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PSICOLOGIA DELL'EDUCAZIONE

LIGORIO, CACCIAMANI
Psicologia Dello Sviluppo E Dell'educazione
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)
59 pag.

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CAPITOLO 1.CHE COS'È LA PSICOLOGIA DELL'EDUCAZIONE?

1.PROCESSI, ATTIVITÀ E CONTESTI.


Oggetti privilegiati della psicologia dell'educazione sono sicuramente la scuola e i conte-
sti educativi e formativi in generale. Questa disciplina si occupa in modo particolare di
comprendere e sostenere i processi di insegnamento e apprendimento così come si di-
panano attraverso l'azione di un educatore/insegnante/formatore e come di converso
studenti e formandi si appropriano delle conoscenze e dei concetti elaborandoli e svilup-
pandoli ulteriormente.
I processi e le attività analizzate possono essere definiti in termini di qualcosa che resta
che rimane fissato nella memoria. Oppure ci si può occupare dei processi di automatizza-
zione che permettono di far diminuire l'intenzionalità e la richiesta di attenzione. Inoltre il
processo di insegnamento/apprendimento può essere inteso come qualcosa che si co-
struisce che gradualmente si evolve. Oggetto di studio della psico dell'educazione può
anche essere l'apprendimento inteso come interiorizzazione come qualcosa che entra a
far parte del proprio bagaglio di esperienze e conoscenze.
L'apprendimento è infatti un processo che accompagna tutto il corso della vita dal primo
istante in cui si viene al mondo fino all'età senile. Inoltre si impara anche in contesti infor-
mali a casa, al lavoro, durante le attività ludiche; si può apprendere in modo inconsapevo-
le e senza sforzo così come ci si può dedicare deliberatamente all'apprendimento di
qualcosa di nuovo.
Il raggio di interesse della psico dell'educazione oltre alla scuola è anche:
- La scuola dell'infanzia
- la didattica universitaria
- i contesti lavorativi dove esperti insegnano a novizi come appropriarsi di nuove pratiche
con l'obbiettivo di migliorare le performance sia degli individui che delle organizzazioni
- i contesti dopo scuola
- i contesti familiari
- le transizioni tra diversi contesti come i passaggi dalla scuola secondaria di primo grado
a quella di secondo grado oppure dalla scuola al mondo del lavoro
- il life long learning che studia l'apprendimento nell'età adulta
-tutte quelle situazioni di vita reale in cui si impara informalmente senza che vi sia consa-
pevolezza.

2. LE DEFINIZIONI DI STUDENTI E INSEGNANTI


È interessante confrontare i punti di vista diciamo popolari con quelli desumibili dalle teo-
rie scientifiche allo scopo di riflettere su differenze e similitudini. In un’indagine recente
abbiamo esplorato anche come i bambini si rappresentano il processo di apprendimento
a scuola.
È stato possibile rintracciare 5 modi con cui i bambini descrivono il loro processo di ap-
prendimento:
a) un processo menale in cui si rappresenta il cervello con le sue caratteristiche anatomi-
che. La mente è considerata la sede del processo di apprendimento.
b) un processo emotivo in cui in primo piano ci sono le emozioni in particolare piacere,
gioia, spensieratezza ma anche sfida. Raramente sono stati riscontrati disegni con emo-
zioni negative.
c) un processo meccanico dove in primo piano si trova la rappresentazione della mente
come un meccanismo capace di costruire, elaborare, trasformare idee e concetti.
d) un processo contenitivo dove l'apprendimento viene rappresentato come un momento
di convinzione e di partecipazione a una attività collettiva.

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Il confronto tra le 5 classi ha mostrato che nella prima classe quasi la metà descrive l'ap-
prendimento come un processo sociale.
In seconda e in terza la percezione dell'apprendimento come processo sociale si riduce
notevolmente e prevale il processo mentale. Nelle ultime due classi prevale il processo
contenitivo. In sintesi abbiamo registrato un declino della dimensione sociale ed emotiva.
Altri autori hanno indagato gli effetti della scolarizzazione sul tipo di ragionamento. Que-
ste ricerche hanno dimostrato come il frequentare la scuola comporti un accesso più ve-
loce al pensiero ipotetico e un uso migliore delle tassonomie.
Altri studi hanno indagato specificamente il punto di vista dei docenti sui processi di ap-
prendimento, il dato più rilevante indica che gli insegnanti radiano il loro modo di intende-
re il processo di insegnamento/apprendimento sul versante del'autovalutazione profes-
sionale: ottenere un apprendimento efficace è la missione fondamentale di questo me-
stiere.
Una ricerca recente grazie a interviste condotte con un gruppo di 23 insegnanti ha rileva-
to come questi connotino i processi educativi di una forte carica emotiva che implica un
dialogo interiore molto intenso e che coinvolge valori e motivazioni e non solo le compe-
tenze specifiche relative ai contenuti della materia insegnata.
Gli autori evidenziano che nel definire il come si insegna e come si apprende gli insegnan-
ti denunciano una forte tensione tra valori individuali e valori istituzionali.

3. IL PUNTO DI VISTA DELLE TEORIE


Le metafore su cui poggiano le definizioni di apprendimento.
- Trasmissione della conoscenza: è quella più frequente, che contiene in sé un richiamo
meccanicistico, la conoscenza viene trasmessa da un emittente a un ricevente così come
avviene nella trasmissione dell'energia elettrica. Questa formula sembra allineata con la
psicologia comportamentista. L'informazione che parte dall'emittente è predefinita e con-
fezionata a priori, pertanto se ne desume una visione della conoscenza alquanto statica,
considerata come oggettiva, pronta a essere trasmessa a chi ne abbisogna. Mentre chi
riceve deve acquisire, memorizzare, immagazzinare i concetti trasmessigli. Le menti quin-
di sono immaginate come contenitori in cui le informazioni sono organizzate con diversi
livelli di complessità a seconda del grado di expertise.
Ma i limiti di questa metafora sono intuibili: una visione troppo meccanicista del processo
di apprendimento e una rappresentazione troppo statica della conoscenza e della mente.

- Costruzione di conoscenza: si fonda sull'idea che la conoscenza non è meramente tra-


sferita da un luogo all'altro ma è piuttosto costruita durante l'interazione sia tra le persone
sia con le varie fonti. La conoscenza non è data a priori ma è costruita attivamente e con-
tinuamente durante il processo educativo. Si tratta di una metafora strettamente legata al
paradigma del costruttivismo che ha come assunto fondamentale la mancata coincidenza
tra il mondo reale e il dato osservativo. L'uso di questa metafora consente ripensare il
processo di apprendimento come simile al processo di indagine durante il quale qualcosa
di nuovo viene scoperto qualcosa che inizialmente non faceva parte del campo di cono-
scenze e che va ad arricchire o addirittura a trasformare sostanzialmente le conoscenze
possedute inizialmente. Apprendere significa fondamentalmente dare rilievo a qualcosa
che esisteva sì in precedenza ma non era noto. Chi impara deve andarsele a cercare sulla
base di indizi e piste date da chi guida il processo di apprendimento. Pertanto non si ri-
chiede più di memorizzare o assimilare ma occorre mettere in atto inferenze e analisi ipo-
tetico-deduttive ragionamenti simili a quelli utilizzati per risolvere problemi.
Un'altra interpretazione di questa metafora è invece più radicale: la conoscenza non esi-
ste affatto a priori non va quindi scoperta ma costruita fin dalle sue fondamenta.

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Ciò che accumuna questi autori è il riconoscere che ciò che si apprende non è una de-
scrizione, riproduzione o rispecchiamento del mondo quanto piuttosto un personale e
soggettivo modo di vedere sentire e organizzare l'esperienza del mondo. La conoscenza
è il frutto del lavoro di interpretazione, riflessione e analisi che ciascuno svolge mentre os-
serva analizza ed esperisce ciò che lo circonda. è una conoscenza assolutamente sog-
gettiva e individuale, che nasce dall'interazione con il mondo fisico e sociale.
La mente non è il luogo dove depositare conoscenza bensì è uno strumento capace di
elaborare e creare conoscenza. Apprendere implica il fornire al novizio gli strumenti per
elaborare un modo personale e originale di essere esperto.
Per Piaget son le strutture cognitive che permettono di creare conoscenza mentre per
Vygotskij è l'interazione sociale che consente grazie all'iniziale imitazione di interazione
sociale a creare nuove strutture o meglio nuove zone di sviluppo che Vygotskij definisce
prossimali ovvero vicine, limitrofe a quelle già in atto.

- La metafora della partecipazione, secondo questa metafora l'apprendimento non è più


conseguenza di un atto cognitivo individuale ma è determinato piuttosto dalla parteci-
pazione ad attività e pratiche sociali. Questa metafora pone l'accento sugli aspetti so-
ciali dell'apprendimento sui meccanismi che regolano l'interazione entro gruppi carat-
terizzati da obiettivi comuni. Si utilizza il termine di acculturazione per fare riferimento
all'imparare a far parte di un gruppo appropriandosi della sua cultura e al tempo stesso
modificandola attraverso la propria partecipazione. Lave e Wenger che propongono il
concetto di partecipazione periferica legittimata ovvero l'idea che si possa imparare a
far parte di una comunità organizzata intorno a pratiche che la contraddistinguono par-
tendo dalla periferia, restando ai margini delle attività, prima osservando e poi diven-
tando sempre più centrali. In questo caso il processo di apprendimento riguarda pro-
prio l'evoluzione della partecipazione dalla periferia al centro della pratica, passando
da modalità passive a modalità sempre più attive a patto però di contribuire a innovare
la pratica stessa. La distinzione tra una partecipazione periferica e una centrale sosti-
tuisce così quella tra novizio ed esperto adottata dalle metafore precedenti. La metafo-
ra della partecipazione implica un concetto di conoscenza radicalmente diverso: la co-
noscenza emerge solo attraverso la partecipazione alle attività e alle pratiche svolte
dalle comunità. Quindi la conoscenza non esiste né nel mondo né creata dalla mente
ma è distribuita tra gli individui, è localizzata negli ambienti tra gli oggetti e gli artefatti
utilizzati quando si svolgono pratiche significative per la comunità. Questo implica che i
significati non sono dati a priori ma emergono momento per momento a seconda dei
contesti temporali e spaziali delle persone che vi partecipano dei loro obiettivi e scopi.
La metafora della partecipazione non si preoccupa più tanto di definire la mente degli
individui ma preferisce occuparsi delle loro identità.

- La metafora della transazione. Ogni volta che si realizza un'interazione formativa si pro-
cura un effetto un cambiamento non solo nelle persone coinvolte ma anche nel contesto
in cui agiscono e si muovono gli attori coinvolti in tale processo. La metafora della transa-
zione combina l'idea di acquisizione individuale di conoscenza, dei cambiamenti nelle
persone, con l'apprendimento ineso come partecipazione al contesto in quanto si fonda
sul presupposto che contesto e individuo non possono essere separati come non avreb-
be senso studiare il processo di transazione commerciale considerando compratore e
venditore avulsi dal loro contesto.
Anche questa metafora implica una definizione di conoscenza che deriva anch'essa dalle
formulazioni di Dewey, la conoscenza è tutto ciò che permette di concludere soddisfa-
centemente la transazione in corso ovvero per rimanere in linea con la metafora. il limite
di questa concettualizzazione della conoscenza è che sembra implicare una visione del
processo di apprendimento finito e limitato con un inizio e una fine. Dewey supera queso
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limite assumendo una prospettiva più generale: la conoscenza che mette fine a una certa
transazione diventa il punto di partenza di una nuova transazione. La conoscenza innesca
così un processo circolare, un continuo passaggio, va considerato pertanto un oggetto di
frontiera che diventa osservabile solo nei momenti di negoziazione quando più persone
entrano in contatto è più voci parlano l'una con l'altra.
Se la specificità di questa metafora è di considerare congiuntamente individuo e ambien-
te allora la mente sarà desumibile dalle trasformazioni prodotte sull'ambiente stesso.
La valutazione dell'apprendimento quindi si sposta sugli oggetti prodotti dalle persone e
non più sul tentativo di capire quanto si siano modificati i loro processi cognitivi.

Analizzando diacronicamente le metafore del processo di apprendimento:


si passa dal considerare destinatario del processo di apprendimento lo studente inteso
come novizio che interagisce con il docente al considerare lo studente come attore del
processo di apprendimento che interagisce con una molteplicità di individui e strumenti.
Si passa dall'osservazione esterna del comportamento da cui inferire processi cognitivi
interiori al tentativo di indagare i processi cognitivi di dentro per poi riposizionare la lente
di osservazione nuovamente al di fuori delle persone, considerando il contesto come ca-
pace di contenere i segni dei processi interni
CAPITOLO 2. IL COMPORTAMENTISMO:

1. I PRESUPPOSTI DEL COMPORTAMENTISMO


Si afferma agli inizi del Novecento nel contesto nordamericano, il comportamentismo
dominerà lo scenario della ricerca scientifica in psicologia almeno fino alla fine degli anni
50.
In primo luogo tale disciplina doveva avere come proprio oggetto di studio il comporta-
mento osservabile e come obiettivo la possibilità di prevederlo e controllarlo, quindi si
doveva adottare un metodo di tipo sperimentale e oggettivo Si dovevano inoltre utilizzare
solo costrutti connessi al concetto di comportamento rifiutando ogni altro elemento con-
cettuale che si riferisse alla mente e ai suoi contenuti. Occorreva infine per fare della psi-
cologia una scienza liberarla da tutte le categorie concettuali ambigue ereditate dalla filo-
sofia come quelle di mente o coscienza e prendere in esame il comportamento come uni-
co elemento oggettivamente osservabile.
Il bersaglio polemico di Watson era l'uso del metodo introspettivo in psicologia introdotto
da Wundt, questo consisteva nell'auto-osservazione dei propri stati psichici da parte di
un soggetto. La critica di Watson era centrata sull'assunto che l'introspezione non garan-
tiva un controllo sulla procedura sperimentale tale da permettere di replicare i risultato ot-
tenuti inoltre Watson sosteneva che questa metodologia ricorreva a categorie descrittive
degli stati psichici quali sensazione, appercezione, volizione soggette a interpretazione
soggettiva e non di chiara definizione.
I riferimenti filosofico-culturali: Darwin, l'idea che le diverse specie viventi si siano evolute
attraverso una progressiva selezione naturale: questa connessione evolutiva tra le specie
risolveva anche alcuni problemi di tipo metodologico: si poteva compiere sugli animali
una serie di esperimenti che sarebbero stati impossibili sull'uomo e generalizzare a que-
st'ultimo le leggi individuate con gli studi sui primi.

2. L'APPRENDIMENTO IN PROSPETTIVA COMPORTAMENTISTA.


Il comportamento di ogni individuo è determinato in modo causale secondo regole co-
stanti, dall'ambiente che presenta all'individuo e stimoli dell'ambiente. L'obiettivo di que-
sto approccio era dunque individuare le condizioni che permettono l'apprendimento ri-
spondendo a tre questioni: come si creano tali associazioni? come si mantengono nel
tempo? come si estinguono?

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Il condizionamento classico, Pavlov, conducendo alcuni studi sui cani aveva rilevato
che questi producevano saliva alla vista delle persone abitualmente addette alla conse-
gna dei pasti. La salivazione al momento di assumere cibo (stimolo incondizionato) è de-
finita "riflesso incondizionato" in quanto reazione automatica innata dell'apparato dige-
rente dell'animale. Invece la salivazione del cane alla vista dell'addetto al cibo è definibile
come una reazione appresa o riflesso condizionato costituitasi tramite associazione tra la
persona (stimolo condizionato) e il cibo (stimolo incondizionato). Pavlov scoprì che era
possibile condizionare la salivazione dei cani attraverso i più svariati stimoli: era sufficien-
te far precedere in diverse presentazioni lo stimolo incondizionato (cibo) dallo stimolo
condizionato (campanello).
I comportamentisti erano convinti di poter favorire l'apprendimento di associazioni nuove
tra stimoli condizionati e risposte condizionate.
Tuttavia tale apprendimento riguardava l'associazione tra comportamenti relativamente
semplici, appartenenti al repertorio innato del soggetto che venivano associati a stimoli
nuovi di per sè non in grado di attivare tali riflessi. In questa prima fase i comportamentisti
studiano il processo per cui un soggetto impara non tanto comportamenti nuovi quanto a
trasferire comportamenti del proprio repertorio innato a situazioni nuove o a combinare
tra loro alcuni di questi comportamenti.

Il condizionamento operante, Skinner, anni 40, si proponeva come comportamentista


radicale sostenendo la necessità di superare la contrapposizione tra comportamenti os-
servabili e fenomeni mentali non studiabili. Anche i fenomeni mentali sosteneva skinner
sono attività che si svolgono all'interno della pelle e quindi riconducibili ai comportamenti
che li manifestano. Studiò il condizionamento operante, introducendo la distinzione tra
due classi di comportamenti: rispondenti e operanti. Quelli rispondenti erano rappresen-
tati dai semplici riflessi condizionati così come erano stati spiegati dai principi del condi-
zionamento classico. I comportamenti operanti erano definiti da Skinner come quei com-
portamenti volontari che appartengono al repertorio del soggetto e che vengono emessi
in assenza di un particolare stimolo che li precede: essi operano sull'ambiente cioè agi-
scono su di esso anzichè subirne l'azione. Se casualmente il topo preme la leva (compor-
tamento operante) e ottiene una porzione di cibo (stimolo rinforzante) e se questa se-
quenza si ripete per un certo numero di volte si può dire che l'azione di premere la leva è
stata condizionata in modo operante. Può essere positivo in quanto lo stimolo rinforzane
produce una situazione piacevole o negativo quando elimina una situazione spiacevole.
Se si parla invece di punizione quando lo stimolo rinforzatore produce una situazione ne-
gativa diminuendo la probabilità di emissione del comportamento cui è associato.

Teoria dell'apprendimento sociale, Bandura e Walters, anni sessanta. Ricorrono al con-


cetto di imitazione per indicare una modalità autonoma di apprendimento del soggetto
non controllata dai principi del condizionamento operante.Osservando il soggetto può
appendere dei comportamenti mai rinforzati prima… rinforzo vicariante.
Un esempio è rappresentato dallo studio di Bandura denominato "della bambola Bobo"
dedicato all'imitazione da parte di giovani telespettatori dei comportamenti aggressivi
esibiti in tv. Studio con bambini di età media 4 anni, prevedendo nel gruppo sperimentale
della ricerca tre gruppi:
nel primo gruppo sperimentale (condizione aggressiva) introdussero un loro collaboratore
che si mostro aggressivo nei confronti di un pupazzo gonfiabile chiamato bobo nel se-
condo gruppo sperimentale (condizione non aggressiva) un altro collaboratore giocava
con costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività nei confronti di
bobo.

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Infine nel terzo gruppo di controllo i bambini non avevano a che fare con alcun adulto che
svolgesse la funzione di modello ma giocavano da soli liberamente.In una fase successi-
va i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano giochi neutri e giochi
aggressivi. Bandura poté verificare che i bambini che avevano osservato l'adulto picchia-
re bobo manifestavano un'incidenza maggiore di comportamenti aggressivi sia rispetto a
quelli che avevano visto il modello non aggressivo sia rispetto a quelli del gruppo di con-
trollo.
Un comportamento relativamente nuovo può essere acquisito da un soggetto semplice-
mente guardando un modello che riceve uno stimolo rinforzatore senza che l'osservatore
debba essere a sua volta rinforzato. Pertanto un bambino che vede l'insegnante gratifica-
re un suo compagno per un certo comportamento cercherà di apprendere quel compor-
tamento perché il suo modello di comportamento è stato rinforzato.

3. LA TEORIA DELL’ISTRUZIONE.
La traduzione educativa dell'approccio comportamentista si richiama in particolare ai la-
vori di skinner ed ' conosciuta sotto il nome di Programmed Instruction, è basata sull'ap-
plicazione all'apprendimento di alcuni principi tipici del comportamentismo:
-Gradualità, il comportamento complesso da apprendere viene scomposto in componenti
più semplici
-Partecipazione attiva, l'allievo non può essere solo ricettivo o rispondente ma deve esse-
re operante ovvero deve essere reso attivo tutto il tempo sul materiale di apprendimento.
-Conoscenza immediata dei risultati, l'allievo deve ricevere un feedback immediato alle
sue risposte per ogni passo di apprendimento
-Adattamento dei tempi del percorso all'allievo: l'alunno deve poter disporre di tutto il
tempo necessario per realizzare una prestazione di buon livello e deve essere indirizzato
verso percorsi di recupero di livello più elementare.

Un ulteriore sviluppo è il Precision Teaching si basa su due principali strumenti: la Stan-


dard Celeration Chart è un grafico che rappresenta la frequenza di risposte corrette e non
corrette a un programma di istruzione contate per minuto, giornata, settimana, mese o
anno. L'analisi di tale grafico permette di apprezzare l'efficacia del programma e modular-
lo in relazione agli affetti via via riscontrati. Il SAFMEDS si basa su una serie di flash cards
contenenti degli stimoli che prevedono la richiesta di una risposta e quindi la sommini-
strazione di un feedback.
Il precision teaching si basa sulla falsificazione di alcuni miti:
- il procedere prima con l'apprendimento di una parte degli stimoli e poi con il resto: i dati
dimostrano che lavorare con l'intero set di carte porta a un apprendimento migliore
- l'apprendimento non può avvenire senza capire mentre in questo caso la comprensione
avrebbe dopo l'apprendimento dell'associazione tra stimoli e risposte corrette.
- il procedere lenti per poi aumentare la velocità di apprendimento mentre in questa tec-
nica l'iniziare a fornire velocemente le risposte aumenta l'accelerazione nell'acquisizione
dei risultati.

4. LE CRITICHE AL COMPORTAMENTISMO
La prima è legata all'emergere dell'approccio cognitivista che attacca l'assunto di fondo
dello schema stimolo risposta: viene messo in discussione il fatto che lo stimolo sia per-
cepito in modo oggettivamente univoco da qualunque soggetto che è chiamato ad asso-
ciare ad esso delle risposte. Per i cognitivisti ogni stimolo che proviene dall'ambiente è
soggetto a un processo di elaborazione interpretativa dell'informazione in esso contenuta.
Un secondo elemento a livello di metodo riguarda il rifiuto del comportamentismo di rico-
noscere scientificità allo studio di ciò che accade nella mente dell'individuo. I cognitivisti

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supereranno questo proponendo la metafora della mente come elaboratore di informa-
zioni.
In particolare l'istruzione programmata non pone la giusta enfasi sulle conoscenze disci-
plinari ne sulle procedure o metodologie che esse utilizzano per produrre conoscenza.
Resta in secondo piano anche l'attenzione al linguaggio e alla comunicazione in classe.

CAPITOLO 3: IL COGNITIVISMO:

1.LA RIVOLUZIONE COGNITIVISTA.


Anni 50. Viene messo in discussione il presupposto che lo stimolo sia percepito in modo
oggettivamente univoco da qualunque soggetto chiamato ad associare ad esso delle ri-
sposte, Gestalt, modello di interazione tra percezioni esterne e schemi mentali interni che
organizzano il materiale percepito in una determinata forma.
Il movimento del New Look aveva evidenziato che la percezione non ' una riproduzione
fedele della realtà fisica. Una serie difattori mentali rendono infatti la percezione un atto
selettivo e interpretativo nei confronti dello stimolo proposto.
Il cognitivismo introduce la mente come oggetto di studio della psicologia.
Il punto di riferimento fu il testo Cognitive Psicology scritto da Ulrich Neisser.

2. MODELLI DI FUNZIONAMENTO DELLA MENTE.


Broadbent, teorizzò una serie di stadi di elaborazione dell'informazione presidiati da di-
verse componenti del sistema cognitivo. Il primo stadio è quello relativo all'analisi senso-
riale degli stimoli. L'informazione passa quindi in un sistema di memoria a breve termine
dove viene analizzata e trattenuta per una durata e una quantità di tempo limitata. Inter-
viene quindi un filtro selettivo che sceglie le informazioni rilevanti facendo in modo che
solo queste passino nella memoria a lungo termine.
Atkinson e Shiffrin ipotizzano tre componenti di memoria:
- un registro sensoriale: un dispositivo connesso all'organo di senso corrispondente che
trattiene l'informazione per un breve intervallo di tempo necessario per effettuare un rico-
noscimento mediante il confronto con le informazioni disponibili nella memoria a lungo
termine. Il risultato del riconoscimento viene trasferito in formato verbale o visuale nella
memoria a breve termine.
- La memoria a breve termine: un dispositivo a capacità limitata, stimata in media nell'a-
dulto in 7 più o meno unità. In esso l'informazione è sottoposta a un ulteriore livello di
elaborazione attraverso delle strategie che ne consentono il mantenimento quali la reite-
razione o l'organizzazione.
- La memoria a lungo termine: un archivio a capacità potenzialmente illimitata in cui le in-
formazioni sono immagazzinate in modo tanto più efficace quanto più elevato è il livello di
elaborazione a cui sono state sottoposte, durante la fase di codifica effettuata dalla me-
moria a breve termine.

Un ulteriore sviluppo è stato apportato da Baddeley e Hitch, che propongono di ridefinire


con l'espressione memoria di lavoro la memoria a breve termine per superare l'idea che
questa sia un magazzino passivo di informazioni. La memoria di lavoro è descritto come
un sistema multicomponenziale. Essa include: un sistema esecutivo centrale, e tre sotto-
sistemi, chiamati: loop fonologico, taccuino visuospaziale e buffer episodico.
-L'esecutivo centrale è responsabile del controllo dei processi esecutivi per la realizzazio-
ne delle azioni.
-Il loop fonologico è costituito da un meccanismo di reiterazione dell'informazione uditi-
voverbale e da un magazzino fonologico dove tale informazione viene mantenuta per bre-
ve tempo grazie al suddetto meccanismo.

