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RIASSUNTO DI DIRITTO ROMANO (CAP.

I-V)
CAPITOLO I
I. 1
Il territorio degli insediamenti umani che avrebbero dato origine a Roma era limitato a Nord dal
Tevere, ad Ovest dal mare, ad Est dai primi rilievi degli Appennini e a sud dagli ultimi contrafforti (
Diramazione secondaria di una catena montuosa, che si protende in una regione pianeggiante) dei
colli Albani). Fondamentale era l’allevamento di pecore e maiali e coltivazione del farro. Dagli inizi
del I millennio a. C vennero a formarsi i primi scambi di merci e fondamentali per essi era il guado
del Tevere, a piedi dei colli del Campidoglio e del Palatino. Importanti anche le vie di
comunicazione verso il mare. In quest’area si svilupparono numerosi villaggi vicini tra loro, la cui
relazione si basava su rapporti parentali, legati al ricordo di un parente comune. Per questi gruppi
non era facile la difesa dei propri territori dalle razzie. Questi popoli erano poi uniti dal culto
religioso di un Iupiter Latiaris, Plinio sostiene che questi populi fossero in numero di 30.
I. 2
Difficile individuare le forme culturali di queste primi insediamenti solo attraverso sepolcreti.
Grande omogeneità di questi ritrovamenti, questa omogeneità garantiva una fitta rette di scambi e
di relazioni tra i villaggi caratterizzati da una religione, lingua, cultura comune
Grande importanza avevano i patres familia (i più anziani) detentori della saggezza per guidare
una comunità, insieme a loro doveva avere una certa importanza anche l’assemblea degli uomini
in arme (“l’esercito”). Nell’VIII sec. A. C ci furono profonde trasformazioni nella società con
differenziazioni della ricchezza, testimoniato dal differente sfarzo delle tombe, e un grande
aumento della popolazione. Importante anche la guerra dove i singoli avevano l’opportunità di
distinguersi. Intorno ai guerrieri e alle famiglie più ricche si concentrano un numero crescente di
seguaci che accentuò le gerarchie. Si passò poi da una produzione privata e domestica ad una
produzione specializzata, moltiplicazione degli oggetti in metallo, sviluppo dell’agricoltura dal
momento che la superfice dei campi coltivabili era sufficiente a sfamare molte più persone di
quante vi ci lavorassero e di quanto facessero i pascoli di allevamento. Tali dinamiche portarono a
fenomeni di sinecismo delle minori comunità per formare una vera e propria comunità cittadina.
I. 3
Tra questi importante fu il sinecismo di alcuni villaggi del Palatino che tendeva a saldarsi con le
altre comunità del Campidoglio e del colle Quirinale, importanti questi colli che costituivano una
difesa naturale per una fortificazione per il controllo del guado del Tevere. Una delle prime città fu
Alba Longa (nella leggenda fondata da Enea), seguita poi da Ariccia, Tivoli e Praeneste. Nel VIII sec.
A. C ci fu n’accelerata verso qualcosa di nuovo, una nuova aggregazione verso la forma cittadina: la
polis, nascono così la politica e le prime istituzioni. Nulla ci vieta di pensare però che la “città” non
esistesse anche prima della seconda metà dell’VIII sec. Nella memoria degli antichi ha molto
importanza Romolo, preso come punto di inizio per qualcosa che non esisteva prima, la creazione
di un nuovo spazio: il pomerium (confine sacro della città). La società inizialmente venne divisa in
tre tribù: Ramnes, Tities e Luceres, ciascuna suddivisa in 10 curie, suddivise a loro volta in 10
decurie. Sistema finalizzato alla guerra ogni curia avrebbe dovuto fornire 100 fanti e 10 cavalieri.
ROMA: è una novità che riorganizza realtà precedenti, fondendo villaggi preistorici prima del
Palatino e poi del Quirinale.
Grande novità era il luogo di culto della città situato nella sommità del colle del Campidoglio, alla
base di esso si trovava il foro, il centro degli spazi politici.
I. 4
FAMIGLIA = familia proprio iure, nucleo centrale dell’intera attività giuridica e sociale, l’unità base
della società fondata sul matrimonio monogamico. Con famiglia si intendeva persone che abitano
nella stessa casa. La linea di parentela era stabilita solo attraverso la linea maschile (agnatizia). In
questa famiglia vivevano moglie, figli, figlie non sposate e i discendenti maschili con le proprie
mogli, Il sistema familiare era fondato sul matrimonium cum manu, la totale integrazione della
moglie nella famiglia del marito. Tutti sotto la potestas del padre famiglia (pater familias), che è
l’unico detentore dei diritti di carattere economico. L’unità familiare si dissolve alla morte del
padre in tante famiglie quanti sono i figli maschi. In questo modo la singola famiglia romana non
poteva assumere importanza politica, indebolendo così la famiglia gentilizia.
GENS= aggregazione di famiglie con lo stesso nomen, che discendono da cittadini nati liberi. Si
poteva esser buttati fuori dalla gens, per perdita della libertà, della cittadinanza, assenza di nozze
giuste escludevano il figlio. I nomi nella famiglia romana erano quindi costituiti da:
Nomen= appartenenza ad una gens
Cognomen= appartenenza ad un lignaggio familiare
Prenomen= nome personale.
Un fattore di divisione sociale era costituito dalle stesse gentes detentrici della maggior parte di
risorse e terre alle quali lavoravano i clientes, questo diventerà la base dello scontro patrizio-
plebeo
I. 5
La leggenda del ratto delle Sabine racconta della fusione tra Latini e Sabini, queste fusioni anche
con gli Etruschi, servirono a Roma da staccarsi da radici etnico-culturali e a modernizzarla. Roma
quindi è come un ponte tra le diverse culture eterogenee, fu questo elemento che le permise
velocemente di superare le antiche città del Latium vetus, le più antiche città latine. Così come
tribù ha un discendente comune così Roma ha un pater, Romolo, è quindi capace di incorporare
soggetti diversi senza un rapporto di parentela, essere un cittadino all’interno del popolo. Questo
fu un grande vantaggio per Roma che assimilava facilmente nuovi gruppi cittadini consentendo
loro anche l’accesso alle cariche di vertice del potere. Un modo abbastanza singolare con cui si
sono concluse le diverse ostilità permettendo la circolazione di individui e merci, la vittoria di una
comunità sull’altra determinava l’inglobamento della seconda sulla prima. Il risultato fu un enorme
ampliamento politico-militare della forza di Roma. Mano a mano che la struttura si assestava però
aumentava la concezione del chi è dentro e del chi è fuori. Roma costituì un importante polo di
attrazione anche a causa della sua posizione strategica, accelerando le forme di diffusione
culturale.

