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Lessico di Pedagogia e Didattica speciale della disabilità intellettive e dei disturbi generalizzati

dello sviluppo
Corsista: Claudia Campanella
matr. AD3004128

AAID E IL MODELLO MULTIFATTORIALE


AAIDD è un acronimo che sta per American Association of Intellectual Developmental Disability (AAIDD). Il
modello dell'AAIDD, arrivato alla sua 10a edizione, è stato presentato alla comunità scientifica internazionale
dell'Agosto del 2002, pubblicato nella sua prima parte nello stesso anno e completato con la pubblicazione
delle Supports Intensity Scale (SIS) nel 2004. La teoria monofattoriale dell'intelligenza è una concezione per
cui l'intelligenza viene considerata come una qualità unitaria. Cominciò a essere messa in discussione alla
fine degli anni Venti del secolo scorso, quando si andò affermando l'idea che esistono invece forme diverse
di intelligenza, per cui essa può essere considerata una struttura articolata, scomponibile in parti, chiamate
''fattori'' che corrispondono a diverse abilità. La teoria di Guilford propone un modello multifattoriale.
Guilford sostiene che l'intelligenza si compone e si articola in un numero elevato di abilità distinte e
autonome, specializzate in compiti specifici. Il suo modello è rappresentato da un parallelepipedo sfaccettato
che ha preso il nome di cubo di Guilford.
Lo studioso ha individuato 120 capacità mentali derivanti dalla combinazione di tre tipologie di fattori:
operazioni, contenuti, prodotti. In questa prospettiva la mente può essere rappresentata da un
parallelepipedo di 120 cubetti ed ogni cubetto è la corrispondente capacità mentale che deriva dalla
combinazione di un'operazione, un contenuto e un prodotto. Ai classici test d'intelligenza, il cognitivista
affianca test di creatività.
Pregi: permette di tratteggiare un profilo particolareggiato della persona.
Limiti: di difficile applicazione perché richiede un numero spropositato di test.

ADHD
Il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, ADHD) è
caratterizzato da una durata scarsa o breve dell’attenzione e/o da vivacità e impulsività eccessive non
appropriate all’età del bambino, che interferiscono con le funzionalità o lo sviluppo. Si tratta di un disturbo
cerebrale presente dalla nascita o che si sviluppa subito dopo. Alcuni bambini manifestano difficoltà
soprattutto di attenzione prolungata, concentrazione e capacità di portare a termine le attività; altri bambini
sono iperattivi e impulsivi; altri ancora manifestano entrambi gli stati .Per la diagnosi i medici utilizzano
questionari compilati da genitori e insegnanti, oltre che osservazioni del bambino. Spesso è necessario
ricorrere a farmaci psicostimolanti associati ad ambienti strutturati, routine, un piano di intervento scolastico
e tecniche genitoriali modificate.Il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD) è un disturbo
neuroevolutivo. Sebbene i bambini con ADHD spesso si comportino in modo iperattivo e impulsivo, l’ADHD
non è un disturbo comportamentale.

AFASIA
L’afasia è la perdita parziale o completa della capacità di esprimersi o comprendere parole scritte o verbali.
È causata da un danno alle aree del cervello che controllano il linguaggio.
• Le persone possono avere difficoltà a leggere, a scrivere, a parlare, a capire o a ripetere il linguaggio.
• Il medico può solitamente identificare il problema facendo domande al paziente.
• Vengono eseguiti esami di diagnostica per immagini, come TC o RMI.
• La logoterapia può aiutare molti pazienti che soffrono di afasia.
Nei soggetti destrorsi e in circa due terzi delle persone mancine, la funzione del linguaggio viene controllata
dalla metà sinistra del cervello (emisfero cerebrale sinistro). Nell’altro terzo delle persone mancine, la
maggioranza della funzione del linguaggio è controllata dalla metà destra. Pertanto, nella maggior parte
delle persone, la funzione del linguaggio è controllata dalle seguenti aree cerebrali:
• Parte del lobo frontale sinistro chiamata area di Broca
• Parte del lobo temporale sinistro chiamata area di Wernicke
• Parte posteriore inferiore del lobo parietale sinistro (vicino all’area di Wernicke)
• Le connessioni fra queste aree
Una lesione a una parte qualsiasi di queste aree interferisce con almeno alcuni aspetti della funzione del
linguaggio. Solitamente la scrittura e il linguaggio vengono colpiti in modo simile.

APPRENDIMENTO COOPERATIVO
L'apprendimento cooperativo (AC) è una modalità di apprendimento che si basa sull'interazione all'interno di
un gruppo di allievi che collaborano, al fine di raggiungere un obiettivo comune, attraverso un lavoro di
approfondimento e di apprendimento che porterà alla costruzione di nuova conoscenza. L'apprendimento
cooperativo è quindi una nuova visione pedagogica e didattica che utilizza il coinvolgimento emotivo e
cognitivo del gruppo come strumento di apprendimento ed alternativa alla tradizionale lezione accademica
frontale. Questa espressione, quindi, fa riferimento ad un insieme di principi, tecniche e metodi di
conduzione della classe in base ai quali gli alunni affrontano lo studio disciplinare interagendo in piccoli
gruppi, in modo collaborativo, responsabile, solidale e ricevendo valutazioni sulla base dei risultati ottenuti
individualmente ed in gruppo. Nell'AC l'apporto di ogni singolo studente permette di costituire una visione
complessiva dell'oggetto di ricerca ed unitamente all'interazione consente di creare e d'innescare il senso di
appartenenza, trasformando “l'io-individualista” in “noi-gruppo“ dando così, agli allievi, l'opportunità di
affrontare insieme innumerevoli problematiche legate all'educazione, alla valorizzazione, all'apprendimento
ed alla motivazione che, durante la normale lezione, molto spesso risultano essere un ostacolo al regolare
svolgimento dell'attività. Per le sue valenze numerose istituzioni dell'educazione formale inseriscono percorsi
di apprendimento cooperativo all'interno del proprio progetto educativo .Secondo alcuni autori, nella
cooperazione ciascun componente del gruppo esegue un compito specifico, mentre
nella collaborazione ognuno lavora su tutte le parti del compito complessivo. La cooperazione è una
situazione in cui gli attori con ruoli e funzioni, meglio definiti rispetto alla collaborazione, lavorano per uno
stesso obiettivo; per esempio, costruire un testo a più mani.
In generale, in rete le attività propriamente cooperative risultano più difficili di quelle collaborative poiché
richiedono decisioni già assunte (ad esempio la scelta del tema del progetto, individuazione di un
coordinatore, ecc.), definizione dei ruoli e strumenti tecnologici più strutturati: aspetti che, per essere decisi
totalmente in rete, comportano un notevole numero di interazioni.

APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO
L’apprendimento significativo è quel tipo di apprendimento che consente di dare un senso alle conoscenze,
permettendo l’integrazione delle nuove informazioni con quelle già possedute e l’utilizzo delle stesse in contesti
e situazioni differenti, sviluppando la capacità di problem solving, di pensiero critico, di metariflessione e
trasformando le conoscenze in vere e proprie competenze.
Secondo la pedagogia contemporanea l’apprendimento significativo, basato su teorie costruttiviste, ha come
obiettivo principale quello di rendere autonomo il soggetto nei propri percorsi conoscitivi.
Esso è diametralmente opposto all’apprendimento meccanico che utilizza la memorizzazione per produrre
conoscenza “inerte”.
Nell’apprendimento meccanico basato su teorie comportamentiste, la ricezione delle informazioni è veicolata
dal docente, le informazioni sono definitive, astratte e generiche e non possono essere modificate dal discente
per integrarle ad informazioni precedenti o per negoziarne socialmente il significato.
Per avere un apprendimento significativo è, quindi, necessario che la conoscenza:
 sia il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto;
 sia strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l’apprendimento
 nasca dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.

APPROCCIO BIOPSICOSOCIALE
Il modello biopsicosociale è una strategia di approccio alla persona, che attribuisce il risultato della malattia,
così come della salute, all'interazione intricata e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici, ecc.),
fattori psicologici (umore, personalità, comportamento ecc.) e fattori sociali (culturali, familiari, socioeconomici,
ecc.). Il modello biopsicosociale si contrappone al modello biomedico, che attribuisce la malattia
principalmente a fattori biologici, come virus, geni o anomalie somatiche, che il medico deve identificare e
correggere. Il modello biopsicosociale trova applicazione a discipline che vanno dalla medicina alla psicologia
alla sociologia; la sua accettazione e prevalenza variano tra discipline e culture.
Il modello biopsicosociale riflette lo sviluppo della malattia attraverso la complessa interazione di fattori
biologici, fattori psicologici e fattori sociali. Ad esempio, una persona può avere una predisposizione genetica
alla depressione, ma devono essere presenti fattori sociali, come lo stress estremo sul lavoro e nella vita
familiare, e fattori psicologici individuali, come tendenze perfezionistiche, che innescano questo codice
genetico per la depressione. Una persona può avere una predisposizione genetica per una malattia, ma i
fattori sociali e cognitivi, secondo il modello, devono intervenire per scatenare la malattia. Il modello
biopsicosociale ha molti usi in medicina. In primo luogo, aiuta i medici a comprendere meglio il paziente nel
suo complesso, considerando non solo gli aspetti fisiologici e medici, ma anche il benessere psicologico e
sociologico. Inoltre, questo modello è strettamente legato alla psicologia della salute. La psicologia della salute
esamina le reciproche influenze della biologia, della psicologia, dei comportamenti e dei fattori sociali sulla
salute e sulla malattia.
ATTENZIONE
L'attenzione è un processo cognitivo che permette di selezionare stimoli ambientali, ignorandone altri. È quel
meccanismo in grado di selezionare le informazioni in ingresso in base allo loro rilevanza biologica e/o
psicologica per l'individuo.
In psicologia possiamo definire l'attenzione come l'insieme dei processi di selezione che il cervello mette in
atto nei confronti degli stimoli che giungono dal mondo esterno attraverso gli organi di senso. Una metafora
spesso usata è quella del filtro, che lascia passare soltanto gli stimoli rilevanti.

ASSERTIVITA’
L’assertività è quella peculiare capacità comunicativa che consente alle persone di far valere i propri punti di
vista, bisogni ed esigenze nel pieno rispetto delle esigenze e dei diritti altrui. L’assertività si pone lungo un
continuum in cui da un estremo troviamo comunicazioni e comportamenti aggressivi (nei quali non c’è
rispetto dei bisogni dell’altro) e dall’altra comunicazioni e comportamenti passivi (nei quali non si riesce a far
valere i propri bisogni). I due opposti, aggressività e passività, conducono entrambi alla creazione di relazioni
insoddisfacenti e frustranti. L’assertività invece favorisce la creazione di relazioni positive e significative.

ANASSERTIVITA’ PASSIVA E AGGRESSIVA


Il comportamento anassertivo può essere sia di tipo passivo che aggressivo: in entrambi i casi, infatti, la
persona non riesce a raggiungere uno stato di benessere con se stessa e con gli altri.
Una comunicazione aggressiva può provocare rigetto, violenza o sottomissione mentre una
comunicazione passiva può stimolare nell’altro noia o comunque depauperamento della comunicazione o al
contrario rappresentare un incentivo alla prevaricazione e al dominio dell’altro.

AUTOREGOLAZIONE E BALBUZIE
La balbuzie (o balbettamento) è un disturbo della fluenza caratterizzato da ripetizioni, prolungamento di
fonemi o di sillabe e da pause visibili e udibili. Quando il disturbo ha esordio nella prima infanzia si parla
di balbuzie evolutiva, il più diffuso tra i disturbi della fluenza.
Nel periodo iniziale di apprendimento del linguaggio verbale (indicativamente fino ai 30-36 mesi), è normale
il bambino manifesti esitazioni o improvvisi arresti nel suo modo di pronunciare le parole. È assolutamente
naturale, infatti, che per padroneggiare la pronuncia delle parole e dei singoli fonemi, arricchire il proprio
bagaglio lessicale e seguire in modo corretto le regole della grammatica e della sintassi, il bambino abbia
bisogno di tempo e mostri un certo livello di incertezza.
La balbuzie può, quindi, insorgere nel bambino tra i due e i sei anni, ma solitamente regredisce entro circa
due anni dal suo esordio.
Tuttavia, in rari casi può accadere che il disturbo non si attenui, bensì peggiori in età scolare e
adolescenziale. Le disfluenze si fanno più numerose, più frequenti, più evidenti. Oltre ai segni udibili, iniziano
a comparire anche segni visibili (oscillazioni della mandibola, tic facciali, deviazioni degli occhi per
allontanare lo sguardo dall’interlocutore) e si manifestano sintomi anche a livello emotivo e
comportamentale: riduzione dell’autostima, evitamento della conversazione, paura del giudizio degli altri (in
particolar modo degli estranei), isolamento sociale. Una tecnica per superare la balbuzie è il training
autogeno che si affronta il problema in vari processi.
Nella prima fase, i balbuzienti padroneggiano i metodi di base dell’autoregolazione: una tecnica estesa di
calma, capacità di rilassamento e gestione delle reazioni vaso-vegetative (respirazione, ritmo dell’attività
cardiaca, tono vascolare). Padroneggiare queste abilità è essenziale per quel gruppo di balbuzienti che
associano la propria condizione a una sensazione soggettiva di tensione nel petto, con insufficienza di
respirazione del discorso. Per esempio, la prima lezione dello stadio 1 inizia con una conversazione
introduttiva, in cui il conduttore parla del contenuto della “formula estesa della tranquillità” e della
connessione tra il discorso, lo stato emotivo e muscolare di una persona. Poi i balbuzienti passano
all’allenamento delle capacità di autoregolazione. Nel processo di formazione in questa fase, il lavoro
acquisisce il carattere di una formazione organizzativa specifica del discorso. La caratteristica principale di
questa fase è l’introduzione di rappresentazioni di situazioni patogene del discorso, l’allungamento e
l’aumento di difficoltà nell’allenamento del discorso e il consolidamento dei risultati da parte dei balbuzienti.
La rappresentazione di una situazione di discorso difficile per i balbuzienti è creata grazie alla sua
verbalizzazione. Con un linguaggio figurativo brillante, il conduttore traccia un ritratto verbale di una
situazione di discorso patogena.
Durante il terzo stadio, i balbuzienti imparano a padroneggiare le formule abbreviate di autoipnosi, ovvero
dei metodi di regolazione attiva del tono muscolare e di rilassamento locale delle aree del corpo coinvolte nel
processo dell’ “attività di parola”.
La formula estesa della calma viene, un po’ alla volta, sostituita da formulazioni più brevi: “Calmo, raccolto,
concentrato”. Allo stesso modo, le formule utilizzate per rilassare i singoli gruppi muscolari sono sostituite da
brevi autoipnosi: “Addome, petto, gola, mascella, labbra, lingua sono rilassati”.In questa fase, l’individuo
utilizza delle autosuggestioni per superare l’atteggiamento patologico caratteristico di chi è affetto da questo
tipo di disturbi, nei confronti del difetto di parola, dell’interlocutore o delle altre persone. Nel corso
dell’addestramento linguistico del terzo stadio, le abilità acquisite di autoregolazione vengono applicate in
modo attivo nel processo di produzione linguistica. Gli allievi vengono invitati a partecipare a brevi
conversazioni, dapprima con il facilitatore, poi con i compagni di gruppo. I balbuzienti, quindi, si allenano a
rispondere alle domande poste, a recitare scene e si preparano per esibizioni pubbliche.

