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I FRANCHI

INTRODUZIONE
I Franchi sono una popolazione nordica che si stabilisce nell’Europa centro-settentrionale
(in particolare nel nord Italia, Germania, Austria e Francia) già nel III sec. d.C. ma si
affermano solo alla fine del V sec. Probabilmente comprendevano popoli diversi che i
Romani conoscevano già, fra i quali i Sali. I Franchi erano comunque un insieme di tribù
molto disgregate che si unificheranno solo per merito personale di uno dei loro re,
Clodoveo. Culturalmente si suddividevano in Sali e Ripuari.

FRANCHI SALI
I Franchi Sali erano organizzati in una debole confederazione. Ogni tribù era composta da
gruppi familiari estesi raccolti attorno ad una famiglia particolare rinomata o nobile. La
legge salica prevedeva che un individuo non appartenente ad una famiglia non avesse
diritti di protezione. I Franchi Sali si insediarono in territorio romano e organizzarono
assieme ai Romani una società di agricoltori. Essi non minacciarono mai i Romani ma si
aiutarono nella negoziazione. L’antica mitologia franca e la sua religione erano pagane e
germaniche. Il culto politeista è stato fiorente fino alla conversione di Clodoveo I al
cristianesimo (496 d.C.). La loro lingua fa parte della famiglia dei dialetti del basso
francone. I Franchi Sali sono uno dei popoli che partecipò alla nascita della prima cultura e
della società olandese (con Frisoni, Sassoni, Batavi). Secondo studiosi come Robinson, la
loro lingua si evolse dal francone all’attuale Neerlandese.

FRANCHI RIPUARI
I Franchi Ripuari si erano stanziati lungo il Reno. Anch’essi erano di religione pagano-
germanica fino alla conversione di Clodoveo. Parlavano il ripuario, uno dei dialetti del
ceppo medio francone.

IL POTERE DEI FRANCHI E IL FUNZIONAMENTO DELLA GIUSTIZIA


Il potere dei Franchi durò più a lungo degli altri Regni romano-barbarici, tuttavia, nessun re
franco ebbe l’ambizione di riunificare interamente l’impero d’occidente. Il regno dei Franchi
fu lacerato da molte e gravi guerre civili; alla morte di un re, i suoi eredi si affrontavano in
duelli interminabili. Ciò comportava, per la popolazione, saccheggi e rapimenti. Anche in
tempo di pace i rapporti erano violenti: c’erano frequenti delitti e la giustizia funzionava in
modo discutibile in quanto l’accusato doveva affrontare il suo accusatore in duello oppure,
l’accusato era sottoposto ad una durissima prova, detta ordalia. Per dimostrare la propria
innocenza, l’accusato avrebbe dovuto, per esempio, stare a galla sopra le acque di un
lago con una pietra al collo , oppure tenere in mano una sbarra di ferro arroventata.
Nell’ipotesi in cui l’accusato fosse dichiarato colpevole, la legge franca prevedeva un
wergel (parola tradotta in italiano con il termine guidrigildo) che consisteva nel risarcire in
denaro il danno provocato. Ad esempio, per aver strappato una mano veniva applicata
un’ammenda di cento soldi oppure di 63 se la mano restava pendente. Questi risarcimenti
erano stabiliti dalla Legge Salica, la raccolta delle leggi dei Franchi che costituiva una
forma giuridica molto primitiva.

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LA SOCIETA’ E LE CARATTERISTICHE DEI FRANCHI
Secondo il giudizio dei romani, i Franchi erano dotati di scarsa civiltà ed erano molto
bellicosi. Combattevano utilizzando la francisca, un’ascia a un solo fendente, la lancia e la
spada. Avevano capelli rossi, occhi verdi e viso glabro. Vestivano con abiti aderenti che
lasciavano scoperto il ginocchio, camicia di lino, abiti di pelliccia e un largo cinturone
stretto al ventre.
Amavano l’agricoltura: la loro principale ricchezza erano i greggi. Praticavano la
cerealicoltura, la viticoltura e il giardinaggio. La legge Salica rivela un grande rispetto per
la proprietà privata: erano infatti previste forti ammende per chi strappava i pioli della
siepe, entrava col carro nel campo dei vicini o per chi attraversava il campo mentre il
grano germogliava.
Per i Franchi è molto importante anche la famiglia: il capofamiglia esercita la sua autorità
su moglie, figli, liberti e affrancati e sugli schiavi.

