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IL POTENZIAMENTO COGNITIVO.

METODOLOGIE E STRATEGIE NEL


PROCESSO DI INSEGNAMENTO

ABSTRACT

L’argomento principe di questo elaborato è il potenziamento cognitivo. Si inizia delineando


una cornice grazie alla quale viene accennato il substrato su cui il costrutto si basa, ovvero i
concetti di Intelligenza Potenziale, di Zona di Sviluppo Prossimale e di Modificabilità
Cognitiva. Viene chiarito poi più approfonditamente il concetto e cosa rende possibile
l’attuazione di un programma di potenziamento cognitivo. L’obiettivo è quello di fornire agli
insegnanti non solo un quadro teorico che spieghi cosa sia il potenziamento, ma anche di
dotarli degli strumenti pratici funzionali all’ambito didattico, educativo ed emotivo-
relazionale della persona. Infatti, si parlerà della dinamica fisiologica relativa ai processi
cognitivi che sottostanno all’apprendimento, focalizzando l’attenzione sui tre momenti
fondamentali dell’intero processo: la fase di input o ingresso, la fase di elaborazione e la fase
di output o uscita delle informazioni. Si indicheranno quali sono i prerequisiti, ovvero le
condizioni a livello emotivo e a livello metodologico da cui dipende il grado di successo di
un buon programma di potenziamento. In particolare, verranno sottoposte a disamina alcune
strategie consone alle necessità didattico-educative. Dopo aver distinto le strategie a
disposizione dell’insegnante e dopo un accenno al ruolo fondamentale che egli riveste, per
ogni fase del processo di apprendimento verranno identificati i deficit su cui si può agire.
Infine, verranno presentati i metodi e le tecniche in grado di potenziare i canali di input,
elaborazione e output, puntando principalmente all’aspetto pratico e alla spendibilità degli
strumenti all’interno del contesto scolastico.

KEYWORDS

Potenzialità individuali Potenziamento cognitivo


Processo di apprendimento Strategie didattiche
Tecniche di stimolazione cognitiva



INTRODUZIONE

Secondo la biologia dello sviluppo, fermo restando l’apporto fornito dal patrimonio genetico,
le capacità dell’individuo possono evolversi solo in presenza di determinate condizioni
ambientali e tramite un processo di apprendimento: i geni interagiscono con l’ambiente e non
semplicemente in un ambiente. Andando leggermente oltre, l’essere umano non va
considerato come un sistema che nasce con caratteristiche biologiche e psicologiche di serie
che poi vengono modellate dalla cultura, ma piuttosto come un sistema in continua
evoluzione. A questo proposito, Ingold (2001) parla di “pensiero relazionale” e sostiene che
noi esseri umani siamo il risultato di un processo di sviluppo grazie al quale possiamo
diventare esperti in abilità appropriate al particolare tipo di vita che conduciamo e inserite in
un campo di relazioni che ospita luoghi di crescita e sviluppo, attraverso processi di
embodiment ed enmindment. Si pensi ai risvolti che una tale consapevolezza può avere
all’interno del contesto scolastico: se è vero che il contributo dell’ambiente, delle relazioni
che intessiamo, delle opportunità che si vengono a creare attorno a noi diventano parte di noi
stessi e della nostra cultura, la scuola non ha più soltanto una valenza ai fini educativi, ma da
essa dipendono l’intera vita dell’individuo che vi gravita attorno e la qualità del suo futuro.

L’insegnante, in particolare quello di sostegno, ha un ruolo imprescindibile all’interno di


questa realtà. Egli, infatti, ha l’arduo compito di mettere in atto un processo maieutico, grazie
al quale è possibile far emergere le potenzialità e i talenti del singolo ponendo in essere azioni
formative ed educative secondo quanto prescritto dal sistema scuola e in base alle necessità
dell’alunno. Ma ciò non basta, il docente deve saper fare posto ai pensieri degli studenti, ai
loro sentimenti, ai loro interessi, assumendo come punto di partenza la loro esperienza. La
formazione del docente, quindi, reclama un modello formativo articolato e integrato, che usa
un approccio metodologico caratterizzato dalla ricerca-formazione, in grado di sviluppare
consapevolezza teorica, storica e culturale di finalità e funzioni della scuola, nonché del suo
compito formativo ed educativo (CUNFS, 2019).

A tal proposito, questo elaborato vuole essere da sprone per la ricerca di nuove modalità
grazie alle quali gli insegnanti possono ottemperare al loro compito, in questo caso
potenziando cognitivamente e metacognitivamente i loro alunni, non soltanto per motivarli e
incrementare le loro strategie di apprendimento, e per permettere loro di essere in grado di
gestire il successo e l’insuccesso, ma soprattutto per fornire degli strumenti con cui affrontare
la vita con maggiori risorse e consapevolezza.

