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IL MONDO DEI MEDIA

1. Strumenti, processi, teorie


CAP. 1 TECNICA, ORALITA’, SCRITTURA. CORPO E COMUNICAZINE
1.1 La tecnica del Monolite: tecnica e specie umana

A partire dall’esempio del film 2001: l’odissea nello spazio, si può capire quale è stata la prima tecno-
logia utilizzata dell’uomo: la clava. È stata il primo contatto intimamente tecnologico tra specie u-
mana e ambiente. Questo dimostra, dunque, l’innata coincidenza tra tecnica e umanità nel campo
dell’agire, attraverso l’invenzione della mano. Che sviluppandosi si è modificata fino ad avere il polli-
ce opponibile; il quale viene presentato alla comunità tramite una serie di fonazioni e gesti rudimen-
tali, ma codificati e condivisi, che rendono possibile l’apprendimento della tecnica a tutti. Ciò ci fa
capire l’importanza del processo comunicativo e si può affermare che “dove si da’ comunicazione esi-
ste una forma di società”.

1.2 Il Mito, il rito e l’invenzione del segno

Prima di parlare del mito, bisogna specificare cos'è un segno e da dove nasce la sua invenzione. Pos-
siamo ricondurla al Paleolitico quando per comunicare si utilizzavano i graffiti sulle pareti delle ca-
verne, in particolar modo erano raffigurate scene di caccia. Ed è qui che si intrecciano tecnica e co-
municazione per la prima volta e si viene a creare un primo tentativo di “simbolizzazione dello spa-
zio antropico” mediante la riproduzione segnica del vissuto.
Secondo Batoille la nascita dell’arte corrisponde alla nascita dell’uomo, perché quest’ultimo imprime
per la prima volta la propria presenza “entro il mondo dei fenomeni” restituendo l’oggetto del suo
sguardo e del suo pensiero, la prova di esserci.
Quindi il segno è il punto d’incontro tra astrazione e materia, pensiero ed immagine che prelude a
sistemi comunicativi più elaborati e linguistici.
Le pitture di Lascaux hanno anche carattere rituale, e da queste è impossibile non crearne una narra-
zione, ed è proprio così che iniziano a prendere forma il mito. Il mito è considerato il primo modo di
organizzare il sapere degli antichi. È attraverso esso che l’uomo amplia il concetto di trasmissibilità
verbalizzando i fenomeni di importanza collettiva, per ricomporli in sequenze logiche e ordinate.
Compito cruciale dei miti e dei riti è riplasmare i passaggi cruciali della collettività a misura
dell’uomo e della sua capacità di pensiero, attribuendo loro un sistema codificato di norme ed ele-
menti riconoscibili- i topoi- al fine di delimitare l’esperienza sia sul piano della conoscenza che su
quello della temporalità. Nel complesso narrativo di ritualità e mitologia (definito terzo tempo) av-
viene l’istituzionalizzazione del rapporto fra tempo vissuto e tempo cosmico.
Miti e riti sono racconti grazie ai quali va ripetutamente a verificarsi la rappresentazione identitaria.

1.3 Innovativo e repetitio

Miti e riti si fondono sul meccanismo della repetitio: come i fondamentali punti di snodo
dell’esistenza, così i rituali che ne riorganizzano il senso ricorrono e si ripetono riproponendo la sto-
ria delle cose. Allo stesso modo, le credenze che sono alla base dei riti vengono tramandate e danno
vita a tradizioni e processi culturali alla base dell’identità dei popoli, ciascuno di quali si ritrovano
nel modello mitico, l’archetipo, sottoponendolo ad un processo di innovatio , una modificazione che
rimanda ai tratti dello scambio tra mito stesso e il contesto sociale che lo socializza, (ri)costruisce e
(ri)condivide.
I miti di fondazione confermano lo schema archetipico su cui si basano; l’innovatio aggiunge la va-
riazione dell’inedito all’abitudinarietà della repetitio con lo scopo di dare e rafforzare il senso stesso
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della ripetizione nel contesto comunitario che vi partecipa.
Miti e riti servono a comunicare la comprensione di quel che l’uomo vive, inserendo un momento di
sospensione tra il tempo sociale e il tempo della natura, e anche la loro sostanza risponde e viene
scandita da un ritmo preciso. Questo accade in primo luogo per una funzione strumentale, in quanto
trasmessi oralmente. L’ oralità si fonda sulla centralità della memoria e del ritmo, che ne facilita
l’esercizio. La dimensione orale investe l’opera in ogni sua fase, a partire dalla composizione alla pre-
formazione, lo si può notare nei poemi epici dell’Iliade e l’Odisse, dove prende forma l’epos (tipo di
narrazione che racchiude i miti e le figure fondative della collettività). È la stessa epica di Omero a
tracciare il profilo identitario del suo pubblico. E secondo la stessa logica si sviluppa il teatro tragico
del V secolo a.C.

1.4 Potere e comunicazione dai templi alle ferrovie

Soltanto in un secondo momento i contenuti della tradizione orale diventano fonti scritte così da es-
sere diffuse nel tempo e nello spazio come una testimonianza della vita nelle società delle tribù.
La scrittura attraversa una fase di elaborazione lunga e complessa con diverse forme e sviluppi:
Pittografia: Prima forma, letteralmente una scrittura dei segni quasi indistinguibile dalla pittura.
Prima codifica nelle tavolette di Uruk. Tavolette di pittogrammi che rappresentavano beni agricoli e
di consumo da gestire e razionare. Qui si vede come nella scrittura si vogliono comunicare anche
concetti privi di corpo (il tempo, la vita, la morte…) e socialmente costruiti.
Il potere normativo delineato dalla parola scritta va a realizzarsi nel momento in cui avviene un al-
lontanamento dei segni rispetto ai loro riferimenti fisici è ciò che in parte accade con la scrittura di
tipo: Ideografico, Vigente in Cina, basata sull’associazione tra idee e grafica, concetti e stilizzazione.
Nell’antico Egitto, invece, si utilizza la scrittura geroglifica (iscrizione sacra) acquisisce un ruolo deci-
sivo per ciò che riguarda il rapporto tra corpo, tecnica e comunità: lo scriba. Lui ha il compito di
amministrare i beni collettivi per le sue competenze tecnico-linguistiche, e questo gli dà enorme po-
tere sia simbolico che operativo. Cambiano anche i supporti su cui si scrive, da tavolette di pietra si
arriva ai papiri che velocizzano anche il processo di trasformazione che porterà a convivere il domi-
nio sonoro dell’oralità a quello visivo della scrittura.
Il mare assume un ruolo molto importante nei processi di creazione di reti comunicative nate attra-
verso lo svilupparsi della scrittura e quindi della semplificazione del linguaggio. La selezione culmina
a Micene e a Creta dove si stabilizza una scrittura sillabico-fonetica che assegna ad ogni sillaba un
segno diverso.
I Fenici forniranno alla cultura greca i fondamenti per un sistema compiuto di rappresentanza dei
singoli suoni: l’alfabeto.
La tecnologia della parola scritta si configura come spazio di definizione delle relazioni tra corpi e
poteri.

1.5 Sorvegliare e punire: la scrittura sul corpo

La scrittura, in veste di artefatto che si innerva tra corpo e apparato cognitivo dell’uomo, diventa lo
strumento privilegiato per memorizzare, organizzare e recuperare la conoscenza disperdendo il sog-
getto e allo stesso tempo consentendogli di ritrovarsi, di negoziare di volta in volta il senso della
propria presenza nell’ordine delle cose. Questo è il messaggio che identifica il medium, per usare la
fortunata espressione di Marshall McLuhan “essenza dell’accelerazione” ed “estensione del potere”.
L’interrelazione fra sapere e potere allora sorge spontanea. L’investitura sacrale del ruolo degli scribi
è parte di un processo che avanza nel tempo, radicandosi attraverso utilizzazioni e figure della scrit-
tura sempre più specializzate. Dopo l’avvento del Cristianesimo la parola scritta ottiene lo statuto di
“fonte di rilevazione e documentato imperituro” fissato sul supporto della pergamena.
La parola scritta ottiene lo status di fonte di rivelazione e documento imperituro. Se la comunicazio-

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ne dei contenuti continua a sfruttare un canale orale, che in parte o indirettamente si rivolge ancora
alla collettività, la loro proprietà e gestione resta appannaggio esclusivo di pochi. È proprio nei ter-
mini di questa tensione costante fra chiusura e apertura, mobilità e rigore, che il corpo sociale attua
la riscrittura delle sue gerarchie, imprimendo nuove orme e nuovi ordini sui singoli corpi degli indi-
vidui, ai primi vagiti di quella che sarà, a distanza di diversi secoli, l’età moderna.

1.6 Oralità e scrittura: una perenne convivenza dagli Accadi al web

A partire dalle prime forme di comunicazione segnica costituite dalle pitture di Lascaux e prose-
guendo con l’invenzione di un sistema codificato di rappresentazione grafica dell’habitat visivo-
sonoro dell’uomo, si è constatato come la costruzione sociale della comunicazione si leghi intima-
mente all’ominazione della specie. Ne deriva che è lo stesso insieme dei media ad assumere la confi-
gurazione di un sistema, dove la relazione di mutua influenza delle parti conduce al costante riuso
delle forme comunicative anche nei casi in cui il loro spazio mediatico va spontaneamente ad esau-
rirsi. È necessario sottolineare l’assoluta necessità del linguaggio dell’adattamento dell’uomo alla
Terra e il modo in cui il suo viluppo sul doppio fronte dell’oralità e della scrittura sia proseguito fino
a noi, ri-mediandosi in nuovi oggetti e ambiti comunicativi. La comunicazione dell’uomo è rimasta
ad articolarsi in un misto di scritto e parlato, a richiedere l’ascolto come il supporto grafico, lo stor-
ytelling verbale accanto a quello per immagini, presupponendo in qualsiasi caso, la codifica e decodi-
fica di un universo segnico complesso e variegato, oggetto fluido di studi mediologici.

CAP 2. INDUSTRIA CULTURALE. QUESTIONI TEORICHE E PROSPETTIVE STORICHE


2.1 L’ambigua nozione di industria culturale
Il concetto di industria culturale viene introdotta da Alexis de Tocqueville nella sua opera sul sistema
socio-politico americano tra il 1835 al 1840. Ma solo nel 1947 si afferma nel dibattito scientifico grazie
a Theodor W. Adorno e Max Horkheimer scrissero un saggio; all’interno del quale affermano che per
loro il processo di industrializzazione applicato alla cultura costituiva un gigantesco e pervasivo si-
stema capace di far interagire strettamente individualità, saperi teorici e professionali, dispositivi
tecnologici e apparati produttivi al fine di governare i processi economici nell’epoca delle masse me-
tropolitane. Tale sistema, da essi identificato “forma psichiatrica del dominio”, sarebbe funzionale ad
una società di massa sostanzialmente autoritaria, diventando sempre più astratta, gerarchica e buro-
cratica.
La riflessione dei due sociologhi è un atto di accusa contro lo sviluppo della modernità capitalistica.
Frutto e bersaglio di queste dinamiche è la massa, che nasce con gli effetti della Rivoluzione Indu-
striale. La massa è erede diretta ed evoluzione ideologica di quella che nell’800 era la folla.
Con questo saggio si afferma e radicalizza un’interpretazione dell’insieme dei processi definibile co-
me industrializzazione delle forme estetiche: quella per cui la rivoluzione industriale avrebbe prodot-
to effetti devastanti sul corpo della cultura occidentale, che ne ha determinato la decadenza. La cul-
tura di massa diventa il volto barbarico di una contemporaneità in cui i rapporti socioculturali con-
solidati smarriscono la propria dimensione valoriale. La conclusione dei due sociologi è che la massa
si configuri come un insieme di ricettori passivi di tutto ciò che viene loro propinato dal mercato e
dai media, destinati a soccombere senza resistenza alla dittatura della comunicazione di massa che si
realizza nell’industria culturale. Ed è interessante notare che una prospettiva di sostanziale negativi-
tà vede concordi diversi studiosi della società.
Però c’è da precisare che c’è chi osserva la trasformazione in atto con atteggiamento più fiducioso e
ottimistico.
I concetti di industria culturale, cultura di massa, mass media e comunicazione di massa sono spesso
confusi tra loro, anche perché le sostanze di cui si compongono sono le stesse; ma è necessario indi-
viduare gli elementi che li differenziano sia sul piano teorico sia metodologico.

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Innanzitutto si può considerare l’industria culturale come un “sistema” di relazioni, veri flussi di in-
formazioni che supportano lo sviluppo della società industriale poiché capace di attrezzarsi conti-
nuamente nei confronti della complessa mutevolezza delle condizioni sociali di riferimento.
Morin con un approccio antropo-sociologico attua un processo di osservazione delle trasformazioni
e si pome una domanda fondamentale: “chi e perché consuma i prodotti della cultura di massa?” e
mette in discussione la neutralità o la condizione super partes dell’intellettuale a indagare i rapporti
che si instaurano tra pubblico e industria culturale. Lui stesso non risponde a questa domanda per-
ché volge la sua attenzione più sulle dinamiche della cultura di massa, ai suoi meccanismi di affer-
mazione e negoziazione sociale, ai suoi media più incisivi. Egli elude parzialmente sul piano metodo-
logico la questione dell’origine del processo di industrializzazione della cultura – dunque della nasci-
ta e del progressivo definirsi di una cultura industriale estese a tutto il corpo sociale.
Tra i francofortesi e Morin si colloca quell’eterogeneità di posizioni che rimanda alla natura profonda
dei conflitti di culture nel passaggio epocale tra Ottocento e Novecento.

2.2 Tra ideologia del progresso e nostalgia del passato


La trasformazione degli scenari tecnologici è legata all’ascesa veloce della borghesia e all’emergere di
un nuovo sistema di relazioni tra le diverse componenti della società che ridisegna i termini fenome-
nologici della costituzione della realtà, anche mediante nuove tecnologie della comunicazione come
il telegrafo elettrico di Samuel Morse o la locomotiva, applicazione mobile della macchina a vapore
di Wat che dagli anni 20 rende possibile la costruzione della rete ferroviaria e ad affermarsi quindi di
pratiche relative al viaggio e le dinamiche di visione (finestrino diventa lo schermo dromoscopico,
come una vera anticipazione del cinema), dai caratteri sovvenivi al tradizionale senso del luogo.
Al centro della rivoluzione industriale c’è la fabbrica, luogo dove nascono nuovi processi di socializ-
zazione. Il lavoro in fabbrica da vita al processo di alienazione, come vediamo ben rappresentato dal
personaggio di Charlie Chaplin in Modern Times(1936) , il moderno operaio viene alienato della ca-
pacità di realizzare il ciclo produttivo del suo insieme e si riduce ad essere esecutore di funzioni basi-
lari. Questo processo nasce dall’ingegnere statunitense Tyler (quindi taylorismo), il quale distingue il
tradizionale lavoro concreto dell’artigiano, al nuovo lavoro astratto in cui è assente l’ottica del pro-
getto e la possibilità di personalizzare soggettivamente il lavoro. Questa prospettiva rappresenta
l’elemento di contraddizione del sistema. Sul dissidio secondo cui non si può inserire un’identità in-
tellettuale nell’ambito di un lavoro collettivo si basa l’innovativa potenza comunicazionale della fab-
brica dei sogni: Hollywood, il luogo fisico in cui la complessità della vita sociale diventa immagine in
grado di contenere i conflitti del presente, inscrivendo un innovatio sul piano mediatico della rap-
presentazione.
Walter Benjamin in “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” sostiene che
nell’ambito moderno la quantità diventa un elemento qualitativo, , cioè che la presenza delle masse
sulla scena della storia debba essere considerata come un fattore vincolante per i processi culturali.
La scelta degli intrecci narrativi che sono alla base dei racconti di genere, dei fumetti, dei radio-
drammi e dello stesso cinema, rispondono proprio all’esigenza primaria di mettere in figura le condi-
zioni della massificazione in atto nella società. Il protagonismo storico delle masse si fonda su alcuni
meccanismi di formidabile impatto come la loro duplicità, che si esprime nella doppia natura di pro-
duttori e consumatori delle merci: chi lavora alla realizzazione dei prodotti è anche parte del corpo
sociale. Razionalizzando il processo produttivo, la fabbrica introduce una distinzione tra tempo lavo-
rativo e tempo libero, in cui quest’ultimo resta comunque funzionale alle strategie economiche poi-
ché è destinato sia ai consumi, sia al soddisfacimento di quelle esigenze di socializzazione ce non
possono essere escluse dai vissuti moderni.
La metropoli è il nuovo paradigma urbano che nasce dall’affermazione dell’industria: essa è la forma
assunta dalla città nel momento in cui si riassetta intorno al rigoroso modello della fabbrica, è la sede
in cui la stessa operazione investe il piano dei rapporti sociali.
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Non riusciremmo a comprendere la rifondazione complessiva della società moderna se non contem-
plassimo lo sviluppo delle reti informative che è alla base del sistema dei media di massa e come tale
sistema non si sviluppi unicamente in direzione degli interessi di organizzazione delle reti finanzia-
rie legate ai mercati e alle borse. Nel passaggio tra Ottocento e Novecento, il processo di massifica-
zione che si attua nella società industriale, rendendola possibile, riscrive i tradizionali termini di so-
cializzazione. Ma questo transito apre il campo a un conflitto molto aspro, in cui si scontrano basi-
camente tradizioni e innovazioni. La classe degli intellettuali, soprattutto nei paesi europei che mag-
giormente vivono l’industrializzazione, tende ad individuare nelle masse l’emergenza eversiva di
classi pericolose che andavano definendo la propria soggettività. L’impatto visivo delle masse, il loro
prendere possesso degli spazi sacrali della metropoli, concorre a rendere lo sviluppo metropolitano
una minaccia all’identità dell’occidente e, dunque, origine della sua crisi. L’attività del soggetto,
sembra suggerire con una certa lungimiranza il poeta Charles Baudelaire, si rivolge verso la dinamica
dimensione dello spettatore, in una metropoli che è già palinsesto di flussi comunicativi e nella quale
egli si muove riorganizzando le traiettorie dello sguardo in anticipo sulla visionarietà dei media au-
diovisivi. La contraddizione sistematica dei propri assunti è la caratteristica della modernità: l’uomo-
massa riconosce sé stesso come unico e irripetibile; tuttavia, egli è sé stesso solo nella relazione sim-
bolica e socioeconomica con l’altro da sé; quindi, con l’aspetto collettivo dell’ambiente in cui vive. Le
forme dell’industria culturale permettono il mantenimento di un equilibrio sostanziale tra questi
piani divergenti.
L’ossimoro uomo-massa, che descrive il moderno soggetto industriale, è il problema che deve af-
frontare l’intellettuale proteso alla rappresentazione di questo tempo storico, segnato da trasforma-
zioni che possono essere metabolizzate solo da un serrato processo di produzione simbolica. Il con-
sumo, nella sua dimensione massificata, si presta con efficacia a conciliare i meccanismi di individua-
lizzazione e quelli della conformità sociale che incessantemente si intrecciano nel corpo delle masse.
Per lo scrittore americano Edgard A. Poe la soluzione consiste in un esercizio della comunicazione
letteraria intesa come sperimentazione di un immaginario basato sulla frizione produttiva fra tradi-
zione e sentimento del tempo moderno. I suoi racconti si snodano tra mondi pieni di rovine in cui il
passato torna a noi come malattia del presente, come architettura simbolica di una trasformazione
divisa tra speranza e disperazione. Questa estetica della nostalgia permea tutta la prima fase
dell’industrializzazione dei linguaggi espressivi: illustrando i conflitti in atto nel passaggio tra mondo
della tradizione e mondo moderno, i testi e le pratiche dell’industria culturale rendono possibile me-
tabolizzare il cambiamento intrecciando un tessuto di continuità con il passato.

