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MANUALE DI INGLESE ANTICO

INTRODUZIONE
Posizione dell’inglese fra le lingue germaniche
Le lingue germaniche fanno parte della grande famiglia linguistica che chiamiamo indeuropea.
Le lingue germaniche occupano in questo ambiente una posizione centro-settentrionale, e si differenziano dalle altre
lingue indeuropee per certe caratteristiche che, ovviamente, troviamo presenti anche in inglese:

1.La cosiddetta “mutazione consonantica” o legge di Grimm;


2.l’accento di intensità fisso sulla sillaba radicale;
3.la riduzione della morfologia;
4.il particolare trattamento delle vocali.

Queste lingue germaniche si differenziano a lor volta in orientali (delle quali ci è noto il solo gotico), settentrionali
(norvegese, svedese, danese e islandese) e occidentali (tedesco alto e basso, frisone, inglese).
L’inglese appartiene dunque al ramo occidentale delle lingue germaniche e in questo stesso ambiente è
particolarmente affine – nel periodo antico del quale ci occupiamo – al frisone, tanto che si parla spesso di “anglo-
frisone” e, nella letteratura scientifica moderna, di “ingevone”, riprendendo una dizione tacitea. Segue per affinità il
basso tedesco, mentre si allontana notevolmente l’alto tedesco, il quale, avendo avuto una evoluzione del
consonantismo tutta particolare (seconda mutazione consonantica), si distingue nettamente da tutte le altre lingue
germaniche.

Le origini della lingua inglese


La storia dell’inglese comincia alla metà del V secolo d.C. Intorno agli anni 446-450 alcuni contingenti delle tribù
germaniche degli Angli, Sassoni, Juti, molto verosimilmente anche dei Frisoni, passarono la Manica iniziando una
serie di scorrerie e colpi di mano che, crescendo via via di entità, porteranno al loro definitivo insediamento nell’isola
e alla conseguente germanizzazione di essa.
Secondo la tradizione raccolta e tramandata dal Venerabile Beda questi gruppi di Germani continentali furono
chiamati in aiuto, come truppe mercenarie, da un regulo britanno del sud dell’isola, Vortigern, per difesa contro le
continue e sanguinose incursioni di Pitti e Scoti, popolazioni settentrionali, anch’esse di stirpe celtica.
(*Beda: erudito anglo vissuto dal 673 al 735, che ha narrato le vicende del suo popolo nella sua “Historia
Ecclesiastica Gentis Anglorum”).

Ben presto da alleati e sottomessi questi Germani si trasformarono in padroni e invasori e alla fine del V secolo tutta
la parte meridionale della maggiore isola britannica era in loro mano.
Gli antichi abitanti dell’isola, tribù celtiche, lasciano il campo. Fuggono dinanzi alla furia selvaggia dell’invasore, si
rifugiano nelle zone più impervie (la Cornovaglia, il paese del Galles, la Strathclyde) o addirittura passano il mare e si
insediano in quella penisola Armorica, che da loro prenderà il nome di Bretagna.
I Celti sembrano annullarsi: sono completamente sottomessi e della loro lingua, che pur aveva sopravvissuto alla
lunga dominazione romana, non riaffiora nulla o quasi nulla nella lingua germanica che i nuovi padroni impongono a
tutta la popolazione dell’isola. Il sostrato linguistico celtico non ha di fatto importanza nella nuova lingua dell’isola:
restano vivi una serie di toponimi, il che è abbastanza comprensibile, e un esiguo numero di voci d’uso comune,
termini familiari, rustici o legati alla morfologia del terreno: per es. binn “mangiatoia”, brocc “tasso”, bannock
“focaccia d’avena”, dunn “oscuro”, dun “collina”, cumb “valloncello”.

Una volta cessata la lotta per la conquista del territorio, le nuove stirpi germaniche si sistemano non in un unico
stato, ma in una serie di piccoli regni. Nella seconda metà del VI secolo si ha nell’isola la cosiddetta eptarchia: il
regno del Kent, i tre sassoni del Sussex, Essex, Wessex, e i tre regni angli della Mercia, della Northumbria e dell’Anglia
Orientale. Questo spezzettamento politico ha il suo riflesso anche nella lingua. Non si ha una lingua unica, ma un
gruppo di dialetti del resto molto affini fra loro: anglo, sassone, kentico.
Inizialmente gli Angli dovettero avere una posizione preminente; si parla infatti nei primi testi di englisc per indicare
genericamente la lingua di tutto il paese. L’espressione Angli-Saxones o Anglo-Saxones è usata sul continente per
indicare i Sassoni emigrati e distinguerli dai Vetuli Saxones rimasti nella madrepatria.
Per queste ragioni, pur riconoscendo la grande portata del mutamento avvenuto nella lingua della quale ci stiamo
occupando fra l’XI e il XII secolo, cioè dopo la conquista normanna, si preferisce qui chiamare questa stessa lingua

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“inglese”, e non “anglosassone” anche nel periodo che va dalle origini al secolo XII, per evitare ogni idea di soluzione
di continuità:

antico inglese, dalle origini al secolo XII;


medio inglese, dal XII al XVI secolo;
nuovo inglese o inglese moderno, dal XVI secolo ad oggi.

Quasi tutta la letteratura inglese antica, anteriore alla conquista normanna, ci è stata tramandata nel dialetto del
Wessex, quindi lo studio della grammatica inglese antica si fonda essenzialmente su questo dialetto. Alla fine dell’XI
secolo, collo spostarsi del centro politico e commerciale da Winchester (Wessex) a Londra (Mercia) è il dialetto della
Mercia che diventa la base della lingua comune.

Evoluzione della lingua inglese. Influssi stranieri.


Abbiamo veduto l’importanza quasi nulla del sostrato linguistico celtico per la formazione dell’inglese.
Di notevole importanza fu invece l’influsso latino, conseguente alla cristianizzazione avvenuta a partire dalla fine del
secolo VI. Molti prestiti latini erano già entrati nella lingua di queste tribù germaniche prima ancora che esse
lasciassero la madre patria. Sono termini di cultura che riguardano l’arte muraria (es. street, wall, chalk, chester;…) il
commercio (inch, pound, cheap, mint…), la tecnica del frutteto (wine, cherry, plum, peach) e molti altri campi del
viver civile. C’è dunque già nell’inglese antico uno strato che potremmo chiamare arcaico di latinismi al quale se ne
sovrappone un secondo, legato alla nuova fede (apostle, disciple, creed, priest, bishop…).

Verso la fine dell’VIII secolo, quando l’Inghilterra era divenuta un paese fiorente e pacifico, un centro di cultura
nell’Europa medievale, cominciano le scorrerie dei Vichinghi, pirati-guerrieri che vengono dalla Norvegia e dalla
Danimarca. Dalle prime incursioni della fine dell’VIII secolo si passa alle grandi invasioni in forze del secolo IX, e per
l’Inghilterra si inizia un lungo periodo di lotte, distruzioni, saccheggi, che pur avendo momenti di grande gloria e di
vera e propria ripresa, quali quello corrispondente al regno di Alfredo il Grande e dei suoi immediati successori
Edoardo ed Aethelstan, si concluderà all’inizio dell’XI secolo con la totale soggezione dell’Inghilterra ai Danesi.
Due lunghi secoli di guerra, ma anche di una lenta, capillare infiltrazione di gente scandinava nel mondo inglese.
Questo fatto lascia tracce negli usi, nei costumi, nel modo di amministrare le città e, com’è naturale, anche nella
lingua. L’influsso nordico è considerevole: nomi di luogo, di persona, termini di guerra, termini giuridici, parole
dell’uso comune, fatti fonetici e morfologici.

Infine, col 1066; dopo la morte sul campo ad Hastings di Harold, l’ultimo re inglese caduto combattendo contro le
truppe di Guglielmo di Normandia, detto poi “il Conquistatore”, inizia quel periodo di predominio politico e culturale
del francese sull’inglese che avrà come risultato l’arricchirsi della lingua inglese di una quantità eccezionale di termini
francesi e quel suo aspetto di lingua, per quel riguarda il vocabolario, semiromanza.
L’inglese, in tutte queste sue complicate vicende, è sempre restato fondamentalmente se stesso, caratterizzato se
mai da una eccezionale duttilità e capacità ricettiva in ogni momento della sua storia, anche molto dopo la
Conquista: nel Rinascimento verso il mondo latino-italiano, nel periodo coloniale verso il mondo orientale, ha saputo
appropriarsi di molto materiale linguistico straniero, assimilandolo perfettamente, inquadrandolo nelle sue categorie
e nei suoi modelli. Ne è risultata quella lingua agile, vivace, ricchissima di sinonimi, evolutissima nella morfologia,
dalle quasi infinite possibilità espressive che è l’inglese nel nostro tempo.

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FONETICA

Grafia
Le tribù germaniche che nel V secolo invasero la Britannia non conoscevano altro sistema di scrittura che l’alfabeto
runico. Ma le rune* sono segni adatti a scrittura epigrafica, non corsiva e, con la cristianizzazione, fu introdotta
presso gli Inglesi la scrittura corsiva latina. Tuttavia le rune si continuarono ad usare fino al IX secolo, anzi il loro
sistema, che era in origine di 24 segni, si evolse in terra britannica fino ad avere 28 segni.
La prima missione cristiana inviata nel 597 in Britannia da Papa Gregorio Magno, portò nell’isola numerosi codici
scritti (grafia rotondeggiante), ma non possiamo dire che questo tipo di scrittura abbia trovato seguito. Tutti i codici
inglesi antichi che noi possediamo sono scritti in una grafia peculiare, angolosa, longilinea, molto elegante, che i
paleografi chiamano “insulare” o “irlandese”. Essa fu creata traendola dalla semionciale corsiva latina, nelle scuole
scrittorie d’Irlanda e di Scozia, già nel VII secolo. Il principale centro di diffusione in Inghilterra fu l’abbazia di
Lindisfarne, fondata da Aidan, monaco del convento di Iona (Scozia).
Uno dei più famosi e splendidi esempi di scrittura irlandese è proprio un Evageliario di Lindisfarne scritto intorno al
700, di una eleganza e raffinatezza straordinaria. Adattare l’alfabeto latino a rendere i suoni di una lingua germanica
non fu certo cosa semplice e si dovette ricorrere a vari compromessi. Ne deriva una grafia incerta e varia talora
anche nello stesso testo.
*sistema grafico diffuso particolarmente nel Nord, i cui segni venivano chiamati ‘rune’. L’origine delle rune va
ricercata negli alfabeti di tipo venetico dell’Italia settentrionale, precisamente della fascia alpina centro-orientale,
diffusisi per via non precisamente nota nella Germania meridionale e da lì verso il nord, e che trovarono nelle
prospere condizioni economiche della Danimarca del I-II secolo d.C. i presupposti per una rapida evoluzione ed
espansione.

Pronuncia
È chiaro che queste “regole di pronuncia” non hanno pretesa di esattezza. Si vuol solo dare delle norme
approssimative di lettura, seguendo quella che è la tradizione scolastica, basata in parte sulla interpretazione delle
grafie antiche, in parte sullo sviluppo grafico e fonetico nel medio inglese e nell’inglese moderno.

a)Vocali
i, e, a, non presentano problemi
o,u
(ae,e) si pronuncia come l’a di ingl. fat, cat, black.

a dinanzi a nasale ha un suono intermedio fra la a e la o. Nel IX sec. si usa più di frequente o, che è la norma
nel dialetto anglico. Con il X secolo riprende il prevalere di a.

y si pronuncia come la u francese. Bisogna notare che molto presto nel sassone occidentale y sta per .
il suono i. Questo dipende dal fatto che si ha nell’inglese antico una progressiva perdita di
arrotondamento della y, la quale alla fine del periodo è semplicemente una variante grafica della i.
Confronta del resto la situazione dell’inglese moderno dove y nota la i in finale.

(oe) nei rari casi in cui appare si pronuncia come la ö tedesca di ted. schön, können ecc.

I diagrammi ea, eo (io), ie notano talora vocali semplici, talora dei veri e propri dittonghi.
Sono dittonghi quando continuano antichi dittonghi ie.ea < au; eo (io) < *eu; ie < ea, eo (io) metafonizzati. Dato che
questi dittonghi sono lunghi si usa segnarli come tali nei testi moderni: ēa, ēo, (īo), īe.
Sono diagrammi quando sono effetto di quelle pseudodittongazioni che si hanno dopo consonante palatale o dinanzi
a consonante velare o per metafonia da vocale scura. La esatta pronuncia non è facilmente determinabile, tuttavia si
possono dare alcune indicazioni:
ea dopo palatale (c, g, sc) vale œ in sillaba tonica (cealf “vitello”, geaf “dare”);
vale a in sillaba fuori accento (toecean “insegnare”);
dinanzi a consonante velare (r,l + cons., h) o quando vi sia nella sillaba seguente vocale velare,
vale oe/eə/ (eald “vecchio”).
eo (io) dopo palatale vale o (ceorl “uomo”, bisceop “vescovo”);

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dinanzi a consonante velare o vocale velare della sillaba seguente vale e/eə/ (eorl “guerriero”).
ie dopo palatale vale e (cierran “volgersi”, giefan “dare”);
dinanzi a consonante velare vale i (hierde “pastore”, ieldu “vecchiaia”).
b)Consonanti
p, t, b, d, m, n, l, non presentano problemi
x
c, g in inglese antico le originarie gutturali occlusive sorda e sonora, segnate con c e g (ʒ), possono
avere pronuncia velare o palatale a seconda dei suoni vocalici che li seguono o meglio che
originariamente li seguivano: sono velari dinanzi a vocali velari ( a, ǻ, o, u) palatali dinanzi a vocali
palatali (i, e, œ).

c, g sono velari -davanti a consonante: glaem “bagliore”, grund “abisso”, craeft “abilità”, cneo “ginocchio”;
/k/, /g/ -davanti a vocale scura: corn “grano”, cuman “venire”, gold “oro”, gast “spirito”, camp “lotta”;
in posizione -davanti a vocale palatale secondaria (cioè derivata da metafonia): cene < *konja-, “ardito”,
iniziale cyning (*kuningaz).

c, g sono velari dinanzi a originaria vocale scura o originaria consonante, e nella geminazione espressiva:
/k/ , /g/ fugol “uccello”, bacan “cuocere”, agan “possedere”, boc “libro”, dogga “cane”.
in mezzo e in In questo caso la g, tranne che nella geminazione, prende una pronuncia fricativa, come la g di
fine di parola Magen, sagen del tedesco del nord.

c, g sono palatali Dinanzi a vocale palatale primaria (non dovuta a metafonia), ai dittonghi originari, agli
/tʃ/ , /j/ pseudodittonghi da frattura e da consonante palatale: ceap “bestiame”, ceosan “scegliere”,
in posizione ciese “formaggio”, cild “bambino”, giefan “dare”, geard “cortile”.
iniziale
c, g sono palatali Dinanzi a una i, j originario (> e, o scomparso), fra vocale palatale e consonante:
/tʃ/ , /j/ taec(e)an “insegnare”, sec(e)an “cercare”, regn “pioggia”, rice “regno”, bec “libri”.
in mezzo di
parola
c, g sono palatali g dopo ogni vocale palatale, c solo dopo i: daeg “giorno”, aenig “ogni”, weg “via”, ic “io”, lic
/tʃ/ , /j/ “corpo”, swelc (*swa-lik) “tale”.
in fine di parola ***
sc che è il risultato di un antico sk ha sempre pronuncia palatale /ʃ/: sceal “devo, deve”,
sculan “dovere”, scip “nave”, englisc “inglese”, bisc(e)op “vescovo”.
Il valore sk si mantiene in alcune parole di origine o influenza forestiera: scol, scinn “pelle”; in
qualche caso speciale come ascian (*askojan) “chiedere”. Altri esempi waxan (wascan) “ lavare”
Pl. dixas (discas) “piatti”, pl. fixas (fiscas) “pesci”.

h in posizione iniziale ha valore di semplice soffio, hund “cane”, habban “avere”, hlaf “pane”;
in posizione media o finale ha valore di fricativa velare sorda /χ/ (ted. Bach..) dopo vocale
posteriore o consonante: heah “alto”, dohtor “figlia”, durh “trans”;
dopo vocale anteriore ha valore di fricativa palatale sorda /ç/ (ted. Ich, nicht): riht “giusto”, cniht
“giovane uomo”;
il gruppo hs antico viene spesso trascritto x e prende nella lingua tarda valore di ks: oxa “bove”,
siex “6”, weaxan “crescere”.
p, d, (d) Rappresentano la spirante interdentale e dovrebbero indicare p la sorda (come in ingl. thin,
thorn), d la sonora (come in ingl. that, there).
In pratica i due segni sono usati indifferentemente. Si pronunci quindi sordo o sonoro a seconda
della posizione; si tratta di due varianti combinatorie dello stesso fonema.
I mss. usano nel periodo più antico il diagramma th, poi verso l’inizio dell’VIII secolo appare il
segno d e un secolo dopo la runa p, detta (nome acrofono) ‘porn’ “spina”.

f si sonorizza fra elementi sonori: folc, wulf (“popolo”, “lupo”) /folk,//wulf/


giefan “dare”, wulfes “del lupo” /jevan/,/wulves/

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w la stessa pronuncia dell’inglese moderno, ma non è mai muto: we “noi” /we/, writan “scrivere”
/writan/. Nei mss. più antichi viene indicato con u, uu.
In seguito appare la runa (detta wynn “gioia”), che resta in uso fino al XIII secolo, sostituita poi
dal segno di origine francese w.
r valore alquanto dubbio. Forse in iniziale rotata come la r italiana.
In fine di parola o dinanzi a consonante era probabilmente cerebrale, cioè retroflessa, come
nell’inglese attuale.

*** Il nesso cg (ʒ) indica la affricata palatale /dʒ/ rafforzata, e si pronuncia quindi come la gg di italiano “faggio,
gregge”; licgan (*legjan) “star disteso”, lecgan (*lagjan) “porre”, brycg (*brugja-) “ponte”, secg (*sagja-) “guerriero.

*** I nessi nc, ng (nʒ) hanno pronuncia velare o palatale a seconda che seguisse vocale velare o palatale:
/ɳk/, /ɳg/ drincan “bere”, singan “cantare”, hungor “fame”;
/ntʃ/,/ndʒ/ benc (*bankiz) “panca”, lengra (*langira) “più lungo”, pencan (got. pankjan) “pensare”.

In quanto alla grafia notiamo che invece di c, per la gutturale velare sorda si usa k. Per la gutturale sonora, sia
occlusiva che spirante, si ha nei mss. più antichi un segno particolare ʒ.
La g può rappresentare anche la semivocale germanica j.
Nel secolo XII si introdusse nella scrittura, da fonte francese, la forma g (minuscola carolina) che fu usata per indicare
l’occlusiva velare sonora /g/, mentre la palatale affricata /dʒ/ viene indicata con gg o dg e la spirante palatale /j/ col
segno y, sempre secondo l’uso francese. Ma anche il segno ʒ fu mantenuto fino alla fine del periodo medio inglese
per indicare la spirante palatale.

Accento
L’inglese antico, come tutte le lingue germaniche, ha trasformato molto presto l’accento indeuropeo mobile e
musicale in un accento di intensità e fisso (sul radicale). Si può quindi dire che l’accento cade sempre sulla prima
sillaba della parola, a meno che questa prima sillaba non sia un prefisso; fra le parole con prefisso bisogna però
distinguere i nomi dai verbi: i nomi hanno l’accento sul prefisso, mentre i verbi l’hanno sul radicale. Quindi:

a.parole semplici: béran “portare”, dàgas “giorni”, hàandlung “azione”, heafodu “teste”, aepele “nobile”…
b.parole con prefisso àndgiet “intelligenza”, ma ondgiétan “capire”; upgenga “fuggiasco”, ma opgangan “fuggire”;
wipersaca “avversario”, ma wipsàcan “opporsi”…

questa particolare natura dell’accento provoca, non solo in inglese, ma in tutto il germanico, un radicale
cambiamento nella morfologia. L’accento di intensità fisso sul radicale porta ad uno scadimento fonetico, ad una
vera e propria atrofizzazione delle parti fuori accento: dato che la parte finale della parola ie. È caratterizzata dalla
desinenza (che indica le relazioni della parola con le altre della stessa frase) ne risulta un notevole impoverimento
della morfologia.
Questa spinta al potenziamento del radicale e questa messa in ombra della parte atona della parola, diviene un vero
e proprio carattere delle lingue germaniche, che ne accompagna l’evoluzione attraverso il tempo.

