo. Egli
tradusse tutto il Nuovo Testamento, le lettere di S. Paolo e parte del Vecchio Testamento. Per scrivere il
got. Wulfila ideò un apposito alfabeto gotico; la sua traduzione è ammirevole per la capacità di risolvere
consistenti problemi soprattutto lessicali che si presentavano nel rendere per la prima volta in una lingua
germ. i nuovi concetti cristiani. L’opera monumentale di Wulfila, rivolta ai Goti che proprio in quegli anni si
stavano convertendo, è conservata da manoscritti posteriori risalenti al sesto secolo. Sono numerosi anche
i documenti provenienti dall’Italia. Documenti minori della lingua gotica sono i nomi propri o parole gotiche
sparse in testi latini contenuti in antologie, nomi di

lettere dell’alfabeto got. e anche i prestiti entrati dal got. nelle lingue romanze. Non è rimasto nulla della
poesia epica gotica, ma quello che ci è rimasto di scritto in gotico è frutto della conversione al
Cristianesimo, opera di copisti goti, glossatori e revisori di testi. Con la fine del regno Ostrogoto d’Italia
(553) sembra estinguersi anche la lingua gotica, che lascia tracce soltanto sotto forma di prestiti nell’alto-
tedesco antico, nell’italiano, nel francese o spagnolo, o sotto forma di toponimi e antroponimi entrati in
queste lingue.

2.6 Il germanico settentrionale


Quello settentrionale, o nordico, è il ramo più omogeneo e unitario; quello dove le divisioni linguistiche
interne sono avvenute più tardi. Ciò è dovuto anche al fatto che i popoli scandinavi sono rimasti a lungo
nelle loro sedi storiche (parte dello Jutland, isole danesi, Svezia centro-meridionale, Norvegia sud-
occidentale) senza grandi spostamenti, almeno fino all’età vichinga che inizia nel IX secolo. È dalla
Scandinavia che abbiamo la maggior quantità di iscrizioni runiche, alcune delle quali molto antiche (II-III
secolo). Fino a che nel Nord Europa non si scriveranno i primi codici medievali in alfabeto latino (non prima
del XII secolo), il nordico rimane documentato solo da iscrizioni runiche, per cui si parla anche di “periodo
runico”. La fase più antica del periodo runico è detta “proto-nordico”

2.6.1 Il proto-nordico È il periodo che va grosso modo dal II-III secolo al IX. Le iscrizioni runiche mostrano
che in questa fase la lingua era omogenea e sostanzialmente unitaria per tutta la Scandinavia; una lingua
molto arcaica che mantiene ancora le vocali tematiche e le desinenze, e tanto vicina al germanico comune
che i linguisti si sono abbondantemente basati proprio sul proto-nordico nei loro tentativi di ricostruzione
del germanico comune. Una famosa iscrizione runica è quella del corno d’oro di Gallehus risalente al 400
circa, oggi purtroppo scomparsa perché il corno venne trafugato e fuso. Una trascrizione ci dice che
l’iscrizione dava informazioni su chi l’avesse fatta. La lingua è ancora arcaica e presenta le vocali tematiche
intatte. Fra il VI e il VII secolo il proto-nordico entra in un periodo di mutamento, i principali dei quali sono
la sincope, quindi la metafonia e il frangimento. Si parla allora di proto-nordico tardo, contrapposto al
periodo più arcaico. La sincope comporta contrazioni come *spāhō > spá “profezia”. La metafonia nordica
inizia con l’influenza delle vocali estreme /i, u/ sulla vocale radicale, cioè le vocali /i, u/ atone esercitano
una sorta di assimilazione sulla vocale tonica radicale, che si sposta verso il timbro [i] (metafonia palatale o
da i), o verso il timbro [u] (metafonia velare o da u). Dopo di che, le vocali atone possono anche cadere,
avendo però lasciato traccia nel timbro della vocale radicale metafonizzata. Es. metafonia da i: proto-nord.
*katilaR > norr. ketill “pentola”. Metafonia da u: proto-nord. *garuaR > norr. gorr “pronto”. In seguito, si
produce la metafonia da -R, tipica del nordico. Il frangimento, o frattura, nel nordico è un fenomeno che
inizia non prima del 650 circa, comporta il dittongamento di /e/ tonica quando sia seguita da /a/ o /u/ e da
nessi consonantici. Il periodo post-nordico è caratterizzato da una sostanziale unità linguistica per tutta la
Scandinavia, il che è dovuto anche al fatto che i maestri incisori di rune continuano a usare un linguaggio
tradizionale e conservativo.

