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1 UNITA DIDATTICA Lo sviluppo psicologico: modelli teorici e implicazioni pratiche
Il condizionamento classico:
Pavlov (1927). Una delle forme di apprendimento più diffuso e conosciuto è quello basato sul
condizionamento. Esperimento con cane affamato posto in una stanza e con un condotto per
raccogliere la saliva e misurarne le variazioni collegato alla bocca. 1 fase: all’animale viene offerto del
cibo (SI stimolo incondizionato) che comporta una risposta incondizionata (RI). Viene introdotto uno
stimolo (suono di un campanello o stimolo neutro SN). La comparsa dello SN è associata allo stimolo
incondizionato: campanello suona e viene introdotto il cibo. Il cane inizia a salivare anche in assenza
di cibo semplicemente al suono del campanello. Quello che prima era uno SN (stimolo neutro) ora è
diventato uno stimolo condizionato (SC) e la salivazione che prima era una risposta incondizionata e
spontanea è diventata condizionata (RC) ossia appresa. Quanto più frequente e regolare è
l’associazione tra i due stimoli tanto è più probabile il condizionamento della risposta che sarà in tal
modo rafforzata.
(C’e anche Condizionamento strumentale – Thorndike – con “legge dell’effetto” animale che per
arrivare al cibo usava una leva)
DUE PROCESSI responsabili della maturazione del sistema cognitivo (Un processo cognitivo è la
sequenza dei singoli eventi necessari alla formazione di un qualsiasi contenuto
di conoscenza attraverso l'attività della mente).
1) Assimiliazione: processo dove le nuove conoscenze vengono assorbite in schemi mentali già
pre esistenti
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2) Accomodamento: quando il sistema è inadatto a far fronte a nuove esperienze entra in atto il
processo di accomodamento che modifica le strutture mentali pre-esistenti e le adatta a
nuove esperienze.
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discussione il primato dello sviluppo biologico sull’apprendimento sottolineando l’importanza
dell’interazione sociale e dei processi socioculturali ai fini di una sua piena realizzazione.
L’adulto fornisce il supporto necessario affinchè il bambino diventi capace di produrre abilità che è
già in grado di comprendere. Con questo studio Vygostkji sottolinea l’importanza dell’interazione
sociale ai fini dello sviluppo biologico dell’apprendimento. Importante la RELAZIONE
INTERPERSONALE: per lui come per Aristotele l’essere umano è soprattutto un Animale Sociale che
di relazioni vive e si nutre, egli è interamente intessuto di relazioni dalle quali è plasmato e formato.
Altra risposta
La teoria della Gestalt prende il nome da una scuola strutturalista tedesca (Scuola di Berlino) che negli
anni ’20 modificò lo sviluppo della psicologia. L’impostazione di questa scuola, infatti, si
contrapponeva a quella dominante tra fine ’800 e primi del ‘900 definita “associazionistica” perché
riteneva che la percezione di un oggetto fosse il risultato della associazione di elementi sensoriali
distinti.
La nascita della psicologia della Gestalt si fa risalire esattamente al 1912 a Max Wertheimer, il quale
sosteneva che non c’è corrispondenza diretta tra realtà empirica e realtà percettiva ma che la “forma
non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di più, di diverso”.
La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un “insieme
organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”).
Secondo la psicologia della Gestalt percepire un oggetto significa conoscere l’oggetto in questione.
La teoria, formulata da Wertheimer, sostiene che un certo numero di tendenze organizzative
influenzano il modo in cui vediamo il campo. La percezione sarebbe quindi organizzata in virtù di una
innata corrispondenza tra le strutture percettive e la realtà. La percezione è una modalità primaria di
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esperienza. La teoria della Gestalt individua le leggi dell’organizzazione percettiva per le quali ogni
forma è una figura che si stacca dallo sfondo di base in una particolare organizzazione di elementi.
