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PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO

ARGOMENTI PSICOLOGIA DELL’APPRENDIMENTO

1 UNITA DIDATTICA Lo sviluppo psicologico: modelli teorici e implicazioni pratiche

 1 lezione Processo di apprendimento come aspetto fondamentale del funzionamento


psicologico
 2 lezione: i paradigmi sperimentali del comportamentalismo (Dom) (Condizionamento
classico)
 3 lezione: i paradigmi sperimentali del cognitivismo (Dom)
 4 lezione: Piaget (Dom) Teoria dello sviluppo cognitivo
 5 lezione: Vygotskij (Dom) Zona di sviluppo prossimale
 6 lezione: Brumer Culturalismo e Metacognizione

2 UNITA DIDATTICA: IL RUOLO DEI PROCESSI COGNITIVI NEL PROCESSO DI SVILUPPO

 1 lezione: I processi cognitivi nello sviluppo psicologico tipoco


 2 lezione: La percezione: la creazione dell’esperienza (Dom)
 3 lezione: i processi di attenzione
 4 lezione: apprendimento e memoria: l’organizzazione della conoscenza
 5 lezione: il linguaggio e l’apprendimento linguistico (Dom)
 6 lezione: attività di ragionamento e problem solving (Dom)

3 UNITA’ DIDATTICA: I DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO

 1 lezione: Introduzione ai Dsa (Dom) ICD – 10 (OMS, 2010)


 2 lezione: l’apprendimento della lettura e la dislessia (dom)
 3 lezione: l’apprendimento della scrittura
 4 lezione: la disortografia (dom)
 5 lezione: la disgrafica (dom)
 6 lezione: la difficoltà di calcolo e la discalculia

4 UNITA DIDATTICA: I PROCESSI DI APPRENDIMENTO SOCIALE

 1 lezione: Stili cognitivi e stili di apprendimenti


 2 lezione: le strategie per migliorare il processo di apprendimento
 3 lezione: i Processi motivazionali e la loro relazione tra emozioni e apprendimento (Modello
Arcs)
 4 lezione: le dinamiche di gruppo
 5 lezione: l’apprendimento cooperativo
 6 lezione: le relazioni all’interno dell’istituzione scolastica

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1 UNITA DIDATTICA Lo sviluppo psicologico: modelli teorici e implicazioni pratiche

1. Condizionamento classico pag 6


Le prime teorie dell’apprendimento sono state definite dagli psicologi del comportamento. Il
Comportamentismo è la prospettiva della ricerca psicologica che ha studiato esclusivamente ciò che
è direttamente osservabile, misurabile, prevedibile e quantificabile. Il fondatore è Watson.

Il condizionamento classico:

Pavlov (1927). Una delle forme di apprendimento più diffuso e conosciuto è quello basato sul
condizionamento. Esperimento con cane affamato posto in una stanza e con un condotto per
raccogliere la saliva e misurarne le variazioni collegato alla bocca. 1 fase: all’animale viene offerto del
cibo (SI stimolo incondizionato) che comporta una risposta incondizionata (RI). Viene introdotto uno
stimolo (suono di un campanello o stimolo neutro SN). La comparsa dello SN è associata allo stimolo
incondizionato: campanello suona e viene introdotto il cibo. Il cane inizia a salivare anche in assenza
di cibo semplicemente al suono del campanello. Quello che prima era uno SN (stimolo neutro) ora è
diventato uno stimolo condizionato (SC) e la salivazione che prima era una risposta incondizionata e
spontanea è diventata condizionata (RC) ossia appresa. Quanto più frequente e regolare è
l’associazione tra i due stimoli tanto è più probabile il condizionamento della risposta che sarà in tal
modo rafforzata.

(C’e anche Condizionamento strumentale – Thorndike – con “legge dell’effetto” animale che per
arrivare al cibo usava una leva)

(Condizionamento operante – Skinner – che approfondisce il concetto di rinforzo coniato da Watson.


Il rinforzo è quella conseguenza positiva che produce un aumento del comportamento e può
consistere in una ricompensa o nell’evitamento di una punizione. “Skinner box” con dentro i piccioni
che a seconda della leva si produceva scossa o cibo.)

