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L’ETA’ REPUBBLICANA
La caduta della monarchia in Roma – Secondo la tradizione, verso la fine del VI secolo, i Romani, guidati da uomini
appartenenti alla stessa gens del re, cacciarono Tarquinio il superbo e si scelsero due capi annuali, praetores o consules,
eletti dai comizi. Alcuni associano l’evento alla fine dell’espansionismo etrusco, ma ciò appare eccessivo e non spiega
la tradizione che vede Porsenna, giunto in aiuto dei Tarquini e poi alleatosi con i rivoltosi, come un ottavo re di Roma.
Una teoria contrasta l’ipotesi della fine rapida e violenta della monarchia, immaginando l’avvento della repubblica
come conseguenza di un lento processo di esautoramento del rex, probabilmente per l’influenza di fattori quali: il
confronto con le poleis greche, dove il basileus subì effettivamente un ridimensionamento dei poteri; le teorie
evoluzionistiche ottocentesche; la sopravvivenza della figura del rex sacro rum (che, però, può essere spiegato con la
separazione tra la sfera religiosa e quella civile ad opera degli autori del colpo di stato e con il fatto che egli era
inauguratus, per cui sarebbe stata necessaria una exauguratio).
Tale interpretazione sarebbe accettabile solo in presenza di uno spazio di tempo sufficiente ad assicurare questo
processo graduale, ma tra le testimonianze relative a Tarquinio e le leggi decemvirali passa solo circa mezzo secolo.
Inoltre, pur non escludendo che le forze antimonarchiche si siano coagulate più o meno lentamente, la tradizione indica
troppo insistentemente la presenza di una frattura perché si possa trascurare tale dato. Il tramonto della monarchia è
stato il risultato di un processo brusco, giustificato solo in parte dalla situazione generale dell’Italia alla fine del VI
secolo. Gli storici vedono nell’instaurazione della repubblica una rivalsa delle antiche gentes sulle strutture sociali ed
economiche create dai Tarquini e da Servio: non potendo rimettere in discussione certe trasformazioni, l’unica
possibilità era colpire l’elemento costituzionale, il rex, che aveva favorito i mutamenti per loro svantaggiosi.
Le vicende repubblicane fino alle XII Tavole – Per tradizione la data della nascita della repubblica è il 509 a.C., ma
essa si ricava dai Fasti, che non ci sono stati tramandati in un’unica versione. I popoli antichi datavano gli avvenimenti
di ogni anno col nome dei magistrati in carica (eponimi); a Roma l’onore era tributato ai consoli, perciò l’elenco è
chiamato Fasti consolari. Questi sono stati conservati fedelmente solo dal 300 in poi, mentre per i secoli precedenti
esistono redazioni diverse; per evitare fraintendimenti gli studiosi moderni hanno concordato l’uso di un’unica lista,
probabilmente la più lontana dal vero: i Fasti consolari capitolini, che rappresentano la cronologia lunga. Accanto ad
essa esiste anche una cronologia media ed una corta, che probabilmente è quella che più si avvicina al vero.
I primi 50 anni della repubblica sono probabilmente il periodo più oscuro della storia romana; le indicazioni dateci dalle
fonti non sono né chiare né univoche e la stessa vicenda costituzionale è incerta: i Fasti presentano sin dall’inizio una
coppia consolare, ma una serie di indicazioni diverse suggerisce la presenza di un solo magistrato supremo, il praetor
maximus, cui corrispondevano uno o due magistrati subalterni.
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- sociale: riguardava soprattutto l’assenza del conubium tra patrizi e plebei; secondo alcuni tale divieto derivava
dall’operazione di chiusura da parte del patriziato, anche se Livio lascia intendere che il divieto fosse originario. Il
termine conubium indica la legittimazione di individui appartenenti a ordinamenti diversi di stringere matrimonio
valido; l’assenza dello stesso impedisce il formarsi di un legittimo vincolo matrimoniale e, di conseguenza, il
riconoscimento della legittimità dei figli nati dal rapporto, i quali, perciò, invece di essere sottoposti alla potestas del
pater, restano legati alla condizione della madre. Probabilmente, l’assenza del conubium tra patrizi e plebei doveva
servire a conservare la purezza della gens, impedendo che i figli nati da un’unione mista potessero entrarne a far parte.