QUADRO TEORICO

Secondo il concetto di intelligenza potenziale, le capacità intellettive e di pensiero sono


superiori rispetto al comportamento che viene manifestato. Questo costrutto teorico affonda
le sue radici nel concetto di zona di sviluppo prossimale (ZSP), proposto per la prima volta da
Vygotskij (1978) e definito come la differenza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di
sviluppo potenziale che può essere raggiunto dal bambino con l'aiuto di adulti o pari con un
livello di competenza maggiore. Oltre a ciò, bisogna considerare che il cervello è plastico, il
che consente all’individuo di andare al di là del proprio patrimonio genetico e di superare le
restrizioni che esso impone. La plasticità neuronale è una caratteristica pervasiva e
insostituibile del nostro cervello che sfrutta le informazioni, le esperienze dell’individuo per
plasmarlo in modo del tutto unico (Làdavas, 2012). Alla luce di ciò, possiamo pensare al
cervello come ad un organo la cui peculiarità principale è la variabilità individuale,
caratterizzata dai tre vincoli imprescindibili che determinano l’identità di ciascuno di noi:
patrimonio genetico, stimoli esterni ed esperienze soggettive.

Partendo dai concetti di ZSP e di plasticità neuronale, si sono potute porre le basi per il
costrutto di modificabilità cognitiva, secondo cui poiché non sempre vengono utilizzati tutti i
processi cognitivi e le strategie che una persona ha a disposizione, è fondamentale scoprirne
la “capacità interna”, ovvero il potenziale, e attuare una mediazione tra risorse interne ed
esterne (Haywood & Tzuriel, 1992). Nel caso in cui le capacità fossero inesistenti o carenti
nel repertorio comportamentale del soggetto, è necessario far sì che egli interagisca con
eventi ambientali e condizioni esterne tali da permettere lo sviluppo di quelle capacità (Fabio
& Romano, 2010).

In linea con quanto sostenuto da Feuerstein (1980), la modificabilità è sempre possibile, non
importa quali siano le condizioni di partenza, ivi compresa la disabilità.
Prima di spiegare nello specifico in cosa consiste un programma di potenziamento, è
importante individuare chi sono gli attori e quali sono i processi cognitivi fisiologici che
fungono da faro nella sua organizzazione. Il protagonista è sicuramente l’allievo in difficoltà.
Ma lo sviluppo ontologico della persona dipende anche dall’ambiente, dall’interazione con
ciò che lo circonda. L’insegnante deve avere delle solide basi esperienziali e conoscitive dei
deficit relativi alle funzioni cognitive del discente; deve attuare una buona osservazione
diretta; identificare gli obiettivi e i modi e i metodi per raggiungerli. Egli ha il compito di
scegliere gli stimoli, di proporli seguendo una logica temporale e spaziale, di dare risalto ad
alcuni e di annullarne altri, di favorire le associazioni utili e impedire le ripetizioni; tramite
passi graduati, guida il lavoro, inducendo autonomia e spronando il discente a superare gli
ostacoli (Fabio & Pellegatta, 2005a). È fondamentale però che l’allievo, punto centrale del
programma, si impegni a sviluppare se stesso, poiché lo sviluppo cognitivo non può essere né
geneticamente determinato, né imposto. Esso nasce da una partecipazione attiva, inserita in
un contesto stimolante. Lo studente è responsabile del proprio apprendimento e deve essere
capace di usare le abilità e le strategie che gli vengono richieste (Comoglio 2002).
Poniamo adesso uno sguardo alla dinamica fisiologica relativa ai processi cognitivi.

Apprendere vuol dire riuscire a integrare informazioni nuove in maniera progressiva, in modo
che la mappa dei concetti già elaborati sia suscettibile di una riorganizzazione e sia
funzionale alla capacità della persona di operare in situazioni problematiche mai riscontrate.
Secondo Feuerstein (1987), il processo di apprendimento è determinato da tre momenti
fondamentali relativi all’informazione, elencati di seguito.

La prima fase è la fase di input o di entrata. È il momento in cui le informazioni vengono


percepite tramite l'attenzione, con cui si entra in rapporto col mondo e che presenta varie
dimensioni:

• - L'attenzione generalizzata (o arousal): è il livello di attivazione generalizzato di un


individuo. A seconda del potenziale dell’attenzione, l’arousal può essere iperattivato o



ipoattivato (si pensi ad una persona che si gira al primo rumore o ad un’altra che
sembra avere la testa tra le nuvole).

• - L’attenzione selettiva: è l’abilità a concentrarsi su alcuni stimoli senza farsi distrarre


da quelli irrilevanti (ad esempio, una persona riesce a concentrarsi sulla lettura di un
testo, benché il compagno lanci una pallina nel cestino).