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-Il taccuino visuospaziale permette invece di mantenere e manipolare l'informazione visi-
va e spaziale, anch'esso è composto da due sottosistemi: il primo specializzato nel rico-
noscimento di oggetti, il secondo nell'individuazione della loro posizione spaziale.
-il buffer episodico, integra temporalmente l'informazione visuospaziale e fonologica con
possibili altre forme di informazione in una unitaria rappresentazione episodica.

3. DIVERSI TIPI DI CONOSCENZA.


La Conoscenza dichiarativa, ha come contenuti fatti, oggetti e concetti. Tale conoscenza
è consapevolmente accessibile esprimibile in un formato simbolico verbale e quindi fa-
cilmente trasmissibile ad altri mediante il linguaggio. La conoscenza dichiarativa è abi-
tualmente distinta in semantica ed episodica.
-Semantica: si riferisce a quella conoscenza acquisita in forma astratta senza un riferi-
mento di luogo o di tempo. esiste una conoscenza semantica di tipo fattuale e che si rife-
risce a specifici oggetti o fatti e una di tipo concettuale che si riferisce a categorie di tipo
generale . Poichè la conoscenza semantica è presente nella memoria in quantità enorme
si pone il problema della sua organizzazione. Alcuni autori hanno introdotto il concetto di
conoscenza strutturale intendendo indicare quel tipo di conoscenza che descrive le rela-
zioni esplicative tra i concetti in un dato ambito. Altri hanno elaborato il concetto di
schema ovvero un'unità organizzata di un insieme di informazioni riguardanti oggetti si-
tuazioni eventi e azione. L'informazione in uno schema è organizzata in forma gerarchica,
una seconda caratteristica è la connessione con altri schemi. -Episodica: consiste di
memorie marcate temporalmente da specifici eventi della nostra vita, differisce da quella
semantica per contenuto, per aree cerebrali. Mentre la memoria semantica ha una natura
fattuale e concettuale quella episodica è di natura autobiografica. Traumi cranici gravi
possono colpire la memoria semantica e non quella episodica e viceversa.
La Conoscenza procedurale, ha come contenuto il saper fare, il modo in cui usare un og-
getto, un concetto o una strategia di soluzione di un problema. Tale conoscenza ha un
formato basato su sequenze di azioni.
- Gli scripts, sono sequenze di azioni compiute per realizzare uno scopo, organizzate nel-
la memoria come singole entità. Sono utilizzati per affrontare i compiti abituali della vita
quotidiana.
Gli scripts offrono importanti vantaggi: in primo luogo permettono di svolgere le routinarie
azioni della vita quotidiana in modo automatizzato, senza dover impiegare una grande
quantità di controllo consapevole su di esse. Un secondo vantaggio è che attività perce-
pite come complesse durante il loro apprendimento ha consentito la creazione di un nuo-
vo script.
Un terzo vantaggio implica che il processo di scripts permette previsioni sulle azioni che
stanno per avvenire in una data situazione consentendo di affrontarla efficacemente an-
che a livello di relazioni interpersonali. Gli scripts possono presentare però degli inconve-
nienti: quando ci lasciamo guidare da uno script rischiamo di agire in modo automatizzato
senza tenere conto di fattori contestuali e senza affrontare una valutazione critica della
situazione.
- Gli algoritmi, sono regole per la soluzione di problemi che funzionano sempre, procedu-
re efficaci per risolvere problemi ben definiti , ovvero problemi con un risultato ottenibile
con una procedura di soluzione organizzabile in una sequenza di azioni.
- Le euristiche, sono procedure approssimative non sistematizzate per la soluzione di
problemi che spesso funzionano ma non sempre. L'euristica contiene dunque una se-
quenza di azioni basate su una conoscenza approssimata che può essere influenzata da
un cambiamento delle condizioni su cui si basa.
La Conoscenza autoregolativa, è la conoscenza che si ha di sè stessi in quanto soggetti
apprendenti e di come regoliamo il nostro apprendimento. è una dimensione che interagi-
sce con la conoscenza dichiarativa e procedurale allo scopo di realizzare un apprendi-
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mento efficace infatti permette di adattare e autoregolare il proprio apprendimento davan-
ti a un compito e attraverso vari domini. Spesso si utilizza il termine “metacognizione".

4. LA METACOGNIZIONE.
La conoscenza metacognitiva ovvero la percezione del livello di difficoltà del compito e
delle strategie messe in atto per affrontarlo.
L'esperienza metacognitiva che deriva dal livello di conoscenza del compito.
In tempi più recenti le capacitò metacognitive sono state definite come flessibili e diacro-
niche soggette a diverse fasi di sviluppo. Contemporaneamente si riconosce come ele-
mento fondamentale della metacognizione anche il sistema esecutivo per la presa di de-
cisioni quindi le abilità di controllo e monitoraggio delle informazioni. In sintesi raggiunge-
re un buon grado di riflessione metacognitiva significa far diventare consapevole quanto
spesso avviene a livello inconsapevole allo scopo di migliorare le strategie di apprendi-
mento. In tal senso la metacognizione si afferma come la chiave di volta per distinguere
l'apprendimento in chiave cognitivista da quello tradizionale di stampo comportamentista.

5. COGNITIVISMO E APPRENDIMENTO.
La teoria degli schemi:
La teorizzazione sugli schemi descrive l'apprendimento come un cambiamento dello sta-
to della conoscenza del soggetto che può avvenire secondo tre modalità:
-Per accrescimento. si verifica quando si inseriscono info nuove nella struttura di uno
schema preesistente, senza che questi ultimi vengano sottoposti ad alcuna modifica.
-Per sintonizzazione: avviene adattando e affinando lo schema già in possesso del sog-
getto. Ciò accade grazie a ripetute applicazioni di tali schemi che si modificano lentamen-
te e progressivamente.
-Per ristrutturazione: si realizza quando lo schema preesistente si rivela inadeguato a in-
tegrare le informazioni nuove in corso di elaborazione.
Il problem solving: si tratta di un processo cognitivo messo in atto quando si ha a che fare
con un problema per cui non si ha a disposizione in modo evidente un metodo per risol-
verlo. Ha 4 caratteristiche principali:
1. è di natura cognitiva e quindi avviene all'interno del sistema cognitivo del soggetto e
può solo essere inferito indirettamente dal suo comportamento.
2. implica la rappresentazione e la manipolazione di conoscenza nel sistema cognitivo del
soggetto.
3. è diretto in quanto il soggetto nell'affrontare il problema individua un obiettivo che gui-
da la sua azione.
4. è personale poiché la conoscenza che il soggetto possiede definisce la facilità o la dif-
ficoltà con cui gli ostacoli alla soluzione saranno superati.

Il problem solving può essere analizzato nelle componenti dei processi cognitivi che in-
cludono la rappresentazione del problema, la pianificazione della soluzione, l'esecuzione
e il monitoraggio. La rappresentazione avviene quando il solutore di un problema conver-
te il problema dal suo formato "superficiale" in una rappresentazione mentale interna nei
termini di una situation model. Mentre la pianificazione implica un metodo per risolvere il
problema come ad esempio suddividerlo in parti. L'esecuzione avviene quando il solutore
dei problemi applica la procedura scelta mentre il monitoraggio consiste nel valutare l'ap-
propriatezza e l'efficacia della soluzione applicata.
L'apprendimento significativo è quello che avviene attraverso la soluzione di problemi e
che consente di trasferire le strategie elaborate svolgendo una certa attività a nuovi pro-
blemi da risolvere.

6. LA TEORIA DEL'ISTRUZIONE
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Definiscono innanzitutto il concetto di apprendimento significativo riferendosi al modello
del Selct-OrganizeIntegrate (SOI) che riprende le tre componenti dell'architettura della
mente di matrice cognitivista : memoria sensoriale, di lavoro e a lungo termine.
Secondo questo modello l'apprendimento significativo richiede l'attivazione di tre proces-
si cognitivi principali:
1. Selezionare le informazioni rilevanti provenienti dal materiale da apprendere.
2. Organizzare mentalmente le info in una struttura coerente
3. Integrare mentalmente la struttura organizzata con l'informazione già disponibile nella
memoria a lungo termine allo scopo di utilizzarla per agire immediatamente o per imma-
gazzinarla nella memoria a lungo termine.

Mayer e Wittrock individuano sette metodi coerenti con gli assunti del modello SOI:
1. Metodi che riducono il carico cognitivo: i tre processi cognitivi avvengono nella memo-
ria di lavoro che non ha tuttavia una capacità illimitata. Due metodi consentono di affron-
tare questo problema: l'automatizzazione orientata a favorire la padronanza dei processi
di basso livello in modo da poter lavorare senza problemi ad alto livello; la rimozione dei
vincoli in cui il compito è presentato in modo da non richiedere l'uso delle componenti di
basso livello.
2. Metodi basati su strutture: si tratta di metodi che possono innescare l'attivazione dei
tre processi cognitivi del modello SOI in quanto sono basati su strutture di lavoro che
prevedono la manipolazione di oggetti. L'obbiettivo è aiutare chi apprende a creare con-
nessioni tra una situazione concreta e familiare e un livello di conoscenza più astratto. Tali
metodi sono spesso fondati su ambienti di apprendimento basati sul computer.

3. Metodi basati sull'attivazione di schemi: sono orientati a facilitare l'integrazione tra co-
noscenze e nuove informazioni mediante l'attivazione di schemi già in possesso del sog-
getto che apprende e sono particolarmente efficaci con soggetti non esperti. Tre metodi:
1.gli organizzatori anticipati ovvero materiale informativo sul tema presentato prima di una
lezione o all'inizio di un capitolo di un libro. 2.i pre-training esperienze concrete presenta-
te prima di una sessione di studio, inerenti il tema da affrontare.

4. Metodi generativi: richiedono al soggetto che apprende di generare esplicitamente re-


lazioni tra la conoscenza che ha già a disposizione e l'informazione che deve essere ap-
presa.
Tra questi troviamo:
1. i metodi elaborativi nei quali è esplicitamente richiesto allo studente di spiegare come
il nuovo materiale da apprendere si ponga in relazione con quanto egli sa già.
2.prendere appunti per sintetizzare le nuove info e creare nessi con quanto è già loro
noto.
3.Porsi domande per ogni paragrafo di un testo letto per cercare risposte nel testo e in
ciò che si sa già.

5. Metodo di scoperta guidata: sono finalizzati all'attivazione dei processi cognitivi di chi
apprende mediante la proposta di un problema da risolvere. Tali metodi risultano più coe-
renti di altri con il modello SOI. I metodi basati sulla scoperta pura infatti tendono a favori-
re i processi di integrazione, stimolando la ricerca di conoscenze nella memoria a lungo
termine per generare nuove idee e la loro organizzazione ma non la selezione delle info.

6. Metodi basati sul modellamento: si fondano sull'azione di un esperto che mostra a un


non esperto come risolvere un problema e in alcuni casi fornisce spiegazioni su vari pas-
saggi. 1.Fornire esempi. 2.Apprendistato.

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7. Metodi di insegnamento di abilità di pensiero: l'insegnamento diretto di abilità di pro-
blem solving può essere articolato secondo due direttrici: a) l'insegnamento di abilità di
problem generale basato su corsi e programmi che tendono a promuovere abilità non le-
gate a contenuti specifici. b) l'insegnamento di abilità di dominio specifiche.

7. LE CRITICHE AL COGNITIVISMO.
La prima ha a che fare con il modo di procedere alla modellizzazione della mente. La
messa a punto di teorie che sostengono l'esistenza di distinti sistemi di memoria implica
necessariamente l'introduzione di dispositivi di controllo che a la loro volta devono essere
controllati da altri sistemi con il rischio di un processo di regressione all'infinito. è il cosid-
detto "limite dell'homunculus" dei modelli cognitivisti: ovvero la tentazione di ipotizzare
l'esistenza di un'entità interiore che dovrebbe supervisionare tutti i dispositivi di memoria
o di controllo per prendere decisioni su come essi agiscono ma che a sua volta dovrebbe
essere controlla da un'altra entità interiore e così via. Tale obiezione proviene dal connes-
sionismo.
Il secondo rilievo critico riguarda la scarsa considerazione rivolta dai cognitivisti all'am-
biente ecologico in cui il soggetto opera. Lo stesso Neisser esprimeva la consapevolezza
di tale limite già nel testo. Scarsa importanza è attribuita anche al contesto sociale e cul-
turale in cui i processi cognitivi vengono messi in gioco.

CAPITOLO 4. PIAGET E VYGOTSKIJ:

1. PIAGET.
I bambini si formano idee precise su come funziona il mondo, da dove traggono queste
idee? non possono essere innate perchè altrimenti resterebbero immutate nel corso dello
sviluppo ne tanto meno possono essere apprese dagli adulti perchè gli adulti interpretano
questi fenomeni in modo diverso. Sono costituite dai bambini stessi, grazie all'incontro
dinamico tra le loro strutture mentali e le esperienze che realizzano nel mondo.
Aspetti che emergono:
- la visione della struttura della mente come modificabile con il tempo e con l'esperien-
za. Questo implica che la differenza tra le capacità mentali degli aduli e dei bambini
non è solo quantitativa ma piuttosto qualitativa consistente in una diversa organizza-
zione della struttura cognitiva determinata proprio dall'esperienza. La struttura cogniti-
va di base è lo schema ovvero un insieme di comportamenti, azioni, informazioni e in-
terpretazioni capaci di guidare comportamenti intelligenti, ovviamente adeguati all'età
considerata.

- La capacità dei bambini di modificare gli schemi di base alle loro esperienze ovvero la
capacità di essere "costruttivisti", questo si esplica attraverso due processi di natura bio-
logica. l'Assimilazione e l'Accomodamento. L'assimilazione lascia lo schema inalterato
preferendo invece elaborare le esperienze in modo da renderle spiegabili con lo schema
disponibile. L'accomodamento invece induce un cambiamento dello schema i dati osser-
vati nel mondo non sono più spiegabili con lo schema disponibile. L'accomodamento in-
vece induce un cambiamento dello schema: i dati osservati nel mondo non sono più
spiegabili in nessun modo con lo schema attuale che necessariamente viene modificato.

Le funzioni dell'assimilazione e dell'accomodamento operano in modo sinergico l'una con


l'altra così da creare sempre nuovi equilibri tra il rafforzamento degli schemi già posseduti
e la loro evoluzione verso nuovi schemi con sempre maggiore potere esplicativo della
realtà. Questo meccanismo è definito da Piaget equilibrazione ed è il principale fattore
che spiega come mai alcuni bambini progrediscono più velocemente di altri.
Piaget elaborò una teoria dello sviluppo fondata sul susseguirsi di tre periodi:
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1. Senso-motorio (nascita-18/24 mesi)
2. Intelligenza rappresentativa (18/24 mesi agli 11-12 anni)
-periodo preoperatorio in cui compare prima il pensiero preconcettuale (dai 2 ai 4 anni) e
poi il pensiero intuitivo (4 ai 7-8anni)
-periodo operatorio concreto (dai 7-8 agli 11-12)
3. Operatorio formale (dopo i 11-12 anni). Muoversi lungo questa linea evolutiva significa
passare da un iniziale pensiero egocentrico che non permette di immaginare un mondo
diverso da quello proprio mancando quindi di distinguere il proprio punto di vista da quel-
lo altrui a un pensiero capace di ragionare per simboli e di rappresentarsi l'altro. Durante
le prime fasi dello sviluppo il mondo esterno, gli altri e gli oggetti che lo compongono esi-
stono in quanto prolungamenti del Sè. il passaggio da un stadio all'altro implica il pro-
gressivo riconoscimento dell'altro come diverso da sè, portatore di un punto di vista diffe-
rente dal proprio. Piaget dimostra queste ipotesi con alcuni test: ad esempio quello delle
tre montagne.

2. IL RUOLO DELL'APPRENDIMENTO PER PIAGET


Educazione: intervento formativo e formalizzato da parte di un adulto. L'apprendimento si
adegua alle fasi dello sviluppo. La conoscenza non va semplicemente trasmessa ma oc-
corre creare situazioni in cui possa essere acquisita attivamente, costruita e ricostruita da
parte di chi apprende.
Per Piaget il modo migliore per ottenere questo effetto è permettere ai bambini di mani-
polare gli oggetti, in quanto è proprio attraverso l'azione sugli oggetti che diventa possibi-
le acquisire efficacemente nuove informazioni e conoscenze. L'adulto deve saper ricono-
scere il livello cognitivo e intellettivo del bambino. Di conseguenza i curricoli ispirati alle
teorie piagetiane propongono una filosofia centrata sulla studente a cui è chiesto di esse-
re attivo costruttore delle proprie conoscenze. Questo implica allestire ambienti stimolanti
che diano la possibilità di assimilare e accomodare attraverso l'esplorazione, la manipola-
zione, la sperimentazione, il porre domande e il cercare da soli le risposte. Gli insegnanti
dovrebbero occuparsi di preparare e predisporre situazioni e occasioni che permettano
agli studenti di scoprire e imparare autonomamente.

Imparare significa scoprire o ricostruire attraverso la ri-scoperta e queste condizioni de-


vono essere mantenute se vogliamo che in futuro le persone siano capaci di essere pro-
duttive e creative e non semplicemente di riprodurre. Adulti, insegnanti e formatori devo-
no preoccupasi di capire quali siano gli stimoli e le situazioni per loro adeguati in modo da
sostenere lo sviluppo ma anche da garantire una formazione intellettuale e morale. Infatti
le regolo e i sentimenti morali non sono secondo Piaget caratteristiche innate ma piutto-
sto si formano gradualmente e hanno bisogno di un ambiente sociale adeguato.

3. VYGOTSKIJ.
Dalla tradizione marxista Vygotskij prende l'idea del materialismo storico e la applica alla
struttura della psiche, similmente per Vygotskij il contesto storico-sociale ed economico
determina la struttura psicologica degli individui.
Vygotskij rifiuta l'idea di una psiche determinata in età precoce, radicata nel passato, go-
vernata da leggi inconsce o inconsapevoli. La struttura psicologica degli esseri umani si
determina e si modella invece sulla base dell'agire nel mondo, manipolando oggetti e
svolgendo azioni intenzionalmente rivolte verso la produzione.
È l'azione svolta con il supporto di strumenti che crea il pensiero. Si tratta di azioni che
entrano a far parte delle funzioni psichiche superiori, specifiche degli esseri umani che si
contrappongono alle funzioni psichiche inferiori che invece accomunano tutti gli esseri
viventi.

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In ogni caso V. ritiene che le capacità cognitive entrano a far parte delle FPS dopo aver
attraversato tre momenti: prima come abilità per sè, poi come abilità per gli altri e infine
come abilità per se stessi.
Dapprima a livello sociale e solo successivamente a livello individuale. La dimensione so-
ciale è quindi il vero promotore dello sviluppo inteso come movimento verso le forme di
pensiero intersoggettive costituite dall'interiorizzazione dell'altro.
La psicologia proposta da V. ha come oggetto di studio privilegiato il comportamento
umano complesso, che riguarda le attività quotidiane finalizzate alla realizzazione di obiet-
tivi concreti e che necessitano di coordinamento sociale.
V. concettualizza lo sviluppo come il passaggio verso nuove zone di sviluppo prossimale
non definite a priori i cui punti di partenza e du arrivo sono sempre più avanzati proprio
grazie all'accumulazione intergenerazionale.
La zona di sviluppo prossimale è definita come la distanza tra lo sviluppo attuale e quello
potenziale, colmabile grazie all'aiuto di altri più capaci. Lo sviluppo si configura così come
un passaggio da una zona di sviluppo attuale ovvero la zona delle capacità raggiunte e
consolidate a una zona di sviluppo prossima vicina a quella attuale che già contiene i
semi delle capacità che sbocceranno nella nuova zona.

La differenza con la teoria di Piaget è profonda: lo sviluppo non è autodiretto dal bambino
stesso che è capace di passare da una struttura all'altra, è invece eterodiretto dal conte-
sto che deve stimolare, attivare il meccanismo di passaggio da una zona attuale a una
prossimale.
V. tenta di superare la visione genetica dello sviluppo proposta da Piaget e mette mag-
giormente in primo piano gli aspetti sociali dello sviluppo. Uno degli aspetti della ZSP è la
natura dell'unità dello sviluppo. Lo sviluppo verso nuove ZPS è un processo caratterizza-
to da un progressivo ampliamento non solo quantitativo ma anche qualitativo delle FPS
che risultano sempre più interconnesse. Accedere a una nuova ZPS implica uno sviluppo
globale come persona e nuove funzioni psichiche possono emergere mentre alcune vec-
chie funzioni possono scomparire. Questo significa che l'unità di sviluppo non resta inva-
riata ma al contrario varia inevitabilmente diventando sempre più complessa.
Questa crescente complessità è dovuta anche al radicamento nel contesto storico-cultu-
rale dello sviluppo ed è per questo che Vygotskij finisce con il considerare la ZPS non
tanto come qualità dei singoli individui e nemmeno come una caratteristica del contesto
ma piuttosto come uno spazio simbolico che emerge dall'interazione tra individui e con-
testo.

4.IL RUOLO DELL'APPRENDIMENTO PER VYGOTSKIJ.


L'apprendimento precede lo sviluppo e lo determina. Promuovere l'apprendimento quindi
significa promuovere nuove zone ZPS.
Le ZPS hanno una componente soggettiva e una sociale. La prima basata sull'imitazione:
si impara a essere attivi in certi contesti inizialmente imitando gli adulti e poi diventato
gradualmente sempre più autonomi e indipendenti.
È anche evidente l'importanza della relazione con un adulto o un pari più capace ed è
questo aspetto che costituisce la componente sociale. La modalità con cui si struttura
tale relazione è definita scaffolding.
Letteralmente "impalcatura" è un azione complessa, composta da diverse fasi. La prima è
proprio l'imitazione, in cui si pongono le basi della relazione adulto-bambino. Durante
questa fase l'insegnante fa vedere come si fa, come si svolge l'azione e fornisce così un
modellamento. Segue la fase dell'appropriazione durante la quale il novizio si appropria di
parti sempre più rilevanti dell'azione, effettuandole da solo ma sotto la sorveglianza del-
l'adulto. Alla fine il novizio sarà in grado di svolgere l'azione da solo e potrà anche ag-

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giungere allo stile dell'esperto che ha inizialmente imitato. Obbiettivo finale è rendere lo
studente capace di offrire a sua volta scaffolding a un pari meno esperto.
Vygotskij stesso offre alcuni esempi illuminanti di come effettuare lo scaffolding. Una mo-
dalità consiste nel mostrare al bambino come dovrebbe essere risolto un certo problema
e poi guardare se riesce a risolverlo da solo, imitando quanto appena osservato. Oppure
l'adulto comincia a risolvere il problema e poi chiede al bambino di completarlo.
Nello specifico del contesto scolastico, lo scaffolding implica che lo studente prima os-
servi il docente svolgere una certa attività, successivamente lo imiti svolgendo in auto-
nomia pezzi sempre più ampi du attività fino a svolgere completamente da solo il compi-
to, magari personalizzando e migliorando quanto osservato. L'obbiettivo ultimo è pro-
muovere l'autonomia degli studenti, il senso di empowerment, dell'avere fiducia nel po-
tercela fare e di poter contribuire creativamente anche a migliorare l'attività stessa.

L'insegnante svolge un ruolo fondamentale in quanto strumento di mediazione tra lo stu-


dente e il mondo. V. ritiene la mediazione dell'adulto imprescindibile quando vi sono im-
plicati scopi educativi: il bambino non può essere lasciato da solo a esplorare il mondo, il
docente deve accompagnarlo, stimolarlo e fornirgli lenti interpretative adeguate al mondo
in cui vive. è questa la funzione ampia che Vygotskij assegna alla scuola. Fornire stru-
menti di mediazione adeguati per interpretare e participare attivamente al proprio mondo.
La scuola deve assumersi il compito di offrire strumenti per un'evoluzione culturale per
promuovere occasioni di sviluppo per gli svantaggiati, per cambiare il modo di pensare
dei cittadini a favore della coesione sociale, della condivisione, della partecipazione e del
supporto reciproco.
Pedagogia: si tratta di una scienza che si occupa del fanciullo nella sua totalità: dagli
aspetti biologici a quelli psicologici e sociologici e ovviamente pedagogici, scolastici ed
educativi.

CAP 5: L'APPORTO DEL COSTRUTTIVISMO DOPO PIAGET.