IL REGNO DI CLODOVEO I E I MEROVINGI


Clodoveo I fu il primo re franco a convertirsi al cattolicesimo e proprio il cattolicesimo fu il
motivo di aggregazione fra i franchi e i romani.
Clodoveo non stabilì mai una divisione tra potere politico e potere religioso ma riunì
entrambi questi poteri nella sua persona. Clodoveo costituì uno stato senza unità etnica,
sociale, religiosa, chiese solo che fosse accettata la sua volontà e che si pagassero i
tributi.
Con Clodoveo il popolo franco si rafforzò al punto di ottenere la vittoria nella Gallia
meridionale contro i Visigoti (507 d.C.). Le guerre contro i visigoti rappresentarono delle
vere e proprie guerre di religione in quanto si combatteva contro gli infedeli ariani.
Il Regno di Clodoveo fu chiamato Merovingio: entrò in crisi verso il 7° secolo con l’ascesa
dei Pipinidi.

I PIPINIDI
Pipino II ottiene la vittoria sull’aristocrazia merovingia facendo eleggere un suo protetto,
Clodoveo III (689). A stabilire una vera e propria rivoluzione dal punto di vista politico, fu
però il figlio di Pipino II, Carlo Martello.

I CAROLINGI
La dinastia carolingia prende il nome da Carlomartello che divenne prima unico
maggiordomo (ossia signore della casa nel 714, alla morte dell’ultimo re merovingio,
Teodorico IV, prende il suo potere (737).
Il figlio, Pipino III, detto il Breve, prima governa con il fratello Carlomanno, facendo
eleggere un re merovingio, Childerico; quando poi ritiene maturi i tempi per prendere il
potere, elimina Childerico; nel 751 viene nominato re e riceve l’unzione ecclesiastica da
Zaccaria. Nel 754 il papa Stefano II rinnova l’unione e chiede aiuto a Pipino il Breve contro
i Longobardi di Astolfo che avevano conquistato l’esarcato nel 752. Pipino il Breve
sconfigge i Longobardi con due campagne (754 e 756).
Durante il regno della dinastia dei Carolingi ci fu il periodo di massimo fulgore dei Franchi.

CARLOMAGNO
La vera svolta nel potere carolingio si ha però con Carlo detto il Grande (Magno),Nato il 2
Aprile del 742, da Pipino il Breve e Betrarda di Laon. Dopo aver governato per un breve
periodo insieme al fratello, Carlomanno, rimane il solo alla guida dei Franchi (771).
Carlomagno dovette affrontare la presenza minacciosa da nord delle popolazioni
scandinave, da nord-ovest dei Sassoni, da sud dei Longobardi e da est degli Avari: buona