Qualche esempio:
in aingl. Un verbo debole come habban “avere” ha una forma di preterito plurale indicativo hœfdon, congiuntivo
hœfden. Già nel medio inglese questa forma di plurale è unica per indicativo e congiuntivo: hadden > hadde.
L’inglese moderno had vale per preterito indicativo e congiuntivo, singolare e plurale.
Il sostantivo stan “pietra”, tema maschile in –a, ha nell’aingl.
Al plurale tre forme distinte: Nom. Acc. stanas, Gen. Stana, Dat. Stanum; il medio inglese ston ha al plurale una sola
forma stones per tutti i casi.
Quando si pensi che il gotico, testimoniato nel IV secolo, aveva in corrispondenza dell’aingl. Hœfdon tre forme
morfologicamente chiarissime: 1a pers. pl. habaidedum, 2a pers. pl. habaidedup, 3a pers. pl habaidedun, si può
apprezzare ancor più il fenomeno di sincope e di scadimento della finale avvenuto in inglese.

[Digitare il testo] Pag. 5


Le vocali
Richiamiamo brevemente il vocalismo indeuropeo:

a)una serie di vocali a timbro pieno e a o e palatale, a mediana, o velare, e/o alternanti fra loro nel
1
morfema, a al di fuori di ogni alternanza ;
b)un elemento fonetico laringale, di timbro indistinto, che unito a vocale breve dà vocale lunga e che, se solo, può
vocalizzarsi, dando ă nelle lingue ie. d’Europa, ĭ nelle lingue arie. Può alternare nel morfema con vocale lunga di
qualsiasi timbro. Si indica con ə e si denomina schwa mutuando il nome dall’alfabeto semitico.
c)una serie di sonanti i, u, l, r, m, n

Ricordiamo che in tutte le lingue germaniche, i timbri a ed o si confondono: ā ō > ō ăŏ> ă


1
È questo il cosiddetto fenomeno dell’alternanza o apofonia vocalica ie. Con questo si vuole significare che ogni radice
monosillabica ie. può presentare la vocale e, la vocale o oppure vocale zero. Si ha cioè un’alternanza del tipo e/o/-; per es. la
radice *SED- “star seduti” può mostrarsi sotto le forme *SED- (grado normale), *SOD- (grado forte), *SD- (grado ridotto).

Vocali brevi

germ. com. > e, aingl. > e
e > i, in tutto il germanico, dinanzi a nasale + cons.: *bhendh- “legare”.
E così si spiega il vocalismo radicale di verbi come swimman “nuotare”, findan “trovare”, rinnan “correre” ecc.
e > i in aingl. as. e fris. dinanzi ad m: as.aingl. niman, fris. nime, aat. neman, an. Nema

germ.com. > a, aingl. > œ
la a mantiene il suo timbro se:
1)nella sillaba seguente c’è vocale velare (a, o, u)  daeg “giorno”, Nom.pl. dagas, Dat.pl. dagum
Sadol “sella”, nacod “nudo”, faran “viaggiare”
2)segue w (non seguita da i)  awel “lesina”, gesawen “visto” (part.pres.)
Dinanzi a nasale la a > å, cioè ad un suono intermedio fra la o e la a; infatti nei testi più antichi si ha il prevalere ora di
a ora di o: mann/monn, land/lond. Dal IX secolo prevale in tutto il territorio la o e questa grafia si mantiene costante
nel dialetto anglo, mentre col X secolo nel sass. Occ. E nel dialetto del Kent riprende il sopravvento il segno a.
Notiamo che questo trattamento di a come œ dinanzi a consonante orale e come å dinanzi a consonante nasale è
comune all’inglese e al frisone: aat. vaz “botte”, aingl. Fœt, fris. fet – aat. mann “uomo”, aingl. mann/monn, fris.
mon.

in tutto il germanico si confonde con a e ne segue le sorti:
lat. quod aingl. hwœt
lat. octo aingl. eahta, anglo œhta
lat. nox, noctis aingl. neaht, anglo nœht

Vocali lunghe

Bisogna distinguere, nelle lingue germaniche, due casi:
1)ē1 (= ē ie.)
2)ē2 (germanica).
I risultati sono: ē1 got. + fris. ē, aingl. + an. + as. + aat. Ā ------- ē2 got. + aingl. + fris. + as. +an. ē. aat ē > ea > oa > ie

La ē1 germ.com. > ӕ, aingl. > ā, come in tutto il germanico occidentale e nel nordico.
Ma questa ā in aingl. ha uno svolgimento parallelo a quello della ă: passa in linea di massima ad ǣ nel sassone
occidentale (ad ē negli altri dialetti), si mantiene dinanzi a w, anche davanti a consonante gutturale, labiale o liquida
se c’è vocale velare nella sillaba seguente: mǣg “parente” pl. māgas, ma con molte eccezioni), passa ad ō davanti a
nasale. Anche la ā di prestiti latini antichi > ǣ.

lat. sē-men, aingl. sǣ-d, -- aat. sā-t, aingl. sāwan – lat. fē-ci, aingl. dǣ-d – got. mēna, aingl.mōna

La ē2 (germanica) > aingl. ē

[Digitare il testo] Pag. 6


È di origine oscura, e assai rara. Appare nel preterito dei verbi forti a raddoppiamento, in termini isolati, in prestiti
dal latino. Esempi:
got. slēpan aingl. slǣpan/slēp – got. lētan aingl. lǣtan/lēt – lat. crēdo aingl. crēda – lat.volg. Grēci aingl. Crēcas
*ā ō
germ.com. > ō, aingl. ō --- lat. frater aingl brōpor – lat. māter aingl. mōdor --- lat. flōs aingl. blōstma

Lo “schwa”

germ. com. > ă, aingl > ă *pəter “padre”, lat. pater, ai. Pitàr, aingl. fӕder.
I verbi forti della VI classe, che raccoglie radici in vocalismo ridotto:
standan/stōd (*stə-/*stā-) “stare” -- faran/fōr “viaggiare”.

Le sonanti

germ. com. > i aingl. > i lat.piscis aingl.fisc
ĭ > e in tutto il germanico per metafonia (fatto molto antico) se nella sillaba seguente c’era originariamente una
vocale più aperta: a, o, œ; lat.nidus aingl.nest -- lat.vir aingl.verr
ĭ aingl. > e quando segue una z germanica comune (germ.occ. r) omosillabica, non seguita da i:
aingl. meord got. mizdo -- aingl. me got. mis -- aingl. pe aat. Dir

germ.com. > ī, aingl. > ī: lat. suīnus aingl. swīn

germ.com. > ŭ, aingl > ŭ *sunus aingl. sunu
ŭ > ŏ in tutto il germanico occidentale, per metafonia da vocale più aperta: œ, a, o, purché la u non sia
immediatamente seguita da nas. + consonante. aingl.gold got.gulp -- aingl.god got.gup – aingl.dohtor got.dauhtar
Inoltre solo in inglese il passaggio u > o non si verifica quando segue nasale semplice e talvolta anche in vicinanza di
suono labiale.
-- aingl.wulf got.wulf -- aingl.fugol aat.vogel -- aingl.full got.fulls -- aingl.wunian aat.wonen --
-- aingl.cumen, numen aat. gicoman, ginoman10
*10Una u si ha in aingl. anche da lat. volg. o (cl. ō,ŭ + nasale): pund < pondo-, munt < montem, munuc < monachus, nunne <
nonna, must < mŭstum, cultur < cŭlter, scutel < scŭtula; ma non sempre: coper < cŭprum, box < bŭxus.

germ. com. > ū, aingl. > ū lat. mūs “topo”, aingl. mūs -- aingl. tūn “recinto”, airl. Dūn
*r *l *n *m
germ. com. > ur, ul, un, um
Questi u, vocali d’appoggio delle antiche sonanti, si confondono con l’antica u e hanno gli stessi sviluppi:
lat. mors, aingl. mordor --- got. paurnus, aingl.porn

Dittonghi
Si ha un dittongo quando due vocali si fondono in un unico elemento sillabico, costituendo un’unica emissione di
voce nel corso della quale si ha cambiamento di articolazione e quindi di timbro. Da un punto di vista di fonetica ie. il
dittongo risulta dall’unione di vocale + sonante, ma praticamente hanno interesse i dittonghi in –i e quelli in –u. i
dittonghi tipo er, el, en, em si comportano come vocale + consonante.

*ai germ.com. > ai, aingl. > ā: lat.hӕdus aingl.gāt -- lat.vӕ aingl.wā -- lat.ӕs aingl. ār
*oi si confonde con ai già nel germ.com.: alat.oinom aingl.ān -- got.wait aingl.wat
*ei germ.com. > ī, aingl. > ī: gr.στείχω aingl.stīgan “salire” -- lat.con-fido aingl.bīdan “aspettare” (*bheid-)
*au germ.com. > au, aingl. > ēa: lat.auris, aingl.ēare -- lat.augere, aingl.ēacian
*ou si confonde con au già nel germ.com.: lat. rūber, rūfus (*roudhos), got. raups, aingl.rēad
*eu germ.com. > eu, aingl. > ēo got. piuda, aingl. pēod -- gr.λευκός “bianco”, aingl. lēoht

Già nel germanico commune *eu > iu per metafonia da j, i della sillaba seguente. Questo iu > īo in aingl., ma si
conserva bene solo nel dialetto della Northumbria e del Kent, mentre nel Wessex tende a passare ad ēo.
Per cui si ha: līode/lēode “gente”, as.liudi -- stīoran/stēoran “pilotare” -- līoran/lēoran “partire, passare”.

[Digitare il testo] Pag. 7


I dittonghi dell’aingl. ēa, ēo (īo), īe sono tutti ad apertura crescente, cioè il secondo elemento è sempre più aperto
del primo. Sono in genere ad accentuazione discendente (accento sul 1° elementi), cioè dittonghi “propri”: éa, éo, íe,
ma possono facilmente passare ad una accentuazione ascendente (cioè dittonghi “impropri”): ēá, ēó, īé, oppure
avere accentuazione fluttuante. Non sono comunque sopravvissuti allo stadio antico della lingua inglese.

MUTAMENTI VOCALICI CAUSATI DA SUONI VICINI


۞La frattura۞
Il vocalismo inglese è complicato da una serie di fatti che provocano il mutamento di timbro o la dittongazione delle
vocali. Primo fra tutti in ordina di tempo è il fenomeno della frattura: una dittongazione, peraltro instabile, delle
vocali palatali brevi æ (< a) e i, ed in qualche caso anche delle corrispondenti lunghe, dinanzi a certe consonanti di
articolazione velare: r + cons., l + cons., h.
I risultati sono æ > ea (ǣ > ēa)
e > eo (ē > ēo)
[Digitare il testo] Pag. 8
i > io (ī > īo )
Questi nuovi dittonghi sono molto instabili. Sono piuttosto dei diagrammi e il secondo elemento (-a, -o) è. Più che
vera vocale, suono di transizione (glide) o meglio un’anticipazione della pronuncia velare della consonante seguente;
prevale la pronuncia del primo elemento.
Esempi:
r + consonante
æ aingl. earm, got. arms “braccio” – aingl. wearp, got. warp “gettò” – aingl. scearp, aat. scarf “aguzzò”
e aingl. heorte, as. Herto “cuore” – aingl. steorra, as. sterra “stella” – aingl. eorpe, as. ertha “terra”
i il nuovo dittongo io resta inalterato solo nell’anglo della Northumbria e nel dialetto del Kent.
Nell’anglo della Mercia > eo, nel dialetto del Wessex dapprima > ie poi > i, y
north. hiorde, merc. heorde, ws. hierde, as. hirdi “pastore”
north. Iorre, merc. eorre, ws. Ierre, irre/yrre, as. irri “irato”

l + consonante
Il fenomeno varia da dialetto a dialetto.
œ il passaggio ad ea si ha solo nel dialetto del Kent e nel Wessex, non nell’anglo:
ws. kt. feallan, anglo fallan “cadere” ws. kt. eald, anglo alt “vecchio” ws. kt. healp, anglo halp “aiutò”
e eo solo nel caso –lh-, -lk-
aingl. colh, aingl. seolh aingl. aseolcan “rallentare, rilassare” (raro)
e nel caso –lf-, eccettuando il dialetto del Wessex: aingl. seolf, ws. self “stesso”
i frattura solo nel caso –lh-, -lk-; esempi rari e dubbi: ws. miolc/meolc, anglo milc “latte”;
ma siccome la forma base è miluc (as. miluk), la dittongazione potrebbe anche essere causata da metafonia
da vocale velare.
dinanzi ad h
œ aingl. eahta, aat. ahta “otto”, aingl. meaht, aat. maht “potenza”, aingl. neaht, aat. naht “notte”;
ǣ aingl. nēah, aat. nāh, got. nēhv “vicino”;
e aingl. feoh, as. fehu “pecunia”, aingl. feohtan, aat. fehtan “combattere”, aingl. reoht, as. Reht “giusto, diritto”;
i esempi rari e instabili: aingl. Miox (miohs), aat. mist (mihst) “concime”, aingl. Wioht/With “Isola di Wight”,
aingl. Piohtas/Peohtas/Pihtas “Pitti”;
ī aingl. tīon (da tīhan), aat. zīhan “accusare”, aingl. pīon (da pīhan), aat. gi-dīan “prosperare”.
Forme rare. Più comuni le forme in ēo: tēon, pēon.
Questi dittonghi, dinanzi ad h, sono molto instabili, si monottongano presto in anglico e più tardi anche nei dialetti
del Wessex e del Kent. Si veda più avanti in *livellamento*.

۞Pseudodittongazione dovuta a consonante palatale۞


Posteriore alla frattura, ma anteriore alla metafonia è una apparente dittongazione delle vocali palatali primarie (cioè
non risultanti da metafonia) œ, e dopo i suoni palatali c,g; e non solo delle palatali primarie œ, e, ma anche delle vocali
velari a, o, u (a/o davanti a nasale, a conservata da vocale velare della sill. seguente) e in seguito delle palatali secondarie
(generate per metafonia da i) , dopo i suoni j germanico e sk germanico. I risultati sono:
œ, a > ea e > ie (> i/y) u > io (eo, iu) o > eo
Ma si tratta in realtà di digrammi e non di veri dittonghi, cioè di un segno grafico composto di due elementi, ma che
indica una vocale semplice; o per meglio dire il primo elemento del digramma è un “suono di passaggio” un “glide”,
palatale, che funge da segno diacritico per indicare la particolare pronuncia (palatale) della consonante che precede.
Questo fenomeno è particolarmente diffuso nel Wessex.
Esempi:
œ aingl. geaf /jæf/, aat. gab “dette”; aingl. sceal /ʃæl/, got. skal “deve”; aingl. ceaster /tʃæster/, ma anche cœster, da
. lat. castrum
ǣ aingl. gēar/jār/, aat. jār “anno”
e aingl. giefan /jevan/, aat. geban “dare”; aingl. scield < *skeldu- aat. scilt, an. Skjoldr
u aingl. giong (geong, gung, iung) aat. jung “giovane”;
o aingl. bisceop/biscop “vescovo”;
ō aingl. scēoh, scōh aat. scuoh “scarpa”;
å aingl. sc(e)amu, sc(e)omu “vergogna”, ingl. shame;
a (con vocale scura in sill. seguente) aingl. sc(e)alu aat. scala “guscio”, aingl. sc(e)apa aat. scado “nemico”, “danno”.

[Digitare il testo] Pag. 9


۞Metafonia۞
Con metafonia si intende il cambiamento di timbro di una vocale accentata per influsso di una vocale o semivocale
della sillaba seguente. Si assiste cioè a un fenomeno di assimilazione regressiva.
A seconda del suono vocalico che causa questo mutamento, si parla di metafona da i (j), metafonia da u (w),
metafonia da o/a. Le ultime due, in genere riunite data l’identità dei resultati, vanno sotto il nome di metafonia
velare, mentre la prima è detta metafonia palatale.
Gli effetti dei due tipi di metafonia sono assai diversi, quella da i (j) consiste in una assimilazione di tutto il suono
tonico alla i, j, che segue, cioè in una palatalizzazione, mentre quella velare provoca una pseudo-dittongazione con
risonanza velare, con effetti identici a quelli della frattura. (La metafonia velare da a/o, di cui si parla, non va confusa con
quei fatti metafonetici molto antichi, di tipo nettamente assimilativo, visti nel “le sonanti”, pag.7).
La metafonia da i è la più antica: si deve essere compiuta fra il VI e il VII secolo, appare già infatti nei testi più antichi.
La metafonia da vocale velare è più tarda, tocca infatti spesso vocali che già sono a lor volta esito di metafonia da i.
۞Metafonia palatale (da i, j)۞
Colpisce buona parte delle vocali semplici e dei dittonghi dell’a.inglese:
a (œ, å) > e
aingl. settan, got. satjan “porre”, aingl. here, got. harjis “esercito”, aingl. weccan, got. –wakjan “svegliare”,
aingl. mann pl. men (*manniz) “uomo”;

In qualche caso si ha œ e non e come risultato metafonetico di un antico a. Per esempio in prestiti evidentemente
fatti quando ormai la tendenza inglese a > œ era già esaurita:
aingl. lœden >latinum, aingl. mœgester < magister, aingl. cœfester < capistrum

oppure in parole che avevano già nella flessione ondeggiamenti fra a/œ. Per esempio: faran “viaggiare”
1a sg. fare (*faru), 2a sg. fœrest (*faris), 3a sg. fœrep (*farip), pl. farap

ā (*ai) > ǣ
hāl “salute” hǣlan (*hāljan) “guarire”; ān “uomo” ǣnig (*ān + ig) “unico”; lār “dottrina” lǣran (*lārjan) “insegnare”;
e>i
metafonia molto antica, germanica comune
aingl. etan “mangiare” 2a e 3a sg. Itest, itep (etis, etip), aingl. helpan “aiutare” 2a e 3a sg. hilpst, hilpp,
aingl. regn “pioggia” rīnan (*regnjan) “piovere”;
o>œ>e
dohtor “figlia” dat.sg. dehter (*dohtri), anglo dœhter, oxa “bue” Nom. Acc. pl. exen (*ohsin),
ofst “fretta” efstan “affrettarsi”, ele/œle, lat. oleum, lat. volg. olium;
ō>œ>e
dōm “giudizio” dēman, got. Dōmjan “giudicare”, bōc “libro” pl. bēc, anglo bœc (*bōkiz), fōt “piede” pl. fēt (*fotiz);
u>y
full “pieno” fyllan, got. fulljan “riempire”, wynn “gioia” as. wunnia, purst “sete” pyrstan “aver sete”, v.deb.I cl.,
ynce < lat. uncia, mynster < lat.volg. monisterium, mynet < lat. *mùnita (< monēta);
ū>y
cūp “noto” cypan “render noto”, plyme lat. prūnea;

ea** > ie (in seguito > i/y)


Sviluppo particolare del dialetto del Wessex. Negli altri dialetti si ha œ/e. la forma con y diviene la più frequente nel
X, XI secolo.
eald “vecchio”, comp. ws. Ieldra (*ealdira) anglo œldra, kent. eldra,
ws. Ierming “miserabile” da earm “misero”, ws. giest “ospite”, got. gasts tema *gasti-,
ws. scieppan “fare, creare” > scippan, scyppan, got. skapjan;
ēa > īe ( > ī/y)
solo nel Wessex, fuori del Wessex ēa > ē
hēah “alto”, got. hauhs comp. hīehra sup. Hīehst,
gelēafu “fede”, ws. Gelīefan “credere”, altri dial. Gelēfan, got. galaubjan
ws. Hīeran “sentire”, altri dial. Hēran, got. hausjan
[Digitare il testo] Pag. 10
io (eo) > ie > i /y
la metafonia si ha solo nel Wessex. Gli altri dialetti conservano il dittongo io
georn “volentieri” ws. Giernan “desiderare”, altri dial. Giornan
feorr “lontano” ws. afierran > afirran “allontanarsi”, ws. ierre, irre/yrre”irato”, altri dial. iorre (*irzja-)
īo (ēo) > īe > ī/y
la stessa situazione dialettale del caso precedente:
cēosan 3° sg. cīesp, lēoht “luce” līehtan “illuminare”, trēow “fedeltà” getrīewe “fedele”,
più tardi: cīsd, cysp līhtan, lyhtan getrīwe, getrywe
** derivato da frattura o da vicinanza di consonanti palatali.