CAA
La Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) è un approccio dai vari volti, ma dallo scopo univoco di
offrire alle persone con bisogni comunicativi complessi la possibilità di comunicare tramite canali che si
affiancano a quello orale.Non avere la possibilità di parlare, esercitando quella funzione specifica dell’uomo
che è lo speech, ovvero il linguaggio verbale, non significa non potere comunicare. Ne è un esempio
evidente la lingua gestuale utilizzata da molte persone sorde.La Comunicazione Aumentativa Alternativa è
un approccio che si propone di offrire una modalità alternativa a chi, oltre ad essere escluso dalla
comunicazione verbale e orale a causa di patologie congenite o acquisiti presenta anche deficit cognitivi, più
o meno severi. La CAA è tutto l'insieme di strategie, strumenti e tecniche messe in atto in ambito clinico e
domestico per garantire la comunicazione alle persone che non possono esprimersi verbalmente.
La CAA non si propone di sostituire il linguaggio verbale: al contrario, in quanto aumentativa, la CAA
prevede la simultanea presenza di strumento alternativo e linguaggio verbale orale standard, che si
accompagna al simbolo visivamente e oralmente, tramite il supporto del partner comunicativo che la
pronuncia ad alta voce. Il simbolo diventa allora supporto alternativo che accompagna lo stimolo verbale
orale in entrata, e, qualora sussistano le possibilità, accompagna e non inibisce la produzione verbale in
uscita. Di conseguenza, la Comunicazione Aumentativa non inibisce l’eventuale emergere del linguaggio
verbale, ma si propone al contrario di potenziarlo.

COACHING
Il coaching (o affiancamento e guida) è una metodologia di sviluppo personale nella quale una persona
(detta coach) supporta un cliente o allievo (detto coachee) nel raggiungimento di uno specifico obiettivo
personale, professionale o sportivo. Un coach fornisce il suo supporto verso l’acquisizione di un più alto
grado di consapevolezza, responsabilità, scelta, fiducia e autonomia. L'International Coach Federation
definisce il coaching come una partnership con i clienti che, attraverso un processo creativo, stimola la
riflessione, ispirandoli a massimizzare il loro potenziale personale e professionale. L'Associazione Coaching
Italia, invece, definisce il coaching una metodologia che si basa su una relazione di partnership paritaria (tra
il coach e il suo cliente/allievo) che, attraverso un rapporto di espressa natura contrattuale, mira a
riconoscere, sviluppare e valorizzare le strategie, le procedure e le azioni utili al raggiungimento di obiettivi
operativi collocati nel futuro del cliente.

COMORBIDITA’
In ambito medico-scientifico, il termine “comorbidità” viene spesso utilizzato come sinonimo di comorbilità,
per indicare il fenomeno della “compresenza di patologie” o di “malattia concomitante”. l termini “Comorbilità”
e “Comorbidità” sono due sinonimi che appartengono al linguaggio medico e psichiatrico. Essi sono, infatti,
utilizzati principalmente dagli specialisti deputati alla diagnosi di una malattia medica o di un disturbo
psicopatologico, oppure dai ricercatori che lavorano negli stessi ambiti. Per “Comorbilità” e “Comorbidità” gli
esperti intendono quel fenomeno per cui in una persona sono presenti due o più disturbi di origine diversa.
Nell’ambito medico, ad esempio, si ha comorbilità o comorbidità se una persona soffre di diabete e anche di
una malattia cardiovascolare congenita. Nell’ambito psichiatrico, si ha comorbilità o comorbidità se, ad
esempio, ad un bambino viene diagnosticata una forma di ritardo mentale e anche un disturbo oppositivo-
provocatorio. Per uno specialista individuare una comorbidità non è un processo semplice. Per formulare
una diagnosi, infatti, deve valutare se i sintomi o i comportamenti che osserva sono caratteristici di una
determinata patologia oppure se, invece, sono spiegati da un’altro tipo di disturbo. La difficoltà sta nel fatto
che, spesso, un sintomo o un comportamento è comune a più di una patologia.Ad esempio, il
comportamento aggressivo che si riscontra in alcuni bambini può essere spiegato da innumerevoli
motivazioni: il bambino può comportarsi con aggressività perché ha sviluppato un disturbo oppositivo-
provocatorio o un disturbo della condotta, oppure perché ha sviluppato un disturbo psicotico, oppure perché
ha un ritardo mentale o semplicemente perché sta vivendo un periodo di particolare stress che non sa
esprimere con modalità più adeguate.Se un bambino con ritardo mentale ha anche comportamenti di
aggressività, lo specialista deve capire se quest’ultimi sono dovuti al ritardo oppure sono dovuti ad una o più
delle ipotesi precedenti. Se l’intensità e la frequenza dei comportamenti aggressivi non sono spiegabili
esclusivamente con la diagnosi di ritardo mentale e, grazie ad un’analisi attenta, fanno piuttosto pensare alla
presenza anche del disturbo oppositivo-provocatorio, lo specialista formulerà 2 diagnosi, rientrando quindi
nel caso di comorbidità o comorbilità.

COMPETENZA E COMUNICAZIONE
Le competenze comunicative sono quelle capacità che consentono di trasmettere informazioni
efficacemente da una persona all’altra. E per questa ragione sono ritenute importanti dai responsabili delle
risorse umane, che le considerano un elemento centrale in sede di colloquio di lavoro. Non a caso, vengono
sempre più spesso inserite anche tra le competenze elencate nei curriculum rientrano tra le cosiddette soft
skill, quindi non parliamo di competenze tecniche. Sono invece competenze trasversali che difficilmente
sono certificabili con un titolo di studio o un certificato di laurea. Ma che si possono comunque affinare con
l’esercizio e la formazione.
In ambito scolastico, i temi della comunicazione sono diventati un argomento centrale in ogni discussione
sulla didattica e sui processi educativi in generale. Oggi le competenze comunicative e relazionali
dell'insegnante sono giudicate importanti almeno quanto quelle disciplinari. Per questo motivo è aumentata
anche la richiesta di percorsi formativi sulla comunicazione che aiutino il docente a sviluppare uno stile
personale più efficace. La comunicazione è un elemento fondamentale del lavoro dell'insegnante,
indispensabile per promuovere il passaggio di conoscenze e competenze ma anche per creare un clima
cooperativo che renda l'apprendimento più piacevole ed efficace.
La comunicazione è parte fondamentale del processo di socializzazione ed un fattore immancabile nella
costruzione delle relazioni interpersonali.
Nella comunità scolastica, la comunicazione può essere definita come un processo di condivisione delle
informazioni attraverso l'utilizzazione di un insieme di regole comunemente accettate. Queste regole
possono variare a seconda delle circostanze: per esempio, il flusso di informazioni può essere interrotto da
pressioni situazionali, le divergenze nelle prospettive di docenti diversi possono interferire con la natura dei
significati condivisi e le regole stesse possono essere cambiate da risposte inappropriate.
L'instaurarsi di una buona comunicazione tra le diverse figure coinvolte nel contesto scolastico può:
• accrescere la consapevolezza su problemi e soluzioni didattiche;
• potenziare comportamenti supportivi individuali o di gruppo;
• mettere in luce le abilità di ciascuno;
• implementare la cooperazione;
• rinforzare i comportamenti e gli atteggiamenti positivi.
• Nel contesto scolastico la comunicazione non è solo un 'fare pratica insieme', ma soprattutto
un'interazione creativa per il raggiungimento di un fine comune: la crescita dell'allievo e
dell'insegnante.
La comunicazione umana si riferisce all'interazione tra persone che usano un linguaggio simbolico. Per
esempio, può essere rappresentata dal rapporto tra produzione e valutazione tra insegnante e alunno, ma
anche da tutta una serie di messaggi verbali e non verbali volti a stabilire un legame emotivo-relazionale che
va oltre i semplici fini didattici. Come per la comunicazione in generale, nel contesto scolastico possiamo
trovarne di diversi tipi come quella:
• intrapersonale;
• interpersonale;
• dei piccoli gruppi;
• delle organizzazioni;
• pubblica;
• di massa
La comunicazione intrapersonale si riferisce ai pensieri, i valori ed i sentimenti che popolano il mondo
interiore del soggetto e che si mantengono attraverso un continuo dialogo interno che dirige i comportamenti
dell'insegnante nel suo stile espositivo ma anche in quello relazionale.
La comunicazione interpersonale è quella che avviene direttamente tra due persone e nel contesto
scolastico può riguardare confronti insegnante-insegnante, insegnante-alunno, insegnante-dirigenza,
insegnante-genitore ed altre dinamiche di minore rilevanza.
La comunicazione nei piccoli gruppi avviene sia in classe che con i colleghi nelle diverse occasioni di
riunione è può influenzare sensibilmente i comportamenti dell'insegnante riguardo gli atteggiamenti da
tenere con le diverse figure in gioco.
La comunicazione delle organizzazioni avviene quando siano in gioco tutti gli appartenenti ad una scuola o
ad un istituto comprensivo. Fanno parte di questo tipo di comunicazione anche messaggi scritti come
circolari ed altro, che siano volti al mantenimento di una rete ampia ma attiva.
La comunicazione pubblica si riferisce a tutte le occasioni nelle quali un docente è chiamato a dover parlare
in pubblico in un contesto allargato come convegni, conferenze, o altri eventi di questo genere.
Infine, la comunicazione di massa si attua nei libri di testo, nelle direttive ministeriali e in tutto ciò che possa
essere considerato di pubblico dominio.
Uno degli assunti fondamentali della comunicazione umana è che essa si presenta come un processo
transazionale e multidimensionale. La comunicazione è un processo continuo, dinamico, ininterrotto e mai
un qualcosa di statico e prevedibile. Questo significa che la comunicazione tra una persona A e una persona
B è una continua interazione tra un grande numero di variabili, le quali cambiano continuamente durante
l'evento comunicativo. In particolare durante il processo comunicativo lo stato fisico, sociale ed emotivo della
persona A o della persona B può improvvisamente cambiare determinando conseguenti mutamenti nella loro
interazione.
L'assunto che afferma che la comunicazione umana è un processo è molto importante perché ci costringe a
riconoscerne la complessità e le molteplici relazioni che essa coinvolge. Nel contesto scolastico il suddetto
processo dirige la nostra attenzione alle comunicazioni in corso tra docente-alunno o alunno-alunno piuttosto
che su una serie di eventi comunicativi a senso unico. L'assunto del processo non solo modifica il nostro
approccio alle problematiche dell'alunno, ma ci permette di analizzare anche gli altri soggetti coinvolti nella
comunicazione come i docenti, i genitori, la direzione e ci spinge ad esaminare come lo scambio tra tutte
queste persone può variare a seconda della natura della situazione.
L'assunto riguardante la natura transazionale della comunicazione si riferisce al fatto che entrambi i soggetti
coinvolti in una comunicazione si influenzano reciprocamente. Per esempio, una persona A costruisce un
messaggio per la persona B e nel farlo riceve delle informazioni di ritorno dalla persona B che influenzano il
modo in cui A formula il messaggio. Il punto di vista transazionale ci costringe a vedere l'interazione
simultanea tra mittente e ricevente del messaggio in un processo di feedback continuo ed ininterrotto.
L'aspetto multidimensionale della comunicazione umana è rilevabile a due livelli: a livello di contenuto ed a
livello di relazione. Il livello di contenuto si riferisce a linguaggio, parole ed informazioni contenute in un
messaggio. Il livello di relazione definisce quale sia la natura del rapporto tra le persone coinvolte nella
comunicazione.