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parte del suo governo sarà dedicata alla conquista di queste popolazioni per ottenere il
regno più vasto che in quei tempi “barbarici” era possibile ottenere.
Le sue campagne militari sono dirette innanzitutto contro i musulmani di Spagna (come
raccontato nella “Chanson de Roland”), chiamati saraceni o mori. Essi minacciavano le
frontiere della Gallia meridionale: furono sconfitti nel 778 a Roncisvalle. Secondo la
leggenda, Carlo arrivò a Pamplona e attaccò i Mori. Dopo due mesi di vani combattimenti,
i soldati chiesero aiuto a Dio e la città venne conquistata. Furono uccisi tutti i Saraceni
eccetto quelli che accettarono la fede cristiana. Nei rispetti dei Longobardi, Carlomagno
intrattiene un rapporto complesso: inizialmente, quando ancora governa insieme al fratello
Carlomanno, stabilisce un’alleanza con il re Desiderio. Sembra infatti vera la leggenda
secondo cui Carlomagno avrebbe chiesto in sposa Ermengarda, la figlia di Desiderio. Tale
alleanza non durò tuttavia a lungo: nel 771 Carlomagno rompe gli accordi con Desiderio,
(Nell’“Adelchi” Ermengarda sarà ripudiata per poi essere sostituita da Ildegarda, una
principessa scandinava) e muoverà guerra ai Longobardi dirigendosi verso Pavia nel 773
e vincendo nel 774. Da quel momento sarà chiamato “re dei Longobardi”. Dal 772 all’ 803
Carlomagno è impegnato nella conquista della Sassonia: a tratti questa campagna militare
diventa una vera e propria Guerra Santa contro i politeisti. Nei confronti delle altre
popolazioni scandinave (Slavi e Danesi) e degli spagnoli, Carlo attua una politica di
contenimento, rafforzando i confini. Nella notte di Natale dell’800 Carlomagno viene
incoronato imperatore dei Romani da Papa Leone III. È l’inizio del Sacro Romano Impero.

La nomina papale di “imperatore dei romani” costituiva un atto significativo per diverse
ragioni. In primo luogo, rappresentava la sanzione del fatto che Carlomagno dominava sul
complesso dell’umanità cristiana: “romano”, infatti, significava al tempo “universale”. Il fatto
poi, che fosse stato proprio il Papa ad attribuire a Carlo quel titolo, decretava la cristianità
dell’impero: politica e religione diventavano strettamente congiunte al punto da rendere il
Magno protettore della religione cristiana.

L’impero di Carlomagno avrebbe voluto rinnovare l’Impero Romano d’Occidente ma, sia
per estensione, sia per potere, se ne distingueva nettamente. Esso era infatti un impero
Franco- Cattolico che gravitava sulla valle del Reno, mentre quello Romano gravitava sul
mediterraneo. L’impero Franco si estendeva in Francia, Germania e nell’Italia
settentrionale; erano inoltre compresi territori del Belgio, Lussemburgo, L’Olanda, La
svizzera e L’ Austria. Le sue città principali erano Aquisgrana e Roma; non aveva una
capitale fissa, anche se spesso Carlomagno risedeva ad Aquisgrana. Secondo la
leggenda: dopo la morte della terza moglie, Carlomagno sposò Fastrada. La donna si
guadagnò la devozione del re grazie ad un anello magico. La regina fu colpita da una
grave malattia. In punto di morte, temendo che l’anello potesse essere preso da qualcuno
lo ingoiò e morì. Furono avviati i preparativi per la sepoltura ma Carlo rifiutò di separarsi
dal corpo dell’ amata. Passava i giorni nella camera mortuaria senza toccare cibo.
Turpino, il suo consigliere entrò nella camera dove l’imperatore si era addormentato e rubò
l’anello. Ma Carlo si svegliò e disse di volerlo con sé e Turpino approfittò dei poteri
dell’anello per far rinsavire il re. Turpino era obbligato dai poteri dell’ anello a seguire
Carlomagno ovunque. Una notte approfittando che il re si fosse addormentato, scappò in
un bosco. Dopo aver vagato a lungo trovò un lago, vi gettò l’anello e tornò a dormire. Il
giorno dopo Carlo andò a caccia in quel bosco e si ritrovò nei pressi del lago. Affascinato
da quel posto diede ordine di farvi costruire una reggia, appunto, la reggia di Aquisgrana.

