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CAPITOLO 7 – LA FINE DELL’IMPERO, IL FEUDALESIMO, I

CASTELLI.

Carlo Magno aveva deciso che alla sua morte l’Impero sarebbe stato
diviso in parti uguali fra i suoi tre figli maschi. Due di questi però
morirono prima del padre e nell’814, quando Carlo morì, fu Ludovico,
l’unico sopravvissuto, a ereditarlo. Egli però non possedeva le qualità
di imperatore del padre. Si occupò invece, come e più del padre, di
diffondere e rafforzare la pratica religiosa tra i suoi sudditi. Per questo
si meritò l’appellativo di Pio con cui è passato alla storia.

Ludovico aveva diviso l’Impero tra i suoi figli ma contrasti e


rivalità li avevano portati a confitti e sconvolgimenti che si conclusero
solo nell’843 con il cosiddetto Trattato di Verdun. Con esso si sanciva
la spartizione dell’Impero che avvenne tenendo conto delle differenze
linguistiche e culturali: Franchi, Sassoni e Latini avevano lingue e
tradizioni differenti. Ma le differenze c’erano anche sul piano politico:
si arrivò, infatti, alla nascita di quelle che possono essere
considerate le prime due grandi nazioni dell’Europa, la Germania
e la Francia. Questi due territori infatti, d’allora in poi, saranno
governati da dinastie differenti e acquisiranno sempre più l’aspetto di
stati diversi.

Anche l’Italia assunse caratteristiche sempre più particolari. Faceva


parte del Regno di Carlo Magno, ma molti cominciano a considerarlo
un Regno autonomo, indipendente, con un proprio Re: Il Regnum
Italiae (il Regno d’Italia). La Corona apparteneva all’imperatore, come
Carlo Magno, ma dopo la sua morte molti cominciano a contendersi
questo titolo. In Italia, inoltre, si comincia a parlare una nuova lingua,
nata sì dal latino, ma contaminato dalle lingue barbare: il volgare.

Nell’887 l’ultimo imperatore, Carlo il Grosso venne deposto dai


grandi vassalli dell’Impero, ormai sicuri e potenti padroni dei loro
domini. L’Impero carolingio cessava di esistere.
Carlo Magno aveva governato il suo vasto Impero concedendo ai suoi
compagni di palazzo (divenuti suoi vassalli) territori in beneficio, in
cambio di fedeltà ed obbedienza. Il conferimento del feudo avveniva
attraverso un solenne giuramento, l’atto di omaggio (dal latino homo,
cioè uomo) con cui si diventava “uomo” del signore, e che stabiliva dei
vincoli reciproci: l’inferiore si impegnava ad essere fedele al superiore,
promettendo di aiutarlo in caso di necessità e di pericolo; il superiore,
a sua volta, assumeva l’onere di proteggere l’inferiore e di garantirgli
la possibilità di godere delle immunità. Il vassallo inoltre giurava
infatti con la mano stesa sul Vangelo o su alcune reliquie sacre
assumendosi l’impegno della fedeltà davanti a Dio e ai suoi
rappresentanti in terra.

Il beneficio concesso dall’imperatore non era ereditario ma solo


temporaneo. Ciò significava che, alla morte del vassallo, il territorio
doveva ritornare all’imperatore. Di frequente però l’imperatore
permetteva che il figlio di un vassallo ricevesse in eredità il territorio
del padre. In tal modo il feudo (questo è il nome che veniva dato al
territorio ricevuto) diventava una sorta di proprietà del vassallo, che
su di esso esercitava poteri autonomi. A sua volta poi il vassallo
poteva concedere parte del suo territorio a persone di sua fiducia in
un vincolo simile, creando così dei vassalli minori o valvassori e
frammentando ulteriormente il territorio e i poteri. Si creava così una
società gerarchica, nella quale ogni uomo aveva un superiore e
questi ne aveva un altro, fino al vertice costituito dall’imperatore o dal
re e con forti differenze sociali: chi occupava i gradi inferiori di questa
scala viveva, infatti, in condizioni ben peggiori di chi stava in alto.
Tutto questo rivela quanto ormai il potere e l’autorità del sovrano si
stessero indebolendo. I vassalli, infatti, sui loro territori diventavano
dei signori, praticamente indipendenti, senza più nessun obbligo nei
confronti del re. Si spiega così anche come mai i grandi vassalli
potessero nell’887 essere tanto potenti da deporre l’imperatore stesso
e sostituirsi a lui.