1. DAL MITO DELLA CAVERNA AL RUOLO DEL CONTESTO


Gli antecedenti filosofici. La natura del contesto è soggettiva e costruttiva e ciò che ve-
diamo non è la descrizione, la riproduzione o il rispecchiamento di un mondo che esiste
di per sè a priori ancora prima che noi lo vediamo o ne facciamo esperienza ma è piutto-
sto il nostro personale modo di vedere, sentire e organizzare la nostra esperienza nel
mondo. Questo è l’antecedente filosofico del costruttivismo che fa esplicito riferimento al
mito della caverna di Platone: l'uomo è come incatenato in caverne da cui non ha acces-
so alla realtà ma solo a ombre proiettate sulle pareti. Tutto ciò che vediamo, impariamo,
percepiamo è frutto di un'inevitabile attribuzione di senso come se storia, contesto, cultu-
ra ci avessero dotati di più se davvero esista una realtà oggettiva: gli esseri umani non vi
possono accedere perchè costretti a interpretare e dare senso a tutto ciò che li circonda.
Il contesto viene definito come ciò che resta nello sfondo quando si mette l'uomo in pri-
mo piano. La cosiddetta "variabile di contesto" era quindi una variabile di sfondo qualco-
sa fuori dall'uomo che interferiva con il suo comportamento e che poteva essere control-
lata, manipolata o esclusa.
Per i comportamentisti il rinforzo costituiva un esempio di elemento contestuale in grado
di modificare il comportamento umano. si delinea un rapporto semplice e unidirezionale
tra contesto e apprendimento: il contesto fornisce gli stimoli per l'apprendimento ce
quando manipolati dall'uomo diventano rinforzi.
Successivamente il cognitivismo, con Fodor si propone una definizione di contesto come
intreccio tra le linee di sviluppo determinate dalla natura e quelle prodotte dalla cultura. Il

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contesto è quindi costituito da filtri cognitivi modulari che fanno parte del patrimonio ge-
netico dell'uomo e che si sviluppano tenendo conto dei vincoli culturali.
Questa teoria accetta un'idea mentalista che immagina la relazione con il contesto stret-
tamente dipendente dal funzionamento della mente umana.
Dalle opere di Vygotskij emerge un'idea di contesto come ambiente socioculturale in gra-
do di fornire stimoli intesi a far progredire lo sviluppo. Il contesto attiva lo sviluppo spin-
gendo gli individui verso zone di sviluppo prossimali ed è quindi la chiave in grado di met-
tere in moto lo sviluppo, rendendo significativi e necessari funzioni e processi che altri-
menti resterebbero dormienti.
Questa idea di contesto è stata successivamente rielaborata in tre diverse direzioni:
1. Una visione socioecologica
2. una definizione di contesto come un insieme di onde che fluttuano all'unisono. Questa
metafora permette di enfatizzare l'idea di co-costruzione del conteso. Il contesto sarà de-
terminato dall'insieme di norme, valori, ideologie, visioni e prospettive individuali, sociali e
istituzionali che determina il modo in cui una particolare attività viene svolta.
3. Una visione basata sulle istanze dell'antropologia linguistica il contesto si espande per-
ché aumentano conoscenze e prospettive; per altri si restringe, perché si escludono e si
trascurano certi aspetti e si compiono continue scelte di inclusione e di esclusione.

2. IL CONFLITTO SOCIOCOGNITIVO
Tra gli approcci che adottano una visione di apprendimento dentro i contesti possiamo
collocare la concettualizzazione piagetiana che ha messo in evidenza il ruolo del conflitto
cognitivo nel favorire lo sviluppo intellettuale del soggetto. Tale conflitto si verifica quando
l'individuo non riesce ad applicare gli schemi cognitivi da lui posseduti agli oggetti del-
l'ambiente con cui interagisce ciò provoca un disequilibrio del sistema cognitivo che ri-
chiede la modifica di tali schemi in una direzione di maggiore complessità.
Piaget ipotizza tre tipi di trasformazioni che la cooperazione provocherebbe nelle attività
di pensiero:
- consentire la riflessione e lo sviluppo della coscienza di sè
- permettere di distinguere la dimensione soggettiva da quella oggettiva
- condurre a forme di regolazione tra i cooperanti che spingono ogni soggetto a fare pro-
prie le regole del pensiero logico.

Nella scuola di Ginevra di Psicologia sociale dello sviluppo, Mugny e Doise definiscono il
conflitto sociocognitivo come un conflitto di comunicazione tra due partner di pari livello
cognitivo impegnati ad affrontare insieme un compito che richiede una risposta unica e
condivisa. Tale forma di conflitto diviene una sorgente di un doppio disequilibrio che si
realizza contemporaneamente sul piano cognitivo e sociale. è un disequilibrio cognitivo in
quanto il soggetto che affronta un compito con un partner di pari livello cognitivo si trova
a confrontarsi con il punto di vista del partner, centrato su una diversa interpretazione del
compito, e quindi conflittuale rispetto a quello da lui espresso: il soggetto non riesce a
integrare in un primo momento i due diversi punti di vista in un tutto coerente.

Il processo che può portare a una elaborazione produttiva di un conflitto sociocognitivo


viene chiamato regolazione epistemica e implica il cercare di rielaborare il compito, met-
tere in discussione ciascun punto di vista, esaminare la validità di ciascuna proposta fino
a giungere a una risposta soddisfacente per entrambi i partner.
Perchè il conflitto sociocognitivo è importante per l'apprendimento? studi riaggrupati in 3
generazioni.

2.1 PRIMA E SECONDA GENERAZIONE

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-Prima, tali ricerche hanno perseguito l'obbiettivo di verificare empiricamente l'ipotesi che
le interazioni sociali favoriscano lo sviluppo di operazioni cognitive più complesse.
Il dispositivo sperimentale alla base di tali studi svolti solitamente con bambini tra i 5-7
anni è articolato in tre fasi successive:
1. Una fase di pre-test: ai bambini viene sottoposta individualmente una prova cognitiva.
2. I bambini che non risolvono correttamente la prova formano due gruppi: uno di sogget-
ti che lavorano in coppia in cui è prevista l’interazione tra partner per osservare le loro at-
tività di cooperazione e divergenze di punti di vista e uno di soggetti in cui l’interazione
non è prevista.
3. Una fase di post test: ai bambini viene proposto individualmente un compito analogo a
quello del pre-test per individuare eventuali cambiamenti nelle risposte rispetto al pre-
test.

I risultati di tali studi:


• I soggetti giungono a costruire nelle situazioni di interazione, strumenti cognitivi che an-
cora non padroneggiato a livello individuale, coordinando le proprie azioni con quelle dei
rispettivi partner coetanei.
• I soggetti giungono a costruire nelle situazioni di interazione, strumenti cognitivi che an-
cora non padroneggiato a livello individuale, coordinando le proprie azioni con quelle dei
rispettivi partner coetanei.
• I soggetti che partecipano a situazioni di interazione sociale diventano poi capaci di
eseguire da soli compiti di difficoltà analoga a quella affrontata nelle suddette situazioni.
Questo significa che i soggetti hanno costruito nella situazione di interazione una più
elaborata modalità di risolvere i compiti e la padroneggiano successivamente come
strumento cognitivo personale.
• I soggetti che affrontano un certo tipo di compito in una situazione di interazione hanno
costruito una nozione o una regola più generale che possono utilizzare in compiti dello
stesso tipo.

L’ipotesi interpretativa dei risultati di questi lavori è che le interazioni sociali diventano
fonti di progresso cognitivo proprio attraverso il conflitto sociocognitivo che si stabilisce
tra i partner e che viene risolto attraverso l’elaborazione di soluzioni cognitivamente mi-
gliori rispetto a quelle elaborate dal singolo.

Seconda generazione: l’azione congiunta di più partner produce progresso cognitivo e


arricchisce il modello interpretativo del conflitto sociocognitivo, mostrando che i benefici
dell’interazione possono essere presenti anche nel caso in cui l’interazione non sia espli-
citamente conflittuale. Ciò avviene in quanto i partner si aiutano sia per comprendere lo
scopo del compito che può all’inizio essere poco chiaro, sia nel correggere e modificare
le procedure di soluzione inizialmente adottate giungendo proprio grazie all’interazione a
costruire una procedura più efficace per risolvere il compito.

2.2 GLI STUDI DI TERZA GENERAZIONE E IL CONTRATTO DIDATTICO


Gli studi di terza generazione spostano la focalizzazione dell’analisi sull’attività interpreta-
tiva che il soggetto compie riguardo al compito e al contesto. Le interazioni non solo
conducono alla costruzione di una soluzione più complessa di un compito ma anche alla
costruzione del significato del compito stesso e del contesto in cui esso si svolge. Tale
nuova prospettiva è espressa efficacemente dalla nozione di contratto didattico, ovvero
qual sistema di regole esplicite e implicite che strutturano la relazione tra insegnante e
allievi, regole che possono variare in funzione del tipo di studi e di altre variabili. La fun-
zione del contratto didattico è quella di definire le coordinate entro le quali i partner pos-

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sono interagire allo scopo di organizzare e orientare le loro azioni e di focalizzare la loro
attenzione su certe caratteristiche della situazione, a discapito di altre.

Sono state definite 4 norme che spesso regolano il contratto didattico tra insegnanti e
alunni:
1. La relazione insegnanti-alunni è assimetrica: insegnanti e alunni non hanno gli stessi
diritti e gli stessi doveri.
2. Gli alunni nelle situazioni scolastiche si aspettano che l’insegnante ponga interrogative
a cui sia sempre possibile fornire una risposta corretta.
3. Gli alunni si aspettano che l’insegnante formuli una domanda in modo tale da indicare
se non addirittura suggerire la risposta corretta.
4. Gli alunni si aspettano che i dati di un problema siano necessari, sufficenti e pertinenti
per individuare la soluzione.

Il contratto didattico è guidato da regole sociali implicite e sistemi di aspettative reci-


proche che sussistono in particolare nelle relazioni assimetriche. Si tratta di contratti im-
pliciti.
Il contesto è uno scenario governato da regole che contribuiscono a dare senso ai compi-
ti ed è dinamicamente prodotto dall’attività degli individui al punto che può essere definito
come una risorsa costruita entro e attraverso le interazioni.

3. APPRENDIMENTO COME CO-COSTRUZIONE DI CONOSCENZA


Esamineremo come la collaborazione tra gli studenti diventi un elemento chiave per un
apprendimento significativo orientato alla costruzione collaborativa di conoscenza.

3.1.IMPARARE DISCUTENDO: LA CENTRALITA’ DELL’INTERAZIONE DISCORSIVA IN


CLASSE.
Apprendimento collaborativo nelle situazioni in cui gli studenti sono impegnati in modo
coordinato e continuativo nel risolvere un compito, di cui occorre costruire una compren-
sione condivisa. La collaborazione è vista come un impegno congiunto verso un obbietti-
vo comune, caratterizzato da reciprocità nell’interazione e da una negoziazione di signifi-
cati. Barnes e Todd hanno messo in evidenza un interessante fenomeno che hanno chia-
mato exploratory talk. Questo si verifica quando un parlante articola un pensiero semi
elaborato e lo presenta in forma ancora incompleta più come un’ipotesi da sviluppaƌe
che come un’asserzione definitiva, così che possa essere oggetto di riflessione sia per sé
mentre lo esprime che per chi ascolta, affinché sia ascoltato e commentato.
La discussione come co-costruzione di conoscenza: l’attività cognitiva individuale viene
sviluppata grazie all’attività svolta congiuntamente con gli altri coetanei o adulti più esper-
ti.
La realizzazione di una discussione richiede da parte dall’insegnante di predisporre alcu-
ne condizioni particolari:
La realizzazione di una esperienza condivisa, su un tema generale che fornisca un’area
comune di significati e che possa far emergere domande, preconoscenze e diversità di
punti di vista.
La proposta o l’individuazione di un problema da parte dell’insegnante.
Il cambiamento delle regole di partecipazione nella comunicazione: l’insegnante non è più
concentrato nel controllare la successione degli interventi ma piuttosto coordina lo svol-
gimento della discussione favorendo transizioni di turno spontanee • La conduzione del-
l’insegnante è orientata a favorire l’espressione del punto di vista di ciascuno e la co-co-
struzione di conoscenza mediante una strategia comunicativa particolare che comprende

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“rispecchiamenti” Durante la discussione dunque la classe si configura come una mente
collettiva che articola un ragionamento.
I dati di ricerca confermano l’efficacia dell’interazione sociale nel far crescere negli stu-
denti strategie di pensiero e di apprendimento di natura sociale e culturale che implicano
anche la riflessione sul proprio pensiero.

3.2 COSTRUIRE CONOSCENZA A SCUOLA: KNOWLEDGE BULDING COMMUNITY


Messa a punto negli ultimi vent’anni da Scardamalia e Bereiter dell’Università di Toronto:
la classe scolastica viene ripensata come una comunità in cui l’apprendimento è finalizza-
to alla creazione di nuova conoscenza utile anche alla comunità più ampia a cui essa ap-
partiene.
Occorre preparare le nuove generazioni a vivere nella cosiddetta società della cono-
scenze, espressione che indica come il contesto sociale e culturale attuale sia caratteriz-
zato dall’accesso a una quantità enorme di informazioni.
Per chiarire cosa si intende per “costruzione di conoscenza” Bereiter sottolinea che la
realtà fisica può in realtà essere conosciuta a due diversi livelli: uno relativo alla cono-
scenza personale di tale realtà, l’altro relativo alla conoscenza sociale e culturale.

La conoscenza personale si caratterizza in termini di rappresentazione mentale individua-


le mentre la conoscenza sociale e culturale della realtà è retificata in un insieme di artefat-
ti concettuali e materiali culturalmente condivisi oltre i confini della comunità che l’ha ela-
borata.

Una classe che voglia diventare una comunità che costruisce conoscenza deve operare a
livello di mondo 3 finalizzando la sua attività di apprendimento alla costruzione di una
nuova conoscenza mediante un’attività di indagine collaborativa. L’insegnamento diviene
in tal senso un’attività di organizzazione di tale processo di indagine in cui la classe opera
attraverso in sistema di attività interconnesso sostenuto come vedremmo più avanti dalla
tecnologia e finalizzato alla costruzione di artefatti concettuali e materiali utili alla comuni-
tà stessa.

Il modello della KBC sottolinea come la conoscenza sia un prodotto a “responsabilità col-
lettiva”che viene costruita collaborativamente mediante la consultazione di fonti aggiorna-
te e autorevoli soggetta a una valutazione trasformativa delle idee e distribuita all’interno
della comunità stessa quindi non di competenza esclusiva dell’insegnante. Si assiste
dunque a una democratizzazione della conoscenza in quanto il valore di quest’ultima è
sostenuto dall’onere di produrre prove scientificamente valide.

Gli studenti assumono così la diretta responsabilità dello sviluppo della conoscenza della
comunità concorrendo a definire strategie di lavoro ed esprimendo anche una valutazione
personale e continua del percorso intrapreso.

Parallellamente alla KBC i ricercatori canadesi hanno sviluppato un ambiente online. Si


tratta di un database condiviso in cui gli studenti possono inserire note descrittive della
propria attività di indagine, contenenti testi, grafici o immagini. Inoltre è possibile collega-
re le proprie note a quelle altrui e in tal caso le note vengono chiamate Build on. Tali di-
spositivi si configurano come veri e propri scaffolds di tipo metacognitivo.
Gli studenti possono periodicamente realizzare una selezione dei contenuti delle note
scritte dalla comunità, utilizzando dei dispositivi speciali chiamati Rise above che consen-
tono di fare il punto della situazione rispetto alla conoscenza costruita.

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4. PARLARE DI TEORIA DELL’INTELLIGENZA OGGI: GARDNER E LE INTELLIGENZE
MULTIPLE.
L’assunto di partenza dell’elaborazione teorica di Gardner è che gli esseri umani possono
essere meglio compresi nel loro funzionamento cognitivo se si ipotizza che essi siano
possessori di un numero relativamente indipendente di facoltà intellettive, piuttosto che di
un’ intelligenza rappresentata come facoltà unitaria. La sua presa di distanza è sia dalla
tradizione e di ricerca psicometrica del test sul quoziente intellettivo.
Gardner formula una definizione di intelligenza intesa come capacità di risolvere problemi
o di creare prodotti, apprezzati all’interno di uno o più contesti culturali. Egli individua al-
cuni criteri che permettono di isolare le diverse forme di intelligenza teorizzate:
1. Isolamento potenziale dovuto a donna cerebrale
2. Esistenza di soggetti eccezionali, prodigiosi o savants
3. Esistenza di una particolare operazione o di un set di operazioni interconnesse
4. Una storia evoluzionistica ed evoluzionisticamente plausibile.

Gardner arriva ad individuare 7 forme diverse di intelligenza:


1. Linguistica: padronanza e passione per il linguaggio e le parole, con la manifestazione
del desiderio di una loro esplorazione.
2. Logico-matematica: capacità nel confrontare e valutare oggetti e astrazioni e discerne-
re le loro relazioni e i sottostanti principi.
3. Musicale: competenza non solo nel comporre e realizzare brani con tono ritmo e timbro
ma anche nell’ascoltare e distinguere.
4. Spaziale: abilità a percepire il mondo visuale accuratamente a trasformare e modificare
la percezione e ricreare esperienze visuali anche in assenza di stimoli.
5. Corporeo-cinestesica: controllare e orchestrare abilmente i movimenti del corpo e la
manipolazione degli oggetti.
6. Intrapersonale: capacità di individuare i propri umori, sentimenti e stati mentali e di
usare queste informazioni per guidare il proprio comportamento.
7. Interpersonale: capacità di individuare umori……… altrui Gardner svolge una riflessio-
ne critica sull’istituzione scolastica che privilegia generalmente modalità di insegnamento
e di valutazione di tipo linguistico e logico-matematico. In che modo è possibile far sì che
la scuola si apra e promuova i diversi tipi di intelligenza?

1. L’apprendistato: è un sistema formativo diffuso al di fuori del contesto scolastico. Esso


utilizza come modalità formative l’osservazione e l’imitazione, un soggetto che vuole ac-
quisire una competenza osserva, imita e viene guidato da un esperto nel realizzare una
certa attività. Questo sistema consente all’apprendista di rendersi conto dell’utilità delle
varie abilità e del modo in cui l’esperto opera in un contesto reale. Si impara non soltanto
con il linguaggio ma anche attraverso l’osservazione e l’agire concreto.
2. Il museo del bambino: suggerisce la costruzione di un ambiente di apprendimento che
contenga pezzi reali della nostra cultura. I musei scientifici o i musei per bambini che esi-
stono nella realtà sono infatti luoghi di attività in cui i bambini possono sperimentare dal
vivo varie situazioni di apprendimento.
Gardner propone di creare degli ambienti a scuola con materiali realmente usati da chi
svolge un’attività professionale nella nostra società, materiali che implichino l’utilizzo dei
diversi tipi di intelligenze.
3. Il brinding: interessante per interventi con studenti in difficoltà. Possiamo ipotizzare che
se un soggetto non è particolarmente predisposto nell’intelligenza che dovrebbe favorirlo
in un particolare ambito disciplinare, l’insegnante possa cambiando strategia di insegna-
mento, fare affidamento su un’altra forma di intelligenza di cui egli è dotato che faccia da
ponte per l’accesso a quei contenuti disciplinari.

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5. CRITICHE AL SOCIOCOSTRUITTIVISMO
Rischio che nell’analizzare le attività nel contesto il sociocostruttivismo radicalizzato pos-
sa dissolvere il soggetto e i suoi processi cognitivi.

CAPITOLO 6: GLI APPROCCI POST-VYGOTSKJANI


1. LA PSICOLOGIA CULTURALE
È uno degli approcci che ha meglio capitalizzato l'eredità post-vygoskijana, uno dei suoi
obbiettivi è comprendere il processo di accumulazione di informazioni e competenze di
cui l'uomo è capace.

1.1 IL CONTRIBUTO DI BRUNER


Sostiene che la relazione tra cultura collettiva e mente individuale è un tema che ha da
sempre interessato la psicologia.
Secondo Bruner oggetto della psicologia culturale è proprio indagare come gli individui
attribuiscono senso al mondo, come si relazionano al sistema di senso già stabilito dalla
cultura di cui fanno parte, come si appropriano di significati condivisi socialmente, delle
credenze, dei valori e dei simboli culturali trasformandoli attraverso il loro uso.
La principale preoccupazione della psicologia culturale diventa capire come gli individui
costruiscono la loro realtà sulla base di una cultura. Pertanto si tratta di reintrodurre la
psiche nella cultura e la cultura nella psiche. La mente è invece un insieme di processi
tutti rivolti verso l'attribuzione di significato, processi complessi, confusi, ambigui, sensi-
bili al contesto, pertanto impossibili da descrivere con leggi rigide e meccaniciste.
Vi è sempre la concezione di una mente attiva, capace di andare al di là dell'informazione
data come recita un famoso titolo di un testo. Gli studi del linguaggio influisca sui proces-
si cognitivi. in fine si parla della dimensione narrativa e del rapporto tra individuo e realtà.

Contributo di Bruner ai temi della psicologia dell'educazione, facendo riferimento in modo


puntuale al suo The Culture of Education:
1. Il primo principio è quello della prospettiva e si riferisce all'idea per cui il significato at-
tribuito a fatti, episodi, concreti dipenda sempre dalla prospettiva assunta da chi elabora
tale significato. Quindi per comprendere davvero il senso di qualcosa occorre essere
consapevoli che sono possibili significati alternativi Il secondo principio è quello delle li-
mitazioni. Bruner ne individua 2, la prima riguarda a stessa natura del funzionamento della
mente umana e del suo sviluppo per cui oggi pensiamo e agiamo in certi modi che sono
determinati dalla storia e della nostra specie, la seconda limitazione è imposta dai sistemi
simbolici accessibili alla mente umana, ovvero dai limiti imposti dalla natura stessa del
linguaggio e dai diversi sistemi di notazione prodotti dalla cultura.

2. Costruttivismo: la realtà non è data ma è creata attraverso l'attività di significazione e


l'educazione ha come obiettivo proprio quello di fornire gli strumenti dell'attribuire signifi-
cato al mondo e per costruire nuove realtà, modificando il mondo.

3. Interazione: e implica l'esistenza di un'alterità reale o simbolico e di una comunità. è


attraverso l'interazione che si scopre che cos'è la cultura. si tratta di una capacità che
origina dal linguaggio a che coinvolge la nostra straordinaria predisposizione verso l'inter-
soggettività, infatti Bruner afferma che siamola specie intersoggettiva per eccellenza La
tradizione pedagogica occidentale ha reso poca giustizi all'importanza dell'intersoggetti-
vità nella trasmissione culturale.

4. Esternalizzazione, funzione principale di ogni attività culturale collettiva sia quella di


produrre opere che riescano ad avere in seguito vita propria.

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5. Strumentalismo, fa riferimento alle conseguenze che l'educazione comporta nella vita
degli individui. La qualità dell'educazione dipende dalla capacità delle istituzioni scolasti-
che di combinare il talento con le opportunità le occasioni che la scuola deve offrire.

6. Istituzionale, considera la scuola un'istituzione che si assume il compito di preparare i


giovani a partecipare ad altre istituzioni culturali. Bruner finisce con il chiedersi se sia il
caso di pensare a nuove istituzioni educative, data l'evidente incapacità della scuola at-
tuale di tener conto dei reali problemi sociali, e in alternativa propone che si creino nuove
istituzioni capaci di funzionare da cinghia di trasmissione tra scuola.

7.Identità e Autostima, Bruner si focalizza su due aspetti che considera universali, tra-
sversali a tutte le culture: la capacità d'azione ovvero il senso di agency e la valutazione.
L'agency deriva dal senso di poter iniziare e portar avanti delle attività per proprio conto
andando però oltre la semplice attività senso motoria. Il riferimento è alla costruzione di
un sistema concettuale che organizza e documenta contemporaneamente la memoria au-
tobiografica, estrapolando significati da applicare al futuro. L'agency si evince dal modo
con cui si narrano fatti e si parla di se al modo con cui si individuano relazioni causa-ef-
fetto dall'attribuzione di responsabilità che va oltre gli aspetti morali e include il saper di-
stinguere gli obblighi dalle scelte personali. è questo misto di efficacia come agenti e di
autovalutazione che Bruner definisce "autostima". Quindi di fronte a un insuccesso offrire
una seconda opportunità incoraggiare il riprovarci anche senza risultati eccezionali, offrire
opportunità di dialogo e ripensamento circa le ragioni di un fallimento sono tutte strategie
di cui la scuola si dovrebbe far carico per aiutare gli studenti a meglio gestire l'autostima.

8. Narrativo, riguarda le modalità di pensiero che possono aiutare gli studenti a creare una
versione del mondo in cui immaginare un posto per sè. Brner distingue due modi con cui
gli esseri umani organizzano e strutturano la loro conoscenza: il pensiero logico-scientifi-
co e quello narrativo. I contesti educativi tradizionalmente dando maggiore rilevanza alla
prima tipologia di pensiero e trattano invece il pensiero narrativo come decorativo, se-
condario.

1.2 IL CONTRIBUTO DI COLE.


"Psicologia culturale" doveva essere una psicologia interessata agli eventi quotidiani, alle
interpretazioni di senso comune con cui le persone si orientano nel mondo; una psicolo-
gia tesa a comprendere e analizzare le situazioni che le persone vivono quotidianamente
senza pretese di generalizzazione e non quelle riprodotte all'interno dei laboratori speri-
mentali.
Il contributo di Cole può essere sintetizzato su tre versanti: le critiche alla ricerca cross
culturale, la definizione dei principi di una psicologia culturale e una proposta metodolo-
gica e di intervento.
Per Cole i processi culturali sono in grado di influenzare fortemente i processi cognitivi
tanto da considerare anche i processi primari influenzati dalla cultura.
I principi proposti da Cole sono sette:
1. Enfasi sull’azione mediata svolta in u determinato contesto.
2. Importanza di un metodo genetico in grado di includere livelli di analisi storici, ontoge-
nici e microgenetici.
3. Oggetto di studio è l’analisi degli eventi quotidiani, delle azioni svolte in contesti reali
4. L’attività mentale emerge dall’azione mediata da artefatti e svolta da più persone colla-
borativamente la mente è quindi co costruita e distribuita
5. Gli individui sono considerati agenti attivi del proprio sviluppo ma le attività da loro
svolte non sono totalmente determinate dalle loro scelte

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6. Si rifiutano spiegazione scientifiche di tipo causa-effetto o stimolo-risposta per enfatiz-
zare la natura della mente coŵe emergente dell’attività riconoscendo un ruolo centrale
all’interpretazione
7. Si utilizzano metodologie di derivazione umanista, ispirandosi sia alle scienze sociali
che a quelle biologiche.
Cole propone una metodologia multilivello la cui principale preoccupazione è elaborare
modalità di intervento in grado di sopravvivere anche dopo che il ricercatore abbia con-
cluso il suo lavoro.