COMUNICAZIONE APERTA, CONSAPEVOLE ED EMOZIONALE


La comunicazione aperta si verifica quando tutte le parti in una conversazione o in un dibattito sono in grado
di esprimersi reciprocamente. La comunicazione aperta è facilitata da una comunicazione efficace. Una
comunicazione efficace si verifica quando il destinatario comprende il messaggio come previsto dal mittente.
Tecniche per una comunicazione aperta:
• Ascolto attivo: esiste un forte legame tra l’ascolto attivo e la comunicazione aperta, quindi è necessario
rafforzare l’ascolto attivo per realizzare una comunicazione aperta.
• Feedback: il feedback (riscontro) è una parte importante della comunicazione aperta per imparare
ad accettare le critiche facilmente e bene.
• Mantenere la comunicazione positiva: è necessario utilizzare affermazioni positive anziché
affermazioni negative.
• Fiducia, empatia, diversità, rispetto, pazienza e simpatia: è necessario essere consapevoli di questi
fattori e usarli durante la comunicazione con qualcuno.
Essere un comunicatore consapevole significa proprio questo, saper gestire bene ogni elemento della
comunicazione. E non è facile. Per mettere in pratica una comunicazione consapevole, occorre iniziare
sin da età scolare. Proprio a scuola, i giovani iniziano a confrontarsi con alcuni esercizi relativi a
questa forma comunicativa. Per esempio, l’empatia e gli esercizi di accettazione degli altri sono un
buon modo per presentare questo argomento ai più piccoli. Le emozioni sono fondamentali nella vita
quotidiana e padroneggiarle richiede molta pazienza e pratica. Anche se, a volte, ce ne dimentichiamo.
Essere consapevoli, o mindful, implica non cedere alla rabbia o all’ira nella comunicazione con gli
altri. Sapere quando scatenare le emozioni è un segno di comunicazione consapevole e, in questo
compito, l’intelligenza emotiva ci aiuterà. Essa si manifesterà nel controllo delle nostre emozioni, così
come nell’accettazione di quelle altrui.
Se desideriamo essere dei comunicatori consapevoli, prima di tutto dobbiamo capire che la
comunicazione è un meccanismo. Lo scambio di messaggi tra due fonti che, necessariamente, devono
condividere uno stesso codice. Ma voler essere mindful non basta per esserlo.
Diventare dei comunicatori consapevoli ci permetterà di elaborare comunicazioni più efficienti. Saremo
più empatici, e ciò ci consentirà di esprimerci in un modo più adatto al nostro contesto sociale e
instaurare legami più forti con gli altri. Si tratta, comunque, di un processo difficile, perché richiederà,
tra gli altri risultati, l’identificazione e il riconoscimento dei nostri errori attuali. Uno sforzo sicuramente
importante, ma i cui frutti ci saranno molto utili.
La comunicazione emozionale è una strategia comunicativa che veicola messaggi in grado di suscitare
nel destinatario emozioni, vale a dire che siano in grado di agire non solo a livello cognitivo, ma ad un
livello molto più profondo e radicato
COMUNICAZIONE FUNZIONALE
La comunicazione è il processo che consente di trasmettere informazioni.
Comunicare in modo efficace significa sapersi esprimere in ogni situazione con qualunque interlocutore sia a
livello verbale che non verbale (espressioni facciali, la voce e la postura), in modo chiaro e coerente con il
proprio stato d'animo.
Perché una comunicazione funzionale abbia luogo è necessario che il soggetto emittente del messaggio ed
il soggetto ricevente si “sintonizzino” sulla medesima frequenza.
le regole base per una buona comunicazione
• Assumere uno stile comunicativo assertivo;
• Comunicare in modo empatico ed emozionale;
• Ascoltare attivamente l’altro;
• Comunicare un messaggio in modo coerente sul piano verbale e non verbale;
• Assumere un tono di voce chiaro, disteso e preciso;
• Rimanere in una posizione di apertura e positività verso l’altro;
• Non essere mai giudicante, fare attenzione alla scelta del lessico utilizzato

COMUNICAZIONE RICETTIVA
Negli studi sulla comunicazione si distinguono diversi tipi di abilità comunicative.
Abilità comunicative ricettive:
• Ascoltare in modo attivo, ponendo domande, interessandosi al problema esposto, lasciando spazio
all’emittente di esprimersi e comprendendo il senso dei suoi silenzi. Le strategie per migliorare il
rapporto con l'altro utilizzando l'ascolto attivo sono:
1. Manifestare interesse attraverso il contatto visivo, l'uso appropriato del linguaggio del corpo, la
riduzione delle distrazioni (non distrarsi, né interrompere).
2. Richiedere informazioni attraverso domande generali, puntuali e cumulative; incoraggiare a
continuare ed invitare ad approfondire.
3. Segnalare la comprensione con espressioni di intesa, riassumere quanto capito, riflettere il
sentimento dell'interlocutore e parafrasare il contenuto.[2]
• Osservare la comunicazione non verbale che accompagna il parlato. Questa può rafforzare il messaggio
espresso o contraddirlo.

CURRICOLO A SPIRALE E VERTICALE


Il curriculo a spirale si basa sulla metodologia di insegnamento proposta dal metodo matematico di
Singapore approntato affinchè gli studenti imparassero la matematica senza doverla memorizzare.
L’insegnamento è interpretato in modo tale che gli studenti possono passare dalla conoscenza
generale a quella specializzata. Ciò è possibile grazie all’apprendimento continuo che impedisce ai
concetti di cadere facilmente nell’oblio. Il curricolo può essere definito come uno strumento di
organizzazione dell’apprendimento, frutto di un lavoro collettivo, interno alla scuola, di “traduzione” delle
Indicazioni Nazionali, valide come riferimento normativo su tutto il territorio nazionale, in modalità di lavoro
attuabili e contestualizzate, flessibili ma al tempo stesso utili come traccia “strutturante”, per una didattica
ben articolata e orientata all’acquisizione di competenze. Progettare un Curricolo Verticale significa
valorizzare al massimo le competenze dei professionisti che lavorano nei diversi gradi della scuola,
chiedendo loro di lavorare insieme con flessibilità e reciproca curiosità, e al tempo stesso dare massima
fiducia agli studenti, immaginando per loro un percorso che tenga conto del bagaglio di competenze che
gradualmente vanno ad acquisire, tra elementi di continuità e necessarie discontinuità.
Progettare insieme un Curricolo Verticale non significa quindi solo dare una distribuzione diacronica ai
contenuti didattici. Significa progettare un percorso unitario scandito da obiettivi graduali e progressivi, che
permettano di consolidare l’apprendimento e al tempo stesso di evolvere verso nuove competenze.

DEFICIT ATTENTIVO
Il deficit attentivo è un disordine dello sviluppo neuro psichico del bambino e dell'adolescente, caratterizzato
da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi che si manifesta generalmente prima dei 7 anni d'età.
i sintomi principali sono:
• impulsività
• disorganizzazione e difficoltà a definire priorità
• deficit nella gestione del tempo.
• difficoltà a focalizzarsi su un compito.
• difficoltà a portare a termine più compiti contemporaneamente.
• irrequietezza e agitazione motoria.
• difficoltà di programmazione di attività

DISTURBO DELLA CONDOTTA


Il Disturbo della Condotta è un disturbo di natura comportamentale di bambini e adolescenti che consiste nel
violare, in maniera ripetitiva e persistente, le regole imposte dalla società e i diritti degli altri.
Nel comportamento dei ragazzi affetti da disturbo della condotta possiamo notare:
• la tendenza ad essere aggressivi e prepotenti
• la volontà di intimorire gli altri dando inizio a discussioni e colluttazioni fisiche
• una certa crudeltà e un piacere nell’infliggere sofferenza fisica (anche nei confronti di animali)
• il ricorso ad armi o oggetti in grado di arrecare danni fisici ad altri, come coltelli, bastoni, pistole
• la messa in atto di aggressioni a scopo di furto, scippi, estorsioni di denaro, rapine a mano armata
In alcuni casi potrebbero essersi verificati episodi in cui hanno volontariamente appiccato il fuoco o distrutto
proprietà altrui per il gusto di provocare danni o episodi in cui hanno cercato di forzare qualcuno ad avere con
loro approcci sessuali.
Sono ragazzi che in generale mentono spesso e tendono a raggirare gli altri per ottenere vantaggi; spesso
rubano intrufolandosi in appartamenti, automobili, negozi.

DIDATTICA LABORATORIALE
La “didattica laboratoriale” comprende qualsiasi esperienza o attività nella quale lo studente riflette e lavora
insieme agli altri, utilizzando molteplici modalità apprenditive, per la soluzione di una situazione problematica
reale, l'assolvimento di un incarico o la realizzazione di un progetto.

DIDATTICA PER COMPETENZE


L’ambiente di apprendimento per competenze mette al centro gli studenti, cioè coloro che devono
apprendere in modo significativo.
Lo studente è al centro dell’azione didattica e assume responsabilità e autonomia nella costruzione del suo
apprendimento.
E’ importante che il docente spieghi di volta in volta ai suoi studenti valore e rilevanza di quanto ci si accinge
a studiare: è sempre più necessario motivare i giovani allo studio, spiegando come i diversi contenuti delle
diverse discipline concorrano alla crescita e alla maturazione di ciascuno: “Quanto stiamo per studiare è
importante per te… è importante perché… è utile al tuo futuro”. Il lavoro in classe è centrato sull’esperienza,
contestualizzata nella realtà, ed è sviluppato in modo significativo attraverso l’attuazione di compiti
significativi. Questo lavoro ha bisogno di contenuti e conoscenze… ma li mette in gioco, in azione, e in un
certo senso li fa “portare frutto”.
Ad esempio si può studiare con più interesse, motivazione e coinvolgimento la storia del Novecento
facendo progettare e costruire nella classe (o nella scuola) un piccolo museo degli oggetti quotidiani:
lavorando in gruppi non solo si scopriranno molte cose interessanti, ma si imparerà con metodo.

DIDATTICA SPECIALE
La finalità della didattica speciale è quella di creare le condizioni ottimali affinché un soggetto con
problemi di apprendimento che voglia apprendere possa apprendere, al fine di poter fare un'esperienza
cognitiva, sociale e relazionale nel migliore dei modi. Da ciò si evince che la didattica speciale, cosi come
la didattica generale, non ha la pretesa di lavorare sul soggetto, ma di costruire le condizioni perché
l'allievo che vuole e deve apprendere, possa apprendere, lavorando diversamente su schemi, modelli e
così via. La didattica special si occupa, quindi, di soggetti con problemi di apprendimento, che devono
essere integrati all'interno della classe e più in generale all'interno della società.

DIDATTICA TRASMISSIVA
La didattica trasmissiva è la tipica lezione frontale. Viene utilizzata per impostare un discorso disciplinare,
cioè per fornire i presupposti di base e di partenza che sono considerati scientifici, cioè riconosciuti e
condivisi dalla comunità scientifica che si occupa della disciplina.
Questa tipologia didattica non prevede alcuna interazione tra docente e apprendenti durante la
lezione (seppure a volte vengano somministrati alla fine quiz oggettivi in autovalutazione) e ciò naturalmente
sacrifica la parte più importante del processo di apprendimento: la collaborazione costante tra i diversi attori
del processo stesso. Al docente manca il feedback degli studenti e non riuscendo a valutare il grado di
attenzione, egli tende a proseguire nella spiegazione degli argomenti programmati per poter rientrare nei
tempi previsti.

DISABILITÀ
La disabilità è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni strutturali o funzionali, ha una ridotta
capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno
autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita
sociale. La disabilità è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni strutturali o funzionali, ha una
ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è
meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla
vita sociale. Quello di disabilità non è un concetto universale, ma molto spesso la sua definizione è legata al
tipo di ricerca che si sta effettuando. Goffman parla di categorie che nelle interazioni sociali vengono avvilite,
viene proiettato su di esse uno stigma che costruisce l'identità delle persone disabili.

DISABILITÀ INTELLETTIVA
La disabilità intellettiva è definita come un funzionamento intellettuale generale significativamente sotto la
media, presente contemporaneamente a carenze del comportamento adattivo che si manifesta in età
evolutiva., La disabilità intellettiva può essere causata da qualsiasi condizione che impedisca il normale
sviluppo del cervello prima, durante, dopo la nascita o nel periodo dell’infanzia. Si possono distinguere fattori
etiologici genetici (monogenetici, poligenetici, aberrazioni cromosomiche) e fattori acquisiti che possono
essere gestazionali (malattie materne infettive, agenti chimici, traumi, ecc.), perinatali (prematurità,
postmaturità, itteri, anossia, traumi cranici, ecc.) e post-natali (encefaliti, meningiti, vasculopatie cerebrali,
ecc.). Nel 50% dei casi però non è possibile individuare una causa precisa.

