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LIGORIO, CACCIAMANI
Psicologia Dello Sviluppo E Dell'educazione
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)
59 pag.
- La metafora della transazione. Ogni volta che si realizza un'interazione formativa si pro-
cura un effetto un cambiamento non solo nelle persone coinvolte ma anche nel contesto
in cui agiscono e si muovono gli attori coinvolti in tale processo. La metafora della transa-
zione combina l'idea di acquisizione individuale di conoscenza, dei cambiamenti nelle
persone, con l'apprendimento ineso come partecipazione al contesto in quanto si fonda
sul presupposto che contesto e individuo non possono essere separati come non avreb-
be senso studiare il processo di transazione commerciale considerando compratore e
venditore avulsi dal loro contesto.
Anche questa metafora implica una definizione di conoscenza che deriva anch'essa dalle
formulazioni di Dewey, la conoscenza è tutto ciò che permette di concludere soddisfa-
centemente la transazione in corso ovvero per rimanere in linea con la metafora. il limite
di questa concettualizzazione della conoscenza è che sembra implicare una visione del
processo di apprendimento finito e limitato con un inizio e una fine. Dewey supera queso
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3. LA TEORIA DELL’ISTRUZIONE.
La traduzione educativa dell'approccio comportamentista si richiama in particolare ai la-
vori di skinner ed ' conosciuta sotto il nome di Programmed Instruction, è basata sull'ap-
plicazione all'apprendimento di alcuni principi tipici del comportamentismo:
-Gradualità, il comportamento complesso da apprendere viene scomposto in componenti
più semplici
-Partecipazione attiva, l'allievo non può essere solo ricettivo o rispondente ma deve esse-
re operante ovvero deve essere reso attivo tutto il tempo sul materiale di apprendimento.
-Conoscenza immediata dei risultati, l'allievo deve ricevere un feedback immediato alle
sue risposte per ogni passo di apprendimento
-Adattamento dei tempi del percorso all'allievo: l'alunno deve poter disporre di tutto il
tempo necessario per realizzare una prestazione di buon livello e deve essere indirizzato
verso percorsi di recupero di livello più elementare.
4. LE CRITICHE AL COMPORTAMENTISMO
La prima è legata all'emergere dell'approccio cognitivista che attacca l'assunto di fondo
dello schema stimolo risposta: viene messo in discussione il fatto che lo stimolo sia per-
cepito in modo oggettivamente univoco da qualunque soggetto che è chiamato ad asso-
ciare ad esso delle risposte. Per i cognitivisti ogni stimolo che proviene dall'ambiente è
soggetto a un processo di elaborazione interpretativa dell'informazione in esso contenuta.
Un secondo elemento a livello di metodo riguarda il rifiuto del comportamentismo di rico-
noscere scientificità allo studio di ciò che accade nella mente dell'individuo. I cognitivisti
CAPITOLO 3: IL COGNITIVISMO:
4. LA METACOGNIZIONE.
La conoscenza metacognitiva ovvero la percezione del livello di difficoltà del compito e
delle strategie messe in atto per affrontarlo.
L'esperienza metacognitiva che deriva dal livello di conoscenza del compito.
In tempi più recenti le capacitò metacognitive sono state definite come flessibili e diacro-
niche soggette a diverse fasi di sviluppo. Contemporaneamente si riconosce come ele-
mento fondamentale della metacognizione anche il sistema esecutivo per la presa di de-
cisioni quindi le abilità di controllo e monitoraggio delle informazioni. In sintesi raggiunge-
re un buon grado di riflessione metacognitiva significa far diventare consapevole quanto
spesso avviene a livello inconsapevole allo scopo di migliorare le strategie di apprendi-
mento. In tal senso la metacognizione si afferma come la chiave di volta per distinguere
l'apprendimento in chiave cognitivista da quello tradizionale di stampo comportamentista.
5. COGNITIVISMO E APPRENDIMENTO.
La teoria degli schemi:
La teorizzazione sugli schemi descrive l'apprendimento come un cambiamento dello sta-
to della conoscenza del soggetto che può avvenire secondo tre modalità:
-Per accrescimento. si verifica quando si inseriscono info nuove nella struttura di uno
schema preesistente, senza che questi ultimi vengano sottoposti ad alcuna modifica.
-Per sintonizzazione: avviene adattando e affinando lo schema già in possesso del sog-
getto. Ciò accade grazie a ripetute applicazioni di tali schemi che si modificano lentamen-
te e progressivamente.
-Per ristrutturazione: si realizza quando lo schema preesistente si rivela inadeguato a in-
tegrare le informazioni nuove in corso di elaborazione.
Il problem solving: si tratta di un processo cognitivo messo in atto quando si ha a che fare
con un problema per cui non si ha a disposizione in modo evidente un metodo per risol-
verlo. Ha 4 caratteristiche principali:
1. è di natura cognitiva e quindi avviene all'interno del sistema cognitivo del soggetto e
può solo essere inferito indirettamente dal suo comportamento.
2. implica la rappresentazione e la manipolazione di conoscenza nel sistema cognitivo del
soggetto.
3. è diretto in quanto il soggetto nell'affrontare il problema individua un obiettivo che gui-
da la sua azione.
4. è personale poiché la conoscenza che il soggetto possiede definisce la facilità o la dif-
ficoltà con cui gli ostacoli alla soluzione saranno superati.
Il problem solving può essere analizzato nelle componenti dei processi cognitivi che in-
cludono la rappresentazione del problema, la pianificazione della soluzione, l'esecuzione
e il monitoraggio. La rappresentazione avviene quando il solutore di un problema conver-
te il problema dal suo formato "superficiale" in una rappresentazione mentale interna nei
termini di una situation model. Mentre la pianificazione implica un metodo per risolvere il
problema come ad esempio suddividerlo in parti. L'esecuzione avviene quando il solutore
dei problemi applica la procedura scelta mentre il monitoraggio consiste nel valutare l'ap-
propriatezza e l'efficacia della soluzione applicata.
L'apprendimento significativo è quello che avviene attraverso la soluzione di problemi e
che consente di trasferire le strategie elaborate svolgendo una certa attività a nuovi pro-
blemi da risolvere.
6. LA TEORIA DEL'ISTRUZIONE
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Mayer e Wittrock individuano sette metodi coerenti con gli assunti del modello SOI:
1. Metodi che riducono il carico cognitivo: i tre processi cognitivi avvengono nella memo-
ria di lavoro che non ha tuttavia una capacità illimitata. Due metodi consentono di affron-
tare questo problema: l'automatizzazione orientata a favorire la padronanza dei processi
di basso livello in modo da poter lavorare senza problemi ad alto livello; la rimozione dei
vincoli in cui il compito è presentato in modo da non richiedere l'uso delle componenti di
basso livello.