La soluzione proposta da Cole consiste nel creare nuovi modi di fare scuola che insegni-
no conoscenze e abilità vitali per la partecipazione a pratiche politiche, economiche, so-
ciali rilevanti nel contesto locale.
Si tratta quindi di una metodologia che tiene conto dei contesti reali.
Si tiene conto contemporaneamente dell’individuo, del contesto situato e locale e del
contesto storicoculturale più ampio. La scuo-
la poso di presta a questo tipo di sperimentazione per cui Cole individua altri contesti che
possano rappresentare aree contigue alla scuola: biblioteche, doposcuola, ludoteche.
La sua proposta di intervento prende il nome di Quinta dimensione e fa fortemente leva
sugli aspetti ludici per motivare allo studio. In sintesi ciascuna
Quinta dimensione propone su piccola scala un sistema locale che aiuta i ragazzi a pas-
sare da attività di gioco ad attività formali e di apprendimento.

2.APPROCCIO STORICO CULTURALE: DALLA TOERIA DELL’ATTIVITA’ ALLA TEORIA


DELLE RETI DI ATTIVITA’.
Teoria dell’attività storico-culturale, si occupa del ruolo svolto dagli oggetti di mediazione
considerati come artefatti, la ragione di questa attenzione è da rintracciare nella capacità,
tipica ed esclusiva degli uomini in creare strumenti in grado di potenziare la propria azio-
ne di far evolvere tali strumenti e di trasmetterli di generazione in generazione.
Vygotskij propone una psicologia fondata sull’agire umano mediato da oggetti e rivolto
verso un obiettivo produttivo.
Per capire come si avviano i processi di sviluppo di un bambino occorre conoscere il con-
testo storico-culturale i cui tale bambino nasce e cresce. Cole e Enestrom affermano che
tale analisi deve partire dalle azioni possibili in un determinato contesto. Questo enuncia-
to sancisce l’indissolubilità tra uomo e contesto e diventa fondamento della teoria dell’at-
tività.
Kaptelinin e Nardi individuano 5 principi basilari:
• La mediazione: qualsiasi azione l’uomo compia è sempre inevitabilmente mediata da
strumenti, questi sono creati e continuamente trasformati durante lo svolgimento delle
attività e portano più o meno visibilmente i segni del loro sviluppo storico-culturale. L’u-
so degli strumenti va quindi inteso come un’accumulazione e una trasmissione sociale
del sapere, come una sorta di testimone che ci passiamo di generazione in generazione
apportandovi continuamente modifiche e mutamenti
• La strutturazione gerarchica dell’attività: sebbene le attività orientate verso un oggetto
rappresentano l’unità di analisi fondamentale, queste possono essere scomposte in due
livelli più analitici: le azioni e le operazioni. Le azioni vengono svolte per raggiungere
l’obbiettivo e sono intraprese consapevolmente. Gli elementi che compongono un’atti-
vità non sono stabili e rigidi ma possono cambiare dinamicamente a seconda delle
condizioni in cui si svolge l’attività. Leont’ev spiega che molte azioni sono destinate a
scendere al rango di operazioni e che le operazioni con l’andare del tempo tendono ad
assomigliare sempre più a operazioni svolte in modo meccanico.

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L’orientamento sull’oggetto, questo principio sancisce che ogni attività è rivolta verso un
oggetto che è sempre provvisto di due diverse definizioni: una oggettiva, data dalle
scienze naturali e un’altra invece socialmente e culturalmente definita. Quindi gli oggetti
usufruiscono sia di una definizione scientifica e tecnica sia di una definizione determinata
dal loro uso quotidiano e contestualizzato. L’internalizzazione/esternalizzazione: dell’atti-
vità che permette di differenziare tra attività interne ed esterne. Le une non possono esse-
re comprese senza le altre, dato che sono legate a un continuum dinamico per cui ven-
gono reciprocamente trasformate. Le attività sono prima immaginate, rappresentate men-
talmente e poi realizzate nel mondo reale. Nel passaggio dalla rappresentazione interna
alla realizzazione esterna le attività subiscono inevitabilmente delle modifiche tali da in-
durre a riorganizzare la realizzazione esterna e di conseguenza anche la rappresentazione
interna risulta ristrutturata.

Lo sviluppo dell’attività: si profila così la teoria dei sistemi di attività nella quale il soggetto
viene riconsiderato come parte di un gruppo o di una comunità composta da persone che
condividono obiettivi e regole, funzionali alla realizzazione delle azioni. Il semplice triango-
lo proposto per esplicitare il ruolo della mediazione diventa ora un triangolo complesso
(vedere fig.2). Questa nuova rappresentazione sancisce il passaggio dalla prima genera-
zione della teoria dell’attività alla seconda generazione denominata “dei sistemi
d’attività”dove viene rappresentata la relazione tra individuo e azione collettiva. L’oggetto
è raffigurato circondato da un ovale per indicare che le azioni sono sempre orientate ver-
so un oggetto, esplicitamente o implicitamente, e caratterizzate da interpretazione e sen-
se making.

La terza generazione della teoria dell’attività:TEORIA DELLE RETI DI ATTIVITA’.


Focalizza l’attenzione sulla comprensione del dialogo, della molteplicità di prospettive e di
voci che si realizza entro e tra i sistemi oltre che la natura e le dinamiche delle reti che si
creano tra i vari sistemi di attività che interagiscono tra di loro. L’obbiettivo ultimo è com-
prendere l’influenza reciproca che gli individui subiscono ed esercitano all’interno dei
contesti culturalmente complessi.
Quando due contesti culturalmente diversi entrano in contratto costruiscono un terzo og-
getto che include e al tempo steso va oltre la somma dei due oggetti prodotti dai sistemi.
La teoria delle reti di attività ha implicato una rivisitazione dei cinque principi della teoria
dell’attività, così ridefiniti da Engestrom:
1. Sistema di attività come unità di analisi: si ribadisce così il rifiuto alla semplificazione
dei fenomeni interazionali e si cerca di preservare la loro complessità.
2. Multivocalità: un sistema di attività è sempre una comunità di punti di vista. La multivo-
calità è considerata la sorgente dei cambiamenti e delle innovazioni grazie alla continua
innovazione che essa richiede
3. Storicità: i sistemi di attività prendono forma con il tempo e si trasformano continua-
mente. Per egli comprendere problemi i potenzialità occorre considerare la loro evoluzio-
ne in un arco temporale piuttosto lungo almeno tanto da poter osservare lo svolgimento
completo di un’attività.
4. Contraddizione: le attività sono sistemi aperti in quanto possono adottare nuovi ele-
menti che possono generare delle contraddizioni con qualche elemento già consolidato
nel sistema, generano difficoltà e conflitto ma possono diventare importanti portatori di
cambiamento che possono evolvere in innovazione.
5. Cicli progressivamente sempre più estesi di apprendimento: questo permette di miglio-
rare sempre di più le attività. Un completo ciclo di trasformazioni espansive può essere
visto come un progredire collettivo di un intera comunità, verso nuove zone di sviluppo
prossimale dell’attività. In sintesi l’attività non si ripete mai uguale si modifica grazie al

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suo ricorsivo ripetersi costituendo dei cicli attraverso cui si raggiungono livelli sempre
maggiori di complessità. Questi cicli possono riguardare:
• Gli artefatti: lo stesso arteffatto può nascere per svolgere un ruolo di semplice mediazio-
ne per poi evolvere in uno strumento complesso fino a diventare di nuovo un oggetto di
sola mediazione per un’altra attività.
• L’apprendimento: questo ciclo fa riferimento all’evolversi delle competenze acquisite.
Non si tratta del semplice raggiungere nuove zone di sviluppo prossimale individuali ma
di considerare tali zone come sempre più ampie e complesse
• La comunità: l’identità della comunità si forma attraverso la cooperazione e viene conti-
nuamente rinegoziata in base al contesto
• La divisione del lavoro: la modalità d cooperazione migliora esponenzialmente man
mano che si impara a rispettare e interiorizzare la prospettiva e l’identità dell’altro.

3. DALL’APPROCCIO SITUATO ALLA COGNIZIONE DISTRIBUITA


L’approccio del contesto situato nasce per contrastare l’idea di programmabilità delle
azioni. Sostenere la situatività delle azioni significa considerare la dimensione più dinami-
ca e meno predefinita: le azioni vanno considerate come capaci di adattamenti plastici
alle particolarità delle situazioni. L’analisi delle azioni deve così rendere conto del com-
plesso sistema di interdipendenze cognitive e contestuali su cui poggia il sistema di signi-
ficati e di conoscenze.
L’approccio situato consente di predisporre in modo innovativo le situazioni di apprendi-
mento considerando in particolare quelle pratiche educative in cui i materiali e gli stru-
menti utilizzati assumono un ruolo così rilevante da riuscire a condizionare in modo so-
stanziale i processi in atto.
In questi casi adottare una prospettiva situata significa indagare il modo univo e specifico
con cui un certo strumento è utilizzato in quel determinato contesto rintracciandone le
connessioni con il contesto culturale più ampio.
In campo educativo si parla specificamente di apprendimento situato per evidenziare che
non si occupa più di generiche abilità di studio ma della costruzione di conoscenza in e
con contesti diversi quindi non dell’acquisizione di sapere, ma dello studio nelle dinami-
che attraverso cui determinate e specifiche persone costruiscono in significato condiviso
del contesto, attraverso le azioni svolte in esso.

CAPITOLO 7.METODI DI INDAGINE

1. L’UNITA’ DI ANALISI
Vygotskij per capire i principi delle funzioni psicologiche umane è detto inutile analizzare
in modo isolato la parola o il ricordo. Vygotskij accusa i comportamentisti di due tipi di
riduzionismo, uno di tipo verticale e uno orizzontale. quello verticale implica l'uso di unità
di dimensioni rispetto all'evento che si vuole osservare. riduzionismo orizzontale quando
si considera una funzione qualitativamente simile a un'altra senza considerare le implica-
zioni delle connessioni tra le varie funzioni coinvolte.
Le critiche di Vygotskijsono accolte ed elaborate dal cognitivismo: l'uomo indistinguibile
dal suo contesto d'azione. Ora l'interesse è alle persone nei loro contesti reali di intera-
zione. Oggetto di studio diventa il rapporto tra uomo e cultura, se da una parte la cultura
svolge un ruolo essenziale nel dar forma alla psiche, dall'altra parte le istanze psicologi-
che dell'uomo diventano in grado di determinare il cambiamento culturale.
-è impossibile definire un'attività universalmente valida: ciascun approccio e ciascuna
scuola di pensiero usa e scegli l'unità più congeniale ai propri scopi di studio e di ricerca.
-si può parlare di unità di analisi in senso descrittivo ovvero l'elemento in natura più ele-
mentare l'unità di analisi della psicologia dell'educazione potrebbe essere
- i risultati conseguiti in termini di apprendimento da un singolo studente
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- il funzionamento di un determinato processo di apprendimento
- l'interazione in diadi o in piccoli gruppi oppure della classe nel suo insieme
- l'intera scuola intesa come comunità con i suoi legami con il territorio e con l'extrascuo-
la.

2. TRA QUANTITATIVO E QUALITATIVO


- quantificare e confrontare processi e comportamenti in diversi momenti.
- analizzare le modalità con cui tali processi e comportamenti avvengono.
La ricerca quantitativa richiede campioni ampi, rappresentativi della popolazione alla qua-
le si intendono generalizzre i risultati; nel secondo caso si parla di ricerca qualitativa volta
a studiare i casi in profondità non allo scopo di ricavare delle leggi generali.

Combinazione tra approcci quantitativi e qualitativi:


metodo misto o multimetodo, seguenti vantaggi:
- permette il riferimento a diversi paradigmi teorici contemporaneamente, combinandoli
adeguatamente in corrispondenza delle diverse possibili domande di ricerca connesse al
medesimo studio.
- lo stesso fenomeno è indagabile con i diversi metodi, ottenendo così una comprensione
più ampia e più olistica.
- dato che on è sempre facile decidere a priori quale sia il metodo più adeguato conside-
rare un approccio multimetodo consente di selezionare in corso d'opera quello più effica-
ce.
- i processi di insegnamento apprendimento sono complessi in quanto costituiti da più
strati.

Versov occorre una metodologia che superi le dicotomie di una volta e che si preoccupi
di rispettare certi principi:
1. principio dello svilppo occorre creare categorie di indagine apposite o aver cura di
adattare le categorie già esistenti.
2. il principio della categoria, occorre creare categorie di indagine apposite o aver cura di
adattare le categorie già esistenti.
3. il principio dell'interazione tra natura e cultura considerando congiuntamente l'uomo e
il suo contesto.
4. il principio dello sviluppo degli strumenti: bisogna impegnarsi a usare sempre meglio gli
strumenti disponibili e allo stesso tempo svilupparli per renderli sempre più capaci di ana-
lizzare i contesti.
5. il principio del cambiamento: occorre finalizzare la ricerca alla promozione di cambia-
menti qualitativi e di avanzamenti positivi.

Questi sono tutti principi ispirati al pensiero di Vygostskij secondo cui il metodo da usare
nella ricerca psicologica deve essere sperimentale-genetico.

3. L’OSSERVAZIONE COME METODO D’INDAGINE.


L'osservazione sul campo può essere diretta o indiretta quella diretta prevede la presenza
dell'osservatore in prima persona nel contesto che si vuole osservare, invece per quella
indiretta si usano strumenti di rilevazione che consentono di ricostruire successivamente
il fenomeno osservato.
L'osservazione diretta può svolgersi nell'ambiente naturale è però anche possibile allesti-
re appositi ambienti artificiali. l'osservazione non può essere casuale ma occorre che ab-
bia le caratteristiche di sistematicità e ripetibilità. L'osservazione partecipata o meno, ov-
vero il ricercatore può farsi coinvolgere nel contesto fino a considerare se stesso come

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parte integrante della situazione oppure può cercare di restare un osservatore neutro che
non interviene mai e non prende parte alle attività in corso.
L'osservazione diretta ha il vantaggio per il ricercatore di poter osservare in prima perso-
na il contesto e di coglierne anche aspetti non formalizzabili, legati al clima emotivo della
classe e alla gestione della quotidianità mentre ha lo svantaggio di una certa intrusività
che potrebbe modificare o alterare il contesto, per non menzionare le difficoltà di ordine
pratico e legale che regolano l'accesso di estranei a scuola.
Anche l'osservazione indiretta può prevedere la presenza del ricercatore ma fa maggior-
mente affidamento su strumenti di intermediazione. Molto usate sono le interviste che
possono essere strutturate o semi-strutturate e che mirano a ottenere un racconto narra-
tivo e soggettivo dell'esperienza. Più vicini a un approccio quantitativo sono invece i que-
stionati che permettono di raccogliere quantità ingenti di dati in formato numerico o con
scale nominali che registrano la presenza o meno di un certo fenomeno.

Si possono pianificare osservazioni:


- longitudinali, che permettono di osservare gli stessi soggetti per un certo arco tempora-
le in modo da cogliere i loro cambiamenti.
- trasversali, che prevedono il confronto nel medesimo momento di contesti e gruppi di-
versi.
- longitudinali-sequenziali, per cui si osservano longitudinalmente gruppi diversi per età
fino a quando il gruppo di studenti più giovani raggiunge l'età dell'altro gruppo al momen-
to in cui si è iniziata l’osservazione.
- le focus group discussions.
-le discussioni di gruppo.
- il thinking aloud.
- i prompts.

4. L’APPROCCIO DESING-BASED RESEARCH


Desing-Based Research nasce e si sviluppa in anni recenti. Tale approccio si richiama agli
studi pionieristici di Ann Brown e Alan Collins, furono tra i primi ricercatori a condurre del
desing experiments in classi reali, ovvero sperimentazioni di progetti legati ad ambienti di
apprendimento e a strumenti innovativi in contesti scolastici autentici.
The desig.based research Collective è stato definito come una metodologia sistematica
ma flessibile orientata a migliorare le pratiche educative attraverso un'analisi iterativa che
prevede: progettazione, implementazione, analisi e riprogettazione allo scopo di inserire in
contesti reali gli elementi innovati emersi contando sulla collaborazione tra ricercatori e
professionisti. lo scopo ultimo è orientare la ricerca verso la definizione di principi e teorie
sensibili al contesto in cui tali innovazioni vengono sperimentate.
In un approccio DBR i ricercatori e professionisti collaborano nell'analisi di problemi prati-
ci sviluppano una soluzione in più cicli, realizzano al termine di ogni ciclo un bilancio, mi-
gliorando i principi del progetto e individuando le innovazioni nella soluzione da introdurre
nel ciclo successivo. 5 aspetti principali:
-obiettivi pragmatici di ricerca.
- metodologia di ricerca emergente.
- processo di ricerca interattivo, interattivo e flessibile.
- metodi di ricerca integrativi.
- risultati di ricerca contestuali.
Vantaggi: consente di progettare ed esplorare un'ampia gamma di innovazioni che vanno
dai curricoli alla strutturazione di attività didattiche fino all'introduzione di artefatti, è stato
molto usato per testare nuove tecnologie, inoltre evita il rischio che il contesto scolastico
debba essere forzatamente e artificiosamente modificato per essere adattato alle esigen-

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ze della ricerca: è piuttosto quest'ultima a essere modulata sulle esigenze della classe,
anche quelle inizialmente non previste.
Il progetto CROSS, comunità di ricerca online per lo studio delle scienze.

5. LA RICERCA VALUTATIVA
Il testing standardizzato:
- gli strumenti IEA, si tratta di batterie di test elaborati e testati dall'International Associa-
tion for Evaluation of Educational Achievement. la valutazione dei livelli di preparazione in
lettura, matematica e scienze. Misura gli effetti della scolarizzazione puntando al concetto
di opportunità di apprendimento per meglio comprendere i legami tra: il curricolo pro-
grammato (le politiche richieste per attuarlo), il curricolo implementato (ciò che effettiva-
mente si è insegnato a scuola), il curricolo realizzato (ciò che imparano lo studente).
- le prove OCSE-PISA, L'OCSE è l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico che promuove l'indagine PISA con cui si accertano con periodicità trienna-
le conoscenze e capacità dei quindicenni scolarizzati dei principali paesi industrializza-
ti. L'INVALSI ha solitamente la responsabilità di realizzare questa indagine nel nostro
paese, riguarda tre aree: lettura, matematica e scienze. l'obbiettivo è comparare i si-
stemi scolastici dei diversi paesi
- le prove SNV, elaborate dal Servizio nazionale di valutazione che punta alla misurazione
dei livelli di apprendimento in Italiano e Matematica raggiunyi dagli alunni della seconda e
quinta classe della scuola primaria, dagli studenti della classe prima della scuola secon-
daria di primo grado e della classe seconda della scuola secondaria di secondo grado.

- Batterie per la valutazione delle abilità trasversali all'apprendimento, si tratta di una serie
di strumenti di valutazione, distribuita dall'OS che si propone di verificare il livello delle
abilità trasversali all'apprendimento scolastico, come il linguaggio, comprensione, moti-
vazione, memoria... l'obbiettivo è quello di adattare contenuti e metodi dell'intervento
educativo ai bisogni degli studenti, puntando così all'insegnamento individualizzato.

La valutazione dinamica:
Atto a verificare il potenziale di apprendimento e la capacità di rispondere a un intervento
didattico. L'assunto di base è che gli studenti sono in grado di realizzare cambiamenti e
di modificare le loro prestazioni ed è proprio questo tipo di capacità che si vuol valutare,
in aperto contrasto con la valutazione effettuata tramite testing standardizzati psicometri-
co che misura capacità e conoscenze già acquisite e consolidate. La VD si propone come
capace di indagare e sostenere quello Vygotskij ha definito l'accesso verso nuove zone di
sviluppo prossimale.
- il modello della modificabilità cognitiva di Feuerstein, che punta a modificare i processi
cognitivi degli studenti per questo metodo i contenuti disciplinari sono poco rilevanti e
servono solo come pretesto per attivare i processi cognitivi. si presentano agli studenti
problemi di natura aperta che possono essere risolti in tanti modi e si lasciano percorre le
diverse soluzioni in modo da comparare le varie strategie adottate e riflettere su vantaggi
e svantaggi di ciascuna.
- il modello del potenziale di apprendimento di Budoff, l'assunto è che le difficoltà riscon-
trate dagli studenti nel risolvere compiti possono essere imputabili ad aspetti culturali per
cui i compiti risultano incomprensibili non a causa di aspetti cognitivi ma a seguito della
loro poca familiarità.
- il modello dell'apprendimento e trasferimento dell'efficacia di Campione e Brown agli
studenti si dà la possibilità di ripetere le stesse attività offrendo feedback sempre più
specifici fino a quando diventano capaci di affrontare in modo autonomo attività strumen-
talmente simili ma più complesse.

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Il modello basato sulla valutazione dinamica presenta i seguenti aspetti:
- il valutatore interviene attivamente con l'obbiettivo di indurre intenzionalmente dei cam-
biamenti nell'attuale livello di performance degli studenti
- la valutazione si focalizza sul processo da parte degli studenti di strategie di soluzione
dei problemi e sulla promozione e sullo sviluppo di queste strategie da parte del docente.
- un obiettivo fondamentale è sostenere la capacità degli studenti di rispondere all'inter-
vento didattico.
- si cerca di capire quali abilità sono promosse da quegli interventi ritenuti di successo
quindi in generale ci cerca di individuare le connessioni tra cambiamenti osservati e inter-
venti didattici adottati.
- a tale scopo ricorre al confronto tra le rilevazioni effettuate all'inizio dell'intervento con
quelle effettuate alla fine.

CAPITOLO 8. STRATEGIE DIDATTICHE


1. LA DIDATTICA FRONTALE Presup-
pone l'esistenza di un esperto e di un novizio. Si tratta di un metodo didattico centrato sul
docente in quanto quest'ultimo è estremamente attivo già in fase di preparazione della
lezione, poi in fase di erogazione e anche di valutazione. Inoltre la lezione è caratterizzata
da una comunicazione unidirezionale, prevalentemente dal docente verso il discente in
qualche occasione dallo studente al docente, mentre resta del tutto occasionale la comu-
nicazione tra gli studenti.
La critica più sostanziale che ha ricevuto questa strategia è quella di creare una situazio-
ne di partecipazione passiva da parte degli studenti e di essere basata sul presupposto
che tutti gli studenti recepiscano allo stesso modo i concetti espressi durante la lezione.

Ausbel sosteneva che il docente dovesse considerare quanto un studente già sapesse,
questo concetto è essenziale proprio per ridefinire il modo di far lezione così da rendere
gli studenti più attivi, il suggerimento è accertare prima le preconoscenze degli studenti,
innescare un'intenzionalità e una motivazione all'apprendimento ed evidenziare la signifi-
catività. Proponeva una didattica centrata su quelle che lui definiva anchoring ideas ovve-
ro idee di riferimento in grado di funzionare da organizzatori anticipati che creano con-
nessioni tra il nuovo materiale da appredere e i concetti già noti.

1.1 LEZIONE BASATA SUI CASI


Questo modello si basa proprio sulla necessità di associare ogni nuova info con qualcosa
di già noto, cercando similitudini e differenze. Lo scopo è ottenere un repertorio di storie
raccontate da esperti e far sì che gli studenti possano rintraccare i collegamenti sia tra i
vari casi si tra i casi raccontati e le proprie personali storie. Si presta a essere tradotto in
una architettura multimediale. i suoi costi non lo rendono di facile adozione per le scuole.

Benchmark lesso, ovvero lezione militare, sviluppato sa di Sessa e Minstrell di compone


di 4 momenti i cui l'insegnante:
1. fa emergere domande e dubbi sull’argomento.
2. incoraggia attività di sperimentazione, laboratorio e ricerche sull'argomento allo scopo
di risolvere i dubbi.
3. avvia una lezione per spiegare il concetto miliare, capace di evidenziare il nesso tra le
varie informazioni raccolte e di rispondere agli interrogativi rimasti insoluti.
4. incoraggia gli studenti a elaborare nuove concettualizzazioni per integrare nuove info
appena apprese con le loro preconoscenze.

Dal discorso del docente al discorso della classe l'apprendimento degli studenti dipende
in larga misura da come l'insegnante spiega e fornisce istruzioni Studi "processo-prodot-
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to" che presupponeva una relazione tra la qualità del discorso del docente e i risultati di
apprendimento degli studenti. un contributo importante è stato quello di Flanders che
produsse un sistema di analisi costituito da die sistemi di categorie distinti: uno per ana-
lizzare il discorso dell'insegnante e uno per quello dell'allievo.il discorso del docente po-
teva essere classificato con le seguenti categorie:
- accetta i sentimenti.
- loda o incoraggia azioni discorsi o comportamenti degli allievi.
- accetta o utillizza le idee degli allievi.
- formula domande sia di contenuto che di procedura per sondare lo stato cognitivo dello
studente.
- fa lezione.
- si appella all'autorità Per gli studenti le categorie invece erano:

• risposta a una domanda o ad una sollecitazione del docente.


• discorso avviato dallo studente con cui pone domande o esprime idee.
• silenzio o confusione in generale una comunicazione di ci non si coglie il contenuto lo
SCIV sistema di categorie di interazione verbale, si tratta di un sistema di 12 categorie
finalizzate a offrire un feedback agli insegnanti circa il loro modo di intervenire in aula. il
il concetto di buon insegnante nel quadro dell'identità professionale, teacher professio-
nal identity, usare questo concetto significa attribuire il successo dell'intervento dell'in-
segnante non più al suo modo di organizzare il discorso in classe ma piuttosto a uno
più generale qualità dell'insegnamento al grado di efficacia e sviluppo professionale.