Mentre tutto questo avveniva, ci furono nuove e gravi minacce per


l’Europa che fecero crollare definitivamente l’Impero carolingio:
l’arrivo dei feroci Vichinghi che cominciarono anche ad assalire la
Francia, dove vennero chiamati Normanni (cioè “uomini del nord”).
Qui occuparono una regione settentrionale, detta poi Normandia.
Dalla Normandia, partirono anche alla conquista dell’Inghilterra e un
loro nucleo si spinse anche verso l’Italia meridionale. Un’altra
minaccia per le popolazioni europee giunse da est. Si trattava degli
Ungari, che si stanziarono appunto nei territori dell’attuale Ungheria,
l’antica Pannonia, spingendosi poi nelle loro scorrerie in Italia (dove
arrivarono a minacciare la stessa Roma) e nella Francia del sud.
Gradualmente, grazie anche alla progressiva conversione al
Cristianesimo, entrambi questi popoli si integrarono all’interno della
civiltà europea e non costituirono più una minaccia.
Ma il pericolo più grande per l’Europa veniva da sud dove i guerrieri
saraceni avevano occupato la Sicilia, le Sardegna e la Corsica. Questi
corsari arabi, di religione musulmana, non si convertivano al
Cristianesimo e costituivano una minaccia continua almeno fino a
quando non subirono una dura sconfitta ad opera delle truppe
guidate dal papa Giovanni X e dai suoi alleati italiani.
Queste continue invasioni e scorribande resero sempre più pericolosa
la vita delle popolazioni delle campagne. I signori provvidero a
proteggere le loro residenze costruendovi attorno barriere difensive,
torri di avvistamento e fortificazioni, dapprima in legno e poi in
muratura. I contadini in caso di pericolo cercavano e trovavano rifugio
all’interno di queste cinte fortificate, protetti dai signori ai quali
promettevano in cambio fedeltà e lavoro. Nacquero così i castelli
che, a partire dal X secolo, ricoprirono il territorio europeo in numero
altissimo.
Si afferma il SISTEMA FEUDALE.

Alla base della scala sociale stavano i contadini, a volte liberi in


quanto proprietari del piccolo terreno che lavoravano, più spesso
servi della gleba. Questi ultimi ricevevano dal signore la terra su cui
lavoravano (un piccolo appezzamento detto “manso”
nella pars massaricia del feudo) ed erano legati a lui da una serie di
vincoli e obblighi. Generalmente gli dovevano come “affitto” una parte
del raccolto (a volte molto consistente). Dovevano inoltre lavorare
gratuitamente per lui per un certo numero di giornate all’anno, poche
o tante a seconda dei casi (si trattava delle corvées). Inoltre dovevano
offrirgli prodotti, primizie, qualche animale e pagare pedaggi per
l’utilizzo di ponti, mulini e altre strutture che si trovavano nel feudo. Il
vincolo più importante che i servi della gleba avevano era, però, un
altro: non potevano lasciare la terra che coltivavano ed erano quindi
legati per sempre ad essa (gleba infatti significa terra, letteralmente
quindi erano “servi della terra”). Questo obbligo si estendeva poi
anche ai figli: anche a loro era fatto divieto di abbandonare il lavoro
paterno. Per parte sua però il signore non poteva licenziare i servi
della gleba, allontanarli dai suoi possedimenti, né dare ad altri la loro
casa e il loro posto di lavoro. Comunque va tenuto presente che i servi
della gleba non sono paragonabili agli schiavi antichi. Questi erano
praticamente oggetti, non persone e non avevano diritto a nulla; Il
servo della gleba poteva possedere beni, un’abitazione e una famiglia.
Inoltre la sua condizione gli garantiva la protezione da parte del
signore che era tenuto a difenderlo da chiunque volesse cacciarlo
dalla casa e dalla terra che coltivava. Infine, in caso di guerra, era
esentato dagli obblighi militari.

Al feudalesimo si unì anche la nascita della cavalleria. I cavalieri


erano giovani che si dedicavano all’uso delle armi, oggi diremmo dei
soldati di professione, e che si mettevano al servizio di qualche
signore feudale. In particolare si trattava di cadetti cioè figli non
primogeniti dei nobili che, per questa ragione, non potevano godere
dell’eredità paterna. All’inizio la loro attività si caratterizzava per
l’aggressività e la violenza che seminavano nelle campagne e nei
villaggi. Per porre fine a queste violenze, o almeno per limitarle, si
mobilitò in modo particolare la Chiesa. Abati e vescovi, con la loro
autorità, riuscirono ad imporre a questi giovani precise regole da
rispettare. Si chiedeva loro l’impegno a battersi con lealtà e generosità
per proteggere i poveri, gli orfani e le vedove e per difendere la fede
contro i pagani. Con le cosiddette “tregue di Dio” si impose loro di
astenersi dal combattere presso luoghi sacri, chiese ed abbazie, e in
occasione di festività religiose o di periodi importanti dell’anno come
la Quaresima. È in tal modo che rozzi e bellicosi guerrieri divennero
“cavalieri”. Anche la cerimonia dell’investitura, con cui questi giovani
entravano nella cavalleria, assunse perciò un carattere sacro:
avveniva in chiesa, accompagnata da preghiere e penitenze.Il senso
dell’onore e del rispetto per la parola data divennero così importanti
nella mentalità cavalleresca che l’accusa più infamante che un
cavaliere poteva ricevere era quella di fellonia, cioè di codardia e di
tradimento.

Nel lavoro dei campi si produceva poco, anche a causa


dell’arretratezza degli strumenti di lavoro, e quel poco veniva
scambiato tra i vari contadini all’interno del grande cortile del castello
(detto curtis, da cui deriva l’espressione economia curtense). Non
esisteva circolazione di denaro, ma scambi di prodotti in natura
(baratto), e non esisteva nemmeno la possibilità di commerciare, in
quanto ciò che era prodotto era appena sufficiente a garantire la
sopravvivenza dei contadini e delle loro famiglie (“economia di
sussistenza”). Inoltre era spesso difficile e pericoloso circolare e
trasportare merci in luoghi lontani. Il signore, ormai padrone delle
sue terre, tendeva a dividerle in due parti: una, detta pars dominica,
gestita direttamente da lui tramite servi e contadini alle sue
dipendenze, l’altra, detta pars colonica o massaricia, concessa ai
contadini che ne pagavano l’affitto con parte del raccolto ed altri
obblighi e servigi.

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