• - L’attenzione sostenuta: è la capacità di focalizzarsi su stimoli specifici (è il caso in


cui un allievo riesce a mantenere la concentrazione durante tutta l’ora di filosofia).

• - L’attenzione divisa: è la capacità di prestare attenzione a più compiti


contemporaneamente.

• - Lo shifting dell’attenzione: è l’alternanza tra due focus cui non si deve prestare
attenzione
nello stesso momento (Fabio, 2001).
Appartengono alla fase di entrata le operazioni utili per la raccolta delle informazioni,
come attenzione, precisione, percezione degli stimoli, registrazione.
La seconda fase è quella di elaborazione e riguarda due concetti in particolare:

• - la memoria: è la capacità di trattenere le informazioni immagazzinate grazie ai


processi attentivi. Allo stesso tempo, una nuova acquisizione è possibile solo se
vengono recuperate e utilizzate le conoscenze precedenti.

• - Il ragionamento logico: consiste nella capacità di stabilire relazioni tra i contenuti e


creare collegamenti tra gli apprendimenti. Quest’ultima capacità viene chiamata
transfer. Nel passaggio da un ragionamento logico di base a uno più complesso,
bisogna tenere conto che inizialmente tutta l’attenzione sarà rivolta all’abilità di base
fino a quando non interverrà l’automatizzazione, che permetterà di investire le risorse
su un livello più complesso di logica. Grazie all’allenamento si può giungere
all'automatizzazione e, soltanto dopo, sarà

possibile modificare i punti di partenza.


Alla fase di elaborazione appartengono le funzioni mentali dell’immagazzinamento, ovvero
quelle funzioni grazie alle quali l’informazione viene elaborata per raggiungere degli obiettivi
utili al completamento di un compito. Si pensi a funzioni come confronto sistematico,
acquisizione, recupero dell’informazione.
L’ultima fase, di output o di uscita, è il momento in cui si esprime ciò che si è imparato.
Appartengono alla fase di output le prestazioni con cui i dati precedentemente immagazzinati
ed elaborati vengono organizzati. Qui, entrano in gioco le funzioni cognitive preposte alla
comunicazione, alle risposte, alle soluzioni dei problemi, ai risultati finali relativi ad un
compito dato (Fabio & Pellegatta, 2005a).


















Il livello di successo di un buon programma di potenziamento dipende da una serie di
condizioni a livello emotivo e a livello metodologico. A livello emotivo sono fondamentali: la
motivazione, l’accettazione incondizionata, l’empatia. La motivazione è strettamente
connessa alla cognizione. Quando si trova di fronte discenti con difficoltà, l’insegnante deve
discriminare attività in modo da proporre quelle più interessanti per la persona. L’interesse
implica che l’individuo sia consapevole della sua presenza e dell’obiettivo verso cui è
orientato. Le attività di apprendimento, pertanto, devono essere motivanti e “attraenti”.
Accanto alla motivazione, fondamentale risulta l’accettazione incondizionata del discente da
parte delle figure di riferimento. Il che non deve tradursi in permissivismo, né tantomeno in
accettazione di comportamenti disadattivi. Se lo studente percepisce di essere accettato, sarà
capace di affrontare le sfide in maniera costruttiva, di sperimentare le novità senza timore e di
provare nuove forme di relazione interpersonale, prestando attenzione alle proprie emozioni.
L’accettazione incondizionata può realizzarsi solo in presenza di una relazione fondata
sull’empatia (Fabio & Pellegatta, 2005a). Ma per realizzare un intervento di potenziamento è
cruciale considerare anche delle condizioni a livello metodologico, ossia alcune strategie
consone alle necessità didattico-educative.

• - Rinforzo: è una conseguenza applicata ad un comportamento che rafforza il


comportamento
stesso. Esso è uno strumento utile a modificare i comportamenti inadeguati e a
motivare la persona che lo riceve. I rinforzi possono essere: sociali, dinamici o
simbolici; per essere efficace, deve essere contingente al comportamento corretto e
immediato.

• - Estinzione, cioè ignorare un comportamento per rallentare la frequenza


dell’emissione.

• - Punizione: evento sgradevole che riduce la probabilità che un comportamento


venga riproposto. Essa deve essere: immediata, senza delega, proporzionata alla
gravità dell’azione, presentata
assieme ad un’alternativa positiva al comportamento inadeguato.

• - Shaping. È una tecnica che modella (=to shape) un comportamento, rinforzando


ogni approssimazione che via via si avvicina sempre di più al comportamento
obiettivo.

• - Fading: è la progressiva diminuzione, fino ad eliminazione, degli aiuti che vengono


forniti.

