Sei sulla pagina 1di 9

Quando nel 395 Teodosio divise l’impero fra i due figli, Arcadio e Onorio, aveva motivo di

pen- sare che l’impero fosse ancora solido. La divisione fra due Augusti aveva precedenti
dal tempo di Diocleziano e non era in contraddizione con la sostan- ziale unità della
compagine imperiale. Poichéidueimperatorieranotroppogiovaniperregnare,furonopostisotto
la tutela del generale vandalo Stilicone, comandante in capo dell’esercito. Stili- cone era
figlio di un vandalo e di una romana e fu il primo soldato di origine barbarica a raggiungere il
più alto grado di comando. Stilicone seguì la politica di Teodosio e lasciò che la presenza di
barbari nell’esercito aumentasse. A questo proposito fece accordi con i capi barbari, in
particolare con Alarico, che nel 393 era diventato re dei Visigoti stanziati nell’impero. La
posizione di Stilicone, forte in Occidente dove regnava Onorio, era in- vece più debole e
contestata nell’impero d’Oriente, dove l’imperatore Arcadio, diciottenne, rifiutava la sua
tutela. Inoltre c’era una contesa fra le due parti dell’impero sull’attribuzione dell’area
balcanica all’una o all’altra. Dei contra- sti approfittò Alarico, occupando la Macedonia e la
Tracia e saccheggiando la Grecia. Arcadio cercò di usare il capo visigoto nella sua contesa
con l’Occiden- te e lo spinse contro le truppe di Onorio. I Visigoti attraversarono l’Illirico e
giunsero in Italia: qui furono scon- fitti da Stilicone, nel 402, a Pollenzo (sul fiume Tanaro) e
a Verona e costretti a lasciare l’Italia. La minaccia diretta sulla Pianura Padana spinse
Stilicone a trasferire la capitale di Onorio da Milano a Ravenna, un luogo munito di solide
difese, che dal tempo di Augusto era uno dei due porti militari di Roma (l’altro era Miseno).
ECOSTORIA –UNA CAPITALE IN UN TERRITORIO MARGINALE Ravenna era stata
costruita in una zona di lagune e paludi, dove l’insediamento era molto difficile; i suoi abitanti
dovettero trovare e mantenere nel tempo un difficile equilibrio fra l’uomo e l’ambiente. La
zona di Ravenna fu esclusa da quella vasta trasformazione ecologica della Pianura Padana
che fu la centuria- zione. Territori di questo tipo (paludi, foreste, aree lagunari) sono definiti
«aree marginali», in quanto solo a prezzo di un duro lavoro vengono adattati all’in-
sediamento umano. Per i Romani si trattava di un paesaggio «barbaro», lonta- no dalla
civiltà. Nell’epoca classica sono molto rare le descrizioni di ambienti marginali. Con la crisi
dell’impero, lo spopolamento e le guerre, aree di questo tipo dovevano essere molto più
estese di un tempo. Dopo lo spostamento della capitale imperiale in un territorio così difficile,
cominciarono a moltiplicarsi anche le descrizioni di paludi, boschi e natura selvaggia. La
costruzione di canali per il deflusso dell’acqua e la loro costante ma- nutenzione resero
vivibile la zona. Il vero problema di Ravenna era però la scarsità di acqua potabile: il poeta
Marziale scrisse che avrebbe fatto migliori affari, a Ravenna, se avesse posseduto un
pozzo, piuttosto che una grande vi- gna. L’equilibrio ecologico era difficile da mantenere, ma
restò in funzione per tutto il tempo in cui Ravenna fu capitale e il governo riuscì a
organizzare una continua manutenzione idrologica.Mentre Stilicone vinceva in Italia, crollò il
confinedelReno:grazieallacoltreghiacciatachericoprivailfiume,neldicem- bredel406un’orda di
Alani, Vandali, Svevi e Burgundi, popolazioni che da tempo premevano sul confine, at-
traversò il Reno presso Magonza. Fu l’inizio dell’inva-
sionedelleGallie,chesicompìrapidamente.Adaggra- vare la situazione ci fu anche la ripresa
della rivolta dei bagaudi contro lo sfruttamento e il fiscalismo rapace dell’impero. Davanti a
questi attacchi inarrestabili, Stilicone decise di trattare con Alarico, che chiedeva un’ingente
quantità di oro per rinunciare a insediarsi nell’Illirico. Questo gesto suscitò nell’imperatore
Onorio e negli ambienti di corte il sospetto di tradimento: nel 408 Stilicone venne arrestato e