2. Metodi basati su strutture: si tratta di metodi che possono innescare l'attivazione dei
tre processi cognitivi del modello SOI in quanto sono basati su strutture di lavoro che
prevedono la manipolazione di oggetti. L'obbiettivo è aiutare chi apprende a creare con-
nessioni tra una situazione concreta e familiare e un livello di conoscenza più astratto. Tali
metodi sono spesso fondati su ambienti di apprendimento basati sul computer.
3. Metodi basati sull'attivazione di schemi: sono orientati a facilitare l'integrazione tra co-
noscenze e nuove informazioni mediante l'attivazione di schemi già in possesso del sog-
getto che apprende e sono particolarmente efficaci con soggetti non esperti. Tre metodi:
1.gli organizzatori anticipati ovvero materiale informativo sul tema presentato prima di una
lezione o all'inizio di un capitolo di un libro. 2.i pre-training esperienze concrete presenta-
te prima di una sessione di studio, inerenti il tema da affrontare.
5. Metodo di scoperta guidata: sono finalizzati all'attivazione dei processi cognitivi di chi
apprende mediante la proposta di un problema da risolvere. Tali metodi risultano più coe-
renti di altri con il modello SOI. I metodi basati sulla scoperta pura infatti tendono a favori-
re i processi di integrazione, stimolando la ricerca di conoscenze nella memoria a lungo
termine per generare nuove idee e la loro organizzazione ma non la selezione delle info.
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7. LE CRITICHE AL COGNITIVISMO.
La prima ha a che fare con il modo di procedere alla modellizzazione della mente. La
messa a punto di teorie che sostengono l'esistenza di distinti sistemi di memoria implica
necessariamente l'introduzione di dispositivi di controllo che a la loro volta devono essere
controllati da altri sistemi con il rischio di un processo di regressione all'infinito. è il cosid-
detto "limite dell'homunculus" dei modelli cognitivisti: ovvero la tentazione di ipotizzare
l'esistenza di un'entità interiore che dovrebbe supervisionare tutti i dispositivi di memoria
o di controllo per prendere decisioni su come essi agiscono ma che a sua volta dovrebbe
essere controlla da un'altra entità interiore e così via. Tale obiezione proviene dal connes-
sionismo.
Il secondo rilievo critico riguarda la scarsa considerazione rivolta dai cognitivisti all'am-
biente ecologico in cui il soggetto opera. Lo stesso Neisser esprimeva la consapevolezza
di tale limite già nel testo. Scarsa importanza è attribuita anche al contesto sociale e cul-
turale in cui i processi cognitivi vengono messi in gioco.
1. PIAGET.
I bambini si formano idee precise su come funziona il mondo, da dove traggono queste
idee? non possono essere innate perchè altrimenti resterebbero immutate nel corso dello
sviluppo ne tanto meno possono essere apprese dagli adulti perchè gli adulti interpretano
questi fenomeni in modo diverso. Sono costituite dai bambini stessi, grazie all'incontro
dinamico tra le loro strutture mentali e le esperienze che realizzano nel mondo.
Aspetti che emergono:
- la visione della struttura della mente come modificabile con il tempo e con l'esperien-
za. Questo implica che la differenza tra le capacità mentali degli aduli e dei bambini
non è solo quantitativa ma piuttosto qualitativa consistente in una diversa organizza-
zione della struttura cognitiva determinata proprio dall'esperienza. La struttura cogniti-
va di base è lo schema ovvero un insieme di comportamenti, azioni, informazioni e in-
terpretazioni capaci di guidare comportamenti intelligenti, ovviamente adeguati all'età
considerata.
- La capacità dei bambini di modificare gli schemi di base alle loro esperienze ovvero la
capacità di essere "costruttivisti", questo si esplica attraverso due processi di natura bio-
logica. l'Assimilazione e l'Accomodamento. L'assimilazione lascia lo schema inalterato
preferendo invece elaborare le esperienze in modo da renderle spiegabili con lo schema
disponibile. L'accomodamento invece induce un cambiamento dello schema i dati osser-
vati nel mondo non sono più spiegabili con lo schema disponibile. L'accomodamento in-
vece induce un cambiamento dello schema: i dati osservati nel mondo non sono più
spiegabili in nessun modo con lo schema attuale che necessariamente viene modificato.
3. VYGOTSKIJ.
Dalla tradizione marxista Vygotskij prende l'idea del materialismo storico e la applica alla
struttura della psiche, similmente per Vygotskij il contesto storico-sociale ed economico
determina la struttura psicologica degli individui.
Vygotskij rifiuta l'idea di una psiche determinata in età precoce, radicata nel passato, go-
vernata da leggi inconsce o inconsapevoli. La struttura psicologica degli esseri umani si
determina e si modella invece sulla base dell'agire nel mondo, manipolando oggetti e
svolgendo azioni intenzionalmente rivolte verso la produzione.
È l'azione svolta con il supporto di strumenti che crea il pensiero. Si tratta di azioni che
entrano a far parte delle funzioni psichiche superiori, specifiche degli esseri umani che si
contrappongono alle funzioni psichiche inferiori che invece accomunano tutti gli esseri
viventi.
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La differenza con la teoria di Piaget è profonda: lo sviluppo non è autodiretto dal bambino
stesso che è capace di passare da una struttura all'altra, è invece eterodiretto dal conte-
sto che deve stimolare, attivare il meccanismo di passaggio da una zona attuale a una
prossimale.
V. tenta di superare la visione genetica dello sviluppo proposta da Piaget e mette mag-
giormente in primo piano gli aspetti sociali dello sviluppo. Uno degli aspetti della ZSP è la
natura dell'unità dello sviluppo. Lo sviluppo verso nuove ZPS è un processo caratterizza-
to da un progressivo ampliamento non solo quantitativo ma anche qualitativo delle FPS
che risultano sempre più interconnesse. Accedere a una nuova ZPS implica uno sviluppo
globale come persona e nuove funzioni psichiche possono emergere mentre alcune vec-
chie funzioni possono scomparire. Questo significa che l'unità di sviluppo non resta inva-
riata ma al contrario varia inevitabilmente diventando sempre più complessa.