• - Automatizzazione e transfer di generalizzazione. L’allenamento porta


all’automatizzazione, ovvero ciò che permette il passaggio dall’elaborazione
controllata all’elaborazione automatica dell’informazione; di conseguenza, lo studente
è in grado di modificare i punti di partenza e di operare un transfer, cioè di stabilire












relazioni tra contenuti e di collegarli, sì da rendere elastici
gli apprendimenti.

• - L’autonomia. Lo studente va reso capace di affrontare e risolvere un compito in


autonomia,
senza aiuti esterni o tensione emotiva.
Distinte le strategie a disposizione dell’insegnante, bisogna individuare su cosa si può
agire. Nella fase di ingresso delle informazioni, possono essere di ostacolo:

• - Una percezione vaga e insufficiente: si presenta in caso di limiti sensoriali, rende la


percezione inadeguata e la raccolta dei dati frammentaria. L’insegnante deve spronare
il discente all’esplorazione sistematica, di modo da rafforzare il comportamento
autoinformativo e sviluppare i processi di apprendimento.

• - Comportamento esplorativo non sistematico ed impulsivo. In questo caso non è


possibile un’analisi complessiva del compito e si manifestano una parziale raccolta
dei dati e impulsività.

• - Uso inadeguato del linguaggio. Può verificarsi nel caso di linguaggio povero e
inadeguato o, in presenza di ricchezza di parole, di linguaggio non associato
correttamente a realtà e concetti.

• - Carenze nell’orientamento spazio-temporale. Implica l’incapacità di sapersi


muovere bene nello spazio e di cogliere relazioni temporali tra due o più avvenimenti.

• - Incapacità di considerare più informazioni allo stesso tempo. Il deficit implica una
difficoltà nella classificazione e nel confronto, utili per acquisire i concetti.

• - Difetti nella costanza percettiva. La conseguenza è una percezione episodica della


realtà, una visione rigida e povera di possibilità.

• - Mancanza del bisogno di precisione. Spesso i soggetti in difficoltà di


apprendimento non sentono l’esigenza di essere precisi. Le elaborazioni saranno,
pertanto, incomplete e spesso sbagliate, peggiorando le prestazioni.
Nella fase di elaborazione delle informazioni, si possono manifestare le seguenti
criticità:





















- Incapacità a distinguere dati pertinenti. Implica l’impossibilità di percepire un problema e
definirli, a causa della non discriminazione dei dati rilevanti. Saranno inficiate l’elaborazione
dei dati, la possibilità di scegliere regole e pianificare strategie.

• - Ristrettezza del campo mentale. È la difficoltà di richiamare i dati memorizzati per


permettere l’elaborazione di strategie e soluzioni di problema, con conseguente
scarsezza di elementi e possibili soluzioni.

• - Difficoltà a interiorizzare. L’interiorizzazione serve a individuare e fare proprio un


problema. Pertanto manca nello studente l’organizzazione del pensiero e le
prestazioni sono vissute dall’individuo come casuali e non intenzionali.

• - Incapacità di progettare e pianificare. È spesso conseguenza di un’insufficiente


organizzazione del tempo o di impulsività e assenza di chiarezza.

• - Mancanza della ricerca di relazioni fra i dati e di evidenza logica. In questo caso la
percezione della realtà da elaborare sarà frammentaria e priva di logica.

• - Mancanza del bisogno di confrontare e verificare le ipotesi. Ciò porta ad una


percezione episodica della realtà e ad una delega all’adulto del controllo delle
prestazioni.

• - Limiti del ragionamento ipotetico-deduttivo. La problematicità che si evidenzia è


l’assenza della formulazione delle ipotesi e/o delle strategie con cui si affronta il
problema. In questo modo, la persona avrà difficoltà a prevedere cosa accadrà e che
tipo di scelta dovrà fare.

• - Incapacità di elaborare alcune categorie con il linguaggio. Lo studente potrebbe


avere difficoltà ad esprimere o comprendere concetti a causa di un linguaggio povero
o di conoscenze frammentarie.
Nella fase di uscita delle informazioni, i deficit più comuni sono:

• - Modalità di comunicazione egocentrica. Spesso i ragazzi con difficoltà di


apprendimento
possono usare il linguaggio in modo non obiettivo e la comunicazione in maniera
egocentrica.


















• - Blocco e risposte per tentativi ed errori. Il primo è un atteggiamento che tende a far
bloccare di fronte ad un problema l’alunno, benché egli abbia le abilità per superarlo;
il secondo implica impulsività e non esitazione nell’esecuzione di un compito, il che
induce ad una quantità di errori
vissuti come casuali e non interiorizzati.

• - Incapacità a trasporre immagini visive. La trasposizione visiva richiede di saper


trasportare
un’immagine a livello mentale, mantenendolo nella memoria di lavoro.

