Sei sulla pagina 1di 36

Lo psicologo scolastico

Capitolo 1: Lo sportello psicologico


1. Lo sportello psicologico: un tentativo di definizione
Non è facile definire lo sportello psicologico, né spiegarne il funzionamento. In Italia non
esiste un quadro normativo chiaro in merito ai ruoli e alle mansioni dello psicologo
scolastico. La British Association for Counselling and Psychotherapy afferma che il
counselor scolastico (in Italia, lo psicologo) offre a bambini e adolescenti in difficoltà
l’opportunità di parlare dei propri problemi all’interno di un rapporto di confidenzialità e
fiducia. Rimanendo nel nostro paese, ciò che emerge dai report è che lo sportello
psicologico si configura come un servizio che offre agli studenti – e spesso, ma in misura
minore, agli insegnanti e ai genitori – la possibilità di richiedere una consulenza psicologica
individuale a scuola.
In primo luogo, lo sportello psicologico è un servizio, o meglio, uno dei tanti servizi offerti
dallo psicologo scolastico. In quanto tale, esso ha dei limiti in termini di tempo e risorse. In
Italia lo psicologo è generalmente a scuola per una o due mattine a settimana, e in questo
arco temporale devono essere concentrate tutte le attività previste, siano esse individuali
(sportello), di gruppo (intervento nelle classi) o istituzionali (documentazione, valutazioni,
relazioni).
Lo sportello, inoltre, si rivolge potenzialmente a tre tipologie di destinatari: studenti,
insegnanti e genitori. Gli alunni, tuttavia, rimangono il target principale.
Il terzo elemento riguarda la consulenza psicologica. Sebbene in Italia gli sportelli
d’ascolto siano a volte gestiti da insegnanti, educatori e pedagogisti è bene evidenziare che
l’ascolto in sé non implica una competenza psicologica. Per poter beneficiare di tale aspetto,
è necessario che il professionista abbia alle spalle una formazione specifica. Appurato
quindi che stiamo parlando di un servizio svolto da psicologi, è utile anche precisare che la
consulenza è ben diversa dalla psicoterapia. La consulenza, infatti, non ha un obiettivo
diagnostico, né tantomeno terapeutico. A differenza della psicoterapia, la consulenza si
configura come uno spazio circoscritto di ascolto, di breve durata (da 1 a 5 colloqui), e
centrata su obiettivi specifici concordati con l’utente.
Infine, la consulenza avviene all’interno delle mura scolastiche. L’attività dello psicologo
scolastico è costantemente costruita e ridefinita dentro il sistema scuola.

2. Il lavoro dello psicologo nel sistema scolastico


La scuola si configura per definizione come un sistema complesso composto da sistemi
più piccoli (gruppi di amici, le classi, il corpo docenti) e inserito in sistemi più ampi. Date
queste premesse, non stupisce che allo psicologo scolastico sia richiesto di lavorare
muovendosi tra i diversi livelli del sistema scuola e interfacciandosi con gli altri sistemi a
esso legati. Tutti questi sistemi, livelli e attività, e il loro essere strettamente embricati, non
devono essere trascurati nell’ambito della consulenza individuale, per due ragioni.
In primo luogo, il successo dello sportello, in termini di effettivo raggiungimento e accesso
degli studenti, è vincolato al fatto che lo psicologo sia considerato parte integrante del
sistema e lavori in sinergia con esso. In secondo luogo, anche nel suo lavoro di consulenza
individuale, lo psicologo è chiamato a tener conto dei molteplici sistemi a cui studenti,
insegnanti e genitori partecipano.
2.1 Lo psicologo come parte del sistema scolastico
Anche se sembra scontato affermare che lo psicologo è parte integrante del sistema
scolastico, la sua integrazione deve essere un obiettivo da perseguire, più che un punto di
partenza. Si sottolinea, infatti, che lo psicologo debba guadagnare attivamente il proprio
posto all’interno della scuola. L’alleanza tra psicologo e staff scolastico è tutt’altro che
marginale per il buon funzionamento dello sportello psicologico. Infatti, il supporto degli
insegnanti è fondamentale per la promozione del servizio e per la diffusione di una cultura
che valorizzi la capacità degli studenti di chiedere aiuto.

2.2 Una prospettiva ecologica nell’ambito della consulenza psicologica


In letteratura è sempre più forte l’appello ad adottare una prospettiva ecologica nell’ambito
della consulenza psicologica scolastica. Tale approccio definisce la consulenza psicologica
come un aiuto contestuale e contestualizzato che dipende dal significato che l’utente dà ai
contesti a cui egli attivamente partecipa. L’obiettivo della consulenza, in termini ecologici, è
promuovere un migliore adattamento tra utente e ambiente, affinché il primo possa
raggiungere i propri obiettivi all’interno del proprio contesto, con tutte le risorse e i vincoli che
lo caratterizzano.
Adottare un approccio ecologico nell’ambito di un ipotetico sportello non implica una
formazione o metodi specifici. Al contrario, arricchisce il lavoro del professionista poiché lo
obbliga a tener conto, dei molteplici contesti in cui l’individuo si muove.

3. L’organizzazione dello sportello psicologico


Lo sportello psicologico si configura come uno spazio di ascolto in cui uno studente può
richiedere un aiuto esperto su un problema specifico.
Dobbiamo considerare che gli adolescenti sono spesso riluttanti a richiedere un supporto
professionale per problemi personali e preferiscono piuttosto rivolgersi agli amici o, in misura
minore, ai genitori. Tale resistenza è stata esaminata in riferimento a quattro principali
barriere o ostacoli:
1. La scarsa conoscenza dei servizi disponibili
2. Lo stigma e l’imbarazzo legati alla richiesta d’aiuto
3. Il timore della mancata confidenzialità rispetto ai temi trattati nei colloqui
4. Le difficoltà in termini di accessibilità del servizio

3.1 Conoscenza del servizio


Spesso lo sportello scolastico è poco utilizzato dagli studenti semplicemente perché essi
non hanno la minima idea della sua esistenza o ignorano in cosa realmente consista, o
peggio, condividono una rappresentazione distorta dello psicologo e della sua attività.
Alcune buone pratiche che lo psicologo potrà adottare sono:
● Presentare lo sportello scolastico sul sito web della scuola.
● Presentare lo sportello scolastico in occasione di un collegio docenti a inizio anno.
● Presentare lo sportello scolastico attraverso una comunicazione scritta rivolta alle
famiglie. L’invio di una circolare scritta a tutte le famiglie degli alunni avviene
normalmente all’inizio dell’anno scolastico, come premessa rispetto alla richiesta di
firmare il consenso informato.
● Presentare lo sportello scolastico in occasione dei consigli di classe.
● Presentare lo sportello scolastico attraverso una visita porta a porta nelle classi. Il
professionista potrà sfruttare questa occasione, che è anche forse la più efficace, per
fare chiarezza sui tanti stereotipi e pregiudizi che aleggiano attorno alla figura dello
strizzacervelli.
● Presentare lo sportello scolastico... in corridoio. Non dimentichiamo il ruolo del
personale ATA (personale amministrativo, tecnico e ausiliario) che nei corridoi
scolastici svolgono una vera e propria funzione di vigilantes. Grazie alla loro
posizione strategica, tali figure hanno spesso una visione piuttosto chiara delle
dinamiche sommerse della vita scolastica. Gli ausiliari conoscono tutti o quasi gli
studenti, e sono per i ragazzi un vero e proprio punto di riferimento quando si tratta di
chiedere informazioni.

3.2 Stigma ed imbarazzo


Andare dallo psicologo non è come andare dal medico. Infatti, mentre un piccolo malessere
fisico può capitare a chiunque, il malessere emotivo, relazionale o psicologico sono
spesso vissuti come un difetto intrinseco, una debolezza da nascondere e di cui
vergognarsi.
Per tutte queste ragioni, nelle attività di promozione dello sportello è importante che lo
psicologo favorisca un atteggiamento aperto e tollerante verso la richiesta d’aiuto.
È inoltre consigliabile dedicare alcuni minuti alle domande degli studenti, meglio ancora se
raccolte in una scatola sotto forma di bigliettini anonimi, onde evitare fastidiosi imbarazzi.
Un ultimo suggerimento riguarda la sede dello sportello scolastico. Naturalmente lo
psicologo dovrà considerare i vincoli degli spazi a disposizione all’interno della scuola in cui
opera. Tuttavia, sarebbe bene negoziare un ufficio o un’aula collocati in un punto della
scuola il più possibile riservato, al fine di limitare sguardi indiscreti.

3.3 Confidenzialità e fiducia


Il potersi fidare dello psicologo rappresenta certamente una conditio sine qua non per
qualsivoglia tipo di intervento con gli adolescenti. Ma a scuola le cose vanno un po'
diversamente. Dobbiamo infatti ricordare che la scuola possiede di fatto una dimensione
pubblica; gli studenti non sono abituati a una dimensione di privacy scolastica. Non solo: la
scuola è connotata da relazioni asimmetriche, quelle tra alunni e insegnanti, ed è piuttosto
comune per gli studenti pensare che altri esperti adulti facciano parte dello staff, e siano
pertanto alleati dei docenti, più che dei ragazzi.
Per tutte queste ragioni, uno dei maggiori ostacoli per gli adolescenti alla richiesta di una
consulenza psicologica è il timore della violazione del patto di riservatezza, ovvero che
quanto emerso all’interno di un colloquio possa essere divulgato a terzi, in particolare a
insegnanti e genitori. Alla luce di ciò, è importante che all’inizio di una consulenza, o ancora
prima, in fase di presentazione dello sportello, siano messi in chiaro i seguenti punti:
a. Il contenuto dei colloqui è trattato nel rispetto assoluto della privacy dello studente a
meno che lo psicologo e lo studente non abbiano concordato diversamente
nell’ambito della consulenza stessa;
b. Tuttavia, i genitori di uno studente che decida di intraprendere una consulenza
psicologica, per legge, devono essere informati di tale possibilità e devono esprimere
il loro consenso informato scritto affinché il minore possa sostenere dei colloqui
psicologici.
È inoltre importante evidenziare che, soprattutto quando parliamo di minori, il segreto
professionale ha alcune limitazioni. Per esempio, lo psicologo che, all’interno di un colloquio,
venga a conoscenza di fatti che potrebbero costituire reato perseguibile ha l’obbligo di
presentare denuncia scritta. Esiste poi tutta una serie di casi potenzialmente complicati.
Come suggerito in un articolo legale apparso recentemente sul “Bollettino” dell’ordine
emiliano-romagnolo, vige in generale la regola per cui lo psicologo è tenuto a informare i
genitori di un minore ogni qualvolta vi sia un rischio di reale pregiudizio (danno psicofisico)
per il minore stesso. Ciò deve avvenire, possibilmente, dopo aver coinvolto l’adolescente in
questa decisione e aver ottenuto il suo consenso. Per concludere, è utile rammentare ai
giovani psicologi che, in caso di situazioni dubbie o spinose, essi possono sempre rivolgersi
per un parere all’Ordine degli psicologi.

3.4 Accessibilità
Lo sportello psicologico, per il suo essere collocato all’interno della scuola, è di per sé un
luogo più accessibile rispetto ad altri servizi presenti sul territorio. Questo punto di forza
logistico, tuttavia, non è sufficiente: gli studenti devono avere chiare le procedure da
seguire per poter fissare un colloquio. In generale, l’accesso di un adolescente può avvenire
in tre modi: spontaneo, indiretto su suggerimento di un insegnante, indiretto su
suggerimento dei genitori. Nel primo caso, lo studente decide autonomamente di rivolgersi
allo psicologo. Negli altri due casi, un insegnante o un genitore possono raccomandare allo
studente questa opzione, fungendo da ponte tra il ragazzo e lo psicologo stesso.
Al di là del tipo di accesso, tanto più semplici saranno le procedure di accesso, tante più
probabilità vi saranno che gli studenti usufruiscano del servizio. Poiché può capitare che la
richiesta di consulenza sia dettata da motivi urgenti, Lines suggerisce di considerare nella
pratica professionale ulteriori spazi a libero accesso in cui sia possibile, per gli studenti,
presentarsi per un colloquio senza bisogno di prenotazione.
PROCEDURE DI ACCESSO ALLO SPORTELLO PSICOLOGICO (Box 1.3)
● Il bigliettino. Lo studente potrà scrivere il proprio nome, cognome ed e-mail su un
bigliettino che andrà poi inserito in un’apposita scatola a libero accesso. Sarà cura
dello psicologo ricontattare lo studente fissando un colloquio.
● Il calendario online. Lo studente, così come il genitore o l’insegnante, potranno
prenotare una consulenza all’interno di uno spazio online appositamente dedicato.
● Lo spazio aperto. Lo psicologo potrà prevedere un piccolo spazio a libero accesso
per la prenotazione di consulenze.
● Lo spazio aperto telefonico. Lo psicologo indicherà un numero telefonico; è
vivamente sconsigliata, oltre che fuori luogo e inappropriata, l’opzione di fornire il
proprio numero telefonico privato.
● La prenotazione per mezzo di un insegnante referente. In questo caso, un docente
con funzioni strumentali si assumerà il compito di organizzare l’agenda dello
psicologo e di fissare le consulenze.

4. La consulenza all’interno dello sportello psicologico


Non rimane che discutere alcune delle implicazioni pratiche della consulenza. In
particolare, si è scelto di focalizzarsi sul lavoro individuale con gli studenti, in quanto
destinatari principali dello sportello psicologico, e di offrire alcuni spunti che possano
orientare il lavoro di consulenza con i genitori.
Pertanto, saranno presentati due modelli di intervento, rispettivamente per gli studenti e per i
genitori, facilmente coniugabili con diversi orientamenti teorici e giudicati particolarmente
adatti e utili all’interno del contesto scolastico. Il primo, datato ma ancora oggi utilizzato nei
setting educativi, è il modello di intervento breve a 3 step focalizzato sugli obiettivi di Egan,
mentre il secondo consiste nel modello di consulenza contratto sull’utente.