ucciso. Con l’eliminazione di Stilicone e il rifiuto delle proposte di Alarico, Onorio riteneva di
mantenere alto il prestigio dell’impero, ma la realtà lo smentì molto presto. Le truppe
germaniche di Stilicone, private del loro comandante, si unirono ai Visigoti; Alarico ripre- se
l’offensiva e nel 410 giunse a saccheggiare Roma. Già nel IV secolo Roma aveva perso il
ruolo di cen- tro dell’impero, ma era ancora una grande città, sede della ricchissima classe
senatoria e arricchita dalle nuove basiliche cristiane. Dopo il saccheggio del 410 gran parte
della popolazione abbandonò la città, che all’inizio del VI secolo contava ormai solo poche
decine di migliaia di abitanti, mentre gli edifici dell’età imperiale andavano in rovina. Solo
l’istituzione ec- clesiastica manteneva intatto il suo prestigio: Alarico ebbe cura di evitare
che, durante l’incursione visigota, i luoghi santi della città venissero danneggiati. REAZIONI
AL SACCHEGGIO DI ROMA Le distruzioni e le uccisioni nella città colpirono profondamente
i contemporanei: la città che aveva conquistato il mondo soccombeva sotto l’attacco dei
barbari. Gli intellettuali del tempo, pagani e cristiani, tendevano a trovare una spiegazione
legata a fattori religio- si. Per i pagani la colpa di tutto risiedeva nell’avere abbandonato gli
antichi riti. La reazione dei cristiani fu molto decisa. Tre anni dopo il saccheggio di Roma, il
vescovo di Cartagine Agostino, una figura di primo piano della Chie- sa, nella sua opera La
città di Dio, affermò che Roma non era stata annientata e Alarico aveva rispettato i luoghi e i
beni cristiani: questa era la dimostrazione che il cristianesimo era un valore positivo e che
Roma doveva abbandonare il suo passato pagano e abbracciare senza riserve la religione
cristiana.POPOLI IN MOVIMENTO I fatti che abbiamo raccontato sono parte di un decisivo
processo di trasformazione del mondo antico che giunse al culmine nei primi decenni del V
secolo, con l’ingresso a più riprese nei territori dell’impero di intere popolazioni del
barbaricum, cioè dei territori europei aldilà del limes dove vivevano i barbari. I popoli che
premevano sui confiniparlavano lingue germaniche e, come si è visto, erano ben noti ai
Romani; costituivano da tempo la periferia povera del sistema economico-politico di cui
l’impero era il centro. Il primo sconfinamento (quello che portò alla catastrofe di Adrianopoli
del 378) fu certamente legato alla pressione degli Unni. Molti storici suppon- gono che anche
lo sfondamento del limes renano all’inizio del V secolo e i mo- vimenti successivi siano
dovuti alla persistente minaccia unna, ma la questio- ne è controversa. È stata anche
ipotizzata, come causa scatenante, un peggio- ramento del clima: le fonti parlano, per quel
periodo, di ricorrenti carestie. Il fatto è che, quando avvennero le invasioni, la parte
occidentale dell’im- pero era disgregata e indebolita. Le campagne erano povere e poco
popolate, attraversate da fermenti di rivolta. Gli eserciti non avevano più il controllo dei
confini ed erano ormai composti in buona parte da contingenti di origine bar- barica. Anche
molte città erano in crisi e impoverite, circondate da mura trop- po grandi per una
popolazione che era fortemente diminuita. L’arrivo dei bar- bari innescò un gran numero di
crisi locali che portarono al collasso dell’im- pero in Occidente, provocando una netta
cesura, cioè un cambiamento radi- cale rispetto al passato. Non si trattò di semplici
incursioni a scopo di razzìa, ma della migrazione d’intere popolazioni. Al seguito dei guerrieri
e dei loro re, si spostavano lun- ghe carovane di carri con famiglie, masserizie e animali
d’allevamento. Queste popolazioni erano poco numerose: probabilmente nessuna superava
le cento- mila unità. I Vandali per esempio, uno dei popoli più temuti e aggressivi, erano
forse settantamila, ma i guerrieri erano meno della metà; come vedremo, però, riuscirono a
costituire un forte regno.