2. Le tappe dello sviluppo secondo Piaget pag 17


Piaget è considerato il maggiore teorico della psicologia dello sviluppo cognitivo. La teoria dello
sviluppo cognitivo descrive il bambino come un “organismo” attivo, dotato di enormi potenzialità
cognitive, un piccolo espolratore in grado di adattarsi all’ambiente fisico e sociale e capace di
apprendere attraverso processi che diventano sempre più complessi.

DUE PROCESSI responsabili della maturazione del sistema cognitivo (Un processo cognitivo è la
sequenza dei singoli eventi necessari alla formazione di un qualsiasi contenuto
di conoscenza attraverso l'attività della mente).

1) Assimiliazione: processo dove le nuove conoscenze vengono assorbite in schemi mentali già
pre esistenti

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2) Accomodamento: quando il sistema è inadatto a far fronte a nuove esperienze entra in atto il
processo di accomodamento che modifica le strutture mentali pre-esistenti e le adatta a
nuove esperienze.

Lo sviluppo cognitivo è un processo evolutivo, lineare, e progressivo che procede da modalità di


pensiero semplici e concrete a modalità sempre più astratte e complesse.

Il meccanismo di accomodamento consente di superare i momentanei disequilibri dell’interazione


tra il soggetto e l’ambiente. Le tappe lungo le quali si articola lo sviluppo cognitivo secondo Piaget
(1964) sono quattro:

 Stadio senso-motorio (0-2 anni): il neonato all’inizio interagisce con l’ambiente


esterno in modo molto semplice e immediato, prevalentemente attraverso i sensi.
(pianto, suzione, prensione). Crescente interesse per la realtà esterna
 Stadio pre-operatorio (2-6 anni): il bambino è capace di richiamare alla mente le
persone e gli oggetti non presenti, sostituendoli con delle immagini mentali
interiorizzate o con dei simboli. Evoca una realtà non presente, persone che stanno
altrove (imitazione differita, gioco simbolico o linguaggio verbale)
 Stadio operatorio-concreto (6-12 anni): il bambino è capace di compiere importanti
operazioni mentali come la classificazione , la seriazione etc.
 Stadio operatorio-formale (dai 12 anni in poi): l’adolescente è capace di staccarsi dal
dato concreto e di ragionare in termini astratti. Può coordinare tra loro più ipotesi
per prevedere o dedurre un certo risultato.

3. La zona dello sviluppo prossimale di Vygotskij pag 20


Nella teoria di Lev Vygotskij la zona di sviluppo prossimo (ZSP) è un concetto fondamentale che
serve a spiegare come l'apprendimento del bambino si svolga con l'aiuto degli altri. La ZSP è definita
come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere
raggiunto con l'aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza
maggiore.
Infatti, Vygotskij non riteneva – con ciò prendendo le distanze da Piaget – che il bambino passasse
attraverso diversi stadi e dunque 'fosse pronto' ad apprendere nuove conoscenze che prima non
era in grado di ritenere; al contrario, sostiene che il bambino impara da coloro che si trovano a un
livello di conoscenza superiore.
Per Vygotskij (1987), un contesto familiare e scolastico cognitivamente stimolante, in grado di fornire
i necessari strumenti cognitivi insieme ad un sostegno adeguato, permetterà al bambino di avanzare
più velocemente nello sviluppo mentale e lo incoraggerà a superare i limiti del suo livello cognitivo
attuale per accedere ad un livello successivo. A tal proposito, si è sviluppato il concetto di “zona di
sviluppo prossimale”, che è la distanza tra l’attuale livello di sviluppo del bambino e il livello di sviluppo
potenziale, cioè quello che il bambino potrebbe raggiungere sotto la guida di adulti o di altri bambini
più competenti. Con l’elaborazione del concetto di zona di sviluppo prossimale, Vygotskij mette in

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discussione il primato dello sviluppo biologico sull’apprendimento sottolineando l’importanza
dell’interazione sociale e dei processi socioculturali ai fini di una sua piena realizzazione.

L’adulto fornisce il supporto necessario affinchè il bambino diventi capace di produrre abilità che è
già in grado di comprendere. Con questo studio Vygostkji sottolinea l’importanza dell’interazione
sociale ai fini dello sviluppo biologico dell’apprendimento. Importante la RELAZIONE
INTERPERSONALE: per lui come per Aristotele l’essere umano è soprattutto un Animale Sociale che
di relazioni vive e si nutre, egli è interamente intessuto di relazioni dalle quali è plasmato e formato.