۞Metafonia da vocale velare: u (w), o/a۞


Colpisce solo le vocali brevi di tipo palatale, con effetti identici a quelli della frattura:
a (œ) > ea e > eo i (y) > io

a > ea
questa metafonia è la meno frequente nei vari dialetti a.inglesi. l’unico dialetto che la attua pienamente è quello
della Mercia. Altrove la a resta, anzi la presenza della vocale velare nella sillaba seguente contribuisce a mantenere
immutato il timbro della a stessa.
Esempi: merc. fearu “vado”, altri dial. faru; merc. fearap “vanno”, altri dial. farap;
merc. eappul “mela”, altri dail. appul; merc. featu “botti”, altri dial. fatu (Nom. Pl. di fœt)
e > eo
anche in questo caso il verificarsi del fenomeno varia a seconda dei dialetti e dell’ambiente fonetico nel quale la
vocale e viene a trovarsi. Il dialetto del Wessex è quello nel quale il passaggio si verifica più raramente.
La metafonia appare in tutti i dialetti quando la e si trova dinanzi a l, r o a labiale, tuttavia con qualche eccezione per
i documenti più antichi in dialetto del Wessex.
Esempi: heorot “cervo” (*herut), heofon “cielo” (*hebun), eofor “cinghiale” aat. ebur,
heoru “spada” got. hairus, meolo “farina” aat. Melo

i > io
Si può ripetere l’asserzione fatta per il caso precedente. Da notare il frequentissimo scambio io/eo nel dialetto del
Wessex. Esempi: siolufr “argento” got. silubr, seofon/siofon “sette” as. sibun, hiora/heora “di loro” ws. hira, hiera,
hyra.
NOTA – Per quel che riguarda la metafonia da vocale velare bisogna ripetere che non la si può mettere sullo stesso piano della metafonia
palatale, in quanto non si tratta di semplice assimilazione. La cosiddetta metafonia velare va certo collegata con la frattura e vista come
influsso di elemento velare (consonantico o vocalico) sul suono vocalico palatale che precede.

۞Livellamento۞
Parlando dei dittonghi antichi e degli pseudodittonghi causati dalla frattura di vocali palatali dinanzi ad h, abbiamo
già accennato alla loro instabilità. Questo fatto prende un particolare rilievo nel caso di dittonghi antichi o secondari
dinanzi a consonanti gutturali. Potremmo chiamare queto fenomeno “livellamento” o “appianamento” traducendo
l’espressione usata da Henry Sweet “smoothing”, tradotta in tedesco con “Ebnug” per primo da Karl Bulbring.
Nei dialetti anglici dinanzi ai suoni gutturali c, g, h invece dei dittonghi ēa, ēo, īo (germ. com. au, eu, iu) si hanno
vocali semplici; dinanzi ad h, invece degli pseudodittonghi dovuti a frattura ea, eo, io (ws. ie); ēa, ēo, īo (ws. īe) si
hanno pure vocali semplici:
ē per ēa, ēo ī per īo œ per ea e per eo i per io
Esempi: anglo ēge ws. ēage “occhio”, anglo hēh ws. hēah “alto”, anglo flēge ws. flēoge “mosca”,
anglo līhtan ws līehtan (ws. īe < īo + met.pal.) “illuminare”, anglo gesœh ws. Geseah (pret. di sēon “vedere”),
anglo feh ws. feoh “bestiame, ricchezza”, anglo gesihp ws. gesiehp “volto” (ws. ie < io < i + hp)
Che non si tratti di mancata frattura, ma di monottongazione di vecchi dittonghi lo mostrano casi con caduta molto antica di h, che
mantengono ancora il dittongo. Per esempio: anglo nēolēcan (ws. nēalǣcan) “avvicinarsi”, anglo nēowest (ws. nēawest) “vicinanza” rispetto ad
anglo nēh (ws. nēah) “vicino”; hēanis “altezza, altura” rispetto a hēh (ws. hēah) “alto”.

La tendenza alla monottongazione dinanzi a gutturale e dinanzi ai gruppi ht, hs (x) si fa sentire in seguito anche nei
dialetti del Wessex e del Kent. Nel tardo sassone occidentale si ha e/ē per ea/ēa dinanza a c, g, h (ma per ea solo
dinanzi ad h):
seh per seah (pret. di sēon “vedere”), nēh per nēah “vicino”, ēge per ēage “occhio”, ēca per ēaca “aumento”

[Digitare il testo] Pag. 11


ma restano vive anche le forme dittongate. Nel sassone occidentael già prima del periodo alfrediano e anche nel
dialetto del Kent si ha i per eo, io dinanzi ai gruppi ht, hs (x) purché non segua vocale velare:
cniht (cneoht), ma al pl. cneohtas “giovane uomo”; riht (reoht) “giusto”; Piht (Pioht), ma al pl. Piohtas/Peohtas “Pitti”.
Nel tardo sassone occidentale si ha ē/e da ēa/ea anche dinanzi ai gruppi ht, hs (x); e questo anche se segue vocale
velare:
mehte per meahte (pret. di magan “potere”); ehta per eahta “otto”; hlehtor per hleahtor “risata”; fex per feax
“capelli” ecc. VOCALI INGLESE ANTICO
Specchietto di riepilogo
Vocali
semplici

ĕ < *ĕ (pag. ), ĭ + met. da voc. + aperta (pag. ), œ, ă, ŏ + met. j (pag. ), eo + gutt. (pag. )
ē < *ē2 (pag. ), ō + met. j, ēa, ēo + gutt. (pag. )
œ < *ă, *ŏ, *ə (pag. e ), ă + met. j (pag. ), ea + gutt. (pag. )
ǣ < *ē1 (pag. ), ā + met, j (pag. )
ă < ă + voc. Velare (pag. )
ā < *ai, *oi (pag. )
å < ă + nas. (pag. )
ŏ < *ŭ + met. da voc. + aperta (pag. ), lat. ŭ (pag. )
ō < *ā, ō (pag. ), ă + nas. + spir. (pag. )
ŭ < *ŭ (pag. ), lat. volg. o (pag. )
ū < *ū (pag. ), ŭ + nas. + spir. (pag. )
œ < ŏ + met. ĭ (raro) (pag. )
œ < ō + met. j raro (pag. )
Ĭ < *ĭ (pag. ), ĕ + nas. + cons. (pag. ), ĕ + met. J (pag. ), ie (pag. e ), io + gutt. (pag. )
ī < *ī (pag. ), ei (pag. ), īe (pag. ), ĭ + nas. + spir. (pag. ), īom+ gutt. (pag. )
y < *ŭ + met. j, grafia per i (pag. )
y < *ū + met. j, grafia per i (pag. )

Digrammi
ea < œ + fratt. (pag. ), œ + met.vel. (pag. ), œ dopo palatale (pag. )
eo < e + fratt. (pag. ), e + met.vel. (pag. ), o/u dopo palatale (pag. )
io < i + fratt. (pag. ), i + met. vel. (pag. ), u dopo palatale (pag. )
ie < e dopo palatale (pag. ), ea eo/io + met. j (pag. )
iu < u dopo palatale (pag. )

Dittonghi
ēa < *au, *ou (pag. ), ǣ + fratt. (pag. )
ēo < *eu (pag. ), ē + fratt. (pag. )
īo < *eu + met. J (pag. ), ī + fratt. (pag. )
īe < ēa ēo/īo + met. j (pag. )
Le consonanti
La prima mutazione consonantica del germanico
Il sistema consonantico del germanico comune si distingue da quello delle altre lingue indeuropee per una serie di
spostamenti nel modo di articolazione delle antiche consonanti occlusive e semi occlusive (aspirate). Tutto questo
insieme di fenomeni si indica con il nome di “mutazione (o rotazione) consonantica” del germanico, oppure, dal
nome del suo primo codificatore, “legge di Grimm”.
a. Le occlusive sorde ie. P T K Kw > spiranti sorde F P H Hw
w
b. Le occlusive sonore ie. B D G G > occlusive sorde P T K Kw
w
c. Le occlusive sonore aspirate ie. BH DH GH G H > spiranti sonore b d g gw
Esempi:
p>f lat. pecu- aingl. feoh got. faihu
t>p lat. tres, tris aingl. prīe got. prija
k>h lat. cor, cordis aingl. heorte got. hairto
kw > hw lat. sequor aingl. sēon(sch (w)an) got. saihvan
b>p lat. dubùs aingl. dēop got. diups
d>t lat. duco aingl. tēon (tēohan) got. tiuhan
[Digitare il testo] Pag. 12
g>k lat. genu aingl. cnēo (w) got. kniu
gw > kw lat. venio (*gwemio) aingl. cuman (*cwuman) got. qiman
bh > b lat. bhrātar aingl. brōpor got. brōpar
dh > d lat. fēci (*dhē-) aingl. dǣd “fatto”
gh > g lat. hostis aingl. giest got. gasts
gwh > gw gr. Ομϕη’ “voce” (*soηgwh- ) aingl. singan got. Siggwan

Non si tratta di passaggi indipendenti l’uno dall’altro o scaglionati nel tempo, ma di un “mutare” complessivo di tutto
il sistema, di una “evoluzione di correlazioni”.
Torniamo ai passaggi a) b) c) visti all’inizio di questo paragrafo. Il primo passaggio a) non ha luogo se l’occlusiva sorda
è preceduta dalla sibilante:
lat. spuo aingl. spīwan got. speiwan; lat. stella aingl. steorra got. stairno;
gr.σκιά “ombra” aingl. scīnan got. skeinan “apparire, sembrare”.

Inoltre l’occlusiva dentale sorda (t) non passa a spirante se è preceduta da altra occlusiva, cioè pt > ft, kt > ht:
lat. nox, noctis aingl. neaht, lat. octo aingl. eahta got. ahtau, lat. captivus aingl. hœft got. –hafts.

Ogni gruppo germanico comune pt, kt che si venga a formare anche per ragioni morfologiche diventa ft, ht:
da āgan “avere” 2a sg. āht, da magan “potere” pret. sg. meahte, da giefan (*geban) “dare” astratto verbale
. gift (*geb- ti-) “dono”

Un caso particolare costituisce l’incontro di dentale + t, che in germanico comune e quindi anche in inglese > ss dopo
vocale breve, s dopo vocale lunga. Per esempio dal verbo preterito-presente witan “sapere” si ha un preterito wissa
(*wid + ta); da hātan “chiamare” si ha l’astratto verbale hǣs (*haissi < *hait-ti); da cwepan “dire” si ha Iond-cwiss
(*cwep + ti-) “risposta”.
Questi fenomeni (pt > ft, kt >ht, dent. + t > ss) non si verificano quando la –t (o altra dentale) viene in contatto con
una precedente occlusiva in età tarda, cioè non più in periodo germanico comune, ma in età storica, nel vero e
proprio periodo inglese antico, per caduta di elemento intermedio fra i due suoni, per esempio nel caso dei preteriti
di verbi deboli a vocale radicale lunga: cēpan “tenere” pret. cēpte, grētan “salutare” pret. grētte, scenc(e)an
“regalare” pret. scencte o di astratti in –pu (got. ipa, aat. –ida): strengpu “forza”, aat. strengida; cyppu “stirpe, aat.
cundida.

La legge di Verner
La legge di Grimm lascia senza spiegazione alcuni fatti particolari. Per esempio:
lat. pater ai. Pitàr aingl. fœder got. fadar “padre”; lat. frater ai. bhrātar aingl. brōpor got. brōpar “fratello”;
gr. δέκα aingl. tīen (< tēon < tehun) got. taihum “dieci”; gr. δεκάς, -άδος aingl. –tig, got. tigus “decina”.

Questi casi furono studiati dal linguista danese Carl Verner il quale nel 1877 dimostrò come questo diverso
trattamento delle consonanti occlusive sorde fosse determinato dalla loro posizione debole, ma soprattutto dalla
posizione dell’accento. Egli formulò una seconda legge che porta il suo nome, nella quale si dice: “i suoni indeuropei
k, t, p passarono dapprima a h, p, f in ogni posizione; le fricative sorde che ne resultarono, insieme alla fricativa sorda
s ereditata dall’indeuropeo, divennero in seguito, in mezzo di parola e in vicinanza di suoni sonori, esse stesse
sonore, ma si mantennero sorde se susseguenti a sillaba accentata”. Il che, secondo la formulazione di Antoine
Meillet è quanto dire che le spiranti sorde germaniche f p h hw e la sibilante s in posizione debole diventano sonore, a
meno che il tono originario ie., cadendo sulla sillaba precedente, non ne impedisca la sonorizzazione. Vedremo più
avanti quale importanza questo fenomeno abbia per la morfologia del preterito dei verbi forti e di altre formulazioni.
Anche il fenomeno studiato dal Verner si spiega, da un punto di vista fonologico, con la neutralizzazione, in quelle
date condizioni, delle opposizioni della correlazione di sonorità fra spiranti. Nel “caso Verner” appare sempre e solo
il termine sonoro dell’opposizione.

Sviluppo inglese delle consonanti germaniche


Oltre alle tre serie di fenomeni che abbiamo determinato e cioè:
occlusive sorde p t k kw, spiranti sorde f p h hw, spiranti sonore b d g gw
il germanico comune possedeva i seguenti fonemi consonantici:
due liquide l r due nasali m n due semivocali j w una sibilante s col suo allofono z.
[Digitare il testo] Pag. 13
In inglese sono restati immutati i fonemi: p t h l r m n j w.
Dobbiamo quindi osservare i seguenti fatti:
a)Labiovelari
k > cw molto spesso delabializzato in c: lat. vivus (*geiuos) aingl. cwicu; got. sigqan aingl. sincan “andare a fondo”
hw > hw in posizione iniziale, ma in posizione intervocalica > -h-, destinato in genere a scomparire:
. lat. quod, aingl. hwœt, lat.sequor, got. saihvan, aingl. sēon “guardare, vedere”.
w
g > w all’iniziale, g/w in mezzo di parola:
. lat. formus “caldo”, aingl. warm; got. siggwan, aingl. singan “cantare”; got. hneiwan, aingl.hnīgan “curvarsi”
. aingl. magu “figlio”, mœg(e)p “ragazza”, meowle id.; lat. ninguit, aingl. snīwep “nevica”.

b)Spiranti sorde
Le spiranti sorde f, p si sonorizzano in posizione intervocalica: f /v/, p /d/
c) Spiranti sonore
b>b
in inziale; in mezzo di parola passa a b nella geminazione e dopo m; nelle altre posizioni resta spirante, quasi sempre
trascritta con f;
d>d
g>g
in inziale se segue vocale scura o consonante; resta fricativa in mezzo o in fine di parola dopo vocale scura e dopo r l;
g > j in iniziale e in mezzo di parola in vicinanza di vocale palatale.
d) Sibilanti
s
originariamente sorda, si sonorizza fra sonore, ma non lo si esprime graficamente, comunque spesso il fatto è
confermato dal trattamento dei suoni vicini: līesan “scegliere”, pret. līesde, mentre da cyssan “baciare” si ha cyste
z>r
in posizione intervocalica (māra “più” got. maiza; ēare “orecchio” got. auso)
nell’alternanza grammaticale con s (cēosan “scegliere” pret. cēas/curon)
nei gruppi rz (ierre “adirato” < *irzja- ) e zd (hord “tesoro”, got. huzd).
In finale cade dopo sillaba atona (dœg < *dagaz) e nei monosillabi nei quali l’accento non è sempre ugualmente
forte (wē “noi”, got. weis, aat. wir; pē “tibi”, got. pus, aat. dir; hwa “chi”, got. hvas, aat. (h)wer ecc.)
e) Gutturali
Nell’inglese e nel frisone, a differenza di quanto avviene nelle altre lingue germaniche, si ha una bipartizione nel
trattamento delle gutturali c e g. Esse diventano palatali dinanzi a vocali palatali primarie, ai dittonghi causati dalla
frattura, ai vecchi dittonghi. Restano velari dinanzi a vocali velari o a vocali palatali secondarie, cioè dovute a
metafonia. Questo spiega la cosiddetta “dittongazione” delle vocali palatali dopo gutturale.
h postonica intervocalica o fra vocale e liquida scompare:
1) se è intervocalica si ha contrazione: feoh “ricchezza”, gen. fēos (*feohes), sēon (*seohan) “vedere”;
2) se è fra vocale e liquida si ha, ma non sempre, allungamento della vocale precedente: Wealh “Celta,
straniero”, pl. Wēalas (ma anche Wealas), pwēal “bagno”, got. pwahl, anglo stēle “acciaio”, germ. occ.
*stahlia-.
h intervocalica si mantiene se è pretonica: behindan “dietro”, gehīeran “udire”.

Geminazione
Tutte le consonanti dell’aingl., tranne j, w, possono essere geminate. La geminazione può essere: a)molto antica,
cioè germanica comune, b)germanica occidentale, c)soltanto inglese.
a)È germanica comune la geminazione di liquide e nasali (eall “tutto”, feallan “cadere”, mann “uomo”, swimman
“nuotare”) e di s (wisse pret. di witan “sapere”, cyssan “baciare”) più rara per k, t, p. Germanica comune è la
geminazione espressiva; nei nomi propri (Abba, Offa) e nomi di animali comuni ( dogga “cane”, frogga “ranocchio”).
b)È germanica occidentale
1) la geminazione di consonante semplice, tranne la r, preceduta da vocale breve, dinanzi ad j:
got. satjan aingl. settan aat. setzan “porre”; got. hlahjan aingl. hliehhan aat. Hlahhan “ridere”;
got. skapjan aingl. scieppan as. skeppian “fare, creare”; got. saljan aingl. sellan as. sellian “dare”;
got. lagjan aingl. lecgani aat. Leggen “porre”;
ma:
[Digitare il testo] Pag. 14
got. harjis aingl. here aat. as. heri “esercito”; got. nasjan aingl. nerian aat. as. neren, nerian “salvare”;
2)la geminazione di it, c, p, h dinanzi a r, l originariamente sillabici, che hanno in seguito sviluppato una vocale
secondaria: es. got. baitrs, aingl. bittor, aat. bittar “amaro”; got. snutrs, aingl. snuttor “furbo”.
Ma resta sempre in uso anche la forma con consonante semplice: bitor, snutor.
Queste forme con geminata non sembrano però originarie, in quanto la geminazione si aveva soltanto quando a r, l
seguiva desinenza iniziante in vocale; da bitor gen. bittres. Dalle frome flesse la geminata passa anche al nominativo
e ci si ha accanto al tipo bitor il tipo bittor.
c)In maniera molto simile in antico inglese si ha geminazione:
1)quando r, l vengono a contatto con precedente occlusiva per sincope di vocale mediana:
es. bettra “migliore” accanto a bet(e)ra, miccles accanto a miceles da micel “grande”.
Questa geminazione davanti ad r non si ha dopo vocale lunga, ma appare nella lingua tarda , specie con d, t:
ǣdre/œddre “vena” ātor/attor “veleno”, mōdor/moddor “madre”, fōdor/fodder “cibo”.
Pure tardi si ha la geminazione in forme flesse quali goddre gen. e dat. Sg. femm. di gōd “buono”;
il comp. deoppra di dēop “profondo” swettra di swēt “dolce” ecc.
2)geminazione dovuta ad assimilazione in composti o comunque in forme derivate: pœtte da pœt pe “ciò che,
affinché”, lāttēow “duce” da lādpēow; il preterito di lǣdan “condurre” è lǣdde, di cypan “annunciare” è cypde, più
tardi cydde, ecc.