[Fig. 2]

CARTA INTERATTIVA IN DIGITALE

MIGRAZIONI O INVASIONI? L’ingresso delle popolazioni barbariche nell’impero non fu un


semplice trasferimento; molte fonti dell’epoca mostrano il terrore che gl’invasori seminarono
nel cuore dell’impero.
Per molto tempo gli storici dell’Europa latina hanno indicato questi movimen- ti come
invasioni barbariche. La storiografia di tradizione tedesca, invece, mette l’accento sul fatto
che si trattò di un vasto movimento di popoli più ar- retrati alla ricerca di migliori condizioni: si
parla perciò di migrazioni o «mo- vimento di popoli». Le diverse interpretazioni mettono in
evidenza gli opposti punti di vista: da parte di chi subì questi eventi e di chi ne fu parte attiva.
Resta il fatto che gli spostamenti delle popolazioni barbariche erano guidati dai guerrieri e fu-
rono condotti spesso con violenza e sopraffazione; si può dire che si trattò di invasioni-
migrazioni. Di certo non ha ragion d’essere l’immagine dei barba- ri che dilagano con cieca
furia distruttrice: i loro capi intendevano ottenere i benefici della civiltà romana. Fu un
fenomeno di estrema importanza per la storia europea: la composi- zione etnica che si sarà
delineata alla fine di questo lungo processo darà origi- ne alla formazione delle nazioni
nell’Europa medievale e moderna.GALLA PLACIDIA, REGINA E IMPERATRICE Dopo il
saccheggio di Roma, Alarico si diresse verso sud; portava con sé come ostaggio la sorella
dell’impe- ratore Onorio, Galla Placidia. Alla fine del 410 il re morì a Cosenza. Il suo
successore, Ataulfo, guidò i Visigoti verso la Gallia meridionale, dove con l’ac- cordo della
corte di Ravenna fondò un regno nella valle della Garonna, fra Tolosa e Bordeaux, e strinse
un trattato di alleanza con l’impero. Anziché ri- consegnare Galla Placidia, però, Ataulfo la
fece sua sposa. In questo modo la sorella dell’imperatore d’Occidente diventava regina di
una popolazione germanica stanziata nell’impero. Ben presto dunque ricominciarono le
ostilità, che contrapposero Ataulfo a Flavio Costanzo, il nuovo capo dell’esercito imperiale.
Ataulfo conquistò Tolosa e si spinse nel nord della Spagna, ma a Barcellona nel 415 fu
assassinato in una congiura di palazzo. A quel punto Galla Placidia venne restituita a Onorio
e nel 417 andò sposa
aCostanzo,cheerariuscitoaripristinareilcontrolloimperialesupartedell’Oc- cidente. Nel 421
Costanzo fu nominato Augusto e così Galla Placidia divenne imperatrice. Alla morte di
Onorio, nel 425, divenne imperatore il piccolo Va- lentiniano III (425-455), figlio di Costanzo
e Galla Placidia. Dietro questo bam- bino l’effettiva reggente dell’impero era la madre, che
dimostrò grande ener- gia nel contrastare le opposizioni aperte o nascoste della corte.
L’ULTIMA DIFESA DELL’IMPERO Galla Placidia affidò al generale Flavio Ezio il compito di
mettere un freno alla disgregazione militare dell’impero. Le regioni galliche erano sconvolte
dalle invasioni e dalla rivolta sociale e molti ribelli si aggregavano alle milizie barbariche. I
Visigoti cercavano di conqui- stare Narbona e di estendere il loro territorio fino al
Mediterraneo. Per proteggersi le spalle, Ezio attaccò i barbari sul Reno e con l’aiuto di re-
parti unni nel 436 sconfisse duramente i Burgundi e ne fece strage; i supersti- ti di quel
popolo furono insediati nella Savoia. Queste vicende costituirono l’oggetto di tanti racconti
leggendari che confluirono, nel XII secolo, nella Canzone dei Nibelunghi, il grande poema
mitologico delle popolazioni di cul- tura germanica. Dopo alterne vicende Ezio sconfisse
anche i Visigoti, riconducendoli entro i confini che erano stati loro assegnati. Più tardi, nel
428, batté anche i Franchi, che avevano saccheggiato la regione fra il Reno e la Mosella.

[Fig. 3]

I VANDALI IN AFRICA Dopo essere entrati in Gallia nel 406, i Vandali ave- vano proseguito
la loro marcia verso sud e si erano stanziati nella penisola iberica. L’odierna regione
dell’Andalusia deve il suo nome a quel popolo. Nel 429, sotto la guida del re Genserico, i
Vandali sbarcarono in Africa e in una decina d’anni occuparono gran parte della regione
costiera fino alla Tripolitania. Inutilmente le truppe imperiali (assediate a Ippona, la città dove
era vescovo Agostino) e i contingenti inviati da Costantinopoli cercarono di opporsi
all’avanzata. I Vandali in molte zone furono accolti dalla gente, soprat- tutto dai contadini,
come dei liberatori. Alla fine il governo imperiale stipulò con loro un trattato.
I Vandali riuscirono a occupare anche le isole Baleari, la Sardegna e la Corsica. Nel 455
fecero un’incursione in Italia e giunsero a saccheggiare Roma. Per la seconda volta la città
fu devastata. Nella seconda metà del V secolo, infine, i Vandali tennero per qualche
decennio parte della Sicilia.