Apprendere dalla lezione l'appropriazione è un processo diverso dall’internalizzazione,


definita come inerente alla rappresentazione interna di eventi o azioni. si tratta di un pro-
cesso più attivo perché si riferisce anche all'inserimento e all'integrazione delle cono-
scenze offerte da chi spiega entro il quadro delle informazioni e credenze di chi ascolta.
gli studenti possono prendere appunti.
La verifica consiste nell'interrogazione.
In conclusione la lezione frontale risponde in prima istanza a una visione trasmissiva della
conoscenza e sembra rispondere ai principi del comportamentismo per cui a fronte di
uno stimolo ci si attende una reazione che può essere variamente rinforzata. l'introduzio-
ne di varianti atte a rendere più partecipativi gli studenti permette di raccogliere le istanze
cognitive che cercano di superare la visione della lezione come a totale carico del docen-
te e spostano l'attenzione sulle conoscenze pregresse degli studenti sulle loro capacità di
ascolto attivo e di riorganizzazione delle informazioni ottenute.

2. L’APPRENDIMENTO COLLABORATIVO.
Postula che l'interazione tra pari sia un momento capace di generare apprendimento. ri-
chiede un'organizzazione dell'intero contesto educativo in modo da ottenere un coinvol-
gimento attivo di tutti gli studenti un cambiamento del ruolo dell'insegnante non più come
solo esperto ma anche come supporto e monitoraggio al lavoro dei gruppi. l'essere colla-
borativi è in stretta relazione con la strutturazione del contesto e dei compiti. una reale
strategia di apprendimento collaborativo si pone l'obiettivo di affiancare all'apprendimen-
to dei concetti curricolari lo sviluppo di pensiero critico divergente e creativo grazie al
confronto con gli altri.
Il vero motore dell'apprendimento collaborativo è il gruppo preferibilmente di minimo 3
massimo 6, eterogenei sia per genere che per livello scolastico. l' Individuo deve quindi
lavorare in funzione del gruppo ma il gruppo a sua volta deve sostenere l'individuo rispet-
tandone interessi motivazioni offrendo spazi adeguati per la crescita personale. Uno dei
limiti è il verificarsi di partecipazioni disomogenee stimoli dove alcuni membri tendono a
essere passivi e a approfittarsi del lavoro svolto dai più volenterosi.
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Ci sono cinque principi:
- interdipendenza positiva, ovvero l'impossibilità per un partecipante di completare il pro-
prio compito senza il contributo degli altri occorrono una attenta progettazione dei compi-
ti e una suddivisione del lavoro in modo da prevedere esplicitamente, questo meccani-
smo.
- Affidabilità individuale, Occorre poter fare affidamento sull'impegno di ciascuno. In alcu-
ni casi l'impegno individuale a fare del proprio meglio e a contribuire in modo costruttivo
può essere formalizzato.
- Promozione dell'interazione, qualsiasi lavoro prodotto attività va discusso all'interno del
gruppo per ottenere feedback e commenti. Occorre promuovere una mentalità della con-
divisione dei prodotti intermedi.
- Formazione alle competenze collaborative, gli studenti vanno incoraggiati a mettere in
pratica strategie quali la fiducia reciproca da presa di decisione collettiva la gestione del
conflitto una comunicazione efficace.
- Processi di gruppo, sono i gruppi che devono definire gli obiettivi comuni promuovere a
valutazioni periodiche del lavoro svolto indicare cambiamenti necessari per il raggiungi-
mento dei migliori risultati possibili.
Molte sono le modalità attraverso cui si può attivare l'apprendimento collaborativo.

2.1 IMPARARE INSIEME E I CIRCOLI DI APPRENDIMENTO


Sono stati elaborati da Johnson e Johnson. Idea di piccoli gruppi che lavorano intorno a
un tema comune allo scopo di elaborare un prodotto finale di gruppo. È utile definire di
ruoli specifici chi scrive. chi ricerca informazioni e chi sintetizza.
I gruppi dispongono dello stesso materiale di studio e questo fa sì che la collaborazione
all'interno di ciascun gruppo sia alta mentre tra i gruppi sono alquanto competitivi proprio
per superare tale limite nei circoli di apprendimento invece il materiale è distribuito tra i
gruppi in modo differenziato così che i gruppi siano costretti a doversi confrontare sulle
informazioni disponibili e organizzare degli scambi in questo modo si aumenta l'interdi-
pendenza e la collaborazione anche tra i gruppi.

2.2 INSEGNAMENTO RECIPROCO


Tecnica elaborata da Palinesar e Brown, inizialmente per sviluppare abilità di compren-
sione dei testi scritti, esigenza particolarmente forte nei paesi anglofoni, dove si scrive in
modo diverso da come si legge. La tecnica dell’insegnamento fa leva sull’interazione tra
pari per superare la preoccupazione dello spelling e modellare abilità di comprensione di
testo. La chiave di volta di questo modello è che gli studenti imparino gradualmente a
comportarsi da insegnanti con i propri pari. Ci sono 4 momenti:
1. modellamento, l’insegnante lavora con un piccolo gruppo di studenti da tre massimo
sei, legge un testo e guida alla comprensione della lettura.
2. i chiarimenti, finita la lettura del brano selezionato, l’insegnante invita gli studenti a rac-
contare quanto compreso dalla lettura, rivolgendo loro domande precise del tipo”avete
capito?”. La previsione, dopo aver chiarito i dubbi e quesiti l’insegnante invita gli studenti
a immaginare come proseguirà il testo.
3. la sintesi, si conclude il ciclo sintetizzando tutto il testo, cercando di sottolineare gli
aspetti cruciali, gli elementi chiave e quelli invece ancora poco chiari.

I cicli successivi saranno condotti a turno da uno degli studenti del gruppo, cominciando
da quelli con meno problemi di lettura. In questo modo gli studenti meno competenti sa-
ranno esposti a diversi modellamenti dell’attività di lettura e avranno più tempo per poter
trarre vantaggio dai vari cicli.

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2.3 JIGSAW
Questo termine deriva da uno strumento di taglio utilizzato per ottenere oggetti con curve
irregolari come quelli dei pezzi che compongono i puzzle. Il punto forte di questo metodo
è quello di lavorare con gruppi che si incastrano tra di loro dopo aver approfondito aspetti
particolari di un compito per poterne ricostruire l’unità.
A tale scopo sono necessari gruppi stabili ma che si compongono per svolgere una parte
del compito successivamente si sciolgono per essere ricomposti e lavorare sul compito
globale 10 passi:
1. formare i gruppi jigsaw.
2. individuare i leader.
3. frammentare il compito, in tanti parti quanto sono i gruppi.
4. distribuire il compito, a ogni studente del gruppo gli si affida un compito.
5. studiare la propria parte.
6. formare gruppi di esperti, agli studenti dei vari gruppi a cui è stato affidato lo stesso
segmento di lezione è proposto di lavorare insieme come fossero esperti di quel segmen-
to.
7. ricomporre i gruppi jigsaw.
8. presentare il proprio lavoro, ciascun studente presenta il lavoro svolto in seno al grup-
po di esperti
9.osservare il processo, il leader deve verificare che ciascun studente ripeta quello che ha
imparato.
10. valutazione, far creare agli esperti delle prove di valutazione da sottoporre i propri
compagni relativamente alla parte di compito studiata.

2.4 VALUTARE L’APPRENDIMENTO COLLABORATIVO


L’apprendimento collaborativo deve descrivere quali potenzialità ha sviluppato lo studen-
te ovvero quali zone di sviluppo prossimale sono divenute attuali.
La valutazione quantitativa ha in realtà molte lacune quindi viene proposta una valutazio-
ne autentica capace di tenere conto degli aspetti relazionali e delle abilità comunicative,
analizzando e confrontando u vari momenti del percorso formativo. Si parla quindi di au-
tovalutazione e valutazione reciproca sia come capacità di valutare e monitorare il proprio
e l’altrui percorso formativo. Le abilità di autoregolazione facilitano il monitoraggio del
compito e permettono di valutare le circostanze per decidere se occorre introdurre modi-
fiche e cambiamenti. Si ottiene così la visione di uno studente autonomo e attivo.

2.5 I PRO E I CONTRO DELL’APPRENDIMENTO COLLABORATIVO


Induce a percepire la relatività del proprio punto di vista e delle proprie interpretazioni
stimolando la capacità di assumere prospettive diverse dalla propria, ampliando così il
campo di esperienza. I vantaggi:
possono essere adottati con
studenti di qualsiasi età e per qualunque tipo di disciplina, si è mostrato efficace anche
nel recupero di allievi problematici con svantaggi cognitivi o culturali e con quelli poco
motivati allo studio.
Lavorare in modo collaborativo aumenta negli studenti la stima di sé, la sicurezza, l’equi-
librio psicologico e il rendimento scolastico. Si acquisiscono capacità di leadership, di
comunicazione, di presa di decisione, di gestione dei conflitti sia interni al gruppo che tra
gruppi.
La vera difficoltà:
sta nel fatto che il classico modello trasmissivo è sicuramente meno onesto e permette
più facilmente all’insegnante di mantenere la sua autorità, resta ancora forte la visione
dell’apprendimento come fatto individuale 3. Il problem solving e l’indagine progressiva.

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Vygotskij considerò la capacità di risolvere problemi come il test diagnostico che consen-
tiva di distinguere le zone di sviluppo attuali, in cui i problemi si risolvono in modo indi-
pendente da quelle prossimali in cui i problemi vengono risolti con la guida di un adulto.
Ci si riferisce a un modo di pensare trasversale che riguarda qualsiasi contenuto discipli-
nare. Spesso i problemi proposti a scuola non sembrano essere immediatamente signifi-
cativi per gli studenti non è loro chiaro a che cosa servano e quale rilevanza abbiano per
la vita di tutti i giorni. Invece quando si propongono problemi interessanti complessi più
simili ai problemi della vita quotidiana, vicini ai reali interessi e alle motivazioni degli stu-
denti, questi partecipano di più e le strategie di risoluzione vengono meglio apprese.
Il compito del docente è offrire un modellamento relativo all’uso delle strategie di soluzio-
ne dei problemi. Tale modellamento può avvenire in modo diretto oppure indiretto: nel
primo caso l’insegnante fa vedere come si risolve il problema, nel secondo chiede ai ra-
gazzi di discutere come organizzare e realizzare l’esperimento senza dare indicazioni pre-
cise. In entrambi i casi si mira a ottenere un uso autonomo delle strategie di risoluzione
dei problemi da parte degli studenti.

3.1 IL MODELLO NEWELL E SIMON


In una cornice strettamente cognitivista definirono il problem solving come costituito da
uno stato finale a cui si tende uno stato iniziale e dall’insieme di tutti i possibili percorsi di
soluzione Đhe permettono di raggiungere lo stato finale. Le tappe del percorso di soluzio-
ne del problema che possono essere così sintetizzate: definizione di uno spazio del pro-
blema, raccolta di informazioni, messa a punto di una ipotesi e sua verifica. Il passaggio
da una tappa all’altra può avvenire attraverso strategie generali applicabili a una varietà di
problemi quali:
a) cercare di restringere il campo;
b) viceversa allargare la ricerca delle info;
c) individuare dei sotto problemi e procedere con il risolvere un sotto problema alla vol-
ta. Si individuano due fondamentali strategie di ragionamento: quello induttivo e quel-
lo deduttivo.

3.2 IL MODELLO KAHNERMAN TVERSKY


I meccanismi cognitivi attraverso cui le persone prendono decisioni e risolvono problemi
sono condizionati da esperienza pregresse e da aspettative e ragionamenti spesso incon-
sapevoli.
Euristiche attraverso le quali le persone risolvono i problemi quotidiani:
- Disponibilità: nel cercare di predire un evento le persone preferiscono esperienze realiz-
zate in circostanze simili, avvenute in passato, selezionando quelle più vivide e maggior-
mente connotate emotivamente a quelle con maggiore potere informativo.
- Rappresentività: si attribuiscono caratteristiche simili a oggetti simili e pertanto un even-
to è spesso associato a un altro o si individua una relazione causale sulla base di una
semplice somiglianza.
- Ancoraggio: ci si focalizza si una specifica informazione così tanto che questa finisce
con il guidare l’intero processo di soluzione del problema di presa di decisione.

3.3PROBLEM-BASED LEARNING (PBL)


L’obbiettivo fondamenta è stimolare gli studenti a individuare la rilevanza di quello che
imparano per il loro futuro, mantenere un livello di motivazione elevato e sottolineare l’im-
portanza di un atteggiamento professionale. Questa strategia può essere considerata
come centrata sullo studente.

3.4 L’INDAGINE PROGRESSIVA


Sociocostruttivo di Kahneman.
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In essa risultano evidenti sia il ruolo della dimensione sociale sia il presupposto della co-
gnizione distribuita. Vediamo che il processo è strutturato in fasi.
1. Allestire il contesto, chiarire agli studenti perché il problema è importante;
2. presentare problemi di ricerca;
3. creare teorie di lavoro, si incoraggia la creazione di teorie individuali;
4. valutazione critica, il gruppo di lavoro cerca di individuare i punti di forza e le debolezze
delle diverse spiegazioni;
5. ricercare e approfondire conoscenze;
6. sviluppare e approfondire problemi;
7. nuova teoria Tutto il processo di ricerca è finalizzato all’indurre gli studenti a migliorare
le teorie attraverso la trasformazione piuttosto che a trovare soluzioni o risposte alle do-
mande.

4. LA DISCUSSIONE TRA PARI


Mercer identificò tre diversi modi di parlare corrispondenti ad altrettanti modi di ragionare
in gruppo:
- Disputa: caratterizzata da disaccordo e prese di decisioni individuali
- Discorso cumulativo: gli studenti si ribattono l’un l’altro in modo positivo e accondi-
scendente. Il discorso è finalizzato a mettere insieme le nozioni per accumulare le cono-
scenze, utilizzando fondamentalmente ripetizioni e conferme.
- Discorso esplorativo: qui gli studenti si criticato l’un l’altro in modo costruttivo, le idee
sono proposte per essere verificate conseguentemente gli studenti sfidano le idee con
contro argomentazioni richieste di giustificazioni e offerte di ipotesi alternative.

Studi di Pontecorvo, gli studenti durante le discussioni tendono ad assumere alcuni ruoli
specifici:
- Lo scettico
- L’assertore
- Il compiacente
- Le asserzioni
- Le esplicitazioni e le seguenti tipologie di intervento:
• Accordo
• Disaccordo
• Neutro
• Richiesta o offerta di chiarimenti
• Richiesta o offerta di aiuto
• Interventi off-topic che non sono centrati sull’argomento.

Effetto palla di neve: una volta individuata una strategia discorsiva vincente dli studenti
tendono a utilizzarla in modo sempre più condiviso, interiorizzando e appropriandosi delle
voci altrui in senso batchniano. Emerge un linguaggio metaforico, la qualità delle metafore
diventa un indicatore dell’apprendimento che gli studenti stessi monitorano permettendo
così non solo un apprendimento collaborativo e costruttivo ma anche una valutazione re-
ciproca e positiva estremamente efficace.
In ogni caso la discussione tra pari è capace di produrre un apprendimento attraverso le
modalità dell’argomentare e del ragionare.

Questa prospettiva riprende il filo del discorso vygotskijano in cui la discussione è consi-
derata un’attività propedeutica e complementare all’auto-riflessione: è dalla discussione
che nasce il ragionamento perché si ha bisogno di parlare per pensare.

5. APPRENDERE NELLE COMUNITA’


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Communities of Learners un modello elaborato da Brown Campione con una visione so-
ciocostruttivista della conoscenza. A cui si aggiunge l’enfasi sul convogliare il processo
educativo verso la realizzazione di prodotti significativi che esternalizzano la cultura della
classe. Per definire una CDA partono dall’individuare modelli di comunità extrascolastiche
in cui si avviene un apprendimento costruttivo e culturalmente significativo, tentando di
trasportarne in classe i principi. Fonte di ispirazione sono sia la bottega dell’artigiano: in
cui il mastro forgia e supporta i progressi dell’apprendista. Gruppo di scienziati: le cui
competenze specialistiche sono distribuite tra i vari membri e integrate tra loro. Gli ob-
biettivi dell’apprendistato sono:
a) Far sì che l’allievo sia in grado di svolgere le funzioni del mastro;
b) riuscire a realizzare prodotti sempre più complessi e di buona qualità. Delle comunità
scientifiche si apprezza la capacità di gruppi specializzati di lavorare in modo coordi-
nato su parti diverse del compito e di tendere verso la produzione di conoscenza in-
novativa. L’aspetto più interessante riguarda la gestione dei ruoli in classe, in una
CDA sono attivi:
• Il ricercatore
• Gli esperti
• Genitori
• Osservatori
Ciò che veramente distingue un insegnante che pratica una CDA è il modo di intendere la
conoscenza: non come qualcosa di statico ma come un patrimonio collettivo da far avan-
zare.

CAPITOLO 9: LEGGERE E SCRIVERE I TESTI


1. LEGGERE E COMPRENDERE TESTI: I MODELLI COGNITIVI

Kintsch e Van Dijk elaborarono il modello dell’analisi preposizionale del testo, con cui la
proposizione viene definita come l’unità di significato e di analisi del testo, due livelli di
analisi che chiamano rispettivamente “microstrutturale”e “macrostrutturale”. La costru-
zione di quest’ultimo aǀǀiene utilizzando tre macroregole di corrispondenza semantica.
1. la cancellazione si applica eliminando proposizioni che non tengono considerate ne-
cessarie all’interpretazione delle proposizioni successive del testo.
2. la generalizzazione, consente di sostituire una serie di termini relativi ad azioni o eventi
con un termine di una classe sovraordinata.
3. la costruzione, permette di sostituire una serie di proposizioni del significato specifico
più generale.
Un elemento critico di questo modello riguarda il fatto che esso pone molta attenzione
alle conoscenze linguistiche e alle operazioni cognitive di tipo bottom-up ovvero il lettore
parte dagli elementi del resto e li utilizza per arrivare a una rappresentazione mentale di
quanto letto.
Il modello non tiene adeguata considerazione le conoscenze sul mondo che il lettore pos-
siede già prima di leggere il testo.

Teoria dei modelli mentali:


La comprensione del testo in termini di costruzione di un modello mentale ovvero una
rappresentazione organizzata visiva e verbale del contenuto del testo stesso. Il lettore at-
tiva un modello della situazione che viene utilizzato per interpretare il testo stesso e co-
struirsi una rappresentazione mentale del suo contenuto La comprensione del testo quin-
di avviene integrando le conoscenze già possedute dal lettore con le informazioni conte-
nute nel teso.
Un’impostazione marcatamente cognitivista quella dei due modelli precedentemente de-
scritti
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Kintsch costruzione-integrazione ispira al connessionismo.

Il processo di costruzione e quello di integrazione.


Costruzione: il lettore elabora le informazioni linguistiche del testo attivando i nodi di si-
gnificato a esse corrispondenti e disponibili in memoria, egli crea dei legami tra questi e
altri nodi relativi alle conoscenze già possedute. Una prima base si costituisce come una
rete di nodi di significato che rappresentano le proposizioni oltre che di legami che rap-
presentano le relazioni tra le poposizioni.
Integrazione: vengono rafforzati i legami con alcuni nodi contenenti significati appropriati
al contesto e vengono inibiti o disattivati quelli che contengono info in contraddizione o
irrelevanti.
In questo modello la memoria di lavoro è come un fascio di luce che si muove attraverso
il testo. Il risultato di tali processi è una rappresentazione espressa da una rete proposi-
zionale alla ricerca della coerenza.

2. LETTURA E METACOGNIZIONE.Alcuni tipi di conoscenze metacognitive che giocano


un ruolo importante nel favorire la comprensione:
• Le conoscenze del soggetto su se stesso;
• Le conoscenze sul testo;
• Sul compito;
• Sulle strategie di lettura.

Sul versante dei processi di controllo Brown propone di distinguere:


• La previsione;
• La pianificazione;
• Il monitoraggio;
• La valutazione.

Un programma italiano è quello messo a punto da De Beni, basato sul modello della
comprensione della lettura in cui vengono identificate dieci componenti fondamentali che
rappresentano abilità da promuovere affinché un lettore diventi esperto. Vengono indivi-
duate le componenti relative all’identificazione dei contenuti di base del resto. Inoltre ven-
gono descritte le componenti psicolinguistiche volte alla elaborazione delle info che ri-
guardano la comprensione del significato delle parole e la corretta elaborazione dei lega-
mi grammaticali e sintattici all’interno della frase o frasi. Un'altra componente riguarda il
trattamento delle informazioni implicite. Risulta importante coordinare queste due attività
con la comprensione della gerarchia del testo. Il coordinamento tra tutte queste azioni
consente di elaborare modelli mentali del contenuto del testo: ovvero una rappresenta-
zione generale del significato del contenuto che fornisce il quadro entro cui inserire le
specifiche informazioni.

3. LETTURA E COMPRENSIONE DI TESTI NELLA PROSPETTIVA SOCIOCOSTRUTTIVI-


STA.
La lettura viene ora definita come un’attività di costruzione di significato. Essa si realizza
attraverso l’interazione tra il lettore, il testo e l’attività del leggere, situata entro uno speci-
fico contesto e all’interno di una comunità di discorso. La lettura perde la connotazione di
attività individuale e diviene un’attività di natura sociale che si svolge entro la classe.
Un secondo cambiamento è che il significato del testo viene costruito non dal singolo let-
tore ma da una pluralità di lettori che interagiscono intorno al testo.

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L’attività di lettura viene orientata da compiti significativi: si legge non per la comprensio-
ne in sé del testo ma per acquisire informazioni riguardo problemi su cui la classe sta
svolgendo attività di indagine.

4. LA PRODUZIONE DI TESTI: I MODELLI COGNITIVI.


Hayes e Flower utilizzano la tecnica del thinking aloud per chiedere ad alcuni adulti men-
tre componevano testi di verbalizzare i loro processi di pensiero. Tre componenti di base:
1. Ambiente o contesto del compito: coinvolge aspetti che sono esterni allo scrittore ma
che influenzano la scrittura;
2. Processi cognitivi, essa fornisce una descrizione delle operazioni mentali implicate
nella scrittura che comprendo la Pianificazione di che cosa e come scrivere e la Tra-
slazione del piano nel testo scritto e la Revisione del testo via via prodotto per miglio-
rarlo;
3. La memoria a lungo termine dello scrittore, riguarda le conoscenze a disposizione
dell’autore sull’argomento, sul destinatario e sui piani generali.

Le difficoltà incontrate da uno scrittore novizio nella stesura di un testo sono ben spiegate
dal modello sviluppato da Bereiter e Scardamalia in cui si distinguono due approcci alla
scrittura.
Il primo definito Knowledge Telling, tipico dello scrittore inesperto, consiste nello scrivere
tutto ciò che si sa sull’argomento indicato. Comprende tre componenti:
1. La rappresentazione mentale del compito;
2. La memoria a lungo termine;
3. Una componente dinamica: che si distribuisce tra sette operazioni. Le prime due ri-
guardano la rappresentazione mentale del compito e coinvolgono il prendere decisioni
sull’argomento del testo. Questo serve a guidare la ricerca e il recupero di conoscenze.
L’informazione recuperata è analizzata per verificare se è adeguata alla natura dell’argo-
mento e al tipo di testo richiesto. L’informazione viene traslata nel testo e il testo prodotto
serve come stimolo per condurre una successiva indagine nella memoria a lungo termine.
Il secondo modello è quello della Knowledge Trasforming, questo approccio alla scrittu-
ra coinvolge la pianificazione del contenuto del testo in accordo con i vincoli pragmatici,
comunicativi e retorici. Il punto di partenza dello scrittore è lo sviluppo di una rappresen-
tazione mentale del compito sulla cui base lo scrittore si impegna nell’analisi del pƌoď-
leŵa e nella definizione di un obiettivo.

Come sostiene Graham pur essendo il Knowledge Telling l’approccio tipico di scrittoƌi
meno esperti, esso può avere una funzione adattiva in quanto riduce il carico cognitivo
dedicato alla pianificazione e alla revisione e consente agli scrittori che non padroneggia-
no la correttezza nella scrittura di concentrarsi su questo aspetto.

Metodo di intervento per la facilitazione allo scrivere: facilitazione procedurale, è stato


pensato per aiutare gli scrittori inesperti a ridurre il carico cognitivo durante la scrittura del
testo. Il metodo prevede 4 momenti:
1. Individuare il processo che quel particolare lettore inesperto gestisce in modo ineffica-
ce;
2. Descrivere esplicitamente il processo indicando le operazioni mentali da compiere;
3. Identificare una modalità tramite cui facilitare l’operazione specifica;
4. Mettere a disposizione supporti esterni per ridurre il carico cognitivo.

Il secondo modello di Hayes. L’ambiente del compito è stato ampliato per includere va-
rie componenti contestuali oltre a una componente fisica. La riformulazione del modello

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riguarda anche i fattori interni all’individuo ad esempio la componente affettivo-motiva-
zionale. Ritenuti in grado di influenzare il processo di scrittura. Il modello assume cha la
memoria di lavoro svolga una funzione di interfaccia tra processi cognitivi componente
affettivo-motivazionale e memoria a lungo termine.