4.1 La consulenza psicologica con gli adolescenti


Affinché una consulenza psicologica sia breve e si esaurisca nell’arco di 4 o 5 incontri, lo
psicologo scolastico dovrà far sì che i colloqui con gli adolescenti vertano su un problema
specifico e siano orientati al futuro, più che al passato.
Basandosi proprio su queste caratteristiche, la proposta di consulenza breve a 3 step di
Egan può essere considerata una valida scelta. Tale modello prevede tre fasi: valutazione,
individuazione degli obiettivi e identificazione di strategie per il loro raggiungimento.
Nella prima fase di valutazione lo studente che giunge in consulenza è invitato a discutere
con lo psicologo la situazione che lo preoccupa e ad approfondire quali criticità ne
ostacolano il buon funzionamento. Al di là della specifica difficoltà riportata, adottando un
atteggiamento collaborativo e non giudicante lo psicologo ha il compito di accompagnare
lo studente nell’articolare la sua personale definizione del problema. Nel caso in cui lo
studente presenti allo psicologo un elenco “troppo lungo” di difficoltà, per ridurre il campo di
azione potrà essere utile chiedergli di stilare un elenco dei problemi in ordine di priorità.
È bene specificare che, in questa fase iniziale così come a conclusione del percorso, lo
psicologo potrà decidere di utilizzare uno o più strumenti standardizzati per valutare il
grado di malessere/benessere dell’adolescente e, quindi, per testimoniare l'efficacia o meno
della consulenza.
Nella seconda fase adolescente e psicologo stabiliscono insieme degli obiettivi della
consulenza, che dovranno essere di numero ridotto, specifici, il più possibile concreti e
realizzabili. Per rendere tale compito più semplice, è possibile in alcuni casi servirsi della
miracle question: “immagina che sia accaduto un miracolo e che il tuo problema sia
magicamente svanito. Come sarebbe la tua vita senza questo problema?”.
Infine, nella terza fase, psicologo e studente collaborano attivamente nello stabilire un
piano d’azione finalizzato al raggiungimento degli obiettivi precedentemente specificati.In
questo modo, lo psicologo aiuterà l’adolescente a individuare risorse, favorendo
l’assunzione di un ruolo attivo e responsabile da parte del giovane.
A seconda della situazione specifica, psicologo e adolescente potranno infine discutere la
possibilità di coinvolgere parti terze, come la scuola, i genitori o altri servizi presenti sul
territorio. Il coinvolgimento della rete scolastica è utile nel momento in cui il problema
evidenziato si presenti principalmente all’interno della scuola o del gruppo classe. Il
coinvolgimento della famiglia avviene ogni qualvolta psicologo e studente ritengono utile il
confronto con gli adulti di riferimento o quando sia indispensabile rivelare alla famiglia
situazioni di rischio. Infine, il coinvolgimento dei servizi del territorio avviene nel caso in
cui lo psicologo valuti che lo studente abbia bisogno di rivolgersi a uno specialista o in
presenza di elementi (per esempio violenze, abusi) che rendano necessaria una
segnalazione agli uffici competenti.
In tutti questi casi, è buona regola concordare tali passaggi con lo studente, in modo da farlo
sentire sempre parte attiva nel processo di presa in carico che lo riguarda.
4.2 La consulenza psicologica con i genitori
Sebbene le scuole che prevedono uno sportello psicologico offrano quasi sempre alle
famiglie la possibilità di rivolgersi a questo servizio, solo pochi genitori ne usufruiscono
realmente. Quando avviene, l’accesso rientra all’interno di due tipologie. Nel primo caso, il
genitore si rivolge allo psicologo perché preoccupato per alcuni comportamenti del figlio;
nel secondo, il genitore è convocato dallo psicologo in seguito a una consulenza con lo
studente all’interno della quale emergono temi o dinamiche che richiedono l’attenzione
parentale.
In entrambi i casi, la consulenza con i genitori può prendere le mosse da diversi approcci.
Tuttavia, soprattutto nel caso in cui il genitore sia convocato in seguito alla richiesta di aiuto
del minore, è bene che l’adolescente veda psicologo e genitore come alleati alla pari.
Affinché ciò avvenga, può essere utile fare propri i principi di lavoro proposti dal modello di
consulenza centrato sull’utente.
La consulenza centrata sull’utente si basa su due elementi chiave. In primo luogo, essa
enfatizza l’importanza di favorire la costruzione di una relazione collaborativa, non
gerarchica e non direttiva, tra un esperto (psicologo) e un utente (il genitore) che richiede
un aiuto professionale su una difficoltà che riguarda una terza persona (figlio/studente).
Attraverso il dialogo e la discussione, lo psicologo si formerà progressivamente un’idea sulle
principali difficoltà che il genitore osserva nell’adolescente e a sua volta il genitore potrà
interpretare tali difficoltà prendendo in considerazione elementi nuovi messi in luce
dall’esperto. In seconda istanza, deve essere chiaro all’interno della consulenza che la
richiesta d’aiuto non rappresenta una delega allo psicologo per l’individuazione di una
soluzione: è il genitore ad assumersi la responsabilità di organizzare un piano d’azione
che permetta al figlio di aumentare il suo grado di benessere. In altre parole, lo psicologo
mette a disposizione le proprie competenze al fine di ampliare il repertorio di conoscenze del
genitore ma non propone direttamente un cambiamento, né indica cosa si deve fare.

Capitolo 2: Sostegno alla prevenzione e alla gestione delle


difficoltà di apprendimento
1. Difficoltà di apprendimento e bisogni educativi speciali
I bambini con bisogni educativi speciali (BES) sono tutti quei bambini che hanno bisogno
di una considerazione specifica individualizzata, perché rischiano di non farcela se
semplicemente eseguiti con le normali prassi scolastiche. In particolare, l'importante
direttiva ministeriale 27 dicembre 2012, Strumenti di intervento per alunni con bisogni
educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica, ha fornito un utile
elenco di studenti con bisogni educativi speciali. All'interno del termine BES sono comprese
le sottocategorie:
1. Disabilità generale (per esempio, Sindrome di Down)
2. Disturbi evolutivi specifici, e in particolare:
● disturbi specifici dell'apprendimento (DSA), ossia dislessia, disortografia ecc
● disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività (ADHD)
● disturbi dell'area linguistica
● disturbi nell'area non verbale
● disturbo dello spettro autistico lieve
● funzionamento intellettivo limite (FIL)
3. Svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale.
Si noti che i profili al punto uno al punto due sono anche chiamati “disturbi del
neurosviluppo”, perché ne è ormai ampiamente documentata la base biologica. Per questo
qualche volta si pensa che lo specialista che li deve seguire debba essere un medico o un
neuropsicologo. Uno psicologo scolastico che opera all'interno della scuola può aiutare
l'insegnante a riconoscere queste fisionomie e a capire quali possono essere le
implicazioni educative fondamentali.

2. Possibili iniziative dello psicologo scolastico


Vi sono molti aspetti per i quali lo psicologo scolastico può essere di supporto nelle iniziative
rivolte al bambino con BES; ne indichiamo alcuni:
● Formazione degli insegnanti: dare gli strumenti necessari agli insegnanti per
comprendere le diagnosi. Esistono, principalmente, due criteri per eseguire una
diagnosi:
1. Valutare se la difficoltà è dipesa dalla situazione socio-culturale del bambino.
2. Se non ci sono altri disturbi associati, poichè un DSA è specifico, cioè non è
una conseguenza di altri disturbi primari.
● Progetti di screening e sensibilizzazione: è necessario fare ciò poiché, senza uno
screening, il bambino affronterà una carriera difficoltosa poiché andrebbe in contro a
stigmatizzazione e frustrazione.
● Facilitazione nei rapporti tra insegnante, famiglia e servizi: è necessario favorire la
comunicazione tra gli operatori ed i professionisti che si occupano di un bambino
affetto da DSA.
● Progetti con gruppi o intere classi: è importante cercare di sviluppare le capacità
deboli del bambino con DSA stimolando la comunicazione e l’interazione.
● Aiuto nell'individuazione di materiali e strumenti compensativi
● Aiuto nell'interpretazione della diagnosi
3. Dalla certificazione a un aiuto per la diagnosi e la sua interpretazione
Nel caso delle disabilità e dei DSA, è prevista una certificazione che sancisca il diritto
dell'alunno a fruire degli aiuti previsti dalla legge. Qualche volta la certificazione e il
riferimento a una categoria diagnostica sono arricchiti da una vera e propria diagnosi utile
all'insegnante per capire come comportarsi; altre volte sono inclusi alcuni consigli pratici.
Questi elementi sono presenti nelle diagnosi che riguardano casistiche non normate per
legge, ma per le quali le famiglie hanno richiesto un approfondimento specialistico. Questi
specialisti spesso appartenenti all'associazione italiana per la ricerca e l'intervento nella
psicopatologia dell'apprendimento (AIRIPA) rilasciano la diagnosi e forniscono suggerimenti
alla scuola, con l'eventuale sollecitazione ad adottare iniziative simili a quelle previste per i
DSA. Lo psicologo scolastico può però favorire il contatto fra scuola e specialista. Le
relazioni diagnostiche possono essere in parte difficili per l'insegnante che non sa cosa sono
punti zeta o percentili, che non conosce le prove e che ha una conoscenza solo intuitiva di
alcuni costrutti citati.

4. Collaborazione nella coordinazione del progetto e aiuto per l'intervento


a scuola
Vi sono casi di bambini con BES su cui sono convogliate discrete energie, ma in modo poco
sinergico. Insegnante di classe, di sostegno, eventuale insegnante di doposcuola e servizio
riabilitativo si muovono in ordine sparso, creando uno spreco di risorse e una certa
confusione nel bambino. Il necessario coordinamento dovrebbe essere assunto dallo
specialista, ma questi non ha un rapporto diretto con la scuola e può avere difficoltà a
mantenere contatti fra le varie risorse.
In questo caso lo psicologo scolastico potrebbe prendere l'iniziativa di predisporre un
progetto e coordinarne lo svolgimento. Inoltre, lo psicologo scolastico potrà aiutare gli
insegnanti a ricavare dalla relazione suggerimenti concreti e a stendere un piano
personalizzato, qualora se ne riscontri la necessità. L'insegnante può essere tenuto a
iniziative inclusive volte a favorire la partecipazione dell’alunno nella vita ordinaria di
classe che richiedono però tempo, energia e conoscenza delle procedure. Per esempio, per
bambini con DSA possono essere state previste facilitazioni compensative o
dispensative o l'uso di strumenti che sono alla portata del bambino, ma richiedono un po’ di
pratica guidata. Lo psicologo scolastico può a tale scopo essere presente nel consiglio di
classe nel momento in cui si parla del bambino con BES e offrire la sua disponibilità a
incontri con i singoli insegnanti. Al di là di iniziative rivolte solo ai bambini con BES, ci sono
iniziative che può realizzare la scuola nella sua normale prassi, ma che l'insegnante può
cominciare ad attuare solo se stimolato e sostenuto.

5. L'aiuto nella gestione del rapporto scuola-famiglia


Per i bambini con BES la famiglia è decisiva nel contribuire a buone prassi, e questo non
solo per le iniziative che può prendere, ma anche e soprattutto per quelle che deve evitare.
Fra i tanti problemi della famiglia che lo psicologo scolastico può cercare di ridurre, due
paiono fondamentali e frequenti:
1. Un atteggiamento negativo dei genitori nei confronti dell'istituzione scolastica.
2. Il rapporto vischioso che si può creare, a proposito di attività scolastica, fra figli e
genitori, con ambizioni e pressioni eccessive alternate a momenti di lassismo.
Gli incontri per i genitori sono un'ottima occasione per creare un atteggiamento
collaborativo fra scuola e famiglia e per approfondire alcuni temi sensibili come il
comportamento in classe, i voti, i compiti per casa, il progetto educativo (PDP, PEI, ecc) e
la sua attuazione.

6. Progetti preventivi o di screening


La necessità di prevenzione delle difficoltà di apprendimento è molto sentita ed è stata
anche esplicitata nella normativa e nella legislazione. La prevenzione può già avvenire nella
scuola per l'infanzia, ma può essere sviluppata a tutti i livelli. Di solito questi progetti si
basano su iniziative di screening rivolte a tutti gli alunni di una certa fascia scolastica, con
l'identificazione dei casi a rischio e l'intervento mirato su questi ultimi. É evidente che
l'identificazione precoce dei casi a rischio ha senso se poi si cerca di fare qualcosa per
ridurre i problemi che si presenteranno.
La cura delle transizioni scolastiche potrà riguardare non solo il passaggio dalla scuola per
l'infanzia alla scuola primaria, ma anche i successivi cambi di ordinamento scolastico, fino
alla transizione all'università. È noto infatti che tutti questi passaggi costituiscono momenti di
rischio e disagio per gli studenti con BES. Lo psicologo scolastico, oltre a preparare lo
studente alla transizione, potrà tenere conto di possibili difficoltà dovute al cambiamento
nelle richieste della nuova scuola.

7. Iniziative per i problemi emotivi e relazionali dei bambini con BES


La letteratura relativa ai problemi emotivi e relazionali dei bambini con BES è vastissima.
Fra i problemi citati ci sono: il calo dell'autostima, la demotivazione, l'ansia, la timidezza,
l'isolamento e il bullismo subito. Per superare questi problemi in diverse scuole del mondo
sono quindi stati previsti progetti sotto la supervisione dello psicologo. Altri programmi
associati sono invece volti a costruire nell’alunno un atteggiamento più positivo nei confronti
della scuola ma anche della vita.

8. Disabilità intellettive e funzionamenti intellettivi limite


Una condizione che pone importanti richieste di aiuto è rappresentata dalla disabilità
intellettiva (DI). I criteri che devono essere presenti per fare diagnosi di DI, menzionati dal
DSM-5 sono:
1. Deficit delle funzioni intellettive (ragionamento, pianificazione, pensiero astratto)
confermato da valutazione clinica e test standardizzati
2. Deficit nel funzionamento adattivo che si manifesta con il mancato raggiungimento
degli standard di sviluppo per l'indipendenza personale e la responsabilità sociale
nella cultura di appartenenza
3. Insorgenza dei deficit intellettivi e adattivi in età evolutiva.
Per quanto sia previsto un'insegnante di sostegno dedicato per un certo numero di ore
settimanali, lo psicologo scolastico può essere utile a molti livelli.
Gli obiettivi di apprendimento che i soggetti con DI possono raggiungere sono a grandi linee
deducibili dal quoziente di intelligenza. Tuttavia, le esperienze educative e le
caratteristiche individuali possono portare a prestazioni molto variabili anche all'interno di
uno stesso profilo intellettivo-adattivo o di una stessa sindrome. Gli individui con sindrome di
Down, per esempio, sono più deboli nelle aree linguistiche e meno deboli nelle aree non
verbali, eppure fra loro si diversificano notevolmente. Nei casi di DI sono frequenti gli errori
nelle scelte educative e didattiche: priorità sbagliate, obiettivi inadeguati, malintesi nelle
strategie inclusive, scarsa capacità di motivare. In Italia, la legge tutela i soggetti con DI ma
esclude da tali tutele gli studenti con un funzionamento intellettivo limite o borderline
(slow learners) ma per i quali oggi sono in via di definizione criteri diagnostici più precisi.