LA PRESSIONE DEGLI UNNI Nella parte orientale dell’impero il pericolo dei barbari era
meno drammatico. Nel 408, alla morte di Arcadio, salì al trono il figlio Teodosio II (408-450),
di soli sette anni, sotto la tutela della sorella e della madre. Durante il suo regno l’impero fu
più volte minacciato e attaccato dagli Unni. [Fig. 5] Fra gli Unni emerse un capo di notevoli
qualità, Attila, che riuscì a coaliz- zare un gran numero di gruppi nomadi sotto il comando
dell’aristocrazia guer- riera unna e creò un forte impero che aveva il suo centro nelle attuali
Ungheria e Ucraina. Era però un impero privo di una struttura statale, perché era formato da
popoli di cultura nomade. Attila radunò un grande esercito con il quale nel 447 giunse a
minacciare Costantinopoli e poi, in Occidente, la Gallia. Dapprima fu frenato con il
pagamento di un tributo, ma nel 451 venne duramente sconfit- to dal generale Ezio ai Campi
Catalaunici (l’attuale Châlons en Champagne). L’esercito romano era formato in gran parte
da federati barbarici. La sconfitta non impedì ad Attila di invadere l’Italia l’anno dopo.
Aquileia fu saccheggiata, la Pianura Padana devastata, ma Attila non poté arrivare né a
Ravenna, né a Roma.Un’ambasceria,dellaqualefacevaparteilpapaLeoneI,incontròilreunno
presso Peschiera, in Veneto e lo convinse a fermarsi, quando già forse meditava di
abbandonare l’Italia. Attila morì l’anno successivo e rapidamente il regno unno si dissolse.
Anche in questo caso i cronisti cristiani attribuirono all’inter- vento miracoloso di Dio lo
scampato pericolo.

[T – Alla corte di Attila, p. 210]