CAPITOLO II
II. 1
Di sicuro nella Roma arcaica la figura più importante era la figura del re che aveva una forte
accentuazione religiosa, la carica del re non ereditaria ma la sua nomina seguiva una procedura
che iniziava con la Creatio, un senatore lo proponeva come rex, poi seguiva l’innauguratio per
capire se quello fosse il volere degli dei, il sacerdote tocca la testa del candidato al trono e chiede
agli dei segni chiari della loro volontà. Il processo si concludeva con la presentazione del rex ai
comizi curiati dai quali otteneva i poteri supremi. Questa lex de curiata imperio si sarebbe
protratta anche per l’annuncio dei magistrati in età repubblicana. Non si sa per certo quale sia
l’ordine, se il populus avesse qualche potere di voto.
Il rex è sacerdote, capo militare, garante della pax deorum (la pace degli dei), custode e tutore del
diritto, che lo esercita per regolare i rapporti interindividuali e la repressione delle condotte
criminali. Egli non era solo nella sua funzione di governo, accanto a lui vi era un comandante
dell’esercito, il magister populi, quest’ultimo a sua volta aveva un magister equitum, al comando
della cavalleria. Nel governo della città era assistito da un praefectus urbi, che aveva competenze
nel settore dei giudizi civili e repressione criminale.
Vi erano poi delle leges regiae (leggi dei re) che si identificavano come il giudizio reso per una
discordia tra cives attraverso solenni pronunce. Il rex era quindi custode dei mores (costumi),
tutore di ordine legale nel quale era aiutato da un collegio pontificale. Due importanti crimina
erano importanti allora: duoviri perduellionis e i quaestores parricidi (l’assassinio del padre).
Compito del rex era anche la formulazione di un calendario basato sulle fasi lunari che scandiva i
giorni fasti e i giorni nefasti (quando lavorare e quando no).
II. 2
Populus: la comunità di cittadini. Fu lento il processo di separazione dall’autonoma identità degli
organismi tribali. Il populus era originariamente diviso secondo base territoriale e religiosa: le
curiae. Si è di una curia perché vi si è nati. All’interno di ogni curia vi era un particolarismo religioso
collegata ai culti personali di ogni famiglia ma questo non impedì che la morfologia delle singole
curie si modificasse sotto la forza unificatrice dei poteri cittadini, ai culti tipici delle singole curie
dovettero sostituirsi i culti comuni della città. Le curie partecipavano alla rex innauguratus e in
teoria partecipavano alla nomina degli aiutanti del re ma appare più ovvio che si riunivano per
prendere conoscenza delle delibere. I comizi curiati anche in età repubblicana si riunivano per la
adrogatio con cui un pater familia si assoggettava ad un altro, davanti ad essi si effettuava la forma
arcaica del testamento e ultima le modifiche della condizione di una gens, che poteva diventare
patrizia, l’uscita di un membro o l’ingresso di uno straniero.
II. 3
Il potere del rex era coadiuvato da un gruppo di anziani che alla morte del re, “auspicia ad patres
redeunt”, i poteri del re tornano al senato che dovrà prevedere a nominare un altro rex, in questo
lasso di tempo il potere veniva esercitato da un collegio di 10 senatori che esercitavo il potere per
5 giorni ciascuno, al termine dei 50 giorni si provvedeva a nominare altri 10 senatori: Interregnum.
Il potere torna nelle mani del senato. il termine patres o senatus indica che esso era composto dai
patres familia, dai senex (anziani), esso è il naturale supporto all’autorità del rex, l’appartenenza al
collegio indica una superiorità sociale ma non esprime una rappresentanza politica. Inizialmente
formato da 100 persone poi 150, 200 ed infine fermarsi a 300. Il rex sceglieva i membri del senato
o per lignaggio o per la distinzione in guerra e le varie gentes esprimeva un numero maggiore o
minore di senatori. L’autonomia del rex gli permetteva di nominare senatori anche membri di una
gens emergente che entrava a far parte del senato benché fosse plebea, i conscripti. Il senato
all’origine aveva funzione consultiva nelle decisioni più gravi.
III. 4
I collegi sacerdotali costituiscono uno degli aspetti più complessi dell’identità cittadina.
Ogni famiglia aveva un proprio culto dei penati ovvero degli antenati di cui ciascun pater familia si
faceva carico. Vi erano poi culti tipici delle gentes e delle curiae. Ci sono poi comunità legate a
specifici centri religiosi. Il collegio dei Luperci si divide in Quinctiani e Fabiani che presiedevano
all’importante rito dei lupercali evocativo di alcuni rituali arcaici.
Il collegio dei Salii sacerdoti guerrieri impegnati in rituali magico-animistico. Fratres Arvales dediti
al culto della dea DIA. Il collegio dei Flamines dedite al culto di tre divinità arcaiche, queste figure
si estraniavano al potere politico del rex, una realtà al di fuori del sistema, ce verrà poi a fondersi
con essa dando origine al culto della triade capitolina, Giove, Giunone e Minerva. Le sacerdotesse
di Vesta, vivevano fuori dalla comunità cittadina per garantire la loro purezza, il loro compito era
la custodia del fuoco sacro che doveva restare acceso permanentemente, dell’acqua sacra.