2.6.2 L’età vichinga Con l’inizio del nono secolo si apre la cosiddetta età vichinga, l’epoca in cui la lingua
nordica viene esportata oltre i confini originari sull’onda dell’espansione vichinga oltremare. I mutamenti
già iniziati nel tardo proto-nordico si accentuano, si cominciano a verificare i fenomeni di assimilazione
tipici del nordico, si producono innovazioni come la nascita dell’articolo posposto al nome e la formazione
dei verbi riflessivi. La lingua attraversa un periodo di transizione che sfocerà poi dopo il Mille nel cosiddetto
norreno, la lingua classica della letteratura nordica medievale. Durante l’epoca vichinga sono ancora
presenti iscrizioni runiche, ma la lingua si trova in un periodo di trapasso e di rapida evoluzione. L’età
vichinga è il momento della massima espansione delle lingue nordiche: i Vichinghi norvegesi esportano la
loro lingua in

Islanda, Groenlandia, Irlanda, Scozia, isole Ebridi, Orcadi, Shetland e le Fær Øer. Dalla Danimarca la lingua
nordica viene temporaneamente estesa a parti dell’Inghilterra (Danelaw) e della Normandia, dove ha
lasciato tracce sotto forma di prestiti e nomi propri. In tutti questi territori col tempo la lingua degli invasori
verrà abbandonata per il prevalere delle varie lingue locali: con l’eccezione delle Fær Øer e dell’Islanda, che
essendo originariamente disabitate non hanno mai avuto altro volto linguistico che quello nordico.

2.6.3 Il norreno

Con norreno si indica la lingua letteraria dell’Islanda e della Norvegia medievali. È detto anche antico
nordico o antico islandese. Il norreno ha una documentazione vastissima e una grande raccolta letteraria.
Dopo l’adozione del Cristianesimo come religione ufficiale in Islanda e Norvegia nell’anno 1000, fu
introdotto in questi paesi l’alfabeto latino e l’usanza di scrivere sulla pergamena. Tuttavia le rune non
furono abbandonate del tutto, ma avevano un impiego epigrafico. I primi manoscritti islandesi risalgono al
1118 con i testi giuridici e segue poi il Primo Trattato grammaticale islandese, della seconda metà del 1100.
La letteratura vera e propria inizia con la prima versione della saga del re Olaf il Santo, a questa seguono
numerose saghe sulla vita dei re di Norvegia. Il genere è in prosa, spesso anonimo, costruito attorno al
contesto storico. Si può considerare saga anche il libro che parla dell’occupazione dell’Islanda da parte dei
primi coloni norvegesi, la Landnámabók. Esistono molte saghe famose, come ad esempio quella su Erik il
Rosso, Grettir, Egill e così via. Nella prima metà del 1200 un autore islandese, Snorri Sturluson (1179-1241),
raccoglie materiali storici rielaborando le saghe dei re di Norvegia nella sua opera Heimskringla, fonte
preziosa per la conoscenza della storia scandinava. Ma l’opera più famosa è l’Edda, detta appunto Edda di
Snorri o Edda in prosa del 1230. Si tratta di un manuale per i poeti di corte, gli scaldi, in cui viene spiegata la
mitologia nordica pagana, insieme alla tecnica poetica, la metrica, la ricchezza dei sinonimi del linguaggio,
le figure retoriche. Per noi è una delle fonti principali per la conoscenza della religione pagana germanica.
L’Edda di Snorri è conservata nei manoscritti: - Codex Uppsaliensis della biblioteca Universitaria di Uppsala -
Codex Regius della Biblioteca Reale di Copenaghen (2367) - Codex Wormianus della raccolta Arnamagnana
di Copenaghen (AM 242) - Codex Trajectinus conservato a Utrecht in Olanda (1374) Ma Snorri prende
esempio da una più antica Edda, quella poetica, una raccolta di carmi di autori anonimi, che è forse la più
famosa opera di letteratura norrena. Si tratta di una trentina di poesie di argomento sia mitologico che
eroico, di varia epoca (le più antiche risalgono al X secolo). Tra i carmi mitologici ricordiamo la Völuspá (la
profezia dell’indovina) che parla della storia del mondo fino al crepuscolo degli dei; l’ Hávamál, monologo in
cui Odino enuncia sentenze sulla condotta di vita, mentre nella Lokasenna al banchetto degli dei Loki
scambia insulti con tuti gli altri dei a turno. Il principale manoscritto che contiene l’Edda poetica è il Codex
Regius del 1270 circa, conservato prima a Copenaghen ma poi restituito all’Islanda. Frammenti dell’Edda
sono contenuti anche in altri manoscritti. Oltre alla poesia eddica, di contenuto tradizionale, la letteratura
norrena conosce anche la poesia scaldica, poesia d’occasione, di encomio o di infamia, composta dagli
scaldi, i poeti di corte che componevano brevi strofe su argomenti di ogni tipo, con tecnica complessa,
molte figure retoriche e metrica elaborata, ma soprattutto di interpretazione non sempre evidente.