FINE DELL’IMPERO D’OCCIDENTE L’allontanamento della minaccia unna non bastò a


risollevare l’impero d’Occidente. Nel 454 Valentiniano III uccise Ezio, il generale che aveva
salvato l’impero, e l’anno dopo fu a sua volta ucciso, poco prima che i Vandali, come si è
visto, saccheggiassero Roma. Alla morte di Valentiniano seguirono vent’anni caotici, nei
quali si susse- guirono imperatori privi di autorità e spesso dominati da generali di origine
barbarica. Nel 476, il capo barbaro Odoacre, del popolo degli Sciri, depose l’ultimo
imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo (così chiamato per la sua giovanissima età) e lo
mandò in esilio in Campania. Odoacre inviò le insegne imperiali a Costantinopoli, dove era
imperatore Zenone (474-491). Questo gesto, formalmente, indicava che tutto l’impero era
riunificato sotto una sola autorità imperiale, quella di Costantinopoli, della quale Odoacre si
considerava rappresentante in Occidente. La realtà però era un’altra. L’autorità imperiale in
Occidente era tramontata da tempo e in Gallia, in Spagna, in Africa e ormai anche in Italia si
costituivano dei regni indipen- denti. Questi vengono definiti «romano-barbarici» o «romano-
germanici», perché erano dominati dall’elemento barbarico, ma continuavano a reggersi
sulle strutture amministrative romane. Fra i contemporanei, non si levò nessuna voce per
piangere la fine dell’im- pero. Roma non era stata saccheggiata, l’imperatore non era stato
ucciso, i pro- blemi non erano cambiati rispetto agli ultimi decenni, le strutture ammini-
strative romane continuavano a esistere: efficacemente uno storico del Nove- cento, Arnaldo
Momigliano, scrisse che l’impero era caduto «senza rumore»LE CAUSE DELLA CADUTA
DELL’IMPERO Gli antichi attribuirono la cri- si dell’impero a due ordini di cause: l’avanzata
dei barbari portatori di devasta- zione o la diffusione del cristianesimo, che aveva cancellato
la tradizione guer- riera di Roma. Il crollo dell’impero derivò, in realtà, da un complesso di
cause. Vi furono cause economiche e sociali: la crisi del modello di produzione schiavistico,
il calo demografico e lo spopolamento delle campagne, la crisi delle città, l’oppres- sione
burocratica e fiscale, che causò rivolte endemiche. In sostanza quello che
crollò,comescrisselostoricoPeterBrown,fuunsistemasocialmentesquilibrato, nel quale il dieci
per cento della popolazione viveva sulle spalle di tutti gli altri. Vi furono anche cause militari,
come la progressiva germanizzazione dell’esercito, le lotte intestine e l’impossibilità di
trovare le risorse per mante- nere una forza sufficiente alla difesa di un confine troppo lungo.
Fra le cause vi furono certamente anche la pressione delle popolazioni barbariche e la
devastazione delle invasioni. Ma queste furono parte di una trasformazione storica profonda:
la società che nacque era più arretrata rispet- to a quella romana, ma esprimeva una forza
propulsiva che il tardo impero non aveva più.UN’OSPITALITÀ FORZATA Secondo
l’ordinamento dell’impero d’Oriente, le popolazioni barbariche erano foederati, cioè popoli
legati da un trattato di alleanza, ai quali veniva concessa l’hospitalitas in alcune regioni
occidentali. Questo regime giuridico consisteva nel cedere in proprietà ai nuovi arriva- ti un
terzo delle terre (talvolta anche di più) della regione nella quale s’inse- diavano. I Romani
che abitavano la regione continuavano a risiedervi, ma perdevano la proprietà di parte della
loro terra. I più danneggiati da questo regime giuridico erano i grandi proprietari terrieri, cioè
le aristocrazie delle città. Essendo i capi germanici in parte cristianizzati, generalmente
questa appropriazione di terre non riguardò le proprietà della Chiesa. Il regime
dell’hospitalitas non suscitò grandi proteste; questo si spiega con il fatto che alcune delle
regioni occupate dai barbari erano quasi disabitate e che, comunque, gli invasori erano una
minoranza della popolazione. I coloni che vi-
vevanosulleterre,inoltre,nonavevanonulladaperderenelcambiodiproprietà. Formalmente i