Legge della vicinanza: gli elementi del campo percettivo vengono uniti in forme con tanta maggiore coesione quanto
minore è la distanza tra di loro. (Più gli oggetti sono vicini tra loro più li si percepisce come parte di un gruppo e quindi di
una forma).
Legge della somiglianza: gli elementi vengono uniti in forme con tanta maggior coesione quanto maggiore
è la loro somiglianza.
Legge del destino comune: gli elementi che hanno un movimento solidale tra di loro, e differente da quello
degli altri elementi, vengono uniti in forme.
In una configurazione tendono a unificarsi le linee con la stessa direzione od orientamento o movimento,
secondo l’andamento più coerente, a difesa delle forme più semplici e più equilibrate.
Legge della chiusura: le linee che formano delle figure chiuse tendono ad essere viste come unità formali.
La nostra mente è predisposta a fornire le informazioni mancanti per chiudere una figura, pertanto i margini
chiusi o che tendono ad unirsi si impongono come unità figurale su quelli aperti.
Legge della continuità di direzione: una serie di elementi posti uno di seguito all’altro, vengono uniti in
forme in base alla loro continuità di direzione. Nella figura percepiamo come unità AB e XY e non AY e XB o
ancora AX e YB.
Legge della pregnanza: la forma che si costituisce è tanto “buona” quanto le condizioni date lo consentono. In pratica
ciò che determina fondamentalmente l’apparire delle forme è la caratteristica di “pregnanza” o “buona forma” da esse
posseduta: quanto più regolari, simmetriche, coesive, omogenee, equilibrate, semplici, concise esse sono, tanto
maggiore è la probabilità che hanno d’imporsi alla nostra percezione.
Legge dell’esperienza passata: elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra
di loro tendono ad essere uniti in forme.
Le componenti di base del linguaggio sono: fonemi, morfemi e il lessico. L’unità lessicale minima è la
parola che può essere definita come una sequenza di fonemi e dotata di significato in una
determinata lingua, la parola può essere composta da più morfemi.
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Il linguaggio ha 2 proprietà:
- Produttività: non vi è limite al numero di nuove frasi che possono essere create con il lessico,
qualunque pensiero esprimibile in una lingua è esprimibile in una qualunque altra lingua
- Costruttività: i singoli suoni linguistici ( i fonemi) possono essere combinati per formare un
numero illimitato di parole, le parole sono convenzionali, ovvero il loro significato è
costruito. Le parole possono essere combinate tra di loro formando un numero infinito di
frasi.
Con l’affermarsi della corrente comportamentalista, l’apprendimento del linguaggio viene spiegato
in termini di associazioni stimolo-risposta (Watson). Secondo questa corrente l’apprendimento del
linguaggio avviene in termini di imitazione di frasi dette da adulti e di rinforzo positivo, sempre da
parte degli adulti, se gli enunciati dei bambini sono corretti. Entro il terzo/quarto anno di vita il
bambino è capace di padroneggiare i principi che governano il linguaggio e che lo differenziano da
altre forme di comunicazione.
Metacognizione: insieme delle riflessioni che l’individuo è in grado di compiere sul funzionamento
della mente, proprio e altrui. Sopra la cognizione esiste la metacognizione, un altro livello di attività
psichica, collegato alla conoscenza e consapevolezza che noi abbiamo di quanto avviene nella nostra
mente a livello inferiore. Fondamentale è definire il problema, riesaminarlo, accertarsi che l’obiettivo
corrisponda a ciò che è effettivamente desiderato, ridefinire l’obiettivo e trovare obiettivi alternativi.
Altri elementi metacognitivi riguaradano la valutazione della difficoltà del compito, la stima del
tempo, dell’impegno e dello sforzo. Quanto più l’individuo è metacognitivamente competente, tanto
avrà più successo nei compiti di ragionamento. Il RAGIONAMENTO è un processo mentale che
consiste nel concatenare i pensieri, per derivare nuove conoscenze, porre le premesse per giungere
ad una conclusione, formulare un giudizio verificare un’ipotesi e prendere una decisione. Quando
una persona si trova davanti ad un problema, tende a utilizzare strategie generali per affrontare le
situazioni problematiche (utilizzando anche esperienze passate). La capacità di riuscire a trovare una
soluzione ai problemi che si possono presentare è definita problem solving.