2.3 Dalla morte dell’arte allo spirito del tempo moderno


In un mondo che si mercifica le forme dell’arte non possono mantenere inalterati i propri statuti.
L’istituzione del tempo libero ha messo in luce l’esigenza di avere all’interno della giornata dei mo-
menti rivolti a pratiche di socializzazione rivolte sia per l’esercizio del territorio, sia per
l’individuazione di territori di territori di differente natura, quelli limitati dalla soggettività e comu-
nicazione che si aprono intorno ai media di massa: la lettura solitaria o comunitaria, la frequentazio-
ne di luoghi espositivi dell’arte, la partecipazione ai riti collettivi dello spettacolo, l’acquisizione di
competenze per utilizzare i nuovi media.
Lo sviluppo delle società industriali ha prodotto un interessante effetto: la crescita
dell’alfabetizzazione; inizialmente subordinata all’esigenze lavorative, ma poi esteso a tutta la socie-
tà. Quindi aumentala fruizione delle opere letterarie diventando un consumo vero e proprio, coin-
volgendo un pubblico nuovo e diverso (le classi lavoratrici, principalmente donne), tanto da influen-
zare la realizzazione dei testi che Marx definisce “lavoro del consumo”. Nasce così la letteratura
d’appendice (così detta perché appariva in appendice ai primi prototipi di stampa periodica popola-
re), che realizza strategie nuove, negoziate con un pubblico in veloce evoluzione. Nei primi esempi
della serialità, si cerca un intrattenimento in grado di restituire loro gli elementi di coesione sociale
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messi in crisi dal processo di inurbamento e trasformazione delle prospettive di esistenza. C’è quindi
lo scopo di far comunicare gli esseri umani, ricorrendo a forme di “racconto del mondo”. Questo ti-
po di letteratura si rifà a quello che era il mito, ovvero una forma narrativa che cerca di dare un ordi-
ne del mondo umano e dei suoi accadimenti e quindi riuscire a rendere comprensibili le veloci tra-
sformazioni in atto nel mondo della fabbrica e della metropoli. È facile intuire, dunque, il forte valo-
re simbolico di questo tipo di letteratura.
In questo contesto cambia anche il modo di intendere l’arte; Hegel ci parla di morte dell’arte in rife-
rimento alla stagione del romanticismo europeo e l’incapacità moderna di esprimere l’unione assolu-
ta tra forma e contenuto che era stata raggiunta nell’arte classica. L’arte romantica esprime divarica-
zione insanabile tra sensibilità e rappresentazione che segna integralmente l’esperienza dell’arte mo-
derna, riverberando la natura lacerata e conflittuale che caratterizza la società industriale nel suo ra-
pido divenire.
La fine de bello inteso come espressione di un universo armonico si apre a inedite aperture soggetti-
ve, dissonanti, “mostruose”: un esempio il mostro di Frankenstein di Mary Shelly. Quest’opera attra-
versa due secoli di storia, ancora efficiente, nei consumi mediali grazie alla sua dichiarata adesione
agli stilemi e alla struttura del mito. Le interpretazioni del romanzo rimandano all’inquietudine che
il soggetto moderno, espressione di una cultura laica e post-illuminista, sperimenta nella difficoltà di
relazionarsi alla dimensione della trascendenza e alle domande fondamentali che in essa sono ripo-
ste. Arte e morte sono i temi fondamentali di un’estetica tormentata: il concetto di Sublime teorizza-
to da Edmund Burke (1756) soppianta quello di Bello fondandosi su uno stravolgimento emotivo del-
la fruizione artistica che anticipa le svolte dell’arte moderna. Il sublime e l’orrido sono più vicini alla
sensibilità dell’uomo moderno e ne investono pratiche e mentalità. Il rapporto con la tecnologia ed i
suoi valori produce nuove estetiche, individuano il fantastico come espressione di un trauma epocale
e laboratorio sperimentale per le raffigurazioni, esteriori ed interiori, di nuovi vissuti. La prima fase
dell’età industriale è dedicata alla ricerca di inedite modalità comunicative. Il pubblico metropolita-
no individua quelle zone dello scambio simbolico che gli permettono di accedere pienamente alla
condizione moderna. È il caso dei bollettini giudiziari che diventano un caso letterario, che riuscì a
raggiungere ampio pubblico, perché la descrizione di vicende di sangue e crimini a sfondo sessuale
erano inevitabilmente attraenti. I resoconti dei delitti è la vera origine del roman du crime francese
(da cui nascerà il genere poliziesco) reintegrano la dimensione rituale del sangue e la cognizione del
dolore nella sfera della partecipazione patica al mondo. La stessa distinzione tra informazione e spet-
tacolo, realtà e finzione, si ricompone nell’origine comune dei linguaggi di massa e delle loro strate-
gie espressive.
L’industrializzazione dei media si evolve lungo queste traiettorie tematiche risponde all’esigenza
sempre più diffusa di rendere possibile una rappresentazione del mondo. La letteratura mette a pun-
to i propri dispositivi, realizzando sia nuove strategie di relazione con il pubblico sia nuovi immagi-
nari. Con l’allargamento dei bacini d’utenza, fondamento per la nascita di un mercato culturale, i
processi di industrializzazione delle forme estetiche si orientano verso la moltiplicazione dei lin-
guaggi tecnologici, i moderni media di massa che funzionano sulla base di una competenza trasver-
sale del pubblico, ovvero un’attitudine di questo a interagire in maniera complessa con una rete
sempre più fitta di dispositivi mediatici.

2.4 L’industria culturale tra intellettuali e comunicazione di massa


L’estrema eterogeneità dello scenario dei media di massa si ricompone in un sistema complesso ma
oggettivamente funzionale. L’esperienza del mondo contemporaneo si definisce all’interno di tale si-
stema, che convoglia in sé le identità ed i conflitti delle sue diverse componenti. La cultura di masse
è la cultura nell’età delle masse e comprende sia le forme alte e avanzate, espressione delle classi che
hanno potuto sperimentarne la ricerca e legittimarne la messa a punto, sia le forme basse e volgariz-
zate, legate alle istanze dei consumi allargati o alla sopravvivenza delle tradizioni premoderne.
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D’altronde lo scambio tra i diversi livelli della produzione culturale contemporanea costituisce un
dato ormai acquisito, al punto che alcune avanguardie ricorrono all’uso ironico dei linguaggi di mas-
sa. Tale rapporto di reciprocità, che innesca uno scambio continuo di piani di linguaggio, si scopre
progressivamente nella strutturazione della società industriale e ridimensiona la teoria critica nella
sua dicotomia tra autenticità e simulazione. La complessità del sistema culturale fa sì che Edgar Mo-
rin ne Lo spirito del tempo evidenzia proprio la conflittualità estrema dei tempi moderni fondati sul
mercato e sulle sue dinamiche. In Morin, come in parte accade con gli studi di McLuhan, l’idea
dell’industria culturale si riassume in una metafora illuminante, quella del sistema nervoso costituito
dai mass media. L’identificazione praticata da Morin tra industria culturale e mass media si fonda
sulla natura sistemica che integra i due concetti. Solo l’organicità tra le componenti attive nel quadro
della comunicazione può concretizzare quella profonda trasformazione dei vissuti che si è tentato in
qui di riassumere. Un’organicità che trova il suo punto critico nella figura e nel ruolo
dell’intellettuale. Questa ridefinizione del lavoro intellettuale non va colta nei termini di un asservi-
mento passivo al sistema, quanto piuttosto come consapevolezza delle dinamiche di conflitto e
scambio tra componenti culturali della società attraverso i media. Ciò è evidente quando McLuhan si
chiede non tanto cosa facciano i media alle persone, quanto piuttosto cosa facciano le persone ai
media. Un quesito che non si limita all’esercizio del paradosso: per McLuhan i soggetti politici ed e-
conomici che gestiscono lo sviluppo non determinano l’uso sociale dei media e delle tecnologie in
generale, poiché è sempre la sperimentazione del consumo a decidere la sorte dei dispositivi che ap-
paiano sulla scena delle opzioni disponibili. Come si vede, l’idea di industria culturale come organiz-
zazione di una cultura socio-politica coercitiva che sembra legarsi soprattutto all’esperienza e alle di-
verse sopravvivenze della tradizione marxista, mentre il quadro generale delle riflessione si fa pro-
gressivamente più composito e complesso, distaccandosi anche generazionalmente aprioristicamen-
te negativa dei media. La ricerca attuale fa proprio anche l’insegnamento di McLuhan sulla necessità
di evitare il nodo teorico del determinismo tecnologico: per Abruzzese, con l’avvento del digitale nei
processi di de-industrializzazione e de- massificazione che esso implica, il bene di consumo diventa
la tecnologia in sé per sé. Più l’industrializzazione dei processi culturali, per Abruzzese ha senso par-
lare di tecnologie culturali, poiché la distanza ideologica e produttiva che la fabbrica e le sue metodi-
che organizzative dell’attività umana ancora individuavano tra industrialismo e culture tradizionali,
non è più rintracciabile nelle attuali tendenze a superare i dispositivi dell’organizzazione sociale e le
forme espressive che hanno caratterizzato l’età industriale.

2.5 La fine dell’industria culturale?


È interessante considerare che il tentativo di sistematizzazione la riflessione sui processi di industria-
lizzazione della cultura si realizzi negli anni in cui il sistema dei media industriali e di massa si rior-
ganizza introno all’egemonia del medium televisivo, dunque, nel momento in cui acquista nuova
consistenza la distanza culturale tra intellettuali e pratiche sociali della comunicazione. Negli anni
50 infatti, si sviluppa il mezzo tecnologico audiovisivo. La televisione diventa un connubio tra cine-
ma dove le immagini venivano proiettate su uno schermo, e radio dove grazie all’elettronica veniva-
no trasmessa la voce. La televisione si afferma come un’esigenza del dopoguerra in cui sono riscritti
gli equilibri planetari e individuali. Il medium opera un’integrazione tra le componenti della società,
diventando un nuovo luogo della comunicazione e dell’immaginario, spingendo in avanti un proces-
so di abitabilità dello spazio collettivo avviato già dapprima con il cinema e poi con la radio. Con la
diffusione della TV indica una profonda mutazione che fa perdere la centralità della fabbrica nei pro-
cessi produttivi e un differente rapporto tra soggetto, spazio e tempo.
La TV raccogli al proprio interno molte funzioni dell’intrattenimento, dallo spettacolo
all’informazione, realizzando una nuova dimensione che si apre alla contemporaneità delle grandi
cerimonie mediatiche (diretta rituale di grandi eventi collettivi, es: olimpiadi). L’età televisiva tende
a voler azzerare l’intervallo spaziotemporale tra le cose che succedono in un altrove del mondo e il
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mondo percettivo del soggetto.
La stessa funzione primaria dell’industria culturale, quella di fornire piattaforme espressive capaci di
contenere l’orizzonte di senso di una società in rapida trasformazione, viene insieme potenziata ma
anche messa in crisi non tanto dalla crescita delle opzioni mediatiche a disposizione, quanto dalle
prospettive aperte dalla multimedialità.
Il processo di de-massificazione che leggiamo nella nuova individualizzazione delle pratiche digitali
non muta soltanto il come comunichiamo ma anche il cosa comunichiamo e all’interno di quale pro-
spettiva individuale e collettiva. La partecipazione al presente del mondo che per Morin era garantita
dalla cultura di massa e dalla sua produttività simbolica e rappresentativa, oggi diventa prospettiva
concreta dell’uomo telematico o dell’individuo digitale: un soggetto nuovo o forse imprevisto che
supera storicamente le dinamiche dell’industria culturale ed i conflitti che sino a oggi ne hanno ca-
ratterizzato l’esperienza sociale.

2. L’era tipografica
CAP 3. I MEDIA A STAMPA. EVOLUZIONE SOCIALE DELLA PAROLA E DELL’IMMAGINE TIPOGRAFICA.
3.1 L’era dell’uomo tipografico
L’organizzazione sociale si fonda sulle transazioni rese possibili dai processi di comunicazione. La
capacità di elaborare, trasmettere e utilizzare le conoscenze e le informazioni è ritenuta fondate per
ogni struttura comunitaria. Nel 1982 Walter Ong diversifica in termini psico-dinamici le differenze
tra le culture orali e le culture scritte. Nella fase dell’oralità il corpo umano rappresenta il supporto
essenziale della comunicazione; invece, nella cultura dei letterati le parole sono semplicemente suo-
ni. Quindi con la scrittura si ha la possibilità di conservare la conoscenza, dunque, al di fuori della
mente; mentre per le culture orali le società devono investire molte energie nel ripetere svariate volte
ciò che è stato appreso nel corso di secoli.
Una delle più importanti opere su questo tema è La galassia di Gutenberg. Nascita dell’uomo tipogra-
fico di McLhuan (1964), un testo che mette in parallelo la storia dei media e l’evoluzione della cultura
umana. Egli spiega che l’uomo tribale non è un uomo specializzato: la parola, uno dei primi media, è
parte integrante del suo fruitore. L’alfabeto fonetico ha permesso poi di oggettivare i propri pensieri
metallizzandoli al di fuori di sé stessi. Successivamente la stampa a caratteri mobili e in particolare
con il libro, l’uomo può organizzare il proprio ambiente in modo lineare. Al contrario con
l’elettronica e l’elettricità si riporta simultaneità in ogni campo della vita umana e ridimensionando
la grande famiglia umana in un villaggio globale, che riduce le distanze dello spazio mediale in cui
viviamo. In quest’opera McLhuan fa riferimenti ai concetti di spazio e tempo definiti da Innis nel
1950, e può essere considerata una risposta al testo di Innis The Bias of Communications dove egli si
interroga sul rapporto che intercorre tra uomo e media, identificando quest’ultimi come estensione
del corpo umano (il concetto di protesi simbolica).
Tutti gli studi successivi hanno tenuto conto, in qualche misura, di tali questioni teoriche. Nel 1974,
con Il paradigma perduto, Edgard Morin ha voluto risolvere il conflitto antropologico tra natura e
cultura, altro grande tema di intima incidenza mediologica: i due termini, lungi dall’essere tra loro
distanti o contrapposti, costituiscono invece due facce della ri-determinazione dell’antroposfera.

3.2 L’invenzione del quotidiano


Il termine stampa è polivalente: indica sia la tecnologia inventata da Gutenberg, sia il medium che si
estende fino a diventare un diritto umano fondamentale.
L’invenzione di Gutenberg automatizza e rende più economico il processo di imprimere e trasporta-
re la parola scritta, implementando nuove conformazioni della comunicazione che, partendo dalla
forma libro, la oltrepassando in termini di velocità e distribuzione. I giornali permettono alla parola
stampata di essere prodotta a cadenza temporale più ristretta e ad ampliare il raggio della discussio-
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ne su argomenti legati all’attualità. Nasce una nuova figura che opera nella stampa, ma molto diversa
dallo scrittore: il giornalista.
McLhuan sottolinea le differenze tra giornale e libro: il libro è una forma di confessione personale che
presenta un punto di vista (…) Il giornale è la quotidiana esposizione collettiva di una serie di dati giu-
stapposti che dà al giornale la sua complessa dimensione di interesse umano.
Il giornale è legato ad una temporalità più breve, quella dell’attualità. Rispetto al libro è un’opera co-
rale, che mostra il pensiero di differenti voci, distribuite sulla pagina in una conformazione a mosai-
co. Ciò implica una partecipazione più attiva del lettore.
. La stampa di informazioni mette a punto nell’arco di alcuni decenni i propri dispositivi funzionali: a
partire dalla prima metà del XVI secolo in Francia iniziano a comparire le prime pubblicazioni perio-
diche – i cosiddetti occasionels – ma è nella prima metà del XVII secolo che nascono in Europa le
pubblicazioni a cadenza settimanale. Solo alla metà dei XIX secolo – grazie all’emergere di nuovi fat-
tori tecnologici e commerciali – l’editoria periodica affronta la trasformazione che l’avvicinerà
all’industria di massa. Dal punto di vista commerciale, la diffusione dei quotidiani consente un salto
di qualità alla comunicazione pubblicitaria, soprattutto quando la sua platea di amplia con l’avvento
della cosiddetta penny press.