La geminata in alcuni casi si semplifica:


a)in fine di parola: eal “tutto”, gen. ealles; man “uomo”, gen. mannes; swimman “nuotare”, imper. swim;
ma non mancano le forme con la geminata: mann, eall ecc.
b)in fine di sillaba nel mezzo di parola: ealre, ealne, casi flessi di eal(l); cyste pret. di cyssan.
c)nei composti, dopo consonante: wildēor per wild-dēor “selvaggina”, wyrtūn per wyrt-tūn “giardino”,
eorlīc per eorl-līc “signorile”.

Nella lingua tarda si ha molto spesso semplificazione dopo sillaba atona: atelic per atollic “terribile”, singalic
“continuo” per singallic; parimenti nelle forme flesse nelle quali appaiono nn, ll, rr, tt: per es. aggettivi in –en e
participi preteriti di verbi forti:
acc. sg. mas. gyldenne, poi gyldene da gylden “dorato”;
geslœgenne poi geslœgene da geslœgen “colpito, ucciso”;
sostantivi neutri in –ja come wēsten “deserto”, gen. wēstennes poi wēstenes;
femm. in –jō come gyden “dea”, candel “candela”. Gen. gydenne/gydene, candelle/candele;
casi con desinenza in –r di aggettivi e pronomi in –er: gen.pl. fǣgerra poi fǣgera da fǣger “bello”,
ōperra poi ōpera da ōper “altro”, ecc.

MORFOLOGIA
IL NOME
Generalità
Nelle lingue ie., che sono lingue flessive, si fa una distinzione fondamentale fra nome (cioè oggetto) e verbo (cioè
azione).
NOME è una parola o meglio una categoria di parole che indicano una sostanza o una qualità. Nel Medioevo il nome è
stato distinto in sostantivo e aggettivo. Di fatti, morfologicamente, cioè dal punto di vista della struttura e della
flessione, le lingue indeuropee non distinguono fra sostantivi ed aggettivi. Solo alcune di esse e precisamente le
germaniche, le baltiche e le slave, hanno instaurato per gli aggettivi una particolare flessione.
È propria del nome la categoria del numero, del genere e del caso. Ogni parola semplice indeuropea e quindi anche il
nome, si può scomporre in tre elementi: radice, suffisso, desinenza. La radice dà il significato generale della parola, il
suffisso ne determina il valore, la desinenza indica i rapporti della parola cogli altri membri della frase e spesso il
genere e il numero (sostantivi) o la persona e il numero (verbo). L’unione di R + S = Tema
Esempi:
gief-end-es R S D gen. sg.mas. del part.pres. di giefan “dare”
gum-a R S -- nom. sg. adesinenziale di un tema in nasale *gumon- “uomo”
fōt-a R -- D gen. pl. di un tema-radice *fōt- “piede”
mann R -- -- nom. sg. del tema-radice *man(n)- “uomo”

I sostantivi: tipi di flessione


[Digitare il testo] Pag. 15
A seconda del tema si determina il tipo di flessione del sostantivo, il che equivale a dire che, nelle lingue ie., la
flessione varia a seconda del tema della parola. Si distingue una flessione per i temi con vocale tematica alternante
e/o, una per i temi in –ā, una per i temi in sonante e consonante.
I temi in sonante (i, u, liquida, nasale) sono caratterizzati da una alternanza vocalica suffissale di cui il germanico
serba larghe tracce. Possiamo dire che l’antico sistema ie. della flessione nominale ha subito nel germanico una
trasformazione vistosa in quella che potremmo chiamare la sua “struttura superficiale” (si può senz’altro parlare,
nelle lingue germaniche, di una bipartizione assai semplice: temi in vocale (o, ā, i, u) e temi in consonante), ma che
mantiene nella sua “struttura profonda” molte delle antiche caratteristiche.
Per quel che riguarda le innovazioni, si nota una tendenza ad eliminare i temi in consonante, che passano in buona
parte nella categoria dei temi in vocale.
Ma, fra i temi in consonante, i temi in nasale hanno nel germanico una grande validità. Gli aggettivi del germanico
hanno tutti, accanto al tema in vocale, un secondo tema in nasale: blind “cieco” (blinda-) / blinda (blindon-).
Le varie categorie dei temi sono così ordinate nel germanico e quindi anche nell’inglese antico:
a)destinazione dei temi in vocale, che comprende i temi in –a (*e/o), in –ō (*ā), in –i, in u1. Questa declinazione,
ricalcando una terminologia che risale a Jakob Grimm, è detta anche declinazione forte.
**1Questi ultimi due antichi temi in sonante, con alternanza suffissale: *-eu/-ou/u, *-ei/-oi/-i.
b)declinazione dei temi in consonante, alla quale appartengono:
1)l’ampia categoria dei temi in nasale (decl. “debole”);
2)resti di temi in *-er/*-or, *-et/*-ot, *-nt, *-es/*-os;
3)temi radice, cioè forme a suffisso zero: le desinenze si aggiungono direttamente alla radice. categoria
numericamente molto ridotta.
La flessione nominale del germanico e quindi anche dell’inglese antico distingue tre generi: maschile, femminile e
neutro; tre numeri (singolare, plurale e tracce di duale); quattro casi: nominativo, accusativo, genitivo e dativo e, in
certi casi, tracce di locativo-strumentale e vocativo.

Le sillabe desinenziali
L’accento delle lingue germaniche è accento di intensità, fisso sulla sillaba radicale. Questo porta come conseguenza
la molto minore stabilità delle sillabe atone e in particolare delle sillabe finali, cioè delle desinenze. Le sillabe finali
tendono a perdere la vocale breve, e ad abbreviare la vocale lunga (talora a perderla), i dittonghi di sillaba finale
tendono a monottongarsi e quindi ad abbreviarsi. Si deve tenere conto dei seguenti fatti:
a)consonanti finali:
*-m > -n già in germanico comune questo –n in aingl. resta dopo vocale breve tonica, se no cade;
*-t, *-d si conservano solo dopo vocale breve accentata;
*-s > -z in germanico comune per la legge di Verner, quindi cade dopo vocale atona nel germanico occidentale, ma in
inglese con qualche eccezione: si confronti per es. il Nom. Acc. pl. dei temi in –a ;
*-r resta
b)vocali finali:
germ.com. –a (*ă, *ŏ) originaria o divenuta tale per caduta di consonante scompare, eccetto che nei monosillabi;
germ.com. –e originario scompare, ma se era seguita da consonante, tranne r, passa ad –i già nel germ.com. e viene
trattata come tale
germ.com. –ō (*-ā, *-ō) > aingl. u
germ.com. –ī > aingl. i > e
germ.com. –ĭ, -ŭ originari o divenuti tali per caduta di consillabi, come pure le –u, -i derivate da germ. *-ō, *-ī,
scompaiono quando la prima sillaba era lunga, restano se era breve (salvo eccezioni dovute ad analogia).
Nei trisillabi –u derivato da germ.com. –ō cade dopo sillaba mediana lunga o quando tanto la radicale che la mediana
sono brevi, mentre resta se la radicale è lunga e la mediana breve.
Esempi:
*lirnungō > lirnungu > liornung “studio” (femm. –ō, Nom.sg.)
*rakidō > rakidu > reced “dimore” (nt. –a, Nom. Acc. pl.)
Ma:
Hāligu (nom. Sg. femm.) “santa”, hēafodu “teste” (nt.pl.)
*-āi, *-ōi e *-ōu > germ. com. –ai, -au > germ. occ. –ǣ, ō > aingl. (-œ >) –e, -a
germ. com. –ō seguita da originario n o z, poi scomparsi, ha esito diverso a seconda della quantità:
-ō di tre more (accento circonflesso) > -a
-ō di due more (accento acuto) > -œ > -e
[Digitare il testo] Pag. 16
Declinazione dei temi in vocale (forte)
Temi in –a (*-e/-o)
Comprende solo temi maschili e neutri. La distinzione fra maschili e neutri è ristretta in aingl. solo ai casi Nominativo
e Accusativo plurale.

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

a)con sillaba radicale lunga


Nom.Acc.
Gen.
Dat.

b)con sillaba radicale breve


Nom.Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI i nomi che hanno vocale œ prima di consonante semplice (es. dœg “giorno”, stœf “asticella”) hanno al plurale
vocale a (dagas, stafas..). I neutri con vocale e, i + consonante semplice (es. gebed “preghiera”, clif “scoglio”) hanno al plurale
forme con metafonia velare (gebeodu, cliofu…).
I nomi in h la perdono dinanzi a desinenza vocalica, con o senza allungamento di compenso: seolh “foca” gen. sēoles/seoles.
Se la h non è preceduta da consonante si ha contrazione: feoh “ricchezza”, gen. fēos.
I bisillabi (al Nom. sg.) con vocale radicale lunga, perdono nelle forme flesse la vocale mediana, sia essa antica o risultato di
liquida o nasale sillabica: engel “angelo”, gen.engles; hēafod “testa”, gen.hēafdes; tungol gen. tungles.
I neutri però mantengono la vocale mediana, quando sia originaria, dinanzi alla des. –u di Nom. Acc. pl.: tungol e tunglu, ma solo
hēafodu.
I bisillabi (Nom. sing.) con vocale radicale breve mantengono, dinanzi a desinenza vocalica soltanto la vocale mediana antica e in
genere quella resultante da una r sillabica: heorot “cervo” gen. heorotes, metod “destino, dio” gen. metodes, wœter “acqua”
gen. wœteres, hamor “martello” gen. hamores, ma fugol “uccello” gen. fulges.
Nella lingua tarda tutto ciò è spesso modificato da fenomeni analogici. Per i neutri la des. –u (germ. *-ō ie. *-ā) di Nom. Acc.
plurale talora è presente, talora cade:
Originari bisillabi
dopo voc. rad. breve la –u resta: hof (*hofa-) pl. hofu
dopo voc. rad. lunga la –u cade: word (*worda-) pl. word
rientrano nel gruppo gli originari bisillabi con muta + liquida o nasale nella seconda sillaba, che spesso dà vocale secondaria:
tungol “stella” (*tungla-), wǣpen “armi” (*wǣpna-), tācen “segno” (*taikna-), i quali però ben presto hanno accanto alle forme
adesinenziali anche forme in –u (analogiche): tungol e tunglu, tācen e tācnu ecc.
Originari trisillabi
dopo voc. rad. lunga e mediana breve la –u resta: hēafodu “teste”, nīetenu “bestie”;
dopo voc. rad. lunga e mediana breve la –u cade: reced “dimore”, werod “bande, scorte”.

Temi in –ja

Maschili *harja- “esercito”, mece émekja- “spada”

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

Neutri cynn *kunja. “stirpe”, westen *wostinnja “deserto”

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

[Digitare il testo] Pag. 17


OSSERVAZIONI
1)Metafonia della vocale radicale provocata dalla j/i del tema.
2)Distinzione fra nomi a vocale radicale originariamente lunga e breve. Se la vocale radicale è originariamente breve, la j
raddoppia la consonante finale della radice e scompare (vedi secg, cynn), tranne nel caso che la consonante finale sia r, nel qual
caso non c’è geminazione e la j resta anche al nominativo singolare (> i > e), cfr. here.
3)La –e del Nom.Acc. sg. ha bisogno di spiegazione: per i temi a vocale radicale breve probabilmente, come si ha here (*heri)
anche la forma originaria del tipo a consonante raddoppiata, come secg, era *sege, sia che si consideri quella –e derivata da uno
speciale grado ridotto –iz, -im o da *-jos, *-jom > -iz, -im con caduta della a germanica. La geminata deriverebbe allora dai casi
obliqui: *sagjes > secges, *kunjes > cynnes. Cfr. a conferma i composti cynedom, Cynewulf paralleli al tipo herefeld.
Per la –e dei temi a vocale radicale lunga o si pensa con Sievers che in questo caso si abbia i + vocale, cioè *mekia- > mece,
*witia- > wite, oppure si può supporre una formazione ie. *-ijos, *-ijom.
4)La –u di Nom. Acc. pl. neutro resta nei temi formati con il suffisso –en, -et (germ. occid. *-innja/*-unnja, germ. *-at ja/*-it ja)
del tipo westen “deserto”, forse per analogia con I temi in –o del tipo tacen, tungol e originari trisillabi a radicale lungo; resta nei
temi a vocale radicale originariamente lunga del tipo wite (*witia-) “punizione”, rice (*rikia-) “regno”, nei quali la –i- suffissale,
poi caduta, può fungere da sillaba mediana.

Temi in –wa.
Maschile bearu *barwa- “bosco”

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

Neutro bealu *balwa “male”

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI Nel Nom. sg. la –w-, dopo la caduta dell’originaria sillaba finale –az (mas.) –an (nt.), trovandosi in finale assoluta
dopo consonante si vocalizza in –u. Il dittongo della sillaba radicale è probabilmente originato per frattura nei casi obliqui e
passato al nominativo per analogia. Si trovano infatti forme come balu accanto a bealu.
Quando a w del tema viene a trovarsi dopo vocale, se la vocale è lunga la –w cade: sna (*snaiwaz), snawes “neve”, forma tarda
snaw; se la vocale è breve si forma un dittongo lungo: mas peo (*pewa-) “servo” gen. peowes, nt. cneo (*knewa-) gen.
coneowes; forme tarde peow, cneow. Nella lingua tarda il dittongo lungo si estende anche alle forme flesse: peowes, cneowes.

Temi in –ō (*-ā)
Tutti femminili. Bisogna distinguere, per la desinenza del Nom. sg., i temi a vocale radicale breve da quelli a vocale radicale
lunga.

Vocale radicale breve: giefu *gebō- “dono”

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

Vocale radicale lunga ār *ārō- “onore”

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI Il gen. sg. dovrebbe avere desinenza –a, ma c’è evidentemente analogia con Dativo.
Nel Nom. Acc. pl. –a è la desinenza più comune nel dialetto del Wessex, -e nel dialetto anglico. Ci si può spiegare la des. –a come
originaria per il Nominativo (-ās < ā + es), e la des. –e per l’Accusativo (*ans). Ogni dialetto in seguito ha generalizzato una delle
due forme.

[Digitare il testo] Pag. 18


Il genitivo olurale –ena è analogo a quello dei temi in nasale. Gli originari trisillabi con vocale radicale breve non hanno la –u del
nominativo: firen “colpa”, tigol “tegola”. Seguono questo esempio tutti gli astratti in unga: manung, leornung.. Questi stessi
astratti hanno spesso nel genitivo singolare (e anche nel dativo e accusativo) l’antica desinenza –a invece di –e: leornunga.
Gli originari trisillabici con radicale lungo e consonante finale semplice eliminano nella flessione la vocale mediana: sāwol
“anima”, sāwle, frōfor “consolazione” frōfre, ma firen “colpa” firene.
Gli astratti in –p(u) corrispondenti al got. ipa, aat. –ida perdono la vocale mediana e mantengono (ma non sempre) la –u del
nominativo: gesyntu “salute” (aat. gisuntida): strengpu e strengp “forza” (aat. strengida).

Temi in –jō (*jā)


Tipo unico di flessione sia che il vocalismo radicale fosse breve, sia che fosse lungo. Infatti anche nei nomi a vocale radicale
breve, la consonante finale del radicale dinanzi alla j del suffisso (la quale scompare dopo aver metafonizzato la vocale
precedente) si raddoppia, e quindi la vocale precedente si allunga. Mancano quindi i nominativi singolari in –u, anche nel caso di
antichi trisillabi, poiché la vocale della sillaba mediana si allunga in seguito alla geminazione della consonante finale del radicale.
Esempi:
brycg “ponte”, a vocale radicale originariamente breve (*brugjō-)
hild “guerra”, a vocale radicale originariamente lunga (*hildjō-)
byrpenn “fardello”, originario trisillabo (*burpinnjō-)

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

Il gen. pl. non ammette la desinenza –ena. A questo tipo appartengono una serie di monosillabi caratterizzati dalla consonante
finale geminata e, quando è possibile, della metafonia della vocale radicale (hell “inferno”, hun(n) “gallina”, sœcc “lite” ecc.) e
vari tipi di polisillabi: femminili in –en (germ. occ. *-innjō) derivati da maschili (es. gyden “dea” *gudinnjō < guda- poi god “dio”),
astratti in –en (*-inī, passati ai temi in –jō) da verbi: sœgen “detto” da secgan “dire”, selen “dono” dà sellan “dare” ecc.; astratti
in –nes(s)/-nis/-nys da aggettivi: hāligness “santità” da hālig “santo” ecc.

Temi in –wō (*-wā)


Al Nom. sg. –wō > -wu > -u (w scompare dinanzi a u). questo –u resta dopo consonante preceduta da vocale breve (beadu)
scompare dopo consonante preceduta da vocale lunga (mǣd):

beadu (*badwō-) “battaglia”, mǣd (*mǣdwō-) “prato”

Nom.
Acc. Gen. Dat.

Nel caso di –u preceduta da vocale lunga o dittongo, l –u, regolarmente scomparsa, viene ripristinata per analogia dalle forme
flesse: stōw “luogo” gen. stōwe; hrēow “pentimento” gen. hrēowe.
Quando la –u è preceduta da a forma dittongo: clēa “fauci” (*cla(w)u), gen. clawe; prēa (* prawu) “minaccia”, gen. prawe,
forme più tarde di Nom. sg. clawu, prawu.

Temi in –i.
Sono maschili, femminili e neutri. La flessione era in origine uguale, ma si è molto trasformata per l’influenza dei temi in –a su
maschili e neutri, dai temi in –ō sui femminili. Segno distintivo resta la metafonia palatale della vocale radicale.

Maschili
Bisogna distinguere i temi a radicale breve da quelli a radicale lungo:
a)radicale breve: wine “amico” (*wini-)

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

b)radicale lungo: giest “ospite” (*gasti-)


Completamente modellati sui temi in –a. unica distinzione la metafonia palatale della voc. radicale.

Nom.

[Digitare il testo] Pag. 19


Acc.
Gen.
Dat.

Fra i temi a vocale radicale lunga c’è un piccolo numero di etnici che hanno mantenuto l’antica flessione al Nominativo e
Accusativo. Si usano quasi esclusivamente al plurale.
Esempio:
Nom. Acc.
Gen.
Dat.

E cos’ Mierce “Merciani”, Seaxe “Sassoni”, Dēre “Deiri”, Beornice “Bernici”, Norp(an)hymbre “Nortumbri” ecc.
Alcuni di questi nomi hanno anche forme di tipo debole, per es. Nom. Acc. Seaxe, ma anche Seaxan; gen. Seaxa, ma anche
Seaxna. Certo non è estranea l’influenza della forma latina Saxones.

Neutri
I temi a radicale breve hanno una flessione uguale a quella dei maschili.