La capacità di problem solving permette di affrontare qualsiasi tipo di situazione mettendo in atto
delle operazioni strutturate che permettono di analizzare gli aspetti della situazione problematica
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utili alla soluzione del problema. E’ qui che intervengono gli apprendimenti precedenti, che
permettono di ragionare su strategie funzionali utilizzate in passato rendendo il processo di problem
solving più rapido ed efficace.
Associazione Italiana Dislessia (AID) ha promosso nel 2006 la Consensus Conference e ha portato
alla stesura delle “Raccomandazioni per la pratica clinica sui DSA, linee guida condivise e rigorose
sul piano scientifico. Il percorso diagnostico deve comunque essere specifico per ogni bambino.
Una volta diagnosticata la presenza di un DSA la famiglia richiede alla scuola un PDP previsto dal
Miur secondo il DM 5669 del 12/7/2011 dove vengono definite le misure compensative e
dispensative.
I disturbi dell’apprendimento sono quelle condizioni in cui l’alunno non apprende in maniera
adeguata alla sua età. Nell’ambito di questi disturbi rientrano la dislessia, la disortografia, la disgrafia
e la discalculia. Tutti questi disturbi non si presentano in associazione a patologie neurologiche e a
deficit sensoriali. Vediamo una breve descrizione di tali disturbi:
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Dislessia. Compromette la possibilità di leggere un testo in modo accurato e veloce. Disabilità
specifica dell’apprendimento di origine neurobiologica che deriva da un deficit nella componente
fonologica del linguaggio. La caratteristica più rilevante è la minore correttezza e velocità di lettura
ad alta voce in relazione all’età anagrafica. Il bambino confonde le lettere con grafemi simili (p-b),
salta le righe, inverte le lettere, salta le parole, legge lentamente a volte sillabando.
(Apprendimento della scrittura) La scrittura è la rappresentazione grafica della lingua attraverso uso
di lettere, i grafemi, che denotano un suono o gruppo di suoni, i fonemi. La Consensus Conference
(AID, 2009) indica che per il disturbo della scrittura dobbiamo distinguere 2 componenti: quella
disortografica di natura linguistica (deficit nei processi di cifratura) e quella motoria, la disgrafia
(deficit nei processi di realizzazione dei grafemi)
Disortografia. Difficoltà nei processi di cifratura del codice ortografico e della produzione di testi). È
legata a una difficoltà nel processo di transcodifica dal testo orale al testo scritto, riconducibile a un
deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo discrittura. Si manifesta nella
difficoltà di tradurre in simboli grafici una sequenza di suoni. Comporta frequenti errori di scambio di
grafemi, omissioni, aggiunta o inversione di grafemi o sillabe (insetto-isnetto, membra-mendra)
Disgrafia. (difficoltà di natura motoria nella realizzazione del grafema e si manifesta con la difficoltà
di scrivere in modo chiaro e consapevole). Si tratta di un disturbo specifico della scrittura connesso
all’aspetto motorio, che ha conseguenze sugli aspetti grafico-formali dell’attività scrittoria. Difficoltà
di riproduzione della forma delle lettere minuscolo-maiuscolo, utilizzare in modo adeguato lo spazio
del foglio, orientamento della scrittura. Scrittura disordinata, poco chiara, non leggibile. 2 parametri:
1) Leggibilità: qualità del segno grafico ovvero forme dimensioni e disposizione, 2) Velocità di scrittura
– si contano i numeri di grafemi scritti per unità di tempo
Leadership autoritaria: presuppone una distribuzione del potere asimmetrica con presenza di
un leader che da ordini e subalterni che eseguono
Leadership democratica: il leader delega alcuni compiti e distribuisce le responsabilità, le
decisioni vengono concordate insieme agli altri membri del gruppo
Leadership permissiva: ovvero una leadership di tipo esclusivamente nominale dove i membri
del gruppo vengono lasciati liberi di prendere decisioni in completa autonomia ma crea
confusione e scarso rendimento
Il più funzionale è quello Democratico: i confiltti vengono ridotti al minimo, le regole sono condivise
e i rapporti sono organizzati e portano ad una identità di gruppo.