9. Autismo
I recenti approcci diagnostici - per esempio il DSM-5 - propongono di considerare all'interno
dell'unica categoria del disturbo dello spettro autistico (ASD) profili anche molto
differenziati dal punto di vista cognitivo e adattivo, spesso proprio per questa ragione distinti
nelle sottocategorie di alto e basso funzionamento. Gli uni e gli altri paiono infatti accomunati
da alcune caratteristiche difficoltà di relazione, gli interessi limitati, le stereotipie, che
richiedono conoscenze specifiche sul problema e sulle modalità più opportune per
affrontarlo.
Problemi particolarmente severi sono posti da casi a basso funzionamento che
presentano, oltre alle tipiche difficoltà delle DI, anche severi problemi di relazione e di
comportamento. La scuola può trovarsi in severa difficoltà, ma lo stesso psicologo scolastico
può non essere all'altezza del problema, vuoi per una scarsa conoscenza in proposito, vuoi
per una formazione eccessivamente orientata verso un particolare approccio psicologico,
tale da impedire un intervento equilibrato e collaborativo.
Per quanto concerne i casi di autismo ad alto funzionamento possono essere di aiuto i
programmi che lavorano sugli aspetti emotivi e relazionali.
10. Disturbi specifici di apprendimento
Come per il caso degli studenti con FIL, anche per studenti con BES dovuti ad altri problemi
le risorse disponibili possono essere molto limitate. Poiché, per una serie di ragioni, è
frequente che DSA e ADHD coesistano nello stesso bambino, può accadere che talune
iniziative siano proposte agli uni e agli altri, generando però qualche confusione, soprattutto
se i profili sottostanti sono diversi. Sia per l’ADHD sia per i DSA possono essere proposti
non solo programmi emotivo-relazionali, ma anche programmi cognitivi centrati sulle abilità
di base.
Per quanto riguarda i DSA, ha avuto molta risonanza la proposta di basarsi sulla
responsiveness-to intervention (RTI). La proposta è stata chiamata anche multi-tier
perché prevede 3 tiers (o fasi). Con il primo Tier si guarda quale studente non risponde alla
normale istruzione; nel secondo si ha una secondary intervention, effettuata su piccoli
gruppi; chi non risponde nemmeno a questo intervento e soggetto a un qualche processo
diagnostico, breve secondo questo approccio, e quindi a un tertiary intervention (tier 3) che
ha carattere più specialistico. L'approccio RTI non considera l'ambito della psicologia
scolastica perché proviene dal mondo dell'educazione speciale con un'attenzione ai processi
di apprendimento e ai riscontri evidence-based.
Relativamente alle iniziative che potrebbero essere ricondotte al tier 2, numerosi sono i
progetti portati avanti nelle scuole con la regione dello psicologo. Per esempio, hanno avuto
molta popolarità e discreto successo i progetti per la promozione delle abilità di
comprensione del testo che sono in grado di produrre risultati che la scuola non riesce a
raggiungere. Un contesto che sembra oggi piacere a molti alunni è quello che si avvale del
computer. Si noti infine che per l'insegnante può essere difficile districarsi fra tipologie
differenti di problematiche, dal momento che una stessa criticità può essere dovuta a ragioni
differenti che quindi suggeriscono approcci diversificati. Un problema di calcolo può infatti
essere legato a un problema linguistico o, al contrario, a un problema visuospaziale e quindi
richiedere strategie di insegnamento e recupero differenti.

11. Disturbo da deficit di attenzione e iperattività e altri disturbi del


neurosviluppo
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, ADHD o, in italiano, DDAI è
caratterizzato appunto da difficoltà di attenzione e/o iperattività e impulsività. Le
manifestazioni dell’ADHD non consentono al soggetto di seguire con costanza le normali
attività in classe: in particolare, rendono difficile al bambino non solo affrontare compiti che
richiedono pianificazione e autoregolazione ma anche partecipare alla normale attività
scolastica. Poiché è noto che una delle ragioni di disagio e stress dell’insegnante è legata
alle difficoltà di controllo della classe e che il comportamento dell’alunno con ADHD è
cruciale in tal senso, un primo ruolo fondamentale dello psicologo scolastico riguarda la
consulenza all’insegnante e la gestione del suo disagio.
Ma uno psicologo scolastico sarebbe essenziale e prezioso per molti altri aspetti relativi
all’aiuto in caso di presenza di alunni con ADHD. È per esempio ampiamente documentato
che la gestione dell’alunno con ADHD trae vantaggio dall’individuazione dei momenti in cui
egli manifesta i comportamenti inadeguati o, al contrario, quelli più adeguati. Si parla talora a
questo proposito di approccio ABC che considera gli antecedenti (A), il comportamento (B)
e le conseguenze (C), basandosi sull’idea che individuando antecedenti e conseguenze
propizi si riesca anche ad aumentare la frequenza dei comportamenti adeguati e a ridurre
quella degli altri. L’insegnante può tuttavia avere difficoltà a implementarla, sia per il
problema di riuscire ad organizzarsi per applicarla, sia per il non facile compito di dedicare
specifica attenzione all’alunno interessato, trascurando il resto della classe. Per questa
ragione lo psicologo scolastico dovrebbe poter accedere alla classe, compiere
un’osservazione individualizzata e aiutare l’insegnante a costruire un progetto mirato di
gestione della classe.

12. Bambini superdotati, talentosi, creativi


La scuola italiana è stata all’avanguardia nel mondo per la sensibilità rivolta agli alunni con
disagio, mentre non sembra essersi caratterizzata per particolari sforzi rivolti ad alunni
eccezionali. C’è infatti ragione di pensare che molti studenti eccezionali non solo, a causa
della loro unicità, sperimentano disagio emotivo-motivazionale, ma possono anche
caratterizzarsi per la cosiddetta doppia eccezionalità: eccezionalità in positivo, perché
posseggono grandi abilità, ma anche eccezionalità in negativo, perché incontrano difficoltà
di apprendimento, di attenzione o di comportamento.

13. Difficoltà di apprendimento dovute a fattori linguistici e socioculturali


È ben noto che la presenza degli studenti stranieri è in costante aumento. Gli studenti
svantaggiati per fattori socioculturali e gli studenti stranieri possono presentare
problematiche oggettive chiaramente identificabili, ma possono anche avere delle sensibilità
che lo psicologo scolastico può aiutare ad individuare. Negli studenti stranieri la ridotta
conoscenza dell’italiano può creare problemi non tanto per la lingua parlata di base ma per
la comprensione delle sottigliezze e delle ambiguità dei testi scritti, mentre in linea di
principio non dovrebbe comportare difficoltà rispetto agli studenti italiani nel caso della
matematica. Il disagio sociale di studenti svantaggiati, stranieri, adottati, ecc. può quindi
essere associato a un disagio psicologico che lo psicologo scolastico può aiutare a
identificare e ad attenuare.

Capitolo 4: Le dinamiche di gruppo nella gestione della


classe
1. La gestione della classe in ottica sistemica
Definire che cosa si intende per gestione della classe non è semplice. Si va da una
definizione piuttosto ristretta, basata sostanzialmente sul modo in cui i docenti riescono a
contenere i problemi di disciplina e di comportamento, a definizioni molto ampie che
comprendono, per esempio, le azioni di sostegno all’apprendimento, la regolazione emotiva,
gli aspetti organizzativi. Ci soffermiamo su come gli insegnanti possano monitorare e gestire
i processi di insegnamento e apprendimento. Processi che, nei gruppi classe, sono
essenzialmente di natura interattiva e relazionale. In quest’ottica, la teoria generale dei
sistemi disegna una cornice per comprendere come gestire le interazioni fra allievi e
insegnanti in modo da innescare processi di cambiamento virtuosi e costruire un buon
ambiente di apprendimento.
Un buon punto di partenza è il pensare la classe come un sistema, cioè un’unità composta
di diverse parti interconnesse che agiscono in modo organizzato e interdipendente per
promuovere l’adattamento e il miglioramento dell’unità intera. La gestione delle interazioni in
classe non riguarda e non è controllabile dal solo docente o dal solo allievo: in classe, ogni
individuo si coordina con gli altri, è interdipendente rispetto alle azioni dell’altro, e condivide
la responsabilità di ciò che si verifica. Il significato in interazione e il significato di
un’interazione sono quindi co-costruiti in maniera emergente, a mano a mano che le
dinamiche di arrivano.

1.1 Riconoscere i bisogni psicologici di base


L’impegno e il coinvolgimento degli studenti verso ciò che succede in classe sono
considerati come due elementi molto importanti non solo per il raggiungimento dei buoni
risultati, ma anche per la percezione di un senso di benessere e per la crescita e la
maturazione individuale. Nella prospettiva della teoria dell’autodeterminazione, numerose
ricerche hanno dimostrato che se la scuola e gli insegnanti soddisfano i bisogni di base dei
propri allievi adolescenti, ciò concorre alla promozione di un atteggiamento positivo, migliora
il rendimento e favorisce un generale senso di benessere. In particolare, la teoria
dell’autodeterminazione considera esigenza primaria degli studenti quella di percepire che la
scuola riesca a dare risposte alle loro esigenze di:
● Sentirsi riconosciute come persone autonome;
● Sentirsi considerati persone competenti;
● Sentire di far parte di una rete di relazioni significative;
Il bisogno di competenza riguarda l’esigenza di sentirsi riconosciuti come tali nel contesto
sociale; quello di autonomia è il bisogno di essere legittimati come individui in grado di
scegliere; il bisogno di relazionalità, di sperimentarsi connesse con altre persone. Si
riconosce nei bisogni di base l’importanza dell’interdipendenza fra alunni e insegnanti.
Infatti, i bisogni di autonomia e competenza sono soddisfatti non solamente quando un
individuo si sente autonomo e competente, ma soprattutto quando percepisce di essere
riconosciuto e legittimato come persona autonoma e competente.
Per quanto riguarda i bisogni di autonomia e di competenza degli allievi, gli insegnanti
svolgono una funzione molto importante perché possono creare occasioni di risposta e di
legittimazione a questi bisogni o, al contrario, ignorarli o addirittura negarli, con il rischio di
dare il via a una traiettoria scolastica negativa o quantomeno più difficoltosa. Si trova invece
nel gruppo di compagni la possibilità di sperimentare quella connessione con gli altri che è
alla base della costruzione di un senso di autostima, della capacità di collaborazione e di
gestire i conflitti.
Dagli studi emerge una criticità riguardante in particolare il bisogno di autonomia, che gli
adolescenti italiani faticano a considerare un vero e proprio bisogno fondamentale nel
contesto scolastico. Lo psicologo scolastico può, in accordo con gli insegnanti, avviare una
progettazione per aumentare la percezione di autonomia, per esempio sollecitando, a livello
di classe, spazi di scelta autonoma relativamente alle parti del programma da approfondire
o alle modalità di verifica.

2. Regolare la partecipazione in classe


Una lezione riesce bene se gli allievi partecipano, dando il proprio contributo alla lezione.
La scuola non può dunque sottrarsi al compito di formare i propri allievi all’assunzione di una
posizione partecipe.
Tuttavia, nella quotidianità in classe si osserva una situazione molto diversa. Grazie ai
risultati di numerosi studi è stato mostrato che nella pratica quotidiana l’insegnante tende a
controllare le interazioni e i discorsi in classe, lasciando agli allievi limitate occasioni per
discutere e intervenire, su quale argomento, per quanto tempo, e che si attribuisce il ruolo di
conoscitore primario grazie al quale si pone come solo certificatore della correttezza del
contributo dei suoi studenti. Ciò fa sì che crei una condizione che spinge gli studenti a
sforzarsi di aderire al pensiero dell’insegnante, considerato come unico pensiero corretto e a
fornire le risposte che il docente stesso si aspetta. In questo quadro, gli allievi hanno poco
spazio proprio per l’esercizio di quelle competenze di cittadinanza attiva che si ritengono al
cuore dei processi di formazione.

2.1 La comunicazione in classe


Quando in classe si stabilisce un forte sbilanciamento del potere nelle mani
dell’insegnante che conduce e controlla le interazioni, si osserva un calo significativo della
motivazione e del coinvolgimento da parte degli allievi. L’insegnante ha infatti nelle sue mani
uno strumento potente, il linguaggio, per facilitare o invece ostacolare la piena
partecipazione degli allievi alle attività.
Ci troviamo dunque di fronte a una situazione per certi versi paradossale, perché, da un lato,
gli insegnanti riconoscono come prioritario e formativo favorire la partecipazione in classe e,
dall’altro, non riescono a sganciarsi da un bisogno di controllo. La risultante si rintraccia in
una sorta di partecipazione controllata, che ben poco però ha a che vedere con quella
partecipazione autentica. Come ben descrive Candela nelle classi emergono tante situazioni
definite dell’autrice come forme di negoziazione del potere discorsivo, che si verificano
quando il potere non è più appannaggio dell’adulto ma viene assunto e gestito da qualsiasi
membro del sistema classe. Parlando di potere, le osservazioni in classe ci dicono che le
situazioni di “attacco” nei confronti dell’insegnante possono essere molteplici. Vengono
innescate in genere in vario modo: da una sfida diretta al potere dell’insegnante, da un
conflitto o da una proposta. In tutti questi casi, si osserva in classe una dinamica interattiva
nella gestione della classe che si svolge in modo diverso a seconda di come la posizione dei
ragazzi si articola (interdipendenza) rispetto a quella dell’insegnante.
Lo psicologo scolastico può affiancare i docenti in un lavoro di osservazione e
autosservazione delle dinamiche comunicative in classe, per evidenziare in quali
occasioni si possano aprire spazi di negoziazione da sfruttare per migliorare i processi
partecipativi.

2.2 Come favorire la partecipazione?


Favorire la partecipazione è dunque una sfida importante per la scuola di oggi, che non può
rinunciare a mettere in pratica azioni educative e didattiche in grado di sollecitare gli alunni a
sentirsi autori e attori dei processi interattivi in classe. Fra queste azioni, ricordiamo di aprire
spazi al confronto fra idee e punti di vista, all’espressione di dissenso e alla costruzione di
consensi.
Perché ciò sia possibile, occorre che le classi e gli insegnanti in primis si impegnino in modi
di fare lezione che abbandonino i metodi più tradizionali, fondati sul controllo, e facciano
proprie invece metodologie didattiche innovative che possano promuovere l’acquisizione
delle competenze trasversali più evolute come le capacità di problem solving, il pensiero
divergente, la collaborazione o il lavoro di gruppo. Ridurre il tempo della lezione frontale si
rivela una strategia utile per promuovere spazi di apprendimento innovativi. In quest’ottica,
possono anche essere incentivate e sfruttate a pieno le attività e le occasioni di
apprendimento cooperativo che rappresentano un valido ausilio per il miglioramento degli
alunni che hanno qualche difficoltà scolastica. Incentivando nelle classi modelli didattici
innovativi, gli insegnanti, accompagnati e sostenuti dallo psicologo scolastico, possono
raggiungere un duplice obiettivo. Da un lato, riuscire a motivare i propri allievi alla
partecipazione e al coinvolgimento nelle attività che consentiranno loro di raggiungere con
più facilità risultati scolastici positivi; dall’altro, porre le fondamenta perché si costruisca in
classe un buon ambiente di apprendimento.

3. Verso una classe inclusiva


Al cuore della definizione di inclusione sta un sistema di valori capace di accogliere e
valorizzare tutte le diversità, di genere, etniche, sociali e così via.
Il processo di inclusione si distingue in modo netto dal processo di integrazione. Nel
complesso, il costrutto di integrazione si traduce in un processo che sostiene
prevalentemente strategie atte a portare l'alunno disabile o diverso a essere quanto più
possibile simile agli altri, nell'ottica di una normalizzazione che significa di fatto negare le
differenze in nome di un ideale di uniformità e omogeneità. Al contrario, l'idea di inclusione
non si fonda sulla misurazione della distanza da un preteso standard di adeguatezza
normalità, ma sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione a scuola così
come nella società da parte di tutti i soggetti. Il concetto di inclusione riconosce l'esistenza
del rischio di esclusione o meglio di una “nuova esclusione” nonostante l'inserimento; per
questo esso si coniuga con il concetto di equità, in base al quale la scuola deve essere in
grado di prendere in carico e consentire il successo di ogni alunno, con le sue diversità.
Se con l'integrazione il contesto educativo non subisce sostanziali cambiamenti, la
prospettiva dell'inclusione è invece orientata a modificare profondamente i sistemi educativi
in modo da rispondere alla diversità promuovendo condizioni, contestuali e relazionali, che
permettano il riconoscimento di ciascuno, in un clima di sensibilità alla differenza. Queste
modifiche dei sistemi scolastici sono necessarie per fronteggiare in molti problemi delle
scuole di oggi. Lo psicologo scolastico può accompagnare e formare le insegnanti per
aiutarli a riconoscere tutti gli alunni nelle loro diversità, individuando le caratteristiche
distintive e peculiari di ciascuno. In termini psicologici implica delle capacità, per esempio
quella di osservare, ascoltare ma anche e soprattutto una disponibilità cognitiva ed emotiva
che consenta di fare posto all'altro.
La disponibilità cognitiva si riferisce all'insieme delle rappresentazioni e alla disposizione
di pensiero che ogni insegnante ha dei propri allievi. Nella prospettiva dell'approccio
inclusivo ogni alunno viene concepito come una totalità complessa e originale, non
riconducibile al rendimento in una disciplina, né tantomeno a una sommatoria dei suoi
rendimenti nelle varie discipline. La disponibilità emotiva si riferisce invece alla capacità di
saper riconoscere le emozioni, di sapervi rispondere in modo coerente e adeguato.
Nell'ottica dell' approccio inclusivo, le emozioni dei ragazzi sono per l'insegnante dei segnali
importanti da cogliere perché attraverso le proprie emozioni ogni alunno esprime il suo
personale modo di sentire e di vedere ciò che avviene in classe e fuori da essa.
Il sostegno psicologico agli insegnanti è poi particolarmente necessario quando essi stessi
sperimentano intense emozioni, spesso negative, di fronte ai comportamenti dirompenti o
provocatori. Sostenere la disponibilità emotiva dell'insegnante consente di aiutarlo a non
negare o espellere queste emozioni, ma a riconoscerle e ad accettarle per arrivare a
comprendere parti importanti di sé stessi, oltre che dei ragazzi.