• - Mancanza o insufficienza del bisogno di precisione e/o di strumenti per comunicare


risposte
elaborate correttamente. Da una parte il disordine, la grafia poco comprensibile nella
fase di output fanno sembrare le risposte più sbagliate di come sono in realtà;
dall’altra l’assenza di capacità di linguaggio, espressività, manualità può impedire al
ragazzo di ottemperare ad un compito (Fabio & Pellegatta, 2005a).

STRATEGIE E METODOLOGIE PER IL POTENZIAMENTO COGNITIVO

Nell’accezione più comune il termine potenziamento ha assunto significato di allenamento


cognitivo, definito come un insieme di strategie, grazie al quale il cervello è in grado di
modellare il pensiero e le capacità di soluzione di problemi (Costa & Garmston, 1999). La
modificabilità cognitiva è presupposto del potenziamento, inteso anche come strumento per
sentirsi responsabili del proprio apprendimento. Solo così la persona può automotivarsi anche
dopo l’insuccesso, regolare e monitorare da sé le strategie di comprensione e studio, trovare il
modo di reagire al fallimento (Pazzaglia, Moè, Friso & Rizzato, 2002).

Cruciale diventa in questo contesto l’insegnante, che può assumere il ruolo di “potenziatore”,
ovvero un coach che spinge “lo studente a sperimentare un comportamento, a diventare
consapevole del suo significato e a utilizzare la cognizione per formulare ipotesi circa come
comportarsi più consapevolmente” (Fabio & Romano, 2010, p.8).

Nel caso di soggetti con disabilità, in vista dell’obiettivo della modificabilità, è fondamentale
innanzitutto individuare in quale fase si colloca un’eventuale disfunzionalità e,
successivamente, procedere trattando la modificabilità in riferimento al potenziamento delle
dinamiche che vi sottostanno (ovvero i domini cognitivi, come attenzione, memoria, logica,
processi espressivi) e ai contenuti specifici (si pensi all’area matematica, alla letto-scrittura)
(Fabio & Pellegatta, 2005a; 2005b).

Per una classificazione funzionale al lavoro con il singolo o con la classe, è utile presentare i
metodi e le tecniche in grado di potenziare i canali di input.
I metodi per incrementare l’attenzione in generale prevedono diversi training.

• - Un training sulla pulizia del setting individuale, ovvero dell’ambiente in cui


l’alunno svolge l’attività. L’insegnante può dialogare con i ragazzi, spronandoli a











tenere sul banco solo il materiale che serve per l’attività del momento, ad accantonare
gli oggetti fonte di distrazione e di disordine ponendoli dentro lo zaino (e non sotto il
banco) finché diventerà un’attività spontanea. Potrebbe aiutare usare dei rinforzi
positivi verso gli allievi che mostrano di avere sul banco solo lo stretto necessario
all’attività ed ignorare (al fine di estinguere) coloro che mantengono in disordine il
setting.

• - Un training sul controllo della postura. Spesso i ragazzi assumono una posizione
scorretta, sebbene autostimolante (e, quindi, gratificante). Questo atteggiamento
sposta l’attenzione sugli stimoli interni e impedisce all’organismo di selezionare
quelli esterni (Fabio, 2001). L’insegnante può spiegare una strategia di attenzione:
mostra a livello metacognitivo il ruolo dei comportamenti motori e delle distrazioni
nell’apprendimento; chiede dei feedback per verificare la comprensione; mostra la
posizione corretta (la “posizione dell’attenzione”); dà rinforzi verbali frequentemente
all’inizio e di rado successivamente.

• - Un training per incrementare l’attenzione selettiva, che consta di quattro fasi. Le


prime due
sono le fasi della pulizia del setting e del controllo della postura; poi, vi sarà una fase
per la consegna e lo svolgimento dell’attività: all’inizio l’alunno è attento, ma i tempi
di attenzione possono essere brevi. L’insegnante registra il tempo di attenzione
iniziale sostenuta e mira ad aumentarlo, rinforzando l’alunno durante l’emissione del
comportamento di attenzione di modo da mantenere viva la sua attenzione per
qualche istante ancora. Infine, è prevista una fase per il monitoraggio e la progressiva
attenuazione dell’intervento, in cui l’aiuto, gli input e i rinforzi devono diminuire per
lasciare il posto ad uno stile comportamentale.