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PROGETTAZIONE E VALUTAZIONE DIDATTICA
UNITA DIDATTICA 1 FONDAMENTI EPISTEMOLOGICI E RIFERIMENTI NORMATIVI
Il curricolo si può definire come un insieme di percorsi di apprendimento in cui vengono definiti obiettivi,
contenuti, strumenti, metodologie, materiali e verifiche e costituisce il “cuore didattico” del POF. (Oggi al
termine programmazione si è sostituito quello di “progettazione”, ovvero strumento che consente alla
scuola di realizzare gli scopi ad essa assegnati dalla società, configurandola come istituzione delegata a
trasmettere alle nuove generazioni l’insieme di conoscenze e competenze ritenute necessarie nel
contesto storico, sociale e culturale).
- Realtà: il curricolo deve essere radicato all’interno di una realtà locale specifica
- Razionalità: il curricolo fa riferimento a un sistema di decisioni razionali
- Socialità: superamento dell’individualismo didattico a vantaggio della dimensione collegiale
- Pubblicità: la scuola rende trasparenti, comunicabili e controllabili le proprie procedure.
La Direttiva Ministeriale 11/2014 si afferma che la valutazione della qualità dell’offerta formativa e degli
apprendimenti sarà indirizzata in modo particolare:
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- Alla riduzione della dispersione scolastica
- Riduzione delle differenze tra scuole e aree geografiche nei livelli di apprendimento
- Rafforzamento delle competenze di base degli studenti
- Valorizzazione degli esiti a distanza degli studenti con attenzione a università e lavoro.
Per raggiungere questi scopi vengono individuate delle priorità strategiche, tra cui
l’autovalutazione. (con un Rapporto di autovalutazione)
- Valutazione esterna da operare su una % di scuole mediante visite effettuate dai nuclei di
formazione
- Valutazione della dirigenza scolastica per cui i dirigenti scolastici sono sottoposti a
valutazione sulla base di indicatori definiti dall’Invalsi
- Le rilevazioni nazionali sugli apprendimenti degli studenti e la partecipazione a indagini
internazionali
- La valutazione di sistema con l’Invalsi.
Si tratta di una concezione per cui ogni alunno è considerato soggetto attivo e portatore di idee e
proposte. A ciascuna proposta viene riconosciuta la stessa dignità e la stessa possibilità di apportare
cambiamenti a una situazione.
Nella progettazione partecipata si parte perciò dalla creazione di un contesto in grado di attivare la
creatività dei soggetti: le modalità utilizzate a questo fine possono essere i giochi cooperativi, i
laboratori esperienziali, le tecniche di training, ecc.
Si preferisce che i progetti siano di breve durata: gli studenti appaiono più interessati ai progetti che
si svolgono in poco tempo (poche settimane, e non mesi o anni). Si è inoltre osservato che in
genere gli alunni più giovani sono interessati più ai processi che ai risultati finali.
Nella valutazione del progetto sono da prendere in considerazione i seguenti parametri: fattibilità,
efficacia, efficienza, impatto e sostenibilità.
L’utilità didattica che viene riconosciuta alle esperienze di progettazione partecipata è quella di
portare gli alunni a sentirsi cittadini, a sentirsi parte di una comunità, a esserne corresponsabili.
Inoltre, tali esperienze favoriscono anche il coinvolgimento dei genitori, che saranno indotti a
cercare di salvaguardare e mantenere un’opera alla cui realizzazione hanno contribuito i loro figli.