3.1 Inclusione a scuola: che fare?


Per la costruzione di un ambiente di apprendimento in cui trova spazio la prospettiva
dell'inclusione, un'utile spunto applicativo viene dall'indice per l'inclusione adottato
dall’UNESCO per promuovere un approccio inclusivo. L'indice è stato utilizzato in più di 40
paesi e tradotto anche in italiano.
Secondo gli autori che lo hanno proposto, l'indice propone una visione del costrutto di
inclusione non da intendersi come una meta, ma piuttosto come un processo che può avere
sviluppi differenti a seconda dello specifico contesto scolastico. Non ha un carattere
prescrittivo e rappresenta una proposta flessibile finalizzata a stimolare un'analisi e un
pensiero riflessivo sull'inclusione. Lo psicologo scolastico può basarsi sull'indice per aiutare
gli insegnanti ad avere una maggiore consapevolezza di sé e della propria azione educativa
rispetto alla creazione di un contesto inclusivo e a cercare soluzioni che non sono date o
prescritte ma co-costruite dagli attori medesimi. In quest'ottica, le dimensioni fondamentali
per una scuola inclusiva sono tre:
1. Creare culture inclusive: significa costruire e diffondere quei valori inclusivi nei
quali la scuola si riconosce e che possono orientare le scelte rispetto alle politiche e
alle pratiche scolastiche;
2. Creare politiche inclusive: richiede la progettazione di interventi condivisi grazie
alla partecipazione di tutti gli alunni e del gruppo insegnanti, valorizzando la
specificità in termini di risorse e riducendo i movimenti espulsivi o le spinte
all'esclusione;
3. Sviluppare pratiche inclusive: ciò è possibile grazie alla strutturazione dei
contenuti delle attività di apprendimento in modo che tutte le diversità vengano
tenute in considerazione

4. Ambiente e formazione
I contesti scolastici svolgono infatti una funzione primaria nella formazione di giovani che
abbiano una visione morale del mondo e siano in grado di partecipare alla vita sociale e
democratica. Per rendere possibili questi apprendimenti, è centrale la costruzione di un
ambiente di apprendimento in cui gli studenti siano invitati a partecipare attivamente.

Capitolo 5: Riconoscere e gestire le emozioni in classe


1. Le emozioni ed il loro sviluppo
Nonostante il fiorire di ricerche sempre più sofisticate, la psicologia non è approdata a
definizioni unanimi sulla natura, le cause e le conseguenze delle emozioni. Tra gli aspetti più
condivisi si può annoverare il fatto che le emozioni sono risposte a stimoli per noi rilevanti e
come tali hanno una precisa e importante funzione nella nostra vita; queste risposte
includono componenti neuro fisiologiche e biochimiche, comportamentali e cognitive. Le
prime includono l'attivazione del sistema nervoso autonomo e di risposte neuroendocrine; le
seconde sono evidenti nella mimica e nella postura che accompagnano. Anche lo sviluppo
delle emozioni è stato affrontato da punti di vista differenti.
Una sintesi che gode di molti consensi è costituita dall'approccio funzionale. Secondo
questo approccio, nelle primissime fasi della vita sarebbe presente un'organizzazione
emotiva rudimentale, che si perfeziona nel corso dello sviluppo sotto diversi aspetti: a) si
amplia la gamma di emozioni sperimentate; b) aumenta la capacità di leggere le emozioni
altrui e anche quella di comprendere il ruolo delle proprie azioni nel provocarle; c) cresce la
regolazione emotiva anche grazie al possesso sempre più solido delle cosiddette regole di
esibizione che prescrivono se, come e quando sia opportuno manifestare l'emozione
provata. In ogni caso, è il contesto familiare quello che per primo consente al bambino di
procedere nello sviluppo emotivo. Infatti l'attaccamento a caregivers amorevoli e sensibili è
strettamente connesso con la possibilità di sperimentare emozioni positive, di apprendere
come si parla di emozioni e come si può influire sugli stati emotivi propri e altrui. Per contro,
il maltrattamento crea i presupposti per un bias di negatività, ossia la tendenza a percepire
e rispondere ai segnali di rabbia e a non cogliere altrettanto bene il repertorio emotivo nella
sua varietà.

2. Perché la scuola?
La scuola quindi non può esimersi dal fare la propria parte nella promozione di uno sviluppo
emotivo ottimale. Inoltre, la scuola non può sempre confidare su un buon funzionamento
delle relazioni familiari.
In effetti, non mancano proposte di educazione emotiva da perseguire fin dai primi anni,
destinate esplicitamente all' implementazione da parte degli insegnanti stessi: ne è un
esempio il PATHS curriculum; si noti l'uso del termine curriculum che sottende un approccio
strutturale, per cui le attività diventano parte integrante del normale lavoro scolastico. A
questa osservazione ne va aggiunta un'altra: sia i curricoli come questo, sia le proposte più
circoscritte, si focalizzano in larga parte su conoscenze e comportamenti meglio definibili
come competenze sociali. Non è un'aggiunta casuale, infatti le emozioni sono frutto di un
adattamento evoluzionistico all'ambiente naturale e umano, e hanno un risvolto
comunicativo di grande importanza. Cause e conseguenze delle emozioni vanno lette nel
contesto in cui si manifestano, e nel caso della scuola il contesto di cui tener conto è
primariamente sociale.
Sotto la guida dello psicologo scolastico l'insegnante desideroso di impegnarsi in un
curriculum emotivo potrebbe inserire abbastanza agevolmente tra le normali attività quelle
che permettono di aumentare la conoscenza delle emozioni.

3. Regolazione, intelligenza e competenza emotiva


L'impegno richiesto all'insegnante in tema di regolazione delle emozioni è sicuramente più
arduo. Secondo la definizione, la regolazione emotiva è “un insieme di processi che mirano
a modificare consapevolmente e/o inconsapevolmente le emozioni provate intervenendo
sulla loro intensità, durata e tipologia”. Il termine regolazione suggerisce di primo acchito
l'idea di un contenimento, come effettivamente accade quando una persona cerca di vincere
la paura. Tuttavia, accanto a questo tipo di down-regulation ci sono anche forme di
up-regulation mirate ad amplificare uno stato d'animo piacevole, assaporando maggiormente
una gioia, o prolungando un sentimento di soddisfazione e orgoglio. Sebbene le ricerche si
siano moltiplicate, i percorsi degli studiosi sono rimasti distanti: per esempio, non sappiamo
con certezza se la regolazione delle emozioni sia intrinsecamente connessa al loro
manifestarsi, o sia un adattamento che interviene a posteriori. Un punto però è abbastanza
chiaro: la regolazione emotiva è frutto di un processo di sviluppo, al quale contribuisce
moltissimo l’acquisizione del linguaggio e che, nel corso della prima e media fanciullezza, si
intreccia in modo quasi inestricabile con l’elaborazione delle informazioni sociali prevista dal
ben noto modello di Dodge.
La regolazione emotiva è vista da alcuni come l’aspetto di un costrutto più ampio:
l’intelligenza emotiva. Questa nozione è stata proposta originariamente da Salovey e
Mayer. Nelle prime versioni del loro modello, Salovey e Mayer hanno suggerito che le abilità
implicate dall’intelligenza emotiva siano riconducibili a quattro dimensioni:
1. Accurata percezione delle emozioni proprie e altrui;
2. Utilizzo delle emozioni per facilitare il pensiero, traendo il massimo beneficio dai
propri stati d’animo;
3. Comprensione delle informazioni che le emozioni forniscono, anche grazie alla
combinazione tra emozioni diverse e al variare degli stati d’animo;
4. Regolazione delle emozioni sia positive che negative, accettandole o rifiutandole
dopo averne valutato l’utilità.
Un altro autore, Goleman è pervenuto anch’egli a un modello quadripartito, ma
notevolmente diverso da quello di Salovey e Mayer, in quanto incrocia una dimensione
cognitiva e una dimensione non-cognitiva. Ne risultano 4 cluster corrispondenti a:
1. Consapevolezza di sé;
2. Self-management (gestione di sé);
3. Consapevolezza sociale;
4. Gestione delle relazioni.
L’unione di fattori cognitivi e non-cognitivi sotto l’ombrello del termine “intelligenza” è stato
oggetto di critiche, tanto che sembra più costruttivo parlare di “competenza emotiva”.

4. Perché lo psicologo scolastico?


La preoccupazione primaria per l’apprendimento, sempre più dominante via via che si passa
dai primi anni di scuola ai livelli successivi di istruzione, lascia molti docenti sprovvisti di
strumenti adeguati per la gestione della classe, e quindi è bene prevedere la presenza dello
psicologo già in sostegno dell’implementazione di quei momenti curriculare a cui si è
accennato in precedenza.
È evidente tuttavia che allo psicologo una richiesta di intervento arriva soprattutto quando
uno o più alunni manifestano segni di disregolazione emotiva, talvolta in associazione a un
disturbo conclamato. Sono soprattutto i sintomi esternalizzanti che portano alla richiesta di
aiuto psicologico, dal momento che sono quelli più evidenti per la classe. L’intervento
potrebbe essere altrettanto essenziale in caso di sintomi internalizzanti.

5. Di che cosa ci dobbiamo occupare?


È un dato di comune esperienza il fatto che le emozioni spiacevoli formano un elenco più
lungo di quelle gradite. Cerchiamo dunque di vedere a quali emozioni e a quali problemi
occorre prestare attenzione.
Certamente la gestione della rabbia è tra quelle su cui si trovano maggiori indicazioni
operative, per ragioni abbastanza ovvie: al di là della spiacevolezza per chi la prova, la
rabbia sfocia facilmente in comportamenti aggressivi, ed è più facilmente rilevabile di altri
sentimenti negativi. Altre emozioni su cui esiste una letteratura abbastanza vasta sono
quelle legate all’ansia, poiché possono incidere da un lato sul rendimento scolastico,
dall’altro sulle relazioni interpersonali.
Una seconda, necessaria precisazione riguarda l’etichetta “negativi” attribuita ad alcuni stati
d’animo. È importante ricordare che le emozioni si sono evolute con funzioni adattive per i
nostri antenati raccoglitori cacciatori, funzioni adattive che almeno in parte conservano. Le
emozioni negative riducono il repertorio di pensieri/azioni e attivano vari sistemi (come
quello cardiaco e vascolare) tramite il sistema nervoso autonomo favorendo proprio quella
specifica azione che risponde utilmente alla situazione emotigena; solo se croniche e
ripetute, le emozioni negative conducono a un deterioramento. Le emozioni positive, per
contro, oltre a essere intrinsecamente piacevoli nell’immediato, accrescono la possibilità di
sviluppare nuove risposte e accumulare risorse, aumentano la resilienza psicologica e la
salute nel suo complesso.
Il problema si sposta dunque dal tipo di emozione alla sua appropriatezza situazionale, alla
sua intensità e tollerabilità, ai comportamenti che innesca: in breve, alla regolazione.

6. Un repertorio di minima
Le emozioni rilevanti nella scuola sono state classificate in base alla valenza e agli effetti
attivanti/disattivanti. Abbiamo così emozioni positive attivanti (come gioia e speranza) e
disattivanti (come il sollievo) ed emozioni negative attivanti (come ansia, rabbia e
vergogna) e disattivanti (come noia e senso di impotenza). Inoltre, in base alla teoria
controllo-valore, il tipo di emozione che l’alunno sperimenta dipende dal controllo percepito
sulle proprie azioni e dai relativi risultati, unitamente all’importanza che vi è attribuita.
Un altro criterio per scegliere i terreni di intervento è anche la disponibilità di buoni
programmi: per esempio, la ricca messe di dati sulla gestione della rabbia suggerisce di
non trascurare in alcun caso questo aspetto, che riguarda in tanta misura sia gli alunni che
gli insegnanti. Per quanto riguarda la tristezza può essere aperto un discorso che riguarderà
tutta una gamma di difficoltà emotive che possono sorgere a scuola: il sentimento di
esclusione, la delusione per un cattivo risultato, la nostalgia per la casa. Infine, sarebbe
opportuno prendere in esame un sentimento negativo abbastanza ignorato dalla ricerca, che
tanto incide sulla vita scolastica: la noia.
C’è poi l’elenco dei sentimenti positivi, tra cui il primo posto spetta probabilmente alla
simpatia. Con questo termine si distingue la partecipazione empatica positiva dal disagio
personale, che sorge quando le emozioni negative altrui ci contagiano, inducendoci a fuggire
o difendersi, piuttosto che a cercare di soccorrere l’altra persona. Conversamente alla
tristezza, la gioia andrebbe propagandata esplicitamente, sia come correttivo ai sentimenti
negativi, sia come capacità di apprezzamento e di prolungamento (up-grade) di stati emotivi
di buona qualità. E proprio come le cause della tristezza possono essere rintracciate e
contrastate, così le cause della gioia possono essere riconosciute: alcune verranno dalle
azioni degli altri, altre dalle proprie azioni.
La gioia è necessaria al funzionamento scolastico non solo perché quando gli alunni stanno
bene si riduce la probabilità che si instaurino comportamenti difficili da gestire, ma anche
perché è stato dimostrato sperimentalmente che uno stato d’animo gioioso è favorevole per
il lavoro mentale. Infine, va detto che un’educazione emotiva non dovrebbe prescindere da
un crescente riconoscimento all’ambivalenza. La capacità di comprendere l’ambivalenza si
forma durante gli anni della scuola dell’obbligo, grazie al coordinamento di due aspetti: la
valenza dell’emozione e il suo oggetto.