• - Un training dell’autocontrollo. È una strategia volta a far nascere nel ragazzo


l’abitudine di pensare e riflettere prima di rispondere o eseguire un esercizio. Il
training consiste nel suggerire le “azioni del pensiero”: appoggiare il dito alla tempia,
stringere con due dita il mento, chiudere gli occhi, e così via. Solo dopo queste azioni,
l’alunno potrà dare la risposta o eseguire il compito. Questo training permette,
soprattutto a coloro che hanno difficoltà con il pensiero astratto, di associare dei gesti
concreti a un’azione astratta, come il pensare.
Nella fase di ingresso delle informazioni è utile focalizzarsi sul dominio
dell’attenzione. Soprattutto in casi molto gravi, è importante volgere lo sguardo al
potenziamento dell’attenzione uditiva e della percezione sensoriale. Infatti, spesso
questi ragazzi utilizzano e stimolano principalmente il canale visivo, tralasciando gli
altri che, invece, vanno potenziati. Per soggetti molto gravi, o non verbali,
l’insegnante può fornire all’alunno un oggetto sonoro (per esempio una maracas o un
tamburello) da muovere nel momento in cui egli sente, tra diversi, un suono specifico
(ad esempio il suono di un clacson o di un toc toc). Successivamente, si può invitare il
ragazzo a toccare l’oggetto quando sente una specifica parola. L’esercizio può
diventare via via sempre più complesso. Il ragazzo potrebbe dover discernere un
termine all’interno di una lista di parole e, se non si presentano particolari difficoltà







con questo tipo di compito, di non-parole. Si può proporre poi un’attività in cui
l’alunno deve contare quante volte la parola o la non-parola si presenta. L’esercizio
diventa ancora più difficile se l’alunno deve estrapolare il numero di volte in cui
compaiono una o più parole all’interno di un breve racconto. L’ultimo grado di
difficoltà prevede l’individuazione di parole e non-parole all’interno di una storia che
utilizza non-parole (si pensi alla storia della tradizione siciliana del “Re Bafè, Biscotto
e Minè”). Nel caso in cui l’insegnante volesse stimolare la percezione sensoriale,
potrebbe chiedere all’alunno di discriminare un oggetto, prima

semplice poi via via sempre più complesso, tra tanti altri oggetti inseriti in un sacchetto o in
una scatola.
Sempre nell’ambito del potenziamento dell’attenzione uditiva (ma anche visiva, se si usano
schede), l’insegnante può potenziare la decodifica delle consegne nell’area linguistica o
matematica proponendo una serie di consegne: sottolinea/cerchia in rosso/verde i verbi/
aggettivi nel testo; colora di rosso/verde/blu i triangoli/quadrati/cerchi. È possibile
intervallare le consegne con un comando divertente (ad esempio: colora poi, fai un salto) per
motivare nuovamente il ragazzo e recuperare l’attenzione. L’insegnante deve tener conto
innanzitutto della correttezza nell’ascolto e nell’applicazione dei comandi e poi della
correttezza nell’esecuzione del compito.

Per potenziare l’attenzione visiva, si possono progettare una serie di esercizi a seconda del
processo cognitivo che si vuole migliorare (la concentrazione, la capacità di individuare i
particolari, l’attenzione su più livelli che si intersecano, etc.). Tra gli esercizi, possiamo
annoverare i seguenti: Conta gli items, Le differenze, Trova l’oggetto, Labirinti, Unisci i
puntini, Crucipuzzle. Ognuno di questi esercizi può essere presentato considerando vari
livelli di difficoltà e gli interessi specifici dell’alunno.

È utile ricordare che, per costruire tutti questi esercizi, arrivano in soccorso dell’insegnante le
TIC, ormai strumenti imprescindibili per la riuscita di un programma di potenziamento.
Nel potenziamento della fase di elaborazione delle informazioni quello che più conta è
spronare l’allievo a rispondere ai “perché”. Ciò lo aiuta a pensare e a rafforzare il
ragionamento, la memoria e il pensiero critico. Sono molti gli esercizi che possono potenziare
l’area logica. In particolare citiamo: le categorizzazioni e i confronti, le progressioni
numeriche e grafiche, i calcoli con numeri e lettere, gli esercizi sulle relazioni temporali e
sulla coordinazione simultanea di informazioni, i sillogismi.

Per potenziare l’area mnestica, si possono insegnare all’alunno varie tecniche di


memorizzazione. Inizialmente si incoraggia l’alunno a memorizzare una sequenza di azioni
per svolgere un compito, individuando e poi correlando delle parole chiave. Ad esempio,
“viso, camicia, latte, scarpe” sono le parole per ricordare la sequenza di azioni da fare prima
di uscire di casa al mattino. Si può spronare l’alunno nella visualizzazione, associando alle
parole chiave dei gesti precisi. In presenza di una serie di oggetti o parole da ricordare, si può
supportare l’alunno nella individuazione, all’interno della serie, di categorie entro cui essi
sono riconducibili. Gli esercizi possono prevedere la presentazione di una serie di item da
ricordare o, a livello uditivo, una serie di parole o brevi testi in rima.