Lo sviluppo del processo criminale e le leggi de provocatione - Con la separazione tra funzioni religiose e politico-
militari, attuata nella repubblica, la suprema dignità sacerdotale passò al rex sacrorum e poi al pontifex maximus,
mentre al primo magistrato della repubblica fu attribuito il comando degli uomini in armi, con la conseguente possibilità
di esercitare la coercitio derivante dall’imperium rispetto a tutti i cittadini (qui populus=esercito). Per limitare tale
potere ed impedire abusi, si decise di subordinare l’irrogazione delle più gravi misure repressive al giudizio del popolo
riunito in assemblea; nacque così la provocatio ad populum, istituto in virtù del quale un cittadino perseguito in via di
coercizione dal magistrato esercitante l’imperium poteva sottrarsi a fustigazione e morte chiedendo l’instaurazione di un
processo davanti ai comizi. Secondo alcuni l’istituto nacque come mezzo di difesa della plebe contro i patrizi, ma più
probabilmente fu uno strumento di tutela voluto dallo stesso patriziato; teoricamente esso era a disposizione anche dei
plebei, che però difficilmente poterono utilizzarlo nell’età più antica della repubblica.
Le fonti ricordano 3 successive leggi de provocatione:
- una lex Valeria del 509, per cui nessun magistrato poteva far fustigare e mettere a morte un cittadino romano che
avesse provocato al popolo
- una lex Valeria Horatia del 449 con cui veniva vietata la creazione di nuove magistrature esenti da provocatio
- una lex Valeria del 300, di contenuto analogo alla prima, ma che prevedeva una più efficace sanzione, dichiarando
meritevole di riprovazione l’atto del magistrato che avesse fatto fustigare e uccidere un cittadino nonostante questi
avesse provocato al popolo
L’ultima è storicamente provata e non sembra che le precedenti siano solo sue proiezioni nel passato, anche perché
quella del 449 non ha lo stesso contenuto delle altre 2; al limite, la falsificazione degli annalisti potrebbe riguardare
l’attribuzione di tutte e 3 le leggi alla gens Valeria. Inoltre, la preesistenza del limite della provocatio rispetto alle XII
Tavole è attestato: 1.dalle testimonianze degli antichi scrittori per cui i decemviri e il dittatore ne erano sottratti; 2.dalle
leggi Aternia Tarpeia del 454 e Menenia Sextia del 452 che fissavano a 30 buoi + 2 pecore (3020 assi) il limite delle
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IL PRINCIPATO
Optimi status auctor: il principato di Augusto - Dalla guerra aziaca Ottaviano usciva con un enorme potere, cui però
doveva dare una veste legale, creando i presupposti costituzionali per il suo esercizio, di fatto monarchico, conservando
nello stesso tempo il quadro istituzionale repubblicano per il quale aveva lottato. Si trattava di creare un regime. Da ciò
il procedere caratteristico della politica di Augusto tra il 31 e il 27 a.C., con una peculiare tendenza al compromesso, nel
senso che tale politica fu estremamente prudente e sempre incline a mediare tra i contrastami interessi di classe,
favorendo la creazione di un nuovo equilibrio sociale e tentando di contemperare le esigenze dei ceti vittoriosi con
quelle dell'ordo uscito sconfitto dalle lotte civili.
Finita la grande paura con l'instaurazione della pace, ad Ottaviano, forte di un larghissimo consenso sociale spettava ora
ii compito della restaurazione della normalità nei vari settori della vita sociale e politica. Questa normalizzazione,
condotta in modo lento e prudente, consistette nel calare, in forme ideali repubblicane, la realtà di un potere personale
assoluto. Che il problema non fosse facile è indicato dalla gradualità con cui esso venne affrontato e dalla riluttanza di
Ottaviano ad abbandonare una reale posizione di potere finché non fosse pronta una soluzione alternativa validamente
gestibile. Così egli fino al 27 mantenne una posizione difficilmente sostenibile su un piano strettamente costituzionale,
giustificandola sulla base di una nozione di origine extragiuridica e di natura politico-ideologica quale era il consensus.