2.6.4 Le lingue nordiche moderne Islandese Nonostante nel 1262 l’Islanda avesse riconosciuto la sovranità
del re di Norvegia, la sua posizione isolata ha mantenuto di fatto la lingua islandese al riparo dalle
progressive innovazioni delle altre lingue scandinave. Anzi, nel 1300 si è compiuto un vero distacco dal
norvegese, che ha subito una vera e propria evoluzione. Oggi l’islandese è la più conservativa delle lingue
germaniche e mostra ancora una morfologia ricca di flessioni. Non esistono fortissimi mutamenti linguistici,
che casomai si producono solo nella pronuncia.

L’islandese moderno conserva anche la desinenza in -ur del nom. masch. sing. dei temi forti. Le declinazioni
e le desinenze personali dei verbi sono conservate. L’isolamento geografico e l’orgoglio purista degli
islandesi hanno anche impedito che il lessico accogliesse troppi prestiti dalle altre lingue: si preferiscono
creare dei neologismi con materiale lessicale e radici irlandesi. La grafia è rimasta quella antica con i segni
<ð> e <þ> per le spiranti interdentali, e l’accento acuto è tutt’ora usato per indicare una vocale lunga.
L’islandese è parlato solo in Islanda e gli abitanti difendono strenuamente la loro lingua da eventuali
interferenze con l’Inglese. Non sono mai entrati in uso veri e propri cognomi: al nome di battesimo si
accompagna solo il patronimico formato aggiungendo al nome del padre l’elemento -son per i maschi e -
dóttir per le donne. Feroese Le Fær Øer (il nome significa “isole delle pecore”), situate nell’Atlantico
Settentrionale tra Norvegia e Islanda, sono le uniche (insieme all’Islanda) a conservare la parlata
scandinava, fra tutte le isole occidentali una volta occupate dai Vichinghi. La varietà del nordico parlato
nelle Fær Øer è detto feroese o feringio. Non è lontano dai dialetti della Norvegia occidentale, ma ha anche
molte caratteristiche conservative che la accomunano all’islandese. Siccome le isole appartengono da anni
alla Danimarca, il danese vi è ben conosciuto come seconda lingua, ma il feroese è comunque la lingua
ufficiale. Norvegese L’evoluzione del norvegese è molto particolare, evolvendosi dal norreno la lingua si
allontana da quella parlata in Islanda e attraversa una serie di semplificazioni grammaticali che non si
verificano invece in Islanda e nelle Fær Øer. Le vicende politiche incidono però sull’evoluzione della lingua:
la Norvegia viene unificata al regno di Danimarca e il Danese dei documenti governativi si impone come
lingua ufficiale, facendo perdere così la tradizione scritta norvegese, sopravvivendo solo a livello orale.
Comunque il Danese di Norvegia, se nella forma scritta non si discosta dal danese, viene di fatto
pronunciato come il norvegese. Danese Nel periodo antico il danese ha una scarsa documentazione, se si
escludono le iscrizioni runiche. Dal 1300 circa iniziò a differenziarsi dallo svedese, raggiungendo uno stadio
in cui le forme grammaticali sono meno conservative e sviluppando caratteristiche proprie. Acquisì molti
prestiti anche dal basso tedesco medio. Il danese è oggi parlato da 5 milioni di abitanti della Danimarca e
dai pochi residenti in Groenlandia, nonché come seconda lingua nella Fær Øer, anche se pare che in
Groenlandia (autonoma, ma pur sotto la sovranità della corona Danese) la lingua danese tenda a
differenziarsi leggermente rispetto alla Danimarca. Svedese A parte una grande quantità di iscrizioni
runiche, lo svedese antico non ha documenti scritti fino al 1250, quando vengono raccolte per la prima
volta le leggi della regione Västergötland; questa regione conserva il nome dei suoi antichi abitanti, i Gotar
o Geati, vinti e inglobati dagli svedesi veri e propri (Svíar- la regione dello Svealand conserva il loro nome).