DISLESSIA
La dislessia è un disturbo specifico dell'apprendimento, che emerge classicamente all'inizio della
scolarizzazione e incide sulla capacità di leggere, e talvolta pure di scrivere, in modo corretto e fluente.
Il dislessico, pertanto, è una persona con difficoltà di lettura e, talora, di scrittura.
La dislessia non è una malattia, ma una disabilità; la dislessia, inoltre, non deve essere confusa con l'alessìa
(o dislessia acquisita), che è la condizione risultante dalla perdita (successiva, per esempio, a un trauma
cerebrale) delle capacità cognitive necessarie alla lettura.
La dislessia è una condizione permanente, quindi che dura per tutta la vita.
Tuttavia, grazie ai moderni metodi di supporto, oggi, gli individui dislessici hanno tutte le possibilità di
condurre una vita normale.
È opinione alquanto diffusa che la dislessia sia un'espressione di scarsa intelligenza o pigrizia.
Questa idea è del tutto infondata e inesatta: studi scientifici, infatti, hanno dimostrato che gli individui
dislessici possiedono un'intelligenza nella media e hanno le stesse probabilità di successo, in ambito
scolastico/lavorativo, dei soggetti non dislessici.
Nell'affrontare una lettura, i dislessici hanno difficoltà a collegare le lettere ai suoni corrispondenti, il che
comporta un'incapacità nel creare le parole derivanti dai suddetti suoni.
In altre parole, non riuscendo a tradurre con il suono corrispondente le lettere, l'individuo affetto da dislessia
fatica, durante la lettura di un testo, a scandire gli insiemi di lettere costituenti le parole.
Confrontando i dislessici con le persone normali (cioè non affette da dislessia), queste, quando imparano a
leggere, non riscontrano alcuna difficoltà nel correlare le lettere al suono corrispondente, così come non
hanno alcun problema a mescolare i suoni delle lettere al fine di pronunciare le parole.
La dislessia altera:

• La capacità di connettere le lettere dell'alfabeto a un suono ben preciso. Questa capacità è alla base
della lettura. L'essere umano la apprende nel momento in cui impara l'alfabeto della propria lingua
madre.
• La capacità di decodifica di un testo. Per decodificare un testo, è essenziale riuscire a dare un senso
alle parole che il suddetto testo presenta. Se manca questa capacità, capire il senso di un insieme di
parole (anche una frase molto semplice) può risultare assai complesso.
• La capacità di riconoscere le parole alla vista, con un veloce colpo d'occhio. Questa capacità
riguarda i termini familiari, che un individuo ha già incontrato in altri testi.
• Faticando a leggere le singole parole, gli individui dislessici non riescono a crearsi una vocabolario
di termini familiari, riconoscibili con una rapida occhiata.
• La scorrevolezza della lettura. Leggere in maniera fluente dipende dalle precedenti capacità.
• La scorrevolezza della lettura è un elemento cardine per comprendere appieno il significato del testo
scritto.
Ogni individuo affetto da dislessia costituisce un caso a sé stante; la dislessia, infatti, può indurre, in alcuni
pazienti, sintomi e segni che, in altri pazienti, non provoca o sono decisamente meno accentuati.

Le difficoltà di lettura e di comprensione del testo rappresentano le manifestazioni principali e più


caratteristiche della dislessia; a queste possono aggiungersi, a seconda del paziente considerato, problemi
nello scandire chiaramente le parole, nello scrivere, nello strutturare un discorso lineare durante le
conversazioni, nell'utilizzare le parole giuste per indicare gli oggetti o gli esseri animati ecc.
La dislessia si manifesta in modo lampante, con sintomi e segni, quando il paziente comincia a frequentare
le scuole elementari, quindi in età scolare; in realtà, però, questo disturbo specifico dell'apprendimento dà
dimostrazione di sé anche prima dell'inizio delle scuole, con segnali non sempre chiari a un occhio inesperto.

DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE


I disturbi della comunicazione comprendono deficit del linguaggio, dell’eloquio e della comunicazione.
Per eloquio si intende la produzione espressiva di suoni e comprende articolazione, fluenza, voce e qualità di
risonanza di un individuo. Il linguaggio comprende la forma, la funzione e l’utilizzo di un sistema convenzionale
di simboli (per esempio le parole pronunciate, linguaggio gestuale, le parole scritte, le immagini) con una
modalità governata da regole per la comunicazione. La comunicazione comprende qualsiasi comportamento
verbale o non verbale (intenzionale o non intenzionale) che influenza il comportamento, le idee e le attitudini
di un altro individuo. Le valutazioni delle abilità di eloquio, linguaggio comunicazione devono tener conto del
contesto culturale della lingua dell’individuo, in particolare per individui che crescono in ambienti bilingui.

DC
Il Disturbo della Condotta è un disturbo di natura comportamentale di bambini e adolescenti che consiste nel
violare, in maniera ripetitiva e persistente, le regole imposte dalla società e i diritti degli altri.
Quali sono le caratteristiche principali del disturbo?
Possiamo notare nel comportamento dei ragazzi affetti da disturbo della condotta:
• la tendenza ad essere aggressivi e prepotenti
• la volontà di intimorire gli altri dando inizio a discussioni e colluttazioni fisiche
• una certa crudeltà e un piacere nell’infliggere sofferenza fisica (anche nei confronti di animali)
• il ricorso ad armi o oggetti in grado di arrecare danni fisici ad altri, come coltelli, bastoni, pistole
• la messa in atto di aggressioni a scopo di furto, scippi, estorsioni di denaro, rapine a mano armata
In alcuni casi potrebbero essersi verificati episodi in cui hanno volontariamente appiccato il fuoco o distrutto
proprietà altrui per il gusto di provocare danni o episodi in cui hanno cercato di forzare qualcuno ad avere
con loro approcci sessuali.
Sono ragazzi che in generale mentono spesso e tendono a raggirare gli altri per ottenere vantaggi; spesso
rubano intrufolandosi in appartamenti, automobili, negozi.

DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO


I disturbi del neurosviluppo si manifestano nelle prime fasi dello sviluppo e sono caratterizzati da deficit del
funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.
Il deficit varia da limitazioni molto specifiche dell’apprendimento fino alla compromissione globale delle abilità
sociali e dell’intelligenza.
Nei disturbi del neurosviluppo sono stati inseriti la disabilità intellettiva, i disturbi della comunicazione, il
disturbo dello spettro autistico, il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, il disturbo specifico
dell’apprendimento e i disturbi del movimento. Questo complesso di disturbi comporta un elevato carico
sanitario, sociale ed economico.

DOCENTE COMPETENTE
Per essere un insegnante competente e quindi professionista di qualità occorre possedere:
• conoscenza e padronanza del sapere esperto (conoscenze teoriche), sapere insegnato (metodi che
facilitano l’apprendimento) e sapere psicopedagogico (apertura al cambiamento in base all’evoluzione
della sua disciplina e agli allievi)
• capacità comunicative che favoriscono l’apprendimento
• capacità riflessiva e di autocritica
• competenza emotiva (capacità di relazionarsi con allievi e colleghi creando climi positivi di
collaborazione)
• competenza gestionale (capacità di assumere diversi ruoli nell’ambito del lavoro scolastico).
Ne deriva, quindi, che la qualità di un insegnante è data dalla combinazione di tutte queste differenti abilità
esplicate all’interno di un quadro più globale e non dalle singole caratteristiche.

DOCENTE INCLUSIVO
Un docente inclusivo è un professionista che conosce la legislazione scolastica e il contesto giuridico in cui
opera, le responsabilità e i doveri verso gli alunni, le famiglie e i colleghi. Una delle doti indispensabili
richieste all’insegnante di qualità ed inclusivo è l’empatia. Studiosi come Cooper, Tiberio e Fortuna hanno
indagato sul rapporto tra insegnante-alunni-empatia ed hanno verificato che il livello di empatia influenza
enormemente la condivisione di affetti, sentimenti e conoscenze, nella prevenzione di fenomeni sociali gravi
come bullismo, cyberbullismo e disagio giovanile.Gli alunni che lavorano con un docente empatico hanno un
livello di autostima più alto, sono più collaborativi, più rispettosi all’interno del gruppo e nel coinvolgimento
degli alunni con BES ed imparano a gestire i conflitti.

DOCENTE RIFLESSIVO
Il docente riflessivo è un docente migliore perché è anche un ricercatore. Adotta continuamente il metodo
della ricerca-azione. Stabilisce una ipotesi e la mette alla prova. Poi in base ai risultati ottenuti, formula
un'altra ipotesi e la mette in pratica per vedere cosa provoca.
L'insegnamento come processo riflessivo richiede ai docenti di mettere in discussione le proprie strategie,
metodologie e approcci teorici, oltre che i pregiudizi professionali, le convinzioni e i punti di vista,
attuando un circolo virtuoso di controllo, valutazione e sviluppo della propria esperienza

DOP
Disturbo Oppositivo Provocatorio ( DOP ) è un disturbo neuropsichiatrico caratterizzato da disturbo nel
controllo delle emozioni e del comportamento . Nel disturbo oppositivo provocatorio prevalgono emozioni
quali la rabbia e l’irritazione, unitamente a comportamenti di polemica e sfida. Il disturbo oppositivo
provocatorio si caratterizza per la presenza frequente e persistente di umore collerico/irritabile (va spesso in
collera, è spesso permaloso o contrariato, è spesso adirato e risentito), comportamento
polemico/provocatorio (litiga spesso con persone che rappresentano l’autorità, sfida spesso apertamente o
rifiuta di rispettare le regole, irrita deliberatamente gli altri, accusa gli altri per i propri errori), vendicatività.
Tali sintomi devono presentarsi nell’interagire con almeno una persona diversa da un fratello e sono,
spesso, parte di modalità di interazione problematiche con gli altri. La comparsa dei primi sintomi si verifica
prevalentemente in età prescolare e raramente oltre la prima adolescenza; un esordio dopo i sedici anni è
molto raro in entrambi i sessi. Spesso il disturbo precede lo sviluppo di un Disturbo della Condotta; si
associa, inoltre, al disturbo oppositivo provocatorio il rischio di sviluppare disturbi d’ansia, disturbo
depressivo, pur in assenza di un disturbo della condotta. Alla base del disturbo oppositivo provocatorio può
esserci un’interazione tra diversi fattori: individuali e contestuali.

DSA
Conosciuti anche con la sigla DSA, i disturbi specifici dell'apprendimento sono quelle disabilità che intaccano
le capacità utili a un individuo per l'apprendimento, come per esempio la scrittura, la lettura e il calcolo, e che
si manifestano con l'inizio della scolarizzazione.
Nell'elenco dei disturbi specifici dell'apprendimento figurano:
• Dislessia - disturbo specifico della lettura che si manifesta con una difficoltà nella decodifica del
testo;
• Disortografia - disturbo specifico della scrittura che si manifesta con difficoltà nella competenza
ortografica e nella competenza fonografica;
• Disgrafia - disturbo specifico della grafia che si manifesta con una difficoltà nell'abilità motoria della
scrittura;
• Discalculia - disturbo specifico dell'abilità di numero e di calcolo che si manifesta con una difficoltà
nel comprendere e operare con i numeri.
Questi disturbi dipendono dalle diverse modalità di funzionamento delle reti neuronali coinvolte nei processi
di lettura, scrittura e calcolo. Non sono causati da un deficit di intelligenza, da problemi ambientali o
psicologici e nemmeno da deficit sensoriali.
I DSA non sono una malattia in quanto non sono dovuti ad un danno organico, ma un diverso
neurofunzionamento del cervello, che non impedisce la realizzazione della specifica abilità (lettura, scrittura,
numerazione o altro) ma necessita di tempi più lunghi e carichi maggiori di attenzione. Questo diverso
neurofunzionamento è innato e non è transitorio: accompagna l’individuo per tutta la vita.
Quindi non si "guarisce" dai Disturbi Specifici dell’Apprendimento ma le difficoltà che li accompagnano
possono essere compensate con il tempo e con una buona attività di potenziamento/riabilitativa.

DSM IV E DSM V
Il termine DSM è l'acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders («Manuale Diagnostico
e Statistico dei Disturbi Mentali») ed è uno degli strumenti diagnostici per disturbi mentali più utilizzati da
medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo. Redatto dall’APA (Associazione di Psichiatria Americana); da
tempo i membri preposti alla revisione della precedente edizione (del 1994) dibattevano circa una
ridefinizione dei disturbi di personalità e dei loro criteri. Se possiamo definirle “fazioni”, il dibattito verteva tra i
sostenitori di una visione categoriale del disturbo (ovvero tramite la presenza o assenza di un determinato
numero di criteri) e coloro che appoggiavano una visione dimensionale, che tenesse conto del vissuto
soggettivo del singolo individuo e di un più ampio spettro di possibile collocazione della diagnosi che si
muovesse lungo il continuum personalità normale e patologica. Nel DSM IV i disturbi di personalità erano
concettualizzati secondo due caratteristiche: una definizione e la distinzione di 10 possibili disturbi di
personalità basata sulla presenza di un numero specifico per singolo disturbo di criteri (quindi categoriale) a
cui si aggiungeva un’undicesima, relativa a quei pazienti che manifestavano tratti appartenenti alle diverse
personalità ma non sufficienti per poter emettere diagnosi di uno dei 10 precedenti. Il disturbo di personalità
era definito come un pattern pervasivo, stabile e male adattivo di percezione e comportamento che deviava
dalle norme culturali del paziente stesso.Le deviazioni possono consistere in modalità di pensare, sentire sul
piano emotivo e intrattenere relazioni interpersonali, nonché problemi di controllo degli impulsi. Tali
caratteristiche dovevano essere presenti già in adolescenza e non devono, nemmeno secondo il DSM V,
essere dovute ad abuso di sostanze, condizioni mediche o altri disturbi mentali. La seconda caratteristica
per poter fare diagnosi di disturbo di personalità secondo la precedente versione del DSM era distinguere tra
10 tipi di disturbo: paranoide, schizoide, schizotipica, narcisistico, borderline, istrionico, evitante, dipendente,
ossessivo-compulsivo, depressivo e il non altrimenti specificato sopracitato. Quel che accadeva nella pratica
clinica è che spesso i pazienti soddisfacevano contemporaneamente più criteri appartenenti ad uno stesso
disturbo ma anche ad altri. Dunque potremmo dire si sovrapponessero spesso. Oltre a problematiche
inerenti l’eterogeneità e la comorbilità delle diagnosi dei cosiddetti disturbi di asse II, nella classificazione del
DSM IV mancava un confine chiaro tra personalità normale e patologica, così come vi era scarsa validità
discriminante tra disturbi. Il team di esperti che hanno redatto il DSM V, ha cercato di sopperire a questi
problemi. Di fatto la classificazione categoriale è rimasta pressoché invariata, ma la sezione III della versione
recente del manuale affianca un modello alternativo di diagnosi, basato su un approccio ibrido dimensionale-
categoriale. Innanzitutto va premesso vi sia una nuova definizione di disturbi di personalità che intende per
essi non più un pattern pervasivo di pensiero, emozioni e comportamenti, bensì “un fallimento adattivo che
include un’alterazione del senso di identità ed il fallimento nello sviluppo di un efficace funzionamento
interpersonale” (Criterio A).Simile al DSM IV, in questo criterio vengono specificate meglio le caratteristiche
della disfunzionalità del paziente con disturbo di personalità. Nella nuova edizione del DSM, per fare una
diagnosi occorre sia presente non solo una compromissione del funzionamento della personalità, ma anche
tratti di personalità identificati come patologici. Per quanto concerne il primo elemento, per compromissione
del funzionamento devono essere presenti deficit nel dominio del Sé che includono: un’identità scarsamente
integrata e una scarsa integrazione del concetto di sé (es. cambiamenti negli stati del sé, mancanza di
un’autostima stabile, scarsi confini tra la propria identità e l’altrui)una bassa autodirezionalità (ad esempio
incapacità di perseguire obiettivi significativi sia a breve sia a lungo termine) E deficit nel dominio delle
relazioni interpersonali, a sua volta valutato sulla base di:

• empatia compromessa, a partire dalla difficoltà di comprendere le esperienze e le motivazioni altrui,


così come di accettare e/o tollerare punti di vista differenti dal proprio
• compromissione dell’intimità, ad esempio per incapacità di mantenere nel tempo relazioni
interpersonali solide e positive, così come di nutrire un desiderio di vicinanza con gli altri.
Oltre a queste componenti, il livello di gravità di compromissione del funzionamento personale sulla base
delle compromissione delle capacità interpersonali oltre che del sé. Per poter fare diagnosi di disturbo di
personalità si valutano ulteriori 4 componenti: l’identificazione in un formato narrativo di uno specifico
disturbo o tipo di personalità (ridotti a 6 anziché i 10 del DSM IV), che combina i deficit tipici del sé con il
funzionamento interpersonale ed i tratti specifici dell’individuo. Ciò avviene attraverso lo stabilire il dominio di
appartenenza (cinque di ordine più ampio) all’interno dei quali vi è una costellazione di 25 tratti di ordine
inferiore (per un totale di 25 tratti più specifici) descrittivi del disturbo. (Criterio B)
Come nel DSM IV le caratteristiche della personalità devono essere stabili nel tempo e nelle situazioni
(Criterio C), devono distinguersi da quelle culturalmente ed evolutivamente normative (Criterio D)
infine non deve trattarsi di una condizione dovuta a sostanze o ad altre condizioni mediche (Criterio E).
I cinque domini identificati nel DSM V, si caratterizzano ciascuno per una polarità opposta, all’interno di
questi è possibile descrivere ogni paziente attraverso 25 sfaccettature più specifiche, derivanti da tratti già
presenti in letteratura.
I 5 domini sono: affettività negativa versus stabilità emotiva, distacco versus estroversione, antagonismo
versus disponibilità, disinibizione versus coscienziosità, psicoticismo versus lucidità mentale (similmente al
Modello dei 5 Fattori).
Per quanto concerne gli specifici disturbi di personalità, nella nuova edizione del DSM troviamo il disturbo
evitante, borderline, antisociale, ossessivo compulsivo e schizotipico; ciascuno con un proprio set di criteri
ed una descrizione narrativa, in linea con il nuovo modello diagnostico proposto.
il tipo evitante descrive quelle persone che sono inibite nel conoscere e consolidare il rapporto con gli altri, a
causa della paura di essere umiliati e rifiutati.
Il disturbo narcisistico si caratterizza per un’autostima fragile ed instabile. Per compensare l’autostima le
strategie utilizzate sono quelle della ricerca di attenzione ed approvazione oppure un senso di grandiosità
la personalità borderline mostra un’intensa emozionalità, impulsività, sensazioni di vuoto e paura del rifiuto e
dell’abbandono
Il disturbo antisociale è caratterizzato da grandiosità e da una tendenza pervasiva ad avvantaggiarsi nel
rapporto con gli altri;
il tipo ossessivo-compulsivo è iperfocalizzato sui dettagli ed è estremamente testardo, rigido così come lo
sono le sue convinzioni morali
le personalità schizotipiche infine sono caratterizzate da un aspetto ed uno stile di pensiero bizzarri
La riduzione del numero di disturbi specifici riconosciuti nel DSM V e la loro specifica descrizione attraverso i
25 tratti specifici insieme con la gravità di compromissione nelle aree del sé e dei rapporti interpersonali,
sono state nell’insieme la proposta alternativa del DSM V per ovviare al problema della sovrapposizione
diagnostica che spesso si riscontrava nel fare diagnosi con il DSM IV.

EDUCABILITA’
Il concetto di educabilità rappresenta un principio basilare della Pedagogia che è stato oggetto nel corso
del tempo di numerosi dibattiti, alcuni dei quali ancora attuali.
Tra le principali querelle che animano tale dibattito si ritrova la questione natura-cultura, ovvero la
controversia tra posizioni innatiste – che sostengono la predominanza del ruolo dei fattori genetici ed
ereditari – e posizioni ambientaliste, che sostengono invece il primato dei fattori ambientali e culturali. In
merito a tale disputa alcuni teorici, primo tra tutti J.Piaget (1896 –1980) con le sue considerazioni in merito
all’epistemologia genetica, propongono una visione di sintesi. Rimane tuttavia importante, nell’affrontare il
concetto di educabilità, determinare il ruolo dell’interazione tra variabili genetiche e fattori ambientali
piuttosto che stabilire il peso specifico di ognuno di questi due elementi.
Ulteriore questione lungamente dibattuta è quella relativa alle aree di sviluppo rispetto alle quali il concetto
di educabilità possa declinarsi: nei modelli educativi attuali l’educabilità si estende ad aree quali la
dimensione emotiva e quella sociale, la dimensione comunicativa e relazionale, la dimensione della
personalità e non esclusivamente all’area cognitiva. Il presupposto di base è che alcuni aspetti dell’essere
e dell’agire umano, che si configurano come processi naturali e spontanei, possano essere sostenuti al fine
di agevolarne uno sviluppo adeguato.

EDUCAZIONE
L’educazione è il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via
di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo
più o meno ampio della società. L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono
l’individuo, ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (famiglia, clan, tribù, nazione
ecc.), e da istituti appositamente creati (scuole, collegi, centri educativi ecc.).
Sulla natura e le finalità proprie dell’educazione le opinioni divergono in ragione dei differenti orientamenti
filosofici e culturali sottesi alla riflessione pedagogica. L’accento cade, di volta in volta, sui valori etici dell’
educazione o sui contenuti del sapere da trasmettere e acquisire, sulla necessità di promuovere la
formazione del soggetto, la sua autonomia e libertà ovvero di assicurare l’integrazione dell’individuo nella
società tramite l’assimilazione di modelli e comportamenti che ne garantiscono la conservazione e lo
sviluppo. Nella pedagogia contemporanea, tuttavia, le concezioni dell’educazione sono venute
progressivamente allontanandosi da quelle tradizionali, risultando sempre più influenzate dalla sociologia e
dalla psicologia, per effetto delle quali è venuta assumendo una dimensione interdisciplinare. Da parte sua
l’educazione pratica intrattiene rapporti stretti con l’igiene, la medicina preventiva e correttiva, la
psicoterapia, lo sport, l’assistenza, l’orientamento scolastico e professionale ecc., tutti momenti e attività
che la progettazione educativa è sollecitata a considerare in un contesto coordinato.
Un altro aspetto dell’ampliamento di funzioni educative sta nell’attenzione nuova dedicata alle età
precedenti e seguenti a quelle tradizionalmente soggette a e. intenzionale e istituzionale, vale a dire all’età
infantile e a quella adulta, riconfermando su basi più aggiornate il principio che l’educazione dura tutta la
vita (educazione permanente). In questo quadro, l’ educazione infantile occupa un posto primario: di qui
l’opportunità di un’e. dei genitori e di una revisione delle strutture destinate alla prima infanzia (asili nido,
centri di maternità) e di una fase di socializzazione precoce prescolastica per la seconda infanzia. Al polo
opposto, l’educazione degli adulti si propone l’alfabetizzazione di quanti non hanno raggiunto un adeguato
livello di istruzione (analfabetismo), il completamento dell’educazione di base o di quella formazione
professionale necessaria a un inserimento funzionale nel lavoro, la libera fruizione delle opere d’arte e
della scienza e di quant’altro costituisce il patrimonio culturale di una comunità. Mentre il rapido
avanzamento in tutti i settori del sapere rende sempre più evidente e urgente l’esistenza di un
aggiornamento continuo, la convenienza di non protrarre troppo a lungo il periodo di scolarità giovanile
suggerisce di scaglionare la formazione in tempi diversi, alternando fasi di studio e di lavoro anche nell’età
adulta, secondo uno schema di e. ricorrente.

FLESSIBILITA’ DEL DOCENTE


Al successo formativo è funzionale l’organizzazione educativa e la didattica flessibile. La flessibilità vista come
un processo di continuo adeguamento dell’organizzazione educativa e della didattica alle
esigenze personali dei singoli alunni e del contesto socioculturale. La flessibilità intesa come responsabilità di
assicurare la migliore qualità del servizio scolastico. La flessibilità non costituisce una possibile opzione, ma il
doveroso impegno di ricercare le soluzioni che possano risultare più valide in termini di efficacia e di efficienza
dell’organizzazione educativa e didattica.
Come tale, la flessibilità si configura per tutti gli operatori scolastici come impegno rivolto a ricercare ed
a sperimentare le strategie educative e didattiche più adeguate a garantire il successo formativo di tutti gli
alunni (cfr. art. 6 del Regolamento dell’autonomia scolastica)
La doverosa realizzazione di un’organizzazione educativa e didattica flessibile si fonda su
specifiche competenze e soprattutto su specifici atteggiamenti degli operatori scolastici tutti
Perché la flessibilità venga realizzata necessitano negli operatori scolastici capacità progettuali, capacità
organizzative, competenze metodologico-didattiche, ma necessitano soprattutto atteggiamenti innovativi,
divergenti, creativi. La flessibilità, prima che una caratteristica dell’organizzazione educativa e didattica della
scuola, deve costituire un modo di essere degli operatori scolastici tutti, che debbono recuperare la loro
dimensione professionale, fondandola sull’impegno personale di ricerca e di sperimentazione disciplinare e
metodologico-didattico.

FLIPPED CLASSROOM
L’idea-base della «flipped classroom» (la classe capovolta) è che la lezione diventa compito a casa mentre il
tempo in classe è usato per attività collaborative, esperienze, dibattiti e laboratori. In questo contesto, il
docente non assume il ruolo di attore protagonista, diventa piuttosto una sorta di facilitatore, il regista
dell’azione didattica.
Nel tempo a casa viene fatto largo uso di video e altre risorse digitali come contenuti da studiare, mentre in
classe gli studenti sperimentano, collaborano, svolgono attività laboratoriali.
A tutti gli effetti il «flipping» è una metodologia didattica da usare in modo fluido e flessibile, a prescindere dalla
disciplina o dal tipo di classe.
È importante che il tempo ‘guadagnato’ in classe grazie al flipping venga usato in maniera ottimale e che le
risorse utilizzate dallo studente nel tempo a casa siano di qualità elevata, oltre ad essere calibrate sul livello
di conoscenza fino a quel momento raggiunto dal giovane. Una libreria di contenuti integrata con video online
vagliati in base a qualità e accessibilità è il miglior punto di partenza per ottenere un buon risultato finale.

FORMAZIONE
La formazione, intesa come contributo e stimolo alla crescita evolutiva di una persona o di un gruppo,
persegue lo sviluppo di capacità e atteggiamenti non solo cognitivi e lavorativi, ma anche di
natura spirituale, morale, civile, sociale, affettiva. Si distingue dall'istruzione perché non si limita alla mera
acquisizione di conoscenze, e in misura minore dall'educazione, a cui è accomunata dal
rilievo pratico e comportamentale, ma rispetto alla quale ha assunto recentemente delle connotazioni
tecniche, attinenti al conseguimento di abilità professionali, intellettive, culturali, artistiche, o comunque
specialistiche, sia individuali che riferite a organizzazioni collettive.
FUNZIONAMENTO ADATTIVO ED INTELLETTIVO:
Il funzionamento adattivo fa riferimento all'efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze comuni della
vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la loro fascia di età,
retroterra socioculturale e contesto ambientale. Nella valutazione si considera che il comportamento adattivo
è età-specifico, cioè si sviluppa durante l’età evolutiva e declina in età avanzata; è contesto-specifico, nel
senso che per ciascuna classe di età i livelli di comportamento adattivo adeguati non sono definibili in
assoluto poichè dipendono dalle aspettative dell’ambiente; è espressione di una performance TIPICA, ossia
riguarda le attività che l’individuo svolge abitualmente e non invece la performance MASSIMA, cioè quello
che potrebbe svolgere se, ad esempio, ne avesse le opportunità o fosse sufficientemente motivato.
Il funzionamento intellettivo si riferisce alle capacità mentali generali, come il ragionamento, il problem
solving, la pianificazione, il pensiero astratto, la capacità di giudizio, l'apprendimento scolastico e
l'apprendimento dall'esperienza.