Importanti erano i Feziali, dei sacerdoti dediti ai rapporti con le altre città loro stipulavano tratti di
guerra e trattati di pace. Loro dovevano tradurre le decisioni politiche per la validità dei trattati
internazionali. Ruolo molto importante avevano gli auguri attraverso i quali si consultava il volere
degli dei sulle decisioni della vita sociale e per le decisioni importanti. I romani distinguevano due
sistemi diversi, gli auguria e gli auspicia, il primo mediante il volo degli uccelli il secondo
consultando le viscere degli animali sacrificati. Per conoscere gli auspicia bisogna consultare il
rex/magistrati (gli unici legittimati a chiedere il volere divino), gli auguri gli auguria. L’auspicia serve
per capire la volontà degli dei durante la giornata, gli auguri durante un lasso di tempo molto più
ampio. Il collegio degli auguri era composto da tre sacerdoti di solo ceto patrizio e sono esclusi da
ogni rango del potere politico si sfiora così la laicità della politica, e nel tempo si creò un diritto
augurale basato su vecchie interpretazioni.
II. 5
Il più importante collegio sacerdotale era senza dubbio quello dei pontefici, che avevano una certa
autonomia nella sfera giuridica e religiosa, si occupavano anche della memoria e della
conservazione dei culti arcaici da loro selezionati e fusi insieme. Essi registrano e trasmettono la
memoria facendo un’attività di interpretazione su di essa: è l’inizio di una scienza giuridica romana
con la sua capacità di gestire il passato in vista del futuro. Questo collegio era presieduto dal
pontifex Maximus, il collegio era formato da 5 membri, e ne doveva far parte pure il rex la cui
figura restò in età repubblicana attraverso il rex sacrorum. Il pontifex maximus aveva il controllo su
tutta la vita religiosa romana, un’espropriazione di competenze che all’inizio dovevano
appartenere al rex. Aveva anche una funzione di consulenza per lo stesso rex, una collaborazione
anche l’enunciazione del calendario dei giorni fasti e i giorni nefasti. Detengono la memoria delle
prime norme che disciplinano la vita della comunità cittadina, questo collegio condizionava l’intero
tessuto sociale garantendo la pacifica convivenza. I ruoli tra il rex e i pontefici si intrecciavano loro
elaboravano le lex regiae che erano rielaborazioni di un tessuto tradizionale già esistente, il mos et
institura maiorum, che risalgono alle orgini latine, norme sulle quali si fondava l’ordinamento delle
gens.
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in modi e tempi sconosciuti venne formandosi un’area di fenomeni giuridici, con norme che
prendono il nome di ius e fas, quest’ultimo più legato alla sfera religiosa, con riti credenze, idee su
una vita ultraterrena. C’è un processo di separazione tra questi due ambiti, si sovrapponevano
logiche. Queste tradizioni vengono dai riti singolari delle gens che sono derivati dalle tradizioni
laziali e resisti al tempo per gran parte della storia antica. Ci fu così un travaso delle tradizioni di
tutte le tradizioni dei singoli gruppi in modo da creare un corpo omogeneo di istituzioni e
condiviso da tutta la città: ad esempio il governo, lo sfruttamento della terra, le leggi sul
matrimonio, la divisione del lavoro, la successione ereditaria ecc.
Queste regole non erano esclusive di una sola gens ma condivise da tutti e ciò aveva permesso
l’unione di villaggi e gruppi distinti che le condividevano, un cemento della civitas che contribuì a
creare un’identità collettiva politico-culturale. Le tradizioni di ciascun gruppo sopravvissero solo
nella maniera in cui non contraddicessero quelle socialmente riconosciute.
I fatti materiali come la nascita, l’accoppiamento e la morte erano stati ritualizzati e divenuti
elementi di carattere giuridico, ad esempio le regole matrimoniali erano molto complesse formate
da tabù, divieti, obblighi. In Roma il diritto è concepito come preesistente al legislatore, il suo
fondamento sono i mores, il legislatore può intervenire solo ad innovare singoli punti, il rex può
limitare o modificare il ruolo di un pater familias, può controllare le curie, lo spostamento di
patrimoni ereditari ma le strutture fondamentali dell’ordinamento sono saldamente fondate su
consuetudini anteriori alla città stessa. L’importanza del rex e dei pontefici sta proprio nell’essere
registi e portare la società da una pluralità d istituzioni locali ad un corpo unitario.

CAPITOLO III
III. 1
Nel VI sec ci fu una profonda frattura costituita dall’avvento al potere di una serie di re etruschi, un
fattore modernizzante nel panorama politico-istituzionale, reso possibile grazie alla grande
crescita di Roma che divenne una delle principali città nel Lazio per dimensioni e popolazione. Si
iniziò ad avere una vera e propria circolazione di moneta in bronzo “aes signatum” (bronzo
segnato) ,durante il segno di Servio Tullio, con un incremento delle opere pubbliche che si
configurava con accresciuto bisogno di manodopera urbana a seguito di una massa crescente di
popolazione. Questo aumento della popolazione si configurava sempre meno nel sistema delle
curiae, nuovi gruppi sociali e ceti erano i protagonisti di questa nuova fase della città e non
necessariamente organizzati in curie, piuttosto in familia proprio iure, l’individualità creatasi
permetteva di aspirare ad uno status economico migliore. Per questo ci fu da un lato
l’emarginazione di questi gruppi, dall’altro si iniziò un processo di corrosione delle gentes: la
diffusa e articolata crescita economica contribuì ad aumentare la separatezza tra il mondo
aristocratico e la restante cittadinanza.
III.2
L’avvento dei re etruschi coincideva con l’avvicinamento di Roma alle città etrusche, dal momento
che l’alleanza con Roma era fondamentale per i progetti di espansione etruschi verso la Campania.
Servio Tullio, secondo la tradizione, avrebbe spodestato Tarquinio Prisco dopo aver conquistato il
Celio. Tutti i re etruschi parrebbero essere ascesi al trono in forme irregolari, senza l’innauguratio e
la procedura dell’interregnum. Il loro regno era caratterizzato da un forte carattere autoritario e
una spinta militare, anche se le fonti storiche parlano di un governo filo popolare che creava un
forte consenso popolare. Questo consenso è alla base di importanti riforme sociali e istituzionali
riguardanti soprattutto la ricchezza individuale e la proprietà privata di pertinenza esclusiva del
pater familias.