3.3 Dalla penny press ai penny dreadful


Per penny press si intende la rivoluzionaria strategia commerciale di produrre giornali venduti a bas-
so costo. Fondato nel 1833 con Benjamin Day con il quotidiano “New York Sun”. La vendita di un fo-
glio era al costo di un centesimo (solitamente venduti a 6 cents). Con un costo così accessibile a tutti
si ha una veloce democratizzazione dell’informazione, superando un fattore di divisione di classe.
Questo fenomeno porta all’abbassamento dei prezzi anche della stampa dell’intrattenimento, sorge il
nuovo mercato dei i prodotti culturali definiti penny dreadful. Alla base di tale strategia c’è una deci-
siva innovazione tecnologica: l’applicazione della macchina a vapore nel torchio da stampa, realizza-
ta nel 1814 da Friderich Koening, che permette di incrementare fino a 4 volte la produzione di fogli
rispetto alla tipografia artigianale. L’insieme di questi processi contribuì alla formazione di un pub-
blico di massa, che alimentò la domanda di informazione popolare come strumento di partecipazio-
ne alla vita sociale e civile della nazione.
Day, oltre a rendere accessibile economicamente il suo giornale, rivoluzionò anche la modalità di-
stributiva dei newspaper, introducendo la figura dello strillone.
Anche se i penny press non si distinguono solo nella loro forma e nelle modalità distributive, ma an-
che e soprattutto nei contenuti: è la ricerca del profitto a spiegare la prevalenza di notizie a carattere
sensazionalistico. La libertà di stampa negli USA non era soggetta a vincoli di legislazione come in
Europa o barrire d’ingresso, tutti potevano pubblicare un quotidiano.
Per ridurre i costi il New York Sun concede molto più spazio alla pubblicità di quanto abbia mai fatto
un quotidiano europeo: in America i tre quarti di un giornale è occupato da pubblicità.
Il modello americano della stampa quotidiana si afferma anche in Europa, dove viene recepito nelle
realtà economiche più floride; è su questa scia che in Francia nasce La Presse (1936). La stampa di
massa stava soprattutto contribuendo a incrementare l’accessibilità alle informazioni, e quindi a de-
mocratizzare le dinamiche del confronto politico, avvicinando quest’ultimo agli interessi dei ceti
meno abbienti.

3.4 Dalla stampa popolare alla letteratura popolare


Una volta realizzato e affermato il modello commerciale della stampa quotidiana si ha una trasfor-
mazione anche nella letteratura, mettendo le basi per quelle che saranno le forme narrative più dif-
fuse, quelle seriali e post-seriali. Questa è una definizione ambivalente che indica sia una letteratura
creata dal popolo, sia quella indirizzata al popolo, spesso accusata di perseguire unicamente strategie
di mercato: ma generi come il poliziesco, la fantascienza, le loro contaminazioni, si sono affermate

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proprio all’interno di questa particolare accezione dei media a stampa che coniuga la produzione in-
dustriale e culturale. Si sviluppa una modalità di narrazione assai prossima alle forme comunitarie
premoderne di esperienza della vita, recuperando su un piano simbolico ciò che il Moderno ha e-
stromesso dall’ordine del discorso (Brancato). Inizia così tra la metà del XIX secolo e quella del XX
secolo l’età del romanzo di appendice (feuilleton), una forma di testo seriale che nasce e si consolida
nella maggior parte dei quotidiani europei; che si interroga anche su fenomeni sociali di stringente
attualità come la diversità etnica, le trasformazioni dei consumi o i conflitti della vita metropolitana.
I contributi al romanzo di appendice sono programmaticamente impegnati in un processo di ridefi-
nizione dei significati collettivi. In ogni caso, la storia di questo fenomeno non può essere ridotta
semplicemente a un genere letterario, deve invece essere collocato all’interno della storia culturale di
produzione della conoscenza: esso ha fornito metodi e strumenti che hanno permesso ai lettori di
formare giudizi e dare un senso alle questioni sociali e culturali contemporanee prima che queste
conoscenze venissero trasferite nelle scienze sociali. In Il superuomo di massa. Retorica e ideologia
del romanzo popolare, Umberto Eco ricompone il quadro storico del romanzo di appendice eviden-
ziando il successo che questo genere riscuote sin dagli esordi: per popolare, infatti, non si intende un
prodotto rozzo o semplificato risvolto a una massa non istruita, bensì un genere aperto a tutti, basa-
to su temi di vastissimo interesse. Esso narra prettamente delle condizioni del proletariato e del sot-
toproletariato urbano, un universo rigido e schematico che contrappone gli umili ai potenti e nel
quale emerge la figura di un superuomo che difende e vendica i più deboli. In questa prospettiva, il
romanzo d’appendice non si presenta con velleità rivoluzionarie, ponendosi quale mediatore dei
conflitti che caratterizzano la modernità: il superuomo delle masse non è dunque una figura nobile
ed eroica, ma piuttosto la sedimentazione delle contraddizioni – anche morali – dell’ambiguità. Eco
sottolinea il tono consolatorio di queste narrazioni che rispettano la canonica struttura della poetica
aristotelica e il portato mitico: anche se nella metà del XIX secolo il tasso di analfabetismo in Europa
era ancora alto, il romanzo popolare riesce tuttavia a coinvolgere un pubblico di massa. Anche chi
non sapeva leggere si riuniva in luoghi collettivi per farsi leggere le nuove gesta. Tale tipologia di ro-
manzo a puntate esprime una forte rilevanza social, al punto di influenzare i primi movimenti del
socialismo culminati nei moti del 48.
Contemporaneamente negli USA si affermano i cosiddetti dime novels, romanzi economici concepiti
e realizzati per un consumo di massa, pubblicati con cadenza regolare. L’obiettivo di questi romanzi
era quello di stupire il lettore e non compiacerlo o consolarlo: negli schemi di queste storie era pos-
sibile intravedere la sostanza traumatica del mondo moderno. I canoni di questa narrativa esisteva-
no da migliaia di anni ed erano disponibili per essere riutilizzati da un pubblico nuovo di lettori: ana-
lizzare il rapporto tra le tecnologie culturali e l’inclusione sociale è un esercizio fondamentale per
comprendere al meglio l’intreccio indissolubile tra le forme storiche dei rapporti sociali e i media.
Tuttavia, indagare il fenomeno sociale della letteratura popolare del XIX secolo rende esplicita la di-
rompente modernizzazione della vita quotidiana che – a partire dall’invenzione di Gutenberg –
l’industrializzazione delle forme estetiche era stato in grado di promuovere.

3.5 L’importanza delle immagini nel giornalismo novecentesco


Il contenuto di ogni fotografia è, in senso oggettivo, storia. Mostra il momento di origine
dell’immagine che è sempre nel passato rispetto al momento in cui la si visualizza. Secondo Ronald
Barthes, la fotografia è in grado di presentarci il mondo sociale e materiale attraverso la sua capacità
di convincerci che si tratti di una semplice corrispondenza con una realtà del passato, la consapevo-
lezza del suo essere esistita. Walter Benjamin (1931) mezzo secolo prima, aveva affermato che la foto-
grafia ha il potenziale di svelare la storia, permettendoci di vedere il passato. Una fotografia è consi-
derata dimostrazione incontestabile che una data cosa è esistita.

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Il fotogiornalismo nasce nell’ambito della fotografia di guerra, con alcuni pionieri del campo come
Roger Fenton e le sue immagini della guerra di Crimea. Lui fu il primo fotografo ufficiale di guerra. Il
suo lavoro fu pubblicato su Illustrated London News, portando per la prima volta questo genere di
immagini ad un pubblico di massa. L’aggiunta di illustrazioni fotografiche alle notizie fu resa possibi-
le solo grazie all’avanzamento della tecnica ad incisione.
Con Mathew Brady in America nasce una nuova figura: fotografo embeddad. Egli cattura scene sui
campi di battaglia, viaggiando sul campo insieme ai suoi 20 assistenti.
Nella seconda metà del XIX sec. Questo settore della comunicazione si estende oltre i confini della
fotografia di guerra. Dal 1876 al 1877 Street Life in London rivoluzionò il settore utilizzando le foto-
grafie come mezzo dominante della narrazione, e si affermò l’idea che il consumo d’immagini non
riguardasse solo eventi straordinari, ma toccassero ormai ogni aspetto della vita quotidiana.
Due innovazioni tecnologiche furono molto importanti: la stampa a mezzi toni, che consentì di
stampare l’intera gamma di ombreggiature e velocizzare il processo di stampa; il flash che permise
una nitida fotografia d’interni, importante caratteristica per il più importante fotoreporter sociale,
Jacob Riis. La sua opera principale documenta la vita degli immigrati che vivono nelle baraccopoli o
negli insediamenti di New York. Il suo lavoro ha mostrato il potere del fotoreportage, stimolo per il
cambiamento. L’Età d’oro del fotogiornalismo fu dagli anni Trenta agli anni Settanta. Importante di-
re che anche molte donne contribuirono al fotogiornalismo, come Margaret Bourke-White prima
reporter di guerra; Dorothea Lange pioniera della fotografia documentarista.
Con il declino delle riviste fotografiche e del giornalismo cartaceo in generale, il fotogiornalismo si è
evoluto fino a trasformarsi in qualcosa di assai distante dalle proprie forme storiche. L’emergere delle
tecnologie digitali ha imposto al fotogiornalismo cambiamenti radicali: in un’epoca in cui l’etica
giornalistica è ancora un rilevante fattore deontologico, la manipolazione fotografica diventa un ar-
gomento molto delicato. Con il loro caratteri di immediatezza, i social media hanno avuto un grande
impatto sul ruolo stesso dei fotoreporter. Tuttavia, l’avanzamento tecnologico ha apportato anche
numerosi vantaggi ai fotografi professionisti: basti pensare alla possibilità di inviare foto di alta quali-
tà in pochi secondi. Per comprendere la centralità del fotogiornalismo è necessario osservare
l’emergere del vedere come principale esercizio esperienziale dell’uomo.

3.6 Il digitale tra contaminazioni, migrazioni e strategie multipiattaforma


Nel passaggio di secolo l’industria editoriale è stata caratterizzata da radicali mutamenti tecnologici
che, per alcuni settori della carta stampata, sono arrivati a rappresentare una minaccia in termini di
sopravvivenza. Non è impossibile immaginare un consumo di comunicazione che non preveda più
uno dei dispositivi fondanti del sistema dei media così come lo abbiamo conosciuto ed esperito
nell’arco di circa due secoli.
Recentemente si è analizzata la crisi nel settore dell’editoria quotidiana e di come il giornalismo e la
produzione di notizie ne sono stati influenzati. La crescente pervasività di Internet e le dinamiche di
convergenza digitale e i cambiamenti di consumo esercitano una pressione senza precedenti
sull’industria editoriale. C’è una grande tendenza in cui i media e i prodotti digitali soppiantino quel-
li fisici nella distribuzione sul mercato. Gli editori, di conseguenza, tentano di sviluppare soluzioni
strategicamente adeguate agli sviluppi tecnologici, sconvolgendo i loro modelli di business.
Il settore della stampa quotidiana non è il solo, tra le industrie dedite alla creazione e dalla fornitura
di contenuti culturali, a trovarsi nell’epicentro di ciò che può essere visto come una fase di distruzio-
ne creativa accelerata dalla convergenza digitale dell’intero sistema dei media e del relativo cambia-
mento dei modelli di consumo. Ciò nonostante, il ruolo ancora essenziale dei quotidiani all’interno
dell’infrastruttura su cui si basa lo scambio culturale dell’opinione pubblica ha posto particolare en-
fasi sulla capacità degli editori di adattarsi e rinnovarsi con successo dinanzi al mutamento tecnolo-
gico. Da parte dell’industria dell’informazione, la risposta è stata quella di attuare un approccio mul-
tipiattaforma: rispetto al passato la tecnologia digitale ha reso sempre più semplice la condivisione e
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il riutilizzo dei contenuti. La riprogettazione di queste aziende in un’ottica multi-piattaforma riflette
la consapevolezza dei cambiamenti dei modelli di consumo e delle nuove necessità del pubblico.
Questi cambiamenti, però, rischiano di penalizzare le aziende che non si adattano alle contingenze
del nuovo ambiente digitale.
Grazie al miglioramento della comunicazione inerente alle preferenze del pubblico è notevolmente
aumentata la capacità dei fornitori di tracciare e soddisfare più efficacemente i gusti e gli interessi
dei fruitori. Questa trasformazione ha avuto un impatto significativo sulla natura e sul mix di risorse
necessario per gestire con successo questo genere di attività. Oltre a trasformare la natura delle risor-
se necessarie per entrare a far parte dell’industria editoriale, la transizione verso la pubblicazione i-
brida ha avuto un impatto notevole sulla routine quotidiana, sui flussi di lavoro e sulle decisioni da
prendere in merito alla produzione e alla presentazione dei contenuti delle notizie. Pertanto, la po-
tenziale disponibilità di foto e video clip influenzerà la notiziabilità dell’oggetto in esame. In tal mo-
do, è evidente che la piattaforma scelta avrà i suoi effetti sul contenuto, confermando ancora una
volta l’assioma mcluhiano che fa corrispondere il medium al messaggio. Un’altra rivoluzionaria in-
novazione per i media a stampa la possibilità, grazie alle piattaforme digitali, è la possibilità di rimo-
dellare i contenuti in base alle preferenze del lettore. La disponibilità di dati che ritornano all’editore
in virtù delle varie modalità di utilizzo di tali contenuti da pare del lettore, garantisce ai team edito-
riali informazioni molto più dettagliate e granulari sugli orientamenti del pubblico di riferimento del
giornale. In termini tecnologici, mentre la distribuzione digitale rende attuabile la realizzazione di
un quotidiano fatto su misura per il lettore, dal punto di vista dell’industria editoriale questo può
non essere visto come un vantaggio. Nel suo studio sulla convergenza digitale del giornalismo, Ivan
John Erdal identifica le sfide legate all’integrazione di un approccio multipiattaforma completamente
convergente o addirittura digital first. Nonostante gli imperativi economici che favoriscono un ap-
proccio comune o convergente alla produzione di notizie, il raggiungimento di questo obiettivo è
condizionato da molte sfide. Soprattutto negli ultimi anni, gli editori provano soluzioni di compro-
messo che, senza chiudersi alle esigenze del pubblico, permettano al contempo di monetizzare con-
tenuti online (la soluzione paywall). In sostanza, un paywall funge da barriera tra l’utente e i conte-
nuti online: per accedere ai contenuti al di là del paywall, gli utenti devono pagare un abbonamento
o un canone una tantum. In quest’ottica, il paywall viene visto come una mossa disperata da parte
del mondo dell’editoria per sopravvivere al mutamento in atto. Alla ricerca di un nuovo modello di
business digitale redditizio, il settore editoriale ha per ora identificato un nemico comune: i contenu-
ti online gratuiti. Per come sono attualmente strutturati, i paywall compromettono il principio di a-
pertura di Internet perché privano le persone che non possono permettersi il costo
dell’abbonamento digitale del loro diritto di informarsi e inscrivono valori commerciali direttamente
nei processi di raccolta delle notizie (con inevitabili conseguenze sull’opinione pubblica). Per questo
motivo, la lunga crisi della modernità occidentale può e deve contribuire ad alimentare un periodo di
coraggiosa sperimentazione di nuovi modelli giornalistici, in grado di continuare a rendere possibile
l’esperienza collettiva dell’essere nel mondo anche oltre i confini storici della modernità industriale.

CAP.4 ARTE E RIPRODUCIBILITÀ TECNICA. ILLUSTRAZIONE, MANIFESTO, FUMETTO.

4.1 L’arte tra unicità e riproduzione


Nel corso dell’Ottocento gli effetti della rivoluzione industriale avevano modificato le società: le in-
novazioni tecnologiche della fabbrica; il cambiamento conseguente dell’economia; la crescita delle
città fino a diventare metropoli; lo svilupparsi di quella che viene definita massa. A questo processo
di modernizzazione si deve anche la nascita della stampa popolare. Aggiungendo poi delle illustra-
zioni per rendere le notizie comprensibili a tutti, poiché il tasso di analfabetismo restava elevato. La
comunicazione visuale si afferma, dunque, in una prospettiva in senso diversificata e non riconduci-
bile solo alla tradizione dell’immagine caricaturale satirica. Si rinnova radicalmente il rapporto tra

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arte e pubblico. In particolare, lo sviluppo delle tecnologie della modernità fornisce una spinta deci-
siva all’innovazione visuale. E così che l’illustrazione diviene fenomeno di massa, creando una diffu-
sione socialmente diffusa relativa ai rapporti di socializzazione, e si coniuga a molteplici strategie e-
spressive nell’ambito delle interazioni interumane. Partendo dall’interazione immagine/ parola
dell’editoria, delle pubblicità e del fumetto: il linguaggio audiovisivo basato sulla sinergia funzionale
tra codice iconico e codice verbale.

4.2 Illustrazione popolare e moltiplicazione dello sguardo


Lo sviluppo del segno ci conduce tra l’immagine riprodotta e la stampa a caratteri mobili di Guten-
berg.
L’etimo della parola Illustrazione concerne la pratica medievale del corredare i libri di lustri, abbellir-
li quindi per avere un miglior impatto visivo. Ma i corredi iconografici seguono il percorso strategico
del libro, oggetto seriale per antonomasia, cosicché l’illustrazione partecipa al processo di massifica-
zione dei media rimarcando il passaggio di stato dall’aura dell’unicità dell’opera d’arte alla sua inevi-
tabile replicazione e frantumazione nei movimenti progressivi della società industriale.
La storia dell’illustrazione, in definitiva non riguarda tanto il campo della storia dell’arte quanto
l’osservazione sociologica delle trasformazioni che hanno portato all’affermazione di nuovi indivi-
dualismi e innovati modelli di organizzazione sociale. Tra il XVI e il XVII secolo, l’illustrazione resta
connessa all’evoluzione del libro, testimoniandone i cambiamenti nell’economia della conoscenza.
La forma moderna del mondo si rende visibile agli occhi di una società che ripensa all’azione stessa
di aggiornare le dinamiche di percezione dell’esistenza. Mentre aumenta in maniera considerevole
l’ampiezza dei bacini d’utenza dei testi tipografici, le illustrazioni ampliano il loro spettro espressivo
e le loro funzioni paratattiche nelle strategie narrative. La satira illustrata ed i suoi protagonisti con-
sentono l’istituzionalizzazione di nuovi dispositivi mediali quali la stampa periodica d’informazione
e il quotidiano, il capillare e coesivo medium metropolitano che sempre di più si apre all’innovazione
tecnologica della comunicazione visiva: la riproducibilità tecnica delle immagini conseguì la portata
di un medium di massa.
Grandville e Daumier aprirono un mercato dell’immagine fondato sulla critica dei costumi sociali
tramite la satira, occupando il territorio mediale delle gazzette e dei periodici.
Fu con Gustave Dorè, invece, che l’illustrazione svelò la propria vocazione compiutamente narrativa,
sottoposta dall’autore – di formazione classica – al compito di corredare di immagini la sterminata
produzione della letteratura mondiale, occupando lo spazio editoriale del libro. Con lui la forma del
libro cambia attraverso il ricorso ai corredi iconografici, vera prefigurazione del cinema e delle altre
forme audiovisive di massa. L’immagine disegnata è il linguaggio basico che permette ai differenti
settori dell’industria culturale di accomunarsi e mediarsi sincreticamente per colloquiare con un
pubblico sempre più trasversale e dinamico.