GRATIFICAZIONE
Senso di viva soddisfazione che deriva dall’appagamento di desideri, fisici o spirituali. Ognuno di noi deve
svolgere molti compiti diversi ogni giorno. C’è chi deve lavorare, chi studiare, chi deve prendersi cura dei figli
e via dicendo. Tutti abbiamo obblighi e doveri. Spesso a causa di essi la nostra vita si fa pesante e ci
sembra di perdere di vista l’obiettivo. In qualche modo possiamo però alleggerire la situazione. Possiamo
darci una mano ed anche gli altri possono farlo. Essere gratificati, ricevere ricompense, è fondamentale per
dare una nuova spinta alla nostra vita, per aiutarci a capire che ciò che facciamo è importante e
indispensabile, che non possiamo smettere perchè siamo i migliori nei nostri campi. Queste sensazioni
provengono dai cosiddetti rinforzi, che non sono altro che metodi indispensabili per donarci gratificazione
rispetto a ciò che facciamo.
Appare chiaro che quindi atteggiamenti positivi nei nostri confronti a seguito di un comportamento o dello
svolgimento di un compito ci gratifica e fa sì che siamo portati alla ripetizione dello stesso. Le semplici parole
danno soddisfazione, i piccoli regali, le sorprese che non ci aspettiamo. Tutti questi gesti ci danno forza
perchè, si sa, nulla è più bello del sentirsi apprezzati da chi amiamo per ciò che siamo e per quello che
facciamo. Non sono solo gli altri a poterci donare gratificazioni. Noi stessi possiamo donarci qualcosa: regali,
vacanze, piccole pause.
È importante sentirsi apprezzati dagli altri, ma soprattutto da se stessi. Accettarsi e darsi il giusto valore è
fondamentale nella vita per rafforzare la propria sicurezza e quindi le proprie capacità.

GROUP INVESTIGATION
La ricerca di gruppo è un metodo di strutturazione della classe in base al quale gli studenti lavorano in
collaborazione a piccoli gruppi per esaminare, sperimentare e comprendere i propri argomenti di studio.
Questo metodo mira a sollecitare qualsiasi aspetto connesso a quelle abilità ed esperienze che per lo
studente si rivelano importanti ai fini del processo di apprendimento, non solamente a scopo sociale o
cognitivo. Utilizzare il Group Investigation in classe vuol dire tenere in considerazione e da un lato
sottolineare la rilevanza di quattro componenti che si intrecciano e si realizzano contemporaneamente .
Questi 4 componenti sono la ricerca, l’interazione, l’interpretazione e la motivazione.

HANDICAP
L’handicap è conseguente alla disabilità: valuta la difficoltà del cittadino disabile a inserirsi nella società, quindi
il suo svantaggio sociale.Il riconoscimento di invalidità civile e dello stato di handicap sono due riconoscimenti
diversi e indipendenti, che danno luogo a benefici diversi. Il primo ha un carattere esclusivamente sanitario,
cioè indica quanto la menomazione incide sulla possibilità di svolgere le funzioni e attività della vita quotidiana
in rapporto all’età; il secondo segue un criterio sociale oltre che sanitario; valuta cioè quanto la patologia o la
menomazione riscontrata incide sulla vita di relazione e sulla possibilità personale di integrazione. Nella
valutazione per il riconoscimento dello stato di handicap inoltre, al contrario di quanto accade per il
riconoscimento di invalidità civile, non interessa la causa dell’invalidità o della patologia: lo stato di handicap
è compatibile con tutti i riconoscimenti di invalidità, a prescindere dalla loro origine (invalidi civili, di guerra, del
lavoro.

ICF
(Classificazione Internazionale del Funzionamento, Disabilità e Salute,) L’ICF si delinea come una
classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti
esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-
culturale di riferimento possono causare disabilità.
Attraverso l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in
relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente
malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità. Il linguaggio utilizzato è un
linguaggio standard ed unificato, al fine di evitare fraintendimenti semantici e di facilitare la
comunicazione fra i vari utilizzatori in tutto il mondo.
Nella prospettiva dell’ICF, lo svolgimento di attività e la partecipazione sociale di una persona con
disabilità è determinata dall’interazione della sua condizione di salute (a livello di strutture e di
funzioni corporee) con le condizioni ambientali, culturali, sociali e personali (definite fattori
contestuali) in cui essa vive.
Nel paradigma antropologico dell’ICF il bisogno educativo speciale viene descritto in termini di
discrepanza tra ambiente e le prestazioni del soggetto. Si è orientati ad una visione olistica della
persona collocata nella quotidianità.
L’ICF si pone i seguenti obiettivi:
• Fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute;
• stabilire un linguaggio comune fra diversi utilizzatori e tra varie discipline;
• Rendere possibile il confronto dei dati raccolti;
• Fornire uno schema di codifica sistematico peri sistemi formativi sanitari.
L’ICF considera i seguenti aspetti:
• condizioni fisiche: malattie acute, croniche,alterazioni cromosomiche;
• strutture corporee: mancanza di un arto, lesioni negliorgani;
• funzioni corporee: deficit visivi, uditivi, motori, dimemoria;
• attività personali: scarse capacità di apprendimento,di applicazioni delle conoscenze, di
pianificazione delle azioni, di comunicazione, di autoregolazione metacognitiva;
• partecipazione sociale: difficoltà a rivestire i ruoli sociali, a partecipare a tipiche situazioni
sociali;
• fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, provenienza da culture diverse, scarsità
di servizi e di risorse;
• fattori contestuali personali scarsa autostima,
• risposte emotive disturbate, scarsa motivazione.
Il peso dei singoli ambiti varia da alunno ad alunno anche all’interno di una stessa condizione
biologica o contestuale. L’ICF è un modello descrittivo del funzionamento umano, non della sola
disabilità; è un modello universale, non si rivolge a delle minoranze, correla in un quadro
sistematico approcci diversi (bio-psico-sociali) in base a una logica interattiva, interpreta i fattori
che concorrono a formare il quadro del funzionamento umano secondo un’ottica di equivalenza,
guarda alla persona in relazione al contesto valorizzando le dimensioni culturali.
Ad oggi risulta lo strumento di diagnosi maggiormente rispondente alla complessità del
compito di conoscere e capire un alunno disabile.

ICDH E ICIDH
ICIDH sta per International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (la Classificazione
Internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap);
Si tratta di un documento redatto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Salute) nel 1980 e rappresenta il
primo grande standard internazionale di riferimento rispetto alla necessità di adottare un linguaggio comune
per classificare le malattie non soltanto in base ai requisiti fiso-patologici ma finalmente rispetto agli effetti
che hanno sulla vita; questo nell’ottica di un moderna definizione di Salute che inizia a considerare l’impatto
che la patologia ha sullo stato di Salute dell’individuo.
Il grande tema dell’ICIDH è quello della disabilità, intesa come la perdita o la riduzione delle capacità
funzionali che incidono negativamente nella realizzazione di compiti e/o comportamenti rispetto a ciò che è
normalmente atteso. Ma la domanda è: qual è la normalità? E soprattutto, è possibile adottare un valore
unico di normalità se i sistemi di riferimento sono pressochè infiniti e dunque variabili?
Il “valore unico di normalità” ha rappresentato il primo grande limite della classificazione ICIDH.
Alla base della disabilità, secondo l’ICIDH vi è una menomazione, cioè una qualsiasi perdita o anomalia a
carico di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche, anatomiche. Definire la menomazione significa quindi
accettare che l’individuo abbia delle limitazioni (non sa fare questo, ha perduto quella abilità…); ma è ancora
possibile oggi definire le caratteristiche di un individuo in base a quello che non sa fare?
Identificare “ciò che l’individuo non sa fare” è il secondo elemento di criticità della classificazione ICIDH.
Nonostante ciò per l’ICIDH il concetto di salute ruota attorno agli elementi di menomazione e disabilità,
riconoscendo che l’individuo è in salute se si riescono a controllare queste due variabili. Quindi in base a
questa classificazione un sistema di cura è virtuoso se punta al miglioramento della condizione di disabilità.
Il terzo limite è rappresentato dalla scarsa considerazione verso l’Handicap, inteso come la condizione di
svantaggio vissuta da un soggetto come conseguenza della menomazione e della disabilità, che limita o
impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona (in base a età, sesso, fattori
culturali e sociali…). L’handicap è caratterizzato dalla discrepanza fra l’efficienza (stato del soggetto) e le
aspettative di efficienza e di stato sia del soggetto stesso, che dal particolare gruppo di cui fa parte.

INDIVIDUALIZZAZIONE E PERSONALIZZAZIONE
L’individualizzazione, in senso stretto, si riferisce alle strategie didattiche che mirano ad assicurare a tutti gli
studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, attraverso una diversificazione dei
percorsi di insegnamento. La “personalizzazione” indica invece le strategie didattiche finalizzate a garantire
ad ogni studente una propria forma di eccellenza cognitiva, attraverso possibilità elettive di coltivare le
proprie potenzialità intellettive.
In altre parole, l’individualizzazione ha lo scopo di far sì che certi traguardi siano raggiunti da tutti, la
personalizzazione è finalizzata a far sì che ognuno sviluppi propri personali talenti; nella prima gli obiettivi
sono comuni per tutti, nella seconda l’obiettivo è diverso per ciascuno.
La didattica individualizzata mira a progettare strategie didattiche differenti in base agli studenti e alle loro
esigenze, prevedendo comunque il raggiungimento di obiettivi comuni. Il traguardo relativo a certe
competenze resta comune a più alunni, ma il percorso per arrivarci dipende da ognuno. La progettazione
individualizzata si basa su percorsi diversi per obiettivi comuni.
La didattica personalizzata lavora sia sul fronte delle strategie che sul fronte degli obiettivi in modo
strettamente calibrato all’alunno. Gli obiettivi non sono comuni. Il docente progetta l’intero percorso di
apprendimento in funzione dell’alunno, prevedendo per lui o per lei obiettivi, traguardi di competenze,
risorse, strategie solo sue. La progettazione personalizzata si basa su percorsi diversi per obiettivi diversi.

INTELLIGENZA EMOTIVA
Per Intelligenza Emotiva si intende la capacità di creare un'armonia fra "mente e cuore", di fare cioè un
uso intelligente dell’emozione. Ciò che proviamo è alla base di quasi tutte le decisioni più importanti che
prendiamo nella nostra vita. Saper riconoscere e dare un nome alle nostre emozioni è quindi
fondamentale per dare significato a quello che ci accade. L’intelligenza emotiva è la capacità
di comprendere, utilizzare e gestire le proprie emozioni in modi positivi per alleviare lo stress, comunicare
in modo efficace, entrare in empatia con gli altri, superare le sfide e disinnescare i conflitti.
In termini pratici, questo significa essere consapevoli che le emozioni possono guidare il nostro
comportamento e avere un impatto sulle persone e imparare a gestire quelle emozioni, sia le nostre che
quelle degli altri.
L'intelligenza emotiva serve a costruire relazioni più forti, avere successo a scuola e al lavoro e perseguire
efficacemente i propri obiettivi di carriera e personali. Può anche aiutare a connettersi con i propri
sentimenti, trasformare l'intenzione in azione e prendere decisioni su ciò che conta davvero per se stesso.
Alcuni studi sull’intelligenza emotiva suggeriscono che possa essere appresa e rafforzata, mentre altri
sostengono che sia una caratteristica innata.
INTENZIONALITA’
L'intenzionalità, nella specifica corrente filosofica della fenomenologia, è l'attitudine costitutiva
del pensiero ad avere sempre un contenuto, ad essere essenzialmente rivolto ad un oggetto, senza il quale
il pensiero stesso non sussisterebbe. Il concetto di intenzionalità era stato elaborato originariamente
dalla filosofia scolastica, e fu reintrodotto nella filosofia contemporanea dal filosofo e psicologo Franz
Brentano nella sua opera del 1874 Psychologie vom Empirischen Standpunkte (Psicologia dal punto di vista
empirico). Con l'intenzionalità della coscienza o della mente egli intendeva appunto l'idea che la coscienza
sia sempre diretta ad un oggetto, che abbia sempre un contenuto, andando oltre sé stessa. Brentano definì
l'intenzionalità come la caratteristica principale dei fenomeni psichici (o mentali), tramite cui essi possono
essere distinti dai fenomeni fisici. Ogni fenomeno mentale, ogni atto psicologico infatti ha un contenuto, è
diretto a qualcosa (l'«oggetto intenzionale»). Ogni credere, desiderare, ecc. ha un oggetto: il creduto, il
desiderato.

Nell'intelligenza artificiale e nelle scienze cognitive è un tema controverso e si considera l'intenzionalità come
qualcosa che una macchina non potrebbe mai davvero possedere da un punto di vista strutturale. Tra i
sostenitori di questa tesi vi è John Searle, che col suo famoso esperimento mentale della stanza cinese ha
provato a dimostrare l'impossibilità logica che una macchina possa mai avvicinarsi al funzionamento della
mente umana.