capi barbari, come Odoacre, tendevano a considerarsi rap- presentanti dell’impero nei loro
territori e talvolta usavano espressioni di re- verenza nei confronti dell’imperatore. La realtà
però era diversa: essi esercita- vano la piena sovranità sulle terre occupate e giunsero a
formare dei regni autonomi. I PRIMI REGNI ROMANO-BARBARICI
Nellaparteoccidentalesiformarono i regni: dei Visigoti nel sud della Gallia, degli Svevi nella
Spagna occidentale, dei Vandali in Africa e dei Burgundi nella Savoia. I Franchi si
stanziarono nella parte settentrionale delle Gallie. In Italia, il regno di Odoacre comprendeva,
oltre alla penisola, anche par- te della Rezia e del Norico, che vennero poi abbandonati; più
tardi si estese alla Sicilia e alla Dalmazia. L’Inghilterra fu occupata, dopo una lunga lotta
contro gli abitanti Britanni, dagli Anglo-Sassoni, che spinsero le popolazioni celtiche a
spostarsi sulla costa dell’attuale regione francese della Bretagna. Altre popolazioni
germaniche si spostarono a ridosso dei confini dell’im- pero: gli Ostrogoti occuparono la
Pannonia, i Longobardi s’insediarono nel No- rico (l’attuale Austria), gli Alamanni nella Rezia
(fra l’Alto Adige e la Svizzera).DIVERSI ORDINAMENTI GIURIDICI I gruppi germanici
rappresentavano la minoranza della popolazione; anziché diffondersi nell’intera provincia
conqui- statapreferironostanziarsiinzoneristrette,lasciandochenelrestodelterritorio
continuassero a funzionare le forme di governo romane. Anche i posti chiave della
burocrazia vennero lasciati ai Romani: i barbari, in gran parte analfabeti, riconobbero la
superiorità e l’efficienza dell’amministrazione romana. Dopo l’invasione, dunque, convissero
l’uno accanto all’altro due ordina- menti giuridici, quello germanico e quello romano. In
sostanza, ciascun po- polo viveva secondo le proprie leggi. Per la tradizione germanica la
legge da seguire era quella del popolo di appartenenza: era un atteggiamento tipico delle
popolazioni seminomadi, organizzate per tribù e clan e senza una sede territoriale fissa. Per
definire questa condizione si parla di «personalità del diritto». Il sistema giuridico romano,
invece, si basava sulla «territorialità del diritto»: la legge era quella emanata dall’autorità
centrale dello stato, va- lida per tutti quelli che vivevano nel territorio. Era una situazione
complessa, che ebbe una lunga evoluzione. In una pri- ma fase i barbari si regolarono
secondo le loro antiche consuetudini, poi i loro sovrani, sull’esempio romano, cominciarono
a emanare delle leggi, chiamate «leggi barbariche». Nel regno dei Visigoti, per esempio, i
capi emanarono all’inizio del V secolo una serie di norme, la lex Wisigothorum, che regolava
i rapporti fra Visigoti. I Romani che vivevano nel regno continuavano a vivere secondo la
legge romana. Poiché erano sempre più frequenti i rapporti fra Gotie Romani, fu necessario
istituire delle regole: questo avven- ne un secolo dopo, con l’emanazione della lex Romana
Wisi- gothorum nel 505, ad opera del re Alarico II. LA SOCIETÀ GERMANICA I popoli
germanici manten- nero la loro religione (prevalentemente il cristianesimo ariano) e la loro
organizzazione sociale tradizionale, basata su clan composti di un certo numero di famiglie
(la sippe, simile alla gens romana). Era una società patriarcale, nella quale il padre aveva la
piena autorità sulla moglie e sui figli, maschi e femmine. L’equilibrio sociale si basava
sull’uguaglianza fra le fami- glie. Questo equilibrio si rompeva se qualcuno arrecava un
danno a un componente di un’altra famiglia. Il torto fatto a un individuo era dunque un torto
per l’intera famiglia, che si trovava impegnata a vendicare l’oltraggio. La forma di giustizia
prevalente era la vendetta (faida): chi aveva subito il danno (o un membro della sua famiglia)
aveva il diritto di arrecare un danno uguale a chi aveva commesso il torto (o a un suo
familiare). Col tempo la faida venne sostituita dal versamento di una somma che risarciva il
danneggiato, detta guidrigildo (o in latino compositio).