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

Non vi sono originari temi in –i neutri a radicale lungo. Ma c’è un certo numero di antichi neutri in –ja e in es/-os che, oltre a
forme della flessione loro propria, hanno anche una flessione sul modello di spere (con Nom. sg. senza la –e finale, data la
lunghezza del radicale): flǣsc “carne”, hǣl “salute”, hrēd “fama” gebenn “bando”, gehlyd “rumore” ecc.
Inoltre alcuni originari femminili in –i (es.gebyrd “nascita” gecynd “schiatta”, gepyld “pazienza”, with “cosa, piccolezza” ecc.)
oltre alla flessione loro propria (cfr. paradigma seguente) si comportano anche come neutri, sia seguendo la flessione dei neutri
in –ja tipo cynn, cioè con Nom. Acc. pl. gebyrd, gecynd…, sia seguendo, con maggior frequenza, la flessione dei neutri in –i, con
Nom, Acc. pl. gebyrdu, gecyndu…

Femminili
Solo temi a vocale radicale lunga. Es.: cwēn “donna” *kwǣni-z

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

La flessione di questi temi è identica a quella dei temi in –ō tranne l’Accusativo singolare cwēn (*kwēnin). La forma originaria del
Nom. Acc. pl. è in –i (cfr. Inno di Cædmon: “metudes mœcti” = i poteri di Dio, nella versione sassone occidentale “Meotodes
mœhte”) e poi scade in –e. Segue quindi l’analogia coi temi in –ō.

Temi in –u.
Maschili e Femminili. I neutri in –u sono del tutto scomparsi in inglese antico. I vocaboli appartenenti a questa classe sono
piuttosto pochi, in quanto molti sono passati alle flessioni in –a e in –ō. Mostrano tracce dell’antica alternanza vocalica suffissale
che è ancora ben chiara nel gotico (*eu/ou/u).

Maschili
a)a vocale radicale breve: sunu “figlio”

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

b)a vocale radicale lunga

[Digitare il testo] Pag. 20


I temi a vocale radicale lunga eliminano la –u del Nom. Acc. singolare: feld “campo”, hād “stato, condizione”; polisillabi: sumor
“estate”, winter “inverno” ecc. Questo facilita probabilmente il loro adeguarsi alla flessione dei temi in –a (vedi le desinenze
date come seconde):
Es. feld “campo”

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

I femminili sono pochissimi. La flessione è uguale a quella dei maschili, ma più fedele al tipo originario:
a)a vocale radicale breve; duru “porta”

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

b)a vocale radicale lunga, es.: hand “mano” *handu-

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

Declinazione dei temi in consonante


Temi in nasale (declinazione debole)
Questa categoria raccoglie la maggior parte dei temi in consonante. si distinguono temi in *-on (di tutti e tre i generi) e temi in
*-īn (femminili).

A)Temi in –an (*-on)


Mentre in uno stadio arcaico del germanico la declinazione dei temi in nasale differenzia nettamente i maschili e neutri dai
femminili, in quanto i primi hanno una chiara alternanza vocalica suffissale che manca nei secondi (*-on/*-en, cfr. got. guma
“uomo” gen. gumins) in antico inglese si è generalizzato il grado *-on. Unica differenza il nominativo singolare in –a nel maschile,
in –e nel femminile e neutro.

Maschile guma “uomo” *gumon-, femm. tunge “lingua” *tungon-, nt. ēage “occhio” *augon-

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI
1)La desinenza –ena del Gen. pl. è recente, la forma più antica è –ana, -ona < *-onōm. La forma sincopata è frequente nei nomi
di popolo a radicale lungo: Seaxna, Francna, Miercna, ma: Gotena, Judena. Nella lingua poetica frequente la forma sincopata in
temi a vocale radicale lunga: wīsna, wrǣcna, ēagna.
2)Si distingue dallo schema normale la declinazione delle forme contratte per caduta di w, j, h intervocalico.
Esempi: fra i maschili: frea “signore” (*frawon-), gen. frēan; gefēa “gioia” (*gifahon-), tweō “dubbio” (*twehon-) ecc.;
fra i femminili: beō “ape” (*bijon-) (sg. G.D.A. bēon, pl.N. bēon, G. bēona, D. bēom), rēo anche rēowe “coperta”, tā (*tahon-)
“dito del piede” ecc.
3)I neutri in *-on sono pochissimi; oltre ēage “occhio”, sicuro è il caso ēare “orecchio”; heorte “cuore” è passato ai femminili.

[Digitare il testo] Pag. 21


4)Secondo la formazione, si dovrebbero distinguere temi in –on, -jon, -won, anche –mon e –non, ma la suddivisione non
corrisponde ad alcuna differenza di flessione. Unico elemento la metafonia palatale nei temi in –jon: dēma “giudice” (*dōm),
brytta “dispensatore” (*brut-).

B) Temi in -īn
Dovrebbero avere flessione di tipo debole gli astratti femminili in *-īn, ma per analogia con gli astratti femminili in *-ipō
(aingl. –pu), si flettono secondo i temi in –ō, quindi Nominativo sg. in –u (-o) e casi obliqui in –e (talora –u, -o). traccia della i
suffissale la metafonia palatale: strengu “forza”, ieldu “età”, hǣlu “salute” ecc.

Es. hǣlu “salute” (*hail-īn-)

Nom.
Gen. Dat. Acc.

Altri temi consonantici


Temi in *-er/-or
Sono i nomi di parentela: fœder “padre”, brōpor “fratello”, mōdor “madre”, dohtor “figlia”, sweostor “sorella”, e i collettivi
gebrōpor “fratelli” e gesweostor “sorelle”.

fœder (*pətér), brōpor “fratello”, mōdor “madre”, dohtor (*dhughəter), sweostor (*suesor)

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI
1)Il –d- di fœder e mōdor si spiega con la legge di Verner.
2)Il –t- di sweostor si introduce fra s –r nelle forme flesse, nelle quali i due suoni vengono a contatto: gen. ie. *swe-sr-os > germ.
com. *swestraz.
3)Il Nom. sg. ha originariamente vocale suffissale allungata ed è adesinenziale (asigmatico), cfr. gr.πατήρ. L’Acc. sg. e il Nom. pl.
hanno un grado normale o forte della vocale suffissale. Il Gen. e Dat. sg. il Gen. Dat. Acc. pl. hanno grado ridotto della vocale
suffissale dinanzi alla desinenza tonica (cfr. gr.πατρός-ατρί) ben presto scomparsa in germanico: le vocali dell’inglese (di seconda
sillaba) sono vocali secondarie, sviluppatesi dalla –r.
4)Il Dat. sg. mostra metafonia palatale, causata dalla desinenza –i. Il Dat. sg. di sweostor si è conguagliato al resto del paradigma.
5)Le forme Gen. sg. fœd(e)res e Nom.pl. fœd(e)ras sono analoghe ai temi in –a.
6)L’Acc. pl. è rifatto sul Nom.pl. La forma di tipo brōpru (mōdru, dohtru) è analoga a quella dei neutri in –a. Possono essere state
tramite per quest’influsso certe forme di gebrōpor, gesweostor, originariamente collettivi neutri usati solo al plurale, declinati
anche sul modello dei neutri in –a, -ja: gebropru, gesweostru. Le forme modra dohtra di Nom. pl. possono aver sentito l’influsso
dei femminili in –ō.

Temi in *-et/*-ot.
In antico inglese vi sono solo pochi resti di questa categoria: mas. hœlep “eroe”, mōnap “mese”; nt. ealu “birra”; femm. mœ
“fanciulla”.

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

[Digitare il testo] Pag. 22


OSSERVAZIONI Al Nominativo singolare la dentale, trovandosi in finale assoluta, in sillaba atona, cade. Le forme in dentale sono
più tarde, rifatte sui casi obliqui. Nel caso di mōnap “mese”, la dentale resta, in quanto la forma senza dentale mōna è passata
alla declinazione dei temi in nasale, con il significato di “luna”. Nelle forme di Nom. e Acc. plurale la dentale resta, perché
protetta dell’antica desinenza *-es, *-ns > germ. –iz, -uns.

Temi in –nd (*-nt)


Solo maschili. Si tratta di un certo numero di antichi participi presenti (suffisso *-ent/ont) sostantivati. Qualche differenza di
flessione fra monosillabi e polisillabi.

monosill. Frēond “amico”, polisill. Hattend “nemico”

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

Nom.
Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI Il dative singolare e il nominative plural dei temi monosillabici mostra metafonia palatale.
Le forme in –es di genitivo singolare ed in –e di dativo singolare sono analoghe a quelle dei temi in –a, come pure la forma in –as
di nominativo plurale dei polisillabi. I polisillabi mostrano desinenze della declinazione forte aggettivale (nom. pl. hettend-e,
gen.pl. hettend-ra). I participi presenti non sostantivati si declinano come aggettivi.

Temi in *-es/*-os.
Corrispondono al tipo latino genus, generis, gr.γένος, γένους. Sono tutti neutri. In inglese antico ne restano pochi esempi. La –s
suffissale (passata nel germanico occidentale ad –r) scompare al Nom. e Acc. singolare e appare nel resto della flessione.

Esempio: cœlf “manzo”

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

Ma questo tipo di flessione si trova solo in testi anglici o in poesia. La forma più usuale in sassone occidentale ha la r solo al
plurale. Il singolare è rifatto sui temi in –a.

Esempi: cealf “manzo”, cild “bambino”

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

Alcuni temi apparteenti in origine a questa categoria hanno esteso la –r anche al Nominativo e Accusativo singolare e sono
passati alla declinazione dei temi in –a. Esempi: dōgor “spazio di 24 ore”, eagor “mare” e pochi altri.

Temi –radice
Pochi resti di temi in consonante, che aggiungono direttamente le desinenze al radicale.
a)maschili: fōt “piede”, tōp “dente”, mann “uomo”

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

[Digitare il testo] Pag. 23


Nom. Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI Il dativo singolare e il nominativo plurale mostrano metafonia palatale. L’acc. sg. e pl. è analogo al nominativo.
Accanto alla forma mann, c’è una forma manna, acc. mannan, declinata secondo i temi in nasale.

b)femminili:
1)a vocale radicale lunga: bōc “libro”; neaht, niht “notte”; burg “rocca”; sulh “aratro” e qualche altro.

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

2)a vocale radicale breve: hnutu “noce”; stupu “colonna”; hnitu” “lendine”.

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

OSSERVAZIONI I temi a radicale lungo hanno il dativo singolare e il nominativo plurale metafonizzato, il gen. singolare analogo al
dativo singolare. Il gen. sing. bōce è analogo ai temi in –ō. Le forme burug e byrig sono dovute al fatto che, talora, fra r, l e
consonante, specie gutturale, si sviluppa una vocale secondaria, dello stesso timbro della vocale precedente.
I temi a radicale breve hanno il nom. acc. e gen. sg. analogo ai corrispondenti temi in –ō a radicale breve. La –e del dativo
singolare (*-i) e del nominativo plurale (*-iz), provoca metafonia, ed essendo la sillaba radicale breve, si conserva.

c)neutri: l’unico tema-radice neutro è scrūd “abbigliamento, vestiario”.

Nom. Acc.
Gen.
Dat.

Annotazioni sintattiche sull’uso dei casi.

Accusativo. Oltre ad indicare il complemento oggetto l’Accusativo può avere altri usi:
1)indicare il soggetto nelle frasi oggettive, dopo verbi di comando: hēt pā hyssa hwœne hors forlǣtan (ordinò che ciascuno dei
guerrieri lasciasse andare i cavalli);
2)avere uso avverbiale per indicare durata nel tempo: ealne dœg “tutto il giorno”, pone winter “nell’inverno”.

Genitivo. Oltre alla specificazione, possesso, rapporto fra nomi, il Genitivo è usato:
1)in senso partitivo, coi numerali: fiftig wintra “cinquanta inverni”, con fela “molto”, mā “più”, lyt “poco”: fela folca “multum
populorum”; coi superlativi: hūsa sēlest “la più bella delle dimore”, beama beorhtost “il più splendente degli alberi”; coi pronomi
indefiniti: manna cynnes sum(ne) “uno della stirpe degli uomini”;
2)in senso avverbiale: dœges “di giorno”, ealles “del tutto”;
3)con verbi indicanti emozioni, attività mentali e anche privazione o negazione: ne pence wē nānes yfeles “nec ullas molimur
insidias”; wilnigap monige men anwealdes “molti uomini desiderano il potere”; gefultuma mē nū ānegre ǣlces fylstes bedǣled
“aiuta ora me desolata, prima di ogni assistenza”.

Dativo. Oltre all’uso più comune di complemento di termine, è da notare l’uso:


1)del Dativo assoluto: gewunnenum sige “avendo ottenuto la vittoria”;
2)Dativo avverbiale, temporale: sume dœge “un giorno”, pǣre neahte “di notte”, gēardagum “nei tempi andati”;
3)Dativo strumentale: hiera willum “d’accordo”, for mīnum pingum “per causa mia, riguardo a me”, fǣhde fēo pingode “sistemai
la faida col denaro”:
4)Dativo possessivo, in genere con verbi indicanti “essere” o “divenire”: pām wœs Crist nama “il suo nome era Cristo”; wœs him
beorht wela “possedeva splendide ricchezze”.

[Digitare il testo] Pag. 24


I PRONOMI
Le lingue indeuropee hanno, oltre alla declinazione nominale, una speciale declinazione per i pronomi.
Il pronome (personale, dimostrativo, relativo, interrogativo, indefinito) è una categoria del nome, che può sostituire
o determinare; per cui ha, oltre alla sua specifica funzione di sostituto del nome, quella di aggettivo.
Tutti i pronomi hanno la categoria del caso: nominativo, accusativo, genitivo, dativo, talvolta anche istrumentale.
I pronomi personali sono indifferenti al genere ed esprimono il plurale con mezzi semantici, cioè con radicale diversi.
Oltre ai numeri singolare e plurale i personali conservano il duale.

Personali
Si distingue con radicale diverso la prima, la seconda e la terzapersona. Per quest’ultima si può porre, in fase germanica comune,
il riflessivo (*sue-) che l’inglese antico ha eliminato e sostituito con un pronome dimostrativo anaforico.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

OSSERVAZIONI Morfologia molto arcaica. La prima persona ha radicale diverso fra nominativo e casi obliqui sia al singolare: ic,
mīn (cfr. lat. ego, me) che al plurale: we, ūre.

[Digitare il testo] Pag. 25


Notare le forme me, pe, we, ge alle quali corrisponde in gotico mis, pus, weis, jus e in aat. mir, dir, wir, ir; la i > e nell’inglese,
come pure nel nordico, dinanzi a z (germ. occ. r) della medesima sillaba, quando non ci sia i nella sillaba seguente, la *-s finale
(germ. occ. > z > r) cade dopo sillaba che abbia accento variabile, ora forte ora debole, come nel caso presente.
Le forme ūre, ūs corrispondono a got. unsara, uns, aat. unser, uns: la ū < ŭ + nasale + spirante.
Questo tema germ. com. *un- è grado ridotto del tema ie. *ne-/no- di pron. di prima persona plurale.

Pronome di terza persona

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

NOTA Il tema *ki- dal quale deriva questo pronome (cfr. lat. cis, citra) è vitale, oltre che in inglese, in as. (he) e in an. (hinn),
mentre è presente solo in forme isolate in gotico e in antico alto tedesco.
Nella lingua tarda abbondano le forme con grafia y (hym, hys, hy ecc.)

Pronomi possessivi
Strettamente collegati ai personali sono i pronomi possessivi formati dal genitivo del corrispondente pronome personale: mīn
“mio”, pīn “tuo”, sī “suo”, uncer “di noi due”, incer “di voi due”, ūre “nostro”, īower “vostro”, sīn “loro”.
La flessione è quella stessa degli aggettivi di forma forte. Sīn, aggettivo possessivo di terza persona, è l’unica forma superstite in
antico inglese del pronome riflessivo ie. *sue-.
Si usa per tutti i generi e numeri, ma è comunque solo in poesia e quando è riferito al soggetto della frase. Negli altri casi e nella
lingua della prosa si usa il genitivo del pronome anaforico di terza persona: his, hire, pl.hiera.

Pronomi dimostrativi
Il pronome dimostrativo mostra in molte lingue indeuropee un doppio tema: *so- per il maschile e femminile al Nominativo
singolare, e *to- per tutti gli altri casi.
Questo fenomeno si mantiene anche in antico inglese (come pure in gotico); la morfologia di questo pronome è quindi molto
arcaica.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.
Istr.

Il dimostrativo sē, sēo, pœt prende molto presto funzione di articolo. Per esprimere il valore “dimostrativo” si usa una forma
rafforzata pēs, pēos, pis ottenuta aggiungendo alle forme flesse del dimostrativo una particella *-si/*-se. Con l’andare del tempo
le desinenze sono state spostate alla fine di questa specie di composto e tutto si svolge come se si partisse da un tema *pis-.
Tracce dell’antica forma composta si notano nel Nominativo singolare mas. e femm. pē-s, pīo-s, e nel Nominativo plurale: pā-s.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.
Istr.

N.A.
G.
D.

La struttura originaria di questo dimostrativo rafforzato è ben conservata nel nordico runico:
Nom.
Dat.
Acc.

Altri pronomi dimostrativi sono:


se ilca “idem”, declinato come aggettivo debole
self, sylf, seolf “stesso”, declinato come aggettivo debole e forte.

[Digitare il testo] Pag. 26


Pronomi interrogativi
Tema comune indeuropeo *kwe-/kwo-
Forma unica per maschile e femminile (genere animato).

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.
Istr.

Si trovano anche alter forme di Istrumentale:


hwon (hwan) in locuzioni avverbiali: tō hwon “a che scopo”, for hwon “perché”, hū “come”.

Altri pronomi interrogativi sono:


hwœper “quale dei due”, hwelc…swelc “tale…quale” (*hwa-līk, *swa-līk), hūlik “quale, di quale specie”.

La flessione è quella degli aggettivi di forma forte.

Pronomi relativi
L’inglese antico, come del resto tutte le altre lingue germaniche, non ha un vero e proprio pronome relativo. Si usa il
dimostrativo se, sēo, pœt e la particella pē sola o aggiunta al dimostrativo: sē, pē, sēo pē, pœtte o pœt pe.
Talora si pospone al pē il pronome personale: pē hē “qui”, pē his “cuius”, pē ic “ego qui”, pē wē “nos qui”.

Pronomi indefinti
Si possono usare come indefiniti gli interrogativi hwā, hwǣper, hwelc, hwilc (*hwi-līk) con il significato generico di
“chiunque, qualcuno”. Di questi stessi pronomi si possono trovare molte forme composte, per esempio con:
ā-, ǣt, ge-, che non modificano il significato: āhwā, ǣthwā, gehwā, gehwilc,
forme con l’indeclinabile –hwugu, -hugu: hwœth(w)ugu, “qualcosa”, hwelch(w)ugu “qualcuno”,
con swā….swā: swā hwelc swā “chiunque”
nā- che nega: nāhwœper “neuter”
nat- che indica incertezza: nāthwelc “non so chi”

Altri pronomi indefiniti sono:


sum, ān “quidam”, nān “nullus”, con flessione di aggettivo forte,
nāwiht, nāwuht, “nihil”, con flessione sostantivale
ōper “altro, un altro”
œlc “ciascuno”, ǣig “qualunque”
swelc, pyslic “tale”
man “si” impersonale ecc.

[Digitare il testo] Pag. 27


GLI AGGETTIVI
Generalità
Le lingue germaniche hanno per gli aggettivi una flessione speciale, o meglio due tipi di flessione, dette forte e
debole. È una innovazione del germanico, in quanto le lingue ie. non conoscono una speciale flessione per gli
aggettivi: esiste un’unica flessione nominale valevole sia per i sostantivi che per gli aggettivi.
Le lingue ie. hanno però una speciale flessione pronominale, con delle caratteristiche che anche il germanico ha ben
conservato.
La flessione pronominale è estesa, già in fase indoeuropea, anche a tutti gli aggettivi di tipo indefinito indicanti “uno,
ogni, altro, tutto” ecc..
Questi speciali aggettivi potevano essere il tramite per facilitare un’influenza della flessione pronominale su quella
degli aggettivi in genere: questo è di fatto avvenuto in alcune lingue ie. fra le quali quelle germaniche.
Gli aggettivi, già nel periodo germanico comune, hanno adottato, in molti casi della declinazione, desinenze
pronominali, differenziandosi così dai sostantivi. L’estensione delle forme pronominali non è però totale né uniforme
in tutti i dialetti: si ha una flessione mista di forme nominali e pronominali, detta forte.
Per esempio:

Mas. sg. sostantivo aggettivo pron.dimostr. Femm.sg.