Questa crescente complessità è dovuta anche al radicamento nel contesto storico-cultu-
rale dello sviluppo ed è per questo che Vygotskij finisce con il considerare la ZPS non
tanto come qualità dei singoli individui e nemmeno come una caratteristica del contesto
ma piuttosto come uno spazio simbolico che emerge dall'interazione tra individui e con-
testo.
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2. IL CONFLITTO SOCIOCOGNITIVO
Tra gli approcci che adottano una visione di apprendimento dentro i contesti possiamo
collocare la concettualizzazione piagetiana che ha messo in evidenza il ruolo del conflitto
cognitivo nel favorire lo sviluppo intellettuale del soggetto. Tale conflitto si verifica quando
l'individuo non riesce ad applicare gli schemi cognitivi da lui posseduti agli oggetti del-
l'ambiente con cui interagisce ciò provoca un disequilibrio del sistema cognitivo che ri-
chiede la modifica di tali schemi in una direzione di maggiore complessità.
Piaget ipotizza tre tipi di trasformazioni che la cooperazione provocherebbe nelle attività
di pensiero:
- consentire la riflessione e lo sviluppo della coscienza di sè
- permettere di distinguere la dimensione soggettiva da quella oggettiva
- condurre a forme di regolazione tra i cooperanti che spingono ogni soggetto a fare pro-
prie le regole del pensiero logico.
Nella scuola di Ginevra di Psicologia sociale dello sviluppo, Mugny e Doise definiscono il
conflitto sociocognitivo come un conflitto di comunicazione tra due partner di pari livello
cognitivo impegnati ad affrontare insieme un compito che richiede una risposta unica e
condivisa. Tale forma di conflitto diviene una sorgente di un doppio disequilibrio che si
realizza contemporaneamente sul piano cognitivo e sociale. è un disequilibrio cognitivo in
quanto il soggetto che affronta un compito con un partner di pari livello cognitivo si trova
a confrontarsi con il punto di vista del partner, centrato su una diversa interpretazione del
compito, e quindi conflittuale rispetto a quello da lui espresso: il soggetto non riesce a
integrare in un primo momento i due diversi punti di vista in un tutto coerente.
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L’ipotesi interpretativa dei risultati di questi lavori è che le interazioni sociali diventano
fonti di progresso cognitivo proprio attraverso il conflitto sociocognitivo che si stabilisce
tra i partner e che viene risolto attraverso l’elaborazione di soluzioni cognitivamente mi-
gliori rispetto a quelle elaborate dal singolo.
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Sono state definite 4 norme che spesso regolano il contratto didattico tra insegnanti e
alunni:
1. La relazione insegnanti-alunni è assimetrica: insegnanti e alunni non hanno gli stessi
diritti e gli stessi doveri.
2. Gli alunni nelle situazioni scolastiche si aspettano che l’insegnante ponga interrogative
a cui sia sempre possibile fornire una risposta corretta.
3. Gli alunni si aspettano che l’insegnante formuli una domanda in modo tale da indicare
se non addirittura suggerire la risposta corretta.
4. Gli alunni si aspettano che i dati di un problema siano necessari, sufficenti e pertinenti
per individuare la soluzione.
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Una classe che voglia diventare una comunità che costruisce conoscenza deve operare a
livello di mondo 3 finalizzando la sua attività di apprendimento alla costruzione di una
nuova conoscenza mediante un’attività di indagine collaborativa. L’insegnamento diviene
in tal senso un’attività di organizzazione di tale processo di indagine in cui la classe opera
attraverso in sistema di attività interconnesso sostenuto come vedremmo più avanti dalla
tecnologia e finalizzato alla costruzione di artefatti concettuali e materiali utili alla comuni-
tà stessa.
Il modello della KBC sottolinea come la conoscenza sia un prodotto a “responsabilità col-
lettiva”che viene costruita collaborativamente mediante la consultazione di fonti aggiorna-
te e autorevoli soggetta a una valutazione trasformativa delle idee e distribuita all’interno
della comunità stessa quindi non di competenza esclusiva dell’insegnante. Si assiste
dunque a una democratizzazione della conoscenza in quanto il valore di quest’ultima è
sostenuto dall’onere di produrre prove scientificamente valide.
Gli studenti assumono così la diretta responsabilità dello sviluppo della conoscenza della
comunità concorrendo a definire strategie di lavoro ed esprimendo anche una valutazione
personale e continua del percorso intrapreso.
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7.Identità e Autostima, Bruner si focalizza su due aspetti che considera universali, tra-
sversali a tutte le culture: la capacità d'azione ovvero il senso di agency e la valutazione.
L'agency deriva dal senso di poter iniziare e portar avanti delle attività per proprio conto
andando però oltre la semplice attività senso motoria. Il riferimento è alla costruzione di
un sistema concettuale che organizza e documenta contemporaneamente la memoria au-
tobiografica, estrapolando significati da applicare al futuro. L'agency si evince dal modo
con cui si narrano fatti e si parla di se al modo con cui si individuano relazioni causa-ef-
fetto dall'attribuzione di responsabilità che va oltre gli aspetti morali e include il saper di-
stinguere gli obblighi dalle scelte personali. è questo misto di efficacia come agenti e di
autovalutazione che Bruner definisce "autostima". Quindi di fronte a un insuccesso offrire
una seconda opportunità incoraggiare il riprovarci anche senza risultati eccezionali, offrire
opportunità di dialogo e ripensamento circa le ragioni di un fallimento sono tutte strategie
di cui la scuola si dovrebbe far carico per aiutare gli studenti a meglio gestire l'autostima.
8. Narrativo, riguarda le modalità di pensiero che possono aiutare gli studenti a creare una
versione del mondo in cui immaginare un posto per sè. Brner distingue due modi con cui
gli esseri umani organizzano e strutturano la loro conoscenza: il pensiero logico-scientifi-
co e quello narrativo. I contesti educativi tradizionalmente dando maggiore rilevanza alla
prima tipologia di pensiero e trattano invece il pensiero narrativo come decorativo, se-
condario.
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La soluzione proposta da Cole consiste nel creare nuovi modi di fare scuola che insegni-
no conoscenze e abilità vitali per la partecipazione a pratiche politiche, economiche, so-
ciali rilevanti nel contesto locale.
Si tratta quindi di una metodologia che tiene conto dei contesti reali.
Si tiene conto contemporaneamente dell’individuo, del contesto situato e locale e del
contesto storicoculturale più ampio. La scuo-
la poso di presta a questo tipo di sperimentazione per cui Cole individua altri contesti che
possano rappresentare aree contigue alla scuola: biblioteche, doposcuola, ludoteche.