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4. Le competenze dell’insegnante digitale p 10
Un “docente digitale” deve possedere, dunque, sia abilità tecniche, sia abilità cognitive e culturali
legate alla competenza digitale. Tra le abilità tecniche, si annoverano le seguenti:
Un docente deve, pertanto, essere in grado di progettare attività didattiche con le TIC, di strutturare
percorsi didattici che si avvalgono delle TIC, nonché saper realizzare contenuti didattici digitali.
Ciò consente al docente l’adozione di nuovi approcci metodologici: dal problem solving al cooperative
learning alla didattica laboratoriale, approcci ai quali risulta funzionale la predisposizione di un
diverso ambiente di apprendimento. La tecnologia fa da supporto culturale per il reperimento di
materiali utili nella didattica delle discipline e favorisce il miglioramento e la facilitazione dei processi
di apprendimento.
Un obiettivo fondamentale della scuola di oggi, da raggiungere anche attraverso le TIC, è quello di
rendere l’alunno autonomo e responsabile nella costruzione delle conoscenze.
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Si tratta di un’ottica che trova rispondenza in due delle otto “competenze chiave per
l’apprendimento lungo l’intero arco della vita” (secondo il documento del Parlamento e del
Consiglio Europeo del 18 dicembre 2006): la competenza digitale e l’imparare ad imparare.
La competenza digitale riguarda l’abilità di base nell’uso delle TIC e l’uso del pc per il reperimento,
la valutazione, la produzione e lo scambio di informazioni; le TIC consentono anche di “imparare ad
imparare”, nel momento in cui portano a una più efficace organizzazione e gestione del processo di
apprendimento.
Negli ultimi anni ha conosciuto una significativa espansione l’ICC (“competenza in comunicazione
interculturale”), che identifica una serie di elementi di maturità personale considerati centrali ai fini
dello sviluppo delle competenze interculturali. Tali elementi sono la conoscenza di sé, le abilità
relazionali, la consapevolezza delle proprie cornici culturali, la sensibilità ricettiva rispetto all’altro.
- Identificazione dei problemi da risolvere e delle cause, delle risorse e dei vincoli
- Formulazione di Ipotesi di cambiamento
- Applicazione di queste ipotesi nei contesti-obiettivo
- La valutazione dei cambiamenti intervenuti
- L’approfondimento l’istituzionalizzazione e la diffusione capillare delle applicazioni a cui è
stata assegnata una valutazione positiva. La logica è che il progetto una volta concluso non
deve morire ma diffondersi ad altre classi.
Es. “Rispetto dell’ambiente scolastico” dove si individuano problemi, formulano soluzioni e regole e
si mettono in atto azioni per renderle operative ed efficaci. L’obiettivo è quello di far comprendere la
complessità dei sistemi in cui l’uomo interviene
SI definisce ricerca azione una strategia di ricerca educativa messa a punto per osservare e controllare
le pratiche e le dinamiche di un determinato contesto educativo. Tale strategia è caratterizzata dal
coinvolgimento di diversi attori ed è finalizzata all’introduzione di cambiamenti migliorativi e allo
sviluppo di competenze specifiche e consapevolezze relative alla capacità di incidere sugli studi e sulle
pratiche scolastiche. La “ricerca azione” è legata all’idea di partecipazione e collaborazione tra gruppi
di lavoro e alla motivazione di cooperare all’interno di una comunità di pratica.
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7. Principi del cooperative learning (ud 2 lez 5)
Si tratta di un metodo didattico-educativo di apprendimento sviluppato da Johnson e Johnson (1989),
basato sulla cooperazione fra gli studenti, ciascuno dei quali mette a disposizione del gruppo il suo
sapere e le sue competenze.
Fa parte dei principali metodi didattici basati sull’azione (le tecniche “attive” sono quelle che
coinvolgono attivamente lo studente nei processi di apprendimento), sulla scoperta e sulla
cooperazione tra gli alunni che includono appunto: il metodo della ricerca-azione; l’apprendimento
cooperativo (cooperative learning); lo studio di caso e l’incident; e come esempio di metodo
individualizzato, il mastery learning.