IPER E IPOSENSORIALITA’

I sistemi sensoriali di cui siamo forniti ci permettono di acquisire le informazioni necessarie per agire,
interagire e comprendere il mondo esterno e sono alla base dell'apprendimento. Le difficoltà delle persone
autistiche ad inserirsi nel nostro mondo potrebbero pertanto essere ascritte a sovra e sottostimolazioni dei
vari sistemi sensoriali (per es. un suono debole avvertito con particolare intensità o un tocco, una carezza
sperimentati come la pressione esercitata da carta vetrata Dagli studi in questo ambito si evince che sono
implicati tutti i cinque sensi: vista, udito, tatto, olfatto, gusto e la sensibilità cinestesica e propriocettiva.
Esistono delle differenze individuali nella gamma e nella severità di questi problemi, tuttavia le principali
anormalità possono essere sintetizzate nel seguente modo:

• ipo e ipersensibilità agli stimoli ambientali che spesso fluttua tra i due poli; tali stimoli possono
essere di natura uditiva, olfattiva e tattile. Conseguentemente una persona autistica può annusare,
ricercare il contatto in maniera eccessiva, fino all'autolesione, oppure può rifiutare le fonti di rumori,
di odori e di contatti.In alcuni casi può essere utile lasciare che sia la persona autistica ad iniziare il
contatto, poiché in tal modo ha il tempo di percepire ed elaborare le sensazioni da esso derivanti.
• Ricerca di autostimolazione sensoriale specifica. Molti genitori raccontano che i propri figli hanno
bisogno di infilarsi sotto i materassi, di arrotolarsi nelle coperte o di infilarsi in posti molto stretti.
• Distorsioni percettive: ad esempio la profondità può essere percepita erroneamente oppure oggetti
immobili possono essere percepiti in movimento.
• Sovraccarico percettivo generalmente le situazioni caratterizzate da un eccesso di stimoli visivi, ad
es. luoghi affollati o con immagini e luci molto stimolanti, o di stimoli uditivi, ad es. luoghi rumorosi o
con suoni inconsueti o sgradevoli, possono suscitare disagio e insofferenza che possono dare luogo
a reazioni di rabbia e di aggressività. Per questo motivo, tale aspetto viene tenuto molto in
considerazione quando si strutturano gli ambienti di vita delle persone autistiche.
• Difficoltà nell'elaborare informazioni provenienti da più canali contemporaneamente.
• Iperselettività degli stimoli: le persone autistiche hanno la tendenza a focalizzare l'attenzione su una
fonte stimolante o su dettagli o aspetti insoliti e irrilevanti di uno stimolo, trascurando l'insieme e il
contesto.
• Forte abilità discriminativa visuo-spaziale: la tendenza a concentrarsi sui dettagli consente alla
persona autistica di mostrare abilità percettive nello spazio, come la memoria di posizioni e forme, la
discriminazione di immagini e forme, la capacità di costruire puzzles, incastri, ecc. Alcune persone
autistiche utilizzano questa loro abilità anche in contesti lavorativi.

ISTRUZIONE
Termine sotto il quale si è soliti comprendere tre significati distinti: una serie di attività volte a far apprendere
un insieme coordinato di conoscenze; il risultato riscontrabile nel soggetto dell'insegnamento a lui impartito;
l'insegnamento istituzionalizzato entro strutture scolastiche ed extrascolastiche. Attraverso l'istruzione l'uomo
si rende libero perché è capace di comprendere, di prendere decisioni in autonomia sulle basi delle proprie
conoscenze. Conoscenza e competenza sono tra l'altro fondamentali per inserirsi nel mondo lavorativo e
decidere quindi del proprio futuro.

JIGSAW
Il jigsaw è una specifica tecnica di cooperative learning che ha raggiunto ormai trent'anni di successi in
campo educativo e didattico. Proprio come in un puzzle, ogni pezzo – ogni parte attribuita ad uno studente –
è essenziale per la piena comprensione e il completamento del prodotto finale L'insegnante divide gli
studenti in gruppi, sceglie un leader, divide la lezione in un numero di segmenti pari al numero dei
membri del gruppo, assegna a ogni studente di ogni gruppo l'apprendimento di un solo segmento e alla fine
della sessione, verifica l'apprendimento.

LEARNING BY DOING
Il learning by doing, la metodologia didattica dell’imparare le cose facendole, è applicabile con ottimi risultati
in tutti i campi della conoscenza umana.
Imparare attraverso il fare, acquisendo esperienza, è tra le modalità di apprendimento più importanti nel
contesto della formazione, e non solo a livello scolastico. John Dewey, fra i primi teorici del learning by
doing, disse che “l’ideale di adoperare il presente unicamente come preparazione al futuro in sé è
contraddittorio. Noi viviamo sempre nel nostro tempo e non in un altro: solo estraendo in ogni momento il
pieno significato da ogni esperienza presente ci prepariamo a fare altrettanto nel futuro”. Questo significa
che l’azione educativa deve essere innanzitutto significativa e soddisfacente per lo studente, e non fine a se
stessa. Il principio dell’apprendimento per esperienza soddisfa questi requisiti: per lo studente conoscere
interagendo con il mondo esterno significa elaborare attivamente delle idee, sfruttando il tempo presente e
non limitarsi a ricevere passivamente delle nozioni.

MENOMAZIONE
Menomazione: qualsiasi perdita o anormalità di una struttura o di una funzione fisiologica, anatomica oppure
psicologica. Nel caso della perdita di una capacità psicologica si tende, invece di usarle il termine
menomazione, a parlare di “disturbo”. È una menomazione la mancanza di una gamba sin dalla nascita, o la
perdita di un arto a causa di un incidente, ma è una menomazione, per esempio, anche la perdita di capacità
linguistica derivante da un’ischemia. Però è una menomazione anche, in senso più ampio, un disturbo dello
spettro autistico o un disturbo schizofrenico.

MENTORING
Il mentoring trova possibile applicazione in una pluralità di ambiti: in ambito formativo e lavorativo, oppure in
ambito sociale, a livello educativo-scolastico, per un reinserimento sociale, o ancora nell'ambito dello sport.
Il mentoring utilizzato in ambito scolastico ha l'obiettivo di intervenire sul disagio dei giovani, che può
manifestarsi in diversi modi: dal basso rendimento fino all'abbandono scolastico precoce. L'abbandono
scolastico può contribuire all'instaurarsi di forti problematiche sociali e relazionali future, per cui il mentoring
può assolvere anche una funzione preventiva in quanto supporto nella fase di maturazione del ragazzo.

METACOGNIZIONE
Con il termine “metacognizione” ci si riferisce a un orientamento teorico abbondantemente utilizzato in
ambito psicologico ed educativo.
Il termine metacognizione viene usato per designare la consapevolezza ed il controllo che l’individuo ha dei
propri processi cognitivi. Il termine, che ha un significato generale, viene talvolta sostituito da termini più
specifici in relazione ai diversi tipi di processi in cui si esercitano tale consapevolezza e controllo: meta-
memoria, meta-comprensione, meta-attenzione, e così via.
La metacognizione, dunque, permette di approfondire i nostri pensieri e, quindi, anche di conoscere e
dirigere i nostri processi di apprendimento. È un processo di autoriflessione sul fenomeno conoscitivo, su
cosa e come stiamo imparando e su quali sono le motivazioni che ci spingono a imparare quella determinata
nozione.

MODELLO ADULTOCENTRICO E PUEROCENTRICO


L'adultocentrismo si esercita sottovalutando il comportamento, i pensieri e le idee di bambini e
adolescenti. Si dà per scontato che, semplicemente perché sono giovani, il loro contributo è inutile.
L’ADultocentrismo fa riferimento a un paradigma di pensiero che a volte ci porta a percepire bambini e
adolescenti in modo distorto.
Un esempio è vederli come soggetti passivi, non qualificati e privi di autonomia. In seguito a ciò, non
esitiamo a fare di tutto per loro, proteggendoli fino a limiti malsani.
È pur vero che i bambini tra i 4 e i 18 anni affrontano una fase di crescita, maturazione e scoperta di
sé. Tuttavia, non sono incompleti, incapaci o privi di qualità. È chiaro che i bambini hanno bisogno di
protezione e guida. Tuttavia, è comune cadere nel pregiudizio. A volte trattiamo figli o studenti
ignorando i loro bisogni o addirittura sottovalutando le loro capacità. Lo facciamo quando riduciamo al
minimo il loro ragionamento o pronunciamo affermazioni come “capirai quando sarai grande”. Bisogna
avere misura, comprensione e concentrazione. Il puerocentrismo è la teoria pedagogica che pone il
bambino al centro dell'azione educativa e didattica, rivendicandone il valore come persona e quindi il diritto a
uno sviluppo armonico e integrale, fondato sul rispetto della sua autonomia, libertà e attività creatrice.
Nei testi normativi e non, si fa un gran parlare di centralità della persona ed in particolare di quella del
bambino. Per centralità del bambino si dovrebbe intendere il tenere conto nell’azione educativa e in ogni tipo
di intervento (amministrativo, politico, sociale) della singolarità e complessità di ogni bambino, della sua
articolata identità in tutti i suoi aspetti (cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, etici, spirituali, religiosi), delle
sue aspirazioni, capacità e fragilità (su cui bisogna maggiormente puntare l’attenzione), nelle varie fasi di
sviluppo e di formazione aiutandolo (e non sostituendolo né assecondandolo) nel sollevare domande
esistenziali e nell’andare alla ricerca di orizzonti di significato.

MODELLO SOCIOCOSTRUTTIVISTICO
l Sociocostruttivismo è una nuova strategia di apprendimento. E’ una teoria epistemologica che afferma che
la costruzione della conoscenza avviene all’interno del contesto socioculturale in cui agisce l’individuo. Un
metodo alternativo che fornisce il giusto imprinting per un funzionale metodo di insegnamento.
Questo approccio si sviluppa a partire dalla fine degli anni ‘70 come critica del modello cognitivista
dominante, della sua epistemologia individualista, si sostanzia nella coniugazione dei due fondamentali punti
di vista elaborati dal pensiero psicologico contemporaneo: costruttivismo ed interazionismo. Una sintesi che
ha portato a concepire la mente (dunque il soggetto) come un sistema capace di costruire (piuttosto che
solamente elaborare) significati e di costruirsi entro e per mezzo del rapporto sociale. In alternativa ad un
approccio d’istruzione tradizionale, dove il fulcro dell’attività didattica è rappresentato dall’insegnante, il
soggetto, spinto dai propri interessi e situato in uno specifico contesto educativo, apprende attraverso un
processo di elaborazione ed integrazione di molteplici prospettive, informazioni ed esperienze, offerte dal
confronto e dalla collaborazione con i pari o con un gruppo di esperti.
MOTIVAZIONE ESTRINSECA E INTRINSECA
Esistono due tipi di motivazione: la motivazione estrinseca è quella spinta che arriva da motivi esterni e
quindi il comportamento è generato dall’attesa di una ricompensa o riconoscimento. In questo caso l’attività
viene svolta perché raggiungendo lo scopo prefissato si ottiene un premio o una ricompensa che in qualche
modo ripaga e motiva lo sforzo e le energie messe in campo.
La motivazione intrinseca invece è quella spinta che parte da sé e da un proprio vissuto o volere. In tal
senso quindi il comportamento ha valore di per sé e per il semplice piacere che esso genera nell’eseguirlo.
E’ chiaro, nessuno può motivare nessuno, un insegnante non può motivare i suoi alunni e un manager non
può motivare il suo team; solo noi stessi possiamo motivarci e i motivi che ci spingono a essere motivati,
coinvolti e produttivi potrebbero essere diversi da quelli che spronano qualcun altro. Per questo è
fondamentale capire se gli elementi che influiscono sulla nostra motivazione siano presenti o meno nel
nostro ambiente di lavoro.
NEURODIDATTICA
La neurodidattica è una branca delle neuroscienze cognitive nata per colmare questo divario e può essere
definita come una disciplina ponte che fonde la neuroscienza e la pedagogia combinando le conoscenze su
come funziona il cervello con tutto ciò che è noto sui processi educativi. L' obiettivo della neurodidattica è
quello di ottimizzare il processo di insegnamento-apprendimento per fornire agli insegnanti strumenti e
strategie didattiche compatibili con i meccanismi che consentono al cervello di imparare. Gli insegnanti
hanno una responsabilità professionale unica: quella di aiutare gli studenti ad apprendere cose nuove.
Dato che l'apprendimento è fondamentalmente un fenomeno neurobiologico
questo significa letteralmente che l'insegnante, attraverso la sua pratica, può cambiare la struttura, il
funzionamento e la connettività dei giovani cervelli.
Ecco uno dei motivi per cui gli insegnanti devono conoscere e comprendere la neurodidattica e perchè
devono utilizzarla come strumento per migliorare il rendimento scolastico degli studenti.
Attraverso questo approccio infatti è possibile collegare i risultati della ricerca alla realtà dell'aula in modo da
attivare al meglio i meccanismi che influenzano le prestazioni scolastiche, come la motivazione, la
ricompensa, l’attenzione, il movimento, le emozioni e altri potenti circuiti che vanno oltre i classici stili
cognitivi.