5. SCRITTURA E METACOGNIZIONE

Zimmerman e Risemberf dell’autoregolazione nella scrittura. Una spiegazione focalizzata


sulla prestazione nella scrittura e sul suo sviluppo autoregolato debba includere accanto
agli esperti congnitivi anche quelli metacognitivi, sociali, motivazionali e comportamentali.
Propongono un modello di scrittura con tre fondamentali forme di autoregolazione: am-
bientale, comportamentale e personale.
Lo studente autoregolato è definito come un partecipante attivo sia a livello metacognitivi,
motivazionale che comportamentale, nel suo processo di apprendimento. Secondo que-
sto modello, l’autoregolazione nella scrittura avviene quando gli scrittori usano i processi
personali per regolare strategicamente il loro comportamento nello scrivere. Questo mo-
dello offre una spiegazione esplicita di come gli studenti esercitano un controllo sulla
scrittura inoltre fornisce una descrizione su come le credenze dello scrittore circa la pro-
pria competenza influenzino e siano influenzate dalle azioni autoregolatorie; infine il mo-
dello non descrive solo che cosa fa lo scrittore come nei precedenti modelli ma anche
come avviene l’evoluzione della competenza di scrittura introducendo meccanismi di au-
toregolazione attraverso cui gli scrittori acquisiscono nuovi comportamenti.
Graham ideò il programma SRSD atto a migliorare l’abilità dello scrivere.

6. LA SCRITTURA NELL’APPROCCIO SOCIOCOSTRUTTIVISTA.

Writing Across the Curriculum. Pertanto accanto alla dimensione cognitiva anche la di-
mensione sociale dello scrivere diventa un focus di attenzione al punto che le differenze
nella capacità di scrittura vengono interpretate in relazione alle convenzioni testuali delle
“comunità di discorso”.
La ricerca sulla dimensione sociale dello scrivere viene articolata studiando tre aspetti
principali:
1. la relazione tra autore e destinatario del testo, il significato del testo è il risultato di un
processo negoziato di costruzione realizzato dallo scrittore che produce il testo e dal
lettore reale che lo interpreta in un dato momento storico.
2. L’intertestualità, il testo non è un’entità statica bensì è il punto di incontro del” “dialo-
go” tra diverse scritture, sia per il lettore sia per lo scrittore.
3. Infine la co-costruzione del testo rompe l’idea che lo scrivere sia un compito a strut-
tura individuale per sottolineare le possibilità che provengono per la produzione te-
stuale sia delle modalità di scrittura collaborativa in gruppo sia dal lavoro di correzio-
ne commento e revisione del testo in interazioni di tipo duale.
Le implicazione dell’approccio sociocostruttivista per l’insegnamento della composizione
scritta possono essere sintetizzate in quatto principali indicazioni:
1. Lo scrivere non può essere confinato all’interno di un’unica disciplina;
2. Attività collaborative di scrittura possono essere praticate accanto ad attività di scrit-
tura individuale per favorire la consapevolezza della natura sociale dello scrivere;
3. L’intertestualità ǀa praticata per far cogliere agli studenti il legame di interdipendenza
tra lettura e scrittura di testi.
4. Il genere testuale diviene uno strumento di lavoro.

Anche per la scrittura l’approccio cognitivista si proponeva di individuare i processi cogni-


tivi messi in atto dall’esperto per costruire dei training. Con l’avvento dell’approccio so-
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ciocostruttivista il focus degli interventi si sposta per la lettura sul creare le condizioni
contestuali che consentano di trasformare questa pratica in un’attività di costruzione so-
ciale di significati a partire dal testo. Per la scrittura sulla competenza nello scrivere attra-
verso un profondo ripensamento delle pratiche di scrittura che si svolgono nel contesto
scolastico in modo da renderle più attente alla dimensione sociale e culturale.

CAPITOLO 10. RISOLVERE PROBLEMI IN MATEMATICA E SVILUPPARE COMPE-


TENZE NELLE SCIENZE.

1. IL PROBLEM SOLVING MATEMATICO NELLA PROSPETTIVA COGNITIVISTA.


Polya, aveva identificato 4 fasi:
a) comprendere il problema;
b) sviluppare un piano;
c) applicare il piano;
d) rivedere il lavoro ed estendere il piano a future situazioni.
Polya introdusse il termine euristica , indicando con esso una modalità esplorativa che
utilizza analogie con casi simili, scomposizione in parti del problema e ricombinazione.

Newell e Simon, General Problem Solver:


Greeno propone un modello di problem solving che evidenza il ruolo di due componenti:
la rappresentazione cognitiva delle info del problema.
Simons aggiunge una terza componente particolarmente utile in ambito matematico: le
concezioni metacognitive.
• Conoscenza metacognitiva dichiarativa che riguarda da un lato la consapevolezza delle
caratteristiche di sé in rapporto all’attività di soluzione dei problemi che possono influen-
zare la prestazione dall’altro la consapevolezza delle caratteristiche del compito che si
affronta.
• Conoscenza metacognitiva procedurale che riguarda le strategie utili per raggiungere
l’oďďiettiǀo di apprendimento:
• Conoscenza metacognitiva condizionale che concerne la consapevolezza delle condi-
zioni che influenzano l’apprendimento.
Brown ha distinto 4 principali processi: la previsione, la pianificazione, il monitoraggio e la
valutazione.

2. L’ESPERTO SOLUTORE DI PROBLEMI MATEMATICI.


Caratterizzato da: (Glaser)
• Il rapido ricorso a schemi che organizzano la rappresentazione del problema
• L’utilizzo di conoscenze metacognitive e di processi di autoregolazione per il controllo
della procedura di soluzione
• La base di conoscenza che il soggetto possiede circa le caratteristiche dei problemi
matematici.
• Le strategie che egli sa utilizzare
• I processi di monitoraggio e di autoregolazione messi in atto a livello metacognitivo.
• Le credenze possedute circa la matematica.

Lucangeli, Tressoldi e Cendron hanno messo a punto un modello per l’intervento che in-
dividua le componenti alla base del problem solving matematico:
1. La comprensione del testo: un importante passaggio che costituisce una condizione
necessaria anche se non sufficiente per poter procedere alla soluzione. I soggetti che
presentano difficoltà nella comprensione del significato dei termini linguistici possono non

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cogliere perfettamente le implicazioni matematiche di tali termini rispetto alla struttura
“profonda”.
2. La rappresentazione: consente di mettere in evidenza le relazioni tra le informazioni
fornite dal problema e l’incognita da individuare, costruendo quella Đhe Mayer definisce
come un modello della situazione.
3. La categorizzazione, permette di riconoscere che il problema può essere inserito in una
categoria più ampia di problemi accomunati dalla stessa “struttura profonda” che richie-
dono le medesime operazioni logiche per raggiungere la soluzione
4. La pianificazione, è la componente di tipo metacognitivo che riguarda l’elaborazione di
una strategia, che può prendere la forma di un piano d’azione relativo all’esecuzione delle
operazioni e dei calcoli.
5. Il monitoraggio e la valutazione: sono due processi di controllo metacognitivo entrambi
essenziali per raggiungere la soluzione del problema. Il monitoraggio è un controllo on
task che avviene progressivamente durante lo svolgersi del compito. La valutazione è in-
vece un processo di controllo off task.

3. AFFRONTARE I PROBLEMI MATEMATICI NELL’APPROCCIO SOCIOCOSTRUTTIVI-


STA.

Gli studi si concentrano su 3 aspetti principali: la caratterizzazione situata della cono-


scenza, la necessità di problemi autentici e l’importanza della dimensione sociale nell’ap-
prendimento della matematica.
L’attenzione alla caratterizzazione “situata” della conoscenza: matematica “della strada” i
bambini di scuola elementare in Brasile sapevano affrontare problemi aritmetici abbastan-
za complicati in un contesto di compravendita.
Problemi autentici, l’approccio cognitivista si basava su due assunti: l’acquisizione di
strategie di soluzione di problemi e la loro generalizzazione. Ma l’insegnamento delle stra-
tegie a scuola avviene in situazioni artificiali che non hanno a che fare con le situazioni
della vita reale, il che conduce allo sviluppo di una conoscenza inerte che non viene tra-
sferita ad altri contesti. Gli insegnanti devono
coinvolgere gli studenti in situazioni problematiche reali, significative e sfidanti, partendo
dalle loro intuizioni per arrivare a possibili alternative di soluzione.
La dimensione sociale dell’apprendimento, l’apprendimento della matematica possa es-
sere organizzato a scuola in forma di apprendistato cognitivo, ovvero una modalità di la-
voro in cui lo studente, proprio come avviene nell’apprendistato tradizionalmente si trova
nel ruolo di novizio. L’apprendistato cognitivo è strutturato secondo le seguenti fasi:
1. Modelling: il maestro insegna come si svolge
2. Coaching: lo esegue lo studente sotto la visione del maestro
3. Articolazione: strategie che permettono allo studente di rendere espliciti i processi che
ha utilizzato per affrontare il problem solving
4. Riflessione: si confrontano i processi messi in atto dall’allievo con quelli dell’espero.
5. Esplorazione: lo studente viene spinto a cercare strategie innovative per la soluzione
del problema.

4. CONOSCENZA SCIENTIFICA E PROBLEM SOLVING: L’APPROCCIO COGNITIVISTA.


La teoria del carico cognitivo: presuppone che gli esseri umani abbiano una memoria di
lavoro limitata e un’ampia memoria a lungo termine. La memoria a lungo termine gioca un
ruolo importante nella CLT poiché fornisce un modo per superare la limitazione della me-
moria di lavoro attraverso la creazione e l’immagazzinamento di schemi.
Tre tipi di carico cognitivo in una situazione di apprendimento:
a) intrinseco, inerente il contenuto di istruzione;
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b) estraneo, ovvero dovuto alla modalità con cui l’informazione sul contenuto viene pre-
sentata;
c) germano, relativo all’elaborazione dell’info, alla costruzione e all’automatizzazione
degli schemi.

La loro combinazione determina quanto sarà complessa la costruzione di uno schema e


in definitiva quanto sarà difficile l’apprendimento dato un certo tipo di informazioni e un
certo tipo di modalità di presentazione. L’idea di fondo consiste nel ridurre il peso del ca-
rico cognitivo estraneo attraverso opportune modalità di istruzione in modo da liberare
spazio nella memoria di lavoro da destinare al carico cognitivo di tipo germano.
La teoria cognitiva dell’apprendimento multimediale di Mayer si basa invece sul modello
della memoria di lavoro di Baddeley e sul modello dell’apprendimento significativo di
Mayer. L’assunto della teoria è che il sistema cognitivo umano possieda due differenti e
specifici sistemi di elaborazione, ciascuno con limitate capacità di elaborazione: uno per
l’info di tipo visivo-pittorico, l’altro per quella di tipo uditivo-verbale. Chiunque sia impe-
gnato in un apprendimento multimediale utilizza tre processi cognitivi:
a) selezione, applicata all’info verbale proveniente da un testo e a quella visuale prove-
niente da un’immagine;
b) l’organizzazione, per cui l’info viene organizzata entro ciascun sistema, in un modello
verbale e in uno visivo;
c) l’integrazione mediante cui il soggetto crea connessioni tra le parti dei due tipi di
modelli.

Le applicazioni nell’insegnamento:
• Fornire a che apprende problemi che non specificano uno stato finale;
• Fornire agli studenti situazioni con esempi pratici da studiare piuttosto che problemi
convenzionali da risolvere, gli esempi pratici focalizzano l’attenzione degli studenti sullo
stato iniziale della situazione e attivano la costruzione di nuovi schemi che possono es-
sere trasferiti a situazioni simili;
• Evitare di forze gli studenti a integrare pezzi separati di info, a causa dell’attenzione di-
visa;
• Presentare materiali in modalità sia verbale che visuale, per cui il carico cognitivo a
fronte di una certa quantità di info può diminuire se anziché presentata in un’unica mo-
dalità, una parte di tali informazioni viene presentata in forma visiva;
• Evitare sorgenti di informazioni ridondanti e irrilevanti.

5. AFFRONTARE PROBLEMI SCIENTIFICI IN MODO ESPERTO: IL CONTRIBUTO DELLA


METACOGNIZIONE.
Progressive Problem Solving include due componenti legate alla metacognizione. Il PPS
sviluppa le abilità di esperto solutore di problemi complessi in particolare in ambito scien-
tifico e lavorando su 4 aree di cui le ultime due squisitamente metacognitive:
1. Sviluppare conoscenza concettuale o dichiarativa: usano la conoscenza concettuale
per analizzare e comprendere il problema nelle sue diverse sfaccettature e ipotizzare di-
verse linee di soluzioni;
2. Collegare conoscenza concettuale e procedurale: gli esperti analizzano un problema
complesso prima a livello concettuale e poi recuperano dalla memoria a lungo termine la
conoscenza procedurale necessaria per ipotizzare delle soluzioni;
3. Rafforzare le abilità metacognitive, ci si riferisce alle abilità di analisi, pianificazione,
monitoraggio e valutazione della soluzione individuata. L’analisi dell’esperto avviene me-
diante rappresentazione del problema in diversi formati scartando i dati irrilevanti e indivi-
duando eventuali informazioni mancanti;

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4. Migliorare l’epistemologia degli studenti: questa può esseƌe definita come lo studio
delle convinzioni su quelle sia la conoscenza da avere in un determinato dominio e come
gli studenti possono acquisirla;

LA COMPRENSIONE DEI CONCETTI SCIENTIFICI NELL’APPROCCIO SOCIOCO-


STRUTTIVISTA.
L’attenzione si sposta sul soggetto che costruisce conoscenze entro contesti significativi.
La focalizzazione degli studi di matrice costruttivista si concentra in particolare sul cam-
biamento concettuale. Carey si interessa dei contenuti del pensiero che sono invece do-
minio-specifici ovvero i concetti. Essi sono definiti come unità di rappresentazione menta-
le approssimativamente corrispondenti a una singola parola.
L’autrice ipotizza che il cambiamento concettuale possa avvenire in due modi, mediante
una ristrutturazione debole che si manifesta con un incremento delle relazioni tra i concet-
ti e con il loro inserimento in strutture concettuali più complesse. Oppure mediante una
ristrutturazione radicale paragonabile a una rivoluzione scientifica che comporta il cam-
biamento delle relazioni tra i concetti, della struttura che li tiene insieme e del più generale
dominio entro cui i concetti sono collocati.
Carey ritiene che i singoli concetti possano cambiare in diversi modi: la differenziazione,
quelli di velocità media e velocità istantanea.

Knwledge in pieces, ovvero una conoscenza frammentata e incoerente. L’autore


descrive gli studenti come portatori di conoscenze in frammenti e definisce le loro idee
come p-primes, ovvero idee intuitive, emergenti dai resoconti sul mondo naturale. I p-
primes nascono da astrazioni derivate da specifiche esperienze e consentono previsioni
ragionevoli nelle situazioni quotidiane senza però una comprensione dei concetti scientifi-
ci che spiegano il perché della correttezza o meno di tali previsioni. Il compito dell’istru-
zione diventa far collegare le idee intuitive con i concetti scientifici corretti che indicano gli
elementi e i processi non direttamente osservabili.

La seconda posizione ritiene che la conoscenza di chi apprende possa essere considera-
ta Theory-like ovvero come organizzata in strutture che possiamo definire vere e proprie
teorie ingenue, costituito da un corpo di conoscenza dominio-specifica relativamente
coerente e dotata di relazioni causali che permettono di dare spiegazioni e fare previsioni.
È determinante il ruolo dell’interazione sociale nel processo di costruzione delle cono-
scenze scientifiche. Community of Learnes di Brown e Campione e la Knowledge Buil-
ding Community, e lo Scaffolded Knowledge Integration, modello creato per l’insegna-
mento delle scienze basato su 4 principi:
1. Rendere le scienze accessibili
2. Rendere il pensiero visibile, fornendo rappresentazioni multiple.
3. Aiutare gli studenti ad ascoltare e ad apprendere dagli altri, riconoscendo l’importanza
dell’apprendimento collaborativo.
4. Promuovere l’autonomia e l’apprendimento lungo tutto l’arco della ǀita.

Lo SKI enfatizza l’importanza di attivare in classe attività di indagine collaborativa soste-


nute da interazioni discorsive in cui la tecnologia assume la funzione di supportare me-
diante opportuni scaffolds.
I principi del modello sono stati utilizzati per sviluppare una piattaforma on line chiamata
prima KIE e successivamente WISE in cui le attività organizzate sono strutturate in per-
corsi di indagine dedicati a tempi tipici del curricolo di scienze.

CAPITOLO 11. LA MOTIVAZIONE A IMPARARE.


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La motivazione, una sorgente di energia interna che spinge le persone verso esiti deside-
rati e lontano da esiti indesiderati. Un insieme strutturato di esperienze soggettiǀe usato
per spingere l’inizio, la direzione, l’intensità, la persistenza e la qualità del comportamen-
to, specialmente diretto verso un obbiettivo. I motivi spiegano il perché un individuo sta
realizzando quel che sta facendo mentre gli obbiettivi indicano verso cosa un individuo
sta direzionando la propria attività.
Motiǀazione intrinseca: si riferisce alla disponibilità di una persona a impegnarsi in un’atti-
vità di apprendimento per il gusto di farlo indipendentemente da un riconoscimento
esterno invece la motivazione estrinseca si riferisce alla situazione per cui le persone si
coinvolgono in attività per fini strumentali, come ottenere un premio o un vantaggio.

2. MOTIVAZIONE E RINFORZO.
Comportamentismo -> rinforzo. Per controllare il comportamento attraverso lo stimolo.
Buona parte delle pratiche scolastiche degli insegnanti è ancora oggi impregnata dalla
cultura comportamentista, espressa in tutto l’apparato premiale costituito da voti, tabel-
loni con simboli di merito e cerimonie di conferimento di premi.
Ford: ricompense possono comportare il rischio di minare la motivazione intrinseca. Ciò
avviene quando la ricompensa crea un conflitto di obiettivi:
• Se la ricompensa è percepita come un tentativo di controllare il comportamento.
• Se la ricompensa distrae l’attenzione dall’obbiettivo principale per cui ci si dovrebbe
impegnare in quell’attività.
• Se la ricompensa altera il significato psicologico del compito spingendo a svalutare gli
obbiettivi principali per i quali ci si dovrebbe impegnare nell’attività.

3. I BISOGNI ALLA BASE DELLA MOTIVAZIONE.


Il termine del bisogno richiama alla mente una necessità e una spinta. Maslow ha propo-
sto una teoria della motivazione che prevede che i bisogni umani siano organizzati in una
gerarchia ordinata.
L’ordine prevede rispettivamente bisogni fisiologici, bisogni di sicurezza e protezione, bi-
sogno di amore e relazioni, autostima e autorealizzazione.
L’individuo sarebbe motivato prima a soddisfare i bisogni dei livelli inferiori e successiva-
mente a occuparsi di quelli dei livelli successivi. I bisogni fisiologici sono infatti alla base
della sopravvivenza.
Tuttavia alcune evidenze suggeriscono di mitigare questo nesso gerarchico. Ci sono però
due aspetti interessanti:
a) aver proposto l’idea che non tutti i bisogni sono importanti allo stesso modo.
b) Aver teorizzato l’esistenza di una spinta motivazionale interna dell’individuo che non
si arresta fino a che non si sia raggiunta una propria autorealizzazione.

4. LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI.


Le prime teorie degli obiettivi si focalizzavano su due tipi principali di orientamento:
gli obbiettivi di padronanza sono motivati dallo sviluppare quelle competenze promosse
dalle attività che intendono svolgere.
Tali obiettivi vengono tratteggiati come orientati al compito oppure orientati alla padro-
nanza. Questi studiano per imparare e pur non negando l’importanza dei voti si impegna-
no a prescindere del risultato finale..Gli obbiettivi di prestazione si caratterizzano per es-
sere concentrati su se stessi e sul riconoscimento esterno tali studenti vengono descritti
come orientati al sé. Essi studiano per esibire ciò che sanno e sono motivati dall’otteni-
mento di giudizi positivi da parte degli altri. Si può avanzare un collegamento tra gli ob-
biettivi di prestazione e la motivazione estrinseca. Chi è orientato alla prestazione ha l’ob-
biettivo di sembrare capace e di evitare di essere considerato incapace: in questa pro-
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spettiǀa l’insegnante è visto dagli studenti come un giudicare o come colui che premia/
punisce piuttosto che come una risorsa a cui chiedere supporto.
Il gruppo che integrava i due tipi di obiettivi era quello di maggior successo perché si pre-
occupava sia delle caratteristiche del compito sia dei criteri di valutazione.
Ci sono 4 tipi di orientamenti basati su obiettivi diversi:
• Obiettivi di approccio centrati sulla padronanza: basati sul perseguire lo sviluppo della
propria competenza;
• Obiettivi di approccio centrati sulla prestazione: basati sull’ottenere una buona presta-
zione;
• Obiettivi di evitamento centrati sulla padronanza: caratterizzati dall’evitare situazioni che
possono comportare una diminuzione della propria competenza;
• Obiettivi di evitamento centrati sulla prestazione: caratterizzati dall’evitare situazioni che
possono comportare una cattiva prestazione.

5. CONVINZIONI PERSONALI CHE MOTIVANO.


Attribuzione causale:
Questa teoria si focalizza sul processo cognitivo attraverso cui le persone individuano i
motivi chiamati in causa per comprendere la riuscita o il fallimento delle proprie azioni. Il
processo di attribuzione causale è legato al bisogno di ogni individuo di comprendere la
realtà che lo circonda: se si sa di che cosa dipende quello che succede si può controllare
meglio ciò che accade.
Stile attributivo che l’individuo sviluppa nel corso della sua storia, elaborando spiegazioni
dei successi e dei fallimenti di cui ha avuto esperienza.
Ci sono otto ricorrenti cause di attribuzione di successi e fallimenti: la tenacia, l’abilità,
l’impegno, il tono dell’umore, il pregiudizio di chi valuta, la difficoltà del compito, l’aiuto e
la fortuna. Secondo Meiner le cause percepite sono categorizzabili sulla base di tre di-
mensioni:
• Il locus of Control, definisce se la causa può essere interna o esterna all’individuo;
• La stabilità, indica se la causa può essere suscettibile di un cambiamento nel tempo;
• La controllabilità, evidenza se la causa è sotto il controllo della persona oppure no.
Il rapporto tra reazioni emotive e locus of control si può ipotizzare se i successi sono at-
tribuiti a cause che l’individuo colloca al suo interno, questa interpretazione aumenterà la
stima di sé, mentre se i motivi del successo sono attribuiti a fattori esterni il soggetto pro-
verà probabilmente sentimenti di gratitudine verso chi l’ha aiutato, ma meno senso di
auto efficacia. Se i fallimenti sono attribuiti a cause interne proverà probabilmente vergo-
gna o senso di colpa se invece si riconoscono cause esterne si può provare rabbia o ri-
sentimento verso la persona che ha fatto mancare il proprio supporto.

Teorie implicite:
Carol Dweck, evidenza due tipi di reagire all’insuccesso. La prima modalità viene definita
impotenza appresa, gli alunni interpretano gli errori come indicatori della loro mancanza di
abilità e fanno previsioni pessimistiche sulla possibilità di riuscita. Nella seconda modalità
che possiamo definire di sfida al miglioramento, gli alunni si assumono un atteggiamento
più positivo nei confronti dell’insuccesso che viene considerato come uno stimolo a mi-
gliorarsi e si traduce in un maggiore impegno nel cercare nuove strategie per far fronte in
modi più efficaci a compiti analoghi in futuro.
Gli individui che reagiscono scoraggiandosi tendono a perseguire obiettivi di prestazione,
coloro che invece reagiscono aumentando l’impegno tendono a perseguire obiettivi di
padronanza, cercando di imparare cose nuove e di accrescere la propria competenza.

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La diversità di orientamento sarebbe associata alla teoria implicita dell’intelligenza che
l’individuo ha elaborato e che applica sé stesso: chi ipotizza che l’intelligenza sia una do-
tazione cognitiva stabile e immodificabile, sulla quale non ha alcun controllo.
Teoria entitaria: tende a perseguire obiettivi di prestazione.
Teoria incrementale: invece vede la propria intelligenza come un insieme di facoltà che
possono svilupparsi tende a considerarla in una prospettiva più dinamica, come una do-
tazione che si può accrescere impegnandosi nell’esperienza di apprendimento e tende a
perseguire obiettivi di padronanza.
Le lodi possono creare sicurezza orientata alla padronanza oppure senso di vulnerabilità e
impotenza. Dweck classifica i messaggi di lode e di critica in tre modi: rivolti alla persona,
al compito e alle strategie. I feedback alla persona produco-
no maggiori risposte orientate all’impotenza, al blocco della creatività e dell’iniziativa.
I feedback sulla persona veicolano una dimensione coercitiva.
I feedback sulle strategie e in misura minore quelli sul compito sono invece in grado di
fornire informazione preziose relative sia alla prestazione che alla modalità con cui è stata
realizzata.
I feedback sulle strategie inoltre apre a soluzioni alternative, permettendo di poter miglio-
rare in caso di errore evitando implicazioni che mettano in discussione il sé dello studen-
te.

Le percezioni di auto efficacia:


Credenze nella propria capacità di organizzare ed eseguire il corso delle azioni necessarie
per produrre un dato esito. Le percezioni di autoefficacia sono valutate con riferimento
alle capacità necessarie per riuscire in una particolare situazione di apprendimento.
Le percezioni di autoefficacia possono influenzare la scelta del compito e la qualità del
coinvolgimento nel compito stesso. Quando le percezioni di autoefficacia sono elevate, le
persone si approcceranno a situazioni di apprendimento con fiducia e si impegneranno
volontariamente e persistentemente. Invece se esse dubitano delle loro capacità, tente-
ranno piuttosto di evitare la situazione o se questo non è possibile rinunceranno facilmen-
te davanti a una frustrazione o fallimento.
Per aumentare l’autoefficacia bisogna: incoraggiare gli
alunni a definire specifici obiettivi complessi ma raggiungibili, modellare e segnalare stra-
tegie per il compito efficaci, fornire feedback che aiutino gli studenti a raggiungere il suc-
cesso. Fare affermazioni attributive che aiutino gli studenti ad apprezzare lo sviluppo delle
proprie abilità ad accettare le sfide e ad applicare un impegno elevato e costante.