III.3
A Tarquinio Prisco sono rimandate la riforma alla cavalleria e l’ampliamento del senato, da 200 a
300 un nuovo organico leale e fedele al rex, una nobilitazione di massa. Il nuovo blocco non si fuse
con i patres preesistenti ma diede origine ad un nuovo ordine sociale, “minor gentes”, dei patrizi di
livello minore. Questa riforma è resa possibile anche dalla fitta rete di lignaggi che rendevano
incerta la linea che demarcava la nobiltà e la plebe. Questo servì a Tarquinio di sfruttare al meglio
la crescita economica e demografica di Roma, il che spiega anche l’allargamento della cavalleria
per aumentare la potenza militare della città, che si connotava anche con un miglioramento
generale della fanteria utilizzando le ricchezze economiche personali per l’acquisto di una migliore
attrezzatura per la guerra. Ma tale allargamento non trovava posto nel sistema delle curiae.
III.4
Questo ampliamento dell’esercito comportò anche il cambiamento del sistema di combattimento
che passò a seguire uno schieramento oplitico, soldati che avevano un armamento più difensivo e
meno offensivo. Non ci si distingueva più per azioni personali, e questo permise un mutamento dei
rapporti sociali che mise in crisi il predominio delle gens, la guerra non era più un loro affare
privato. La nuova composizione dell’esercito prevedeva quindi una ricchezza personale di base,
postulando una conoscenza analitica della città. Ci fu il bisogno di un sistema diverso delle curiae
per rendere trasparenti i livelli di ricchezza di ciascuna famiglia. Ci fu quindi una nuova divisione
sociale basata sulla ricchezza in 5 classi: la prima classe forniva 18 centurie di cavalieri e 40 di fanti
di iuniores (soldati dai 18 ai 46 anni) e 40 di seniores (centurie più anziane con funzione ausiliaria),
la seconda, la terza e la quarta fornivano ciascuna 10 centurie di iuniores e 10 di seniores e la
quinta 15 centurie di iuniores e 15 centurie di seniores, per un totale di 188 centurie. A queste se
ne devono aggiungere 5, 2 di musicisti, 2 di tecnici che si collocavano al fianco della prima classe
durante il voto e una ci cives capite censi, quelle senza capitale. L’egemonia patrizia era forte ma
non assoluta, molte persone con molta ricchezza si collocavano nella prima classe anche se non
patrizie. Il sistema centuriato sostituì il sistema curiato e da qui lo strettissimo rapporto tra sfera
politica e militare. Solo le prime 3 classi erano provviste di un armamento pesante disponibile ad
un sistema di combattimento oplitico, e di queste soltanto le centurie di iuniores e di cavalleria,
per un totale di 60 centurie, ovvero un raddoppiamento dell’esercito da 3000 effettivi a 6000 su
una popolazione totale di 80.000 abitanti. I comizi centuriati, allora chiamati “Exercitus imperare”,
anche in età repubblicana avevano i compiti giuridici, politici, il potere di eleggere magistrati e si
riunivano fuori dal pomerium (confine sacro della città).
III.5
Per la corretta distribuzione all’interno dell’ordine centuriato è necessario introdurre il
censimento, per conoscere la consistenza patrimoniale. Per la tassazione invece si ricorreva ancora
alle tribù, che dalle 4 tribù cittadine si aggiunsero anche quelle rustiche in numero di 15, esse
erano le più importanti perché era all’esterno della città che si avevano le proprietà fondiarie.
Inizialmente quando l’assento centuriato coincideva solo con i iuniores si tagliavano fuori i veri
patres familia che detenevano la vera ricchezza, solo distribuendo tutta la popolazione nelle varie
tribù si rendeva possibile la trasparenza dell’organico. Questo rendeva più distanti i proprietari
fondiari e i nullatenenti che si trovavano ammassati nelle città. Il numero delle tribù nella prima
età repubblicana salì a 35 con 31 tribù rustiche e acquisirono un’importanza politica affianco ai
comizi centuriati e divennero i comizi tributi.
III.6
Una delle conseguenze dell’ordine centuriato fondato sul censo fu la scomparsa di elementi di
singoli volti ad affermare uno status sociale, come lo sfarzo delle tombe, le spese servivano
piuttosto per le opere pubbliche e le tasse, per questo furono anche introdotto delle leggi, messe
per iscritto poi nel testo delle XII tavole.
Un intervento cittadino molto significativo si ottenne nelle questioni di discordia tra i privati e
individuali per accertare nelle stesse ragioni e torti. La città intervenne anche per reprimere le
condotte criminali ma era limitato solo a questioni molto gravi il resto era lasciato all’autonomia
dei singoli gruppi familiari e gentilizi e alla loro capacità di autodifesa. La presenza della città si
limitava pertanto a giudicare l’uccisione violenta di un membro della comunità (proditio) e le
forme di tradimento contro la comunità politica (perduellio), comportano entrami la morte del
colpevole. La condanna per parricidas (la morte del pater familias) toccasse anche se il pater
ucciso fosse di un’altra famiglia. In questo caso intervenivano il rex e i quaestores parricidi e i
duoviri perduellionis. Numerosi anche i processi per condotte asociali che si muovevano sul piano
religioso poiché attiravano l’ira degli dei e poteva estendersi all’intera comunità, da qui l’esigenza
di allontanamento dell’individuo e la sua consacrazione alla divinità offesa. C’erano pure condotte
punibili per atti di magia contro il vicino o incendio doloso per il raccolto la sanzione prevista era la
morte.

CAPITOLO IV
IV. 1
La volontà degli etruschi di espandersi verso la Campania occupata dai Greci occidentali inizia ad
avere le prime battute di arresto con pesanti sconfitte che permisero all’aristocrazia romana un
colpo di Stato, che estromise Tarquinio il superbo e cancellò la monarchia nel 509 a. C.