4.2 Un rutilante mondo di carta: le riviste popolari


L’Ottocento può esse considerato il secolo del romanzo illustrato, come testimoniano Les Voyages
Extraordinaires di Jules Verne, o l’edizione dei promessi sposi illustrata da Francesco Gonin.
Il Novecento è, invece, il secolo delle riviste popolari, che fungono da supporto alla produzione lette-
raria di genere, ovvero espressione di quel sistema organizzativo del rapporto tra produzione e con-
sumo dell’immaginario. Il sistema di generi (dal romanzo storico, al fantastico, dalla ghost story
all’horror, dal poliziesco alla fantascienza) ha regolato, per un lungo periodo, la crescita dei consumi
e la trasformazione delle estetiche. E partecipano alle trasformazioni dei consumi culturali metropo-
litani. Note in Gran Bretagna come penny dreadful e negli Usa come dime novel, queste riviste si ba-
sano sulla proletarizzazione del lavoro di scrittori e artisti che collaborano ad esse. La loro estetica
eccedente risulta funzionale a intrecciare i gusti del pubblico di massa, facendogli vedere cose che

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erano rimosse dal quadro rappresentativo della società, a partire dalla sessualità e dall’esibizioni di
violenza.

La copertina aveva funzione comunicativa molto forte, in quanto costituiva il primo impatto sul con-
sumatore, per questo spesso concepita con eccesso di colori primari e coreografie visive.
Le illustrazioni interne avevano un ruolo secondario, solitamente in b/n, che incanalavano le corren-
ti dello sguardo spettatoriale entro l’estetica del genere.
La dinamica diviene ancora più chiara quando in America il fenomeno di evolve nei dispositivi di
pulp magazine, contenitore editoriale a basso costo per un pubblico di massa sempre più alfabetizza-
to. Nel corso del secolo breve l’illustrazione tende a dislocarsi ulteriormente sul copro articolato dei
linguaggi mediali, concorrendo alle trasformazioni del libro – ad esempio con la nascita dei paper-
back, volumi economici in brossura che utilizzano l’allure dei grandi illustratori per implementare la
propria attività sul mercato – così come all’intero sistema delle forme estetiche. Nell’ambito di una
costante evoluzione tecnologica e della strutturale sinergia con ciò che ha luogo nei territori speri-
mentali delle arte visive, il destino dell’illustrazione si compie attraverso la sua declinazione digitale,
quando la potenza delle tecniche informatiche le permette di superare la dicotomia tra staticità e
movimento, traducendo i suoi sterminati repertori nei nuovi linguaggi dell’audiovisivo.

4.4 Il manifesto come arredo metropolitano


La disponibilità di stampare immagini disegnate permette di sperimentare nuovi “spazi” della comu-
nicazione visiva. L’illustrazione, nata come supporto ai libri, si estende anche a nuovi campi: la pub-
blicità. Essa è la dinamica mediale che veicola informazioni atte a ricongiungere il corpo frantumato
della merce a quello del consumo. Nel nuovo ecosistema culturale delle masse metropolitane,
l’immagine si fa essa stessa merce che permette di orientarsi nei riguardi delle altre merci. Dunque,
aderendo alla riorganizzazione dei consumi intorno ai paradigmi della società industriale: i manifesti
– nel corso dell’Ottocento – narrativizzano i prodotti della grande distribuzione sottolineandole non
solo il valore d’uso ma tutto il portato simbolico. L’interprete esemplare di questa fase che avvicina le
espressioni dell’arte convenzionalmente intesa verso gli aspetti prosaici ed effimeri della vita sociale
è Henri Toulouse-Lautrec, figura mitica delle avanguardie pittoriche della Belle Époque: Toulouse-
Lautrec anticipa l’obsolescenza delle dicotomie qualitative tra arte e merce nell’ottica di un’idea di
cultura per cui gli aspetti contingenti del quotidiano non possono più essere rimossi e metaforizzati
in pratiche socialmente esclusive.

4.5 Il fumetto: origini e trasformazioni di un linguaggio ambiguo


Il primo problema posto dallo studio dei comics riguarda la definizione dell’oggetto. Il fumetto è
qualcosa di origini molto moderne, che si lega all’esperienza della società industriale e di massa.
Le origini si possono analizzare a partire dal periodo in cui in cui si svilupparono strategie diversifi-
cate dell’illustrazione. L’illustrazione a stampa partecipò alla ridefinizione semiotica dello spazio ur-
bano, contribuendo all’affermarsi della metropoli. Il fumetto si sviluppa in questo Habitat linguistico
nuovo, che disegna inedite traiettorie dello sguardo intervenendo direttamente sul piano sensoriale
dei soggetti. Va quindi inserito in quella serie di dispositivi linguistici e pratiche collettive che rimo-
dellavano la percezione del mondo.
Il medium del fumetto nasce nello stesso periodo del cinema. È un concetto particolare, in quanto è
sbagliato definire i comics un genere poiché esso contiene l’intero spettro dei generi della cultura di
massa; dunque, non può essere ridotto ad un genere esso stesso. Esordisce nel 1895 sul supplemento
domenicale a colori del “New York World” un personaggio illustrato da Richard F. Outcault (Yellow
kid) : un bambino grottesco vestito con un camicione giallo, che vive in un quartiere sottoproletario,
e interagisce con una folla di personaggi, attraverso svariate soluzioni comunicative, come delle scrit-
te che appaiono su cartelli o sul suo camice, fino al ballon (nuvoletta simile al vapore che esce dalla
bocca dei personaggi e in cui sono scritte le loro parole). Questo viene considerato il primo fumetto,
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ma probabilmente con è così perché qualcosa di simile veniva stampato almeno dagli anni 20
dell’800.
Come il cinema e la radio, il fumetto è a pieno titolo un medium audiovisivo (nascono tutti nel 1895).
Il cinema utilizza la sua tecnologia ottico-meccanica e poi del suono. Il fumetto, invece, arriva con il
lavoro psicologico del lettore-spettatore, che ricostruisce mentalmente il movimento tra una vignetta
e l’altra, così come immagina il suono attraverso i codici della scrittura. Il successo di Yellow Kid si
basa su istanze generali di consumi culturali. La prima Sunday page a fumetti era un tentativo che
prendeva il posto di una precedente idea, che era quella di raccontare storie classiche mediante
l’illustrazione a colori, ma ciò non funzionava perché il pubblico di massa non era coinvolto da que-
ste storie, ma voleva rispecchiarsi nei personaggi. Per questo i primi eroi comics furono maschere ti-
pizzate della vita metropolitana, dei suoi conflitti e dei suoi rapporti sociali.
I primi comics (così definiti perché si identificavano con caratteri del genere umoristico) erano costi-
tuiti da grandi illustrazioni in cui la dimensione del tempo veniva restituita dalla prospettiva. Il pas-
saggio da una narrazione sincrona ad una asincrona fu in parte dovuta dalla strip la fascia quotidiana
che prolungava il consumo del fumetto durante tutta la settimana. Erano delle piccole sezioni grafi-
che in bianco e nero che rimandavano all’appuntamento domenicale. Per dare una profondità narra-
tiva a segmenti così compressi (dalle 2 alle 4 vignette) si mise a punto una sintesi sequenziale. Per
dare più impatto al racconto si ricorse al gag (la chiusura ad effetto su un picco di comicità). Il me-
dium acquisisce un linguaggio compiutamente audiovisivo, nasce così il fumetto che conosciamo og-
gi, ovvero un’arte sequenziale, che rimanda con grande forza alle modalità espressive dei film. L’altra
soluzione caratterizzante fu balloon. La sua affermazione non fu automatica e priva di conflitti, poi-
ché tendeva a confondere gli statuti di legittimità della comunicazione letteraria, con quelli non ri-
tenuti adeguati dell’illustrazione popolare. Sempre meno il ricorso alla didascalia si sovrappone alla
capacità delle immagini di costruire il proprio discorso narrativo, e sempre più i comics coinvolge-
ranno il lettore/spettatore attraverso una struttura comunicativa affine ai linguaggi tecnologicamen-
te più attrezzati del sistema dei media. Il fumetto giunge all’apice della propria avventura mediatica
negli anni Venti e Trenta, quando si distacca dall’esclusività del genere comico, per affrontare il si-
stema dei generi nel suo insieme e si distacca dalla stampa d’informazione per avere un supporto in-
dipendente: comic book.
Il fumetto è il medium con il linguaggio dai costi più bassi e la resa più elevata sul piano della proget-
tazione di immaginari. Il cinema utilizza le configurazioni del fumetto e lo usa come laboratorio spe-
rimentale delle forme visive. Questa è una funzione che dura nel tempo, basta pensare alla funzione
strategica del supereroe nella produzione dei blockbuster che hanno sperimentato nuove forme del
cinema e della post-serialità digitale.
La competenza necessaria per la lettura dei comics non è facile da ottenere. Bisogna sviluppare la ca-
pacità di gestire attivamente almeno due codici diversi, le cui strategie comunicative appaiono perfi-
no in conflitto tra loro.
Con la nascita del comic book il fumetto vive la sua stagione più efficace, costruendo il rapporto con
il proprio pubblico lungo le consuete coordinate di sviluppo dei media di massa:
-ottimizzazione delle risorse produttive
-sviluppo di adeguati meccanismi di serializzazione del racconto
-miglioramento della resa qualitativa e distribuzione a pioggia del prodotto
-interpretazione costante degli indici di gradimento
-ciclico spostamento dei codici di rappresentanza verso territori precedentemente sottoposti a inter-
dizione.
La diversificazione dei generi fa si che si ampli il pubblico differenziati sul piano generazionale. Si af-
fermano mitologie legate ai personaggi come ad esempio Topolino o Superman.
Il fuetto elabora forme di serialità sofisticate e in grado di comprendere una forte autoreferenzialità:

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si passerà così da una narrativa ciclica, basata su un incessante ripetizione degli stereotipi compor-
tamentali dei personaggi, a un’integrazione del tempo storico e generazionale nell’economia del rac-
conto.
Ma questi processi investono la fase di massa della vita del medium. Messo in forte crisi dalla concor-
renza della televisione e poi dai nuovi linguaggi informatici. Dalla dimensione del consumo di massa
si passa ad un consumo più elitario, di nicchia. Anche la strip giornaliera vede ridursi di molto il
mercato.
Il fenomeno più rilevante di fine Novecento diventa il manga, fumetto giapponese o coreano, che si
rivela competitivo anche in Occidente.
Oggi i comics hanno ridefinito ulteriormente la loro sfera espressiva attraverso il graphic novel, una
concezione del medium che si distacca dalla serialità ed è più vicino alla forma del romanzo, anche al
fine di bypassare la crisi dell’edicola.
Il fumetto non è in declino, piuttosto muta, come il cinema, nella fase di rimediazione digitale dei
mezzi di comunicazione: numerosi sono infatti i siti di comics sul web, e la rete è un supporto
dell’immaginario disegnato. Quindi, essere stato uno dei più classici media industriali, non significa
per forza uno svantaggio, piuttosto si adegua ai cambiamenti.

3. L’audiovisivo
CAP.5 ORIGINE E MUTAZIONE DEL CINEMA. LA COMUNICAZIONE AUDIVISIVA.
5.1 I meccanismi della visione
Gli storici del cinema tendono a collocare la nascita del medium nel 1895, anno in cui i fratelli Lu-
mière brevettarono il cinematografo, un dispositivo che costituiva il definitivo miglioramento di una
lunga serie di precedenti invenzioni finalizzate alla riproduzione fotografica del movimento. In realtà
la genesi del cinema è più complessa e affonda le radici molto prima. Le origini degli studi sui princi-
pi ottici elementari li dobbiamo ai filosofi greci, nel Medioevo questi studi furono ripresi, fino ad ar-
rivare al Rinascimento quando si affermò la camera oscura. È uno dei primi dispositivi ottici, consiste
in un ambiente chiuso e senza luce, alla cui estremità c’è un piccolo foro, grazie al quale la luce e-
sterna penetra e proietta sulla parete opposta ciò che sta al di fuori della camera. La tecnica fotogra-
fica nasce proprio dalla base di questo principio. Kircher perfezionò la camera oscura ricorrendo ad
una fonte di luce artificiale: il risultato fu ciò che veniva definita lanterna magica. Nel clima culturale
dell’epoca, quelle impalpabili visioni d’ombra e luce, senza corpo, furono stigmatizzate come frutto
di un sapere diabolico. Lo stesso Kircher e i suoi epigoni, tuttavia, continuarono a perfezionare tec-
nicamente la lanterna magica e molti giunsero ad usarla – per illustrare racconti simili a quelli dei
cantastorie popolari, anticipando così la vocazione narrativa del cinema.
Nei secoli successivi si sviluppano numerosi giocattoli ottici che funzionavano sui limiti fisiologici
dell’occhio, in particolare sulla lentezza a percepire il mondo di forme che lo circonda. Lo scienziato
belga Joseph Palteau studiò a fondo tali dinamiche neuro percettive e nella prima metà del XIX seco-
lo realizzò uno strumento – il fenachistoscopio – consistente in un disco su cui delle figure disegnate
sembrano muoversi quando il supporto viene fatto ruotare a una velocità adeguata. Esso rappresen-
tava un’anticipazione del teatro ottico, che a sua volta è da intendere come anticipazione del cinema
di animazione e del cinematografo dei fratelli Lumière.

5.2 Nascita della fotografia


In parallelo alle ricerche ottocentesche sul movimento delle immagini, in Europa e negli Usa alcuni
inventori e scienziati erano alle prese con i problemi della fotografia. Il francese Niepce mise a punto
un primo processo di fissazione delle immagini basato sull’azione chimica delle immagini. Luis-
Mandé Daguerre perfezionò quanto studiati da Niepce, creando il dagherrotipo, con il quale riuscì a
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fotografare paesaggi e ritratti molto fedeli su lastre di rame argentato. Daguerre aveva indicato anche
il mercato in cui poteva svolgere un ruolo importante: quello della memoria. Le prime raffigurazioni
riguardavano quegli elementi che potevano caricarsi di un portato malinconico (grandi monumenti,
tetti di Parigi, un parente che poteva morire). L’estetica della nostalgia rappresentò un vettore molto
potente tra forme artistiche e società industriale.
Negli Usa George Eastman operava per una semplificazione operativa della fotografia, al fine di sot-
toporla ad un consumo di massa, grazie ad una facile moltiplicazione di una stessa immagine.
La professione di dagherrotipista ebbe un grande boom e la pratica fotografica si estese per tutto il
mondo. Sostituendo la fotografia ad un ritratto dipinto, per costi minori.
In definitiva, la fotografia è uno dei grandi indicatori sociali che ci permettono di rilevare l’entità e la
direzione di quei processi di individualizzazione che si manifestarono nella società di massa, mutan-
do l’ecologia tradizionale fra individuo e comunità.

5.3 Tecnologia e modelli di consumo


Nel corso del XIX secolo, l’idea di utilizzo del nuovo mezzo visivo era simile a quella sulla fonofissa-
zione, tecnologia messa a punto nel 1877 da Edison e da Charles Cros. Per alcuni studiosi, infatti, la
voce rimanda a un potere arcaico della comunicazione umana, un potere che affonda le proprie radi-
ci nella voce originaria della madre: la registrazione delle manifestazioni sensibili della vita era co-
munque eminentemente finalizzata alla conservazione della memoria degli scomparsi. I modelli di
consumo, tuttavia, si spostarono presto su registri più ludici. La famiglia della società industriale a-
veva la necessità di equilibrare il tempo lavorativo, esterno alla dimora, con una nuova organizzazio-
ne del tempo privato, quello del divertimento. Così lo spazio domestico cominciò a mutare, ridise-
gnandosi intorno a dispositivi sempre più meccanizzati ed economici come il pianoforte, la pianola
meccanica, il fonografo che permettevano un ritorno ai luoghi rimossi della festa tradizionale e i suoi
meccanismi di interazione sociale. I processi della comunicazione presero a sagomarsi sul profilo di
un territorio urbano profondamente rinnovato, strutturato intorno al modello della fabbrica ma, al
contempo, in veloce trasformazione. Il pubblico dei media dirige lo sviluppo dei nuovi dispositivi
verso modalità di fruizione che spesso entrano in rotta di collisione con le strategie dichiarate dagli
apparati produttivi.

5.4 Cinematografo e cinema


Il cinema è stato un autentico e fondamentale snodo tra le pratiche fotomeccaniche e quelle elettro-
niche della comunicazione sociale. Per arrivare al cinema attuale, c’è stato il contributo fondamenta-
le di Edward Muybridge che nel 1876 mise a punto lo zooprassinoscopio, che gli permise di fotografa-
re in successione le fasi di un cavallo al galoppo. Ed Etienne J. Marey che fece lo stesso con il volo de-
gli uccelli, nel 1888, utilizzando apparecchiature più sofisticate come il cronoscopio a pellicola. Per
entrambi il risultato fu quello di scomporre in singoli fotogrammi la durata del movimento, premes-
se per la ricostruzione visiva. I problemi nello sviluppo di queste immagini in movimento erano 2:
l’entrata e l’uscita, ovvero lo strumento di ripresa e quello di proiezione.
Edison fornì la risposta operativa, intuendo la necessità di supporto flessibile su cui fissare le imma-
gini. La pellicola di cellulosa, il film (dopo diventa il nome del prodotto cinematografico) forniva la
soluzione più pratica per la conservazione delle immagini riprese e anche per la loro successiva pro-
iezione. Risolti i principali problemi tecnici, si affermò la commercializzazione del prodotto. Nel
1894 Edison allestì degli apparecchi concepiti per mostrare brevi film a un solo spettatore per volta: il
kinetoscopio, veniva fruito a pagamento in locali appositi, successivamente denominati penny arcade.
Edison era contrario alla proiezione pubblica dei film poiché tale scelta avrebbe comportato la ridu-
zione del numero di apparecchi messi in circolazione sul mercato e, dunque, la quantità di tecnolo-
gia prodotta dalle sue fabbriche. Un ulteriore passo in avanti venne dall’Europa, solo un anno più
tardi, quando i Lumière organizzarono la prima proiezione pubblica a Parigi, in Boulevard des Capu-

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cines, nella sala sottostante al Grand Cafè, e la fruizione delle immagini sullo spazio condiviso di uno
schermo ebbero molto successo e gradimento. . Il cinematografo si basava su soluzione tecniche già
approntate da altri, ma esso consentiva di sincronizzare perfettamente lo scorrimento della pellicola
con l’apertura dell’otturatore dell’obiettivo, ottenendo quindi la stabilità e la nitidezza
dell’immagine, grazie a una griffa mutuata dal meccanismo della macchina da cucire. Occorre, qui,
sottolineare la differenza tra cinematografo e cinema teorizzata da Morin: il cinematografo è
un’opzione tecnologica, un attrezzo che consente di realizzare una plausibile riproduzione cinetica
di immagini dal vero, frutto di quell’aspirazione a un realismo integrale; il cinema è un linguaggio,
un medium socialmente condiviso, attivato dall’interazione del ciclo produttivo da un pubblico che
ne negozia costantemente le caratteristiche comunicative, i generi, le estetiche.