Nom. Nom.
Gen. Gen.
Dat. Dat.
Acc. Acc.

Accanto alla declinazione forte ogni aggettivo ha una declinazione debole modellata interamente sui sostantivi con
tema in nasale (deboli).
La distinzione nell’uso dei due tipi è sintattica: si usa la forma debole in genere quando l’aggettivo è determinato,
cioè accompagnato dall’articolo o dal dimostrativo: be pām ēadigan Gregorie “riguardo al beato Gregorio”;
dall’aggettivo possessivo: pyne ārfœstan mildheortnysse “la tua benigna misericordia”; in genere nelle frasi vocative:
eala pu wuldorfœste hlœfdige “oh, tu gloriosa Signora!”; quando l’aggettivo è al comparativo; nei numeri ordinali
(tranne oper ‘secondo’). Si usa invece la forma forte quando l’aggettivo non è determinato o è usato come predicato,
come attributo o apposizione: sy wuldor œlmihtigum gode “sia gloria a Dio onnipotente”, ealdorlangne tir geslogon
“ottennero combattendo gloria imperitura”.

[Digitare il testo] Pag. 28


Declinazione forte
Questa declinazione forte comprende per la massima parte temi in *-o (germ. –a) con femminile in *-ā (germ. –ō), e
un certo numero di temi in *-jo/-jā (germ. –ja/-jō) e *-wo/wā (germ. –wa/-wō).
I temi in –i, -u restano come tali solo al Num. Sg. e in qualche altro caso sporadico.

Temi in –a/-ō (*-o/ā).


Bisogna distinguere, come per i corrispondenti sostantivi, fra temi monosillabici a radicale breve, temi monosillabici
a radicale lungo e temi polisillabi.

a)monosillabici a radicale breve: blœc “nero”

maschile femminile neutro


Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

b)monosillabici a radicale lungo: gōd “buono”

maschile femminile neutro


Nom.
Gen.
Dat.
Acc.
Istr.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

I temi che finiscono in –h al Nom. sg. perdono la –h- nelle forme flesse e, se la –h- è preceduta da vocale, si ha
contrazione: hēah “alto”: mas. Acc. sg. hēa(n)ne, Gen. sg. hēas (<hēahes), Nom. pl. hēa (< hēahe) ecc.,
femm. Nom. sg. hēa (< hēahu), Gen. Dat. sg. Hēr®e ecc.

c)polisillabi: bisogna distinguere, riguardo alle desinenze di femm. sg. Nom. –u, -o e di nt. pl. Nom. Acc. –u, -o, a
seconda della quantità della vocale radicale:
1) vocale rad. lunga: hālig “santo”

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.
Istr.

2)vocale rad. breve: manig “più d’uno, molti”

Nom.
Gen.
Dat.
[Digitare il testo] Pag. 29
Acc.
Istr.

NOTA Ricorre però anche, specie nei testi antichi, la forma tipo manigu, sia per il Nom. sg. femm. che per il Nom. Acc. pl. neutro.
Per il mantenimento o meno della vocale mediana, si tenga presente che tale vocale:
1)in sillaba aperta, con radicale breve, resta
2)in sillaba chiusa, con radicale, con radicale sia lungo che breve, resta
3)in sillaba aperta, con radicale lungo, scompare.
Ci sono naturalmente, nella lingua tarda, molte eccezioni dovute a fatti analogici. Si confronti anche quanto detto.

Temi in –ja/jō (*-jo/*-jā).


I temi a radicale originariamente breve, divenuto lungo per la geminazione consonantica causata dalla presenza della –j
tematica, si flettono come puri temi in –a: mid(d) “medio”, nyt(t) “utile” ecc. Quelli a radicale originariamente lungo hanno la
desinenza –e (*-jaz, *-jan) al Nom. sg. maschile e neutro. Al Nom. sg. femminile e al Nom. Acc. pl. neutro hanno –u, -o; per il
resto si flettono come i temi in –a.
Esempio (rad. lungo): grēne “verde”

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.
Istr.
Temi in-wa/-wō (*-wo/*-wā).
I temi in consonante semplice prima della –w vocalizzano quest’ultima in –u. questa stessa –w > -o prima di desinenze
consonantiche:
gearu “pronto”, tema *gearwa-

Sg. Nom. mas. femm. nt.


Sg. Gen. mas. femm. nt.

Ecc. Ecc.

Gli antichi temi in –i sono passati alla classe dei temi in –ja: clǣne “piccolo”, gemyne “penoso”, swice “ingannevole”
ecc. Gli antichi temi in -u sono passati interamente alle categorie in –a, -ō, -ja/-jō: per esempio iheard “duro”, got.
hardus, twelfwintre “dodicenne”, got. twalibwintrus. Undici esempi di temi aggettivali in –u sono: wlacu “tiepido”,
cwicu “vivo”, con accanto le forme wlœc, cwic.

Declinazione debole.
Questa flessione è, come si è detto, interamente modellata su quella dei sostantivi con tema in nasale.
Esempio: gōda “il buono”
maschile femminile neutro
Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

Nom.
Gen.
Dat.
Acc.

NOTA Gli aggettivi in –a/ō il cui Nom. sg. termina in –h, cioè del tipo hēah fanno nella forma debole: hēa, hēan ecc.

Declinazione dei participi.


Il participio presente si flette come un aggettivo in –ja/-jō, e può avere sia flessione forte che debole.
Per esempio dal verbo wesan “essere” si ha:
la forma forte  mas. wesende, femm. wesendu, nt.wesende
[Digitare il testo] Pag. 30
la forma debole  mas. wesenda, femm. nt. wesende.
Il participio preterito, è declinato come un comune aggettivo in –a/-ō, sia forte che debole.
Esempi da nerian “salvare”, niman “prendere”.
Forma forte: mas. nt. genered, numen, femm. Genered(u), numen(u).
Forma debole: mas. genereda, femm. nt. generede.

Comparazione
Il comparativo degli aggettivi si forma in inglese antico aggiungendo un suffisso –ra, il superlativo aggiungendo un
suffisso –est/-ost. Esempio: lēof “caro”: lēofra, lēofost.
La forma antica del suffisso è *-isan, *-ista. Le lingue ie. potevano trarre direttamente dalla radice per mezzo del
suffisso *-jes (*-jos, *-is) degli intensivi che servivano da comparativo: cfr. lat. suavior, ai. svādīyas.
Il germanico usa il suffisso al grado zero –is + un altro suffisso –an: -isan. Questo *-isan, conservato ancora dal gotico
nella forma –iza (sutiza, hardiza) diventa in inglese, con perdita della –i e rotacismo, -ra; ma la antica presenza della i
è rivelata dalla metafonia della vocale tonica: brād “largo”: brǣdra; eald “vecchio”: ieldra; feorr “lontano”: fierra ecc.
Per il superlativo si può ricostruire il suffisso ie. *-ist(h)o (*-jes + t(h)o), cfr. Gr. Ήδιστος ai. Svadistah.
Nel germanico si usa –ista (got. sutists, hardists) che in inglese diventa –est: brǣdest, ieldest, fierrest.
Bisogna notare che ricorrono anche forme in *-os-an, *-os-ta, innovazioni germaniche.
Originariamente erano proprie degli aggettivi con tema in –a/-ō. In inglese la forma è –ra, -ost, ed è la più diffusa.
Naturalmente non c’è metafonia: ceald “freddo”, cealdra, cealdost; lēof “caro”: lēofra, lēofost; glœd “felice”: glœdra,
gladost.
I comparativi si flettono come aggettivi deboli. I superlativi seguono in genere la declinazione debole, salvo la forma
adesinenziale in –est, -ost. Che si usa per il neutro singolare Nom. Acc. e Vocativo.

Forme speciali di comparazione.


1.Ci sono quattro aggettivi che per il comparativo e il superlativo ricorrono ad un altro radicale:

gōd “buono” bet(e)ra bet(e)st, betsta


sēlra, sēlla sēlest(a)
yfel “cattivo” wi(e)rsa wi(e)rrest(a), wi(e)rst(a),
wyrst(a)
micel “grande” māra mǣst(a)
lytel “piccolo” lǣssa lǣst(a)

2.Esistono alcuni aggettivi di forma comparativa e superlativa tratti da avverbi o preposizioni, cioè senza un
corrispondente aggettivo positivo. Alcuni di questi hanno il superlativo formato con un suffisso *-mo di intensivo
(cfr. lat. pri-mus, optimus, summus) che si conserva in pochi casi nella forma –ma; più frequente la forma rafforzata
-mest:

ǣr “prima” ǣrra ǣrest(a) lœt “tardi” lœtra lœtemest(a), lœtest(a)


œfter “dopo” œfterra œftermest(a) norp “verso nord” norperra, nyrpra norpmest(a)
fore “prima” forma, fyrmest(a) formest(a), fyrest(a) sūp “verso sud” sūperra, syperra sūpmest(a)
feorr “lontano” fierra fierrest(a) ēast “verso est” ēasterra ēast(e)mest(a)
hindan “dietro” hindema west “verso ovest” westerra westmest(a)
inne “dentro” innerra innemest(a) ufan “sopra” uferra, yferra ufemest(a) yfemest(a)
ūte “fuori” ūterra, yterra ūtemest(a) ytemest(a) niopan “sotto” niperra nipermest(a)
sīp “tardi” sīpra sīpe(me)st(a)

Avverbi
1.Gli avverbi di modo si formano normalmente con l’aggiunta al tema dell’aggettivo della desinenza –e (antica
desinenza di locativo): dēop “profondo” dēope, hlūd “sonoro” hlūde, wīd “ampio” wīde ecc.
2.Molto di frequente si formano avverbi da aggettivi in –līc: frēondlic “amichevole” freondlīce, cildlic “infantile”
cildlīce. Ne consegue che la finale –līce viene sentita come formante avverbiale e si formano avverbi in –līce anche da
aggettivi che non hanno la forma in –līc: heard “duro”, heardlīce; open “aperto”, openlīce ecc.
3.Alcuni avverbi hanno la desinenza –a (got. –ō; aat. as. –ō < abl. –ōd): sōna “subito”, twina “due volte”, singala
“sempre”. Un certo numero di avverbi si forma da aggettivi e anche sostantivi con la desinenza –inga, -unga:
[Digitare il testo] Pag. 31
eallunga “assolutamente”, dearnunga “segretamente”, nēadinga “per forza”, fǣringa “subito, improvvisamente”,
fyrdinga “in bande, gruppi” ecc. questa formante è forma cristallizzata di quello stesso suffisso –ungō-, -ingō-, che dà
degli astratti femminili. Queste forme avverbiali sono frequenti solo nel germanico occidentale.
4.Talora si usano forme nominali flesse con valore avverbiale: Acc. sg. ealne weg “sempre”, fela feola “molto”,
genōg “abbastanza”; Gen. sg. dœges “ogni giorno, di giorno”, selfwilles “volontariamente”, nīhtes “di notte”, sōpes
“davvero”; Gen. pl. nāne pinga “niente affatto”, gēara “prima”; Dat. sg. elne “vigorosamente”, ealle “interamente”;
Dat. pl. gēardagum “un tempo”, hwīltīdum “talvolta”, wundrum “meravigliosamente”; miclum “molto”, ecc.
5.I più importanti avverbi di luogo sono i seguenti:

STATO IN LUOGO MOTO A LUOGO MOTO DA LUOGO

feorr “lontano” feorr feorran


(be)foran “davanti” forp foran
hēr “qui” hider hionan, hine
(be)hindan “dietro” hinder hindan
hwǣr “dove” hwœper, hwider hwonan
inne “dentro” in(n) innan
nēah “vicino” nēar nēan
(be)niopan “sotto” niper, nipor niopan
pǣr “là” pœder, pider ponan, panan
uppe “sopra” up(p) uppan, ufan
ūte “fuori” ūt ūtan
---- “sud” sūp sūpan
---- “nord” norp norpan
---- “est” ēast ēastan
---- “ovest” west westan

6.Gli avverbi di modo in –e possono formare comparativo e superlativo, in –or, -ost, indeclinabili: wīde
“ampiamente”, wīdor, wīdost; holdlīce “graziosamente”, holdlicor, holdlicost.
Alcuni avverbi formano il comparativo con l’antica desinenza –is (got. –is, cfr. lat. mag-is), la quale in inglese antico è
caduta, lasciando però spesso traccia nella metafonia palatale: bet (*batiz) “meglio”; mā, mǣ “più” (got. mais); ǣr
(*airiz) “prima”; fierr (*feorriz) “più lontano”; leng (*langiz) “più a lungo”, ecc.

[Digitare il testo] Pag. 32


I NUMERALI
Cardinali
1 ān 2 twā 3 prī 4 fēower 5 fīf 6 siex 7 seofon 8 eahtā 9 nigon 10 tīen, tyn, tēn 11 en(d)le(o)fan
12 twelf 13 prēotīne, -tyne 14-19 fēower- fīf-, siex-, seofon-, eahta-, nigon-tīene-, -tyne, tēne.

I nomi dei numerali cardianli dall’uno al dieci sono tutti di eredità indeuropea. Per “undici” cfr. aat. einlif, as. elleban
(*en-liban), an. ellifu, got. ainlif. Per “dodici” cfr. aat. zwelif, as. twelif, an. tolf, got. twalif.
Il secondo element –lif si può spiegare come derivato dal rad. ie. *likw- “lasciar di resto” (cfr. lat. linquo/liqui, got.
leihavan) labializzato: -lip > -lif. Questa formazione trova un confronto nel baltico: lit. vienuó-lika “11”, dvy-lika “12”
e significa “resto di uno”, “resto di due”. Si potrebbe anche pensare alla rad.ie. *lip- “restare attaccato” di aingl.
be-lifan, got. bi-leiban, aat. Bi-liban, ma restano allora lontane le forme baltiche.

I primi tre numerali si declinano:


1. ān come aggettivo forte (cfr. gōd), tenendo presente che all’accusativo maschile la forma è ǣnne > *ainina.
La forma debole āna è usata nel senso di “solo”. Il plurale si trova usato col significato di “unico”. Molto frequente la
locuzione “ānra (gen. pl.) gehwilc = ogni, singolo, ciascuno”.
2. Nom. mas. twēgen femm. twā nt. tū, twā . .
. Gen. twēg(e)a, twēgra ..
. .Dat. twǣm, twām
La forma twēgen è probabilmente analoga a bēgen (*bō-jenō) “entrambi”, femm. bā nt. bū, bā.
3. Nom. mas. prīe, prī, pry femm. prīo, prēo nt. prēo, prīo ...
. Gen. prīora, prēora ..
. Dat. prim

I numeri da 4 a 19 non si flettono se precedono il nome, mentre se seguono o sono usati come nomi si declinano
secondo I temi in –i:
es. fīfe “cinque” gen. fīfa dat. fīfum

I numeri da 20 a 60 sono formati dall’unità + la sillaba –tig (got. tigus, cfr. gr. δέκας. –αδος); twēntig (twēgen + tig),
prītig, fēowertig, siextig.
Da 70 a 120 i numeri sono formati nello stesso modo, ma facendo precedere hund- “cento”, che nella lingua tarda
cade.

70 (hund)seofontig “sette decine della serie decimale?” 80 (hund)eahtatig 90 (hund)nigontig


100 hundtēontig 110 hundǣlleftig 120 hundtwelftig

Tutti I numerali da 20 a 120 sono originariamente sostantivi neutri e reggono il genitive, ma sono usati anche come
aggettivi. Nella lingua tarda sono indeclinabili.

OSSERVAZIONI

[Digitare il testo] Pag. 33


1.Questo cambio di tipo di numerazione ai livelli 12, 60, 120 potrebbe far pensare a influssi di un sistema di numerazione
sessagesimale o duodecimale. Che questa numerazione, accanto a quella decimale, avesse un certo peso nel mondo germanico,
specialmente nordico, è chiaramente testimoniato nei testi antichi. Come esempio di sopravvivenza si può citare il ted.
“Grosshundert” pari a 120 unità, l’inglese “great” o “long hundred”, idem, l’inglese “score” = ventina, parola di origine Nordica,
ecc.
2.Accanto ad hundtēontig “100”, è molto frequente il neutro hundred (north. Hundrep, hundrœp) nel quale l’elemento –red
indica “numero, conto” (cfr. got. rapjō “numero”, rapjan “contare”, aat. radia, as. redia, fris. rethe).
La forma semplice hund difficilmente è usata da sola: in genere è unita ad altri numerali.

I numeri da 200 a 900 si formano con l’unità + il nt. hund: tūhund, prēohund ecc.
1000 pūsend, nt. in –a, regolarmente declinato.

Ordinali
I forma, formest(a), fyrest(a), ǣrest(a)
II ōper, aefterra
III pridda
IV fēorpa, fēowerpa
V fīfta
VI si(e)xta
VII seofopa
VIII eahtopa
IX nigopa
X tēopa
XI enlefta, en(d)le(o)fta
XII twelfta
XIII-XIX formazione con –tēopa: prēoteōpa, fēowǣrtēopa…
XX-CXX formazione con –tigoda: twēntigoda, prēotigoda…

Per hund e pūsend mancano gli ordinali, si supplisce con circolocuzioni.


La flessione degli ordinali è quella degli aggettivi deboli. Solo ōper si flette come un aggettivo forte, e le forme di
superlativo (tratte da avverbi) per “primo” si flettono ora forti ora deboli.

Moltiplicativi
Si formano dei composti aggiungendo al numerale cardinale l’aggettivo –feald (cfr. lat. –plex) il quale prende valore
di suffisso: ānfeald, twyfeald, prīefeald… “semplice, duplice, triplice”, ecc.

Le forme avverbiali sono:


ǣne “una volta” tuwa, twiwa, twywa “due volte” priwa “tre volte”

per i casi restanti si supplisce con circolocuzioni col sostantivo maschile sīp “via, viaggio” quindi “volta”: fīf sīpum,
twām sīpum ecc.

Distributivi
Solo resti: be….tweonum “fra due”, cfr. got. tweihnai;
prinna “ogni tre”, ricorre solo una volta nelle leggi di Aethelred.
Si usano piuttosto le formule twǣm ond twǣm, prim ond prim “a due a due”, “a tre a tre”,
oppure: be twǣm, be prime cc.

[Digitare il testo] Pag. 34


DERIVAZIONE NOMINALE
I suffissi più comuni per le formazioni nominali sono qui brevemente elencati:

Sostantivi maschili
a)Concreti:
-ing, -ling
che indica genericamente appartenenza, usato particolarmente nei patronimici: cyning “re” (“appartenente alla
stirpe”: cynn); œpeling “nobile, principe”; aelfred Apulfing “Alfredo figlio di Aethelwulf”.
-els ( < -isl, germ. occ. *-islja)
Byrgels “tomba”, fǣtels “recipiente”, gyrdels “cintura”, rǣdels “indovinello” ecc.

b)Nomi d’agente:
-bora
anche nome indipendente tratto dal radicale del verbo beran “portare”; indica colui che porta qualcosa o ha qualche
incarico: wǣpenbora “guerriero”, wōpbora “poeta”, mundbora “protettore”…
-end
originariamente suffisso di participio presente: fēond “nemico” frēond “amico”, līpend “navigante”, scēotend
“guerriero”, sellend “datore”, wealdend “reggitore” ecc.
-ere (lat. –ārius)
nomi d’agente tratti da altri nomi e anche da verbi: drēamere “musico”, drincere “bevitore”, fugelere “uccellatore,
cacciatore”, godspellere “evangelista”, scipere “marinaio” ecc.

c)Astratti:
-ap, -op
Drohtap “modo di vita”, fiscap “pesca”, huntop “caccia”, eafop “forza”, hergap “spedizione militare” ecc.
-dōm
Anche parola indipendente col senso di “giudizio, stato, condizione”: cynedōm “regno”, cristendōm “cristianesimo”,
pēowdōm “servizio”, lārēowdōm “insegnamento” ecc.
-hād
anche parola indipendente: “stato, condizione”: prēosthād “clero”, werhād “virilità”, wīfhād “femminilità”
cildhād “infanzia” ecc.
-scipe
burgscipe “cittadinanza”, hǣpenscipe “paganesimo”, gemǣnscipe “comunità, cameratismo”, pēodscipe “nazione”
ecc.
-stafas (pl. di stœf “asta, lettera, segno”)
ārstafas “gentilezza”, hearmstafas “afflizione”, wyrdstafas “destino” ecc.