L’uso del pensiero critico reclama la capacità di classificare e analizzare un problema, di
valutarne la credibilità e le fonti, di trarne inferenze e controllare i processi di pensiero. Per
potenziare il pensiero critico è utile procedere per tappe. Si può scegliere un brano o un
articolo e chiedere al ragazzo di: chiarificare il problema, focalizzando l’attenzione su di esso
e dandogli un significato; analizzare le relazioni tra le varie parti del problema (cosa è
pertinente? Cosa controverso?); valutare le fonti per trovare una soluzione al problema (le
fonti sono attendibili e in accordo tra di esse? C’è conflitto di interessi? Hanno una buona
reputazione?); inferire, ovvero trarre conclusioni e soppesare le alternative; autocontrollarsi,
azione utile al monitoraggio delle proprie attività cognitive e al controllo dei risultati ottenuti,
con conseguente autoesame e autocorrezione.

Per il potenziamento della fase di uscita delle informazioni si ritiene importante lo strumento
della registrazione. In questo modo, si può automatizzare la pronuncia: tramite il modeling,
l’insegnante pronuncia un suono, una parola o una frase, e la fa ripetere all’alunno. Quando la
pronuncia di questi è corretta si procede con la registrazione, la quale verrà fatta riascoltare
con il triplice obiettivo di motivare, automatizzare l’uso proprio del linguaggio e aiutare a
memorizzare.

In questa fase è indicato un training sulla formulazione del pensiero, che prevede diverse
tecniche. La prima è la tecnica delle 5 W (When? Where? Who? What? Why?). Vengono
mostrati all’alunno dei cartoncini, uno accanto all’altro orizzontalmente, ognuno dei quali
contiene una delle seguenti domande: Quando? Dove? Chi? Cosa? Perché? Gradualmente il
bambino dovrà costruire una frase prima supportato dall’insegnante, poi da solo con l’aiuto
dei cartoncini, in seguito senza cartoncini. Così facendo, gli aiuti andranno via via scemando
(fading): prima si toglierà l’ultimo cartoncino (Perchè?) e quando, per 5 volte consecutive,
l’alunno svolgerà il compito correttamente, si eliminerà il cartoncino precedente (Cosa?), e
così via. Tenendo conto dello shaping, la formulazione della frase seguirà un ordine di
complessità anche nel contenuto (vita personale, contesto familiare, contesto di vita allargata,
contesto delle discipline di studio).

Un’altra tecnica riguarda l’uso dei connettivi lineari.Se vogliamo stimolare la sequenza
temporale, possiamo usare dei connettivi, ordinandoli nel tempo e posizionandoli in verticale.
All’alunno vengono proposti, posizionati uno sotto l’altro, inizialmente 2 connettivi (prima e
dopo), poi 3 (prima, dopo e infine), quindi 4 (prima, poi, dopo, infine). Anche in questo caso
entrano in gioco shaping, in merito alla gradualità del contenuto della frase, e fading, in
quanto via via vengono eliminati i cartoncini. Se, invece, vogliamo stimolare la sequenza
condizionale, procederemo allo stesso modo, usando però i connettivi “se...allora”. Infine,
esiste un altro tipo di connettivi, quelli causali (perché, poiché, dal momento che, a causa di,
etc). Il cartoncino con il connettivo aiuterà l’alunno a costruire frasi gradualmente sempre più
complesse. Dopo aver usato i connettivi lineari, si può ampliare la tecnica e volgere lo
sguardo a connettivi che implicano una logica avversativa, ovvero quelli non lineari (ma,
tuttavia, benché, sebbene, etc). Si usano sempre i cartoncini, ma l'insegnante deve aver cura
di collocarli orizzontalmente, di modo da distinguere tra logica consequenziale e avversativa.
Sempre partendo dal contesto personale, si chiede all’alunno di formulare una frase con
l’aiuto del cartoncino (es. mi piacerebbe dormire, ma devo andare a scuola). Dopo 5 frasi
consecutive corrette, i cartoncini vengono eliminati o sostituiti (es. tuttavia, invece che ma) e
si ripete l’iter. Se per alcuni alunni la verbalizzazione di contesti e situazioni può risultare
ostica, si possono usare anche le immagini.

Nella fase di uscita può essere producente anche un training sull'ampliamento del
vocabolario. Fermo restando che la lettura rimane uno dei metodi più validi per
l’ampliamento del proprio bagaglio lessicale, si propongono alcune tecniche più specifiche.
La prima è la TIV (tecnica di Interiorizzazione del Vocabolario). Consiste nel presentare
all’allievo una parola nuova partendo da una conversazione (“Ieri Ugo e Ida hanno
bisticciato”). L’alunno scrive la parola (bisticciare), la definisce (litigare) e la utilizza
all’interno di una nuova frase (“Non è bello bisticciare tra amici”). L’insegnante dovrà
richiedere significato e contestualizzazione del termine in una frase per 5 giorni, registrando i
progressi su una tabella (Fabio & Pellegatta, 2005a).