5.5 Lo spettatore
Centrale è il ruolo del corpo dello spettatore, che nel cinema viene sollecitato e posto ad una condi-
zione tale da richiamare alla mente l’esperienza dl sogno. La logica che muove questo fenomeno è il
desiderio annidato nello sguardo sospeso tra incredulità e coinvolgimento dell’individuo che consu-
ma lo spettacolo, merce prodotta dall’industria culturale.
Il cinema ricicla e potenzia le sostanze dell’immaginario occidentale. La tecnica è ciò che realizza
una partecipazione collettiva, addirittura rituale. Il cinema conquista la sua egemonia nel quadro dei
processi della comunicazione proprio per la sua capacità di mobilitare il desiderio, di motivare il
pubblico a pratiche di consumo che ruotano intorno ai prodotti del cinema e li completano. Il cine-
ma si appropria ben presto di una spiritualità laica che ne traduce la sua natura mercificata in un e-
lemento in grado di far detonare nel sociale inedite forme di culto, essenzialmente legate alla figura
del divo. Gli apparati della stampa popolare si attrezzano per completare il circuito comunicativo tra
cinema e pubblico. Le sempre più diffuse riviste specializzate consento alle major hollywoodiane,
presto imitate dalle altre cinematografie, di pianificare accuratamente la promozione dei loro pro-
dotti. La dimensione industriale del cinema consente di modernizzare il processo di mitizzazione del
ruolo dell’attore già presente da molto tempo nel teatro.
Ma alla fine di tutto le strategie produttive sono sottoposte alla “regia” del pubblico, che consacra i
successi e decreta i fallimenti. Il problema ultimo di Hollywood, di Cinecittà, della Ufa tedesca e di
tutte le realtà produttive della prima metà del Novecento sarà sempre quella di attrezzarsi per co-
gliere le oscillazioni del gusto, individuare le correnti delle emozioni collettive, interpretare l’effetto
sociale dei tipi somatici e dei modelli comportamentali; lavoro importante per assecondare le aspet-
tative espresse dall’idealtipo del proprio spettatore che per azzardare forzature in grado di rilanciare
in avanti i termini del discorso. Quando il cinema si radica nel consumo, le dinamiche di scambio tra
apparati e pubblico diventano sempre più veloci, sottoposte come sono alla pressione di un mezzo di
comunicazione che nasce come innovazione tecnologica e che continua incessantemente a rinnovar-
si.

5.6 Per una sociologia del cinema


Fino alla seconda metà degli anni 40 il cinema veniva studiato dalla sociologia semplicemente come
un campo d’indagine sostanzialmente omologabile ad altri, non cogliendo la specificità del medium

“di massa”.
Gli storici del cinema hanno svolto un’importante mediazione tra pubblico e apparati produttivi, ma
attraverso metodologie messe a punto da altre forme estetiche, come la pittura, il teatro, il romanzo,
che non tenevano conto del fatto che era un nuovo medium ibrido e tecnologico. Talvolta, la sinergia
tra l’approccio sociologico e quello storiografico ha portato a considerare il cinema come un osserva-
torio delle dinamiche sociali, in una prospettiva che rende il film una sorta di repertorio socio antro-
pologico per la comprensione del dato storico.
Una sociologia degli apparati di produzione-consumo abbinata a una sociologia dello spettatore può
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risultare l’ottica più interessante con cui guardare le evoluzioni e i conflitti dell’esperienza mediale
del cinema, il suo attagliarsi ai processi culturali e ai comportamenti della società contemporanee, il
suo essere una scienza dello sguardo socialmente condivisa. Risulta, quindi, utile sottolineare che i
media ottocenteschi tendevano già a palesare una natura sistemica molto concreta; dunque, a ri-
mandarsi l’un l’altro e a essere resi operativi in modo trasversale da un pubblico multi-alfabetizzato.
È questa attenzione agli aspetti antropologici e sociali del cinema accanto a quelli estetico-formali
che può dare senso alle aspirazioni della ricerca.

5.7 Spettacolo, corpo e territorio


Il cinema delle origini è un ibrido tecnologico e linguistico, che si rifà un po’ a tutti i precedenti im-
pianti mediali, come il teatro, il romanzo borghese, i viaggi ferroviari, il cambiamento urbanistico
dovuto dalle pubblicità.
Il dibattito sociologico su ciò che il cinema ha messo in scena è caratterizzato dalla contraddizione
sul piano dell’analisi dei contenuti. Come ad esempio Edison inizialmente privilegiava fil brevi a bas-
sa definizione con ballerine che facevano acrobazie, ma finì per fare film storici come la decapitazio-
ne di Maria Stuarda, o i Lumiere che fecero prima film su registro documentaristico, ma poi cedette-
ro alla moda francese per la pochade.
Al pari di quanto era accaduto nella fotografia, anche nel cinema comparvero film più o meno por-
nografici, che riscossero successo quando era in corso una nuova contraddizione delle pratiche socia-
li del corpo dopo il processo borghese di glaciazione repressiva del sesso avviato sul finire del XVIII
secolo.
. I modelli strategici dell’immaginario in questa prima età cinematografica sono spesso stati visti co-
me la concessione mercantile a un gusto rozzo, legato al pubblico estremamente popolare che fruiva
nel nuovo mezzo, attirato dalla novità ma anche dalla sua estrema economicità. Attraverso le rappre-
sentazioni della morte e del sesso, il cinematografo contribuiva a dare al pubblico metropolitano: le
parti del discorso interdette dalle strategie del potere che considerano la cultura come campo di sa-
peri e non, anche, di pratiche multiple e complesse che rimandano al mito, agli affetti, alle conoscen-
ze non-linguistiche.

5.8 Apparati e pubblico


Le comunicazioni di massa portarono a compimento negli anni Trenta, soprattutto grazie al cinema,
un vasto processo di riorganizzazione dei meccanismi di percezione della realtà sociale e del rappor-
to tra questa e l’individuo. Nel corso del decennio, ad esempio, viene definitivamente sancito il supe-
ramento della centralità alfabetica e dei suoi schemi di pensiero, la messa in crisi della lettura come
meccanismo divaricatore tra classi sociali e ruoli intellettuali, a favore dello spettacolo, in una pratica
collettiva che attraverso le sue finzioni sembra voler simulare la realtà e che invece finisce per rive-
larla allo sguardo. Tutto è riconducibile all’incidenza delle strategie audiovisive sui vissuti del pub-
blico, incidenza crescente e sempre più articolata sul piano dei linguaggi e dei rapporti tra la sfera
privata e quella collettiva. Tra il 1905 e il 1910 in maniera molto veloce, gli apparati produttivi rag-
giungono una forma sufficientemente stabile, in grado di interagire con le domande sempre più arti-
colate del pubblico, soprattutto grazie a una sistematica traduzione e riscrittura dei repertori
dell’immaginario ottocentesco. Un gruppo di imprenditori e investitori cinematografici occupano
grand appezzamenti di terra in quella che viene ribattezzata Hollywood, dove sarebbe sorto lo stu-
dio-system, il modello di produzione che avrebbe contribuito a rendere il cinema Hollywoodiano la
fabbrica dei sogni. Qui, registi come Edwin Stanton Porter cominciano a usare il montaggio a fini
narrativi, una tecnica che nel decennio successivo verrà compiutamente strutturata da David Wark
Griffith quale principio di contraddizione tra inquadrature e campi e per la quale si arriverà a parlare
di “specifico” filmico o di linguaggio cinematografico tout court.

19
5.9 Il montaggio
Possiamo iniziare a parlare di montaggio cinematografico insieme a Méliès, le cui sperimentazioni
visive producono il transito da una narrazione per immagine vincolata in un'unica inquadratura, e
quindi ad uno spazio-tempo limitato, a un’altra che prevede molteplici passaggi spazio-temporali
grazie all’accostamento di “quadri” tra loro indipendenti. L’inquadratura seleziona il campo
dell’immagine compiendo una scelta e facendo vedere allo spettatore quello che il cineasta vuole e-
strapolare dalla totalità del mondo. L’obiettivo della macchina da presa è ritagliare una cornice dal
tutto, tracciando la differenza tra campo e fuoricampo. E appunto montando le diverse inquadrature.
Il linguaggio cinematografico tende a adottare sempre una sostanziale manipolazione della realtà.
Porter si pone il problema di imprimere alle immagini girate il senso del tempo capace di dar loro si-
gnificato. Escogita come soluzione il montaggio parallelo, in cui la macchina da presa segue il pro-
gredire di più eventi, ricostruendoli in modo alternato sullo schermo e scandendo un ritmo che in-
forma lo spettatore su più livelli d’azione. Griffith è una figura centrale nello sviluppo del linguaggio
cinematografico perché trasforma ciò che in Méliès era effetto magico, in un mezzo di espressione
drammatica, a partire da quanto attuato da Porter. Si punta a coinvolgere il pubblico attraverso
l’adozione di piani di ripresa tra loro differenti. L’idea griffittiana di montaggio imprime i propri ca-
ratteri all’intero cinema statunitense, orientandone gli esiti estetici e produttivi, ed estendendo la
propria influenza anche alle altre cinematografie. Grazie ad essa, la tecnica diventa elemento dram-
matico di una narrazione estremamente funzionale all’ideologia dell’industria culturale. Questo
montaggio narrativo sarà caratterizzato dall’impercettibilità dei raccordi tra le immagini, perché per
funzionare a livello drammaturgico la percezione delle immagini da parte dello spettatore deve esse-
re orientata unicamente sulla linea del racconto.
Su un piano radicalmente diverso si colloca l’idea di montaggio messa a punto in Unione Sovietica da
Vsevold Pudovkin, il montaggio costruttivo, che sottolineava la pregnanza del dettaglio, in una logica
che tendeva a caricare quest’ultimo di una forte valenza simbolica. Il ruolo del montaggio nel cinema
è predominante nel racconto rispetto a quello della recitazione, soprattutto se la fine è un film lirico
che sceglie non il racconto ma una visione sostanzialmente poetica del mondo. La cinematografia
sovietica tenderà invece a perseguire una ricerca formale strettamente intrecciata alle specificità tec-
niche del linguaggio filmico. Fu Sergei Michajlovic Ejzenstejn, sostenitore del montaggio intellettua-
le, per il quale il film non deve agire necessariamente sulle emozioni, ma può impegnare l’aspetto ra-
zionale dello spettatore. Si tratta di una posizione che riflette la natura utopica dell’esperienza ejzen-
stejniana, quella tracciata da un cineasta impegnato nella costruzione di una società nuovo in cui le
strategie dei media sono definite da un progetto – quello del comunismo sovietico – assai distante
dalle prospettive dell’industria culturale.
L’esperienza percettiva del pubblico viene riformulata tra gli anni 20 e 30 con l’introduzione del so-
noro, quindi la responsabilità del linguaggio visivo, si sposta sul linguaggio acustico.

5.10 Il sonoro
Il primo film sonoro, per gli storici, fu The Jezz Singer (1927). Ma in realtà esperimenti sulla sincro-
nizzazione sonora erano già stati fatti nei primi anni del 900. Quindi la possibilità di una tecnologia
non significa che questa si affermi automaticamente nella cultura dei consumi. Solo nella fine degli
anni Venti si intuì nel cinema il compimento tecnico e linguistico delle strategie audiovisive. Ini-
zialmente dall’interno molte furono le resistenze a questo cambiamento, ma la risposta del pubblico
fu di grande adesione, in quanto si ampliavano le zone erogene del consumo stimolando i sensi del
consumatore in modo più completo e coinvolgente.
Cambiano anche i generi nati nella prima età del cinema, con nuovi repertori acustici che vanno a
connotare delle immagini già acquisite. Ad esempio, l’immaginario criminale viene animato da suoni
come sire o spari, le urla di dolore e angoscia che caratterizzano il tempo del racconto. Il varietà si
trasforma in Musical,che rifonda l’uso della macchina da presa attraverso movimenti antinaturalistici
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che inseguono le coreografie. La tecnologia del sonoro da vita a un processo di spostamento del con-
sumo del cinema verso dimensioni più marcatamente multimediali. Il sonoro cambia il rapporto tra
pubblico e schermo, mutano le forme e i codici della partecipazione, mutarono i presupposti per un
ulteriore scatto delle dinamiche di interazione tra pubblico e territorio.

5.11 Tra finzione e realtà


Il cinematografo conquista uno statuto linguistico, definito settima arte nel momento in cui tecnolo-
gia e spettacolo, al suo interno, trovano un punto di equilibrio. Il suo sviluppo si deve anche ad un
radicamento nel territorio, con la creazione delle sale, che vanno a sostituire gli spazi improvvisati
delle origini e aumentano un consumo collettivo e degli aspetti rituali. È qui che si colloca il transito
definitivo dal cinematografo al cinema, un medium concepito su scala industriale e su cui si deposi-
tano investimenti passionali dai caratteri inediti.
Il primo elemento introdotto nella riflessione sul cinema è la distinzione tra realtà e finzione; cioè
innanzitutto interrogarsi sulla strada che il medium doveva intraprendere. Contro la sostanziale in-
genuità delle teorie del rispecchiamento della realtà e delle sue utopie filmiche, l’esperienza colletti-
va ha confermato la vocazione artistica del cinema, in accordo con chi ritiene che il suo mutismo ini-
ziale costituisca l’elemento di maggior potenza espressiva per il linguaggio delle immagini in movi-
mento. Accanto a una cultura industriale della produzione e al potenziamento del sublime del mec-
canismo divistico, il cinema hollywoodiano conquista un ruolo egemone grazie alla capacità di orga-
nizzare il racconto e la rielabora in forme estremamente funzionali alla dialettica tra apparati e con-
sumo, in cui il discorso tra finzione e realtà viene riscritto nelle forme simboliche di un’adesione pro-
fonda della vita quotidiana.

5.12 Il cinema nella cultura del Novecento


In un sistema delle arti estremamente mobile, la comparsa del cinema non avvenne in modo pacifi-
co. Criticato nella sfera artistica soprattutto per la sua riproducibilità, che faceva perdere l’aurea
dell’unicità propria delle arti in genere. Il cinema conquista gradualmente un proprio statuto di legit-
timità, partendo come forma d’intrattenimento e sperimentando in simbiosi con il pubblico i propri
linguaggi, diffondendosi rapidamente in tutti i paesi occidentali e anche altrove.
Le cinematografie nazionali segano un punto d’incontro tra tecnologie industriali e specifiche cultu-
rali, divennero parte integrante e rilevante delle politiche culturali del Novecento, legandosi alle di-
namiche di nazionalizzazione delle masse. Il cinema spiega il mondo alle masse. Partecipa alla co-
struzione dei nuovi modelli democratici come le dittature.
Dopo la Grande Guerra le cinematografie assumono caratteri molto diversi. Si creano le condizioni
per spostare il polo magnetico del cinema negli stabilimenti altamente organizzati di Hollywood.
La progressiva immigrazione delle maestranze europee, e in particolare tedesche, che diverrà assai
rilevante negli anni Trenta con l’avvento del nazismo in Germania, è il segnale più chiaro che qualco-
sa stava cambiando a livello economico, politico e culturale sulla scena dell’Occidente.

5.13 L’arte della fabbrica


Fin dalle origini il cinema aveva lasciato intravedere la fabbrica che si celava dietro le aspirazioni ar-
tistiche e a Hollywood si crearono le condizioni si crearono le condizioni per cui tale natura emer-
gesse in modo compiuto, e lo studio-system organizzò la produzione di film con criteri tipicamente
industriali. Dove vediamo un processo di ridefinizione del ruolo dell’autore assoggettato alle logiche
della merce.
Tra il 1918 e la fine degli anni Venti gli americani investirono sempre più nel nuovo business. Le sin-
gole società di produzione, così, realizzano in maniera compiuta quella sinergia funzionale con la di-
stribuzione e l’esercizio delle sale sul territorio che avrebbe garantito loro, per un lungo trentennio,
la gestione di veri e propri trust. E il prodotto “made in Hollywood” si espande in ogni parte del
mondo, in modo concorrenziale nei confronti delle cinematografie nazionali.
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Gli imprenditori di Hollywood misero a punto un insieme di apparati produttivi basati su tre coordi-
nate essenziali: lo studio-system, lo star-system e il sistema dei generi. Lo studio-system realizza
l’integrazione verticale tra i vari settori del ciclo, attivando un sistema dell’ottimizzazione delle risor-
se per migliorare il profitto. Il film diventava così un manufatto messo a punto attraverso il lavoro a-
stratto delle maestranze su tutti i livelli, regista compreso, e la direzione reale del progetto era nelle
mani del produttore.
Ma essenziali erano le star, che finivano per siglare il risultato del lavoro di equipe. Il potenziale co-
municativo e spettacolare del divo, nato già nel teatro europeo, al cinema si estremizzò in una dina-
mica parossistica, favorito dall’ingigantimento dei corpi e dei primi piani sul grande schermo. Anche
il sistema dei generi aderiva al criterio di massima specializzazione della manodopera e del lavoro in-
tellettuale. I generi cinematografici consentivano inoltre il riutilizzo dei set, dei costumi, delle mac-
chine di scena. La ricerca scientifica di standard produttivi, tipica dell’intera esperienza dell’industria
culturale novecentesca, raggiunse ad Hollywood il suo grado più elevato, organizzando efficacemen-
te il rapporto con il pubblico.