Nel 32, scaduti i poteri straordinari conferiti dalla lex Titia ai triumviri nel 43 e rinnovati per il quinquennio 38-33, egli
poteva contare sul giuramento dell'Italia e delle province occidentali e sulla sacrosanctitas e sul ius auxilii spettanti ai
tribuni della plebe e conferitigli nel 36. Inoltre, dal 31, assunse ogni anno il consolato, con evidente incostituzionalità e
nel 30, dopo la morte di Antonio, in 3 successivi senatoconsulti si fece conferire altre potestà tribunizie.
La sistemazione dell'Egitto è un esempio della strategia con cui Ottaviano si mosse nella progressiva costruzione del
nuovo ordinamento. L'Egitto presentava caratteri sociali e culturali abbastanza singolari; in esso convivevano 2 culture,
l'egizia e l'ellenistica, talora fuse ma più spesso solo giustapposte, ed a cui ora veniva ad aggiungersene una terza.
Ottaviano aggiunse l'Egitto all'impero del popolo romano, dotandolo di un'amministrazione direttamente ordinata
dall'imperatore che le aveva aggiunto a quell'impero; il suo governo venne affidato attraverso una lex data ad un
funzionario di rango equestre, il praefectus Alexandreae et Aegypti. Ai senatori fu invece addirittura vietato l'accesso
all'Egitto. Erano in tal modo soddisfatte fondamentali esigenze di opportunità e di sicurezza: da un lato si concedeva
agli Egiziani qualcosa che li compensava della perdita del loro re-dio, con il rappresentante diretto dell'imperatore
romano; dall'altro si evitavano, escludendo un funzionario di rango senatorio, ambizioni pericolose per la pace in quel
momento conquistata. In questo senso appare istruttiva la vicenda politica di Cornelio Gallo, primo prefetto d'Egitto,
con la sua ascesa fulminea e con la sua rapida fine. Tra gli altri provvedimenti, l'autorità della casta sacerdotale fu
ridimensionata, il sistema fiscale fu riordinato e orientato per il mantenimento della plebe romana e furono modificati
anche l'ordinamento tributario e le strutture amministrative. La creazione della prefettura egiziana fu la prima breccia
nell'ordinamento repubblicano e il primo passo per la costruzione del novus status.
Il rapporto con il senato fu uno dei punti cruciali della politica di Ottaviano, specie in questa prima fase del principato.
L'interdizione ai senatori di entrare nel territorio egiziano rifletteva i sentimenti di diffidenza e di sospetto che provava
Ottaviano nei suoi confronti e l’acquiescenza del massimo organo dello stato nei confronti del nuovo signore. Subito
dopo la morte di Antonio, il senato emanò 3 senatoconsulti, ratificati poi da plebisciti, conferendo ad Ottaviano il ius
auxilii esteso oltre il pomerium sino al primo miliario, il potere di giudicare sugli appelli proposti contro atti di
magistrati ed il calculus Minervae, il potere di integrare con un suo atto di grazia il voto mancante per l'assoluzione.
L'umiliazione cui era sottoposto il senato e la rinuncia alle sue prerogative non riuscì a conciliargli la benevolenza di
Augusto che, per epurarlo dai suoi avversari, nel 29 fece una prima lectio senatus. Non fu quella grande opera di
moralizzazione che la sua propaganda andavano divulgando: tra dimissioni ed espulsioni, non furono più di 190 quelli
che abbandonarono l'assemblea, dei più di 1000 che allora la componevano. Ma Ottaviano raggiunse l’obiettivo che si
era prefisso, quello di avere un corpo più omogeneo, malleabile e disponibile agli ulteriori sviluppi della sua politica.