NEURODIVERSITÀ
La neurodiversità definisce la naturale variazione tra un cervello e l’altro nella specie umana.
Secondo questa idea siamo quindi tutte e tutti neurodiversi proprio perché, nonostante apparteniamo alla
stessa specie, anche la scienza afferma che non esiste un cervello uguale all’altro.
Nella infinita varietà della neurodiversità umana possiamo però notare che alcune persone condividono un
certo numero di caratteristiche rispetto ad altre. La maggioranza degli individui infatti percorre uno sviluppo
neurologico che, al netto delle differenze individuali, può essere considerato tipico. Queste persone sono
quindi denominate neurotipiche.
Una parte minore della popolazione (che alcuni situano tra il 15 e il 20%) invece condivide uno sviluppo
neurologico sotto alcuni aspetti differente dalla maggioranza, descritto da un punto di vista statistico come
atipico. Queste persone sono definite neuroatipiche o neurodivergenti, e tra loro possiamo trovare individui
autistici, dislessici, ADHD, tourettici, discalculici, disgrafici ecc.
Dal 2013, con l’uscita della quinta edizione del DSM (il manuale diagnostico-statistico dell’Associazione
Psichiatrica Americana, APA) l’autismo e la sindrome di Asperger sono stati uniti sotto una definizione unica
di “spettro autistico”. L’idea alla base di questo cambiamento è che l’autismo non sia una condizione
delimitata da contorni definiti, ma che le sue caratteristiche (definite “sintomi” in linguaggio medico) siano
presenti in misura variabile in tutta la popolazione, anche tra le persone neurotipiche. Quando in una
persona si concentra un certo numero di queste caratteristiche, e con un’intensità tale da influire
negativamente sulla sua vita, allora si può giungere a una diagnosi.
In questi termini vediamo come l’attuale definizione clinica dell’autismo si stia avvicinando al paradigma della
neurodiversità, ossia all’idea che le differenze nell’organizzazione del sistema nervoso siano un aspetto
comune all’intera popolazione.
Il concetto di neurodiversità ci permette di guardare alle varie caratteristiche neurologiche, sensoriali,
comunicative e sociali come naturali differenze dello sviluppo umano. In questo modo – quando siamo al di
fuori dell’ambito clinico – ci allontaniamo da una visione prettamente medico-riparatrice, stimolando
un’interazione tra persone in cui queste differenze non siano percepite necessariamente come deficit.
Tale visione ha il pregio di farci osservare le qualità e le caratteristiche delle altre persone senza giudicarle
come giuste o sbagliate. In questo modo persone neurodivergenti e neurotipiche possono cercare modalità
di interazione che non vengano imposte dall’alto, ma siano frutto di uno scambio e di una comprensione
reciproci.

NEUROFEEDBACK
Il neurofeedback è uno strumento per mezzo del quale si può imparare a modificare l’ampiezza, la frequenza
e la coerenza degli aspetti elettrofisiologici del cervello. Con il neurofeedback si visualizza in tempo reale, sul
monitor di un computer, la propria attività elettroencefalografica. Lo strumento consente di educare il cervello
a produrre onde cerebrali in specifiche ampiezze e posizioni, tanto da divenire capace di rieducare se
stesso, fino a raggiungere il pattern di attività desiderato.

OSSERVAZIONE PEDAGOGICA
L'osservazione pedagogica è un metodo di indagine, che dopo avere selezionato l'oggetto da ricercare,
raccoglie informazioni su di esso in modo rigoroso e completo. Osservare non significa registrare fedelmente
ciò che la realtà mostra o guardare, ma si fonda sempre su un'ipotesi di lavoro. Un'osservazione pedagogica
è, dunque, autentica, in quanto coinvolge attivamente e dinamicamente i suoi protagonisti (educatore ed
educando), attraverso i quali è possibile una conoscenza reale dei fatti considerati, integrandoli in forma
autentica con altre fonti di conoscenza.

PAIDEIA
Termine greco, il cui significato originario equivaleva a ‘educazione’ e che assunse poi il valore di ‘formazione
umana’ per arrivare infine a indicare il contenuto di detta formazione, la cultura nel senso più elevato e
personale. La Paideia è perciò non tanto la pedagogia come mezzo per un traguardo formativo, quanto
piuttosto il fine stesso dell’educazione, l’ideale di perfezione morale, culturale e di civiltà cui l’uomo deve
tendere. Secondo il modello ispiratore greco, che da Platone e Isocrate al tardo ellenismo ha assunto varie
sfumature, il raggiungimento della paideia è frutto di un processo continuo, mai compiuto, che impegna tutto
l’uomo, ma attraverso cui questi realizza pienamente sé stesso come soggetto autonomo, consapevole di sé
e in armonia col mondo.

PEDAGOGIA SPECIALE
La pedagogia speciale è una branca della pedagogia che interviene, con modalità ben definite, in tutte le
aree riguardanti la disabilità, (soprattutto quella cognitiva, ma anche motoria e socio-affettiva).
Essa opera insieme ad altri trattamenti educativi, riabilitativi, rieducativi, e in situazioni di disagio psichiatrico.
Scopo della pedagogia speciale è quello di accompagnare la persona nel recupero e nell’attivazione delle
sue potenzialità spesso messe in crisi durante il suo sviluppo.
In questa disciplina l’educazione si presenta così in una doppia funzione: di sostegno al Soggetto nella
ricerca delle proprie capacità, e nella ricostruzione e ridefinizione della sua personalità.
In generale, la pedagogia speciale ha lo scopo di ricostruire un senso, per coloro che sono circondati da una
situazione di disagio, di devianza e persino di marginalità o di handicap.
Affronta così quelli che si chiamano i bisogni educativi speciali.

PENSIERO CRITICO
Il pensiero critico è un tipo di pensiero che consiste nell'analisi dei fatti, delle prove, delle osservazioni e
degli argomenti disponibili per formare un giudizio attraverso processi mentali[1]. Comprende processi di
riflessione su aree tangibili e intangibili con l'intento di formarsi un giudizio solido che riconcili l'evidenza
empirica con il senso comune. Il pensiero critico trae informazioni dall'osservazione, l'esperienza,
il ragionamento o la comunicazione. Esso si fonda sul tentativo di andare al di là della parzialità del singolo
soggetto: i suoi valori fondamentali sono la chiarezza, l'accuratezza, la precisione e l'evidenza.

PROJECT BASED LEARN


E’ un modello di insegnamento e apprendimento intorno ai progetti, centrato sullo studente.I progetti sono
compiti complessi, basati su domande stimolanti o problemi, che coinvolgono collaborativamente, per periodi
piuttosto lunghi di tempo, gli studenti nella progettazione, nella risoluzione di problemi, nel processo
decisionale o in attività di ricerca. Mediante i progetti gli allievi acquisiscono autonomia e responsabilità,
sviluppano competenze e applicano conoscenze, apprendendo in modo significativo, I progetti culminano
con la realizzazione di prodotti autentici.

PROVE DI REALTA’ E COMPITO AUTENTICO


All'interno dei compiti significativi possiamo distinguere tra compiti autentici e compiti di realtà. Spesso i
termini sono usati come sinonimi ma non è così. Possiamo dire che i primi sono una simulazione della realtà
mentre i secondi operano nella realtà.
Per prova di realtà si intende la richiesta rivolta allo studente di risolvere una situazione problematica,
complessa e nuova, quanto più possibile vicina al mondo reale, utilizzando conoscenze e abilità già
acquisite e trasferendo procedure e condotte cognitive in contesti e ambiti di riferimento.
Il compito autentico produce una maggiore motivazione allo studio, incoraggia ad apprendere nuovi
concetti e competenze in un ambiente non astratto e equipaggia gli studenti con abilità pratiche ad affrontare
argomenti rilevanti e applicabili alla loro vita, anche fuori dalla scuola.

RELAZIONE DIDATTICA
La relazione didattica è un particolare tipo di legame tra educatore ed educando che si instaura
spontaneamente o che viene costruito intenzionalmente dall'educatore, tramite il quale avviene il processo di
socializzazione, di trasferimento delle conoscenze e di trasformazione del sapere.
La base di una relazione didattica è dunque costituita dalla disponibilità ad uscire dalla propria singolarità per
incontrare l'altro in nome della comune umanità; accettazione della diversità riconoscendola come valore
inestimabile.
RIFLESSIVITA’
La riflessività in sociologia è un fenomeno che ha luogo in un sistema sociale quando l'auto-analisi di un
attore o l'analisi da parte di un teorico ed i relativi sviluppi o modifiche della teoria e delle credenze
influiscono sul sistema in esame trasformandolo.
La riflessione consiste nel tentativo di esaminare come avviene usualmente il nostro modo di percepire,
pensare, sentire o agire, su cui noi fondiamo la nostra valutazione in merito alla congruenza od efficacia
delle nostre azioni.

SCAFFOLDING
Il termine scaffolding viene utilizzato in psicologia e pedagogia per indicare l'aiuto dato da una persona ad
un'altra per svolgere un compito.
Si tratta di una parola inglese scaffold, che, tradotta letteralmente, significa "ponteggio" o "impalcatura". Dal
momento in cui viene utilizzato per la prima volta, il termine si diffonde enormemente e inizia a indicare una
strategia di apprendimento che parte da una persona più esperta verso una meno esperta.
Il termine scaffolding si riferisce a un processo di insegnamento. Negli scaffolding, gli insegnanti modellano
e/o dimostrano come risolvere un problema per i loro studenti. Quindi lasciano che gli studenti cerchino di
risolvere il problema da soli facendo un passo indietro e dando supporto solo quando necessario.

SPACED LEARNING
Nella tecnologia dell'informazione, complesso di mezzi tecnologici messo a disposizione degli utenti per la
distribuzione di contenuti didattici multimediali. L'e-learning si distingue da altri processi di formazione a
distanza perché basato su una piattaforma tecnologica, cioè su un sistema informatico che gestisce la
distribuzione e la fruizione dei contenuti formativi.

STRATEGIE MOTIVANTI
Nell’ambito dei contesti educativi, a prescindere dalla disciplina di insegnamento, giocano un ruolo
fondamentale non solo l’attivazione di una positiva relazione educativa, tramite la quale vengono veicolati i
processi cognitivo-affettivi legati all’apprendimento e allo studio, ma anche l’azione didattica volta
a potenziare la motivazione all’apprendimento.
La motivazione coincide con il bisogno di conoscere, scoprire cose nuove, connotato di elementi emozionali.
Inoltre il livello della motivazione viene influenzato dalla curiosità, dalla propria autostima e senso
di autoefficacia, ovvero dalla percezione personale circa il possedere abilità e risorse rispetto ad un compito.
Di certo il materiale didattico, le lezioni e i libri di testo sono strumenti imprescindibili, ma a questi vanno
aggiunti il fare, l’applicazione e la pratica, dove lo studente può avere modo di cimentarsi con le sue
personali risorse.
L’insegnante dal canto suo ha preziosi riscontri circa l’efficacia della sua azione didattica.
L’aspetto più prettamente motivazionale risiede nella valenza di rinforzo che lo studente ha, che dovrebbe
incrementare in lui la motivazione ad uno studio ottimale che tenga anche conto nel suo svolgimento delle
risorse a sua disposizione. Un altro modo di motivare l’allievo è quello classico, di matrice comportamentista,
che consiste nel creare un sistema di ricompense e punizioni, tuttavia in questo caso c’è il rischio di rendere
l’alunno passivo verso la disciplina e verso l’insegnante.
In questo caso infatti l’apprendimento è eterodiretto, venendo a mancare la corrispondenza con le peculiari
attitudini soggettive.
Al contrario la spontanea scoperta delle idee fondanti di una disciplina e delle modalità in cui possano
essere collegate tra di loro, è già di per sé un incremento alla motivazione intrinseca, in quanto lo studente
riconosce l’utilità di ciò che apprende perché ha modo di riutilizzarlo spesso e in contesti di vita differenti.

TUTORING E TUTEE
Il tutoring consiste nell'insegnamento reciproco tra pari, compagni di classe o meno, dove uno studente svolge
il ruolo di “tutor”, cioè colui che insegna al compagno, che è il “tutee” o tutorato. Il tutoring è una metodologia
a mediazione sociale che mette al centro dell’apprendimento gli studenti, che come non professionisti aiutano
e sostengono l’apprendimento di altri in modo interattivo, intenzionale e sistematico.
Il tutor non deve essere troppo esperto del contenuto o dell’abilità da insegnare ma va formato prima nei
contenuti e nei modi di relazionarsi con il compagno in modo da consentire il miglioramento del tutee. Come
per l’apprendimento cooperativo, non stupisce scoprire che chi migliora nella realizzazione di questa attività
di studio non è solo lo studente che viene ufficialmente aiutato, ma anche colui il quale aiuta.
E come per il cooperative learning, il programma di tutoring va attentamente progettato dall’insegnante che ha
il ruolo di progettista e supervisore delle attività.

ZONE DI SVILUPPO POTENZIALE


Nella zona di sviluppo potenziale si trovano le abilità non ancora presenti nella persona, perché con ogni
probabilità esse verranno acquisite in futuro. La zona di sviluppo prossimale,(teoria di Vygotskij) è un
concetto fondamentale che serve a spiegare come l'apprendimento del bambino si svolga con l'aiuto degli
altri. La ZSP è definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che
può essere raggiunto con l'aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza
maggiore. L'educatore dovrebbe proporre al bambino problemi di livello un po' superiore alle sue attuali
competenze, ma comunque abbastanza semplici da risultargli comprensibili; insomma, all'interno di
quell'area in cui il bambino può estendere le sue competenze e risolvere problemi grazie all'aiuto degli altri.
Questi problemi potranno infatti essere risolti dal bambino aiutato da un esperto (l'educatore, un adulto o
anche un pari con maggiori competenze in quel campo), ma non dal bambino che non riuscirebbe ad
affrontarli da solo. Se il processo è impostato correttamente, la zona di sviluppo attuale del bambino si
amplia, includendo quella che in precedenza era la zona di sviluppo prossimale, in altre parole egli diventa
capace di eseguire autonomamente un compito che prima non sapeva eseguire. All'esterno della zona di
sviluppo attuale si crea una nuova zona di sviluppo prossimale.

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