2 UNITA DIDATTICA: IL RUOLO DEI PROCESSI COGNITIVI NEL PROCESSO DI SVILUPPO

4. Cosa si intende per percezione? Pag 34


La percezione è un processo necessario per l’apprendimento. In particolare, secondo Tulving (1985) la
percezione, la memoria e la categorizzazione sono processi che mediano un apprendimento molto
semplice. Diamo dunque una definizione rigorosa di percezione: La percezione può essere definita
come un processo durante il quale i dati sensoriali vengono elaborati, modificati e trasformati, fino a
dare la conoscenza di un determinato oggetto percepito in determinate condizioni. In altri termini,
fornisce all’individuo informazioni immediate sulla realtà. Secondo la teoria dello Gestalt, la
percezione è una modalità primaria di esperienza, i cui costituenti sono innati e consentono all’essere
umano di essere in sintonia immediata con il mondo esterno. Un’altra teoria della percezione è la
teoria ecologica proposta da Gibson (1979), secondo la quale la percezione non richiede un’attività
mentale integrativa, poiché le stimolazioni sensoriali possiedono un ordine intrinseco che l’organismo
umano è predisposto a cogliere. Gli psicologi cognitivi intendono la percezione come un processo
periferico che riguarda l’elaborazione dell’informazione dal basso (bottom-up), ovvero partendo
dallo stimolo.

Altra risposta

Se consideriamo un semplice episodio di apprendimento, come quello del condizionamento


classico (Pavlov, 1927), in cui un suono è condizionato dalla presentazione di cibo, è
importante osservare che perché avvenga l’apprendimento occorre innanzitutto che sia il
suono sia il cibo siano percepiti. La percezione è, quindi, un processo necessario per l’apprendimento.
Secondo Tulving (1985) la percezione, la memoria e la categorizzazione sono quindi processi che
mediano un apprendimento molto semplice.
Un deficit di percezione, ad esempio, compromette l’abilità di esaminare correttamente gli stimoli
per poi riprodurli; un deficit di memoria compromette gli apprendimenti complessi.
La percezione può essere definita come un processo durante il quale i dati sensoriali vengono
elaborati, modificati e trasformati, fino a dare la conoscenza di un determinato oggetto percepito in
determinate condizioni (Gemelli, 1952).
La percezione, infatti, fornisce all’individuo informazioni immediate sulla realtà (Gibson,
1979).
La sensazione consiste nella ricezione degli stimoli, la percezione consiste nel cogliere i
rapporti tra gli stimoli o tra le caratteristiche di ogni stimolo attribuendogli dei significati
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attraverso processi di elaborazione degli indizi sensoriali, di classificazione, di“aggiustamento”
rispetto all’immagine degli oggetti fornita dai sensi.
Secondo la teoria dello Gestalt, la percezione è una modalità primaria di
esperienza, i cui costituenti sono innati e consentono all’essere umano di essere in sintonia
immediata con il mondo esterno.
Un’altra teoria della percezione è la teoria ecologica proposta da Gibson (1979), secondo la
quale la percezione non richiede un’attività mentale integrativa, poiché le stimolazioni
sensoriali possiedono un ordine intrinseco che l’organismo umano è predisposto a cogliere.
Gli psicologi cognitivi intendono la percezione come un processo periferico che riguarda
l’elaborazione dell’informazione dal basso (bottom-up), ovvero partendo dallo stimolo. La
percezione si differenzia dalla conoscenza che è, invece, un processo dall’alto (top-down) che utilizza
l’esperienza e le conoscenze già acquisite per attribuire significato al processo
percettivo in atto.
Un principio fondamentale della percezione è l’attenzione selettiva. Non è possibile far fronte
contemporaneamente a tutte le informazioni che giungono dall’ambiente, saranno quindi
selezionate quelle a cui prestare attenzione.
Nello stadio operatorio-formale (dai 12 anni in poi) il pensiero diventa
ipotetico-deduttivo, l’adolescente è capace finalmente di staccarsi dal dato concreto e di
ragionare in termini astratti. Il pensiero diviene sempre più indipendente dalla percezione,
è possibile compiere ragionamenti sulla base di semplici ipotesi che possono anche
contrastare con i dati percettivi del momento.