È possibile che le riforme dei re etruschi fossero divenute troppo innovative e forzassero i tempi, il
nuovo assetto politico-istituzionale ancora non si era imposto del tutto, e la politica estera troppo
aggressiva di Tarquinio il superbo pressasse troppo la popolazione, insieme alla crisi economica
dovuta all’indebolimento delle forze produttive e ad una erosione delle conquiste romane. I primi
anni della repubblica furono segnati da un’incerta fisionomia e difficoltà internazionali dovendo
fronteggiare gli Etruschi. Ma la città seppe reagire al meglio all’ostilità latina avendo esito positivo
e giungendo ad alleanze, il foedus Cassianum, una pace che durò 150 anni.
Il patriziato fu quello che uscì favorito dalla cacciata del rex, infatti concentrò su di se tutta l’ascesa
alla cariche repubblicane, questa chiusura però segnò l’inizio di una crisi dei momentanei vincitrici,
che sin dall’inizio trovarono un limiti delle riforme serviane dell’ordinamento centuriato. Ci furono
però delle riforme, l’abolizione di cariche vitalizie e il loro sdoppiamento, il potere del re viene così
diviso in due consoli che avevano il potere assoluto per solo due anni e ognuno di loro aveva il
potere di veto sull’altro. Si spostava così il baricentro politico dal comizio centuriato al senato. nel
451 i due consoli sarebbero stati sostituiti da un collegio di 10 uomini “decemviri legibus scribundi”
con il compito di scrivere su X tavole la legge di Roma, verrà riproposto anche l’anno successivo
ma sarà interrotto dopo la scrittura della XII tavola. Prima del 367 a. C i consoli erano solo patrizi,
dopo le lex hortensia almeno uno dei due consoli deve essere patrizio.
IV.2
La chiusura dei patrizi aveva caratteri prima di tutto politici escludendo altre fasce della società
dalle cariche politiche, poi anche economiche, con la richiesta della plebe della riduzione dei debiti
e lo sfruttamento della terra che sin dal V sec era di pertinenza solo patrizia essendo i territori
conquistati non spartiti equamente tra i cittadini ma tra i patrizi che conservavano il dominio sull’
“ager publicus”. Frutto di questo malcontento furono le due secessioni del Monte sacro (494 a. C)
e dell’Aventino (471 a. C), la crisi fu superata con il riconoscimento alla plebe di alcuni strumenti
protettivi contro le prevaricazioni delle magistrature patrizie: i tribunatus plebis. Erano organi della
città, aventi l’inviolabilità della persona (sacrosanctitas) , il diritto di aiuto (ius auxilii) a favore della
plebe, ma ciò li escluse per molto tempo da ruolo attivo di governo. Ma il loro potere “negativo” si
estese comunque all’interno della vita politica attraverso il potere dell1“intercessio”, un vero e
proprio veto.
Il vero punto di forza della plebe fu il concilium plebis organizzato sulla base delle tribù territoriali,
che votava plebisciti, tribuni della plebe ed edili. È all’inizio del V sec che si sembrò accentuarsi il
discrimine tra le due classi sociali con il divieto di matrimonio misto, che avrebbe comportato la
degradazione dei figli ad una classe sociale inferiore e l’inferiorità sociale dei plebei superata con
la lex canuleia del 445 a.C.
Vi era poi il diritto per ogni cittadino romano della provocatio ad populum, che vietava ai
magistrati di mettere a morte un cittadino romano senza previa consultazione del popolo.
IV.3
Nel V sec. la plebe ottenne la messa per iscritto delle leggi della città la cui conoscenza era
monopolio dei pontefici (patrizi). (storia dei decemviri che ho trattato prima, leggi sopra. Ciao.). il
valore irreversibile per le XII tavole era universale e uguale per tutti. Decemviri avevano poteri
assoluti, erano sottratti all’intercessio e alla provocatio. Probabilmente si voleva fare una
rivoluzione sul modo di fare leggi e governare la città, contrapponendosi ai pontefici, ma il
progetto fu abbandonato al II anno di carica, sebbene il collegio fosse stato ricomposto con
elementi plebe. La crisi del decemvirato leggendariamente sarebbe collegata ad uno stupro alla
plebea Virginia da parte di Appio Claudio, un esponente della fazione plebea. Probabilmente lui
provò a staccarsi dal sistema aristocratico e venne accusato di adfectatio regni (ricostruire un
regno). La morte di Claudio fece rientrare il sistema nella sua logica iniziale. Le XII tavole però
rappresentavano una nuova realtà istituzionale, il fondamento dello ius civile. La libertà dei
pontefici conosce ora un limite evidente, ogni cittadino ora conosce la legge della città.
Queste tavole hanno un valore spartiacque tra il vecchio e il nuovo, tra ciò che è stato conservato
dai decemviri e ciò che è stato introdotto. Un aspetto di antichità lo si può trovare nel sistema che
regola le obbligazioni con i privati, il debitore è legato e sottoposto al creditore, stessa cosa
accadeva per le condotte dannose e illegittime. Sempre nello stesso campo si introduce un pacisci
o un pactum, un accordo tra le parti che supera lo stadio della vendetta, per giungere poi
pienamente ad un accordo privato vincolante fonte di obbligazioni. Così anche la potestas del
pater familias viene ridotta con l’introduzione della mancipatio e così anche meno oppressivo il
matrimonio cum manu. Il testo delle XII tavole risponde alla società agraria di Roma, con alla base
la famiglia fondiaria integrata in assetto territoriale per far rendere al meglio il proprio latifondo, in
questo contesto è stato possibile assicurare una sicura viabilità locale e un efficiente controllo
delle acque. I beni di proprietà erano divisi in res mancipi e res nec mancipi, la prima riguardava gli
immobili gli animali, gli schiavi; per scambiarsi questo tipo di beni serviva la mancipatio, una
formula solenne di scambio. La divisione post-mortem dei beni del pater familia era ben
disciplinata anche se quest’ultimo aveva piena libertà di dettare testamento.