E proprio per attuare questo tipo di apprendimento il docente deve, pertanto, essere in grado di
progettare attività didattiche con le TIC, di strutturare percorsi didattici che si avvalgono delle TIC,
nonché saper realizzare contenuti didattici digitali.
Ciò consente al docente l’adozione di nuovi approcci metodologici: dal problem solving al cooperative
learning alla didattica laboratoriale, approcci ai quali risulta funzionale la predisposizione di un
diverso ambiente di apprendimento.
Il cooperative learning consente di assegnare a ogni alunno un compito che risulti adatto alle sue
competenze: si tratta, dunque, di un metodo che favorisce l’inclusione, e pertanto appare
particolarmente adatto agli alunni con difficoltà come DSL, DSA e BES.
Con gli alunni che presentano DSL è consigliato il cooperative learning perché questo tipo di
apprendimento si fonda sui seguenti principi cardine: interdipendenza positiva, responsabilità
individuale e di gruppo, interazione faccia-a-faccia (si consiglia di non utilizzare gruppi superiori a 4-
5 membri), sviluppo di abilità sociali, valutazione individuale e di gruppo, contemporaneità delle
azioni: tutti i membri del gruppo devono lavorare negli stessi tempi, leadership distribuita.
Il criterio meno utilizzato è quello della soglia minima (la maggioranza è su quello della buona
volontà). Ma i docimologi si sono mostrati preoccupati ritenendo più adeguati i criteri assoluti.
Spesso la valutazione degli apprendimenti manca di oggettività: ci sono tipologie di prova che
difficilmente potrebbero essere giudicate in modo univoco da docenti diversi (es. tema).
Specialmente se le prove non sono strutturate e consentono all’alunno di interpretare le consegne
con un certo margine di libertà. Può quindi accadere che le prove tradizionali non consentano di
verificare effettivamente gli obiettivi di apprendimento che si propone di verificare.
Si parla di “effetti di distorsione” che intervengono nella prassi valutativa scolastica. Si parla di “effetto
stereotipia” se l’insegnante che valuta è influenzato dalle precedenti valutazioni che ha attribuito ad
un alunno; Un altro effetto di distorsione è “l’effetto alone” cioè i giudizi di chi valuta possono essere
condizionati da componenti di tipo affettivo. “Il docente matura consapevolmente o meno, opinioni
ed emozioni che possono influenzare le valutazioni che dovrebbero essere di carattere
esclusivamente cognitivo. Componenti dell’effetto alone sono la cosiddetta “presentabilità”
dell’alunno agli occhi del docente, ovvero ne può gradire ad esempio il linguaggio, il modo di essere
o addirittura l’abbigliamento. L’effetto alone interviene anche quando l’insegnante di fronte ad una
prova scritta in cui si presenti una grafia poco comprensibile o un certo disordine nella pagina, tende
ad attribuire una valutazione inferiore rispetto a quella che potrebbe dare alla stessa prova se ad
esempio digitalizzata.
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Didattica Speciale
1. Bes e riferimenti normativi
In ambito scolastico si parla di “Bisogni educativi speciali”, termine che compare per la prima volta
nel 2012 e nella successiva Circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013. Chi sono i BES? Sono gli alunni
che non rientrano nella legge 104/1992 per la disabilità né quelli che rientrano nella Legge 170/2010
per i DSA, bensì quei restanti casi relativamente ai quali “spetta alla scuola la responsabilità della loro
individuazione e progettazione didattica”. Tali soggetti possono essere rappresentati da soggetti con
deficit relativi alla sfera cognitiva, al linguaggio, alla coordinazione motoria, all’attenzione, ecc. Nella
categoria BES rientrano anche alunni con situazione di svantaggio economico, linguistico e culturale.
Per i BES è prevista una presa in carico dalla parte della scuola, la quale attua nei confronti di questi
soggetti un approccio pedagogico diverso, basato sulla creazione di percorsi di studio personalizzati.