La restaurazione dell’impero d’Occidente non fu benvista in oriente, da Bisanzio. Si giunse


ad un accordo soltanto nel 812, con il trattato di Aquisgrana: esso riconosceva
Carlomagno come imperatore (imperatore d’ Occidente non “dei romani”, Bisanzio non

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riconosceva l’universalità dell’impero) in cambio della rinuncia alle pretese carolinge su
Venezia.

Venezia era una delle aree italiane che non subivano l’influenza dell’impero. Venezia,
infatti, si stava mantenendo in equilibrio precario tra Bisanzio e i Franchi. Altre Aree
indipendenti dall’egemonia franca erano il Centro-Italia, dall’Emilia al Lazio, sotto il
dominio della Chiesa e il Meridione (Campania, Sicilia, Sardegna), che era compreso tutto
nel principato di Benevento, sotto l’ influenza di Bisanzio.

Il problema principale dell’impero era la sua coesione. Carlomagno cercò di risolverlo


utilizzando il vassallaggio come mezzo di controllo su vaste aree. Il vassallaggio è un
rapporto di fedeltà e protezione tra due persone, delle quali l’una, il vassallo, si sottomette
all’autorità dell’altra promettendo un Servitium (militare) in cambio di un Beneficium, ossia
protezione e possedimenti terreni (feudi). Carlomagno utilizzò come funzionari i Regi, i più
fedeli dei suoi vassalli.
Gli ultimi anni della vita di Carlomagno sono stati visti come un periodo di declino, a causa
del peggioramento delle condizioni fisiche del sovrano che aveva ormai perso il vigore
della giovinezza. Carlo morì il 28 gennaio 814. Ebbe 13 figli:
Da Ildegarda: Carlo il Giovane, Adelaide, Rotrude, Carlomanno-Pipino, Ludovico il Pio,
Lotario, Berta, Gisella e Ildegarda.
Da Fastrada: Teodorata e Iltrude.
Da Imultride: Pipino IV e Alpaide

CARLOMAGNO E LA CULTURA

LE LEGGENDE

Carlomagno è sempre stato al centro di leggende popolari e col tempo la sua figura è
arrivata a fondersi sempre di più col mito.

Secondo una leggenda, Carlomagno aveva una relazione incestuosa con la sorella. Un
giorno, mentre S. Egidio celebrava una messa in presenza dell’imperatore, apparve un
angelo con un rotolo con sopra scritto il peccato di Carlo. Egli si confessò e S. Egidio lo
assolse.
Secondo un'altra leggenda, dopo essersi costruito un nuovo castello sul Reno, Carlo fu
svegliato una notte da un angelo, che gli disse di uscire e rubare qualcosa. Il re sellò il suo
cavallo e partì. Non era lontano quando s’imbattè in un cavaliere misterioso e duellò con
lui. Appreso che si trattava di un celebre brigante promise di liberarlo se l’avesse aiutato a
rubare qualcosa. Guidato dal brigante, Carlo si recò al castello di uno dei suoi ministri. Qui
trovò il ministro a letto con la moglie, che le intimava che stava organizzando un complotto
per ucciderlo. Carlo rubò un oggetto senza valore e fuggì. Il giorno dopo sventò il
complotto e perdonò i cospiratori che gli giurarono fedeltà. Il brigante ne rimase così
colpito che abbandonò la sua professione e si mise al servizio dell’imperatore.

L’ARTE

IL PALAZZO DI AQUISGRANA E LA CAPPELLA PALATINA


Nell’anno 800 Carlomagno, si fece incoronare dal Papa, imperatore. Nasce il Sacro
Romano Impero. Carlomagno intendeva recuperare i modelli artistici romani. Il suo
programma politico-religioso prevedeva una profonda riorganizzazione della cultura,
dell’arte e dell’architettura: si fondano scuole e monasteri e si forma una classe di fedeli
servitori del regno, i feudatari. La nuova capitale è Aquisgrana, dove Carlo fa costruire il
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maestoso palazzo imperiale. È l’edificio più famoso della rinascita carolingia, assieme
annessa al palazzo c’è la Cappella Palatina. Carlomagno vi accedeva attraverso un
percorso privato e il suo trono era collegato nella galleria superiore, di fronte all’altare. Il
progetto e la decorazione ricordano i modelli antichi. La pianta centrale e la cupola sono
ispirate a S. Vitale di Ravenna, le colonne sono fatte di porfido rosso proveniente da edifici
romani mentre i marmi preziosi provengono da Ravenna.