Fra le lingue scandinave, eccetto naturalmente l’islandese, lo svedese è la più conservativa dal punto di
vista morfologico; ha però molti prestiti basso-tedeschi e francesi. Quanto alla fonetica, è passato
attraverso fenomeni di palatalizzazione e presenza caratteristiche di mutua comprensibilità con il
norvegese, ma molto meno con il Danese. Le lingue scandinave moderne di terraferma sono
sostanzialmente tutte reciprocamente comprensibili, mentre l’islandese e il feroese necessitano di
traduzione per gli altri scandinavi. Nel ’78 è stata creata una segreteria per coordinare i lavori di
commissioni che intendono promuovere la mutua comprensibilità delle lingue scandinave, sulla base di uno
“skandinavisk” sovranazionale.

2.7 Il germanico del Mar del Nord Il gruppo germanico occidentale è molto più complesso e articolato di
quello settentrionale e comprende le lingue: anglosassone, frisone, antico sassone e l’area investita dalla
seconda mutazione consonantica principalmente l’alto tedesco antico.
2.8 Area della II mutazione consonantica Il fenomeno della seconda mutazione consonantica ha agito
nell’area meridionale del germanico occidentale e ha toccato più o meno intensamente i dialetti alto-
tedeschi e anche la lingua dei Longobardi. E’ certo che verso il nord si può tracciare un

confine oltre il quale la II mutazione consonantica non ha agito: è la cosiddetta linea (o fascia) di Benrath
(cittadina nei pressi di Düsseldorf) che divide l’area del basso-tedesco (a nord) dall’area alto-tedesca a sud.

3. CULTURA 3.1 Religione Qualche notizia sulla religione pagana ce la dà Tacito nella sua Germania. Lo
storico latino parla di divinità antropomorfe, che vengono equiparate alle note divinità romane. Risulta così
che i Germani alla sua epoca veneravano soprattutto Woden- Odino (equiparato a Mercurio), Thor (che
Tacito fa corrispondere a Ercole) e Tyr (che sarebbe Marte). La nostra conoscenza della mitologia resta però
pur sempre parziale. Secondo Snorri la divinità maggiore è Odino (norr. Óðinn), il “padre di tutti”, dio
inquietante, che ha ceduto un occhio in cambio della sapienza, della conoscenza, della magia, della
preveggenza. Odino conosce i segreti delle rune, è dio della poesia e dell’invasamento poetico. E’ stato
appeso all’albero del mondo nove notti per acquisire questi poteri. Se l’etimologia è giusta, alla base del
nome c’è il tema germ. *woð- < ie. WĀT- “furia profetica”. Il cavallo di Odino, Sleipnir, ha otto zampe. Il dio
guida le anime dei morti e accoglie i guerrieri caduti in combattimento nella Valhalla. Nonostante i poeti
diano la preminenza a Odino, di fatto il dio più venerato dalla popolazione scandinava era Thor (norr. þórr<
*þunar). Lo si vede anche dalla quantità di antroponimi formati proprio con il nome di questa
divinità:Thordis, Thorvald ecc. Thor era stato il protagonista di molte avventure, come quando dovette
recuperare il suo martello, Mjollnir, caduto in mano ai giganti. E’ dio del tuono e del fulmine, attraversa le
nubi su un carro tirato da capri. Tyr (norr. Týr) era un antico dio delle assemblee e delle procedure legali,
ma prese poi in parte anche il carattere di divinità guerresca (approssimativamente paragonato a Marte).
Con Odino e Thor, Týr appartiene alla schiera degli Asi, gli dei per eccellenza della mitologia nordica, che
avevano stabilito la loro posizione sovrana dopo un patto di pace con i Vani, altro gruppo di divinità
germaniche. Questo patto portò pace e ordine. Tra i Vani spiccano le dee Frigg, che diviene la sposa di
Odino, e Freyja (equiparata a Venere), il dio del mare Njordr e suo figlio Freyr, dio della fertilità. I Vani sono
le divinità della natura, delle forze terrestri, dell’abbondanza, della fecondità e dell’amore. Si spartiscono
con gli Asi le funzioni principali del potere cosmico: la sovranità (Odino), la forza (Thor), la fecondità (Freyr).
Freyr risiede in Svezia e ha ad Uppsala il suo tempio. Njordr risiede a Nóatún (“città delle navi”), ma ha per
sposa Skadi (dea dei monti). Le connessioni che la religione ha col mare si colgono anche osservando le
pratiche di sepoltura: il morto veniva abbandonato su una nave alla deriva, oppure sepolto sotto un tumulo
con la nave e tutto. E’ grazie a queste pratiche che si sono conservate le navi vichinghe. Secondo la
mitologia eddica, gli dei si sono man mano corrotti e devono sottostare anch’essi al destino incombente: li
attende il fatale Ragnarøkkr, il “crepuscolo degli dei”. Assai diffuso è il culto dell’albero sacro, che
probabilmente rappresenta l’albero del mondo ricordato nell’Edda. La preveggenza era esercitata
soprattutto dalle donne, si credeva a una quantità di segni premonitori, di superstizioni, alla fortuna, alla
magia delle rune, si festeggiavano i giorni del solstizio estivo e invernale. Molte di queste pratiche
sopravvivono, anche se deformate, nel folklore. Solstizio d’inverno si festeggia ancora nel giorno si S. Lucia,
i festeggiamenti sono ora adattati al natale cristiano. Solstizio d’estate mimetizzato nella festa cristiana di S.
Giovanni, a cui resta il nome di “midsummer”. Il culto dell’albero sembra riemergere, tramutato,
nell’usanza tedesca dell’albero di Natale. Tantissime superstizioni poi si mantengono in tutta Europa, come
nelle valli alpine il lasciare fuori dalla casa del cibo per tenere a bada i folletti maligni.