La sua proposta di intervento prende il nome di Quinta dimensione e fa fortemente leva
sugli aspetti ludici per motivare allo studio. In sintesi ciascuna
Quinta dimensione propone su piccola scala un sistema locale che aiuta i ragazzi a pas-
sare da attività di gioco ad attività formali e di apprendimento.
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Lo sviluppo dell’attività: si profila così la teoria dei sistemi di attività nella quale il soggetto
viene riconsiderato come parte di un gruppo o di una comunità composta da persone che
condividono obiettivi e regole, funzionali alla realizzazione delle azioni. Il semplice triango-
lo proposto per esplicitare il ruolo della mediazione diventa ora un triangolo complesso
(vedere fig.2). Questa nuova rappresentazione sancisce il passaggio dalla prima genera-
zione della teoria dell’attività alla seconda generazione denominata “dei sistemi
d’attività”dove viene rappresentata la relazione tra individuo e azione collettiva. L’oggetto
è raffigurato circondato da un ovale per indicare che le azioni sono sempre orientate ver-
so un oggetto, esplicitamente o implicitamente, e caratterizzate da interpretazione e sen-
se making.
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1. L’UNITA’ DI ANALISI
Vygotskij per capire i principi delle funzioni psicologiche umane è detto inutile analizzare
in modo isolato la parola o il ricordo. Vygotskij accusa i comportamentisti di due tipi di
riduzionismo, uno di tipo verticale e uno orizzontale. quello verticale implica l'uso di unità
di dimensioni rispetto all'evento che si vuole osservare. riduzionismo orizzontale quando
si considera una funzione qualitativamente simile a un'altra senza considerare le implica-
zioni delle connessioni tra le varie funzioni coinvolte.
Le critiche di Vygotskijsono accolte ed elaborate dal cognitivismo: l'uomo indistinguibile
dal suo contesto d'azione. Ora l'interesse è alle persone nei loro contesti reali di intera-
zione. Oggetto di studio diventa il rapporto tra uomo e cultura, se da una parte la cultura
svolge un ruolo essenziale nel dar forma alla psiche, dall'altra parte le istanze psicologi-
che dell'uomo diventano in grado di determinare il cambiamento culturale.
-è impossibile definire un'attività universalmente valida: ciascun approccio e ciascuna
scuola di pensiero usa e scegli l'unità più congeniale ai propri scopi di studio e di ricerca.
-si può parlare di unità di analisi in senso descrittivo ovvero l'elemento in natura più ele-
mentare l'unità di analisi della psicologia dell'educazione potrebbe essere
- i risultati conseguiti in termini di apprendimento da un singolo studente
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Versov occorre una metodologia che superi le dicotomie di una volta e che si preoccupi
di rispettare certi principi:
1. principio dello svilppo occorre creare categorie di indagine apposite o aver cura di
adattare le categorie già esistenti.
2. il principio della categoria, occorre creare categorie di indagine apposite o aver cura di
adattare le categorie già esistenti.
3. il principio dell'interazione tra natura e cultura considerando congiuntamente l'uomo e
il suo contesto.
4. il principio dello sviluppo degli strumenti: bisogna impegnarsi a usare sempre meglio gli
strumenti disponibili e allo stesso tempo svilupparli per renderli sempre più capaci di ana-
lizzare i contesti.
5. il principio del cambiamento: occorre finalizzare la ricerca alla promozione di cambia-
menti qualitativi e di avanzamenti positivi.
Questi sono tutti principi ispirati al pensiero di Vygostskij secondo cui il metodo da usare
nella ricerca psicologica deve essere sperimentale-genetico.
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5. LA RICERCA VALUTATIVA
Il testing standardizzato:
- gli strumenti IEA, si tratta di batterie di test elaborati e testati dall'International Associa-
tion for Evaluation of Educational Achievement. la valutazione dei livelli di preparazione in
lettura, matematica e scienze. Misura gli effetti della scolarizzazione puntando al concetto
di opportunità di apprendimento per meglio comprendere i legami tra: il curricolo pro-
grammato (le politiche richieste per attuarlo), il curricolo implementato (ciò che effettiva-
mente si è insegnato a scuola), il curricolo realizzato (ciò che imparano lo studente).
- le prove OCSE-PISA, L'OCSE è l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico che promuove l'indagine PISA con cui si accertano con periodicità trienna-
le conoscenze e capacità dei quindicenni scolarizzati dei principali paesi industrializza-
ti. L'INVALSI ha solitamente la responsabilità di realizzare questa indagine nel nostro
paese, riguarda tre aree: lettura, matematica e scienze. l'obbiettivo è comparare i si-
stemi scolastici dei diversi paesi
- le prove SNV, elaborate dal Servizio nazionale di valutazione che punta alla misurazione
dei livelli di apprendimento in Italiano e Matematica raggiunyi dagli alunni della seconda e
quinta classe della scuola primaria, dagli studenti della classe prima della scuola secon-
daria di primo grado e della classe seconda della scuola secondaria di secondo grado.
- Batterie per la valutazione delle abilità trasversali all'apprendimento, si tratta di una serie
di strumenti di valutazione, distribuita dall'OS che si propone di verificare il livello delle
abilità trasversali all'apprendimento scolastico, come il linguaggio, comprensione, moti-
vazione, memoria... l'obbiettivo è quello di adattare contenuti e metodi dell'intervento
educativo ai bisogni degli studenti, puntando così all'insegnamento individualizzato.
La valutazione dinamica:
Atto a verificare il potenziale di apprendimento e la capacità di rispondere a un intervento
didattico. L'assunto di base è che gli studenti sono in grado di realizzare cambiamenti e
di modificare le loro prestazioni ed è proprio questo tipo di capacità che si vuol valutare,
in aperto contrasto con la valutazione effettuata tramite testing standardizzati psicometri-
co che misura capacità e conoscenze già acquisite e consolidate. La VD si propone come
capace di indagare e sostenere quello Vygotskij ha definito l'accesso verso nuove zone di
sviluppo prossimale.
- il modello della modificabilità cognitiva di Feuerstein, che punta a modificare i processi
cognitivi degli studenti per questo metodo i contenuti disciplinari sono poco rilevanti e
servono solo come pretesto per attivare i processi cognitivi. si presentano agli studenti
problemi di natura aperta che possono essere risolti in tanti modi e si lasciano percorre le
diverse soluzioni in modo da comparare le varie strategie adottate e riflettere su vantaggi
e svantaggi di ciascuna.