Da questo corpo egli si fece proclamare princeps, richiamandosi ad un titolo che era stato illustrato dalla tradizione
repubblicana. Con lo stesso spirito, assunse stabilmente il praenomen di Imperator; così facendo, Ottaviano compì un
passo decisivo nella demolizione del vecchio ordinamento. Per esso, i cives Romani erano come assimilati ai soldati;
svaniva così la distinzione fondamentale tra imperium domi ed imperium militiae; e soprattutto, con la trasmissibilità
del praenomen al figlio primogenito, si creava un presupposto determinante per un mutamento della forma istituzionale,
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IL DOMINATO
La riforma di Diocleziano - Nel 284 d.C. viene acclamato imperatore dall'esercito l'illirico Diocleziano, che chiama
ben presto al suo fianco come collega un fedele generale, Massimiano, cui affida il governo delle province occidentali
dell'impero, mentre egli conserva l'amministrazione di quelle orientali. Entrambi gli imperatori hanno il titolo di
Augustus, ma Diocleziano si riserva i supremi poteri di direzione politica e di comando (egli assume infatti l'appellativo
di lovius, mentre a Massimiano va quello di Herculius). Repressi alcuni tentativi di usurpazione, Diocleziano procede a
un'ulteriore suddivisione nel governo dell'impero nominando due Cesari, Galerio e Costanze Cloro, il primo assegnato a
se stesso e l'altro a Massimiano. A ogni Cesare spetta il governo di alcune province tra quelle attribuite al rispettivo
Augusto, sicché l'amministrazione dell'impero risulta conferita a 4 persone, unite sia da legami di lealtà che da vincoli
di parentela (i Cesari sposano infatti le figlie dei rispettivi Augusti e vengono da questi adottati). Il sistema tetrarchico
ha lo scopo sia di assicurare all'impero un'amministrazione più vigile ed efficace, che di regolare anticipatamente la
successione al trono: viene infatti stabilito che, alla morte di un Augusto, gli subentri automaticamente il proprio
Cesare, il quale, divenuto a sua volta Augusto, provvederà a nominare un nuovo Cesare.
Comunque non si trattò di una divisione dell'impero in 4 regni, né di una separazione fra Oriente e Occidente: l'impero è
sempre formalmente e di fatto uno solo, conservando Diocleziano una posizione di supremazia politica e di controllo
sugli altri tetrarchi, sicché le riforme introdotte nel suo periodo di regno possono essere attribuite alla sua volontà.
Mentre il sistema tetrarchico si risolverà in un fallimento, le altre riforme di Diocleziano sulla struttura dello stato e
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Le opere che vanno sotto il nome di un giurista classico - Sono falsamente attribuite a 2 giureconsulti classici 2 opere
che la più recente critica ha giudicato rielaborazioni di iura classici compiute dalla giurisprudenza del basso impero:
- i Tituli ex corpore Ulpiani ci sono tramandati attraverso un manoscritto conservato nella Biblioteca Vaticana. L’opera
ha il carattere di una trattazione elementare e ci è giunta incompleta. I passi sono distribuiti entro 29 titoli; alcuni
frammenti si possono leggere anche nella Collatio e nel Digesto, ove vengono riferiti a un'opera ulpianea dal titolo
Liber singularis regularum. Ciò ha fatto sorgere diverse ipotesi sulla vera natura dell'operetta: si è dapprima ritenuto che
i Tituli siano un riassunto del Liber singularis regularum. La dottrina più recente ha affacciato altre ipotesi: che si tratti
di una crestomazia di passi scelti tratti da varie opere di Ulpiano, o di un'epitome delle Istituzioni di Gaio completata da
qualche definizione o classificazione ulpianea, o che le fonti da cui l'opera deriva siano e le Istituzioni gaiane e il Liber
singularis regularum ulpianeo. Il fatto che l'opera venga definita come un complesso di titoli tratti da un corpus Ulpiani
farebbe effettivamente pensare che almeno il nucleo originario di essa sia costituito da una crestomazia di passi
ulpianei. Il termine corpus, usato nel significato di raccolta di passi scelti (o di opere) dello stesso giureconsulto, si
rinviene infatti anche in altre fonti postclassiche.
- le Pauli Sententiae, il cui testo, suddiviso in 5 libri ripartiti in titoli, ci è tramandato in buona parte dalla lex Romana
Visigothorum e da altre fonti di epoca tarda, per cui è stato possibile effettuarne una ricostruzione quasi integrale. Non
si tratta di un'opera originale del giurista Paolo; la dottrina ha accertato che le Pauli Sententiae sono una crestomazia di
passi scelti, tratti per lo più da varie opere pauliane, ma anche da scritti di altri giureconsulti classici. Non tutti i passi
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