Un’altra tecnica è quella delle parole-chiave (Foil & Alber, 2002). Prevede tre fasi. La prima
fase è la ricodifica: l’insegnante presenta una parola difficile e la trasforma in una più
familiare e foneticamente simile (“corinzio” diventa “cori di zio”), la ripete più volte per
stabilire un’associazione tra gli elementi della coppia. Nella seconda fase, quella di relazione,
si crea un’immagine mentale o disegnata (per es. lo zio che canta in un coro) e si spinge
l’alunno a immaginare una situazione in cui il termine e la parola chiave si combinano (ad es.
lo zio che canta in un coro in un tempio con le colonne corinzie). Nell’ultima fase, la
rievocazione, si chiederà la definizione del termine (corinzio), l’alunno penserà alla parola
chiave, poi all’immagine a essa legata e ricaverà il significato. Per consolidare il termine
l’allievo dovrà inserirlo in frasi diverse. Sempre nell’ambito del potenziamento della fase di
uscita delle informazioni, si può rafforzare l’acquisizione dei nuovi termini proponendo delle
attività che hanno come fini il riconoscimento delle parole e la rievocazione della definizione.
Come suggeriscono Foil e Alber (2002), si possono presentare diverse attività, tra cui
Indovina cos’è e Tombola. Va da sé che bisogna sempre tenere conto della gradualità. Per
l’attività “Indovina cos’è”, si danno all’alunno dei cartoncini contenenti una parola.
L’insegnante leggerà una definizione e l’alunno dovrà alzare il cartoncino corrispondente e,
volendo, formulare una frase adeguata.

Per la tombola, attività che si presta bene anche per un lavoro di gruppo, si forniscono agli
alunni delle schede con le parole imparate. Ogni volta che l’insegnante dà la definizione di
una parola presente nella propria cartella, gli alunni mettono un piccolo oggetto su di essa per
indicare che è stata eliminata. Si possono prevedere dei premi simbolici per chi completa una
riga o un’intera cartella.

CONCLUSIONI

Se guardiamo oltre la comunità in cui viviamo e inseriamo il concetto di educazione in un


contesto di più ampio respiro, ci possiamo rendere conto dell’importanza che assume il
lavoro ben svolto da parte degli insegnanti. Infatti, secondo quanto afferma l’ONU (2015)
nell’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030, il nostro è il secolo dell’educazione qualitativa della
specie umana. L’educazione è un processo vitale, da porre al pari degli altri bisogni naturali
dell’essere umano, in quanto è parte dello sviluppo personale che trae origine dai suoi saperi
(sensazioni, emozioni, pensieri e sentimenti). L’educazione, formale e informale, deve essere
di qualità, equa, inclusiva, soprattutto per i gruppi più vulnerabili della popolazione,
comprese le persone con disabilità. Essa deve garantire l’accesso a opportunità di
apprendimento per tutti lungo l’intero arco della vita. Questo perché l’educazione è un diritto
fondamentale e un potenziatore dell’essere umano.

Traducendo dal macro al micro, ecco che l’insegnante all’interno del contesto scolastico può
ergersi a paladino del diritto ad una formazione di qualità e dell’inclusione. Egli non ha il
mero compito di progettare, realizzare e verificare gli interventi idonei ad affrontare in
maniera positiva le situazioni di disabilità nel contesto classe, ma è la figura che dovrà
rappresentare un’alternativa per la persona con difficoltà; è colui che può fare la differenza,
permettendo al ragazzo che gli viene affidato di vedere il mondo da una prospettiva
differente, di guardare oltre, verso l’orizzonte delle sue possibilità. Egli dovrà operare in
funzione metacognitiva, in modo da supportare lo studente principalmente nello sviluppo di
una delle più importanti competenze chiave europee, ovvero imparare ad imparare. Lo scopo
sarà quello di sviluppare abilità di diversa natura, da porre al servizio dello sviluppo
cognitivo di ogni studente. In questo contesto, il saper portare avanti un programma di
potenziamento cognitivo, il conoscere le condizioni che rendono il terreno fertile alla sua
attuazione, l’essere in grado di creare uno scaffolding che sostiene e guida l’alunno finché
egli ne avrà bisogno, rappresentano per l’insegnante un dovere e, al contempo, un supporto
alla professionalità. Sta all’insegnante aggiornarsi e formarsi in una prospettiva di long life
learning, in vista non solo del miglioramento delle proprie competenze e abilità, ma
soprattutto del contributo personale che egli può dare all’intera società.

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