[Fig. 8]

L’ESERCITO Tutti gli uomini in grado di portare le armi erano tenuti a par- tecipare
all’esercito del popolo. Solo loro avevano pieni diritti: le donne erano sottoposte all’autorità
del padre, del fratello e poi, dopo le nozze, del marito. Il rex comandava l’esercito, che era
composto di piccole unità, guidate da un capo detto, alla latina, comes o dux (conte o
condottiero). Questi capi avevano
l’autoritàdicomandosoloincasodiguerraedesercitavanoancheunafunzione giudiziaria nei
confronti del gruppo che comandavano. Quando nasceva una lite e non si poteva praticare
la faida, in quanto non era evidente di chi fosse la
responsabilità,icapisottoponevanoicontendentiaunaordalìa(oprovadiDio), oppure a un duello
giudiziario. Nel primo caso i contendenti dovevano supe- rare una difficile prova, come il
passaggio sui carboni ardenti o l’immersione di un braccio nell’acqua bollente: vinceva il
guerriero che sopportava meglio la prova o le cui ferite guarivano più rapidamente. Nel
secondo dovevano combat- tere fra di loro e veniva proclamata giusta la causa del vincitore.
DA SEMI-NOMADI A SEDENTARI Col passare del tempo gli invasori ab- bandonarono il
regime di vita seminomade e divennero sedentari e proprieta- ri di terre. Le terre ottenute
con il meccanismo dell’hospitalitas venivano distri- buite secondo i criteri tradizionali della
divisione del bottino: la quota mag- giore andava ai capi. In questo modo si creò una
gerarchia di proprietari e le cariche militari più importanti furono legate a vaste proprietà
terriere. Accanto ai latifondisti romani venne così a crearsi una categoria di ricchi proprietari
terrieri germanici, che cercarono ben presto di rendere eredita- ri i loro possedimenti, in
modo da trasmetterli ai discendenti.VICENDE DEI REGNI ROMANO-BARBARICI Il regno
dei Vandali durò poco ed ebbe una vita travagliata, perché i dominatori non vollero scendere
ad accordi con le popolazioni romanizzate dell’Africa. Il regno fu dunque indebo- lito dalla
resistenza degli oppressi, che erano assai più numerosi; nel 533 ven- ne facilmente
riconquistato dall’impero d’Oriente. Più duraturo fu il regno dei Visigoti, che dopo la metà del
VI secolo si spin- sero a occupare anche gran parte della Spagna. I Visigoti lasciarono
un’impron- ta significativa nel sud della Francia e nella Spagna, con la loro arte fatta di una
commistione di elementi barbarici e romani. [Fig. 10-11] Si trattava del popolo che per lungo
tempo aveva avuto il contatto più stretto con i Romani e l’integra- zione fra elemento
germanico ed elemento romanizzato venne favorita dalla conversione al cristianesimo nella
sua forma ariana. Il regno visigoto durò fino all’inizio dell’VIII secolo, quando la Spagna
venne conquistata dagli Arabi. Più a nord, i Franchi crearono un regno forte e potente. Nel
481 Clodoveo unificò le tribù franche sotto il suo comando. Clodoveo apparteneva alla di-
nastia merovingia, dal capostipite Meroveo, che era stato alleato dei Romani nelle guerre
contro gli Unni. Riuscì rapidamente a estendere il territorio sotto il suo controllo,
sconfiggendo le ultime forze militari romane e poi gli Aleman- ni a est del Reno. Infine
attaccò i Burgundi e i Visigoti. Con la battaglia di Vouillé (507), Clodoveo conquistò i territori
visigoti in Gallia, con l’esclusione della Provenza, e sconfisse i Burgundi. Mentre il popolo
burgundo continuò a vivere nella regione in cui era stanziato (corrispondente alle attuali
Savoia e Borgogna) e si sottomise ai Franchi, i Visigoti si trasferirono oltre i Pirenei, dove
diedero vita al loro regno in Spagna, con capitale Toledo.
ConunasceltadigrandepesopoliticoClodoveo(481-511)scelsediconvertir- si al cattolicesimo:
un atto che gli garantì il favore del papato e della gerarchia della Chiesa e rese più facili i
rapporti tra i Franchi e la popolazione romanizzata. Finì molto presto, invece, il regno di
Odoacre, travolto dagli Ostrogoti, che l’imperatore d’Oriente indirizzò verso l’Italia per
allontanarli dai Balcani.FINE DEL DOMINIO DI ODOACRE
DuranteilregnodiOdoacrel’amministra- zione civile romana rimase in vigore e l’aristocrazia
senatoria di Roma manten- ne il suo potere e la proprietà di gran parte delle sue terre. riuscì
a ottenere il potere di governo dall’imperatore Zenone, Odoacre agì co- munque da re e
stabilì la sua capitale a Ravenna. Avviò anche alcune campagne militari che lo portarono a
minacciare direttamente i territori dell’impero d’O- riente. Zenone allora si rivolse al re degli
Ostrogoti, Teodorico (o Teoderico), e lo incaricò di entrare in Italia e mettere fine al regno di
Odoacre. Con una grande vittoria sul fiume Isonzo nel 489, Teodorico penetrò in Italia
attraverso le valli orientali del Friuli. Negli anni successivi il re ostrogoto ottenne altri
successi e alla fine assediò l’avversario a Ravenna. Qui nel 493 Odoacre si arrese
ottenendo la promessa di avere salva la vita: ma appena entra- to in città, Teodorico fece
uccidere lui, i suoi soldati e sterminò la sua famiglia. IL REGNO GOTO Come le altre
popolazioni germaniche,anche gli Ostrogoti erano poco numerosi:illoro ingresso
inItalianonmodificòdimolto lasituazio-
neprecedente.IvincitorisistanziaronosoprattuttonelleVenezie e nellaPianu- ra Padana, nella
zona di Ravenna, in alcune località dell’Italia centrale e in Campania. Oltre a Ravenna, che
divenne la capitale del regno di Teodorico, un altro centro goto di grande importanza
strategica fu Verona, che controllava la
valledell’Adige,unadellepossibilivied’invasionedell’Italiadalleregionianord delle Alpi, dove
erano stanziati gli Alamanni. I grandi proprietari terrieri della penisola e la Chiesa non furono
molto danneggiati nelle loro proprietà. Dopo la conquista di Ravenna, Teodorico nel 497
ottenne dall’imperatore Anastasio (il successore di Zenone) il riconoscimento del suo ruolo
di re dei Romani e dei Goti in Italia. Negli anni seguenti aumentò il peso internazionale del
regno di Teodo- rico: questo comprendeva, oltre all’Italia e alla Dalmazia, l’intera regione
alpi- na fino al Norico (l’attuale Tirolo) e dal 509 anche la Provenza, che Teodorico conquistò
dopo una guerra contro i Franchi. Teodorico divenne uno dei so- vrani più influenti
dell’epocaIL PROGETTO DI TEODORICO Il lungo regno di Teodorico (più di trent’an- ni, dal
493 al 526) garantì all’Italia un’epoca di pace. L’amministrazione civi- le rimase nelle mani
dei Romani, mentre tutte le cariche militari erano riser- vate ai Goti, i soli autorizzati a
portare le armi. D’altra parte bisogna ricordare che i Goti erano una minoranza rispetto alla
popolazione romana; anche per questo nella legislazione gota erano scoraggiati i matrimoni
misti, per mante- nere integra la casta dei dominatori. Teodorico tuttavia cercò di favorire la
collaborazione fra Goti e Romani, anche con leggi apposite che regolavano i rapporti fra le
due etnie su una base di relativa uguaglianza. Teodorico conosceva e ammirava la civiltà
romana e si propose di farla tornare all’antica grandezza. Avviò importanti progetti di bonifica
per recu- perare all’agricoltura le terre che durante le invasioni si erano degradate; fece
ripristinare alcune strade e favorì i commerci. Teodorico si considerava erede della
tradizione imperiale romana e si ado- però per la rinascita della vita cittadina. Fece
ricostruire acquedotti, restau- rare gli antichi edifici pubblici e costruire nuovi palazzi e
chiese. Come un antico imperatore fece persino coniare monete con la sua immagine,
organiz- zò giochi nel circo, indossò l’abito di porpora secondo l’uso imperiale.