Viene esteso così a tutti gli studenti in difficoltà, il diritto alla personalizzazione e
all’individualizzazione dei percorsi di apprendimento sancito dalla Legge 53/2003 e dal D.lgs 59/2004.
Il GLI
- Individua i BES all’interno della scuola
- Raccoglie gli interventi didattico educativi attuati
- Promuove il confronto sui casi, fornendo supporto e consulenza e supporto ai colleghi così da
favorire l’elaborazione di strategie e metodologie di gestione delle classi
- Si occupa di rilevare, monitorare e valutare il livello di inclusività nella scuola
- Raccogli ee coordina le proposte formulate dai singoli GLH operativi
- Elabora una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività che riguarda tutti gli alunni con BES, la
quale viene redatta al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di giugno).(il PAI)
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3. Interventi di inclusione per alunni con handicap
La scuola “inclusiva che si cerca di costruire oggi si inquadra in quell’attenzione per i valori
dell’inclusione e della solidarietà che caratterizza attualmente l’ottica della Comunità Europea. Tra gli
interventi previsti dalla “Piattaforma europea contro la povertà e l’emarginazione” si annoverano
misure trasversali in un’ampia gamma di settori: dal mercato del lavoro al reddito minimo,
dall’assistenza sanitaria agli alloggi, e tra questi settori figura ovviamente anche l’istruzione. Per
quanto riguarda l’inclusione sociale, tale obiettivo costituisce una delle 11 priorità della politica di
coesione dell’Unione Europea: sostiene l’inclusione delle persone disabili, dei lavoratori più giovani e
più anziani, dei lavoratori con scarse competenze, degli immigrati e delle minoranze etniche”. I
soggetti destinatari delle politiche di inclusione sociale sono dunque i disabili, i lavoratori giovani e
anziani, le minoranze etniche, le donne lavoratrici. Nel 2013 è stato adottato il Pacchetto di
investimenti sociali che indica le riforme necessarie negli Stati membri per garantire politiche sociali
più adeguate e sostenibili da realizzarsi.
Negli anni Ottanta e Novanta, con l’aumento della sensibilità per l’integrazione sociale dei disabili,
viene affermato il pieno diritto dei soggetti disabili a frequentare ogni ordine di scuola, compresa
quella secondaria di secondo grado. Il documento di riferimento è la Legge 12 febbraio del 1992
n.104 in cui sono indicati 3 strumenti per il processo di integrazione
Alla definizione degli strumenti di integrazione e dei soggetti che devono provvedere a metterli a
punto è dedicato il DPR 24 febbraio 1994, modificato con DPCM 23 febbraio 2006 n.185,
Sulla base del profilo di funzionamento della persona, vengono proposti interventi finalizzati a
garantire all’alunno in situazione di handicap il diritto all’educazione, all’istruzione e all’integrazione
scolastica, e viene indicato il numero di ore che si ritiene si debba svolgere l’insegnante di sostegno.
Gli interventi vengono poi integrati tra di loro.
Il PEI è stato definito un “progetto globale di vita, che non coincide con il solo progetto didattico”.
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Il PEI si articola in tre parti: profilo di funzionamenti della persona, progettazione didattica, verifica e
valutazione.
- Dislessia: minore correttezza e velocità di lettura ad alta voce in relazione all’età anagrafica.
- Disortografia: disturbo specifico della scrittura connessa all’aspetto motorio, che ha
conseguenze sugli aspetti grafico-formali dell’attività scrittoria. – impugnatura o postura del
corpo scorretta, disimpegno della mano che non scrive, incapacità di esercitare la giusta
pressione sul foglio, …-
- Disgrafia: è legata ad una difficoltà nel processo di transcodifica del testo orale al testo scritto,
riconducibile ad un deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo di
scrittura.