7. Per chi ci dobbiamo preoccupare?


Alle emozioni di chi occorre prestare attenzione? Ovviamente i primi destinatari sono gli
alunni difficili, quelli che traducono le proprie emozioni in azioni per qualche aspetto
indesiderate, o che mancano di emozioni necessarie al buon funzionamento della comunità
scolastica. Occorre quindi guardare non solo gli alunni aggressivi, o timidi, o paurosi, o tristi,
ma anche al gruppo classe nel suo insieme, perché è lì che si creano molte delle
situazioni problematiche all'origine delle emozioni negative ed è lì che le difficoltà dei singoli
si riverberano e amplificano. Il clima emotivo della classe, però, non può essere
considerato soddisfacente quando è semplicemente calmo, oserei dire stagnante. C'è
bisogno di un senso di condivisione e di motivazione.
Infine, non si può tacere sulle emozioni dell'insegnante. Gestire il gruppo classe è
un'attività densa di imprevisti, e la possibilità che il risultato del proprio lavoro sia deludente è
molto alta. Secondo molti studi vi è una stretta correlazione tra l'efficacia percepita nel
governo della classe e lo stato emotivo dell'insegnante. Gli insegnanti hanno ben presenti le
regole di esibizione emotiva, che esigerebbero di mostrare le emozioni positive e
sopprimere la manifestazione di quelle negative, ma questi sforzi non sempre approdano a
buoni risultati. Il controllo emotivo “di superficie” che gli insegnanti cercano di attuare
alternando l'espressione di ciò che sentono realmente non solo è difficile e spesso fallisce,
ma ha anche un alto prezzo in termini di fatica emotiva, a sua volta una delle maggiori
cause di burnout. A questo tipo di regolazione superficiale si contrappone una regolazione
profonda, che include la capacità di modificare il proprio stato d'animo, in direzione di una
maggiore calma o di una diversa emozione.

8. Quando intervenire: prevenzione universale


Il primo bivio che il professionista incontra è la scelta tra un intervento rivolto a casi entro le
classi o alle classi. Non si può negare che la scelta sia, in qualche misura, anche ideologica,
poiché in molte situazioni agire sul caso estrapolandolo dal contesto implica
un'accentuazione della diversità. Alla luce di quanto la letteratura ci dice, sembrano però
poco raccomandabili le vie di mezzo, ossia gli interventi che raggruppano, al di fuori della
classe, più individui con difficoltà simili.
Immaginiamo dunque che lo psicologo scolastico, incaricato di progettare un intervento di
prevenzione, scelga delle attività che devono essere implementate dagli insegnanti stessi.
Ovviamente questo comporta un lavoro di formazione, ma ancora prima una negoziazione,
sia per il tempo e l'impegno che gli insegnanti coinvolti dovranno dedicare alla formazione,
sia per la collocazione delle attività nel quadro della programmazione generale. Una
proposta di questo tipo ha molte più probabilità di essere accolta se è pensata come parte
del curricolo, e permette agli insegnanti di mettere in campo proposte personali. È sempre
possibile, dietro una pianificazione accurata con insegnanti e dirigente, che lo psicologo
lavori direttamente con le classi. Vantaggi e svantaggi di questa scelta sono proprio due
facce inseparabili della stessa medaglia. La richiesta di fare proprie alcune tecniche
comporta per gli insegnanti uno sforzo aggiuntivo a un lavoro didattico di per sé tutt'altro che
leggero. Occorre ricordare che, sostituendosi agli insegnanti, non si configura l'azione
intrapresa come parte integrante della vita scatta e si rischia un basso impatto
dell'intervento.
A quali temi potrebbero rivolgersi interventi preventivi di questo tipo? Un primo ambito è
quello della conoscenza delle emozioni, che può attraversare tappe successive di crescente
complessità. Così, nella scuola dell'infanzia l'obiettivo potrebbe essere la comprensione di
alcune emozioni primarie. Racconti, filastrocche e immagini centrati su questi temi sono
disponibili in qualsiasi libreria. Meglio ancora, programmi sperimentati forniscono guide
dettagliate per le attività da svolgere. Per esempio, nell’”Emotion Course” ai bambini è
stato chiesto di ricalcare su fogli trasparenti dei disegni stilizzati di facce con diverse
emozioni. Oltre a trovare le giuste etichette verbali per la faccia felice, triste, arrabbiata e
spaventata, i bambini erano guidati a guardare parti diverse di ciò che avevano disegnato;
L'analisi visiva era poi approfondita con dei confronti mirati tra le quattro facce, e le etichette
verbali erano arricchite dalla ricerca di sinonimi.
Un esempio di attività sulle cause delle emozioni era invece la richiesta di disegnare a
modo proprio ciò che rende tristi, e raccontare ciò che accadeva nel disegno; a partire da
questo materiale veniva poi sviluppata una discussione collettiva.
Un intervento per la scuola primaria potrebbe svolgersi con un percorso non molto dissimile,
che vada dalla capacità di riconoscere ed etichettare le emozioni alla comprensione della
molteplicità di cause che le possono provocare, diversificandosi da una persona all'altra.
L'esame delle manifestazioni emotive può riprendere in esame le espressioni facciali, ma
anche altri aspetti, come i correlati fisiologici. Per quanto riguarda le determinanti, può
essere approfondito l'esame delle cause interne.

9. Quando intervenire: aiuto mirato


Uno dei limiti degli interventi di prevenzione universale è il loro carattere a pioggia, che non
sempre permette di indirizzarsi proprio alle persone che ne hanno più urgente bisogno.
Spesso le difficoltà si presentano in bambini svantaggiati dal punto di vista intellettuale e/o
socioeconomico: il livello cognitivo e lo status socioeconomico sono tra i mediatori più
spesso individuati dalle ricerche sul disagio scolastico. Quando le problematiche a cui si
deve metter mano sono di tipo esternalizzante, gli interventi si indirizzano alla soluzione dei
conflitti, al ragionamento morale, all'acquisizione di abilità sociali; quando invece sono di tipo
internalizzante, per esempio ansia e ritiro sociale, gli interventi si indirizzano al supporto
dell'immagine di sé, all'elaborazione delle informazioni sociali e all' acquisizione di capacità
assertive.
La gestione di un intero gruppo case può risultare impossibile; pertanto, se non si aderisce
all'idea di formare gruppi di soggetti problematici, è indispensabile organizzare almeno una
divisione in due turni. Le attività da svolgere possono occupare varie settimane, con una
sequenza che prevede sempre una prima riunione introduttiva, in cui l'obiettivo viene
condiviso con i partecipanti. Il secondo passo è l'esercizio fermati e pensa, volto a decifrare
l'insorgere dell’emozione attraverso un esame di ciò che accade nel corpo e dei pensieri che
si affacciano; a questo segue subito un che fare. Si passa quindi a fai il detective per
individuare cause esterne e interne dell'emozione. Le modalità di autocontrollo possono
essere presentate attraverso un modellamento, con successivo role-playing. Nei passi
successivi si insegna l'autovalutazione, nelle due forme del congratularsi con sé stessi, che
agisce sulle motivazioni, e del darsi mentalmente istruzioni che agisce sul versante
cognitivo.

Capitolo 6: Le problematiche professionali ed organizzative


1. La scuola è anche un’organizzazione
Fattori come lo stile di direzione, le relazioni con i colleghi, i vincoli posti dall'assunzione di
un ruolo professionale ben definito, il rispetto degli orari, la necessità di aggiornamento, i
riconoscimenti formali e informali, i cambiamenti organizzativi dettati dalle normative sono
alcuni elementi che definiscono il modo di funzionare di un'organizzazione come la scuola.
Aspetti che hanno ricadute da 2 punti di vista:
● Il primo riguarda le influenze dirette sui comportamenti e sulla vita lavorativa del
personale della scuola. Per esempio, diversi studi hanno mostrato come lo stile di
leadership sia in grado di influenzare significativamente il livello di collaborazione e
cooperazione tra i docenti.
● Il secondo aspetto riguarda le influenze del funzionamento della scuola sul
benessere di chi vi opera all'interno, oppure, viceversa, sulla possibilità di generare
tensione, insoddisfazione, disagio e malessere.
Anche in questo caso la letteratura scientifica ha ampiamente confermato come dietro il
funzionamento scolastico convivano due processi paralleli:
● Il primo, definito anche processo energetico o dello strain, dove la presenza di forti
richieste lavorative può portare gli insegnanti a esaurire energie da investire nel
lavoro e, di conseguenza, generare una condizione di burnout. In particolare,
l'esaurimento emotivo, che rappresenta la dimensione centrale del burnout, comporta
il prosciugamento delle risorse fisiche ed emotive dei docenti.
● Il secondo è il processo motivazionale, dove le risorse lavorative o i fattori protettivi
innescano un processo positivo che va ad agire sugli stessi esiti in direzione positiva,
dunque migliorando la prestazione lavorativa, la soddisfazione e il benessere dei
lavoratori. In particolare, questo processo presuppone che le risorse lavorative
consentano al lavoratore di rispondere efficacemente alle richieste del lavoro e allo
stesso tempo incentivando la motivazione e la dedizione al lavoro.
In questa direzione diventa fondamentale occuparsi di scuola come organizzazione,
intendendo l'organizzare come processo continuo che permette alle scuole di funzionare
giorno dopo giorno. In pratica, significa lavorare stabilendo relazioni efficaci con un collega,
progettare azioni attraverso processi che prevedono definizione di obiettivi, azioni di
supporto e negoziazioni continue. I processi principali di questo funzionamento organizzativo
permettono di identificare anche i potenziali fattori di criticità e, quindi, lei potenziali aree di
intervento supporto.

2. Quali interventi?
Gli interventi di gestione/supporto in ambito psicologico scolastico possono spaziare lungo
diverse direttrici che comprendono il livello individuale, quello della comunità docente e
quello organizzativo. È utile soffermarsi sull’integrazione di interventi a diverso livello. Per
trattare stress e burnout, per esempio, sono state in generale attribuite attenzione e
importanza agli interventi di carattere individuale, sebbene la ricerca indichi l'integrazione di
interventi a livello individuale e di gruppo/organizzativo come linea da privilegiare. Questo è
vero nelle organizzazioni in generale, ma certamente lo è per la scuola, dove su alcuni tipi di
stressors lavorativi gli insegnanti non possono avere possibilità di intervento. Si intende
quindi sottolineare con forza questa prospettiva multilivello.

3. Le azioni di prevenzione
Le azioni di prevenzione rappresentano la gamma di interventi che con maggiore probabilità
uno psicologo può realizzare o proporre per prevenire, contenere o trattare le situazioni di
stress o Burnout nella scuola. La classificazione identifica tre diversi livelli di intervento:
● Interventi di prevenzione primaria, che hanno l'obiettivo di agire sui fattori
situazionali e organizzativi che determinano stress e burnout;
● Interventi di prevenzione secondaria, indirizzati a proteggere il benessere degli
individui e a rafforzare le persone nella gestione delle situazioni di stress e Burnout;
● Interventi di prevenzione terziaria, finalizzati a ridurre o curare gli effetti negativi di
stress e Burnout sulle persone;

3.1 Interventi di prevenzione primaria


La prima tipologia ha come obiettivo principale la modifica dell'ambiente organizzativo e
psicosociale di lavoro. Possono essere inseriti in questa tipologia tutti gli interventi, attuati in
assenza di sintomi importanti, che denotino una problematica o un disagio già presenti,
finalizzati a migliorare le condizioni di lavoro e le relazioni all'interno della scuola. Si
tratta in generale di azioni che hanno l'obiettivo di ridurre i fattori di rischio e/o potenziare i
fattori protettivi. La scuola è consapevole della presenza e dell'importanza del rischio di
stress e Burnout al proprio interno, ma non sembra allo stesso modo pronta a cogliere le
opportunità di intervento sottostanti alla normativa per occuparsi di questa problematica. Da
qui la necessità e l'opportunità per gli psicologi di proporsi e proporre interventi di
valutazione e gestione dello stress lavoro correlato.
I protocolli e le tecniche che uno psicologo può utilizzare a supporto della valutazione e
gestione dello stress nella scuola sono diversi. La proposta SPISAL-MIUR per la
valutazione e gestione dello stress lavoro-correlato nella scuola si articola in due fasi: la
valutazione e gestione dei rischi SL-C. Vengono forniti gli strumenti utili per la valutazione;
nello specifico:
a. la griglia di raccolta dei dati oggettivi;
b. la checklist per valutare ambiente di lavoro, fattori di contesto, fattori di contenuto a
loro volta suddivisi in quattro sotto aree specifiche per insegnanti, amministrativi,
collaboratori e tecnici;
c. I questionari per il personale. Ma vengono forniti anche strumenti relativi alla
gestione del processo, che parte dalla costituzione del gruppo di valutazione fino
all'individuazione delle azioni correttive.
Oltre alle azioni legate alla valutazione e alla gestione dello stress lavoro-correlato può
essere inserita nella prevenzione primaria un'ampia gamma di interventi su clima e
relazioni. Esistono, inoltre, contributi scientifici che segnalano la rilevanza degli interventi
di carattere partecipativo in grado di diminuire lo stress lavorativo e promuovere il
benessere. Attraverso il processo partecipativo è infatti possibile favorire l'aumento del
controllo sul lavoro, la collaborazione e il dialogo tra colleghi e con i superiori.
3.1.1 Il modello PIOP come esempio di intervento anticipato
In questa direzione è stato proposto un modello di intervento chiamato PIOP (participatory
interventions from an organizational perspective), articolato in 5 fasi principali.
● La prima fase, definita Avvio, prevede la formazione di un gruppo di lavoro, chiamato
steering group, composto dai rappresentanti delle diverse figure scolastiche. Le
principali funzioni del gruppo riguardano il monitoraggio quotidiano dell'operato svolto
e la gestione strategica dell'intero processo. Il protocollo prevede che il gruppo
nomini un project champion, al quale vengano affidate responsabilità di supervisione
e di gestione del gruppo e del lavoro svolto. Nel caso in cui non vi siano figure con le
competenze necessarie all'interno della scuola, uno psicologo esterno può essere la
figura qualificata per ricoprire tale ruolo.
● La seconda fase, definita Diagnosi, prevede un'approfondita analisi del contesto
scolastico mediante appositi strumenti costruiti ad hoc. La diagnosi è svolta tenendo
in considerazione il parere dei rappresentanti delle diverse figure interne alla scuola.
● La terza fase, definita Pianificazione delle azioni, prevede l'identificazione delle
principali criticità/problematiche rilevate e una loro categorizzazione e classificazione
in termini di priorità di intervento, anche e soprattutto in funzione delle risorse
disponibili. Gli interventi pianificabili possono essere centrati su uno o più livelli della
scuola: organizzativo, di leadership, di gruppo, individuale.
● La quarta fase, Implementazione, comprende l'attività degli interventi e deve
prevedere piani d'azione visibili e ben rappresentati e che consentano l'eventuale
attuazione di correzioni e/o accorgimenti in corso d'opera.
● La quinta e ultima fase consiste nella Valutazione, e ha lo scopo di fornire
informazioni relative all'efficacia degli interventi sia mediante la rilevazione di dati
oggettivi sia indagando la percezione di coloro che hanno partecipato al processo.
Seppure solitamente effettuata da 12 a 18 mesi dopo la conclusione degli interventi,
gli autori sottolineano come la fase di valutazione dovrebbe essere svolta anche in
itinere, al fine di promuovere il miglioramento dell'intero processo.