Sostantivi femminili
a)Nomi d’agente:
-estre (germ. com. *-astrjon/*-istrjon)

[Digitare il testo] Pag. 35


nomi formati da verbi e anche da sostantivi: bœcestre “fornaia”, sangestre “cantante”, lǣrestre “maestra”, rǣdestre
“lettrice”.
b)Astratti:
-en (germ. com. *-inī, *-injō, germ. occ. *-innjō)
selen “dono”, lygen “falsità”, scielden “protezione”, segen “opinione”, rǣden “condizione, stato, ordinamento”;
talora con tendenza a concretizzarsi: strēonen “luogo dove ci si distende”quindi “letto”, byrgen “sepoltura, sepolcro,
tumulo”; talora il suffisso –en è usato per fare il femminile da sostantivi maschili: gyden “dea”, fyxen “volpe
femmina”, mynecen “monaca”, pēowen “serva” ecc.
-nes(s), -nis(s)
tratti da aggettivi: ēadigness “beatitudine”, biternes(s) “amarezza”, clǣnnes(s) “purezza”, īdelnes(s) “pigrizia”,
mildheortnes(s) “misericordia” ecc.
-rǣden
anche nome indipendente “stato, condizione” (cfr. il tipo in –en): holdrǣden “lealtà”, tēonrǣden “ingiuria”,
trēowrǣden “fedeltà”, hīwrœden “famiglia” ecc.
-po, -p, più antico –pu (got. –ipa, aat. ida)
astratti da aggettivi: fylp “sporcizia”, iermp(u) “miseria”, sǣlp “felicità”, gesyntu (*gesyndpu) “salute”, strengp(u)
“forza” ecc.
-u, -o, antichi temi in –īn
Tratti da aggettivi: menniscu “umanità, condizione umana”, wlencu “orgoglio”, ieldu “vecchiaia”, hǣtu “ardore” ecc.
-ung, -ing
derivati da verbi, specie della II classe debole: āscung “interrogazione, domanda”, blācung “pallore”, handlung
“azione”, “affare”, langung “desiderio”, hālgung “consacrazione”, swīgung “silenzio” ecc.
-wist astratto verbale da wesan “essere”
midwist “presenza”, hūswist “casa famiglia”, samwist “convivenza”, onwist “soggiorno”, stedewist “costanza” ecc.

Sostantivi neutri
a)Concreti (ma risalenti ad un’originaria astrazione):
-en (germ. occ. *-innja, *-īna, risalente ad un ie. *-īno- che indica in genere appartenenza, affinità). Vi si ricollegano
anche i femminili in –en;
fœsten “fortezza”, wēsten “deserto”, nīeten “bestiame” ecc.
Molti nomi di piccoli animali: gœten “capretto”, ticcen “capretto”, cycen “gallinella” ecc., per cui probabilmente
il suffisso prende il valore, in seguito divenuto caratteristico, di diminutivo: mœgden “ragazza” ecc.
-incel (germ. occ. *-(n)kl(īn)-?)
altro suffisso di diminutivo: hūsincel “casetta”, tūnincel “poderetto”, stānincel “pietruzza”, scipincel “barchetta” ecc.
b)Astratti:
-īāc
anche parola indipendente “gioco”, “movimento, attività”: wēdlāc “matrimonio”, wītelāc “punizione”, rēaflāc
“rapina”, brydlāc “dono di nozze” ecc.
-et/-ot (*-itja, *-atja)
derivati da nomi e verbi: pēowet “schiavitù”, rymet “spazio”, nierwet “angustia”, sweofot “sonno” ecc.

Aggettivi
-bǣre (dalla rad. *bher-, cfr. lat. –fer)
wœstmbǣre “fruttuoso”, feperbǣre “piumato”, cwealmbǣre “mortale”, ātorbǣre “velenoso” ecc.
-cund
denotante “specie, origine”: œelcund “nobile”, dēofolcund “diabolico”, godcund “sacro, divino”, gāstcund
“spirituale” ecc.
-ede
indicante “provvisto di, fornito di…”: hringed(e) “fornito di anelli”, micelhēafdede “dalla gran testa” prihēafdede
“tricefalo” ecc. (Forme participiali).
-en (*-ina)
designante la materia di cui qualcosa è fatto, o comunque la pertinenza: fellen “di pelle”, flǣscen “di carne”, seolfren
“d’argento”, wylfen “feroce, lupesco”, pyrnen “spinoso”, sīden “serico” ecc.
-erne (*-ronja-)

[Digitare il testo] Pag. 36


denotante direzione: ēasterne “orientale”, westerne “occidentale”, sūperne “meridionale”, norperne
“settentrionale” ecc.
-fœst
anche aggettivo indipendente “fermo, solido”: ārfœst “virtuoso”, sopfœst “sincero”, sigfœst “vittorioso”, blǣdfœst
“glorioso” ecc.
-feald (cfr. lat. –plex)
ānfeald “semplice”, manigfeald “molteplice”, seofonfeald “settemplice” ecc.
-full
anche aggettivo indipendente “pieno”: andgietful(l) “intelligente”, sorgful(l) “triste”, geornful(l) “zelante”,
wundorful(l) “meraviglioso” ecc.
-ig (sono due i suffissi germanici: -ag e –ig. La presenza dell’uno o dell’altro è indicata in inglese dalla metafonia
della vocale radicale):
bisig “indaffarato”, blōdig “sanguinoso”, mōdig “coraggioso”, stǣnig “pietroso”, purstig, pyrstig “assetato” ecc.

-iht, -ihte
ha lo stesso valore del suffisso precedente, ma più forte: “coperto di…” stǣniht(e), stāniht(e) “coperto di sassi”,
pyrniht(e) “coperto di spine”, sandiht “coperto di sabbia”.
-isc
dà aggettivi qualificativi: englisc “inglese”, denisc “danese”, mennisc “umano”, cildisc “infantile”, inlendisc
“indigeno”, heofonisc “celeste” ecc.
-lēas
anche come aggettivo indipendente “privo, vuoto”: fœderlēas “senza padre”, mœgenlēas “senza forza”,
grundlēas “senza fondo”, winelēas “senza amici” ecc.
-līc
morfemizzazione (con abbreviazione della i, ma non sempre in poesia) della parola (nt. –a) līc “corpo, figura,
aspetto”, cildlic “infantile”, atollic “orribile”, dœglic “giornaliero”, mǣrlic “famoso”, hetelicm”ostile” ecc.
-ol
forma aggettivi in genere da verbi: rēafol “rapace”, slāpol “sonnolento”, pancol “grato”, wacol “vigile” ecc.
-sum (dal tema pron. *sama- “stesso”, della stessa specie”)
wynsum “delizioso”, langsum “tedioso”, fripsum “pacifico”, wilsum “piacevole”, hīersum “obbediente” ecc.
-weard
originariamente aggettivo verbale relativo a weorpan “diventare”; forma aggettivi denotanti la direzione o posizione:
œfterwead “seguente”, andweard “presente”, innanweard “interno”, tōweard “futuro, veniente” ecc.
-wende
relativo al verbo wendan “volgere” “volgersi”; forma aggettivi da altri aggettivi o sostantivi: hātwende “bollente”,
hālwende “salutare”, hwīlwende “temporaneo”, lāpwende “odioso” ecc.

[Digitare il testo] Pag. 37


IL VERBO
Generalità
Si denomina “verbo” una parola che indica una azione, diversamente dal “nome” che indica sostanza o qualità.
La parola verbo deriva dal lat. verbum, che è a sua volta traduzione del gr. ρημα “parola, detto”, definizione che
risale ad Aristotele, che considera questo elemento grammaticale nella sua funzione logica di “predicato”, cioè
esprimente quello che si afferma nei riguardi del soggetto.
Chiamiamo il verbo “predicato verbale” quando si tratta di un’azione, “predicato nominale” quando si tratta di un
rapporto di qualità (verbo essere + nome). Potremmo accettare la definizione data da Jules Marouzeau nel “Lexique
de la terminologie linguistique” 1943, pag. 220: “Parola considerata dagli antichi come il termine essenziale
dell’enunciato, definito dai moderni come esprimente essenzialmente un processo (azione, stato, divenire)”.

I caratteri formali del verbo sono:


l’aspetto (cioè la qualità dell’azione: puntuale, ripetuta, durativa, già conclusa);
la diatesi (o posizione: attiva, media, passiva)
il modo (realtà, possibilità, desiderio, comando)
il tempo (presente, passato, futuro)
il numero (singolare, duale, plurale)
la persona (prima, seconda, terza)
gli ultimi due strettamente collegati, tanto che i morfemi sono unici.

L’insieme di tutte queste categorie si chiama “coniugazione verbale”, concetto assai astratto. In un periodo arcaico
non è ipotizzabile per tutti i verbi quella che noi chiamiamo “coniugazione completa”. Ogni radice verbale ha un
tema che può essere di presente, di aoristo, di perfetto secondo l’aspetto, cioè la qualità dell’azione significata
(azione che dura nel presente, azione puntuale cioè vista nel solo momento del suo compiersi, azione conclusa).
Perciò verbi diversi si associano per costituire una coniugazione supplettiva, del tipo latino fero/tuli o sum/fui.
Solo mediante un lento processo di astrazione e generalizzazione (analogica) si arriva a dare ad ogni radice tutto un
paradigma.
Il verbo germanico ha molto semplificato la struttura ie. del verbo. una distinzione molto forte nel sistema verbale ie.
è quella fra verbi tematici, cioè che hanno fra radice e desinenza la vocale tematica alternante e/o, e verbi
atematici, cioè che aggiungono direttamente la desinenza alla radice.
Questa differenza, conservata molto bene in alcune lingue ie., vedi l’antico indiano e il greco, è di fatto scomparsa
nel germanico, che ha generalizzato la forma tematica e conserva solo pochi resti di verbi in –mi e alcune forme di
tipo atematico nelle classi II e III dei verbi deboli. Nel verbo germanico la nozione tempo ha prevalso su quella di
aspetto tuttavia per l’espressione del tempo ci si limita ad opporre un tema di presente ad un tema di preterito.
Anche il verbo antico inglese quindi ha una morfologia molto ridotta in confronto alla ricca gamma formale del verbo
indeuropeo.
-Ha una sola diatesi: quella attiva; -ha due tempi: presente e preterito;
il futuro si esprime col presente e -ha tre modi: indicativo, ottativo-congiuntivo, imperativo;
con forme perifrastiche, con l’aiuto -ha due numeri: singolare e plurale;
degli ausiliari sculan “dovere” e willan “volere”;
-tre forme nominali, cioè forme che, pur avendo esse sono: l’infinito, tratto dal tema del presente, che indica
come il verbo la funzione di esprimere l’azione,  l’azione in senso generale al di fuori delle categorie grammat;
[Digitare il testo] Pag. 38
si flettono e si costruiscono come il nome, un participio presente con significato attivo;
facilitando la strutturazione della frase. un participio passato con significato passivo o intransitivo.

I verbi dell’inglese antico si dividono in due grandi categorie: verbi forti e verbi deboli.
Si aggiungono a queste due altri piccoli gruppi: i verbi perfetto-presenti e i verbi atematici.

Verbi forti
Sono tutti verbi originari, la cui radice cioè indica di per sé un processo, un’azione. Si distinguono in verbi che
formano il preterito cambiando il timbro della vocale radicale (alternanza vocalica) e verbi che formano il preterito
con il raddoppiamento. Le desinenze dei verbi forti sono, nel sassone occidentale, le seguenti:

Desinenze del presente.


INDICATIVO OTTATIVO IMPERATIVO
Sg. 1. -e Pl. Sg. 1. -e Pl. Sg. 2. --- Pl. 2. -ap
2. -(e)s, -(e)st -ap 2. -e -en, -an, -on
3. -(e)p 3. -e

INFINITO PARTICIPIO
-an -ende

OSSERVAZIONI
Presente indicativo – La desinenza originaria della 1a persona singolare è -u (*-ō), più recente –o, conservata in dialetto anglico.
La des. della 2a persona è nella sua forma più antica –s (*-si); la forma –st deriva il t in parte dall’analogia coi perfetto-presenti
(cfr. wast da witan, scealt da sculan ecc.) in parte dalla errata valutazione di forme con il pronome personale posposto come
enclitica: biris pu > biristu “porti tu” da beran “portare” e simili.
La vocale mediana (tematica) della 2a e 3a pers. sg. (spesso sincopata: sempre nei verbi contratti, negli altri casi dopo vocale
lunga, specie nei dialetti meridionali: rīdan “cavalcare” fa rīdest, rīep ma più spesso rītst, rīt(t)) è originariamente una i (*-esi,
*-eti > germ. com. *-isi, *-ipi) il che provoca metafonia palatale bere, bires, birep. Si conserva solo nei testi più antichi, ben
presto si indebolisce in e. La desinenza del plurale, unica per le tre persone, è generalizzazione della forma di 3a persona:
*-onti > anpi > ōp >ap, con abbreviamento della vocale finale in sillaba atona.

Ottativo – Nei testi più antichi le desinenze sono –œ (*-oi, *-ois, *-oit) e œn (*-oint). Oltre alle forme correnti –e, -en si trova nel
tardo sassone occidentale –an e anche –on (-un), di origine preteritale.

Imperativo – La 2a pers. sg. è adesinenziale. L’antica desinenza –e, è regolarmente caduta in tutto il germanico.
Ma quei verbi che hanno il presente in –jo con vocale radicale breve, conservano la –e, derivata da un più antico
–i (< ī < ji < ie. *-je): biddan “pregare” fa bide, hebban “sollevare” fa hefe ecc.

Infinito – Antico nomen actionis formato con il suffisso –ono + la desinenza del Nom. Acc. neutro: *-ono-m.
Anche in inglese, come in tutto il germanico occidentale, l’infinito ha forme flesse di genitivo dativo in –ennes, -enn (temi in –ja),
dette di gerundivo.

Participio – Il participio presente si flette come aggettivo in –ja, e può avere anche forma debole.
Molto frequente l’uso del participio presente + verbo “essere”, per dare alla frase aspetto durativo: and onfeohtende wǣron op
niht… “e continuarono a combattere fino a notte”; ac ponne hī hwǣm from hweorfende biōp “e quando essi si stanno
allontanando da qualcuno…”. Ma l’uso è assai incerto: talora si rende un semplice participio presente latino, talaltra si rende un
iterativo: wœs frignende per “sciscitabatur”. Probabilmente questa locuzione ha la sua origine nella lingua dei testi sacr; già nel
latino è proprio della lingua tarda cristiana e ricalca il greco neo-testamentario. Nel germanico il tramite può essere stato il
gotico, che calca anch’esso l’uso greco.

Desinenze del preterito.


[Digitare il testo] Pag. 39
INDICATIVO OTTATIVO
Sg. 1. --- Pl. Sg. 1. -e Pl.
2. -e -un, -on, -an. 2. -e -en, -an, -on.
3. --- 3. -e
Participio: -en
OSSERVAZIONI Il preterito indicativo è morfologicamente un antico perfetto ie. (* al sing. radice al grado forte (voc. o) e accento
sul radicale al pl. radice al grado ridotto (voc ---) e accento sulla desinenza.), le desinenze del singolare erano quindi
originariamente *-a, *-tha, *-e. Questo spiega l’assenza di desinenze nella 1a e 3a persona del singolare, in inglese.
La desinenza della 2a persona dovrebbe essere un –t, e questo è il caso nel gotico e nel nordico.
Nel germanico occidentale questa desinenza resta solo nei verbi perfetto-presenti; nel preterito forte alternante la 2a pers. sg.
ha vocalismo ridotto e desinenza –e, derivata da un più antico –i (ie. *-es). Probabilmente si tratta di una forma di aoristo
tematico senza aumento. Al plurale la desinenza –un è il regolare risultato di un ie. *-nt. Le forme –on, -an prendono ben presto
il sopravvento.

Ottativo Le forme sono analoghe a quelle del presente: l’inglese ha eliminato la distinzione esistente in germ. com. fra ottativo
preterito e ottativo presente (suffisso modale ī/i nel pret. e ai nel presente), che è ancora ben chiara in gotico e in antico alto
tedesco. Il suffisso *-jē-/-ī- era originariamente carattere dell’ottativo dei verbi atematici, il suffisso *-oi- dei tematici. Il
germanico comune ha dato alla distinzione significato temporale: ī per il preterito, oi per il presente.

Participio Il participio preterito dei verbi forti è formato con il suffisso *-éno-/òno- > -en. Al di fuori del dialetto sassone
occidentale si trovano anche le forme –an, -on, -un. I verbi semplici formano generalmente il p.p. col prefisso gi- > ge-, che ha in
origine valore perfettivo. Il part. pret. forte si flette come un comune aggettivo con forme forte e debole.

NOTA È assai frequente l’uso del preterito di forma perifrastica:


a) part. pret. + l’ausiliare “avere” per i verbi transitivi: pœt ic cūplīce geleornad hœbbe “che io ho appreso con certezza”.
pā he hī pā ongieten hœfde “quando li ebbe compresi”;
b) part. pret. + l’ausiliare “essere” per gli intransitivi: pā wœs pœs folces fela on ān fœsten ōpflogen “buona parte del
popolo si era rifugiata in una fortezza”.

Verbi forti alternanti


I verbi di questa categoria formano il preterito con alternanza della vocale radicale, cioè cambiando il timbro della
vocale medesima. Questo cambiamento di timbro della vocale radicale, certamente connesso con lo spostarsi
dell’accento (originario), è una eredità indeuropea. L’alternanza vocalica è un processo morfologico dell’indeuropeo,
con il quale si può indicare la particolare accezione nella quale una data nozione è considerata; può indicare cioè una
modificazione di numero, di caso, di tempo ecc.
Nel sistema verbale più antico è, in linea di massima, un segno dell’aspetto.
Come abbiamo visto, nel germanico il concetto di aspetto è in decadenza, mentre si va sempre più consolidando la
distinzione di “tempo”. Il verbo germanico indica infatti i vari temi temporali con un diverso timbro della vocale
radicale. L’alternanza vocalica avviene secondo regole precise: ogni radice monosillabica indeuropea (inutile fare
riferimento a radici bisillabiche nel caso del germanico), a vocale breve, può presentare la vocale radicale o (grado
forte), la vocale e (grado normale o debole), la vocale zero (grado ridotto): e/o/- (prima formula delle alternanze).

Esempi:
rad. *sed- “star seduto”
lat. sed-e-o, solium (*sod-ium), consido (*con-si-sd-o).

Se la radice, oltre alla vocale radicale alternante contiene una sonante, questo elemento resta fisso, vocalizzandosi al
grado ridotto della radice, senza turbare il gioco dell’alternanza.

Esempi:
sonante i: rad. *leikw- “lasciare” sonante r: *derk- “guardare”

Se la radice ha vocale radicale lunga, essa ha due sole possibilità: può presentare la vocale lunga (ē, ō, ā = grado
lungo o pieno) oppure il cosiddetto ‘schwa indeuropeo’ indicato con ə (grado ridotto): vocale lunga/ ə (seconda
regola della alternanze).