- Discalculia: deficit riguardante l’apprendimento aritmetico. E’ dunque caratterizzato da errori
nel calcolo, dall’incapacità di riconoscere il valore dello zero, dalla difficoltà nel risolvere
problemi matematici
Linee guida per il diritto allo studio DM 12 Luglio 2011: Individualizzato è l’intervento calibrato sul
singolo e non sull’intera classe. L’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per tutto il
gruppo classe, ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteristiche individuali
dei discenti, con l’obiettivo di assicurare a tutti il conseguimento delle competenze fondamentali del
curricolo, attenzione alle differenze individuali in rapporto ad una pluralità di dimensioni. L’azione
formativa personalizzata ha, in più, l’obiettivo di dare a ciascun alunno l’opportunità di sviluppare al
meglio le proprie potenzialità e porsi quindi obiettivi diversi per ciascun discente, essendo
strettamente legata a quella specifica e unica persona a cui ci rivolgiamo.
Dunque mentre l’intervento didattico individualizzato è una macro-azione del docente, quello
personalizzato è una micro azione del docente. Se la didattica individualizzata permette di perseguire,
nel lavoro specialistico, gli stessi obiettivi del gruppo classe, portandoli avanti con metodologie
pensate in funzione delle peculiarità dei singoli alunni, la didattica personalizzata consente di
scegliere obiettivi differenziati a seconda degli alunni. Il docente specializzato applicherà sia
interventi didattici individualizzati, sia interventi didattici personalizzati. Nella didattica
individualizzata assumono rilevanza sia i tempi di attenzione, il livello cognitivo e il ritmo di
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apprendimento e gli stili cognitivi, la sollecitazione delle differenti forme di intelligenza, la capacità e
i talenti personali.
La scuola tradizionale ha sempre attribuito la priorità alle abilità linguistiche e logico – matematiche,
penalizzando gli studenti che erano scarsamente dotati di queste abilità e presentavano profili
intellettivi diversi. Individuare i profili intellettivi dei discenti costituisce dunque un ausilio ai fini
della personalizzazione degli interventi didattici. Consente di riconoscere “le potenzialità degli
studenti, di diversificare l’azione formativa e garantire ad ognuno la possibilità di successo”
8. Bullismo e cyberbullismo
Si definiscono atti di bullismo aggressioni o molestie ripetute, che vengono praticate con lo scopo di
causare ansia, isolamento ed emarginazione. Nel momento in cui tali aggressioni o molestie sono
compiute attraverso cellulari o Internet, si parla di cyberbullismo.
Il fenomeno del bullismo è in costante aumento in modo allarmante, sia nel contesto scolastico, sia
nei “luoghi” tradizionali di ritrovo delle nuove generazioni.
9. Pedagogia inclusiva/interculturale
Nella normativa scolastica italiana è adottato da tempo il concetto di pedagogia interculturale,
elaborato negli anni 80, ossia nella fase in cui si stava affermando una realtà multiculturale. La
pedagogia interculturale nasce dalla sfida che i processi migratori hanno lanciato alla pedagogia
stessa, obbligandola ad affrontare una molteplicità di problemi di natura non solo educativa ma
anche culturale, sociale ed economica.
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La pedagogia interculturale presuppone il dialogo tra le diverse culture: è considerata la pedagogia
normale dei nostri tempi e non straordinaria, speciale. L’interculturalità è infatti l’elemento
costitutivo dell’identità all’interno di una società globale. La pedagogia ha costituito il fondamento
teorico del percorso di accoglienza delle varie forme di diversità intrapreso negli ultimi anni di fronte
alla diversificazione dell’utenza scoltastica.
Nella fase dell’inclusione la classe multiculturale rappresenta la “nuova normalità”, fatta di studenti
e studentesse con diverse origini e diverse storie. La diversità diventa parte della realtà scolastica
ordinaria. Una formazione che si apra a lingue e culture diverse è importante per il futuro di tutti i
giovani: nel mondo della complessità e globalizzazione l’apertura verso forme culturali diverse “non
sono gesti d’accoglienza ma importanti competenze per affrontare il mondo del lavoro”. Questa
nuova pedagogia interculturale è stata definita pedagogia dell’inclusione o pedagogia interculturale
di seconda generazione.
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