3.2 Gli interventi di prevenzione secondaria


Gli interventi di Prevenzione secondaria, invece, operano principalmente a livello di gruppo
e/o individuale e sono finalizzati ad agire sul modo in cui le persone valutano
soggettivamente gli stressors e sui primi sintomi dello stress. Sono chiamati anche
interventi di stress management.
La scuola è uno dei contesti organizzativi dove le pratiche di mindfulness hanno trovato
applicazione. L'evidenza empirica conferma che i training di MBSR (mindfulness-based
stress réduction) nell'adattamento per insegnanti portano, da un lato, a riduzioni significative
dei sintomi psicologici e ad una maggiore soddisfazione per il proprio lavoro e, dall'altro,
forniscono un set di risorse che aiuta questi professionisti ad affrontare più efficacemente le
situazioni difficili e le sfide cognitive e socio emotive che derivano dal loro mestiere.
Il protocollo di intervento più noto ha mostrato effetti su stress, Burnout ed efficacia
dell'insegnamento. Si tratta di un training per insegnanti specifico per il ruolo che si
sviluppa su 26 ore di formazione distribuite in 8 settimane. Durante gli incontri si pratica
mindfullness di gruppo e sono previste varie forme di meditazione, apprendimento di nuovi
contenuti, condivisione di esperienze.
Sempre tra gli interventi riguardanti il potenziamento delle risorse personali, quelli relativi al
potenziamento del capitale psicologico hanno ricevuto molta attenzione dalla psicologia
delle organizzazioni, soprattutto per la malleabilità e la possibilità di sviluppo del capitale
psicologico. È noto il training per potenziare il capitale psicologico sviluppato da Luthans e
colleghi, di cui sono stati testati anche interventi di breve durata. Questi interventi
rappresentano non solo un oggetto di sviluppo professionale, ma anche una modalità con
cui gli individui possono utilizzare le risorse per se stessi e per i propri colleghi in vista di una
migliore gestione dello stress nell'ambiente lavorativo.

3.3 Gli interventi di prevenzione terziaria


Gli interventi di prevenzione terziaria, infine, sono quelli rivolti a persone specifiche che
manifestano sintomi ed effetti negativi specifici, riconducibili a stress o Burnout. Se la
presenza dello psicologo a scuola trova una certa diffusione in relazione ad attività con gli
studenti, con le famiglie e con gli insegnanti, sono invece meno diffuse azioni di consulenza
rivolte specificamente al disagio lavorativo. Queste azioni potrebbero infatti avere una triplice
funzione:
a. Prevenire il disagio lavorativo, data la presenza di numerosi stressors;
b. Monitorare e supportare gli insegnanti nella creazione o nel mantenimento di gruppi
di lavoro efficaci;
c. Supportare gli insegnanti nell'affrontare le situazioni difficili.
Sempre sul versante dell'intervento di tipo individuale, ascrivibile però alla prevenzione
secondaria, possiamo citare l'intervento GET.ON stress, una tecnica ISMI (Internet-based
stress management intervention) che rappresenta una formazione guidata alla gestione
dello stress web e mobile, che combina una componente più classica di potenziamento delle
strategie di coping con le strategie di regolazione emotiva. L'intervento si compone di 7
sessioni che uniscono una componente informativa a esempi pratici, esercitazioni interattive,
quiz, video e file mp3. I risultati disponibili confermano l'efficacia rispetto sia allo stress
sperimentato, sia al benessere individuale. L'intervento è basato sull'utilizzo dei dispositivi
mobile ed è di interesse il ruolo di primo piano ricoperto dalla figura definita “e-coach”, che
al termine di ciascuna sessione fornisce a ogni partecipante un feedback scritto, e da
un'altra figura di esperto che offre supervisione all’e-coach durante tutta la durata del
percorso. Al di là del percorso formativo, chiaramente di ambito psicologico, è chiaro che sia
l’e-coach sia il supervisore sono ruoli di competenza prettamente psicologica, in cui la figura
dello psicologo può avere una funzione di primo piano.

4. Formazione ed opportunità di sviluppo personale


Nella scuola è comprensibile e corretto che l'attenzione si concentri sull'apprendimento degli
studenti, che rimane l'obiettivo primario. È importante però tenere presente in primo luogo
che il raggiungimento di questo obiettivo è sempre influenzato anche dall'apprendimento e
dallo sviluppo professionale degli insegnanti.
In questa direzione, l'obiettivo del lavoro psicologico può essere quello di promuovere nella
scuola l'apprendimento personale, interpersonale e organizzativo. Si tratta chiaramente
di un lavoro di tipo consulenziale che, a seconda delle situazioni, andrà di volta in volta a
occuparsi dei bisogni, delle criticità o delle aree soggette a miglioramento. Le scuole che
offrono ai docenti ampie opportunità formative e la possibilità di creare una rete sociale
importante all'interno del corpo docente riescono a potenziare in maniera decisiva la
partecipazione dei docenti stessi alle iniziative di formazione, portando, sul lungo periodo, a
un effetto positivo sui risultati raggiunti dagli studenti.
Un approfondimento doveroso parlando di formazione nella scuola è quello relativo alla
ricerca-formazione (R-F), che ha un più ampio sviluppo e una maggiore radicalizzazione in
ambito pedagogico ma che rappresenta un'utile strumento per l'intervento. Vi sono alcuni
impegni che connotano la R-F e che costituiscono altrettante questioni aperte per il
ricercatore:
1. Un’esplicitazione chiara della finalità della ricerca e un'attenzione a documentare e
analizzare le ricadute in termini di cambiamento;
2. La creazione di un gruppo di R-F di cui facciano parte ricercatore/i e insegnanti, nel
quale vengano chiariti i diversi ruoli dei partecipanti e in cui vengano negoziati e
chiariti obiettivi e oggetti, scelte valoriali e metodologiche della R-F
3. La centratura sulle specificità dei contesti in cui si svolge la R-F
4. Un confronto continuo e sistematico fra i partecipanti alla ricerca sulla
documentazione dei risultati e dei processi messi in atto
5. L'attenzione all' effettiva ricaduta degli esiti nella scuola.
Per concludere, non si può parlare di formazione e crescita professionale senza toccare il
tema del trasferimento degli apprendimenti. Da un lato, il trasferimento degli
apprendimenti è strettamente connesso al funzionamento organizzativo di cui si è parlato.
Dall'altro lato, competenze progettuali, relazionali e organizzative di ambito psicologico
possono essere un valido supporto per comprendere le condizioni in cui la formazione possa
rappresentare un'occasione per potenziare le competenze degli insegnanti e, di
conseguenza, facilitare la loro crescita professionale.
5. Supporto al processo decisionale
Come spesso accade, la regolamentazione scolastica lascia margini di manovra entro i quali
le scuole possono organizzare autonomamente il proprio operato e ciò si traduce nella
necessità di prendere decisioni per poter fare fronte ai cambiamenti. Tra i processi
decisionali attualmente rientrano quelli di autovalutazione e di miglioramento. Sono
processi attuati allo scopo di mettere in evidenza le principali criticità e gli ambiti di
potenziale miglioramento della scuola per favorire il raggiungimento degli obiettivi
organizzativi. Prevedono, inoltre, l'elaborazione di un quadro del contesto scolastico
mediante la rilevazione di diverse tipologie di dati. È di fondamentale importanza
comprendere i processi che inducono alle decisioni prese in quanto permettono di capire le
logiche che guidano i processi organizzativi all'interno della scuola e consentono di stabilire
su quali attività/aspetti investire. La complessità dei processi decisionali non solo richiede il
possesso di competenze specifiche che potrebbero non essere presenti internamente alla
scuola ma necessita anche di azioni di supporto/accompagnamento organizzativo.
Un esempio di azione di supporto/accompagnamento ai processi decisionali è rappresentato
dal progetto di ricerca-azione svolto dal dipartimento di Scienze dell'educazione
dell'università di Bologna in collaborazione con l'ufficio scolastico regionale Dell'Emilia
Romagna. L'intervento - condotto analizzando le logiche di processo sottostanti alla
compilazione del Rapporto di autovalutazione (RAV) e dei conseguenti Piano di
miglioramento (PDM) e Piano triennale dell'offerta formativa (PTOF) delle scuole del
territorio - aveva come obiettivo la strutturazione e lo sviluppo di un percorso di ricerca e
accompagnamento dei processi di autovalutazione, in qualità di strumento utile al
miglioramento organizzativo. In particolare, mediante l'identificazione dei principali punti di
forza e di criticità di questi processi, lo scopo era quello di fornire suggerimenti utili e linee
guida per il supporto/accompagnamento di questi processi organizzativi.
Tra i principali risultati è emerso come l'autovalutazione rappresenti un'opportunità per la
scuola e per il miglioramento complessivo dell'organizzazione, ma come non vi sia una
piena considerazione, da parte dei nuclei di valutazione, delle connessioni tra il RAV, PdM e
il PTOF nelle diverse fasi decisionali. Tra le principali considerazioni è stato rilevato come vi
sia un forte rischio di optare per scorciatoie decisionali, non basate su evidenze empiriche, a
discapito delle effettive priorità della scuola. Un intervento di ambito psicologico può aiutare
a identificare le componenti cognitive, emozionali e interazionali dei processi decisori.
Aumentare la conoscenza di questi fattori e la consapevolezza della loro influenza sulle
decisioni organizzative dentro la scuola può quindi rappresentare un'azione di supporto al
miglioramento organizzativo.

Capitolo 7: Formazione ed aiuto alla valutazione ed alla


ricerca psicopedagogica
1. Modi di fare ricerca e valutazione a scuola
I modi in cui lo psicologo può favorire la valutazione e la ricerca in ambito scolastico sono
diversi. Uno è fare ricerca sulla scuola, considerando dunque gli insegnanti e gli alunni
come oggetto di studio e trasmettendo poi loro i risultati della ricerca perché ne tengano
conto nel loro lavoro quotidiano.
Un altro approccio possibile è coinvolgere attivamente gli insegnanti fornendo materiali e
metodi da loro utilizzabili, come test di profitto o schede di osservazione. Il lavoro dello
psicologo consisterà poi nel supportare la scuola Nell'analisi e interpretazione dei dati. Si
attua una consulenza che comporta non solo la restituzione dei dati analizzati, ma anche la
programmazione e verifica di eventuali interventi che gli insegnanti stessi possono condurre
con la supervisione dell'esperto.
Un modo ancora diverso per introdurre la ricerca psicologica nella scuola è formare gli
insegnanti a conoscere i criteri e i metodi scientifici di sperimentazione, e ad applicarli
autonomamente in parallelo alle attività didattiche ed educative. In questi casi, lo psicologo
scolastico deve essere a sua volta formato all'uso delle tecniche necessarie per fare
correttamente ricerca e valutazione.

2. Quale ricerca in contesti scolastici?


Per avere un'idea della molteplicità e varietà di ricerche che possono essere compiute in
ambito scolastico di seguito vi è un elenco di alcuni temi di ricerca. 1) Valutazione del
profitto; 2) Disabilità; 3) DSA: discriminazione dalle più generali difficoltà di apprendimento;
4) Dislessia e disturbi del linguaggio; 5) Discalculia; 6) Deficit di attenzione con iperattività;
7) Funzionamento intellettivo limite o borderline; 8) Valutazione delle competenze
trasversali; 9) Prevenzione del disagio adolescenziale; 10) Dispersione scolastica; 11)
Rapporti scuola-famiglia; 11) Orientamento scolastico-professionale; 11) Didattica assistita
dall'informatica e dalla telematica.

3. Discorso sul metodo


La metodologia di ricerca psicologica mira al controllo dei possibili fattori di errore nella
verifica delle ipotesi di ricerca e nelle diverse modalità di valutazione.
Se l'obiettivo è valutare in modo controllato l'effetto di variabili indipendenti su quelle
dipendenti, il modo più semplice è formare due gruppi di soggetti, in uno dei quali la variabile
indipendente agisce mentre nell'altro no. Questo secondo gruppo è definito di controllo.
Perché la ricerca sia metodologicamente valida, occorre anzitutto che i gruppi siano
equivalenti sia rispetto al trattamento sia rispetto alle possibili variabili di disturbo. Il metodo
preferibile è l'assegnazione casuale dei soggetti al gruppo sperimentale e di controllo.
Quando il metodo dell'assegnazione casuale ai gruppi non è possibile, si procede allora
mediante il pareggiamento dei soggetti nei gruppi, consistente nel rendere i gruppi simili
rispetto alle variabili che si vogliono tenere sotto controllo.
Va rilevato che l'esigenza di pareggiare i gruppi per controllare le variabili di potenziale
disturbo si pone specialmente quando i gruppi devono forzatamente essere composti da
pochi soggetti; disponendo di grandi campioni si può assumere che le differenze si annullino
per la potenza della casualità e che quindi, scegliendo in modo randomizzato i soggetti per i
due gruppi, le variabili di disturbo finiscano per compensarsi nel campione complessivo.
Un diverso problema metodologico si pone quando il controllo deve avvenire all'interno degli
stessi gruppi: è il caso della ricerca longitudinale, come quando si considerano gli stessi
soggetti a età diverse, oppure prima e dopo un trattamento. La difficoltà in questi casi sta nel
fatto che gli stessi soggetti devono ripetere le prove relative alla stessa variabile dipendente:
se si crea una situazione di apprendimento la seconda prova può riuscire meglio
semplicemente perché i soggetti hanno imparato a gestire le prove, o a comprendere meglio
ciò che devono fare.
Se né l'assegnazione casuale ai gruppi né il pareggiamento risultano possibili si ha la
condizione che viene tecnicamente definita quasi-sperimentale, potendo contare su un
gruppo di controllo non completamente equivalente. Ricerche su classi scolastiche, quindi
basate su campioni preesistenti e non definiti dal ricercatore, difficilmente possono trovare
gruppi di controllo realmente equivalenti.
Va infine rilevato che in certi casi un gruppo di controllo è del tutto impossibile, sia per motivi
tecnici o per ragioni etiche , l'unica soluzione sarebbe sottoporre il gruppo sperimentale a un
training aggiuntivo, e non sostitutivo, rispetto a quello già in uso che comunque il gruppo di
controllo continuerebbe a eseguire.
Numerosi fattori possono compromettere la validità della ricerca. Il ricercatore deve
cercare di evitarli o almeno ridurli; questi tuttavia, non sono sempre attuabili, specie quando
ci si trova in situazioni di tipo applicativo, come nel caso della psicologia scolastica. La
metodologia prevedrebbe una semplificazione della complessità dell'oggetto di ricerca
riguardo alle interazioni fra le variabili in gioco e alla loro scansione temporale prima, e
durante e dopo l'intervento. A questa semplificazione si può ovviare applicando metodi
diversi.

3.1 Metodi di ricerca-intervento


Con la denominazione ricerca-intervento si definisce la ricerca che è al tempo stesso
momento di conoscenza scientifica della realtà e contributo all'attivo cambiamento di essa.
Questo tipo di ricerca si propone di studiare quale sia l'esito (outcome) dell'intervento a
breve e a lungo termine rispetto alle variabili che interessa modificare; e, inoltre, come
questo cambiamento avviene nel tempo, quali fattori lo favoriscono e quali lo ostacolano.
Secondo i criteri indicati da Lewin, in questo tipo di ricerca si tenta di coniugare
sperimentazione e finalità applicative. Il modello si basa su un processo ciclicamente
ricorrente:
● Si formulano le ipotesi e gli obiettivi;
● Si mettono in atto le strategie di azione trasformativa;
● Si verificano gli effetti dell'intervento;
● Si aggiustano e riformulano ipotesi e obiettivi se la verifica in itinere lo evidenzia
come necessario.
Questa modifica nel corso della ricerca può riguardare sia le variabili sia il campionamento.
➢ Riguardo alle variabili, possono subentrare condizioni che non consentono
l'approfondimento di una o più delle variabili inizialmente previste, mentre emergono
come rilevanti altre variabili prima non considerate.
➢ Riguardo al campione devono essere considerati i soggetti disponibili. La
disponibilità può venire meno nel corso della ricerca, senza possibilità di rimpiazzarli
con altri. E in genere la perdita di soggetti non è casuale, ma il drop out è influenzato
da variabili rilevanti per la ricerca, di cui bisogna tenere conto in termini qualitativi.
Inoltre, è essenziale il coinvolgimento del ricercatore-operatore, che non può essere
neutrale e i cui atteggiamenti e visioni del mondo agiscono non solo nella pianificazione
della ricerca ma pure durante il suo svolgimento. Molta importanza assumono pertanto le
relazioni che si instaurano fra ricercatore e destinatari dell'intervento.
Anche il rapporto con la committenza della ricerca è essenziale. Il ricercatore non può
ridursi soltanto a un tecnico che realizza quanto previsto dal committente: se con esso non
c'è accordo sugli obiettivi, bisogna che essi vengano contrattati e riformulati.