5. La teoria della Gestalt (Wertheimer) pag 14 e 36


La psicologia della Gestalt considera l’apprendimento derivante da un’intuizione immediata e
improvvisa, da un insight che conduce ad una immediata ristrutturazione cognitiva del campo
percettivo

La teoria della Gestalt prende il nome da una scuola strutturalista tedesca (Scuola di Berlino) che negli
anni ’20 modificò lo sviluppo della psicologia. L’impostazione di questa scuola, infatti, si
contrapponeva a quella dominante tra fine ’800 e primi del ‘900 definita “associazionistica” perché
riteneva che la percezione di un oggetto fosse il risultato della associazione di elementi sensoriali
distinti.

La nascita della psicologia della Gestalt si fa risalire esattamente al 1912 a Max Wertheimer, il quale
sosteneva che non c’è corrispondenza diretta tra realtà empirica e realtà percettiva ma che la “forma
non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di più, di diverso”.

La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un “insieme
organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”).

Secondo la psicologia della Gestalt percepire un oggetto significa conoscere l’oggetto in questione.
La teoria, formulata da Wertheimer, sostiene che un certo numero di tendenze organizzative
influenzano il modo in cui vediamo il campo. La percezione sarebbe quindi organizzata in virtù di una
innata corrispondenza tra le strutture percettive e la realtà. La percezione è una modalità primaria di

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esperienza. La teoria della Gestalt individua le leggi dell’organizzazione percettiva per le quali ogni
forma è una figura che si stacca dallo sfondo di base in una particolare organizzazione di elementi.

Legge della vicinanza: gli elementi del campo percettivo vengono uniti in forme con tanta maggiore coesione quanto
minore è la distanza tra di loro. (Più gli oggetti sono vicini tra loro più li si percepisce come parte di un gruppo e quindi di
una forma).

Legge della somiglianza: gli elementi vengono uniti in forme con tanta maggior coesione quanto maggiore
è la loro somiglianza.

Legge del destino comune: gli elementi che hanno un movimento solidale tra di loro, e differente da quello
degli altri elementi, vengono uniti in forme.
In una configurazione tendono a unificarsi le linee con la stessa direzione od orientamento o movimento,
secondo l’andamento più coerente, a difesa delle forme più semplici e più equilibrate.

Legge della chiusura: le linee che formano delle figure chiuse tendono ad essere viste come unità formali.
La nostra mente è predisposta a fornire le informazioni mancanti per chiudere una figura, pertanto i margini
chiusi o che tendono ad unirsi si impongono come unità figurale su quelli aperti.

Legge della continuità di direzione: una serie di elementi posti uno di seguito all’altro, vengono uniti in
forme in base alla loro continuità di direzione. Nella figura percepiamo come unità AB e XY e non AY e XB o
ancora AX e YB.

Legge della pregnanza: la forma che si costituisce è tanto “buona” quanto le condizioni date lo consentono. In pratica
ciò che determina fondamentalmente l’apparire delle forme è la caratteristica di “pregnanza” o “buona forma” da esse
posseduta: quanto più regolari, simmetriche, coesive, omogenee, equilibrate, semplici, concise esse sono, tanto
maggiore è la probabilità che hanno d’imporsi alla nostra percezione.

Legge dell’esperienza passata: elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra
di loro tendono ad essere uniti in forme.

6. Il Linguaggio e l’apprendimento linguistico pag 50


Il linguaggio è il prodotto della mente umana che consente agli uomini di conoscere il mondo e
comunicare tra di loro. Con il termine linguaggio ci si riferisce all’uso della lingua da parte di un
parlante.

Le componenti di base del linguaggio sono: fonemi, morfemi e il lessico. L’unità lessicale minima è la
parola che può essere definita come una sequenza di fonemi e dotata di significato in una
determinata lingua, la parola può essere composta da più morfemi.
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Il linguaggio ha 2 proprietà:

- Produttività: non vi è limite al numero di nuove frasi che possono essere create con il lessico,
qualunque pensiero esprimibile in una lingua è esprimibile in una qualunque altra lingua
- Costruttività: i singoli suoni linguistici ( i fonemi) possono essere combinati per formare un
numero illimitato di parole, le parole sono convenzionali, ovvero il loro significato è
costruito. Le parole possono essere combinate tra di loro formando un numero infinito di
frasi.