- il modello del potenziale di apprendimento di Budoff, l'assunto è che le difficoltà riscon-
trate dagli studenti nel risolvere compiti possono essere imputabili ad aspetti culturali per
cui i compiti risultano incomprensibili non a causa di aspetti cognitivi ma a seguito della
loro poca familiarità.
- il modello dell'apprendimento e trasferimento dell'efficacia di Campione e Brown agli
studenti si dà la possibilità di ripetere le stesse attività offrendo feedback sempre più
specifici fino a quando diventano capaci di affrontare in modo autonomo attività strumen-
talmente simili ma più complesse.
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Ausbel sosteneva che il docente dovesse considerare quanto un studente già sapesse,
questo concetto è essenziale proprio per ridefinire il modo di far lezione così da rendere
gli studenti più attivi, il suggerimento è accertare prima le preconoscenze degli studenti,
innescare un'intenzionalità e una motivazione all'apprendimento ed evidenziare la signifi-
catività. Proponeva una didattica centrata su quelle che lui definiva anchoring ideas ovve-
ro idee di riferimento in grado di funzionare da organizzatori anticipati che creano con-
nessioni tra il nuovo materiale da appredere e i concetti già noti.
Dal discorso del docente al discorso della classe l'apprendimento degli studenti dipende
in larga misura da come l'insegnante spiega e fornisce istruzioni Studi "processo-prodot-
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2. L’APPRENDIMENTO COLLABORATIVO.
Postula che l'interazione tra pari sia un momento capace di generare apprendimento. ri-
chiede un'organizzazione dell'intero contesto educativo in modo da ottenere un coinvol-
gimento attivo di tutti gli studenti un cambiamento del ruolo dell'insegnante non più come
solo esperto ma anche come supporto e monitoraggio al lavoro dei gruppi. l'essere colla-
borativi è in stretta relazione con la strutturazione del contesto e dei compiti. una reale
strategia di apprendimento collaborativo si pone l'obiettivo di affiancare all'apprendimen-
to dei concetti curricolari lo sviluppo di pensiero critico divergente e creativo grazie al
confronto con gli altri.
Il vero motore dell'apprendimento collaborativo è il gruppo preferibilmente di minimo 3
massimo 6, eterogenei sia per genere che per livello scolastico. l' Individuo deve quindi
lavorare in funzione del gruppo ma il gruppo a sua volta deve sostenere l'individuo rispet-
tandone interessi motivazioni offrendo spazi adeguati per la crescita personale. Uno dei
limiti è il verificarsi di partecipazioni disomogenee stimoli dove alcuni membri tendono a
essere passivi e a approfittarsi del lavoro svolto dai più volenterosi.
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I cicli successivi saranno condotti a turno da uno degli studenti del gruppo, cominciando
da quelli con meno problemi di lettura. In questo modo gli studenti meno competenti sa-
ranno esposti a diversi modellamenti dell’attività di lettura e avranno più tempo per poter
trarre vantaggio dai vari cicli.
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Studi di Pontecorvo, gli studenti durante le discussioni tendono ad assumere alcuni ruoli
specifici:
- Lo scettico
- L’assertore
- Il compiacente
- Le asserzioni
- Le esplicitazioni e le seguenti tipologie di intervento:
• Accordo
• Disaccordo
• Neutro
• Richiesta o offerta di chiarimenti
• Richiesta o offerta di aiuto
• Interventi off-topic che non sono centrati sull’argomento.
Effetto palla di neve: una volta individuata una strategia discorsiva vincente dli studenti
tendono a utilizzarla in modo sempre più condiviso, interiorizzando e appropriandosi delle
voci altrui in senso batchniano. Emerge un linguaggio metaforico, la qualità delle metafore
diventa un indicatore dell’apprendimento che gli studenti stessi monitorano permettendo
così non solo un apprendimento collaborativo e costruttivo ma anche una valutazione re-
ciproca e positiva estremamente efficace.
In ogni caso la discussione tra pari è capace di produrre un apprendimento attraverso le
modalità dell’argomentare e del ragionare.
Questa prospettiva riprende il filo del discorso vygotskijano in cui la discussione è consi-
derata un’attività propedeutica e complementare all’auto-riflessione: è dalla discussione
che nasce il ragionamento perché si ha bisogno di parlare per pensare.
Kintsch e Van Dijk elaborarono il modello dell’analisi preposizionale del testo, con cui la
proposizione viene definita come l’unità di significato e di analisi del testo, due livelli di
analisi che chiamano rispettivamente “microstrutturale”e “macrostrutturale”. La costru-
zione di quest’ultimo aǀǀiene utilizzando tre macroregole di corrispondenza semantica.
1. la cancellazione si applica eliminando proposizioni che non tengono considerate ne-
cessarie all’interpretazione delle proposizioni successive del testo.
2. la generalizzazione, consente di sostituire una serie di termini relativi ad azioni o eventi
con un termine di una classe sovraordinata.
3. la costruzione, permette di sostituire una serie di proposizioni del significato specifico
più generale.
Un elemento critico di questo modello riguarda il fatto che esso pone molta attenzione
alle conoscenze linguistiche e alle operazioni cognitive di tipo bottom-up ovvero il lettore
parte dagli elementi del resto e li utilizza per arrivare a una rappresentazione mentale di
quanto letto.
Il modello non tiene adeguata considerazione le conoscenze sul mondo che il lettore pos-
siede già prima di leggere il testo.
Un programma italiano è quello messo a punto da De Beni, basato sul modello della
comprensione della lettura in cui vengono identificate dieci componenti fondamentali che
rappresentano abilità da promuovere affinché un lettore diventi esperto. Vengono indivi-
duate le componenti relative all’identificazione dei contenuti di base del resto. Inoltre ven-
gono descritte le componenti psicolinguistiche volte alla elaborazione delle info che ri-
guardano la comprensione del significato delle parole e la corretta elaborazione dei lega-
mi grammaticali e sintattici all’interno della frase o frasi. Un'altra componente riguarda il
trattamento delle informazioni implicite. Risulta importante coordinare queste due attività
con la comprensione della gerarchia del testo. Il coordinamento tra tutte queste azioni
consente di elaborare modelli mentali del contenuto del testo: ovvero una rappresenta-
zione generale del significato del contenuto che fornisce il quadro entro cui inserire le
specifiche informazioni.
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Le difficoltà incontrate da uno scrittore novizio nella stesura di un testo sono ben spiegate
dal modello sviluppato da Bereiter e Scardamalia in cui si distinguono due approcci alla
scrittura.