I pontefici in questo contesto si limitavano ad interpretare il testo delle XII tavole adattandole ad
una società in continua trasformazione
IV.4
Nel periodo tra il 444 a.C. e il 368 a.C. a. causa degli impegni militari si attribuì di dare l’imperium
consulare ai tribuni militum, gli ufficiali delle regioni, che erano di rango e di potere inferiore ai
consoli, potevano convocare il senato solo in via eccezionale, a tale carica vennero eletti anche
elementi plebei.
Nel 442 a.C. su introdotta la magistratura della censura per il censimento della città, con ruoli
diversi dai magistrati cum imperium. Il V sec. si chiudeva quindi con importanti aperture verso
l’equiparazione politica dei cittadini, restava invariato il monopolio dell’ager pubblicus patrizio. Su
questo versante la lotta si accese dopo il raddoppiamento dell’ager pubblicus dopo le vittorie su
Veio e i Volsci, l’assegnazione di 7 iugeri ad un gran numero di cittadini, (le terre venivano
assegnate a cittadini sotto la potestas dello stesso pater e quindi esse si sommavano tutte sotto di
lui creando anche grandi latifondi e questo servì momentaneamente a calmare i plebei e ad
alleggerire i loro processi di indebitamento).
Nel 390 a.C. ci fu il sacco di Roma da parte dei Galli guidati da Brenno (questo l’ho aggiunto io),
dalla quale Roma, in piena espansione economica e demografica, si riprese rapidamente. I tempi
erano quindi maturi per un compromesso tra le due forze politiche mentre i nuovi livelli di
ricchezza modificavano notevolmente gli assetti interni. Nel 367 a.C. furono approvate le leggi
Licinie Sestie , patrizi e plebei restarono distinti per tutta l’età repubblicana ma a livello politico si
fusero in un nuovo ceto di governo patrizio plebeo. La prima delle leggi prevedeva che uno dei due
consoli potesse essere plebeo, la seconda introduceva il limite al possedimento fondiario di 500
iugeri, tale da frantumare gli antichi possedimenti patrizi, l’ultima legge prevedeva ad alleviare i
debiti dei plebei. Con la lex Papiria del 326 a.C. il cittadino era sottratto all’asservimento personale
del creditore, restando vincolato sul piano giuridico ed economico. La società romana si era così
liberata degli arcaismi che ne avevano bloccato il pieno potenziale. I censori ebbero competenze
ben meglio delineate con il compito anche di inserire nei ranghi del senato ex magistrati sia patrizi
che plebei.

CAPITOLO 5
V. 1
Non c’è un disegno ben delineato di poteri ben definiti, ma talvolta un magistrato invade la zona di
poteri dell’altro, non esiste una costituzione. Nucleo centrale degli organi dello stato:
CONSOLI: loro avevano il comando assoluto dell’esercito sopra ogni altro magistrato, l’imperium.
La durata di questa carica era annuale. A differenza del rex la loro carica era quasi completamente
laica, non intrisa con la religione, l’unico elemento pervaso erano gli auguria e gli auspicia prima di
intraprendere ogni azione pubblica. L’imperium consolare era poi distinto in imperium domi (se
era esercitato all’interno della città per la vita politica e dei suoi membri) e l’imperium militiae
( per un comando militare al di fuori della città). Una serie di limitazioni per la tutela dei cittadini
all’imperium domi non poteva di certo applicarsi all’imperium militiae, che potevano mettere a
morte i loro soldati in casi particolarmente gravi, successivamente le garanzie dei cittadini vennero
estese anche ai soldati fuori dal pomerium. I consoli non potevano decidere della guerra di
competenza dei comizi centuriati, potevano però provvedere al reclutamento su previa
supervisione del senato dirigere la campagna militare. Potevano anche imporre tributi ai cittadini
per soddisfare le spese di guerra. All’interno della città ai consoli erano riconosciuti i poteri dello
ius agendi cum patribus e ius agendi cum populo, da una parte il potere di convocare il senato per
chiedere consiglio su problemi relativi alla città, dall’altro convocare il popolo per far eleggere
magistrati, l’approvazione di nuove leggi e la proclamazione dei nuovi eletti. I consoli presiedevano
alla gestione del tesoro pubblico sotto il controllo del senato e l’aiuto dei questori. Avevano anche
competenze nella sfera della repressione criminale che veniva però affidata a magistrati minori.
L’unico limite dei consoli era costituito dall’altro console che poteva porre l’intercessio sulle
decisioni dell’altro e degli altri magistrati. Nulla vietava loro si porsi al comando della stessa
armata in tempi di guerra creando confusioni, fino a giungere al patto di esercitare il comando un
giorno però. Il senato provvide a dividere gli incarichi dei due magistrati in modo che non si
pestassero i piedi a vicenda. Avevano il potere della sacrosanctitas, e avevano i littori, guardi
munite di fasce e di scuri.
DITTATORE: in caso di pericolo le cariche magistratuali veniva sospese e veniva dato per 6 mesi
l’imperium maius, uguale a quello dei consoli ma sottratto all’intercessio delle altre magistrature,
durava in carica 6 mesi, doveva nominare un suo magister equitum. Non era eletto ma nominato
da uno dei due consoli e generalizzato su un consenso al vertice della città. Alla fine
dell’emergenza la sua carica finiva e veniva ripristinato il normale assetto politico della città.
V.2
PRETORE: aveva la giurisdizione sui processi privati “iurisdictio”, era titolare dell’imperium ma di
livello inferiore rispetto ai consoli anche se lo esercitava spesso dal momento che i frequenti
impegni belligeranti tenevano occupati i consoli, ed era esposto alla loro intercessio.
La sua iurisdictio si limitava al controllo delle procedure e della verifica della legittimità delle
pretese in conformità della legge vigente, la sentenza che decideva l’esito della causa era lasciata
ad un giudice privato che si basata sugli schemi effettuati in precedenza dal pretore, che doveva
però seguire delle legis actiones che consistevano in una rigida processualità del processo con
fissità delle formule che non lasciavano al pretore molto spazio di interpretazione, le cose
cambiarono nel III sec. a.C. fino a diventare molto più elastico e ad elaborare una più vasta gamma
di rapporti giuridici (ius honorarium).