Con l’affermarsi della corrente comportamentalista, l’apprendimento del linguaggio viene spiegato
in termini di associazioni stimolo-risposta (Watson). Secondo questa corrente l’apprendimento del
linguaggio avviene in termini di imitazione di frasi dette da adulti e di rinforzo positivo, sempre da
parte degli adulti, se gli enunciati dei bambini sono corretti. Entro il terzo/quarto anno di vita il
bambino è capace di padroneggiare i principi che governano il linguaggio e che lo differenziano da
altre forme di comunicazione.

7. Il Problem Solving pag 55


Il pensiero permette di recuperare e manipolare le informazioni che sono state codificate in
precedenza, a volte allo scopo di risolvere problemi, altre volte senza alcun fine determinato. Il
pensiero può essere definito come il prodotto dell’attività psichica intelligente ed evidenza l’aspetto
funzionale dell’intelligenza. L’intelligenza può essere definita come la capacità di “pensare bene”. Lo
studio dell’intelligenza ha indagato sia gli aspetti strutturali, analizzando le capacità di base
dell’intelligenza, che gli aspetti funzionali, ovvero l’analisi delle capacità di adattamento alle nuove
esigenze e dei processi del pensiero mediante i quali risolviamo problemi nei quali non entrano in
gioco l’istinto e l’abitudine.

Metacognizione: insieme delle riflessioni che l’individuo è in grado di compiere sul funzionamento
della mente, proprio e altrui. Sopra la cognizione esiste la metacognizione, un altro livello di attività
psichica, collegato alla conoscenza e consapevolezza che noi abbiamo di quanto avviene nella nostra
mente a livello inferiore. Fondamentale è definire il problema, riesaminarlo, accertarsi che l’obiettivo
corrisponda a ciò che è effettivamente desiderato, ridefinire l’obiettivo e trovare obiettivi alternativi.
Altri elementi metacognitivi riguaradano la valutazione della difficoltà del compito, la stima del
tempo, dell’impegno e dello sforzo. Quanto più l’individuo è metacognitivamente competente, tanto
avrà più successo nei compiti di ragionamento. Il RAGIONAMENTO è un processo mentale che
consiste nel concatenare i pensieri, per derivare nuove conoscenze, porre le premesse per giungere
ad una conclusione, formulare un giudizio verificare un’ipotesi e prendere una decisione. Quando
una persona si trova davanti ad un problema, tende a utilizzare strategie generali per affrontare le
situazioni problematiche (utilizzando anche esperienze passate). La capacità di riuscire a trovare una
soluzione ai problemi che si possono presentare è definita problem solving.

La capacità di problem solving permette di affrontare qualsiasi tipo di situazione mettendo in atto
delle operazioni strutturate che permettono di analizzare gli aspetti della situazione problematica

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utili alla soluzione del problema. E’ qui che intervengono gli apprendimenti precedenti, che
permettono di ragionare su strategie funzionali utilizzate in passato rendendo il processo di problem
solving più rapido ed efficace.

3 UNITA’ DIDATTICA: I DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO

8. Sistema di classificazione dei disturbi mentali


In relazione alle direttive diagnostiche, i criteri di base che devono essere soddisfatti secondo ICD-10
(OMS, 2010) sono:

 abilità scolastica compromessa in modo clinicamente significativo,


 compromissione specifica ovvero non attribuibile ad un ritardo mentale,
 la compromissione deve riguardare lo sviluppo (non deve essere stata acquisita più tardi nel
corso di processo educativo
 deve essere esclusa la presenza di fattor esterni capaci di fornire una sufficiente motivazione
per le difficoltà scolastiche
 il disturbo non deve essere direttamente dovuto a difetti non corretti della vista o dell’udito.

Associazione Italiana Dislessia (AID) ha promosso nel 2006 la Consensus Conference e ha portato
alla stesura delle “Raccomandazioni per la pratica clinica sui DSA, linee guida condivise e rigorose
sul piano scientifico. Il percorso diagnostico deve comunque essere specifico per ogni bambino.