Il primo definito Knowledge Telling, tipico dello scrittore inesperto, consiste nello scrivere
tutto ciò che si sa sull’argomento indicato. Comprende tre componenti:
1. La rappresentazione mentale del compito;
2. La memoria a lungo termine;
3. Una componente dinamica: che si distribuisce tra sette operazioni. Le prime due ri-
guardano la rappresentazione mentale del compito e coinvolgono il prendere decisioni
sull’argomento del testo. Questo serve a guidare la ricerca e il recupero di conoscenze.
L’informazione recuperata è analizzata per verificare se è adeguata alla natura dell’argo-
mento e al tipo di testo richiesto. L’informazione viene traslata nel testo e il testo prodotto
serve come stimolo per condurre una successiva indagine nella memoria a lungo termine.
Il secondo modello è quello della Knowledge Trasforming, questo approccio alla scrittu-
ra coinvolge la pianificazione del contenuto del testo in accordo con i vincoli pragmatici,
comunicativi e retorici. Il punto di partenza dello scrittore è lo sviluppo di una rappresen-
tazione mentale del compito sulla cui base lo scrittore si impegna nell’analisi del pƌoď-
leŵa e nella definizione di un obiettivo.
Come sostiene Graham pur essendo il Knowledge Telling l’approccio tipico di scrittoƌi
meno esperti, esso può avere una funzione adattiva in quanto riduce il carico cognitivo
dedicato alla pianificazione e alla revisione e consente agli scrittori che non padroneggia-
no la correttezza nella scrittura di concentrarsi su questo aspetto.
Il secondo modello di Hayes. L’ambiente del compito è stato ampliato per includere va-
rie componenti contestuali oltre a una componente fisica. La riformulazione del modello
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5. SCRITTURA E METACOGNIZIONE
Writing Across the Curriculum. Pertanto accanto alla dimensione cognitiva anche la di-
mensione sociale dello scrivere diventa un focus di attenzione al punto che le differenze
nella capacità di scrittura vengono interpretate in relazione alle convenzioni testuali delle
“comunità di discorso”.
La ricerca sulla dimensione sociale dello scrivere viene articolata studiando tre aspetti
principali:
1. la relazione tra autore e destinatario del testo, il significato del testo è il risultato di un
processo negoziato di costruzione realizzato dallo scrittore che produce il testo e dal
lettore reale che lo interpreta in un dato momento storico.
2. L’intertestualità, il testo non è un’entità statica bensì è il punto di incontro del” “dialo-
go” tra diverse scritture, sia per il lettore sia per lo scrittore.
3. Infine la co-costruzione del testo rompe l’idea che lo scrivere sia un compito a strut-
tura individuale per sottolineare le possibilità che provengono per la produzione te-
stuale sia delle modalità di scrittura collaborativa in gruppo sia dal lavoro di correzio-
ne commento e revisione del testo in interazioni di tipo duale.
Le implicazione dell’approccio sociocostruttivista per l’insegnamento della composizione
scritta possono essere sintetizzate in quatto principali indicazioni:
1. Lo scrivere non può essere confinato all’interno di un’unica disciplina;
2. Attività collaborative di scrittura possono essere praticate accanto ad attività di scrit-
tura individuale per favorire la consapevolezza della natura sociale dello scrivere;
3. L’intertestualità ǀa praticata per far cogliere agli studenti il legame di interdipendenza
tra lettura e scrittura di testi.
4. Il genere testuale diviene uno strumento di lavoro.
Lucangeli, Tressoldi e Cendron hanno messo a punto un modello per l’intervento che in-
dividua le componenti alla base del problem solving matematico:
1. La comprensione del testo: un importante passaggio che costituisce una condizione
necessaria anche se non sufficiente per poter procedere alla soluzione. I soggetti che
presentano difficoltà nella comprensione del significato dei termini linguistici possono non
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Le applicazioni nell’insegnamento:
• Fornire a che apprende problemi che non specificano uno stato finale;
• Fornire agli studenti situazioni con esempi pratici da studiare piuttosto che problemi
convenzionali da risolvere, gli esempi pratici focalizzano l’attenzione degli studenti sullo
stato iniziale della situazione e attivano la costruzione di nuovi schemi che possono es-
sere trasferiti a situazioni simili;
• Evitare di forze gli studenti a integrare pezzi separati di info, a causa dell’attenzione di-
visa;
• Presentare materiali in modalità sia verbale che visuale, per cui il carico cognitivo a
fronte di una certa quantità di info può diminuire se anziché presentata in un’unica mo-
dalità, una parte di tali informazioni viene presentata in forma visiva;
• Evitare sorgenti di informazioni ridondanti e irrilevanti.
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La seconda posizione ritiene che la conoscenza di chi apprende possa essere considera-
ta Theory-like ovvero come organizzata in strutture che possiamo definire vere e proprie
teorie ingenue, costituito da un corpo di conoscenza dominio-specifica relativamente
coerente e dotata di relazioni causali che permettono di dare spiegazioni e fare previsioni.
È determinante il ruolo dell’interazione sociale nel processo di costruzione delle cono-
scenze scientifiche. Community of Learnes di Brown e Campione e la Knowledge Buil-
ding Community, e lo Scaffolded Knowledge Integration, modello creato per l’insegna-
mento delle scienze basato su 4 principi:
1. Rendere le scienze accessibili
2. Rendere il pensiero visibile, fornendo rappresentazioni multiple.
3. Aiutare gli studenti ad ascoltare e ad apprendere dagli altri, riconoscendo l’importanza
dell’apprendimento collaborativo.
4. Promuovere l’autonomia e l’apprendimento lungo tutto l’arco della ǀita.
2. MOTIVAZIONE E RINFORZO.
Comportamentismo -> rinforzo. Per controllare il comportamento attraverso lo stimolo.
Buona parte delle pratiche scolastiche degli insegnanti è ancora oggi impregnata dalla
cultura comportamentista, espressa in tutto l’apparato premiale costituito da voti, tabel-
loni con simboli di merito e cerimonie di conferimento di premi.
Ford: ricompense possono comportare il rischio di minare la motivazione intrinseca. Ciò
avviene quando la ricompensa crea un conflitto di obiettivi:
• Se la ricompensa è percepita come un tentativo di controllare il comportamento.
• Se la ricompensa distrae l’attenzione dall’obbiettivo principale per cui ci si dovrebbe
impegnare in quell’attività.
• Se la ricompensa altera il significato psicologico del compito spingendo a svalutare gli
obbiettivi principali per i quali ci si dovrebbe impegnare nell’attività.