3.2 La sperimentazione applicativa come soluzione ai problemi


La sperimentazione in contesti applicativi - come quello scolastico - si configura come un
processo di problem solving, le cui tappe sono:
● Definizione chiara del problema;
● Formulazione di un'ipotesi per comprenderne le cause e i correlati;
● Programmazione del cambiamento
● Attuazione dell'intervento nello specifico contesto relazionale
● Monitoraggio e verifica periodica dei cambiamenti rispetto agli obiettivi prefissati
● Valutazione finale dei risultati raggiunti e, se necessario, follow-up, ossia ulteriore
valutazione a distanza per verificarne la stabilità.

3.3 Significatività statistica e significati del cambiamento


Nella ricerca sperimentale la garanzia dell'efficacia di un intervento, deriva dalla
significatività statistica dei risultati ottenuti mediante la raccolta dei dati durante le diverse
fasi della ricerca stessa.
Tuttavia, nella ricerca applicativa interessa piuttosto verificare se l'effetto del trattamento è
così rilevante da superare l'influenza dei fattori non controllabili e da affermarsi come
portatore di senso in relazione agli obiettivi prefissati. Piuttosto che considerare la
scommessa sulla probabilità di respingere l'ipotesi nulla H0 in favore dell'ipotesi alternativa
H1, secondo cui l’effetto è dovuto al trattamento, si mira invece a comprendere se la sua
entità è adeguata alle mete proposte. Si parla infatti di dimensione dell'effetto come logica
diversa di verifica delle ipotesi. Questa logica caratterizza spesso la ricerca qualitativa.

3.4 Il problema degli strumenti


Un problema ulteriore nella ricerca applicativa riguarda gli strumenti di valutazione e di
raccolta dei dati. In questo caso devono poter essere somministrati in modo semplice e
rapido, per consentirne la frequente ripetibilità. Sono invece più appropriati strumenti meno
standardizzati ma frequentemente ripetibili, per esempio checklist, report e griglie
predeterminate.
Gli strumenti inoltre devono essere congruenti con gli obiettivi dell'intervento e con le
caratteristiche dei soggetti valutati. Vanno quindi evitati strumenti importati da altri contesti
culturali o da altri ambiti di ricerca. Gli strumenti devono essere adattati al contesto
culturale, spesso anche allo specifico campione con cui si lavora.
Nella ricerca in ambito scolastico è utile anche l'integrazione tra più modalità di valutazione
- per esempio, self-report e osservazione, neutrale o partecipante - capaci di cogliere, da più
prospettive, aspetti diversi dei fenomeni studiati.
Importanti e molto diffuse sono le tecniche di focus group in cui testimoni privilegiati
discutono in gruppo su argomenti specifici, guidati da un ricercatore che funge da
osservatore. In un'ottica di ricerca qualitativa, si usano dati derivanti da diari e narrazioni
autobiografiche. Tutti gli strumenti a codifica aperta richiedono una valutazione delle risposte
e, con criteri tipici della ricerca qualitativa, le categorizzano, analizzano e confrontano le
percentuali in cui esse compaiono.

3.5 Ricerche ed analisi longitudinali


Spesso la ricerca e la valutazione nella scuola usano metodi longitudinali. Le ricerche
longitudinali possono prevedere di seguire nel tempo l'evoluzione di variabili categoriali, per
esempio la presenza/assenza di una certa capacità o di un certo deficit.
Infine, ricerche e valutazioni longitudinali possono riguardare singoli casi, specie se lo
studio è associato a un intervento. Si usano a tal fine disegni sperimentali a baseline che
prevedono diverse fasi. Nella fase iniziale si registrano a intervalli regolari i dati relativi alle
variabili in esame, prima che su questa variabile venga intrapreso l'intervento; quindi si attua
la fase di intervento, continuando al tempo stesso a registrare con regolare periodicità i dati
osservativi relativi alle variabili coinvolte. Ulteriori fasi possono essere aggiunte dopo la fine
dell'intervento, come richiamo distanziato nel tempo per valutare se gli effetti ottenuti si
mantengono anche dopo la sospensione.
Con i disegni di ricerca a baseline multiplo è possibile confrontare sia più fasi all'interno
della stessa serie sia le stesse fasi fra serie diverse. Lo scopo del disegno è verificare se gli
effetti di trattamenti diversi si riscontrano in corrispondenza dell'introduzione di ciascuno di
essi in momenti diversi.

3.6 La generalizzazione dei risultati


È stata spesso riconosciuta la limitazione della generalizzabilità dei risultati ottenuti
mediante studi su pochi o singoli casi, non rappresentativi della popolazione di riferimento.
Ma un diverso tipo di generalizzazione è possibile, anche quando i campioni non sono
rappresentativi della popolazione. Si possono programmare e analizzare cumulativamente
diversi studi che hanno lo stesso obiettivo di base e articolano uno stesso modello di
intervento. Le influenze di fattori diversi possono essere analizzate ripetendo l'intervento
sperimentale in casi e in condizioni differenti, in cui questi fattori agiscono diversamente.
Questa ripetizione delle sperimentazioni, modificando alcune variabili critiche del soggetto, o
della procedura, o del contesto dell'intervento, realizzano quella che viene definita
ripetizione sistematica. Si ottiene un unico disegno di ricerca coordinato, i cui esiti
vengono esaminati al di là dei risultati dei singoli studi, seguendo la logica di ricerca tipica
della meta-analisi: strategia usata per sintetizzare studi già pubblicati in letteratura su uno
stesso argomento, ma anche per confrontare studi che variano in modo sistematico.

Capitolo 8: Innovazione educativa e nuove tecnologie


1. Che cosa si intende per “innovazione”
Le tecnologie si rinnovano in media ogni due anni ma l’impatto innovativo prodotto a scuola
resta sempre minimo, se non nullo. Forse occorre chiedersi cosa si intende davvero per
“innovazione”. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha definito
l’innovazione come l’implementazione di qualcosa di nuovo, ovvero un prodotto, servizio o
processo significativamente migliore di quanto utilizzato precedentemente, che serva a
potenziare i metodi e le pratiche di lavoro e le relazioni con l’esterno che caratterizzano
l’organizzazione che le adotta. Data la profonda crisi che attraversa i nostri contesti
scolastici. Si mette in evidenza come una vera innovazione a scuola sia possibile solo a
certe condizioni. Complessi e faticosi sono gli iter per ottenere finanziamenti che
dovrebbero essere a lungo termine e cospicui per garantire non solo l’acquisto dei dispositivi
tecnologici ma anche un’adeguata formazione dei docenti e dei tecnici.
La mancanza di condizioni di supporto all’innovazione nei contesti educativi mette
seriamente a rischio il trasferimento tecnologico e, di conseguenza, fa della scuola un
organismo incapace di promuovere una formazione competitiva e di sviluppare il potenziale
creativo e intellettuale degli studenti. Inoltre, l’innovazione tecnologica ha bisogno di modelli
teorici specifici, capaci di coniugare le potenzialità delle tecnologie con i processi di
apprendimento e insegnamento.
2. Un po’ di storia: dal comportamentismo alla robotica educativa
Il primo a riconoscere i vantaggi dell’uso delle tecnologie nella didattica fu Skinner che
introdusse l’idea dell’Istruzione programmata. Si trattava di un programma educativo in cui
l’apprendimento era concettualizzato essenzialmente entro il paradigma
stimolo-risposta-rinforzo (S-R-R) e ci si avvaleva di un’apposita “macchina per insegnare”.
Caratteristica fondamentale di queste macchine era che presentavano i concetti uno alla
volta in un’apposita finestrella (stimolo), e lo studente, dopo averli letti, doveva rispondere a
domande attinenti a quanto letto, presentate in forma di quiz a scelta multipla. Subito dopo si
otteneva un feedback circa la correttezza o meno della risposta prodotto (rinforzo). Se la
risposta fornita era corretta, la macchina proponeva l’argomento successivo; in caso
contrario lo studente era obbligato a rileggere i concetti e a produrre nuove risposte, sino a
quando non dava la soluzione giusta. L’immediatezza del feedback così era la vera leva
motivazionale dell’apprendimento.
Il declino del comportamentismo implicò inevitabilmente anche un abbandono delle
macchine per insegnare. Fra le altre cose, si metteva in dubbio che si potesse ottenere un
apprendimento significativo, data la meccanicità del lavoro richiesto da parte degli studenti,
e si trascurava totalmente la dimensione sociale dello stare a scuola. I cognitivisti, in aperta
polemica con i comportamentisti, affermano che affinché le persone apprendano non basta
presentare loro le informazioni seguendo un ordine preciso; bisogna, invece, attivare e
controllare l’attenzione, informare circa i risultati attesi, sollecitare conoscenze pregresse,
sostenere il ragionamento. Le tecnologie che meglio incarnano queste esigenze sono i
prodotti ipertestuali e multimediali. Negli ipertesti multimediali le conoscenze non sono
organizzate secondo un percorso predefinito ma ogni utente può seguire connessioni
diverse tra i concetti e può fruire dello stesso concetto in formati diversi.
La tecnologia ipertestuale sembra rispecchiare meglio la struttura del pensiero umano in
quanto non segue un flusso unidirezionale, come invece fa un libro di testo con la sequenza
precisa di capitoli e pagine, piuttosto organizza i concetti in modo reticolare seguendo
legami logici tra concetti di varia natura. All’interno dei concetti sono presenti parole chiave
che, se cliccate, attivano nessi con altri concetti. Il pensiero umano funziona proprio così,
attraverso legami e connessioni.
Tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento divenne popolare costruire multimedia
didattici spesso organizzati in termini di problem solving.
Con l’accumularsi delle sperimentazioni sugli ipertesti si cominciò a capire che l’efficacia
nell’apprendimento era direttamente proporzionale al coinvolgimento attivo degli studenti:
più erano chiamati ad agire sul prodotto, più i concetti venivano appresi e quando l’ipertesto
era progettato e costruito collaborativamente dagli studenti si ottenevano risultati ancora
migliori. La tecnologia diventa un vero e proprio strumento di pensiero. Quindi, non solo
“luoghi” dove depositare informazioni ma meccanismi che elaborano e trattano le
informazioni in modo funzionale.
Sulla base di questi presupposti, lo sviluppo delle tecnologie segue due filoni distinti: il primo
vede ambienti inizialmente “vuoti”, destinati a essere costruiti e popolati dagli utenti; il
secondo filone è quello dell’intelligenza artificiale (IA), che considera i computer come
strumenti con cui riprodurre i processi cognitivi umani al fine di studiarli meglio.
Il primo filone si sostanzia con il LOGO di Papert, un ambiente computerizzato aperto e
non strutturato dove si possono costruire varie forme geometriche. Il software non contiene
informazioni da apprendere né link da cliccare ma è costituito da un ambiente vuoto, fornito
di una serie di strumenti che permettono di “costruire” i contenuti. Il LOGO è semplice da
usare ma richiede un’attenta progettazione in classe, coinvolgendo attivamente gli studenti.
Il secondo filone, quello dell’intelligenza artificiale, considera i computer come strumenti
capaci di simulare i processi cognitivi umani. Nascono, così, i primi software che replicano le
modalità di ragionamento tipiche degli uomini. Uno dei più famosi è Eliza, creato tra il
1964 e il 1966 presso il MIT. Eliza simulava conversazioni tra umani dando l’illusione agli
utenti di interagire effettivamente con una persona, tanto da attribuirgli sentimenti e
intenzioni. Un altro esempio molto famoso è il Deep Blue, un calcolatore programmato per
giocare a scacchi. Sia Eliza sia Deep Blue avevano imparato le regole che guidano
comportamenti umani specifici e, simulando il comportamento umano, ne mostravano limiti e
potenzialità negli specifici contesti d’uso. Infatti, i robot vengono utilizzati per facilitare
l’apprendimento e migliorare le prestazioni educative degli studenti perche costituiscono
un’efficace presenza complementare (ma non una sostituzione) dell’adulto, aggiungendo
una dimensione di interazione sociale al contesto di apprendimento rispetto al lavoro con un
software o una app.

3. Come studiare gli effetti delle tecnologie: alcuni approcci


Le tecnologie nei contesti di apprendimento possono svolgere due macro-funzioni:
ristrutturare il contenuto oppure supportare strategie di pensiero e di interazione. Di
fatto, però, la moderna psicologia si interessa molto di più alla seconda funzione. Pertanto,
psicologi, formatori, educatori sembrano mostrare un grande interesse per il ruolo delle
tecnologie in qualità di supporto dell'interazione sia tra pari sia tra studenti e docenti. Un
aspetto che emerge dagli studi è che non si possono isolare momenti di lavoro al computer
da quelli faccia a faccia. Si tratta di due momenti che inevitabilmente si influenzano
reciprocamente e che occorre saperli integrare. È proprio questo l'obiettivo dell'approccio
definito Blended Learning (BL): studiare le modalità più efficaci di integrazione tra online
e offline. Alcuni autori propongono di estendere il concetto di blended includendo anche
l'integrazione tra diversi metodi e strategie didattiche. Emergono, così, specifiche proposte.

3.1 Il Computer Supported Collaborative Learning (CSCL)


All’inizio degli anni 90 emerge il cosiddetto computer supported collaborative learning
(CSCL), che si pone come obiettivo quello di comprendere il ruolo delle tecnologie come
strumenti di mediazione per la comunicazione e l'apprendimento collaborativo. Il CSCL
effettua uno sforzo sostanziale nel tentare di superare una visione strettamente cognitivista
dell'apprendimento e per includere anche una visione socioculturale. Si introduce, così, il
concetto di processi di apprendimento “socialmente distribuiti”, implicando che i sistemi
cognitivi di ciascun individuo non risiedano totalmente nella mente individuale ma, appunto,
nei sistemi sociali, capaci di fare innalzare i livelli di ragionamento. Le tecnologie possono
contribuire decisamente a creare ambienti di apprendimento di questo tipo.
Le ricerche CSCL, pur nella loro ricchezza non sono esenti da qualche criticità; per esempio,
ricorrere a interviste e questionari pre-post non sempre permette di capire sufficientemente
come si svolgono i processi durante il loro svolgimento; anche le tecniche di osservazione,
diretta o indiretta, dovrebbero essere meglio affinate.