6. MOTIVAZIONE INTRINSECA: AUTODETERMINAZIONE ED ESPERIENZA DI FLUSSO.


Tratto distintivo della motivazione intrinseca l’idea che la persona percepisca la possibilità
di autodeterminare le proprie azioni.

La teoria dell’autodetermizzazione di Dieci e Ryan:


propongono l’idea che per ottenere una più completa comprensione dei comportamenti
diretti verso un obiettivo, dello sviluppo psicologico e del benessere più in generale, sia
necessario riferirsi ai bisogni fondamentali dell’individuo che danno agli obiettivi una con-
notazione psicologica e guidano le attività autoregolate degli individui. Un comportamen-
to orientano a un obiettivo è influenzato da tre bisogni fondamentali, che tutti gli esseri
umani avvertono:
• i bisogni di autonomia, inteso come tensione a orientare le proprie azioni verso obiettivi
autodeterminati e secondo modalità di azione scelte personalmente;
• Il bisogno di competenza, come tendenza dell’individuo a perseguire obiettiǀi che gli
consentono di acquisire competenze che aumentano il grado di controllo sulla realtà;

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• Il bisogno di relazione con gli altri, come tendenza a preferire situazioni che consentono
di fare esperienza di un senso di appartenenza a un gruppo la soddisfazione dei tre bi-
sogni di base fornisce le necessarie.

Si parla di una condizione di assenza di motivazione. Il fallimento non incide sulla perce-
zione di sé, così come il successo non genera soddisfazione. Esiste poi un successivo
livello di regolazione esterna che si verifica quando le nostre azioni sono regolate da ri-
compense, pressioni o vincoli esterni. Gli studenti sono in questa situazione quando fre-
quentano lezioni o completano compiti perché saranno ricompensati. Si passa quindi alla
regolazione introiettata che chiama in causa le emozioni: agiamo perché sentiamo di do-
verlo fare o perché proveremmo senso di colpa se non lo facessimo. Il terzo livello è detto
della regolazione per identificazione e si verifica quando il valore che motiva la regolazio-
ne è adottato come personalmente rilevante. Il quarto livello o della regolazione integrata
è la forma più autodeterminata della motivazione estrinseca: risulta dall’integrazione dei
ǀavori e delle regolazioni relative a un senso coerente di sé.
L’ultimo livello è quello della motivazione intrinseca alla conoscenza basata sul piacere di
acquisire nuove competenze.

Indicazioni per l’insegnante:


• Si sottolinea il ruolo dell’interesse dello studente nella motivazione: occorre che l’inse-
gnante sintonizzi l’attività in classe sulla lunghezza d’onda degli interessi degli studenti;
• Bisogno di autonomia;
• La promozione di conoscenze e abilità assume un nuovo significato, legato al bisogno
di sentirsi competenti il che implica l’importanza di valorizzare in classe le competenze
acquisite dagli alunni;
• Diventa importante tenere conto del bisogno di relazione nell’attività costruendo conte-
sti di lavoro in classe in cui tale bisogno trovi risposta.

L’esperienza di flusso.
L’attività sembra fluire andando avanti da sè, ci si sente trascinati come da una corrente
d’acqua e la motivazione intrinseca raggiunge il suo massimo livello. Caratteristiche del-
l’esperienza di flusso:
• Obiettivi chiari e feedback immediato;
• Bilanciamento tra sfida e competenze;
• Integrazione tra azione e consapevolezza;
• Concentrazione totale sul compito;
• Senso di controllo;
• Perdita di autoconsapevolezza;
• Distorsione della percezione;
• Piacere intrinseco: l’esperienza diviene autotelica, svolgimento dell’attività stessa, sen-
za altƌi scopi esterni.

Le persone riferiscono di esperienze di flusso più frequenti quando le attività presentano


livelli di sfida nelle aree in cui si percepiscono con elevati livelli di competenza. Si prova
invece noia nelle situazioni in cui ci si percepisce con alti livelli di competenza e il compito
viene ritenuto di scarsa difficoltà.
Un limite del modello secondo Moè riguarda la bidimensionalità basata su complessità
del compito e livello percepito di competenza. Manca il riferimento alle emozioni. È as-
sente anche il ruolo della possibilità di scelta dell’attività.

Gli insegnanti possono incoraggiare le esperienze di flusso:

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• Padroneggiando le materie che insegnano, mostrando entusiasmo nell’inseguire e
agendo come modelli che perseguono la dimensione intrinseca dell’apprendimento;
• Mantenendo una buona corrispondenza tra ciò che ci si aspetta che gli studenti fac-
ciano e ciò che gli studenti sono preparati ad affrontare richiedendo di perseguire obiet-
tivi ragionevolmente sfidanti;
• Combinando sostegno emotivo e didattico in modo da consentire agli studenti di af-
frontare compiti di apprendimento con fiducia e senza ansia.

7. LA MOTIVAZIONE NEL CONTESTO.


L’idea che obiettivi e lavori che motivano l’apprendimento si originano nel contesto, co-
struito dalla classe, dall’ambiente familiare fu proposta da Sivan.

Nella prospettiva socioculturale l’apprendimento si verifica quando l’individuo interagisce


nel mondo materiale e sociale e partecipa alle pratiche di conoscenza di una comunità
che include persone più esperte di lui. Partecipazione e appropriazione sono infatti i con-
cetti chiave delle teorie socioculturali dell’apprendimento.
Brophy sostiene che ci sia la possibilità di introdurre un concetto analogo a quello di ZSP
nel ambito motivazionale: insegnanti e ambiente di apprendimento possono supportare la
motivazione dello studente a impegnarsi in opportunità di apprendimento che essi non
riuscirebbero a cogliere da soli.
In altre parole la ZPS motivazionale ripropone il concetto di scaffolding nell’ambito degli
aspetti motivazionale e affettiǀi: l’insegnante suscita e sostiene l’interesse dello studente e
cerca di mediarne la frustrazione davanti all’insuccesso.

L’apprendimento co-regolato: di Mary McCaslin che si richiama esplicitamente a Vygo-


tskij. Si basa su 3 concetti chiave:
• L’unità di analisi deve essere considerata la relazione tra individui, oggetti e ambiente.
• Il compito di base degli studenti è il coordinamento di aspettative e obiettivi distribuiti
in mondi sociali multipli; gli studenti hanno bisogno di imparare a coordinare gli obiettivi
per identificare e valutare quelli in cui impegnarsi per stabilire a quali dare priorità per
mettere a punto le strategie per ottimizzarne l’utilizzo:
• Il coordinamento degli obiettivi può essere appreso anche quando si tratta di un compi-
to complesso in cui è facile finire fuori traiettoria. Il compito di base degli insegnanti è
fornire scaffold e opportunità per promuovere i processi di mediazione della motivazio-
ne.
Messo a confronto con i SRL (modelli di apprendimento autoregolato). Il SRL si focalizza
sul singolo individuo che non vuole o non può impegnarsi produttivamente in attività di
apprendimento. McCaslin e Good sostengono che apprendimento e motivazione non
sono battaglie da combattere individualmente ma piuttosto nell’ambito della relazione con
gli altri. In tal senso, l’apprendimento co-regolato comprende:
• Processi interpersonali di motivazione, includenti la conoscenza precedente e le future
aspettative.
• Processi di attuazione inclusi il coordinamento di obiettivi palesi e nascosti oltre che di
strategie che utilizzano sia risorse personali e situazionali.
• Processi di valutazione e in particolare di autovalutazione.

Una critica posta all’approccio socioculturale da Hickey e Granade è che la maggior parte
delle applicazioni dei modelli socioculturali sulla motivazione continua a essere troppo
centrata sull’individuo.

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CAPITOLO 12. IMPARARE A STUDIARE E AD AUTOREGOLARE L’APPRENDIMEN-
TO.

1. ATTIVITÀ DI STUDIO, METACOGNIZIONE E AUTOREGOLAZIONE.

La nascita del termine metacognizione attribuita a Flavell che lo ha introdotto per definire
la conoscenza come avviene l’attività cognitiva rivolta alla comprensione della realtà. Nel
suo modello Flvell distingueva: le conoscenze metacognitive, che il soggetto utilizza nel-
l’attività di studio che riguardano sé stesso come soggetto che impara; le caratteristiche
del compito che è impegnato ad affrontare le strategie utilizzabili per affrontarlo: il concet-
to di autoregolazione si origina nel momento in cui all’interno del costrutto teorico di me-
tacognizione vengono distinte le conoscenze metacognitive dai processi di controllo ov-
vero:
• I processi metacognitivi di previsione dei possibili esiti e delle difficoltà del compito;
• La pianificazione della strategia più opportuna per affrontare il compito;
• Il monitoraggio ovvero il controllo di efficacia della strategia durante il suo utilizzo;
• La valutazione quindi il controllo dell’efficacia della strategia una volta terminato il com-
pito. L’autoregolazione come un insieme di processi di modulazione di pensieri, senti-
menti e comportamenti che consentono a un individuo di guidare la propria attività ver-
so un obiettivo.

2. METODO DI STUDIO E METACOGNIZIONE.


Buon metodo di studio: saper usare strategie per leggere e comprendere testi, memoriz-
zare le informazioni rilevanti per poter affrontare successivamente le prove di verifica.

Anni 70 nasce l’idea che si potesse insegnare un metodo di studio standard, è il caso del
SQ3R di Robinson, esso prevede 5 fasi:
• Scorsa rapida del testo leggendo titoli e sottotitoli.
• Porsi domande, affinché il lettore autostimoli la propria curiosità.
• Leggere il testo per cercare le info e rispondere alle domande generate nella fase pre-
cedente.
• Ripetere le risposte che si sono individuate alle domande formulate, senza più guarda-
re il testo.
• Ripassare rileggendo i titoli e richiamando le domande e le risposte formulate.

Gli assunti su cui questo modello si basa non sono necessariamente veri. Il me-
todo si limita a stimolare la ricerca e la memorizzazione di informazioni rilevanti.
Si è riscontrata l’impossibilità di insegnare un metodo di studio standard valido per tutti
gli studenti, si è dimostrato che:
• Ogni studente in base alle proprie personali caratteristiche deve sviluppare un proprio
metodo personale.
• Ogni situazione di studio richiede un uso flessibile delle strategie richiede più che ap-
plicare un metodo generale, lo studente deve monitorare attentamente la propria attività
diventando uno studente strategico.

2. APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO.
Indica un insieme di processi che modulano fattori cognitivi, affettivi e comportamentali e
consentono a un individuo di raggiungere un obiettivo di apprendimento. Che rappresen-
ta il livello di riuscita desiderato.
L’autoregolazione dell’apprendimento implica molto di più che una dettagliata conoscen-
za di un’abilità: essa coinvolge l’autoconsapevolezza, l’automotivazione e le abilità com-

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portamentali per un’efficace implementazione della conoscenza a disposizione: gli esperti
differiscono dai novizi proprio per questa capacità di saper applicare in momenti cruciali
la conoscenza.
La ricerca attuale ci indica che l’autoregolazione dell’apprendimento non è un tratto gene-
rale di cui gli studenti possono o meno essere dotati ma coinvolge al contrario l’uso selet-
tivo di specifici processi che possono essere sviluppati dagli studenti e che vanno adatta-
ti a ogni situazione di apprendimento.

Zimmerman ha proposto un modello sociocognitivo basato sul lavoro di Bandura e ha in-


dividuato tre fasi cicliche dei processi di autoregolazione dell’apprendimento che ha defi-
nito previsione, prestazione e autoriflessione.
- La fase di previsione prepara all’apprendimento essa comprende due classi di processi:
l’analisi del compito e l’automotivazione. L’analisi del compito riguarda la definizione degli
obbiettivi e la pianificazione delle strategie. L’automotivazione si origina dalle convinzioni
dello studente sull’apprendimento.
- La fase della prestazione avviene durante l’apprendimento e riguarda altri due tipi di
processi: l’autocontrollo e l’auto-osservazione. L’autocontrollo riferisce all’utilizzo di spe-
cifici metodi o strategie che sono state selezionate nella fase di previsione. L’auto-osser-
vazione si riferisce all’autoregistrazione di eventi personali e all’autosperimentazione.
L’autoesperimentazione riguarda il creare situazioni diverse che permettano di testare del-
le ipotesi come organizzarsi. Infine la fase di autoriflessione comprende: gli autogiudizi e
le autoreazioni. Una forma di autogiudizio è l’autovalutazione che si basa sul confronto tra
le prestazioni autoosservate e alcuni standard di riferimento.
Una forma di autoreazione coinvolge sentimenti di soddisfazione di sé e il provare emo-
zioni positive riguardo alla prestazione aspetti questi che possono sostenere in modo im-
portante la motivazione. Le autoreazioni possono anche assumere la forma di risposte
difensive o adattive.

Pintrich ha sviluppato un ulteriore modello che riconosce nei processi autoregolativi 4


fasi:
• Anticipazione, pianificazione e attivazione: preparazione all’azione. La cognizione rego-
lata in questa fase riguarda gli obiettivi, la conoscenza del contenuto di cui si è in pos-
sesso e la conoscenza metacognitiva. Gli obiettivi sono definiti dal soggetto e servono
come criteri per rilevare progressi che egli compie nel lavoro sul compito; l’attivazione
di conoscenza del contenuto può avvenire inconsapevolmente. L’attivazione di cono-
scenza metacognitiva può avvenire anch’essa automaticamente o mediante un delibe-
rato controllo che include la conoscenza dichiarativa, procedurale e condizionale.
• Monitoraggio: verifica in itinere delle proprie azioni e dei loro risultati. Il monitoraggio
continuo include i giudizi metacognitivi dell’apprendimento e la consapevolezza meta-
cognitiva. I giudizi metacognitivi riguardano le convinzioni che lo studente si costruisce
durante lo svolgimento del compito relativamente a che cosa conosce e a che cosa non
conosce sull’argomento di studio.
Il monitoraggio motivazionale si riferisce alla consapevolezza acqusita durante lo svolgi-
mento del compito della propria autoefficacia, del proprio valore, delle attribuzioni, inte-
ressi e ansia
• Controllo: modifica adattiva delle proprie azioni per aumentarne l’efficacia. In questa
fase che apprende tenta di controllare e rimodelare in senso adattivo cognizione, moti-
vazione, comportamento e contesto, sulla base delle criticità emerse grazie al monito-
raggio effettuato nella fase precedente.
• Reazione e riflessione: giudizi attribuzioni e autovalutazione rispetto alla performance
realizzata. La valutazione della propria performance da parte dello studente costituisce
la base per ulteriori sforzi per regolare la motivazione, il comportamento e il contesto.
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Il costrutto di co-regolazione dell’apprendimento.
Tale concetto indica una congiunta e condivisa responsabilità dell’apprendimento che
può verificarsi sia tra insegnante e studente sia tra pari impegnati in un compito di ap-
prendimento collaborativo.
La co-regolazione permette lo slittamento progressivo della responsabilità condivisa ver-
so la responsabilità individuale.

3. PROMUOVERE L’APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO A SCUOLA.


I processi autoregolatori possono essere oggetto di insegnamento e possono portare a
un aumento di motivazione e di riuscita scolastica. Gli insegnanti possono agire a livello
educativo per aiutare gli studenti a gestire sei aspetti dell’apprendimento autoregolato:
1. Prepararsi attivamente all’apprendimento
2. Impegnarsi a memorizzare il materiale
3. Codificare o elaborare l’informazione presentata
4. Organizzare e strutturare il contenuto
5. Monitorare la comprensione
6. Mantenere emozioni appropriate.

Pintrich hanno sviluppato il programma “imparare a imparare” per studenti di college,


progettato per insegnare loto concetti di base relativamente agli aspetti cognitivi e moti-
vazionale per sviluppare un repertorio di strategie di apprendimento e applicarlo allo sco-
po di sviluppare l’autoregolazione “imparare a studiare 2” realizzato da Cornoldi. Tale
programma prevede interventi centrati sulla promozione di un uso intenzionale di strate-
gie di studio, il monitoraggio e la valutazione della loro efficacia, nonchè l’attenzione alle
convinzioni che gli studenti hanno circa lo studio per cercare di sviluppare implicazioni
positive livello motivazionale.

CAPITOLO 13: LE TECNOLOGIE A SUPPORTO DELL’APPRENDIMENTO

1. MEDIAZIONE E ARTEFATTI
Il concetto di mediazione si riferisce al postulato per cui gli uomini non hanno accesso
diretto alla realtà ma necessitano sempre della mediazione di strumenti.

Gli artefatti culturali, ossia strumenti di mediazione culturale capaci di contenere i segni
della cultura entro cui sono stati costruiti ma anche in grado di anticipare e costruire gli
antecedenti della tecnologia che verrà.

Wartofsky descrive tre livelli evolutivi per delineare il rapporto uomo-artefatti:


1. Livello primario: riguarda oggetti materiali e immateriali creati per estendere le poten-
zialità fisiche e intellettuali dell’uomo.
2. Livello secondario: è costituito da artefatti che assemblano quelli primari entro nuovi
artefatti e permettono nuove modalità d’uso e attraverso specifiche procedure tale as-
semblaggio porta a un risultato molto diverso dal semplice insieme degli artefatti primari.
3. Livello terziario: veicola rappresentazioni di monti astratti, governati da regole e opera-
zioni complesse immaginative e simboliche, esemplificativi sono le opere d’arte, i format
televisivi ma anche i mondi virtuali che veicolano significati e modi di vedere la realtà al di
là degli elementi di cui sono costituiti

2. DALLE MACCHINE PER INSEGNARE AGLI IPERSITI E IPERMEDIA PASSANDO DAL


LOGO

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I prodotti multimediali e ipertestuali dove le conoscenze non sono definite in maniera rigi-
da ma sono esplorabili attraverso percorsi individuali. Nei multimedia ipertestuali le cono-
scenze non sono organizzate secondo un percorso predefinito ma ogni utente può stabili-
re connessioni tra i concetti e può fruire dello stesso concetto in formati diversi.
Intelligenza artificiale: esempio Deep Blu, un mega computer capace di giocare a scacchi
simulando il ragionamento euristico tipico dei giocatori di scacchi
I computer per costruire: LOGO di Papert, un ambiente computerizzato aperto e non
strutturato dove dando indicazioni a una tartarughina che sostituisce la freccia del cursu-
ro gli studenti possono animare un ambiente di lavoro inizialmente vuoto. La tartaruga ri-
sponde ai comandi di movimento impartiti via tastiera e ad ogni movimento traccia una
linea

3. AMBIENTI DI APPRENDIMENTO SUPPORTATI DAL COMPUTER


3.1 DAL CSCW AL CSCL
Computer Supported Cooperative Work, proposero che la funzione dei computer poteva
essere più utilmente svolta se intesi come strumenti atti a migliorare la comunicazione tra
gli uomini e non come simulazione della mente umana. Lo possiamo definire dunque
come lo studio di sistemi computerizzati che supportano gruppi di persone impegnate in
un compito fornendo un’interfaccia all’ambiente condiviso.
Questioni chiave del CSCW sono: la consapevolezza di gruppo, le interfaccie multiutente,
la comunicazione e la coordinazione all’interno dei gruppi, la condivisione delle info e l’in-
tegrazione tra ambienti elettronici eterogenei.
Dal CSCW nasce e si sviluppa l’approccio Computer-Supported Collaborative Learning.
Il focus di questo approccio è su due aspetti diversi ma complementari:
1. Capire come la mediazione del computer possa potenziare l’apprendimento collabo-
rativo e l’interazione tra persone impegnate sullo stesso compito.
2. Capire come la collaborazione supportata dalla tecnologia possa facilitare la condivi-
sione e la disseminazione della conoscenza e delle competenze tra i membri della
comunità.

Lo specifico del CSCL è l’esplicito riferimento a contesti di apprendimento.


Recentemente alcuni autori hanno messo a punto il concetto di scripted CSCL: partendo
dal presupposto che non tutte le interazioni producono collaborazione hanno analizzato
gli scenari capaci di determinare apprendimento collaborativo in termini di aumento delle
capacità argomentative di spiegazione dei fenomeni e di risoluzione di conflitti. Gli autori
affermano che occorre progettare non tanto tecnologie adeguate quanto scenari d’uso di
tali tecnologie prevedendo sequenze di step e di passaggi adeguati per gli studenti a cui
ci si rivolge e agli obiettivi che ci si pone tra i principi da seguire:
1. proporre compiti interessanti e coinvolgenti;
2. Motivare all’interazione con i pari, funzionale al raggiungimento degli obiettivi stabiliti
dal compito;
3. Offrire prompts ovvero avvii, stimoli capaci di modellare l’attività;
4. Offrire uno scaffold adeguato sia ai singoli che ai gruppi.

3.2. LE COMUNITÀ VIRTUALI


Quando un gruppo organizzato intorno a un compito oppure a uno specifico interesse si
incontra in un ambiente digitale nascono le comunità virtuali. 4 sono gli indicatori che
permettono di distinguerle da quelle faccia a faccia:
1. Un livello minimo di interattività. Il gruppo deǀe avere una numerosità tale da consentire
che ciascuno riconosca l’altro così che i singoli membri possano comunicare direttamen-
te l’uno con l’altro. La comunità virtuale diventa un insieme di interazioni a flusso conti-
nuo, provenienti e rivolte da/a molti.
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2. una varietà di comunicatori ovvero di persone interessate a comunicare o a cooperare
allo svolgimento di un lavoro/compito comune. Più comunicatori sono presenti e attivi
maggiore sarà il grado di interattività.
3. individuazione e condivisione di uno spazio comune in cui una quantità significativa di
incontri possa avere luogo.
4. un livello minimo di sostentamento alla partecipazione individuale.
Già Slavin aveǀa individuato nell’equilibrio tra coinvolgimento personale e obiettivi di
gruppo il successo per l’apprendimento collaborativo personale e obiettivi di gruppo il
successo per l’apprendimento collaborativo.

3.3. LE CVES
Le comunità virtuali animate da scopi educativi. Collaborative Virtual Environment, ovvero
ambienti virtuali collaborativi. Sono spazi o luoghi virtuali distribuiti e basati sul computer
in cui le persone possono incontrarsi e interagire con altri utenti ma anche con oggetti vir-
tuali e altri strumenti, allo scopo di perseguire obbiettivi formativi e di apprendimento.
Alcuni principi guidano il formarsi di CVEs di successo
• Definire gli scopi della comunità, per definire gli scopi stimolanti occorre che questi sia-
no in qualche modo connessi agli interessi dei partecipanti e pertanto è necessario ave-
re un’idea dei bisogni formativi delle persone che si vogliono aggregare;
• Prevedere spazi d’incontro estendibili, si raccomanda di proporre inizialmente ambienti
semplici, ben definiti e circoscritti e lasciare che sia la comunità stessa a provvedere
alla crescita del suo spazio d’incontro.
• Promuovere i profili dei singoli partecipanti. Occorre creare opportuni spazi per l’identi-
ficazione dei vari partecipanti sfruttando le risorse disponibili. Rendere tangibili i profili
delle persone che popolano la comunità è importante: serve a creare fiducia reciproca a
sostenere relazioni interpersonali significativi a ottenere impegno personale ma soprat-
tutto rafforza la presa di iniziativa la capacità di azione e di decisione dei singoli ovvero
l’empowerment.

3.4. AMBIENTI ASINCRONI: WEB-FORUM, BLOG E WIKI.


Sfruttare l’asincronia della comunicazione in questi ambienti significa utilizzare lo scarto
temporale tra lettura e scrittura per riflettere sul contenuto della comunicazione poten-
ziando così soprattutto la riflessione metacognitiva relativamente a quello che si scrive e
si legge. Questi ambienti assegnano una forte centralità alla scrittura.
Discutere via forum diventa un modo per:
- Avere tempo e spazio per la riflessione a sostegno della dimensione metacognitiva;
- Permettere ai docenti di monitorare il processo di discussione grazie alla registrazione
automatica degli interventi;
- Enfatizzare il valore esplorativo, espressivo e costruttivo della scrittura.
Esempi: Knowledge Forum e Synergia, entrambi gli ambienti usano i cosiddetti thinking
types, ovvero la possibilità offerta a coloro che scrivono di attribuire alle note etichette
che hanno la funzione di creare delle metacategorie di discorso, marcando così la fase di
ragionamento a cui la nota appartiene.

Pedagogia per la costruzione di conoscenza, i cui elementi fondamentali sono:


- Focus sulla spiegazione dei problemi;
- Produzione di conoscenza piuttosto che attenzione allo strumento;
- Contribuire piuttosto che dimostrare, in questo tipo di pedagogia conta piuttosto la
capacità di far progredire il discorso contribuendo alla discussione e trasformando le
idee individuali in conoscenza collettiva;

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- Progredire piuttosto che trovare risposte, non è tanto importante trovare risposte ai
problemi quanto che gli studenti progrediscano nelle abilità di ragionare sui problemi;
- Sostenere il processo nel suo insieme piuttosto che passo a passo;
- Comunicazione pubblica piuttosto che individuale;
- Diversa gestione del ritmo della comunicazione.