Teorie implicite:
Carol Dweck, evidenza due tipi di reagire all’insuccesso. La prima modalità viene definita
impotenza appresa, gli alunni interpretano gli errori come indicatori della loro mancanza di
abilità e fanno previsioni pessimistiche sulla possibilità di riuscita. Nella seconda modalità
che possiamo definire di sfida al miglioramento, gli alunni si assumono un atteggiamento
più positivo nei confronti dell’insuccesso che viene considerato come uno stimolo a mi-
gliorarsi e si traduce in un maggiore impegno nel cercare nuove strategie per far fronte in
modi più efficaci a compiti analoghi in futuro.
Gli individui che reagiscono scoraggiandosi tendono a perseguire obiettivi di prestazione,
coloro che invece reagiscono aumentando l’impegno tendono a perseguire obiettivi di
padronanza, cercando di imparare cose nuove e di accrescere la propria competenza.
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Si parla di una condizione di assenza di motivazione. Il fallimento non incide sulla perce-
zione di sé, così come il successo non genera soddisfazione. Esiste poi un successivo
livello di regolazione esterna che si verifica quando le nostre azioni sono regolate da ri-
compense, pressioni o vincoli esterni. Gli studenti sono in questa situazione quando fre-
quentano lezioni o completano compiti perché saranno ricompensati. Si passa quindi alla
regolazione introiettata che chiama in causa le emozioni: agiamo perché sentiamo di do-
verlo fare o perché proveremmo senso di colpa se non lo facessimo. Il terzo livello è detto
della regolazione per identificazione e si verifica quando il valore che motiva la regolazio-
ne è adottato come personalmente rilevante. Il quarto livello o della regolazione integrata
è la forma più autodeterminata della motivazione estrinseca: risulta dall’integrazione dei
ǀavori e delle regolazioni relative a un senso coerente di sé.
L’ultimo livello è quello della motivazione intrinseca alla conoscenza basata sul piacere di
acquisire nuove competenze.
L’esperienza di flusso.
L’attività sembra fluire andando avanti da sè, ci si sente trascinati come da una corrente
d’acqua e la motivazione intrinseca raggiunge il suo massimo livello. Caratteristiche del-
l’esperienza di flusso:
• Obiettivi chiari e feedback immediato;
• Bilanciamento tra sfida e competenze;
• Integrazione tra azione e consapevolezza;
• Concentrazione totale sul compito;
• Senso di controllo;
• Perdita di autoconsapevolezza;
• Distorsione della percezione;
• Piacere intrinseco: l’esperienza diviene autotelica, svolgimento dell’attività stessa, sen-
za altƌi scopi esterni.
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Una critica posta all’approccio socioculturale da Hickey e Granade è che la maggior parte
delle applicazioni dei modelli socioculturali sulla motivazione continua a essere troppo
centrata sull’individuo.
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La nascita del termine metacognizione attribuita a Flavell che lo ha introdotto per definire
la conoscenza come avviene l’attività cognitiva rivolta alla comprensione della realtà. Nel
suo modello Flvell distingueva: le conoscenze metacognitive, che il soggetto utilizza nel-
l’attività di studio che riguardano sé stesso come soggetto che impara; le caratteristiche
del compito che è impegnato ad affrontare le strategie utilizzabili per affrontarlo: il concet-
to di autoregolazione si origina nel momento in cui all’interno del costrutto teorico di me-
tacognizione vengono distinte le conoscenze metacognitive dai processi di controllo ov-
vero:
• I processi metacognitivi di previsione dei possibili esiti e delle difficoltà del compito;
• La pianificazione della strategia più opportuna per affrontare il compito;
• Il monitoraggio ovvero il controllo di efficacia della strategia durante il suo utilizzo;
• La valutazione quindi il controllo dell’efficacia della strategia una volta terminato il com-
pito. L’autoregolazione come un insieme di processi di modulazione di pensieri, senti-
menti e comportamenti che consentono a un individuo di guidare la propria attività ver-
so un obiettivo.
Anni 70 nasce l’idea che si potesse insegnare un metodo di studio standard, è il caso del
SQ3R di Robinson, esso prevede 5 fasi:
• Scorsa rapida del testo leggendo titoli e sottotitoli.
• Porsi domande, affinché il lettore autostimoli la propria curiosità.
• Leggere il testo per cercare le info e rispondere alle domande generate nella fase pre-
cedente.
• Ripetere le risposte che si sono individuate alle domande formulate, senza più guarda-
re il testo.
• Ripassare rileggendo i titoli e richiamando le domande e le risposte formulate.
Gli assunti su cui questo modello si basa non sono necessariamente veri. Il me-
todo si limita a stimolare la ricerca e la memorizzazione di informazioni rilevanti.
Si è riscontrata l’impossibilità di insegnare un metodo di studio standard valido per tutti
gli studenti, si è dimostrato che:
• Ogni studente in base alle proprie personali caratteristiche deve sviluppare un proprio
metodo personale.
• Ogni situazione di studio richiede un uso flessibile delle strategie richiede più che ap-
plicare un metodo generale, lo studente deve monitorare attentamente la propria attività
diventando uno studente strategico.
2. APPRENDIMENTO AUTOREGOLATO.
Indica un insieme di processi che modulano fattori cognitivi, affettivi e comportamentali e
consentono a un individuo di raggiungere un obiettivo di apprendimento. Che rappresen-
ta il livello di riuscita desiderato.
L’autoregolazione dell’apprendimento implica molto di più che una dettagliata conoscen-
za di un’abilità: essa coinvolge l’autoconsapevolezza, l’automotivazione e le abilità com-
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1. MEDIAZIONE E ARTEFATTI
Il concetto di mediazione si riferisce al postulato per cui gli uomini non hanno accesso
diretto alla realtà ma necessitano sempre della mediazione di strumenti.
Gli artefatti culturali, ossia strumenti di mediazione culturale capaci di contenere i segni
della cultura entro cui sono stati costruiti ma anche in grado di anticipare e costruire gli
antecedenti della tecnologia che verrà.
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3.3. LE CVES
Le comunità virtuali animate da scopi educativi. Collaborative Virtual Environment, ovvero
ambienti virtuali collaborativi. Sono spazi o luoghi virtuali distribuiti e basati sul computer
in cui le persone possono incontrarsi e interagire con altri utenti ma anche con oggetti vir-
tuali e altri strumenti, allo scopo di perseguire obbiettivi formativi e di apprendimento.