Ps: le cariche cum imperium, avevano la possibilità di consutlar gli auspucia maiora e potevano avvalersi di un
collegio di amici mentre esercitavano la carica mentre le cariche cum potestas potevano consultare solo gli
auspicia minora.

QUAESTORES: questori, inizialmente in numero di due, poi passarono a 4 ed infine ad 8, preposti


per il controllo delle coste e l’allestimento della flotta, la competenza principale era negli affari
civili e l’amministrazione delle finanze statali con i censori e sotto le direttive del senato.
TRIBUNI MILITUM: erano gli ufficiali superiori all’interno dell’esercito, alcuni eletti dai consoli altri
eletti dai comizi, arrivarono ad un numero di 24, anche se non tutti prestarono servizio nelle
legioni.
TRIBUNATUS PLEBIS: funzione di difesa dei plebei, potevano porre l’intercessio su qualsiasi
decisione magistratuale, aveva la summa coercendi potestas, con cui il magistrato poteva uccidere
il trasgressore delle leggi sacrate anche fosse un magistrato, pur non avendo l’imperium, potevano
convocare il conlium plebis. All’inizio chi fosse stato nominato tribuno della plebe si sarebbe poi
estraniato dal cursus honorum e dall’esercizio delle altre cariche magistratuali.
EDILI: compiti organizzativi all’interno della città, avevano il compito di sovraintendere alla vita
materiale ed economica, dai mercati alla viabilità (per garantire un approvvigionamento di beni di
prima necessità), dalla polizia, all’igiene e alle cerimonie e successivamente ai giochi pubblici.
CENSORI: una carica che riprendeva la funzione dei re etruschi, la redazione del censimento della
popolazione, che distingueva cittadini e stranieri, tra gli schiavi e i cittadini nati liberi. Ciascun
cittadino era collegato ad un possedimento fondiario, che ne definiva la sua collocazione nelle
classi di censo. Loro compito era la Lectio senatus, la lista di senatori, in cui dovevano essere
inseriti i nuovi senatori a seguito del decesso di uno di essi o altri casi. Venivano prescelti ex
magistrati, partendo dalle cariche più importanti (consoli, pretori e questori). Potevano escludere
dal senato un membro che si era macchiato di una grave colpa, la cura morum, la cura dei costumi.
Potevano abbassare il rango sociale del cittadino abbassandolo ad una centuria più bassa. A loro
concerne l’amministrazione dei beni pubblici, sovrintendevano alle attività economiche,
controllavano le entrate e le spese cittadine. Venivano eletti ogni 5 anni e la loro carica durava 18
mesi. Non avevano l’imperium, ma potevano usare la coercizione materiale di altri consoli per
punire le persone che si erano sottratte al censimento.
PRAEFECTI CAPUAE CUMIS: magistrati che assolvevano a ruoli giurisdizionali.
TRESVIRI CAPITALES e i QUINQUEVIRI CIS TIBERIM: magistrati con funzioni di polizia criminale
DECEMVIRI LITIBUS IUDICANDI: giudici permanenti nelle cause di libertà

V.3
Nella prima parte della repubblica il senato era composto quasi esclusivamente da patrizi, solo
quando i plebei cominciarono ad avere accesso alle magistrature cum imperium poterono inserirsi
all’interno di esso con il nome di conscripti. Spettano a tale organismo alcune funzioni, come
quella di approvare le delibere dei comizi in tema di leggi (una serie di leggi tra il 339 e il 290 a.C.
stabilì che non servisse più la delibera del senato ma che esso potesse intervenire
preventivamente presentando una proposta ai comizi attraverso i magistrati). La sua opera quindi
era di supervisione e consulta sull’operato dei vari magistrati, consulenza che non lasciava molti
margini di libertà all’azione del magistrato stesso, esso appare evidente in questioni quali la
guerra, la politica estera, i problemi e affari religiosi. Il senato doveva anche approvare la lista di
candidati per le varie magistrature effettuati dai magistrati in carica. Gestivano l’aerarium populi
romani, attraverso le magistrature dei questori, e le spese ordinarie ed eccezionali della città, che
si configurava con i tributi ordinari che si commisurava alla ricchezza fondiaria dell’individuo. Il
senato fino all’età dei Gracchi avrebbe diretto la vita politica romana senza opposizioni, anche se
con forti tensioni interne. All’interno di essa un ruolo di rilievo avevano gli ex consoli considerati
un punto di riferimento, siccome i consoli sarebbe entrati a far parte del rango senatorio, le loro
azioni durante il loro mandato erano condizionate dal consesso senatorio. Questa omogeneità a
partire dal II sec. a.C. iniziò a venire meno a causa della compagine sociale. La consapevolezza della
carica a vita del senatore dava loro un’enorme indipendenza rispetto agli altri organi del governo.
La sua presidenza era affidata all’ex censore più anziano. Il senato successivamente si arrogò il
diritto di inviare ambascerie verso popoli e nazioni straniere e trattare accordi di rilevanza
internazionale, tali compiti erano affidati ai legati i cui compiti erano prestabiliti da un
senatoconsulto. Appare delinearsi così il carattere consociativo, una realtà secondo cui il potere
politico e di governo non era basato sulla maggioranza e neanche sulla divisione dei poteri ma
sulla compartecipazione dei singoli centri di potere politico, anche se era necessario un minimo di
consenso comune e dove esso mancava scattava il veto insito nella struttura istituzionale. Questo
meccanismo ha funzionato a lungo e in modo efficace.
V.4
L’elezione dei magistrati avveniva davanti ai comizi centuriati, il popolo riunito, diviso per classi di
censo e per età, le centurie dei seniores erano meno affollate delle centurie degli iuniores, di qui il
peso maggiore dell’anziano rispetto al giovane, del ricco rispetto al povero. Le centurie votavano
secondo un ordine progressivo, inizialmente il voto era orale poi si passò alla versione scritta.