IL MONUMENTO EQUESTRE
Il monumento equestre a Carlomagno si rifà, pur nelle ridotte dimensioni, al monumento a
Marco Aurelio, forse scambiato per Costantino, primo imperatore cristiano, di cui Carlo, si
sentiva erede. L’opera italiana è la più importante di questo periodo e a Milano, dove il
vescovo Angilberto II, rappresentante del potere carolingio, commissionò a Vuolvìnio, l’
altare per la basilica di S. Ambrogio. Rispetto al modello romano ha la posa fissa e lo
sguardo rigido. La corona allude alla regalità mentre la spada e il cavallo simboleggiano le
doti di condottiero.
ICONOGRAFIA
Carlomagno nell’iconografia tradizionale è rappresentato accanto a Costantino. Indossa
un’armatura e un mantello bordato di ermellino. Sul capo porta la corona di ferro, di re dei
Longobardi e regge un globo, uno scettro, un libro o un modello della cattedrale di
Aquisgrana, dov’è sepolto.

LA LETTERATURA
Carlomagno fece copiare e tradurre molti manoscritti. Non sapeva scrivere, la sua lingua
madre era un dialetto del tedesco, ma imparò anche il latino sebbene non lo sapesse
leggere.

VITA ET GESTA CAROLI MAGNI


La Vita et gesta Caroli Magni (detta anche Vita Karoli), in italiano vita di Carlomagno, è la
biografia di Carlo Magno scritta dal sovrintendente alle fabbriche e alle imprese artistiche
Eginardo.

Scritta con l'intenzione di realizzare un'agiografia, segue lo schema del De vita Caesarum
di Svetonio: spesso infatti vengono attribuiti al re tratti morali che Svetonio descrive come
propri degli imperatori romani. Non descrive l'infanzia di Carlo, nato prima del matrimonio:
se ciò infatti era normale per i Germani, era invece malvisto dai cristiani Franchi; si narra
invece della morte del padre. Nella trattazione, in quanto storico ufficiale della famiglia
carolingia, Eginardo è ossequioso e cauto, come ogni cortigiano.

Nello scritto Eginardo descrive l’aspetto fisico e la personalità di Carlomagno dicendo:

“Egli era di corporatura robusta e forte, di alta statura, ma, tuttavia non sproporzionata;
infatti la sua altezza corrispondeva a sette dei suoi piedi. Egli aveva una testa rotonda, gli
occhi molto grandi e vivaci, il naso un po’ più lungo della media, bei capelli canuti, un viso
piacevole e vivace. Sia se stava in piedi, sia se stava seduto, dava sempre una forte
impressione di autorità e dignità. Sebbene il suo collo fosse grasso e un po’ corto e il
ventre un po’ prominente, ciò non danneggiava la proporzione di tutte le altre membra.
Egli aveva un’andatura sicura e un atteggiamento assolutamente virile. La voce era chiara,
ma non adatta al suo aspetto fisico. Egli godeva di ottima salute; solo negli ultimi quattro
anni di vita fu colto da frequenti attacchi di febbre e verso la fine dei suoi giorni zoppicò
anche da un piede”.

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Inoltre Eginardo riferisce una certa ostinazione di Carlo, nel cambiare dieta e seguire i
consigli dei medici di corte. Lo descrive come un gran bevitore e mangiatore, amante della
caccia, dice che non rifuggiva l’adulterio e che ebbe molte concubine in un regime
poligamico consueto fra i Franchi sebbene fossero formalmente cristiani. Era socievole,
affidabile, molto attaccato alla famiglia e con una buona dose di umorismo.