5.14 Centralità della sceneggiatura e strategie dell’emozione


Quella che definiamo sociologia delle emozioni, elaborata dal critico teatrale Polti nel 1885, il quale
sintetizza in 36 situazioni basilari lo sviluppo di ogni intreccio narrativo. Si trattava di legare un nu-
mero finito di emozioni a precise situazioni drammatiche; questo schema sarà la base dello sviluppo
delle tecniche di sceneggiatura.
L’idea di stereotipo sarà uno dei cardini del rifiuto alle produzioni dell’industria culturale espresso da
alcuni intellettuali della scuola di Francoforte.
La sceneggiatura e le sue tecniche un fondamentale lavoro di previsione e programmazione del testo
audiovisivo, allestendo un luogo in cui ci si immagina il pubblico e si prevedono le loro reazioni.
L’acquisizione precoce di un carattere industriale ha portato il cinema americano ad avere ancora
oggi un’egemonia sul mondo, anche se la figura del divo con il tempo è andata spostandosi in altri
settori. Questo, quindi, avviene perché fin da quando nasce il cinema sonoro, l’industria culturale
americana ha sempre saputo rispondere alle esigenze sensoriali del pubblico.
La sociologia dei media non si limita solo all’analisi dei contenuti o alla registrazione degli affetti,
bensì deve tener conto della complessità inerente alle pratiche della comunicazione in generale e in
modo particolare del cinema nella prima metà del 900. Torna più utile, in tal senso, l’approccio di
chi sottolinea la natura istituzione tra le istituzioni esistenti, cioè l’essere il cinema campo di un con-
fronto serrato e negoziale tra pratiche e vissuti, tra apparati e società, unica dinamica che consenta
di superare i limiti della deriva estetica e affrontare la ricerca dei fondamenti sociali del gusto.

5.15 Cinema e televisione


Un periodo di grande crisi del cinema avviene con l’affermarsi della televisione. Anche in questo caso
i primi in cui si viene a creare questa situazione sono gli Usa, dove il modello televisivo di
broadcasting (basato sull’emittenza in chiaro dei programmi da parte delle società private che si so-
stengono con gli introiti pubblici, o per conto di enti statali che svolgono pubblico servizio) si affer-
ma prima. Le major statunitensi, seppur messe in crisi sul lato cinematografico, cercano di farsi spa-
zio nel nuovo medium. Fino ai primi anni Cinquanta non ci fu alcuna guerra tra cinema e televisione,
ma un tentativo di coesione. Infatti, tra il 1948 e il 1955 si diffuse il theatre television, tecnologia che
rendeva possibile trasmettere palinsesti televisivi al cinema. Dopo la Seconda guerra mondiale
l’economia americana favoriva lo sviluppo degli apparecchi televisivi, e così tra il 1946 e il 1955 le te-
levisioni entrarono in quasi tutte le case, il possesso di questo elettrodomestico aumentava anche il
prestigio individuale. Con questa diffusione vediamo uno spostamento delle pratiche collettive nuo-
vamente all’interno della dimora e quindi all’esterno dei luoghi collettivi della metropoli.
Una ragione che impedì le majors hollywoodiane fu che il governo federale favorì i trust radiofonici,

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piuttosto che quelli cinematografici nello sviluppo del medium televisivo. Hollywood reagì con una
duplice strategia:
-migliora le tecnologie cinematografie, così da non renderle riproducibili in televisione.
-riconverte i vecchi film che avevano esaurito il loro ciclo vitale nel consumo delle sale e vende ai
broadcasting i diritti di trasmissione di questi film.
Ma questa ideologia del conflitto e della resistenza alla contemporaneità viene messa in crisi dai
nuovi assetti imprenditoriali della comunicazione, che registrano il ritorno in forze degli apparati
produttivi cinematografici sulla scena.

5.16 Nuovi luoghi per il cinema


L’effettiva entità della distanza tra i due media che si sono dividi l’egemonia delle comunicazioni di
massa nel corso di quasi tutto il Ventesimo secolo andrebbe riconsiderata e spogliata delle sue con-
notazioni ideologiche, ormai non più funzionali neppure a un coerente presa di posizione. La stessa
natura dell’offerta è meno divergente di quanto si sia soliti affermare, poiché il palinsesto televisivo
rimanda al programma cinematografico degli anni Trenta e Quaranta, in cui il film era contornato
dall’informazione, dalla pubblicità, dalle novità musicali e dalle serie a puntate, spesso ispirate ai
personaggi di maggior successo del fumetto. La televisione rispose all’esigenza di ridisegnare il terri-
torio che scaturiva dall’emergere dei nuovi modelli produttivi e di consumo dopo lo shock economi-
co, culturale e politico della Seconda guerra mondiale. Il dato più rilevante risiede probabilmente nel
diverso grado di interattività offerto dalla televisione. Con l’avvento del piccolo schermo e soprattut-
to con la sua incessante evoluzione tecnologica – mutano le condizioni della fruizione, in un pro-
gressivo spostamento paradigmatico verso una medialità non più definibile di massa. In qualche
modo, la televisione determina nuovi luoghi per il cinema: lo ospita al proprio interno, ma al con-
tempo ne riformula i caratteri costitutivi e gli stessi statuti linguistico-espressivi. Lo scambio profes-
sionale e di immaginario tra i due media è programmatico: molti tra i registi più interessanti del ci-
nema contemporaneo provengono dall’esperienza e dai linguaggi televisivi oppure dialogano stret-
tamente con essi.

5.17 Il cinema come effetto speciale


Le domande da porsi di fronte al prodotto filmico non riguardano, in definitiva, la natura dell’arte
ma la funzione sociale di questa. Si rende tuttavia necessario abbandonare ogni istanza protezioni-
stica e museale nei riguardi di questo mezzo. La sua memoria va considerata in quanto memoria del
Novecento, ma la sua rispondenza ai nuovi bisogni del consumo di comunicazione è ormai stata ri-
dimensionata dal passaggio di stato causato dal processo di demassificazione che investe le forme e i
modi della cultura di massa nel transito dalla società tardo-industriale a quella post-industriale. Le
nuove tecnologie digitali hanno da tempo prodotto il loro effetti sul tradizionale corpo tecno-
culturale del cinema, sulla sua natura ottico-meccanica e riproduttiva. Film come Jurassic Park e For-
rest Gump costituiscono lo snodo tra la riproducibilità tecnica delle immagini e la loro producibilità
algoritmica.
Il discorso si sposta dalle iniziali teorie del riflesso a quelle della simulazione radicale dell’immagine
numerica. Tra le attuali potenzialità dell’informatica, infatti, annoveriamo tecnologie che consento-
no allo spettatore di calarsi all’interno del mondo digitale e di interagire con esso e in esso, realiz-
zando quella personalizzazione dei processi comunicativi che sembra costruire l’orientamento preva-
lente nelle attuali pratiche mediali. Con esse si realizza un desiderio radicale di partecipazione anti-
cipato da tutte le forme audiovisive precedenti. Il computer non è solo lo strumento con cui si fa ci-
nema, ma sempre di più uno strumento attraverso cui si consuma il cinema, e nei domini della rete,
il suo nuovo habitat.

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CAP. 6 LA COMUNICAZIONE ISTANTANEA: TELEGRAFO, RADIO, TELEVISIONE.
6.1 Elettricità e istantaneità
Quando Marshall McLuhan si trova a dare una definizione di età elettrica parte da lontano, cioè da
ciò che nella sua prospettiva divide e caratterizza la società preindustriale rispetto allo sconvolgi-
mento prodotto dalla scoperta dell’elettricità e dell’avvento del paradigma della fabbrica.
I progressi scientifici e tecnologici ottenuti a cavallo fra i secoli XVIII e XIX sono la spinta e insieme il
sintomo del delinearsi di un nuovo orizzonte per la specie umana, dove il “compito di imparare e sa-
pere”, liberato dalla griglia della specializzazione delle competenze e dei poteri, assume per la prima
volta una funzione unificante in senso stretto. L’individuo al centro dell’età elettrica viene definito
McLuhan come un nomade alla continua ricerca della conoscenza, al quale l’elettricità fornisce il
supporto fisico per spostarsi da un’informazione all’altra fino a stabilire un’inedita e totalizzante
forma di connessione con le cose.
Nell’Ottocento il potere di conoscere porta a definitivo compimento il percorso di erosione delle
fondamenta del potere che conosce: questo perché l’elettricità ha la forza di estendere globalmente il
sistema nervoso dell’uomo, di individuare e svelare il punto d’incontro fra i suoi presupposti biologi-
ci e il divenire dei processi sociali in cui, come nella contemporaneità, l’individuo si trova a essere co-
involto nel crescente prodursi di informazioni che viaggiano alla stessa velocità degli impulsi cele-
brali.
McLuhan è fra i primo studiosi di comunicazione a preconizzare la qualità immersiva ed estensiva
della loro esperienza: i dispositivi mediatici sussistono in una relazione di mutuo scambio che li por-
ta a riplasmare l’ambiente accanto a chi lo abita. Con l’età elettrica comincia ad affermarsi un model-
lo esperienziale basato sull’istantaneità e la circolarità. È anche e innanzitutto il corpus sociale a mo-
dificarsi immergendo gli individui in un flusso omnipervasivo di informazioni, che lavora per accor-
ciare la percezione delle distanze sia in termini spaziali che temporali, arrivando a realizzare il vil-
laggio globale descritto da McLuhan nel suo fondamentale libro Gli strumenti del comunicare (1964).
Tale processo, innescato dallo sviluppo delle tecnologie dei trasporti, va ad ampliarsi. Dall’inedita e
inaudita estensione dello spazio sociale che le reti ferroviarie e il miglioramento delle tecnologie di
navigazione producono nel corso del XIX secolo deriva quella che James Beninger definisce una crisi
di controllo, vale a dire la nascita di un impellente bisogno di compensare la nuova grandezza
dell’orizzonte spaziale e coprire le distanze materiali in tempi sempre più brevi. L’istantaneità, la si-
multaneità del qui e ora dell’altrove rivestono il cuore della rivoluzione iniziata – sulla base concet-
tuale del telegrafo ottico – dal telegrafo elettrico di Samuel Morse e culminata nel 1876 con
l’invenzione del telefono, dispositivo dai molti padri ma brevettato nella sua soluzione definitiva da
Alexander Graham Bell.

6.2 Nascita della radio e intrattenimento wireless


La percezione dell’hic et nunc non è più limitata alla condivisione materiale del medesimo spazio-
tempo ma si estende all’atto comunicativo fino a identificarsi con esso. In più, e a differenza del tele-
grafo, il telefono offre all’individuo la possibilità di eludere la mediazione specialistica di cui parlava
McLuhan a proposito degli stravolgimenti sociali derivati dall’avvento dell’età elettrica. Non a caso i
primi passi in direzione dell’invenzione della radio muovono dallo stesso principio alla base delle
nuove reti delle telecomunicazioni, prima telegrafiche e poi telefoniche: la trasmissione di dati sulle
lunghe distanze. Il sistema dei media procedere rapidamente all’eliminazione dei vincoli e degli o-
stacoli che impediscono una sua ulteriore espansione. La radiotelegrafia, brevettata nel 1896 da Gu-
glielmo Marconi, ciò non fa altro che liberare la tecnologia telegrafica di Morse dall’orpello dei cavi e
sfruttando la capacità di propagazione delle onde hertziane attraverso l’aria; ciò rende possibile
l’importante scambio di messaggi via mare. Alla radiotelegrafia mancano i cavi ma manca anche la
capacità di svincolarsi dalla scrittura riproducendo la voce umana. Una facoltà destinata a rimanere

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esclusivo appannaggio del telefono fino al 1906, anno nel quale Reginald Fessenden effettua la prima
trasmissione vocale radiofonica. Ciò rappresenta senz’altro un punto di svolta sia nei termini
dell’orizzonte percettivo sin qui discussi che per quanto riguarda l’insieme dei processi mediatici e
del sistema di relazioni che lo sostiene.

6.3 La radio tra totalitarismo e democrazia


Con la diffusione della radio la facoltà aggregante dei processi mediatici viene definitivamente porta-
ta alla luce. La radio va a creare inedite occasioni di incontro e di condivisione sociale; una proprietà
che i regimi emergenti negli anni Venti e Trenta utilizzano per propri scopi e quindi ad intervenire in
ambito dichiaratamente politico. I popoli coinvolti nel primo conflitto mondiale vengono tenuti
all’erta e al corrente delle notizie dal fronte attraverso la propaganda radiofonica. Il risultato di que-
sto coinvolgimento è visto come un processo di ritribalizzazione della società.
Cinema e radio collaborano e si affiancano nella dialettica tra masse e potere, assecondando un uso
sociale dei media desideroso di restituire lo spirito del tempo delle guerre di trincea e dei dittatori
rivolti alle piazze invase dalla folla. I discorsi dei potenti riecheggiano simultaneamente su tutta la
superfice della terra.
In Italia bisognerà attendere il 1939 per l’implementazione completa della radio nella dimensione a-
bitativa.
La capacità di sollecitare in maniera diretta un’unica terminazione sensoriale senza obbligare i sog-
getti a concentrarsi completamente sul processo comunicativo, fa si che esso contribuisca alla riscrit-
tura del contesto sia pubblico che privato. Nella radio svago e aggiornamento coesistono. La radio,
così come più avanti farà la televisione, trasforma sia gli spazi che la quotidianità della condivisione
domestica. L’immagine classica è quella che con la radi “la strada entra in casa” mentre il pater fami-
lias siede in poltrona con la moglie e i figli giocano sul tappeto; radio vista come il nuovo focolaio.
Proprio come il presidente Roosevelt, il quale si fa promotore di una peculiare strategia mediatica
impiegata in radio dove utilizzava la tecnica delle chiacchiere in torno al fuoco con i suoi cittadini;
dove evidente è l’effetto magnetico della familiarità proposta dalla radio.
In Italia, Mussolini concepisce la radio più come una sorta di megafono che come luogo comunicati-
vo in senso stretto. La successiva e progressiva integrazione della radiofonia nei circuiti della sfera
privata si pone al principio di un processo di democratizzazione del medium che conduce inevita-
bilmente alla riprogettazione del suo supporto tecnologico.

6.4 Dalle valvole ai transistor, la radio come protesi


Nel quadro della lenta ma inesorabile ripresa economica seguita alla risoluzione dei due conflitti
mondiali, il brevetto messo a punto da Walter Brattain, William Shockley e John Bardeen negli studi
della Bell Telephone americana va dunque a inaugurare una nuova fase evolutiva dell’elettronica
d’ora in avanti intimamente legata al dispositivo del transistor. Piccolo e pratico, affidabile, funziona-
le e conveniente, questo neonato componente elettrico contribuisce a un’inaudita accelerazione dei
processi di diffusione e di potenziamento delle tecnologie culturali, a partire innanzitutto dalla loro
miniaturizzazione.
Il boom economico degli anni Cinquanta e la conseguente nascita di inedite categorie sociali di con-
sumatori, a cominciare da quei giovani che si ritrovano e identificano nelle moderne pratiche di a-
scolto musicale sia individuali che collettive, dona l’ultima e decisiva spinta a un sistema mediatico
già intrinsecamente audiovisivo I Radio Days – per citare un celebre film di Woody Allen (1987) – so-
no al loro acme storico, ma anche e nel contempo sul punto sul punto di partecipare all’ennesimo
stravolgimento socioculturale. I transistor sono diventati parte integrante della quotidianità umana:
tutti li trasportano con molta facilità; questo richiama l’idea di McLuhan delle protesi tecnologiche.

6.5 Nascita della televisione: il broadcasting


L’estensione dei sensi umani fa molto presto a saturarsi. I prolungamenti dell’occhio e dell’orecchio
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necessitano di altri orizzonti entro cui rinnovarsi per modificare e diversificare l’esperienza umana
del mondo. Mentre la radio entra sulla scena socioculturale influenzando il cinema a punto da con-
dizionarne e mutarne per sempre le specifiche linguistiche le sperimentazioni sul mezzo televisivo
sono già cominciate. Si era già pensato di unire l’istantaneità della radio completandole con le im-
magini realizzate dal cinema, andando a rompere lo schema territoriale tra salotti e sale nei processi
di fruizione culturale. La stessa massificazione della società muove verso lo sviluppo di nuove forme
comunicative che siano in grado di adeguarsi all’hic et nunc di una data configurazione socio storico.
È una relazione biunivoca o, per meglio dire, circolare, che spoglia la tecnica del suo ruolo teorico di
strumento autonomo per intrecciarla al sociale e all’umano senza soluzione di continuità.
In tale prospettiva ogni tecnologia, la televisione in particolare, assume carattere di forma culturale.
Alle prime trasmissioni tv, sperimentate fra gli anni Venti e Trenta del Novecento, segue una fase di
progressiva sistematizzazione che sfocia dell’istituzionalizzazione vera e propria di metà secolo, suc-
cessiva alla fine della guerra e contemporanea alla diffusione dei transistor: il 1954 anno dell’esordio
della televisione in Italia, coincide con la data del debutto delle radio portatili sul mercato mondiale.
Tramite la forma comunicativa da uno a molti del broadcasting, (sistema di distribuzione via etere a
“semina”) sogni e segni dell’industria culturale, della sua configurazione esterna ed esteriore, rivivo-
no fra le pareti di milioni di case.
La dimensione private del sociale va tanto a potenziarsi quanto a ridefinire i termini del suo rapporto
con la collettività. Anziché ripiegarsi su sé stesso, con l’avvento della televisione lo spazio
dell’individuo amplia i propri confini fino ad occupare il centro della prima forma compiuta di priva-
tizzazione mobile. La tv diventa il guscio trasparente nel quale riflettere e far riflettere l’universo.
Grazie alla tecnologia del tubo catodico la visione dei luoghi più reconditi del mondo può essere
condivisa e condivisa in un flusso inarrestabile e istantaneo che mutua la propria forma dal sistema
radiofonico aggiungendovi il potere fascinatorio e immediatamente credibile dell’immagine in mo-
vimento.
Alla radio manca la tangibilità del modello visivo, al cinema manca l’istantaneità delle immagini,
mentre la televisione tocca ogni cosa nello stesso momento da’ all’individuo la sensazione di guarda-
re fuori e lasciare la propria abitazione senza spostarsi di un millimetro.
Radio e Televisione differiscono anche sul piano della diffusione: concretizzando il noto principio
mcluhaniano che antepone la configurazione culturale ai contenuti della comunicazione, i due me-
dia si collocano a capo di un movimento decisivo nel quale massificazione e individualizzazione rap-
presentano le due facce della stessa medaglia del sistema delle trasmissioni mediatiche. La televisio-
ne è il luogo di confine dove le relazioni fra le dinamiche di produzione e di consumo e le soggettivi-
tà contemporanee che ne sono protagoniste vengono sottoposte a una totale ritessitura che riflesse
una nuova modalità dell’istituzionalizzazione della cultura. Sintesi dell’intera esperienza della socie-
tà di massa fino agli anni Trenta del Novecento il sistema televisivo propone un linguaggio e una
modalità di fruizione la cui polimorfa, immersiva e divorante espande il dominio dei sensi e allarga i
confini del desiderio.
Avere la televisione in casa è simbolo di prestigio, di forza e di status quo. Importante ricordare una
sequenza di ritorno al futuro dove si nota che nel futuro le abitazioni avessero almeno 2 televisioni
fosse la norma fa capire la differenza tra paleotelevisione e neotelevisione realizzata da Umberto Eco.