Ovviamente le 18 centurie dei cavalieri e le 80 della prima classe votassero in modo unanime
ottenendo così la maggioranza che chiudeva la votazione. La nomina di magistrati superiori e le
grandi decisioni politiche erano di competenza di questo organo. Il magistrato che convocava il
popolo doveva rendere pubblica la motivazione rendendo pubblica la sua proposta sulla quale
sarebbe avvenuto il dibattito per poi passarne alla votazione che poteva accoglierla o meno nella
sua interezza. I nomi tra i quali i comizi dovettero scegliere i magistrati ovviamente erano scelti in
una cerchia ristretta di nomi preselezionati dal senato. Il monopolio legislativo dei comizi fu
scardinato dai concilia plebis. Quando la fase del conflitto plebeo fu terminata i concilia ottenero
valore di legge, nacquero così i concilia tributis, fondati su basi territoriali, ai quali vennero
integrati anche i patrizi chiamati ad eleggere i magistrati minore sine imperio (senza il potere
militare). (leggi Valerie Orazie del 449 a.C.). I comizi centuriati furono chiamati soltanto ad
eleggere i magistrati cum imperio. Il tribuno della plebe da organo di parte divenne elemento
fondamentale per una politica unitaria, il senato talvolta ne sfruttò il potere per limitare l’azione
scorretta di qualche magistrato. L’intervento legislativo della repubblica, non intervenne a
scardinare il carattere consuetudinario del diritto romano, bensì solo circoscritto a modificare il
diritto civile dei romani. Molte leggi erano afferenti all’organizzazione cittadina, come i
provvedimenti per ampliare o limitare i campi d’azione di un magistrato, leggi sul funzionamento
dei comizi stessi. Vi erano poi delibere di dichiarazioni di guerra e accordi internazionali,
fondazioni di colonie, attribuzione degli istituti municipali, allargamento della cittadinanza agli
stranieri. Ci furono anche interventi in tema di debiti, sull’usura, eccessive spese di lusso, le
distribuzioni di grano alla plebe, costruzione e manutenzione di strade e acquedotti, conio di
moneta.
V.5
Ambiguo è il rapporto tra entità politica e il suo diritto, alcune strutture fondanti ( i mores)
preesistono alla prima, il consenso fondato sul diritto è la base della comunità politica stessa.
Dall’altra parte è certo che è la città a produrre il suo diritto e forma istituzionale e si dovette
creare un nuovo concetto di legalità rispetto a quella primitiva del governo del rex. Questa legalità
si esprimeva con l’eguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge e la consapevolezza che
la res publica poneva limiti a tutti gli organi della città, insomma libertà individuale e garanzia
personale del cittadino. La legge non poteva stravolgere i principi fondamentali della città, un
nucleo di idee e garanzie immodificabili e non opprimibili: ius civile. Né il ruolo del senato, ne
quello dei tribuni della plebe sono messi in discussione ma sono costitutivi dell’identità della
citvitas e della costituzione reale della repubblica. Essa è determinata da regole la cui efficacia può
variare nel tempo che si evidenzia con il sovrapporsi del potere dei comizi e del senato, sono
principi privi di una loro reale esistenza ma insiti nell’istituzione. La loro violazione porta alla
creazione della norma stessa. Nelle leggi romane c’è una tendenza al non compiuto e stabilito una
volta per tutte che portò delle profonde trasformazioni profonde con diverse riletture ed
interpretazioni, che permisero a Roma di far fronte a soluzioni completamente nuove modificando
la fisionomia strutturale piuttosto che la logica propria della città. Importante è la laicità del
sistema romano che se pur la religione vi si associ non ci si fonda, trovando le basi sul rispetto di
regole, trovando così una differenziazione tra lo ius civile e lo ius sacrum.

CAPITOLO VI
VI.1
La nuova configurazione di governo era costituita dagli ex magistrati ascesi al rango di senato, essa
guidò la più lunga e duratura storia di successo del mondo antico. Ciascun cittadino ingenus (nato
da padre libero) poteva aspirare ad una carica magistratuale, ma questa carriera era aperta solo
ad un ristretto gruppo sociale. Il buon cittadino è colui che si spende per la città soprattutto in
ambito militare, non dedito alla vita economica, il suo sostentamento è garantito dalle grandi
proprietà fondiarie. Solo il giovane appartenente ad una ricca famiglia e/o che godesse di amicizie
e protezioni allocate poteva pensare ad una ascesa politica. Solo lasicate le armiun giovane poteva
dedicarsi alla politica. Il giovane se si era distinto in guerra era facilitato. Dopo molti anni al servizio
dell’esercito poteva presentare le sue candidature per le magistrature minori. Bisognava avere
molti soldi anche per la campagna elettorale molto dispendiosa sino a costringere i candidati ad
indebitarsi nella speranza di ripagare i debiti con i bottini di possibili future campagne militari. Vi
era quindi una forte selezione superata solo dai migliori e da chi aveva le conoscenze migliori,
avevano un ruolo importante anche le qualità personali.
VI.2
Vi erano una serie di regole per il cursus honorum (la carriera politica) che partiva dalle
magistrature minori fino ad arrivare a quelle superiori, era esclusa una rielezione della carica per
evitare una eccessiva concentrazione di poteri. Tutta la vita politica era controllata dalle gentes, il
rango era determinato dal lignaggio, i comportamenti politici dei singoli erano ispirati alle
tradizioni della famiglia di appartenenza. Rapporti di parentela, appartenenza gentilizia
costituirono in effetti il collante della vita politica romana. Nella vita politica romana appaiono
costantemente ripetuti i nomi delle gens più importanti come quella dei Valerii o dei Claudi,
qualche volta qualche homo novus (persone che per la prima volta nella storia della gens sono
diventati consoli), il popolo minuto era chiamato ad un ruolo di semplice comparsa. Uno
strumento fondamentale era la clientela, un reticolo di alleanze molto complesso, le famiglie più
potenti elargivano protezione ai ceti più deboli, intorno ad esse si venne a creare un reticolo di
alleanze destinato a riflettersi al momento elettorale, è in questo ambito che si inseriscono le
carriere degli uomini nuovi.
Il magistrato che avesse sottomesso una città si sarebbe fatto intermediario tra essa e il senato di
Roma, portando richieste che tale popolazione volesse fare ai romani.
VI.3

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