Una volta diagnosticata la presenza di un DSA la famiglia richiede alla scuola un PDP previsto dal
Miur secondo il DM 5669 del 12/7/2011 dove vengono definite le misure compensative e
dispensative.

9. Cosa sono i disturbi specifici dell’apprendimento? Quali sono i DSA? Pag 62


Si tratta di difficoltà nel processo cognitivo di apprendimento. I DSA o Learning Disability vengono
riportati all’interno di un sistema di classificazione dei Disturbi Mentali (DSM-5 e ICD-10) che
riportano i criteri condivisi dalla comunità scientifica per l’identificazione dei disturbi.

I disturbi dell’apprendimento sono quelle condizioni in cui l’alunno non apprende in maniera
adeguata alla sua età. Nell’ambito di questi disturbi rientrano la dislessia, la disortografia, la disgrafia
e la discalculia. Tutti questi disturbi non si presentano in associazione a patologie neurologiche e a
deficit sensoriali. Vediamo una breve descrizione di tali disturbi:

(Apprendimento della Lettura)

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Dislessia. Compromette la possibilità di leggere un testo in modo accurato e veloce. Disabilità
specifica dell’apprendimento di origine neurobiologica che deriva da un deficit nella componente
fonologica del linguaggio. La caratteristica più rilevante è la minore correttezza e velocità di lettura
ad alta voce in relazione all’età anagrafica. Il bambino confonde le lettere con grafemi simili (p-b),
salta le righe, inverte le lettere, salta le parole, legge lentamente a volte sillabando.

(Apprendimento della scrittura) La scrittura è la rappresentazione grafica della lingua attraverso uso
di lettere, i grafemi, che denotano un suono o gruppo di suoni, i fonemi. La Consensus Conference
(AID, 2009) indica che per il disturbo della scrittura dobbiamo distinguere 2 componenti: quella
disortografica di natura linguistica (deficit nei processi di cifratura) e quella motoria, la disgrafia
(deficit nei processi di realizzazione dei grafemi)

Disortografia. Difficoltà nei processi di cifratura del codice ortografico e della produzione di testi). È
legata a una difficoltà nel processo di transcodifica dal testo orale al testo scritto, riconducibile a un
deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo discrittura. Si manifesta nella
difficoltà di tradurre in simboli grafici una sequenza di suoni. Comporta frequenti errori di scambio di
grafemi, omissioni, aggiunta o inversione di grafemi o sillabe (insetto-isnetto, membra-mendra)

Disgrafia. (difficoltà di natura motoria nella realizzazione del grafema e si manifesta con la difficoltà
di scrivere in modo chiaro e consapevole). Si tratta di un disturbo specifico della scrittura connesso
all’aspetto motorio, che ha conseguenze sugli aspetti grafico-formali dell’attività scrittoria. Difficoltà
di riproduzione della forma delle lettere minuscolo-maiuscolo, utilizzare in modo adeguato lo spazio
del foglio, orientamento della scrittura. Scrittura disordinata, poco chiara, non leggibile. 2 parametri:
1) Leggibilità: qualità del segno grafico ovvero forme dimensioni e disposizione, 2) Velocità di scrittura
– si contano i numeri di grafemi scritti per unità di tempo

(Difficoltà di calcolo) Il nostro cervello è predisposto all’elaborazione dell’informazione di tipo


numerico: l’intelligenza numerica è un’abilità presente nell’essere umano fin dalla nascita che
influenza il nostro modo di interpretare gli stimoli della realtà che ci circonda.

Discalculia. Si tratta di un deficit riguardante l’apprendimento aritmetico. È dunque caratterizzato da


errori nel calcolo, dall’incapacità di riconoscere il valore dello zero, dalla difficoltà nel risolvere
problemi matematici. Sono prestazioni sostanzialmente inferiori a quanto previsto in base all’età
cronologica del soggetto nella capacità di calcolo. 1) Il bambino mostra difficoltà nel discriminare in
modo corretto tra le quantità. 2) deficit negli aspetti procedurali quali la lettura e la scrittura dei
numeri e la difficoltà nel calcolo.