6.6 La televisione in Italia


Negli anni Cinquanta la televisione fa il suo ingresso anche in Italia. È sia sul fronte italiano che su
quello estero che il passaggio dalla centralità della radio all’egemonia televisiva viene inizialmente
attuato da una strategia di sostanziale scambio dei formati e dei contenuti della comunicazione. In
Italia la continuità dei palinsesti passa attraverso il mantenimento dell’impostazione pedagogizzante.
Ciò non basta, però, a facilitare l’integrazione del nuovo medium nel tessuto sociale (e soprattutto
culturale) nella vita quotidiana del paese. Quindi ci troviamo da un lato un popolo con un atteggia-
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mento di ostinata chiusura nei confronti della tv, e da un lato l’esigenza politica di controllare il flus-
so.
I palinsesti televisivi europei, strutturati dall’alto e gestiti dai monopoli statali, riducono le possibilità
del mezzo a un flusso unico che conserva lo scopo unico di educare, informare e intrattenere. Perché
anche da noi l’offerta televisiva si diversifichi, così come il sistema americano, bisognerà aspettare il
boom economico tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Quando la vocazione pubblicitaria della televi-
sione viene messa in luce con dei format di stampo nazionale: Carosello (1957), che si accompagnano
a modelli già esistenti in America. Emblematico è il programma Lascia o raddoppia? Un quiz a premi
condotto da Mike Buongiorno e ispirato al programma statunitense The $64,000 Question. Questo
programma sancisce un momento di decisiva trasformazione nell’apparato educativo che caratteriz-
zava l’industria culturale italiana, forse il momento di transizione definitiva verso i processi mediali
della tarda modernità.
Quindi ora ci troviamo in un periodo dove in TV ci sono programmi come Non è mai troppo tardi
(1960), dove figure come il maestro Alberto Manzi impartiscono vere e proprie lezioni scolastiche al
pubblico in studio e a casa, dall’altro troviamo programmi come lascia e raddoppia? Che prefigura la
possibilità di un’auto-alfabetizzazione popolare.
Quindi ora sia televisione che radio sono pronte a partecipare a un processo di rielaborazione narra-
tiva che farà della comunicazione istantanea il concetto alla base di un ennesimo cambio di para-
digma del sistema dei media.
La televisione a colori in Italia arriva in ritardo rispetto all’America e al resto dell’Europa, nel 1977 sia
per motivi economici sia per l’opposizione di alcuni partiti politici. Un vero e proprio cambiamento
nella televisione italiana avviene sul finire degli anni Sessanta, in particolare con le rivoluzioni del
Sessantotto, quando si arriva alla conclusione che la produzione dell’immaginario non può più esau-
rirsi nei termini moralistici delle parabole pedagogiche o di quelli comunicative della forma comuni-
cativa “uno a molti”. È in questo periodo di crisi che nasce il dispositivo della serialità italiana che va
a consolidare l’egemonia del medium catodico rispetto all’insieme dei processi comunicativi proiet-
tandola verso la successiva mutazione, fra gli anni Settanta e Ottanta, nel modello generalista. Ciò
che Umberto Eco definisce neotelevisione.

6.7 Radio e Televisione verso il digitale


La tecnologia della radio si trova a implementare un dispositivo che lo connette immediatamente a
una nuova concezione di istantaneità, dunque, di mappatura spaziotemporale dell’esperienza umana:
il GPS. Questo strumento sfrutta l’immaterialità delle onde radio per effettuare una più precisa misu-
razione delle coordinate spaziali sul territorio fisico. Tale applicazione rientra in un più generale
processo di risemantizzatine territoriale e di rinegoziazione dei termini della sfera privata che con-
tribuisce in primo luogo all’invenzione e la diffusione delle tecnologie digitali. Componente fonda-
mentale del sistema dei media, la televisione non può esimersi dal cogliere le istanze della digitaliz-
zazione della società e della stessa antroposfera, perciò converge anch’essa verso l’informatica e le
nuove basi delle telecomunicazioni, per rivolgersi non più al cosiddetto grande pubblico, ma ad una
vastità di pubblici uniti dal solo fatto “di consumare la riproduzione di uno stesso bene, materiale o
immateriale”. In Italia, dove gli anni Ottanta è entrato in vigore il sistema nazionale delle emittenti
commerciali e del duopolio Rai-Mediaset, ciò va a tradursi in una sostanziale amplificazione del con-
cetto di privatizzazione mobile introdotto da Williams, declinato al massimo dagli utenti del teleco-
mando e della pratica dello zapping. È l’alba della post-televisione, vale a dire di una modalità di o-
rientamento fra le narrazioni audiovisive e gli spazi della virtualità sempre più votata all’interattività
e al protagonismo del narrowcasting, porta irrimediabilmente al tracollo la struttura e le regole alla
base del modello generalista. Questa realtà ha modi di radicarsi solidamente negli Usa. Qui la so-
vrapposizione fra il nuovo habitus del quotidiano e la serializzazione del racconto ha già dato vita a
una grande varietà di infinità testuali, esempi di lunga serialità esportati in tutto il mondo, ciascuno
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con il proprio caratteristico brand. Nel frattempo, il World Wide Web di Tim Bernes-Lee, la cui im-
plementazione risale ai primi anni Novanta, ha portato all’estremo la formulazione del villaggio glo-
bale di McLuhan. Tutti i sensi, il tatto in primis, sono rimasti coinvolti in pratiche di condivisione e
narrazione continue e istantanee, capaci di convertire l’invisibile in visibile. Il flusso si è globalizzato
di pari passo con una mobilità tecnologica sempre più prostetica e miniaturizzata oltre il senso del
luogo. Dopo aver rielaborato da una pare le modalità organizzative della comunicazione e dall’altra il
sistema delle istanze latenti all’interno delle diverse configurazioni socio storiche delle forme cultu-
rali, i flussi radiofonici e televisivi sono arrivati a fondersi con la proprietà interattiva e ipertestuale
della rete e dei suoi supporti, convergendo negli illimitati e fluidi percorsi schermici della società di-
gitale.
Web radio e web series socializzano il flusso fino a farne il collante invisibile delle nuove pratiche di
consumo e scambio culturale, l’inarrestabile narrazione di una dimensione umana profondamente
modificata che avanza nell’infinito reticolo di immagini e suoni proposti dal cyberspace.

4. Il digitale e le reti
CAP.7 LA FINE DELLE COMUNICAZIONI DI MASSA. RETI E PERSONAL MEDIA NELL’ETÀ DIGITALE.

7.1 Interfacce e media, una storia di fantasmi


La nostra quotidianità è progressivamente caratterizzata dalla disponibilità di apparati informatici
con i quali interagiamo ininterrottamente, device dalle funzionalità più disparate. Superata l’era del
computer come device monolitico, caratterizzato da una singola interfaccia (desktop), ci troviamo di
fronte a un moltiplicarsi illimitato di interazioni uomo-macchina, cui corrisponde un pari incremen-
to del numero di interfacce coinvolte. La storia tecno-culturale dell’umanità è scandita dall’evolversi
di dinamiche interattive a partire dalla scoperta delle modalità di utilizzo del proprio corpo:
l’hardware biologico è la prima e più importante tecnologia umana, ed è dal nostro rapporto con le
sue potenzialità che partiamo per poi estendere le nostre capacità mediante la creazione o il riutiliz-
zo di oggetti presenti in natura. Dalle attività della caccia sino a rivoluzioni antropologiche quali la
scoperta del fuoco o l’invenzione della ruota, la capacità di interagire col mondo attraverso la sfera
della tecnica ha esteso in maniera esponenziale le potenzialità di dominio della specie sull’ambiente.
La vicenda della specie si fonda sull’ininterrotta relazione con l’ecosfera nel tentativo di sopravvivere
estendendo il portato delle nostre capacità (ciò che Pierre Levy definisce processo di ominazione). In
quest’ottica si possono considerare i più recenti supporti tecnologici, l’avvento delle macchine indu-
striali e di strumenti di comunicazione come telegrafo, radio, televisione, quali conseguenze del me-
desimo impulso ad accrescere il nostro portato sensoriale per controllare l’habitat in cui ha luogo la
nostra esistenza.
Nel rapporto tra l’essere umano e la tecnica, l’interattività digitale costituisce il frutto di un lungo
processo di adattamento tra copro e tecnologia, anche l’interazione novecentesca con gli elaborati
elettronici nasce in una forma complessa e in sostanza ancora meccanica.

7.2 La parabola dell’orologio


La storia dell’interfacce, come di norma per i media, è fatta di integrazioni e sparizioni più o meno
graduali. Molti strumenti che hanno fatto parte della vita quotidiana sono stati integrati in altri me-
dia che li hanno rimpiazzati. È il caso dell’orologio, uno strumento fondamentale nei processi di mo-
dernizzazione. La meridiana risolveva con semplicità la necessità di condividere la percezione del
tempo, pur avendo un grosso problema: non era consultabile in assenza di sole. Il primo orologio
meccanico, di natura sempre pubblico, vide la sua nascita soltanto nella Francia del XII secolo. La
natura pubblica dell’orologio di piazza si trasforma con la comparsa dei primi orologi a pendolo,
rimpiccioliti a tal punto da poter essere contenuti in una casa. La miniaturizzazione, che esaudisce
l’esigenza sociale di possedere privatamente uno strumento segnatempo, prosegue con
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l’introduzione dell’orologio da taschino, e infine, la nascita dell’orologio da polso. Il passo seguente
al transito da oggetto pubblico a privato è la digitalizzazione dell’orologio: si superano i congegni
meccanici a favore delle oscillazioni del quarzo, con un display che scrive ore e minuti. Ad oggi, sul
polso di fa invece strada lo smartwatch, dispositivo che attiva molte più funzioni di un semplice se-
gnatempo. La parabola storica dell’orologio sin qui sintetizzata esplicita le modalità di trasformazio-
ne dei media e delle loro interfacce: evolvendosi sino a integrarsi tra loro, i media estendono i nostri
sensi coniugandosi sempre più strettamente al corpo biologico.

7.3 Breve storia della musica portatile


La possibilità di portare con noi la nostra musica preferita è frutto di una tecnologia recente nella
storia dei media. Prima esistevano solo le radio portatili, i mangiadischi (45 giri) o le autoradio con il
lettore di audiocassette. La possibilità di ascoltare in privato e poter creare un mixtape erano legate
solo a stereo domestici o portabili, che hanno portato il desiderio di ascoltare la propria musica in
movimento o in spazi pubblici. Per comprendere i motivi per cui si volesse ascoltare musica nella
metropoli bisogna analizzare i pensieri di diversi sociologi; la maggior parte delle immagini di vita
quotidiana all’interno della metropoli rappresentano un’esperienza negativa, e sembrano fornire una
spiegazione condivisibile al desiderio di trascendere all’esperienza urbana attraverso una bolla uditi-
va in cui poterne controllare le esperienze negative. In contrasto con queste visioni negative, però
abbiamo altre visioni, come quella di Walter Benjamin che vede l’uso del lettore musicale portatile il
portare l’ascoltatore al flâneur: il passeggiatore metropolitano passeggia senza fretta nella città. O
come Guy Debord pensava che anche quest’esperienza così banale potesse essere trasformata in
spettacolo. Il Walkman, creato da Sony e poi imitato da tutte le aziende, ha avviato una rivoluzione
durata oltre vent’anni. L’unico dispositivo personal in grado di decretarne la fine del panorama cul-
turale ed economico è stato l’Ipod di Apple.

7.4 L’avvento della musica digitale


Il Walkman consentiva agli utenti di costruire il proprio ambiente sonoro, ma in maniera limitata ri-
spetto alle attuali opzioni. Ad esempio, uno degli aspetti più importanti per l’utente è la possibilità di
sincronizzare la musica con il proprio umore. Sebbene il Walkman garantisse agli utenti la gestione
di un proprio ritmo personale, v’erano anche limiti per questa soluzione tecnologica: Il dispositivo
Sony ha sopperito alla necessità sociale di creare una propria audio sfera, ma alla lunga è emersa una
nuova necessità, quella di implementare il menù musicale disponibile e gestirlo con la flessibilità ri-
chiesta dai cambi di scena della vita quotidiana. L’avvento della tecnologia MP3 consente la trasfor-
mazione della musica in file di dimensioni ridotte, facilmente gestibili da un computer o da un letto-
re portatile. La tecnologia MP3 ha prodotto un cambiamento rapido e radicale nelle aspettative dei
consumatori verso ciò che si può fare con le tecnologie audio mobili. Gli sviluppi tecnologici che
hanno portato alla produzione dell’Ipod Apple rappresentano una combinazione di funzionalismo
tecnologico e un senso di magia. Possiamo ritrovare nell’ Ipod l’icona culturale del ventunesimo se-
colo e, al contempo, una stringente metafora della vita urbana: lo spazio pubblico si è ridotto sino a
scomparire all’interno della sfera uditivo dell’individuo.

7.5 La virtualizzazione del gadget


La trasmigrazione dell’Ipod, strumento fisico dedicato esclusivamente all’ascolto della propria libre-
ria musicale, all’app Ipod per smartphone è conseguenza diretta di quella re-mediation. Le funziona-
lità dell’Ipod vengono dunque ri-mediate in una piattaforma più ampia, quella dello smartphone, al-
tra creazione di Apple, che materializza la trasformazione del telefono cellulare in un meta medium.
È il procedimento che descrive Lev Manovich nel saggio Software takes command: per Manovich vi-
viamo in un’epoca in cui il software plasma ogni agente, ogni strumento e ogni oggetto della cultura.
Non a caso, per rendere indolore il passaggio del device da gadget con un suo hardware e una sua fi-
sicità alla sua fantasmica versione software, nelle prime iterazioni dei sistemi operativi degli smar-
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tphone viene utilizzato un approccio scheumorfico per il design delle interfacce. Lo scheumorfismo è
l’utilizzo di ornamenti grafici che richiamano le caratteristiche estetiche di uno schermo. Imitare
vecchie tecnologie non risponde a una necessità duratura: è un rito di passaggio, per abituare gli u-
tenti all’utilizzo del nuovo ambiente tecnologico senza particolari traumi. Il destino di tutte le tecno-
logie è essere rimediate in forme più attuali che lo soppiantano o, come nel caso dei lettori musicali.
Seppure sotto forma di software, così, l’Ipod guadagna un’ultima funzione che ne amplia a dismisura
il potenziale: la connettività ad alta velocità, e con essa, la capacità di streaming. Ciò rende possibile
Apple Music, Spotify, Deezer.

7.6 Sesso soldi e sport


Secondo Patchen Barss “esiste un profondo legame tra la pornografia e gli strumenti e le tecniche di
comunicazione umana”. I creatori e i consumatori di contenuti a sfondo sessuale hanno sempre rap-
presentato una forza trainante nello sviluppo di forme di comunicazione che fanno parte del nostro
quotidiano, dalla fotografia allo streaming di video su Internet. La forte influenza della pornografia
sulle comunicazioni ha contribuito a creare molti degli strumenti a disposizione dei consumatori.
L’idea di base dei motori di ricerca dei siti di condivisione fotografica e di streaming video, nonché
molti altri componenti integranti l’attuale sistema dei media, hanno beneficiato direttamente della
spinta innovativa della pornografia. Il motivo di tale legame sembrerebbe ovvio: i consumatori di
pornografia tendono ad acquistare e utilizzare i loro prodotti in forma anonima. Ogni recente pro-
gresso sembra quini essere teso verso vettori: la privacy e la convenienza.
Non si può, tuttavia, ridurre il ruolo di traino tecnologico della pornografia alla semplice necessità di
privacy. La pornografia alla semplice necessità di privacy. La pornografia ha volto un ruolo importan-
te, che non ha nulla a che vedere con l’anonimato, per molti media. Nell’occidente industrializzato, il
legame tra pornografia e mondo dei media è fondamentalmente finanziario: questa volontà a essere
beta tester ha creato un vero e proprio modello di business che utilizza il porno come banco di prova
fondamentale per prevedere il successo di un nuovo medium, prima che questo debutti sul mercato
mainstream. Storicamente, le rappresentazioni dell’espressione umana dai bassorilievi mesopotamici
alle stampe tradizionali giapponesi sino ai linguaggi dell’industria culturale. Studiando i nessi tra sto-
ria dei media e rappresentazione della sessualità, Jonathan Coopersmith scrive in Sex, Vibes e
Videotape: “la pornografia sarebbe pubblicamente elogiata come un’industria che ha sviluppato, a-
dottato e diffuso con successo e rapidità le nuove tecnologie”. Per i consumatori comuni, la storia del
rapporto tra pornografia e comunicazione può apparire inopportuna, alla stregua di un imbarazzante
segreto relativo alla storia della tecnologia.