3.2 L’orchestrazione strumentale


A partire dalle critiche rivolte al CSCL, alcuni studiosi cominciano a sostenere che per
ottenere processi di apprendimento sofisticati con l'ausilio delle tecnologie occorre
armonizzare l'intero contesto classe, coordinando strumenti tecnologici e non, momenti di
lavoro individuali e di gruppo. È Trouche che introduce esplicitamente la metafora
dell’orchestrazione strumentale, definendola come l'organizzazione intenzionale e
sistematica da parte dell'insegnante nel predisporre l'uso dei vari artefatti disponibili in un
dato momento. All'interno di un’orchestrazione strumentale vengono identificati tre elementi:
a) la configurazione didattica; b) la modalità di utilizzo; c) la performance didattica che dà
conto sia di quanto preparato in anticipo dal docente, sia di quanto creato sul posto durante
l'insegnamento. Sulla base dei dati osservati in diverse classi, sono stati identificati i
seguenti 10 tipi di orchestrazione:
1. Technical-demo: l’insegnante spiega i dettagli tecnici per usare lo strumento;
2. Explain-the-screen: le spiegazioni dell'insegnante includono anche contenuti
curricolari;
3. Link-the-screen-board: l'insegnante spiega all'intera classe come le
raffigurazioni/rappresentazioni presenti sullo schermo sono collegate con le
medesime riportate sul libro o su altri supporti;
4. Sherpa-at-work: lo strumento tecnologico è nelle mani di uno studente a cui si dà il
compito di condurre le attività in corso di svolgimento, coinvolgendo l'intera classe;
5. Not-use-tech: la tecnologia è disponibile ma non è utilizzata;
6. Discuss-the-screen: è avviata una discussione, guidata dall'insegnante e supportata
da quanto mostrato sullo schermo, coinvolgendo tutta la classe
7. Spot-and-show: l'insegnante fa riferimento ai lavori di uno o più studenti ritenuti i più
esemplari
8. Work-and-walk-by: gli studenti lavorano al computer da soli o in coppia e l'insegnante
cammina tra i banchi, monitorando i loro progressi e fornendo risposte ai loro
dubbi/bisogni;
9. Discuss-the-tech-without-it: si discute della tecnologia, che però non è presente in
classe;
10. Monitor-and-guide: l'insegnante usa la tecnologia per monitorare il dibattito tra gli
studenti.

3.3 Il metodo degli scenari-guida


Questo specifico filone si basa sulla necessità di sostenere modalità di interazione mediate
da computer di livello alto. L'attitudine a collaborare costituisce un importante
presupposto. Questo perché gli studenti avvezzi a collaborare possiedono già degli “scenari”
interni sul come si collabora, che vengono attivati a sostegno del lavoro di gruppo quando si
introducono le tecnologie. Serve un'opportuna guida: è proprio questo che promulga il
metodo degli scenari-guida.
Innanzitutto, occorre distinguere lo scenario collaborativo interno da quello esterno:
➢ Quello interno è una configurazione di elementi posseduti dallo studente.
➢ Lo scenario esterno è, invece, una configurazione di elementi proposta dal docente
che struttura e agevola l'azione collaborativa.
Quindi, scenari interni ed esterni sono strettamente interdipendenti; pertanto, diventa
necessario capire: a) come interagiscono scenari interni ed esterni; b) come si sviluppano e
modificano gli scenari interni a seguito della partecipazione alle pratiche collaborative; c)
come gli scenari esterni influenzano le pratiche e l'acquisizione individuale di conoscenze; d)
come progettare scenari esterni che possono facilitare lo sviluppo degli scenari interni.
I presupposti su cui si fonda questo approccio sono due.
● Il primo si riferisce alla visione cognitivista degli schemi. Si parte dal concetto di
“script” (scenario), ovvero da una struttura cognitiva ampia ma stabile, flessibile e
modificabile nei suoi elementi, che si combinano tra di loro dinamicamente.
● Il secondo presupposto è quello della prospettiva socioculturale, secondo la quale
le attività discorsive precedono e formano la struttura di abilità cognitive complesse.
Gli elementi capaci di innescare l'interazione tra scenari interni ed esterni sono i seguenti:
a. Il “gioco”, ovvero l'insieme delle pratiche che compongono lo scenario delle attività
da svolgere;
b. La “scena”, che è l'insieme delle conoscenze che giocatori devono possedere per
poter partecipare al gioco;
c. I “ruoli”, che fa riferimento alle modalità con cui i vari partecipanti entrano nel gioco;
d. Gli “scriptlets”, ovvero le singole azioni necessarie per svolgere un'attività.

3.4 L’approccio “trialogico”


L’ approccio trialogico concentra l'attenzione sul ruolo che gli strumenti tecnologici
svolgono nel direzionare l'attività di apprendimento verso la costruzione di oggetti
significativi. Occorre precisare che questo approccio ingloba in sé la concezione di
apprendimento inteso come costruzione attiva e collaborativa di conoscenza, non
intesa come un'acquisizione individuale di concetti ma come contributo collettivo al
l'avanzamento della conoscenza stessa. L’obiettivo è il progressivo raffinamento delle idee e
la costruzione di teorie gradualmente sempre piu complesse. Nell'approccio trialogico la
costruzione di conoscenza deriva dal lavoro di singoli individui (monologico), coniugato con il
dialogo tra persone portatrici di istanze diverse (dialogico), arricchito dalla presenza di un
terzo elemento che funge da fulcro dell'intero processo, la costruzione di oggetti capaci di
esternalizzare gli apprendimenti (trialogico).
I principi che guidano la messa in pratica dell'approccio trialogico sono i seguenti:
● Principio 1: organizzazione delle attività intorno a oggetti condivisi.
● Principio 2: sostenere l'interazione tra i livelli personali e sociali; suscitare l'iniziativa
individuale e collettiva.
● Principio 3: promuovere processi a lungo termine dell'avanzamento della
conoscenza.
● Principio 4: lo sviluppo della conoscenza avviene attraverso la trasformazione da
una forma di conoscenza all'altra.
● Principio 5: ibridazione delle varie pratiche di conoscenza nell'ambito di comunità e
istituzioni.
● Principio 6: fornire strumenti di mediazione flessibile.
Quest’ ultimo principio rende ancora più concreta la visione di tecnologia che va al di là delle
funzionalità tecniche ma utile a creare spazi in cui far convergere confrontare varie opinioni
e idee.

4. Quali tecnologie?
Esiste un numero cospicuo di software e piattaforme appositamente pensati per la scuola.
Alcuni registrano ormai una discreta diffusione negli ambienti educativi: Moodle, per
esempio, è una piattaforma che consente di ospitare online un corso completo. Tra i suoi
punti di forza si annoverano: a) la versatilità; b) l'apertura, poiché è un software libero e
gratuito; c) l'accessibilità dei contenuti; d) la presenza di moduli che permettono di strutturare
contenuti e di decidere di utilizzare o meno le varie funzionalità disponibili.
Un esempio di ambiente tecnologico costruito sulla base dei principi della costruzione di
conoscenza è Knowledge Forum (KF). Il cuore di KF è essenzialmente un forum web di
discussione: questo perché si vuole incoraggiare l'uso della scrittura come strumento di
discussione tra pari. Discutere via forum permette di: a) avere tempo e spazio per la
riflessione metacognitiva; b) monitorare il processo di discussione, grazie alla registrazione
automatica degli interventi; c) enfatizzare il valore esplorativo, espressivo e costruttivo della
scrittura. Ovviamente i forum web non producono magicamente questi effetti, ma KF offre
una serie di opzioni in grado di rendere la discussione costruttiva.
Inoltre, in KF le note postate vengono categorizzate con i cosiddetti Thinking Types (TT),
etichette meta discorsive che aiutano a marcare la frase di ragionamento a cui la nota
appartiene. Un TT speciale è quello definito rise-above, traducibile come “sintesi superiore”,
che richiede agli studenti di integrare le idee riportate nelle note, riformulando i problemi
iniziali e le idee emerse a un più alto livello di sintesi. KF, inoltre, permette di implementare
nuovi TT, sostenendo ancora di più la riflessione sulle strategie argomentative adottate.
Molto interesse stanno suscitando anche i cosiddetti “Serious Games”. Si tratta di ambienti
educativi basati sul gioco e sulla sfida che coniugano l'obiettivo di divertire con il mettere in
campo e affinare specifiche competenze. I Serious Games sfruttano le tecniche dei
videogiochi per aumentare il loro potere attrattivo e coprono moltissime aree tematiche, fino
all'apprendimento di specifici contenuti curricolari.

5. Alcune esperienze innovative


Tra le esperienze innovative di implementazione di tecnologie a scuola sicuramente vanno
annoverate la flipped classroom e il progetto scuola senza zaino.

5.1 La flipped classroom


La definizione più semplice di flipped classroom è classe capovolta o invertita. Questa
definizione allude semplicemente a un riordino delle attività svolte in classe e a casa, ma
non coglie la vera essenza di questa proposta che sta nello sfruttare il potenziale della
tecnologia basata sul video per superare lo svolgimento dei compiti in modo meccanico.
Infatti, l'uso di materiali video a supporto dell'apprendimento si è mostrato molto più
efficace delle lezioni dal vivo tenute dagli insegnanti. Pertanto, si ricorre a lezioni
preregistrate assegnate agli studenti come compiti a casa, lasciando il tempo della lezione
aperto ad attività di apprendimento interattivo. Quindi, la classe capovolta rappresenta
un'espansione del curriculum in termini di strategie didattiche, piuttosto che una semplice
riorganizzazione delle attività.

5.2 Scuola senza zaino


Punto di partenza del progetto scuola senza zaino è la totale sostituzione dei libri di testo
con tablet e app. Uno dei quesiti che il progetto scuola senza zaino pone è: qualsiasi
lavoratore trova i propri strumenti del mestiere sul posto di lavoro, perché gli studenti devono
trasportarlo ogni giorno? Eliminare lo zaino assume, quindi, un duplice significato: uno
concreto, che permette agli studenti di evitare di addossarsi un peso consistente; l'altro
simbolico, in quanto la sua eliminazione permette di ricorrere a pratiche e metodologie
innovative.
Il progetto si ispira a tre valori fondamentali: ospitalità, responsabilità e comunità.
Pertanto, l'eliminazione dello zaino deve essere accompagnata da una ristrutturazione
dell'aula, solitamente caratterizzata da banchi monoposto separati l'un dall'altro e disposti in
file. Tale disposizione rende difficile la comunicazione tra gli studenti. Vanno, invece, adottati
banchi e sedie facilmente movibili a seconda delle esigenze.
Il secondo valore, la responsabilità, riguarda il proprio e altrui apprendimento, inteso dal
punto di vista del costruttivismo, per cui il sapere non si trasmette ma è frutto dell'azione
intenzionale del soggetto. La responsabilità promuove anche comportamenti finalizzati alla
cittadinanza attiva. Responsabilità e ospitalità permettono di definire la scuola come
comunità, luogo di condivisione, cooperazione e co-costruzione del sapere tra alunni, tra
docenti, coinvolgendo anche i genitori.
Naturalmente, occorre anche un'adeguata formazione, sia dei docenti sia dei genitori, e i
ragazzi devono imparare a usare appropriatamente il web per accrescere il sapere,
adottando comportamenti etici. responsabili e maturi.

6. Perché lo psicologo scolastico si deve occupare di tecnologie?


Le tecnologie sono veri e propri strumenti di mediazione che influiscono profondamente
sui processi psichici quali pensiero, linguaggio, ragionamento e apprendimento. Gli
strumenti di mediazione rappresentano la forma esteriorizzata dei processi mentali.
La capacità di impattare la struttura psicologica è una funzione essenziale degli strumenti
di mediazione, che vengono rinominati artefatti proprio per evidenziare che non si tratta di
oggetti dati in natura ma sono, appunto, “fatti” con “arte” e, in quanto tali, rispecchiano e al
tempo stesso modellano i processi psichici di chi li ha costruiti e di chi li utilizza.
Gli artefatti sono la forma esteriorizzata dei processi mentali che si realizza su due livelli:
uno concreto, che riguarda artefatti usati per svolgere una certa attività; uno psicologico
internalizzato, quando l'azione di mediazione diventa simbolica. Normalmente ci si aspetta
che il livello concreto anticipi quello simbolico: prima impariamo effettivamente a usare un
certo strumento e, successivamente, ne internalizziamo la funzione. Se questo è vero
nell'ambito dello sviluppo individuale, nella trasmissione intergenerazionale questi due livelli
si invertono: i bambini imparano a usare gli strumenti prima simbolicamente, attraverso il
gioco, e solo successivamente avranno accesso all'uso concreto di tali strumenti. Questo
non solo spiega il diverso rapporto che le generazioni più giovani intrattengono con le
tecnologie, ma dimostra il carattere di trasmissione storico-culturale degli artefatti che
diventano progressivamente più complessi perché ereditano le caratteristiche degli strumenti
utilizzati dalle generazioni precedenti. In questo senso si parla di artefatti culturali, ossia
strumenti di mediazione culturale capaci di contenere i segni della cultura entro cui sono
stati costruiti. Vi sono tre livelli evolutivi per delineare il rapporto uomo-artefatti:
a. Livello primario: oggetti materiali e immateriali creati per estendere le potenzialità
fisiche intellettuali dell'uomo
b. Livello secondario: artefatti che assemblano quelli primari entro nuovi artefatti che
permettono nuove modalità d'uso; per esempio, una ricetta che assembla ingredienti
e strumenti differenti e porta un risultato molto diverso
c. Livello terziario: veicola rappresentazioni di mondi astratti, governati da regole e
operazioni complesse immaginative e simboliche.
Quando sono calati nei processi formativi, gli artefatti possono incoraggiare funzioni
psichiche cognitive specifiche, che si differenziano a seconda delle loro caratteristiche. Per
esempio, tecnologie più o meno immersive, basate su giochi, a natura fondamentalmente
visiva, sottendono processi psichici e di apprendimento molto diversi dalle tecnologie basate
sul testo o di matrice social. Nel primo caso si sostengono prevalentemente processi
simbolici e iconici; nel caso dei blog e dei forum web si richiede pensiero argomentativo e
riflessivo, mentre i social network implicano processi di condivisione di ricerca dell'assenso.
Per uno psicologo scolastico è importante essere consapevoli delle specifiche affordances di
ciascuna tecnologia.
Inoltre, lo psicologo scolastico dovrebbe conoscere anche le implicazioni profonde sul
rapporto genitori-bambini che la diffusione della cultura digitale può produrre. Si pensi al
fenomeno dello sharenting, che vede i genitori attivamente impegnati a marcare la presenza
dei propri figli negli ambienti digitali. Altri fenomeni da conoscere sono il cyberbullismo e la
dipendenza da Internet.
Infine, la competenza professionale dei docenti è sempre più legata anche alla competenza
digitale. Offrire un modello educativo positivo di come sfruttare il potenziale didattico e
formativo delle tecnologie è una precisa responsabilità del docente e un obiettivo
importante dell'azione formativa che lo psicologo svolge a scuola.
In sintesi, per quanto riguarda innovazione e nuove tecnologie lo psicologo scolastico
dovrebbe essere in grado di:
a. Conoscere i fenomeni connessi all'uso delle tecnologie;
b. Discriminare vari tipi di tecnologie e analizzarli in funzione degli specifici contesti
socio culturali;
c. Aggiornarsi continuamente sulle tecnologie, una competenza necessaria in un
mondo digitale che evolve e si modifica molto rapidamente;
d. Saper trattare fenomeni connessi alle tecnologie in concerto con genitori, insegnanti
e altri specialisti;
e. Analizzare fenomeni psicoeducativi connessi alle tecnologie senza preconcetti o
stereotipi.

Potrebbero piacerti anche