Esempi:

[Digitare il testo] Pag. 40


voc.rad. ē: rad. *dhē- “porre, fare”: lat. fēci /făctus
voc.rad. ō: rad. *dō- “dare”: lat. dō / dătus
voc.rad. ā: rad. *stā- “stare”: lat. stārem /status

Il verbo forte alternante del germanico si suddivide in sei classi, le prime cinque con vocale radicale breve alternante
secondo la formula e/o/-, che si differenziano fra loro a seconda dell’ambiente fonetico nel quale la vocale radicale
alternante si viene a trovare, la sesta con vocale radicale lunga, alternante secondo la formula voc. lunga / ə.
Nelle prime cinque classi il presente è caratterizzato dal grado normale della radice (e), il preterito singolare dal
grado forte (o), il preterito plurale dal grado ridotto (--) e così pure il participio passato (--).
Nella sesta classe il presente ha il grado ridotto (ə), il preterito sg. e pl. il grado pieno (voc. lunga), il participio
preterito il grado ridotto (ə).
Quindi per individuare il tipo morfologico di un verbo forte alternante sarà necessario conoscere quattro forme:
presente, preterito sg., preterito pl., part.preterito.

I Classe
La radice, oltre la vocale radicale alternante, contiene la sonante i.
Presente vocalismo *ei > aingl. ī
Pret. sg. vocalismo *oi > aingl. ā
Pret. pl. vocalismo *i > aingl. i
Part. pret. vocalismo *i > aingl. i
Esempi:
snīpan “tagliare”: snīpe, snāp, snidon, sniden bīdan “aspettare”: bīde, bād, bidon, biden
līpan “andare”: līpe, lāp, lidon, liden grīpan “afferrare”: grīpe, grāp, gripon, gripen.

Il verbo snīpan e il verbo līpan presentano una alternanza consonantica nel preterito fra singolare e plurale di tipo
p/d. Per spiegare questo fenomeno comunemente chiamato alternanza grammaticale (secondo l’espressione
“grammatischer Wechsel” coniata da Jakob Grimm), dobbiamo tener presente che il preterito dei verbi forti
germanici rispecchia, morfologicamente, il vecchio perfetto ie., le cui caratteristiche sono: al singolare accento sul
radicale e grado forte della vocale radicale; al plurale accento sulla desinenza e grado ridotto della vocale.
Si pensi al tipo antico indiano (l’ai. conserva fedelmente l’antico accento ie.) véda “io so”, vidmàh “noi sappiamo”
(*voìd-a, *vid-màs).
Questo spostarsi dell’accento ha particolari conseguenze per le radici uscenti in consonante occlusiva sorda
indeuropea, la quale al singolare si muta, per la legge di Grimm in spirante sorda, ma al plurale, verificandosi le
condizioni richieste dalla legge di Verner viene resa con la corrispondente spirante sonora.
Ricordiamo che nel germanico occidentale la 2a persona singolare del preterito indicativo si adegua al vocalismo
radicale e anche all’accento del plurale; quindi da snīpan si avrà pret. sg. 1, 3 snāp, 2 snide; da bīdan: 1, 3 bād, 2 bide;
da līpan: 1, 3 lāp, 2 lide ecc.
L’alternanza grammaticale è assai rara in gotico, dove l’analogia ha conguagliato (salvo due soli casi) il
consonantismo dei paradigmi, mentre è ancora ben riconoscibile in tedesco e in inglese, pur essendo anche in
queste ingue in declino.
A questa prima classe appartiene un certo numero di verbi contratti:
in inglese antico la h intervocalica scompare fin dal periodo arcaico, provocando contrazione degli elementi vocalici
venuti a contatto e allungamento. Per questa ragione i verbi di questa classe tipo *tīhan “accusare”, *wrīhan
“coprire”, *līhan “prestare” ecc., dopo un primo cambiamento per la frattura della i dinanzi ad h in *tīohan/*tēohan,
wrīohan/*wrēohan ecc., passano a tīn/tēon, wrīon/wrēon ecc.
Le forme, con alternanza grammaticale, sono:
tēon: tēo, tāh, tigon, tigen wrēon: wrēo, wrāh, wrigon, wrigen ecc.

II Classe
La radice, oltre alla vocale radicale alternante, contiene la sonante u.
presente vocalismo *eu > aingl. ēo
pret. sg. vocalismo *ou > aingl. ēa
pret. pl. vocalismo *u > aingl. u
[Digitare il testo] Pag. 41
part. pret. vocalismo *u > aingl. u (> o per metafonia)

Esempi:
bēodan “comandare”: bēode, bēad, budon, boden
flēotan “navigare”: flēote, flēat, fluton, floten
con alternanza grammaticale:
cēosan “scegliere”: cēose, cēas, curon, coren
sēpan “bollire”: sēope, sēap, sudon, soden
Verbi contratti:
tēon (*tēohan) “tirare”: tēo, tēah, tugon, togen
flēon (*flēohan) “fuggire”: flēo, flēah, flugon, flogen

NOTA Nel sassone occidentale I verbi contratti della I classe sono assai presto stati confusi, per la loro omofonia nelle forme
contratte ( īo > ē; *eu > ēo), con i verbi contratti della II classe, per cui si hanno per esempio da wrēon (*wrīhan) forme di
preterito come wrēah, wrugon accanto alle regolari wrāh, wrigon, e simili. Questo non avviene nel dialetto anglico.
Appartiene inoltre a questa II Classe un gruppo di verbi con vocalismo ū al presente: dūfan “tuffarsi”, brūcan “usare”,
sūcan “succhiare”; būgan “piegare” ecc. Le forme sono del tipo: brūcan: brūce, brēac, brucon, brocen.

III Classe
Comprende tutte le radici che terminano in liquida o nasale + consonante. Si distinguono i seguenti tipi (si indica qui
con k una consonante qualsiasi):
1) nasale + consonante 2) l + consonante

presente *enk > ink presente *elk > elk


pret. sg. *onk > ånk pret. sg. *olk > ealk (con frattura)
pret. pl. *ṇk > unk pret. pl. *ḷk > ulk
part. pret. *ṇk > unk (senza metafonia) part. pret. *ḷk > ulk > olk (per metafonia)

Esempio bindan “legare” Esempio helpan “aiutare”


Binde, band/bond, bundon, bunden helpe, healp, hulpon, holpen

3) r +consonante

presente *erk > eork (frattura)


pret. sg. *ork > eark (frattura)
pret. pl. *ṛk > urk
part. pret. *ṛk > urk > ork (per metafonia)

Esempio weorpan: “gettare” weorpe, wearp, wurpon, worpen


Con alternanza grammaticale: weorpan “diventare” weorpe, wearp, wurdon, worden

Rientrano in questo stesso tipo 3) due piccoli gruppi di verbi:


a) radici con la r prima della vocale radicale o con metatesi secondaria, che quindi non hanno frattura:
bregdan “bandire”: bregde, brœgd, brugdon, brogden
stregdan “spargere”: stregde, strœgd, strugdon, strogden
berstan “scoppiare”: berste, bœrst, burston, borsten
derscan “trebbiare”: dersce, dœrsc, durscon, dorscen
frignan “domandare”: frigne, frœgn, frugnon, frugnen.

b) verbi con presente a vocalismo ridotto:


murnan “lamentarsi”: murne, mearn, murnon, --
spurnan “spronare”: spurne, spearn, spurnon, spornen

Su questo tipo 3) si modella anche un verbo con radice uscente in h + cons. (ht): feohtan “combattere”:
feohte, feaht, fuhton, fohten

[Digitare il testo] Pag. 42


IV Classe
Comprende tutte le radici che terminano in liquida o nasale semplice.
Questa classe di verbi ha al preterito plurale, invece dell’atteso vocalismo ridotto, la vocale ē (grado allungato,
caratteristico di preterito, cfr. lat. vēni, lēgi, frēgi…), forse per analogia coi verbi della V classe.

Il tipo in liquida è ben rappresentato: Esempi:


presente *er/*el > er/el beran “portare”
pret. sg. *or/*ol > aer/ael bere, bœr, bǣron, boren
pret. pl. *ēr/*ēl > ǣr/ǣl stelan “rubare”
part. pret. *ṛ/*ḷ > ur/ul > or/ol (per metafonia) stele, stœl, stǣlon, stolen.

Il tipo in inasale, la cui serie di alternanze sarebbe in teoria *en, *on, *ēn, *ṇ > en, ån, ōn, un è rappresentato da due
soli verbi: niman “prendere” e cuman “venire”, il cui paradigma presenta qualche anomalia:

niman:
nime, nam/nōm, nōmon/nāmon, numen
nime, con i < e perchè segue m
nōm, per analogia con il plurale nōmon
nāmon, forma tarda, difficile da spiegare: forse influenzata dal doppio timbro vocalico (a/ō) del singolare
numen, senza metafonia perché segue nasale.
cuman:
cume, c(w)ōm, c(w)ōmon, cumen
cume, con radicale al grado ridotto (*gwm-) e caduta della w dinanzi ad u
c(w)ōm, rifatto sul plurale cumen, senza metafonia (vedi numen) e scomparsa della w dinanzi a w.

V Classe
Comprende tutte le radici che terminano in consonante semplice, diversa da liquida e nasale.
Questo tipo di radice non ammette, nel germanico, il grado zero, che provocherebbe difficili incontri di consonanti,
per cui al preterito plurale si ha il grado allungato ē, caratteristico di preterito, e al participio preterito il grado
normale e.

La serie delle alternanze è quindi:


presente *e > e pret. sg. *o > ae pret. pl. *ē > ǣ part. pret. *e > e

Esempi: etan “mangiare” ete, œt, ǣton, eten con alternanza grammaticale: cwepan “parlare, dire” cwepe,
- cwœp, cwǣdon, cweden.

Rientrano nella V classe un certo numero di:

1)verbi contratti
Gefēon “rallegrarsi”, sēon “vedere”, plēon “rischiare” (*fehan, *seh(w)an, plehan).

Ecco le forme, con alternanza grammaticale:


-fēo, -feah, -fǣgon, -fegen sēo, seah, sāwon/sǣgon, sawen/sewen/-segen plēo, pleah, ---, ---.

2)verbi con presente in –jo, e quindi con conseguente geminazione e metafonia della vocale radicale:
biddan “pregare”: bidde bœd bǣdon beden sittan “sedersi”: sitte sœt sǣton seten
licg(e)an “star disteso”: licge lœg lǣgon legen picg(e)an “ricevere”: picge, peah pǣgon, pegen
fricg(e)an “venir a sapere”: fricge -- -- gefregen.

Questi verbi, come pure i presenti in –jo della VI classe flettono il presente in modo identico ai verbi deboli della I
classe a vocale radicale breve.

[Digitare il testo] Pag. 43


VI Classe
Comprende tutte le radici in vocale radicale lunga. Le rdici con voc. rad. *ē (>ǣ) hanno il preterito a
raddoppiamento, non fanno quindi parte di questa classe. Restano le radici con voc. rad. *ō, *ā, le quali alternano
con *ə, secondo la II formula delle alternanze vocaliche ie.; *ā *ō >ō in germanico, *ə > a germanica, per cui tutte le
radici della VI classe alternano secondo il modello ō/a. Se prescindiamo dal confronto con le altre lingue ie. (*STĀ-
“stare in piedi”: *stā-/*stə-) possiamo parlare per il germanico di alternanza non qualitativa, ma quantitativa, cioè
fra vocale lunga (germ. ō < *ā, *ō) e breve (germ. ă < *ā, *ŏ).

Distribuzione dei gradi vocalici nei vari temi:


presente *ə >a part. pret. * ə > a Esempi: faran “viaggiare”: fare, fōr, fōron, faren
pret. sg. *ō, *ā > ō standan “stare”: stånde, stōd, stōdon, stånden
pret. pl. *ō, *ā > ō (con n solo nel tema del presente).
Anche questa classe ha:
1)verbi contratti: slēan “colpire, uccidere” (got. slahan)
slēa, slōh/slōg, slōgon, slagen/slœgen
pwēan “lavare” (got. pwahan) ecc.
2)verbi con presente in –jo (con geminazione e metafonia):
hebban “sollevare”: hebbe, hōf, hōfon, hafen (got. hafjan)
hliehhan “ridere”: hliehhe, hlōh/hlōg, hlōgon, --- (got. hlahjan)
sceppan “danneggiare”: sceppe, sc€ōd, sc(e)ōdon, ----
scieppan “creare”: scieppe, sc(e)ōp, sc(e)ōpon, sceapen (got. skapjan)
stœppan “camminare”: stœppe, stōp, stō, stapen/stœpen
swerian “giurare”: swerie, swōr, swōron, sworen (swaren)

Paradigmi modello

I Classe II Classe
bidan “aspettare” bēodan “comandare”
tēon “accusare” flēon “fuggire”
PRESENTE
Indicativo

Sg. 1. bīde tēo bēde flēo


2. bītst tīehst bīetst flīehst
3. bīt(t) tīehp bīet flīehp
Pl. bīdap tēop bēodap flēop
Ottativo
Sg. bīde tēo bēode flēo
Pl. bīden tēon bēoden flēon
Imperativo
Sg. 2. bīd tēoh bēod flēoh
Pl. 2. bīdap tēop bēodap flēop
Infinito
bīdan bēodan tēon flēon
Participio
bīdende tēonde bēodende flēonde

PRETERITO
Indicativo
Sg. 1. bād tāh bēad flēah
2. bide tige bude fluge
3. bād tāh bead flēah
Pl. bidon tigon budon flugon
Ottativo
Sg. bide tige bude fluge

[Digitare il testo] Pag. 44


Pl. biden tigen buden flugen
Participio
biden tigen boden flogen

III Classe IV Classe


bindan “legare”, helpan “aiutare”, beran “portare”
weorpan “gettare”

PRESENTE
Indicativo
Sg. 1. binde helpe weorpe bere
2. bindest, bintst hilp(e)st wierpst bir(e)st
3. bindep, bint hilp(e)p wierpp bir(e)p
Pl. bindap helpap weorpap berap

Ottativo
Sg. binde helpe weorpe bere
Pl. binden helpen weorpen beren

Imperativo
Sg. 2. bind help weorp ber
Pl. 2. bindap helpap weorpap berap

Infinito
bindan helpan weorpan beran
Participio
bindende helpende weorpende berende

PRETERITO
Indicativo
Sg. 1. band/bond healp wearp bǣr
2. bunde hulpe wurpe bǣre
3. band/bond healp wearp bǣr
Pl. bundon hulpon wurpon bǣon
Ottativo
Sg. bunde hulpe wurpe bǣre
Pl. bunden hulpen wurpen bǣren

Participio
holpen bunden worpen boren

V Classe VI Classe
etan “mangiare” faran “viaggiare”
sēon “vedere” slēan “uccidere”
biddan “pregare” hebban “sollevare”

PRESENTE
Indicativo

[Digitare il testo] Pag. 45


Sg. 1. ete sēo bidde fare slēa hebbe
2. itst siehst bidest, bitst fǣr(e)st sliehst hefst
3. itt siehp bidep, bit fǣr(e)p sliehp hefp
Pl. etap sēop biddap farap slēap hebbap

Ottativo
Sg. ete sēo bidde fare slēa hebbe
Pl. eten sēon bidden faren slēan hebben

Imperativo
Sg. et sēoh bide (fǣr) slēah hefe
far
Pl. etap sēop biddap farap slēap hebbap
Infinito
etan sēon biddan faran slēan hebban
Participio
etende seonde biddende farende slēande hebbende

PRETERITO
Indicativo
Sg. 1. aet seah baed fōr slog, slōh hōf
2. ǣte sāwe bǣde fōre slōge hōfe
3. aet seah baed fōr slog, slōh hōf
Pl. ǣton sāwon bǣdon fōron slōgon hōfon
Ottativo
Sg. ǣte sāwe bǣde fōre slōge hōfe
Pl. ǣten sāwen bǣden fōren slōgen hōfen
Participio
eten sawen beden faren slaegen hafen
sewen haefen
segen

11. ǣ per analogia con il plurale. La 2a pers. sg. dell’ind. Pret. ha grado ridotto e des. –e. Il grado ridotto è caratteristico anche
dell’ind. Pret. pl. e dell’ottativo preterito. L’analogia fa sì che, quando nel pl. interviene il grado allungato (*ē, IV e V classe) esso
passi anche alla 2a pers. sing. dell’ind. e all’ottativo.
12. fœr è forma anglica, e rispecchia il normale sviluppo di una *ă. La forma sassone occidentale far è analogica.

Verbi forti a raddoppiamento


Alcuni verbi forti germanici formavano il preterito col raddoppiamento, utilizzando un processo morfologico
frequentemente usato nelle lingue indeuropee, non necessariamente legato al perfetto. Questo procedimento,
ancora chiaramente individuabile nel gotico (haitan “chiamare” pret. haihait; slēpan “dormire” pret. saislēp) è del
tutto irriconoscibile nel germanico occidentale. In inglese a questa antica categoria corrisponde un certo numero di
verbi che hanno al preterito uno speciale vocalismo (ē, ēo) di difficile spiegazione, che potrebbe essere risultato di
antiche contrazioni fra sillaba di raddoppiamento e sillaba radicale.
I verbi di questa classe hanno tutti vocale radicale lunga, il preterito ha la stessa vocale radicale sia al sg. che al pl., il
participio preterito ha lo stesso vocalismo del presente. Si può pensare ad una analogia coi verbi della sesta classe,
facilitata dell’elemento comune: la lunghezza della vocale radicale.
In base al vocalismo del preterito i cosiddetti verbi a raddoppiamento si distinguono in due gruppi:
1) con preterito in ē 2) con preterito in ēo

Al primo gruppo appartengono verbi che hanno al presente vocale radicale:


a)ā (germ. *ai) + consonante semplice: hātan “chiamare”, lācan “saltare”, scādan “separare”.
Esempio: hātan, hāte, hēt, hēton, hāten
b)ǣ (*ē1) + cons. semplice: lǣtan “lasciare”, slǣpan “dormire”, rǣdan “consigliare” ecc.

[Digitare il testo] Pag. 46


Esempio: lǣtan, lǣte, lēt, lēton, lǣten
c)originario a + n + cons., quale si ha nei verbi contratti fōn “prendere” (got. fāhan) e hōn “prendere” (got. hāhan).
Le forme, con alternanza grammaticale, sono:
fō fēng fēngon fangen, hō hēng hēngon (*fanhan, *hanhan).

Al secondo gruppo appartengono verbi che hanno al presente vocale radicale:


a)a + l + cons.: feallan “cadere”, healdan “tenere”, fealdan “piegare” ecc.
Esempio: fealan, fealle, fēoll, fēollon, feallen.
b)a + n + cons.: bannan “convocare”, spannan “tendere”, gangan “andare” ecc.
Esempio: bannan, banne, bēonn, bēonnon, bannen
c)ēa (*au) + cons. semplice: bēatan “colpire”, hēawan “colpire forte”, hlēapan “saltare” ecc.
Esempio: bēatan, bēate, bēot, bēoton, bēaten
d)ō + cons. semplice: blōtan “sacrificare”, hrōpan “chiamare”, flōn “applaudire” ecc.
Esempio: blōtan, blōte, blēot, blēoton, blōten
e)ō, ā + w (verbi puri con ampliamento in –w): blōwan “fiorire”, cnāwan “conoscere”, sāan “seminare”, flōwan
“scorrere” ecc.
Esempi: blōwan, blōwe, blēow, blēowon, blōwen cnāwan, cnāwe, cnēow, cnēowon, cnāwen.

Una posizione dubbia ha il verbo blondan/blandan “mescolare” le cui forme sono: blånde, blēond/blēnd,
blēondon/blēndon, blånden.
Nei dialetti anglici sussistono resti delle antiche forme a raddoppiamento:
heht da hātan “nominare, comandare” reord da rēdan (sass. occ. rǣdan) “consigliare”
ondreord da ondrēdan (sass. occ. –rǣdan) “temere”

[Digitare il testo] Pag. 47


[Digitare il testo] Pag. 48

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