[Fig. 14]

LA CAPITALE E I CONSIGLIERI DEL RE Gli interventi più importanti di Teodorico furono


riservati alla sua capitale, Ravenna. Con lui la città tornò a fiorire, anche grazie alla generale
ripresa economica della penisola. Fu ripristi- nato l’acquedotto costruito da Traiano e fu di
nuovo bonificata l’area circostan- te. Teodorico avviò un vasto piano edilizio. Innanzi tutto
fece edificare il pa- lazzo imperiale: di esso oggi restano poche tracce, ma le fonti antiche lo
descri- vono come un’opera magnifica, in grado di competere con i palazzi imperiali
bizantini. [Fig. 15]. Altre opere costruite sotto Teodorico abbelliscono tuttora la città: la
cappella di palazzo (oggi basilica di Sant’Apollinare Nuovo), la catte- drale dei Goti (oggi
chiesa dello Spirito Santo), il Battistero degli ariani e infine il grandioso mausoleo destinato
ad accogliere le spoglie del re. [Fig. 16, p. 219] Benché sincero ammiratore della civiltà
romana e dotato di intelligenza e saggezza, Teodorico era illetterato e pressoché analfabeta.
[T – Ritratto di Teo- dorico, p. 218] Riuscì però a circondarsi di collaboratori di prim’ordine,
membri dell’aristocrazia senatoria romana che appoggiavano il suo progetto di mag- giore
integrazione fra i dominatori e i Romani. Si trattava di persone di grande cultura, intellettuali-
politici che rappresentano l’ultima fioritura della lette- ratura latina. I principali furono il
filosofo Severino Boezio e il letterato Flavio Cassiodoro.Boezio (480-524), nel clima di
rilancio della cultura che la pace rendeva possi- bile concepì l’ambizioso progetto di tradurre
in latino le opere di Platone e di Aristotele: anche se non lo realizzò per intero, la sua opera
fu di grande impor- tanza per la cultura dell’età medievale. Cassiodoro (490-583 ca), oltre
che consigliere, fu cancelliere del re e l’e- stensore delle sue lettere ufficiali e dei
provvedimenti di legge, tutti scritti in latino. In latino Cassiodoro scrisse anche una Storia dei
Goti, nel tentativo di far conoscere meglio ai Romani le vicende del popolo goto. Il letterato
collaborò anche con i successori di Teodorico fino al 540. In quel momento era in corso una
durissima guerra fra Bizantini e Ostrogoti per il possesso dell’Italia monastero da lui stesso
fondato in Calabria, Vivarium, che divenne un pre- stigioso centro di cultura. LA FINE DI
TEODORICO Il progetto d’integrazione di Teodorico era dif- ficile da attuare per almeno due
motivi. Il primo era l’orgogliosa difesa che l’aristocrazia senatoria romana faceva del suo
potere. Molti erano contrari ad ammettere i Goti nella classe dirigente del regno e speravano
che l’imperatore d’Oriente sarebbe intervenuto per ristabilire il suo dominio sull’Italia. L’altro
motivo era di ordine religioso, dovuto alla difficile convivenza fra i Goti di fede ariana e la
chiesa cattolica che aveva a Roma il suo massimo centro, il papato. In un primo tempo la
Chiesa aveva accettato la convivenza con gli ariani per accentuare la sua indipendenza dal
governo di Costantino- poli, che mirava a intervenire in tutte le questioni dottrinali. Ma più
tardi sembrò che i cattolici romani potessero coalizzarsi con i bizantini contro i Goti ariani. Di
fronte a queste difficoltà, Teodorico cominciò a sospettare congiure e tradimenti. Di questo
nuovo clima fecero le spese alcuni stretti collaboratori, come Severino Boezio, che venne
imprigionato a Pavia e poi giustiziato. Anche il vecchio papa Giovanni I fu incarcerato e morì
in prigione. Grazie ai consigli di Cassiodoro, Teodorico cercò poi di tornare a un governo più
moderato, ma nel 526 a sua volta morì. I SUCCESSORI DI TEODORICO A Teodorico
successe il nipote Atalarico, che era minorenne e fu posto sotto la tutela della madre
Amalasunta, la figlia di Teodorico. Amalasunta proseguì nel tentativo di facilitare la
convivenza fra Goti e Romani e cercò l’alleanza e l’appoggio del nuovo imperatore
d’Oriente, Giustiniano. Alla morte di Atalarico nel 534, Amalasunta associò al trono il cugino
Teodato. Costui però, appena divenuto re, inaugurò una politica forte- mente antiromana,
mentre la corte di Costantinopoli cercava d’interferire nella politica italica. Ben presto
Amalasunta fu imprigionata e nel 535 fu uc- cisa. In quell’anno l’imperatore d’Oriente,
Giustiniano, iniziò la riconquista dell’Occidente.

Potrebbero piacerti anche