Un blog può essere utilizzato per la condivisione di conoscenze relative a un determinato


corso oppure su uno specifico argomento può essere utile per la realizzazione collettiva di
una esercitazione oppure come diario o archivio di informazioni all’interno di una classe
virtuale.
I blog in classe possono essere utilizzati in tre diversi modi: coinvolgendo tutta la classe
intorno alla gestione del blog, predisponendo gruppi di studenti che si specializzano su
determinati aspetti del blog, chiedendo a ciascuno studente di curare blog personali.
I wiki, un mezzo di trasposto piccolo e rapido in hawaiano, infatti il Wiki consente una fa-
cile creazione di documenti in modo collaborativo utilizzando semplicemente un browser
web. L’applicazione più diffusa dei Wiki è la creazione di enciclopedie aperte online. Il si-
stema conserva traccia delle modifiche effettuate e delle versioni precedenti, consenten-
do anche una sorta di controllo sui contributi forniti attraverso l’accettazione o meno delle
variazioni effettuate dagli utenti.
Nei contesti educativi Wikipedia può essere usato prevalentemente in due modi:
• In modo passivo come fonte da conoscenza da consultare
• In modo attivo proponendo agli studenti di collaborare fra loro a volte con l’aiuto di un
insegnante per creare un elaborato, un glossario o una pagina da pubblicare in rete.

3.5. AMBIENTI SINCRONI: MUD, MONDI VIRTUALI E SERIOUS GAMES


I multi-user dungeons, il testo digitato serve a descriversi e al tempo stesso per costruire
lo scenario entro cui ci si muove, si ottiene così una sorta di romanzo scritto a più mani in
cui ciascun personaggio si racconta da sé.
Uno degli ambienti più utilizzati è active worlds, che dedica ai progetti educativi un intero
universo composto da mondi virtuali, ad esempio: Euroland, progetto dedicato alla co-
struzione della terra d’Europa per sostenere il senso di cittadinanza europea. La descri-
zione di euroland rende tangibile anche un altro aspetto di questi ambienti: la dimensione
ludica che incentiva la motivazione.
Sulla base di queste considerazioni sono nati ambienti educativi basati sul gioco e sulla
sfida, anche se non sempre sulla competizione. Questa tipologia di applicazione viene
denominata Serious games ovvero giochi seri in quanto non hanno l’esplicito oďiettiǀo di
divertire ma piuttosto quello di mettere in campo e affinare certe competenze.

Un esempio interessante in lingua italiana è quello sviluppato dal CNR e denominato


Learn to Lead. Ai giocatori è chiesto di immedesimarsi in un aspirante manager che deve
dimostrare di avere le giuste qualità pertanto dovrà svolgere compiti tipici di un leader

4. DAL WEB 1.0 AL WEB 2.0


Il web 2.0 ha un forte carattere sociale, informale e soprattutto offre la possibilità agli
utenti di popolare gli spazi digitali con i materiali da loro prodotti. Molti fanno rientrare
sotto l’etichetta di Web 2.0 gli ambienti sincrono e asincroni.
Una caratteristica del Web 2 è proprio il fenomeno degli User-Generated Content. Ovvero
i contenuti sono generati dagli utenti stessi e non più da pochi esperti.
Dal punto di vista psicologico ciò significa permettere a tutti una enorme visibilità sia dei
propri elaborati che di aspetti personali, generando rapidamente gruppi di condivisione e
di interesse.

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Pierre Levy che considera la capacità della Rete di creare connessioni tra le persone
come un potente strumento per far progredire le intelligenze collettive.

5. FAD, E-LEARNING E BLENDED LEARNING

Il caso della formazione a distanza che sfrutta le tecnologie disponibili per distribuire I
contenuti didattici a un numero sempre più elevato di persone e-Learning, questo termine
è stato adottato proprio per sottolineare lo spostamento verso i processi di apprendimen-
to determinati dall’interazione molti a molti, quindi non solo tra studenti e docenti ma an-
che tra studenti a distanza. Si tratta di processi di apprendimento complessi, che attivano
dinamiche interattive e comunicazionali che richiedono il profilarsi di nuovi ruoli quali ani-
matori mentori e tutor online Blended learning, prevede la combinazione di:
• Tecnologie e supporti utilizzati per fornire informazioni e contenuti;
• Diversi metodi di insegnamento/apprendimento;
• Online e presenza Inoltre è stato elaborato uno specifico modello denominato
• Blended per la partecipazione collaborativa e costruttiva, che si articola nelle seguenti
fasi:
- Discussione via web forum intorno ai materiali letti e guidata da domanda di ricerca
proposta dal docente;
- Costruzione di prodotti di gruppo.
VERSP ARTEFATTI DI QUARTO LIVELLO?
Le reticenze degli insegnanti rispetto all’uso delle tecnologie non sono esclusivamente di
ordine pratico bensì più generali di carattere psicosociale connesse all’idea di dover ac-
quisire una nuova professionalità.
Solo grazie al contributo di insegnanti che accettano sfide di una nuova professionalità
sarà possibile:
• Meglio definire gli aspetti positivi e i contributi fin qui apportati dalla ricerca sull’uso de-
gli artefatti tecnologici a supporto dell’apprendimento
• Chiarire il legame tra i principi dell’apprendimento collaborativo e costruttivo e le po-
tenzialità dei software e degli ambienti telematici disponibili.
• Riflettere sulla necessità di una reale comprensione dei modelli teorici alla base dell’ap-
prendimento.

CAPITOLO 14. LA QUALITÀ DEL APPRENDIMENTO.

1. APPRENDIMENTO COME CAMBIAMENTO COGNITIVO


Gli effetti dell’apprendimento sono considerati in termini di cambiamento cognitivo negli
studenti. Questi cambiamenti sono considerati in termini di cambiamento cognitivo negli
studenti e vanno fondamentalmente in due direzioni: riduzione della differenza tra le con-
cettualizzazione degli esperti e quelle dei novizi; raggiungimento di un livello più comples-
so delle concettualizzazioni possedute inizialmente.

1.1 DA NOVIZIO A ESPERTO


Apprendimento come una graduale acquisizione di conoscenze e competenze che fa
progressivamente somigliare lo studente considerato inizialmente come novizio a un
esperto del dominio.
Ericsson definisce la prestazione esperta come guidata da una ipotesi di lavoro costan-
temente in evoluzione, in stretta relazione con il modo in cui vengono rappresentate le in-
formazioni e le relazioni tra informazioni. Gli esperti posseggono una rappresentazione
mentale della struttura del dominio che include anche le funzioni svolte dalle conoscenze.

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Il ragionamento deduttivo e induttivo sviluppato a partire da tali conoscenze e l’abilità
stessa di formarsi dei modelli mentali di struttura.
Le funzioni cognitive rese possibili a partire da queste strutture includono le strategie di
risoluzione dei problemi, la capacità di valutare la propria prestazione e la capacità di an-
ticipare i risultati.
Questi tre costrutti interagiscono tra loro continuamente durante lo svolgimento di un
compito generando nuove strutture di livello sempre più sofisticato.

Relativamente alla differenza tra esperto e novizio gli studi classici hanno dimostrato che
si tratta di una differenza non tanto dovuta alla quantità di informazioni possedute quanto
alla loro qualità, all’estensione delle strutture di conoscenze e allo schema specifico del
dominio disponibile nella memoria a lungo termine. I novizi tipicamente posseggono in-
formazioni frammentate non gerarchicamente organizzate. Mentre le strutture di cono-
scenza possedute dagli esperti sono di solito altamente integrate e gerarchicamente or-
ganizzate.
Pertanto la trasformazione da novizio a esperto è considerata come una progressione so-
prattutto qualitativa intesa come una strutturazione concettuale sempre più ricca di colle-
gamenti tra concetti e una maggiore capacità di astrazione

1.2. IL CAMBIAMENTO CONCETTUALE


Questo filone di studio parte dalle concettualizzazione degli studenti per radicare su di
esse il cambiamento verso una progressiva evoluzione.
Non è sufficiente perseguire un progressivo arrichimento delle strutture esistenti negli
studenti per ottenere un apprendimento efficace; occorre invece indurre una consistente
e profonda riorganizzazione di queste strutture allo scopo di generare nuove rappresenta-
zioni in cui le vecchie credenze tenderebbero a scomparire.
Elementi:
• La necessità di re-interpretare presupposti e credenze profondamente intrecciati tra
loro.
• La consapevolezza metaconcettuale: non sempre gli studenti sono consapevoli dei
presupposti e delle credenze che condizionano i loro apprendimenti. In altre parole non
sono sempre in grado di sviluppare una teoria sistematica.
• L’importanza delle rappresentazioni mentali. Nel tentativo di comprendere i fenomeni, i
bambini si costruiscono rappresentazioni mentali che però influenzato l’acquisizione di
nuove info.
• Individuare la giusta sequenza dei concetti.

Sulla base di questi elementi per ottenere un cambiamento concettuale non basta tenere
conto le conoscenze di partenza degli studenti occorre anche facilitare la loro consapevo-
lezza metaconcettuale.

2. APPRENDIMENTO COME PARTECIPAZIONE E ACCULTURAZIONE


Scopo dell’apprendimento non è solo divenire più esperto o modificare le strutture con-
cettuali quanto piuttosto divenire partecipanti attivi del proprio contesto culturale e socia-
le. Costruzione di conoscenza, approcci post vygoskjani, le teorie dell’apprendimento in-
formale.. in tutti questi approcci apprendere vuol dire partecipare a quelle attività socio-
culturali considerate rilevanti per la comunità.
La partecipazione è necessariamente prima periferica, basata essenzialmente sull’osser-
vazione e successivamente sempre più centrale.
È questo ciò che accade nel modello proposto d Barbara Rogoff che distingue tre pro-
cessi interconnessi: l’apprendistato, la partecipazione guidata e l’appropriazione parteci-
pativa.
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Rogoff sostiene Đhe l’apprendistato non è limitato alla diade maestro allievo ŵa coinvolge
l’intero sistema interpersonale attraverso cui le persone vengono coinvolte in attività cul-
turalmente organizzate. Quindi durante il loro apprendistato gli allievi sono totalmente as-
sorbiti dalla cultura intorno alla pratica e al tempo stesso entrano a far parte di tale cultura
modificandola e direzionandola verso nuovi sviluppi.
La partecipazione guidata è imperniata sulle attività interpersonali, sull’importanza del
mutuo impegno che fa sì che le pratiche siano in realtà sempre un sistema di incastri tra
competenze e persone diverse situate anche in tempi differenti e distanziati. Una caratte-
ristica è il modo in cui gli individui cercano di costruire conoscenza comune o lavoro su
compiti collaborativi tentando di assimilare e di appropriarsi di comportamenti altrui con-
siderati utili e assunti come modello.
L’appropriazione partecipativa fa riferimento al processo di interdipendenza tra studenti e
docenti.Traiettorie di partecipazione, sono state riscontrate quattro tipologie:
• Stabile: riguarda quegli studenti che mantengono lo stesso livello di partecipazione per
tutta la durata del corso;
• Progressiva centralizzazione: caratterizzata da un costante movimento dalla periferia
verso il centro;
• Progressiva decentralizzazione: questa è una traiettoria inversa rispetto a quella de-
scritta al punto precedente, quindi da una iniziale centralità verso una successiva peri-
fericità;
• Stabilità non lineare: caratterizzata da una iniziale traiettoria di decentralizzazione quin-
di dal centro alla periferia e da una successiva inversione di rotta che dalla periferia por-
ta di nuovo al centro; oppure viceversa una iniziale centralizzazione e poi una decentra-
lizzazione.

3. APPRENDIMENTO COME SVILUPPO DELL’IDENTITÀ


Si apprende in modo più stabile e duraturo ciò che si percepisce come utile non solo per
ampliare quello che si sa ma anche quanto ritenuto funzionale ad acquisire nuova identità
di studente o professionale.
Alcuni autori riprendono il punto di vista vygotskijano e considerano l’identità come una
delle funzioni psichiche superiori, pertanto costituita da un complesso relativamente or-
ganizzato di pensieri, sentimenti, memorie ed esperienze, utilizzabili come piattaforma per
agire e reagire.
La complessità del processo di formazione e sviluppo del Sé è sottolineata anche da Ja-
mes che parla di dualità dell’identità da una parte l’io inteso come il Sé impegnato nel
processo di indagine sulla propria identità dall’altra il me che costituisce l’oggetto dell’in-
dagine.
Batchin propone un modello schematico composto da tre elementi: l’io per me stesso,
l’io per gli altri e gli altri per me. Questa concettualizzazione rende evidente come l’indivi-
dualità si formi dall’intersezione con gli altri.
La teoria del se dialogico proposta da Hermans fornisce una definizione di identità parti-
colarmente utile per i contesti educativi: una configurazione flessibile di posizioni del sé,
relativamente autonome, dinamiche e mai stabili in perenne dialogo tra loro.
Questa ricerca dimostra anche che scrivere di sé si può rappresentare una risorsa da uti-
lizzare a scuola. Rievocare eventi ed emozioni, tradurli tramite la scrittura in parole, pone
gli studenti di fronte a se stesso e alle loro esperienze. L’elaborazione scritta dei pensieri
permette successivamente durante la discussione, di comprendere la propria storia in
modi nuovi e magari correggere quello che è stato, in virtù di risorse e aspettative per il
futuro non così evidenti al momento della scrittura.

4.APPRENDIMENTO COME COSTRUZIONE DELL’INTERSOGGETTIVITÀ Spiegare i pro-


cessi di apprendimento che riguardano la classe in quanto contesto sociale.
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Per bruner l’intersoggettività è una caratteristica straordinaria degli esseri umani, essa
descrive il rapporto tra l’individuo e l’altro, tra il soggetto e il gruppo.
L’intersoggettività pone l’accento su uno scambio reciproco tra gli individui circa i propri e
altrui stati mentali, la propria e altrui soggettività.
Molti studiosi hanno discusso l’origine dell’intersoggettività dividendosi tra coloro che la
considerano innata, strettamente collegata alla capacità di distinguere Sè dall’altro. E co-
loro che la considerano un processo appreso attraverso l’interazione interpersonale defi-
nendola come una capacità di cocostruire significati insieme ad altri.
Rommetveit parla di una architettura intersoggettiva rintracciabile nei discorsi.
I parlanti costruiscono in tempo reale i pilastri di tale architettura che sono:
a) l’identità del parlante in relazione all’identità dell’interlocutore;
b) le coordinate spaziali per cui si definisce il qui in relazione a un altrove;
c) le coordinate temporali attraverso cui si definisce l’adesso in contrasto con il dopo e
il prima.

CAPITOLO 15: IL RUOLO DELLO PSICOLOGO SCOLASTICO


1. LA SCUOLA TRA ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE E COMUNITÀ EDUCATIVA
Lo psicologo scolastico si trova a lavorare sul doppio fronte dell’intervento sul disagio e
della promozione del benessere e di chi fa parte del contesto scolastico.
Psicologia scolastica contestualista, distinguendo due dimensioni di analisi, utili per co-
struire una mappa dei diversi livelli contestuali che entrano in gioco nel processo educati-
vo:
a) La scuola intesa come organizzazione professionale;
b) La scuola come comunità educativa Nel delineare tale mappa facciamo riferimento alla
teoria dell’attività e nello specifico alla rimodulazione proposta da Engestrom con il suo
modello denominato Expansive Learning. Questo modello implica una rappresentazione
dell’attività come costituita da diverse dimensioni: i compiti che corrispondono agli og-
getti dell’attività e che vengono attribuiti a uno o più soggetti che operano attraverso
strumenti all’interno di una comunità professionale e sociale interessata a tali compiti; la
comunità risulta organizzata mediate un sistema di regole funzionali a una divisione del
lavoro rispetto ai compiti stessi.
Il modello dell’Expansive Learning usa tale schema per esplorare, insieme ai soggetti, le
contraddizioni e le criticità del modo di funzionare dell’organizzazione. Una volta indivi-
duate queste si tratterà, da parte dello psicologo, di co-costruire con i soggetti un nuovo
modello di lavoro, basato su nuove strategie di soluzione. A questo punto occorrerà im-
plementare il modello, riflettere sul cambiamento indotto e valutarne gli esiti, e infine con-
solidare le nuove forme di pratica introdotte.

1.1 LA SCUOLA COME ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE.


Mision: potremmo riprendere Bruner, la definiamo come la funzione peculiare di preparare
i giovani a prendere parte attiva alla comunità sociale e culturale in cui essi vivono, me-
diante l’azione educativa.
Ci sono tre importanti ambiti contestuali:
• Gli organismi di governo interni e i gruppi di lavoro tra insegnanti. Il compito principale
che la scuola affronta in questo ambito riguarda il suo funzionamento organizzativo inter-
no. Presa di decisioni importanti per il funzionamento dell’organizzazione scolastica me-
diante strumenti/procedure di lavoro che assicurino una opportuna partecipazione. L’inte-
resse della comunità sta nel creare le condizioni per una partecipazione delle diverse
componenti che vivono nella scuola.

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• La comunità verticale: le relazioni tra scuole. Il compito principale è rappresentato dalla
necessità di creare continuità nell’azione educativa con particolare attenzione ai pas-
saggi da un ordine all’altro e ai cosiddetti anni-ponte.
I soggetti coinvolti sono gli insegnanti di scuole di diverso ordine che operano per raccor-
dare curricoli attraverso il lavoro di gruppo e creare sinergie tra le azioni educative dei ri-
spettivi livelli di scuola. Nella divisione del lavoro tali soggetti sono portatori di ruoli, le co-
siddette “funzioni strumentali” alla realizzazione del Piano dell’offerta formativa che presi-
diano tale compito elaborando specifici progetti, secondo quanto previsto nei regolamenti
di istituto e nel POF della scuola. L’interesse della comunità professionale e sociale è che
gli studenti attraversino i diversi livelli di scuola nelle migliori condizioni possibili, senza
quelle discontinuità create da una cattiva organizzazione dei curricoli.
• La continuità orizzontale: le relazioni tra scuola e territorio. Il compito principale:
consiste nella costruzione e nello svilue oppoƌtuŶità di aƌƌiĐhiŵeŶto dell’offeƌta
foƌŵatiǀa e di ĐoŶŶessioŶe tƌa l’espeƌieŶza sĐolastiĐa e Đultuƌale degli studeŶti.
L’iŶteƌesse della ĐoŵuŶità è Ƌuello di Đƌeaƌe uŶ sisteŵa foƌŵatiǀo iŶtegrato radi-
cato nel territorio, ovvero una comunità educativa estesa intorno agli studenti. I
soggetti principali sono i rappresentati delle diverse istituzioni che operano in grup-
pi di lavoro multifunzionali e che nella divisione del lavoro rappresentano ciascuno
la propria oƌgaŶizzazioŶe all’iŶteƌŶo dei gƌuppi di ĐooƌdiŶaŵeŶto iŶteƌ-istituzio-
nali che si costituiscono per affrontare tale compito.

1.2 LA SCUOLA COME COMUNITÀ EDUCATIVA


Caratterizzante le interazioni tra insegnanti, studenti e genitori focalizzate sui compiti di-
rettamente connessi all’azione educativa. Dobbiamo distinguere alcuni ambiti contestuali
in cui si svolge tale azione educativa.
• Insegnamento e apprendimento. Questo ambito contestuale focalizza l’attenzione sui
compiti di insegnamento e di apprendimento e sugli aspetti cognitivi, affettivo-motivazio-
nali implicati in tali attività. I soggetti di riferimento sono gli insegnanti, gli studenti e i ge-
nitori che fanno parte di una data classe scolastica. L’interesse della comunità è che ogni
classe si costituisca come un gruppo in grado di promuovere per ciascun alunno un’e-
sperienza di apprendimento efficace e significativa.
• Consapevolezza di sé, sviluppo di competenze relazionali, orientamento personale e
professionale. La scuola assume un compito educativo che guarda alla crescita della per-
sona nella sua interezza e non solo al versante della sua alfabetizzazione culturale. Si trat-
ta di quella parte di azione educativa legata a un’area affettiǀo-relazionale che ha come
oggetto promuovere la consapevolezza di sé e favorire lo sviluppo di competenze deci-
sionali per affrontate consapevolmente le scelte relative al proprio futuro. Compito azione
rivolta ad aiutare gli studenti a riflettere sul proprio progetto di vita coniugando interessi e
risorse personali e contestuali. L’interesse della comunità è quello di far sì che la scuola
assuma in pieno tale funzione di accompagnamento alla crescita globale della persona
anche in odine all’elaborazione del proprio progetto di vita. I soggetti di tale compito sono
principalmente gli insegnanti in collaborazione con i genitori, spesso con il supporto di
consulenti esterni. Questo implica una divisione del lavoro che include molte componenti
e diversi ruoli.
• Situazioni di particolare attenzione educativa. Disabilità, disturbi dell’apprendimento,
esclusione culturale. Compiti in cui i soggetti principali sono ancora gli insegnanti che si
trovato ad adottare strumenti/procedure per costruire un’ambiente di apprendimento che
si confronti con bisogni educativi particolari in cui la situazione problematica sia affrontata
e risolta. L’interesse della comunità è la ŵessa in atto di processi di natura inclusiva evi-
tando che il disagio di un soggetto lo consegni a una condizione di marginalità sociale. La

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divisione del lavoro comporta lo sviluppo di un piano di collaborazione con i genitori, il
ricorso a consulenze di professionisti di servizi sociosanitari

2. IL RUOLO DELLO PSICOLOGO SCOLASTICO IN UN APPROCCIO MULTIDIMENSIO-


NALE COMPLESSO
Tre funzioni principali:
a) La consulenza: intesa come azione di analisi di problemi e di messa in atto di interventi
finalizzati al cambiamento e rivolti a un soggetto singolo per favorire l’attuazione di nuove
strategie organizzative o educative.
b) La formazione: intesa come azione rivolta a un gruppo a partire di un problema comu-
ne individuato, orientata alla realizzazione di un percorso di sviluppo di competenze sul
versante organizzativo o educativo
c) La ricerca: intesa come azione rivolta all’organizzazione e orientata a introdurre a fronte
di un problema identificano un’innovazione da sperimentare che comporti un cambiamen-
to nelle pratiche educative e organizzative.

Ma quali competenze dovrebbe avere uno psicologo per operare nei contesti scolastici?
Come sostengono Tharinger, Miller e PrLJzǁaŶskLJ la psicologia scolastica si differenzia
per il focus sull’applicazione delle sue teorie e dei suoi metodi per risolvere problemi, per
migliorare processi e risultati delle istituzioni educative e degli individui coinvolti in pro-
cessi di apprendimento. Quindi la psico scolastica si caratterizza per riconoscere la scuo-
la come contesto cruciale per lo sviluppo degli studenti. Ne derive che le competenze
degli psicologici devono articolarsi in due aree: una specificamente normativa e l’altra di
tipo psicologico, entrambe fortemente ancorate al contesto in cui si ǀa a intervenire. A
queste si aggiunge anche un’area riguardante l’etica professionale e la deontologia.
Per quanto riguarda la prima area nel realizzare il proprio intervento lo psicologo scolasti-
co deve conoscere e saper utilizzare il quadro normativo di riferimento della scuola a livel-
lo nazionale e regionale. Deve altresì conoscere e saper utilizzare la normativa che preve-
de interventi specifici per le situazioni di particolare attenzione educativa di cui abbiamo
parlato.
Sul versante del sapere psicologico, lo psicologo scolastico deve avere a disposizione e
saper utilizzare un repertorio di modelli teorici e di metodi che gli consentano di interveni-
re sia sul versante organizzativo sia si quello educativo.
Tali competenze devono costituire un saper fare professionale che metta lo psicologo
scolastico in grado di intervenire.
Competenze trasversali:
• Analisi della domanda di intervento;
• Progettazione dell’intervento, il passaggio successivo è la progettazione dell’intervento
che si intende realizzare. In alcuni casi è opportuno che il progetto prenda la forma di
un documento. Che costituisce il patto di lavoro tra gli attori coinvolti. È utile che tale
documento contenga:
(1) La premessa inerente la rilevanza del problema che si intende affrontare;
(2) La prospettiva teorica da cui si guarda al problema;
(3) Gli obiettivi che si intendono perseguire;
(4) I destinatari a cui l’intervento è rivolto;
(5) Le modalità di lavoro con cui si svolgerà l’intervento;
(6) Le risorse umane, strumentali ed economiche da utilizzare;
(7) Le modalità di verifica e di valutazione;
(8) Le modalità di restituzione degli esiti a utenza e committenza.

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- Attuazione dell’intervento, è opportuno che lo psicologo conduca delle attività di moni-
toraggio che consentano di verificare se l’intervento realizzato si muove nella direzione
prevista.
- Verifica e valutazione dell’intervento, verifica e valutazione sono due attività interdipen-
denti finalizzate a controllare se e quanto l’intervento ha aggiunto gli obiettivi dichiarati in
sede di progettazione. L’attività di verifica prevede l’azione di raccolta di dati inerenti ai
risultati rispetto agli obiettivi. L’attività di valutazione invece si concretizza nell’applicare ai
suddetti risultati dei criteri per decidere quanto i dati ottenuti si discostano dal raggiungi-
mento degli obiettivi dichiarati.
-Restituzione dei risultati a utenti e committenti, deve assumere la forma di un documento
che possa essere reso pubblico o divulgato.

3. FORMAZIONE
Lo psico scolastico è chiamato a intervenire non più tanto come un operatore del disagio
quanto piuttosto come un agente di cambiamento culturale nell’istituzione scolastica. Il
ruolo di un professionista impegnato a supportare dirigenti, insegnanti studenti e genitori
perseguendo l’obbiettivo di migliorare l’efficacia e la significatività degli ambienti di ap-
prendimento a scuola.

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