3.2 Rune I germani, prima di adottare l’alfabeto latino conoscevano un’altra forma di scrittura, anch’essa di
tipo alfabetico, usata fin dal II-III secolo d.C.

Le rune avevano però un impiego solamente epigrafico, venivano incise su oggetti, su pietra, usate per
comporre brevi iscrizioni, non per stendere lunghi testi. Sono numerose in Scandinavia, dove si trovano le
più antiche iscrizioni, ma anche dove l’uso delle rune si è protratto più a lungo. L’alfabeto runico
comprendeva 24 segni, disposti in ordine fisso. Dato che l’ordine iniziava per le rune f, u, þ, a, r, k in
successione, l’alfabeto stesso viene chiamato fuþark. Nell’alfabeto runico, con la R, si vuole indicare l’esito
di germ. */z/, dopo il fenomeno del rotacismo, anche se si pensa che a questa runa corrisponda ancora /z/.
Nella forma, le rune non presentano angoli reti, né tratti orizzontali, questo perché erano in origine usate
sul legno, e l’incisione assecondava l’andamento delle fibre del legno. Ogni runa ha un nome secondo il
criterio acrofonico: cioè il nome inizia con il suono che la runa stessa vuole indicare. Tra i nomi delle rune
troviamo qualche nome di divinità (ás “Aso, dio”, þurs “gigante”), molti nomi di piante, animali, elementi
della natura, altri significano ricchezza (fé, la prima runa). Le rune si riferiscono a divinità molto antiche,
non agli dei del tardo paganesimo, e i riferimenti a piante e animali fanno pensare a una religiosità
primitiva. Runa in sé significava “segreto/sussurro/mistero”, forse “comunicazione cifrata”. Ciò fa pensare,
oltre a pratiche magiche, anche al fatto che probabilmente questa scrittura, in un periodo di cultura orale,
era nelle mani di un’élite di maestri incisori di rune.