CHANSON DE ROLAND
Nella sua forma originale, la Chanson risale al 1180 circa, anche se la più antica versione
prevenutaci è della prima metà del XII secolo. Fu presumibilmente composta (o raccolta
mettendo insieme testi anonimi più antichi) da un certo Turoldo (nominato nell’ultimo verso
dell’opera), forse un chierico. Destinata non alla lettura ma alla declamazione su base
melodica, la Chanson de Roland è scritta in lasse assonanzate. La narrazione è lineare, e
procede per blocchi di episodi. I personaggi, come normalmente avviene nella tradizione
dell’epica classica, sono psicologicamente statici, privi di evoluzione interiore: le figure
sono delineate per grandi tratti e senza sfumature e i moventi delle loro azioni sono basati
su pochi elementi ( fierezza guerriera, ira, inganno, lealtà….).

Le imprese si svolgono in una geografia trasfigurata fantasticamente (Saragozza, ad


esempio, è posta su una montagna vicina al mare) in cui il paesaggio è abbozzato a
grandi linee: alti monti e foreste, estese praterie e valli profonde solcate da rapide acque
correnti. Anche i personaggi sono fantasticamente trasfigurati, tanto che ben poco vi resta
di quelle che furono oltre tre secoli prima le figure storiche alle quali il poema fa
riferimento.

L’episodio storico narrato nel poema è contenuto nella Vita Karoli. Il 15 Agosto del 778 l’
esercito di Carlomagno, al ritorno da una spedizione contro gli Arabi di Spagna, fu
sorpreso al passo di Roncisvalle, nei Pirenei, da una schiera di montanari baschi; nell’
imboscata venne assalita e sterminata la retroguardia delle truppe franche: caddero
Ruotolando, prefetto della marca di Bretagna, il futuro Roland della Chanson (Orlando in
italiano) e altri illustri cavalieri. Tre secoli dopo, alla fine del XI secolo, questo episodio si
offre con particolare suggestione a un poeta che voglia esprimere l’ardore della fede e
l’amore per la patria. Carlomagno diventa così un sovrano vecchio e saggio dalla barba
bianca, i montanari baschi, nell’ottica della lotta per la fede, sono trasformati in saraceni,
Orlando diventa il simbolo dell’ eroe perfetto, coraggioso e devoto, alla cui forza nulla si
oppone. Solo il tradimento, impersonato da Gano di Maganza, può aver ragione di lui.

L’universo dell’ opera è completamente maschile e guerriero: pochi sono i nomi femminili,
del tutto marginale è il tema amoroso. Questa assenza fa sì che nella Chanson de Roland,
pur dedicata alla lotta contro gli infedeli, non appaia nemmeno il preannuncio di quel tema
della partenza del crociato e del distacco dalla donna amata che avrà grande fortuna nella
letteratura italiana e francese.
La comparsa alla fine del XI secolo di una tradizione epica in cui si fondono elementi
leggendari e avvenimenti storici accaduti tre secoli prima costituisce un problema critico
ancora aperto. Tra i motivi che concorsero alla genesi dell’“epos” carolingio bisogna
almeno considerare il nuovo spirito di crociata sorto alla fine del XI secolo, che fa rivivere
la lotta della cristianità contro gli infedeli; una produzione di testi agiografici fiorita nei
secoli dell’ affermazione del cristianesimo; una tradizione giullaresca diffusa lungo le vie
percorse dai pellegrini che cantava le avventure dei paladini. La Chanson de Roland può
essere suddivisa in tre nuclei principali: il tradimento, la morte di Orlando e la vendetta.
Nella prima parte campeggiano due personaggi: Roland, figlio della sorella di Carlomagno,
e Gano, sposo della madre di Roland e quindi suo patrigno. Dopo sette lunghi anni di