7.7 La globalizzazione dello sport entertainment


L’attività sportiva un fenomeno socialmente assai più complesso di quanto possa apparire, e costitui-
sce di certo uno degli elementi principali della moderna industria culturale. Il dibattito sul rapporto
tra cultura e entertainment, specie su un fenomeno rilevante dal punto di vista sociale come lo sport,
implica la necessità di considerare le molte sfaccettature. Oggi il calcio è l’esempio più evidente della
spettacolarizzazione delle pratiche sportive moderne. Non v’è discontinuità fra l’industria degli even-
ti sportivi e il resto dell’industria culturale - in specie dopo la diffusione del medium televisivo nella
sfera domestica del tempo libro – poiché essa rappresenta una colonna portante dei palinsesti gene-
ralisti così come delle piattaforme dedicate. La spettacolarizzazione degli eventi sportivi produce e-
venti mediali centrali su competizione e regole, ma anche su forme testuali adatte a influenzare la
spettacolarità. Un esempio di questo processo di spettacolarizzazione è la Uefa Champions League.
O la finale dei mondiali del 2006. È stato così coniato il termine Medisport per definire l’intima con-
nessione tra sport e media, sostenendo che la fusione con il sistema della comunicazione ha reso lo
sport un fenomeno ibrido di cui è sempre più difficile interpretare i reciproci confini.

30
7.8 Lo sport come medium totale
Considerando lo sport alla stregua di un medium possiamo cogliere la composizione bivalente del
suo pubblico. I fan presenti dal vivo sono parte integrante dello spettacolo. Il pubblico dello sport ha
una composizione eterogenea: si va dagli appassionati impegnati in attività di fandom ai cosiddetti
tifosi occasionali. Questa topofilia viene mitizzata, spesso come sentimento nostalgico per tempi
passati, quando gli stadi e le squadre costituivano davvero delle rappresentazioni simboliche territo-
riali, e il legame fra sport e media – come il teatro o il circo – si basava sulla performance e la presen-
za fisica allo stadio.
Il solo mercato locale non può sopperire alle necessità di un’industria sportiva globale: i campionati
più importanti sono seguiti mediante vecchi e nuovi media e orientati verso mercati slegati dall’idea
di territorio, nella continua ricerca di nuove piazze, nuovi fan, nuovi investitori. Ma oggi non si può
pensare in termini di conflitto tra locale e globale: per la crescita e la prosperità di un club all’interno
di un sistema economicamente sempre più competitivo, lo sviluppo di brand sportivi è indispensabi-
le. Questa rinnovata fluidità spettatoriale ed economica ci mostra una delle sfaccettature del feno-
meno che Anthony Giddens definisce disembedding: la disfunzionalità della distinzione forzata tra
entertainment e cultura, o tra cultura alta e cultura bassa, viene ancora una volta evidenziata
dall’evoluzione del fenomeno sportivo. Dalla mitizzazione della cultura olimpica alla struttura alta-
mente spettacolare di dream team calcistici come il Real Madrid, o di eventi mediatici dal forte coin-
volgimento sociale: risulta chiaro quanto lo sport sia uno dei motori della moderna industria cultura-
le e come sia riuscito a rimanere al passo coi tempi adattandosi velocemente ala scompaginazione
dei medium di massa. Il rapporto fra media e sport si rinsalda in una convergenza che produce uno
dei luoghi più dinamici della produzione culturale contemporanea, rimescolando continuamente le
analisi ortodossi e le tassonomie del sistema trans-mediale.

7.9 Il videogame: nuovi linguaggi della rappresentazione nell’età digitale


Attualmente il videogame è considerato un fenomeno sociale complesso che mette in crisi l’intero
sistema dei media di massa. L’industria relativa a questa forma di intrattenimento, sia per le dimen-
sioni che per la velocità con cui si espande, rappresenta un settore d’avanguardia nell’era digitale,
con cifre che superano ormai quelle relative ad altri media quali cinema, home video o musica. Per le
sue caratteristiche, il videogame va esaminato come medium a sé stante, un apparato sociotecnico
che funge da mediatore nella comunicazione fra soggetto. I videogame introducono una nuova rela-
zione tra soggetto e rappresentazione, un rapporto che scavalca la consueta posizione spettatoriale,
individuando nella relazione ludica una nuova prospettiva valida alla comprensione delle pratiche
relative ai media digitali: giocare con il video permette di oltrepassare i limiti dello schermo
nell’interazione dei mezzi di comunicazione di massa, individuando una soglia linguistica dai carat-
teri innovativi. Con l’aumento della distribuzione digitale e la proliferazione delle piattaforme è e-
mersa una gamma assai diversificata di sviluppatori, pubblici e modalità di produzione e consumo di
videogame. Bisogna costatare anche una trasformazione sostanziale nella composizione della platea
dei videogiocatori: accanto un nucleo forte di giocatori, dominato prevalentemente da uomini, che
continua a privilegiare la ricerca della massima performance tecnologica, oggi nuove piattaforme si
affacciano al gaming estendendo la portata dei videogiochi a un pubblico eterogeneo e occasionale
che ha un rapporto quotidiano con i videogiochi, interprete di un ruolo non compulsivo nel rapporto
con dispositivi di videogioco.

7.10 L’industria Tripla-A, la scena indie ed i casual game


La sezione più in vista dell’industria dei videogiochi, quella formata dagli studios che investono di
più nello sviluppo e nella commercializzazione di franchise, tecnologicamente spettacolari, per le
macchine da gioco domestiche, è comunemente nota come Tripla-A. Storicamente i videogiochi so-
no sempre stati medium a propulsione tecnologica, affascinati dalle ideologie hacker del progresso e

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dalla passione per il virtuosismo. L’obiettivo del fotorealismo, ottenuto tramite l’avanzamento tecno-
logico, rimane una delle utopie degli sviluppatori. Come risulta chiaramente dal concetto di genera-
zioni di console, il dispositivo che si interfaccia con il corpo del consumo, ciascuna vista come supe-
riore al precedente.
La scena indie, caratterizzata da individui o piccoli team di sviluppatori che realizzano progetti di
nicchia Proprio per la musica e i film indie si sono affermati in risposta alla produzione mainstream,
gli sviluppatori di giochi indipendenti possono operare liberamente in termini di creatività e innova-
zione, non essendo vincolati dall’obbligo di rientro di investimenti milionari. Gli sviluppatori indie
emergono soprattutto dalla normalizzazione dei canali di distribuzione digitale: gli sviluppatori indie
sfruttano appieno Internet per offrire giochi economici direttamente agli utenti, senza la necessità di
intermediari. Sono diventati, quindi, anche una presenta significativa sui principali store di distribu-
zione digitale. Grazie ai loro costi di gestioni più bassi, la crescita degli studi indie ha creato nuovi
generi e stili, resuscitando anche alcune dinamiche dei giochi delle origini e ripercorrendo una stra-
da completamente diversa rispetto a quella cultura del continuo aggiornamento hardware degli edi-
tori Tripla-A.
Se l’ascesa della scena indie ha comportato l’effetto collaterale della legittimazione dei videogiochi,
oramai accettati come qualcosa di più che un mero prodotto di intrattenimento allora l’affermazione
dei casual games riguarda la normalizzazione sociale dei videogiochi. Questi attirano gli utenti attra-
verso uno stile e un design più accessibili: in tal modo i casual games riescono a introdursi nella pra-
tica quotidiana di chi non ha mai giocato ad alcun videogame. Nei suoi circa sessant’anni di vita, il
medium videoludico ha subito una veloce e innovativa evoluzione che ne ha ampliato le prospettive
in direzioni impreviste, traghettandolo dal semplice intrattenimento interattivo alla sfera della ricer-
ca e dell’apprendimento.

7.11 I social media nella società delle reti


Nella letteratura sociologica, l’idea di società dell’informazione può essere ricondotta a Daniel Ball, il
sociologo americano che alla fine degli anni Cinquanta coniò la locuzione di post industrialismo.
Queste rappresentazioni sono essenziali per le successive concezioni della società dell’informazione
da parte di studiosi quali Alvin Toffler e Manuel Castells. Fondamentale, in questa prospettiva del
mutamento, è la suddivisione lineare della storia in tre periodi:
1.L’era preindustriale, caratterizzata principalmente dall’agricoltura;
2.L’era industriale, dominata dalla produzione meccanica;
3.L’era post-industriale in cui predominano i servizi dell’industria dell’informazione.
Castelles afferma “le nostre società sono sempre più strutturate intorno all’opposizione bipolare della
Rete e del Sé”. Nella sua accezione, la Rete è una metafora tecnologica che si riferisce a tutti i tipi di
social network: tra persone, organizzazione e simboli, mediati o meno, di cui Internet è soltanto
l’ultima incarnazione. Per Castells, la società in rete è uno dei tre modi fondamentali di organizza-
zione sociale insieme allo stato e al mercato. Gli esseri umani si sono sempre organizzati in reti. Ma è
stato solo dopo la diffusione delle tecnologie dell’informazione, alla fine del ventesimo secolo, che le
reti hanno iniziato a prevalere sulle altre due modalità fondamentali di organizzazione sociale, pro-
ducendo lo stato di rete e l’impresa di rete. La società in rete stabilisce un “tempo senza tempo”, atti-
vo in un movimento apparentemente perpetuo di scambio digitale che tenta di sostituirsi alla se-
quenza lineare di eventi e pratiche, come perfettamente rappresentato dalla comunicazione basata
su hyperlink, fondamento del world wide web Il www; infatti, si delinea come una sorta di titanica
BBS condivisa, per permettere agli utenti di scambiarsi software, dati, messaggi e notizie. L’idea di
base dei social media non è quindi molto innovativa. Tuttavia, anche in ambito accademico c’è spes-
so confusione riguardo a cosa debba esattamente essere incluso in questa definizione e in che modo i
social media differiscono concettualmente da ciò che definiamo Web 2.0 e User Generated Content.
Ha senso, così, fare un passo indietro e analizzarne le differenze. La crescente disponibilità di accesso
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ad Internet ad alta velocità ha ulteriormente contribuito alla popolarità del concetto di diario online,
grazie alla creazione di Bruce e Susan Abelson che fondarono Open Diary, il primo social network,
portando alla creazione di siti come MySpace e Facebook. Da qui la nascita dei social media come li
conosciamo, con tutte le loro differenti declinazioni: Twitter, Instagram, Snapchat e altri. Una defi-
nizione formale dei social media richiedere innanzitutto di tracciare una linea di demarcazione tra
due concetti correlati che vengono spesso nominati insieme ad esso. Mentre la semplice idea di pub-
blicazione dei contenuti appartiene all’era del Web 1.0, il Web 2.0 è caratterizzato dalla collaborativi-
tà e dalla scomparsa di ostacoli di natura tecnica per contribuire ai contenuti. Sebbene il Web 2.0
non faccia riferimento ad alcun aggiornamento tecnico specifico del World Wide Web, esiste una se-
rie di funzionalità di base necessarie al suo funzionamento.
La definizione di social media richiede, innanzitutto, una comprensione delle dinamiche di socializ-
zazione. I media non sono semplici tecnologie, ma sistemi tecno-sociali. Possiamo individuare alla
loro base un primo strato tecnico su cui si appoggia un livello culturale di attività umane che produ-
cono, diffondono e consumano conoscenza. I media sono sistemi tecno-sociali in cui le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione consentono di ampliare lo spettro delle attività umane:
Internet è costituito, allo stesso tempo, da un’infrastruttura tecnologica e da esseri umani che intera-
giscono tra loro. Il web non è soltanto una rete di reti informatiche, ma una rete che interconnette
reti sociali e reti tecnologiche. Internet è costituito da un sistema tecnologico e da un sottosistema
sociale che hanno entrambi una morfologia a rete. Insieme, queste due parti costituiscono un siste-
ma tecnico-sociale.

7.12 Le reti e lo scambio: dalle comunità alle communities


Nella Rete l’influenza si esercita in due modi: attraverso le reti sociali e diffondendosi attraverso le
reti di comunicazione. Riprendendo la teorizzazione di Katz e Lazarsfeld, il concetto di influenza so-
ciale online nella sua attuale diversità rispetto all’esperienza novecentesca dei mass media: dal mo-
mento in cui la struttura solidale della comunità rurale e urbana ha ceduto il passo a reti che grazie
ai social media hanno esteso la portata, la velocità e la complessità dei modelli di comunicazione,
l’influenza sociale non può non tener conto dei cambiamenti. La maggior parte delle persone nei pa-
esi sviluppati, e probabilmente anche altrove, partecipa a più di una rete sociale piuttosto che a un
singolo gruppo. Si spostano tra queste reti e talvolta diffondono informazioni tra essi. L’avvento dei
social media ha introdotto nuove opportunità per la comunicazione e l’influenza sociale, offrendo al-
le persone la capacità di interagire in modo anonimo e asincrono. Paradossalmente, in una società
organizzata in rete e iper-connessa, può essere più difficile convincere gli altri che la propria posizio-
ne sia quella giusta quando gli altri partecipanti hanno accesso a risorse online che possono offrire
punti di vista alternativi.
Il Web è definibile nei termini di un medium che rende possibile una democratizzazione senza pre-
cedenti dell’accesso alle informazioni. Questa parità teorica nella diffusione e nell’accessibilità delle
informazioni è tuttavia praticamente inesistente. I motori di ricerca ed i portali di informazione fa-
voriscono i contenuti già popolari rispetto a quelli sconosciuti. I progettisti di motori di ricerca lavo-
rano per dare risultati che gli utenti reputino utili.

7.13 L’intelligenza delle web communities


Nell’attuale mediascape, il World Wide Web costituisce uno degli elementi più importanti. Per web
communities intendiamo il loro riflesso mediato tramite il web: con il sostegno delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, le comunità online presentano un’intelligenza condivisa
superiore a quelle di una comunità tradizionale. Una web community deve ottenere tre requisiti
fondamentali per essere considerata tale. In primis, la comunità dovrebbe contenere un sistema di
memoria che registri l’insieme di informazioni e conoscenza condivise, analogo a quelle del sistema
di memoria nel cervello umano. Inoltre, la comunità dovrebbe avere la capacità di risolvere problemi

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mediante un lavoro collettivo, operando attraverso le intelligenze dei singoli in un’azione “che passa
dal cogito cartesiano al cogitamus”. Nel saggio L’intelligenza collettiva Pierre Lévy sostiene che
“l’intelligenza collettiva è la nuova infrastruttura. L’intelligenza non è solo un oggetto cognitivo, ma
va interpretata come nell’espressione operare di comune intesa”. La comunità online deve dimostra-
re capacità di problem-solving su un livello superiore rispetto a qualsiasi membro della comunità in
sé: confrontando la struttura neuronale interconnessa del cervello umano, l’intelligenza comunitaria
può anche essere paragonata a una rete neurale, in cui i neuroni sono membri della comunità insie-
me ai sottostanti sistemi web-based. Le forme di aggregazione sociale basate sul web – o su altri me-
di digitali – sono spesso accusate di scompaginare la comunità allentandone i legami: i social media
ci proietterebbero quindi in una dimensione in cui, per citare il titolo di un’opera della psicologia
americana, saremmo tutti insieme ma soli. I media, in quanto processi, non impoveriscono autono-
mamente la vita sociale delle persone che ne fanno uso; è il modo in cui le persone interagiscono a
mutare l’uso delle innovazioni tecnologiche che si affacciano al panorama mediale.

7.14 P2P e le nuove modalità digitali di distribuzioni


Nell’età industriale, con l’attività di consumo si esprimono opinioni e posizioni che orientano le scel-
te della produzione. Nell’età digitale quest’influenza si rafforza, elevando il piano del conflitto fra in-
dustria e consumo. Il progetto della distribuzione digitale nasce proprio nella rete clandestina. Il
passaggio a questo modello distributivo da parte dell’industria culturale è stato determinato innanzi-
tutto dal conflitto tra il mercato delle reti di distribuzione illegale e le industrie, in posizione domi-
nante, che detengono i diritti d’autore sulle opere. L’aspetto e il funzionamento di questi mercati so-
no radicalmente mutati dall’affermazione di standard aperti ispirati all’etica hacker e a quelle moda-
lità distributive che riconducono alla legalità le innovazioni delle piattaforme peer to peer di file sha-
ring come Napster, WinMX, Emule. La rivoluzione digitale ha avuto davvero inizio nel momento in
cui gli strumenti grazie alle tecnologie open source sono diventati accessibili a tutti. Nel tentativo di
arginare la pirateria attraverso azioni legali, le industrie tradizionali hanno spinto le reti illecite e in-
novarsi sviluppando nuove tecnologie di decentramento che non richiedono un server centralizzato.
L’industria si è quindi vista costretta a adottare un modello distributivo create dal basso, cui gli uten-
ti s’erano abituati, centrato sull’uso non vincolato all’acquisto e l’accesso illimitato al catalogo. La
persistenza della pirateria sul mercato ha eroso i monopoli sulla diffusione dei media. Non più co-
stretti ad affidarsi ai servizi legittimi, gli utenti vengono attratti dall’offerta di un ecosistema in grado
di imitare e superare le possibilità offerte dall’immediatezza e dalla fruibilità della pirateria: piatta-
forme come Amazon, Spotify, Netflix hanno deviato il flusso di distribuzione attraverso le proprie
strutture e detengono ora gran parte del controllo sull’accesso ai media: i venditori digitali hanno
conquistato il mercato attraverso lo sviluppo di attraenti piattaforme Retail. In precedenza, gran par-
te della distribuzione dei media era gestita in maniera top-down, dai più importanti conglomerati
dell’industria mediatica. Questi nuovi intermediari, i venditori/distributori digitali, hanno assunto
gran parte del controllo sulla vendita del dettaglio dei loro media, amalgamando l’approccio centrato
sull’utente. Ne consegue il transito verso l’accesso ai media piuttosto che alla loro proprietà: questo
cambiamento radicale di paradigma non ha favorito soltanto l’utente, permettendo di ridurre la spe-
sa per aver accesso a cataloghi vastissimi. L’industria culturale digitale, a ben vedere, non s’è rivelata
né una riforma complessiva della concentrazione delle major, né un regime distopico in cui gli algo-
ritmi decidono per noi quali prodotti culturali consumare: si è invece creato un equilibrio fra i due
scenari, la convivenza non priva di conflitti tra forze socio-economiche che si controllano e influen-
zano a vicenda, sull’orlo di trasformazioni al momento inimmaginabili.

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