Le rune hanno avuto una notevole evoluzione attraverso il tempo e lo spazio. Dal primitivo centro di
irradiazione scandinavo, l’alfabeto runico a 24 segni si è diffuso in Frisia, Germania e Inghilterra. Alcuni
oggetti sono stati ritrovati anche in Europa Orientale. Presso i frisoni e in Inghilterra, l’antico fuþark a 24
segni è stato ampliato a 33, e il nome della runa þurs è stato sostituito da þorn (spina) perché ritenuto
troppo pagano. In Scandinavia, il sistema di scrittura runico si è ridotto nel corso dell’Ottavo secolo a soli 16
caratteri (young fuþark), portando però ad una ambiguità fonetica (non c’è differenza tra consonanti sorde
e sonore). Il nuovo fuþark continua ad essere in uso per molto tempo, ma ormai in un contesto cristiano. Il
paese con più iscrizioni runiche è la Svezia, poi Danimarca e Norvegia, mentre poche e tardive si trovano in
Islanda. Alcune si trovano anche in Groenlandia, colonizzata dagli islandesi, e in Puglia. L’uso delle rune
scomparve gradualmente dopo l’introduzione dell’alfabeto latino
3.3 Gli Alfabeti I Germani tralasciarono le rune e si volsero all’esempio delle lingue scritte per eccellenza
del mondo tardo-antico: gli alfabeti greco e latino. In genere l’adozione della cultura scritta e degli alfabeti
ha coinciso con l’accettazione della nuova religione cristiana. I primi a dover stendere un lungo testo nella
propria lingua furono i Goti. Wulfila nel IV secolo per scrivere la sua traduzione del Vangelo dal greco al
gotico ideò un alfabeto esclusivamente gotico, adatto ai suoni della sua lingua. Quest’invenzione rimase in
uso presso i Goti almeno fino al VI secolo, ma scomparve con la fine della lingua gotica stessa. Il vescovo
traduttore per creare il suo alfabeto si basò su lettere greche, latine e anche sulle rune. In Inghilterra gli
Anglosassoni adottarono l’alfabeto latino nella grafia in uso ai tempi in cui giunse loro il Cristianesimo.

3.4 La nascita delle letterature e l’antica poesia germanica 3.4.1 Gli inizi La nostra conoscenza delle
letterature germ. antiche è per forza limitata a ciò che è stato messo per iscritto, o meglio a quanto è
giunto a noi. Dato che la tradizione scritta è iniziata con la conversione al cristianesimo, gli inizi stessi sono
necessariamente collegati all’introduzione della nuova religione. 3.4.2 Ben presto la scrittura appare come
mezzo utile anche per fissare la letteratura nativa fino ad allora tramandata oralmente,

con le varie tradizioni che esprimeva. È questo il momento in cui avviene il passaggio dalla tradizione orale,
di componimenti mandati a memoria e recitati, nonché continuamente modificati, alla letteratura scritta e
definitiva. La maggior parte della poesia germ. più antica era stata tramandata oralmente, e abbiamo molte
tracce della fase orale anche nella scrittura e nello stile. 3.4.3 Generi La poesia germanica antica è
suddivisibile in vari generi:

• La poesia didascalica, che tramandava in versi memorizzabili proverbi e sentenze, enigmi, indovinelli,
versi, formule di incantesimo.
• La poesia d’encomio era volta invece a celebrare in brevi composizioni d’occasione le imprese di re e alti
personaggi. Di questo tipo è gran parte della poesia scaldica, in versi brevi e con molte figure retoriche e
metafore.

• La poesia epico-eroica, forse la più bella e famosa. Elabora uno stile particolare nato dalla recitazione
orale, una serie di imprese leggendarie di eroi o personaggi storici come Teodorico, Attila, trasformati però
dalla leggenda. Questo tipo di poesia è passato da essere poco descrittivo ed essenziale ad essere ricco di
metafore, di lessico, ripetizioni ecc.

La poesia anglosassone e quella norrena in particolare sono ricche di speciali metafore, le Kenningar. La
kenning era una circonlocuzione figurata, per cui ad es. “destriero delle onde” stava per il semplice “nave”,
“sentiero delle balene” per “mare” e così via. Nella poesia scaldica, la quantità di kenningar è
sovrabbondante, tanto che alcune strofe risultano essere degli indovinelli di difficile risoluzione. Frequente
in tutta la poesia più antica è anche l’uso di heiti, cioè di appellativi costituiti da una sola parola,
denominazioni per cui lind “tiglio” indica lo “scudo”, che era infatti di legno di tiglio ecc. Questi appellativi
vanno ad arricchire il lessico, già ricco di suo, di molte varianti stilistiche.

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