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guerra, Carlomagno riunisce intorno a sé tutti i suoi cavalieri per discutere l’ offerta di pace
inviatagli da Marsilio, emiro di Saragozza. Roland propone di rifiutare senza nemmeno
discutere l’offerta, Gano di accettarla pur con qualche riserva. In questa contrapposizione
fra i due uomini, al di là del contrasto generazionale tra patrigno e figliastro, c’è da un lato
la baldanza del giovane Roland, che vorrebbe affrontare i Saraceni in battaglia, dall’altro il
desiderio di pace di un vecchio che preferirebbe porre fine alla guerra, sia pure al prezzo
di qualche compromesso. Questo contrasto, che costituisce la chiave di volta dell’intera
opera, viene per il momento risolto con la decisione di inviare un messo a Marsilio. Alla
richiesta di designare un messaggero rivolta da Carlomagno ai suoi baroni, Roland
propone che la scelta cada su Gano, non per malanimo nei suoi confronti, bensì per fargli
onore. Ma questi, sapendo che gli altri messaggeri inviati presso Marsilio non sono più
ritornati pensa che il figliastro lo abbia proposto per mandarlo a morte certa. Nonostante
ciò il vecchio, dopo aver espresso con parole accorate il proprio rammarico dinnanzi a
tutta la corte, accetta di partire, perché così gli impone il suo alto lignaggio e l’obbedienza
che un feudatario deve al suoi imperatore.

Nell’opera, l’individualità dell’imperatore appare del tutto subordinata alla descrizione dei
tratti emblematici legati al ruolo che egli ricopre. Il Carlo che emerge dal brano è un
perfetto feudatario, che piange la morte dei suoi vassalli; e si muove immediatamente per
vendicarli, dimostrandosi così degno della loro estrema fedeltà. Inoltre egli è la perfetta
incarnazione dell’autorità che Dio ha posto a tutela dell’ordine politico sulla terra: è un
buon cristiano, è leale, difende la fede, pretende vendetta per l’ingiusto massacro dei 12
pari. Infine ha un rapporto privilegiato con Dio, che per lui arresta il corso del sole. Ma
nulla sappiamo della sua individualità, completamente oscurata dai tratti emblematici
collegati al suo ruolo.

ADELCHI
A utilizzare la campagna militare dei Franchi contro i Longobardi, è Alessandro Manzoni
nella tragedia “ Adelchi”. Il titolo richiama il nome di uno dei protagonisti: Adelchi, figlio del
re Desiderio. Manzoni fa di Adelchi un personaggio dalla sensibilità moderna, in conflitto
tra la volontà di agire secondo giustizia e la propria coscienza; queste oscillazioni
costituiscono la modernità di Adelchi. Sul finire della tragedia emergeranno come critica
implicita all’agire politico dei sovrani assoluti, ingiusti, carnefici degli oppressi.
Altro personaggio importante è Ermengarda, sorella di Adelchi, votata a un destino di
morte, dopo essere stata ripudiata da Carlomagno.

Il monologo di Carlo dell’atto II, scena IV, vv. 284-315, presenta il primo personaggio della
tragedia alle prese con conflitto di coscienza (a questo seguirà il conflitto, assai
drammatico, di Adelchi nell’atto III e quello di Guntigi nell’atto IV). Carlo, dopo le
informazioni del diacono Martino, abbandona lo scoramento che lo aveva dominato
davanti all’impossibilità di sconfiggere in campo i Longobardi e all’inevitabile abbandono
dell’impresa. Egli è il sovrano, uno dei “grandi” cui guardava Svarto, anzi il più grande
nella situazione illustrata dal testo. Parla infatti di se stesso in terza persona, come a
esprimere il senso grande che ha di sé, e, autentica espressione del potere e dell’orgoglio,
rivela l’impossibilità da parte sua di accettare il colpo di una sconfitta che avrebbe reso il
suo “nome” oggetto della derisione del nemico e dei secoli futuri. Avendo però ora trovato
una via per trionfare, ecco che egli non ha nemmeno l’umiltà di ammettere di dovere ad un
oscuro diacono la vittoria che di nuovo gli arride (vv. 291-299).
Dichiara invece di dovere tutto ad una sorta di destino di elezione, una “stella” che
scintillava al suo partire, che altro non è che l’oggettivazione della sua brama di potenza. È
vero che difende il Papa contro la prevaricazione ingiusta dei Longobardi, ma è altresì