Alcuni principi guidano il formarsi di CVEs di successo
• Definire gli scopi della comunità, per definire gli scopi stimolanti occorre che questi sia-
no in qualche modo connessi agli interessi dei partecipanti e pertanto è necessario ave-
re un’idea dei bisogni formativi delle persone che si vogliono aggregare;
• Prevedere spazi d’incontro estendibili, si raccomanda di proporre inizialmente ambienti
semplici, ben definiti e circoscritti e lasciare che sia la comunità stessa a provvedere
alla crescita del suo spazio d’incontro.
• Promuovere i profili dei singoli partecipanti. Occorre creare opportuni spazi per l’identi-
ficazione dei vari partecipanti sfruttando le risorse disponibili. Rendere tangibili i profili
delle persone che popolano la comunità è importante: serve a creare fiducia reciproca a
sostenere relazioni interpersonali significativi a ottenere impegno personale ma soprat-
tutto rafforza la presa di iniziativa la capacità di azione e di decisione dei singoli ovvero
l’empowerment.
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Il caso della formazione a distanza che sfrutta le tecnologie disponibili per distribuire I
contenuti didattici a un numero sempre più elevato di persone e-Learning, questo termine
è stato adottato proprio per sottolineare lo spostamento verso i processi di apprendimen-
to determinati dall’interazione molti a molti, quindi non solo tra studenti e docenti ma an-
che tra studenti a distanza. Si tratta di processi di apprendimento complessi, che attivano
dinamiche interattive e comunicazionali che richiedono il profilarsi di nuovi ruoli quali ani-
matori mentori e tutor online Blended learning, prevede la combinazione di:
• Tecnologie e supporti utilizzati per fornire informazioni e contenuti;
• Diversi metodi di insegnamento/apprendimento;
• Online e presenza Inoltre è stato elaborato uno specifico modello denominato
• Blended per la partecipazione collaborativa e costruttiva, che si articola nelle seguenti
fasi:
- Discussione via web forum intorno ai materiali letti e guidata da domanda di ricerca
proposta dal docente;
- Costruzione di prodotti di gruppo.
VERSP ARTEFATTI DI QUARTO LIVELLO?
Le reticenze degli insegnanti rispetto all’uso delle tecnologie non sono esclusivamente di
ordine pratico bensì più generali di carattere psicosociale connesse all’idea di dover ac-
quisire una nuova professionalità.
Solo grazie al contributo di insegnanti che accettano sfide di una nuova professionalità
sarà possibile:
• Meglio definire gli aspetti positivi e i contributi fin qui apportati dalla ricerca sull’uso de-
gli artefatti tecnologici a supporto dell’apprendimento
• Chiarire il legame tra i principi dell’apprendimento collaborativo e costruttivo e le po-
tenzialità dei software e degli ambienti telematici disponibili.
• Riflettere sulla necessità di una reale comprensione dei modelli teorici alla base dell’ap-
prendimento.
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Relativamente alla differenza tra esperto e novizio gli studi classici hanno dimostrato che
si tratta di una differenza non tanto dovuta alla quantità di informazioni possedute quanto
alla loro qualità, all’estensione delle strutture di conoscenze e allo schema specifico del
dominio disponibile nella memoria a lungo termine. I novizi tipicamente posseggono in-
formazioni frammentate non gerarchicamente organizzate. Mentre le strutture di cono-
scenza possedute dagli esperti sono di solito altamente integrate e gerarchicamente or-
ganizzate.
Pertanto la trasformazione da novizio a esperto è considerata come una progressione so-
prattutto qualitativa intesa come una strutturazione concettuale sempre più ricca di colle-
gamenti tra concetti e una maggiore capacità di astrazione
Sulla base di questi elementi per ottenere un cambiamento concettuale non basta tenere
conto le conoscenze di partenza degli studenti occorre anche facilitare la loro consapevo-
lezza metaconcettuale.
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Ma quali competenze dovrebbe avere uno psicologo per operare nei contesti scolastici?
Come sostengono Tharinger, Miller e PrLJzǁaŶskLJ la psicologia scolastica si differenzia
per il focus sull’applicazione delle sue teorie e dei suoi metodi per risolvere problemi, per
migliorare processi e risultati delle istituzioni educative e degli individui coinvolti in pro-
cessi di apprendimento. Quindi la psico scolastica si caratterizza per riconoscere la scuo-
la come contesto cruciale per lo sviluppo degli studenti. Ne derive che le competenze
degli psicologici devono articolarsi in due aree: una specificamente normativa e l’altra di
tipo psicologico, entrambe fortemente ancorate al contesto in cui si ǀa a intervenire. A
queste si aggiunge anche un’area riguardante l’etica professionale e la deontologia.
Per quanto riguarda la prima area nel realizzare il proprio intervento lo psicologo scolasti-
co deve conoscere e saper utilizzare il quadro normativo di riferimento della scuola a livel-
lo nazionale e regionale. Deve altresì conoscere e saper utilizzare la normativa che preve-
de interventi specifici per le situazioni di particolare attenzione educativa di cui abbiamo
parlato.
Sul versante del sapere psicologico, lo psicologo scolastico deve avere a disposizione e
saper utilizzare un repertorio di modelli teorici e di metodi che gli consentano di interveni-
re sia sul versante organizzativo sia si quello educativo.
Tali competenze devono costituire un saper fare professionale che metta lo psicologo
scolastico in grado di intervenire.
Competenze trasversali:
• Analisi della domanda di intervento;
• Progettazione dell’intervento, il passaggio successivo è la progettazione dell’intervento
che si intende realizzare. In alcuni casi è opportuno che il progetto prenda la forma di
un documento. Che costituisce il patto di lavoro tra gli attori coinvolti. È utile che tale
documento contenga:
(1) La premessa inerente la rilevanza del problema che si intende affrontare;
(2) La prospettiva teorica da cui si guarda al problema;
(3) Gli obiettivi che si intendono perseguire;
(4) I destinatari a cui l’intervento è rivolto;
(5) Le modalità di lavoro con cui si svolgerà l’intervento;
(6) Le risorse umane, strumentali ed economiche da utilizzare;
(7) Le modalità di verifica e di valutazione;
(8) Le modalità di restituzione degli esiti a utenza e committenza.
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3. FORMAZIONE
Lo psico scolastico è chiamato a intervenire non più tanto come un operatore del disagio
quanto piuttosto come un agente di cambiamento culturale nell’istituzione scolastica. Il
ruolo di un professionista impegnato a supportare dirigenti, insegnanti studenti e genitori
perseguendo l’obbiettivo di migliorare l’efficacia e la significatività degli ambienti di ap-
prendimento a scuola.
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