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vero che usa Dio come una giustificazione, una maschera con cui occultare le vere ragioni
del suo operato, cioè la volontà di potenza e la ragion di Stato, vera etica che detta i
principi del suo agire. Sull’altare della sua volontà di potenza infatti non ha esitato a
sacrificare Ermengarda, nei confronti della quale nutre tuttavia un rimorso acuto, un
conflitto di coscienza che nasce dalla consapevolezza del male da lui operato. Eppure non
ha incertezze nello strumentalizzare Dio e nell’arrogarsi il diritto di interpretarne i disegni a
proprio vantaggio (vv. 299-305 ): Dio ha riprovato la casa della donna, dichiara a a se
stesso, e con questa giustificazione interessata si assolve, davanti alla propria coscienza,
per la condotta crudele nei confronti della donna. Occulta così la consapevolezza di una
condotta spregiudicata e crudele confondendo consapevolmente il proprio sguardo con lo
sguardo di Dio. Tanto è vero che, nella conclusione del monologo, confessa che un re non
può curarsi, quando deve agire, di tutti i dolori che la sua azione causerà agli altri, poiché
“Un re non puote | correr l’alta sua via, senza che alcuno | cada sotto il suo pié” (vv. 311-
313 ). Alla fine Ermengarda, emblema di un rimorso di coscienza, vittima innocente della
logica del potere, appare a Carlo come un fantasma che, ormai neutralizzato dagli
autoinganni della coscienza, si dilegua allo spuntare del nuovo giorno.  

RELIGIONE
L'8 gennaio 1166 Carlo Magno venne canonizzato in Aquisgrana dall'antipapa Pasquale III
su ordine dell'imperatore Federico Barbarossa. Ci fu imbarazzo per questa
canonizzazione in ambito cristiano a causa della vita privata non irreprensibile
dell'imperatore. Il Concilio Lateranense III, nel marzo 1179, dichiarò nulli tutti gli atti
compiuti dall'antipapa Pasquale III, ivi compresa dunque la canonizzazione di Carlo
Magno. Nonostante ciò, papa Gregorio IX la riconfermò. Ad oggi, il culto viene celebrato
nella sola diocesi di Aquisgrana e ne viene tollerata la celebrazione nei Grigioni.

LA DIVISIONE DELL’ IMPERO CAROLINGIO

Quando Carlomagno morì, e il figlio Ludovico il Pio prese il potere, l’impero rischiava di
disgregarsi. Nell’817 Ludovico il Pio proclamò con l’Ordinato Imperii l’unità dell’impero e
designò suo figlio Lotario, unico erede; a ciascuno degli altri figli invece affidò un regno.
Tuttavia cambiò decisione più volte provocando lotte fratricide.

Alla sua morte nell’840 gli altri due figli di Ludovico, Carlo e Ludovico, si coalizzarono
contro Lotario; firmarono così il giuramento di Strasburgo (842), il primo documento che
testimonia l’esistenza di due lingue: francese e tedesca. Lotario fu costretto ad accettare e
a firmare il trattato di Verdun: a Carlo va la parte occidentale dell’impero (Neustria ovvero
Francia del Nord, Austria e Aquitania ovvero Francia del Sud) ; a Ludovico la parte
orientale ( Sassonia, Baviera e Carinzia). A Lotario va una parte di regione chiamata
Lotaringia Alsazia, Lorena e parte settentrionale dell’Italia).

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