4 UNITA DIDATTICA: I PROCESSI DI APPRENDIMENTO SOCIALE


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10.Le fasi della socializzazione di gruppo pag 104
Tra gli aspetti basilari di un gruppo (=insieme di persone che comunicano e interagiscono tra di loro)
la COESIONE è la caratteristica che permette al gruppo di rimanere unito ed è caratterizzato dal
sostegno reciproco tra i membri, dalla solidarietà e dallo spirito di collaborazione

Il processo di socializzazione di un gruppo è caratterizzato da quattro fasi (Moreland & Levine,1982):


 la fase di esplorazione, in cui il gruppo recluta i suoi membri che compiono un primo processo
esplorativo all’interno del gruppo stesso
 la fase di socializzazione, durante la quale i nuovi membri del gruppo familiarizzano con le
regole e le abitudini del gruppo stesso e portano a loro volta, all’interno del gruppo le loro
opinioni e le loro idee;
 la fase del mantenimento, che è caratterizzata dalla negoziazione dei ruoli all’interno del
gruppo o da cambiamenti attesi nei ruoli in precedenza definiti;
 la fase di risocializzazione, conseguente a momenti di cambiamento di ruoli o di divergenze
all’interno del gruppo;
 la fase del ricordo, che si attiva quando un membro lascia il gruppo.
Importante è il Gruppo dei Pari (es famiglia) il bambino stabilisce delle relazioni con persone simili a
lui con esperienze analoghe e impara ad esprimere le proprie emozioni e a risolvere conflitti.
Fondamentale la dinamica di gruppo in classe per risolvere conflitti.

11. Lewin e i principi di Leadership pag 103


(Da: Le dinamiche di gruppo) I gruppi sono fondamentali nella vita dell’individuo e so no il terreno sul
quale nascono e si sviluppano le relazioni con l’altro. All’interno del gruppo è possibile individuare
status e ruoli. Lo status più elevato è occupato dal leader che detiene il potere maggiore, esercita più
influenza e ne fa rispettare le regole.

Lewin ha identificato 3 diversi tipi di leadership

 Leadership autoritaria: presuppone una distribuzione del potere asimmetrica con presenza di
un leader che da ordini e subalterni che eseguono
 Leadership democratica: il leader delega alcuni compiti e distribuisce le responsabilità, le
decisioni vengono concordate insieme agli altri membri del gruppo
 Leadership permissiva: ovvero una leadership di tipo esclusivamente nominale dove i membri
del gruppo vengono lasciati liberi di prendere decisioni in completa autonomia ma crea
confusione e scarso rendimento

Il più funzionale è quello Democratico: i confiltti vengono ridotti al minimo, le regole sono condivise
e i rapporti sono organizzati e portano ad una identità di gruppo.

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PROGETTAZIONE E VALUTAZIONE DIDATTICA
UNITA DIDATTICA 1 FONDAMENTI EPISTEMOLOGICI E RIFERIMENTI NORMATIVI

 1 LEZIONE: L’affermazione Della Logica Curriculare (dom)


 2 Lezione: Altri modelli di programmazione
 3 LEZIONE: Il dibattito sul curricolo in Italia
 4 LEZIONE: I principali riferimenti normativi. Le leggi degli anni Settanta
 5 LEZIONE: i principali riferimenti normativi. Le Leggi degli anni Ottanta e dei primi anni
Novanta

1. Il Curricolo, Cesare Scurati e i nuclei costitutivi pag 1


Il curricolo è lo strumento della partecipazione, della collegialità, dell’autogoverno e dell’autonomia
scolastica (riforma strutturale del sistema scuola nel passaggio al nuovo millennio). Le decisioni vengono
prese a livello locale sulla base degli orientamenti definiti a livello nazionale. Il docente si fa responsabile
di una progettazione basata sulla mediazione tra le direttive dello Stato e la realtà territoriale in cui si
trova.

Il curricolo si può definire come un insieme di percorsi di apprendimento in cui vengono definiti obiettivi,
contenuti, strumenti, metodologie, materiali e verifiche e costituisce il “cuore didattico” del POF. (Oggi al
termine programmazione si è sostituito quello di “progettazione”, ovvero strumento che consente alla
scuola di realizzare gli scopi ad essa assegnati dalla società, configurandola come istituzione delegata a
trasmettere alle nuove generazioni l’insieme di conoscenze e competenze ritenute necessarie nel
contesto storico, sociale e culturale).

Cesare Scurati individua all’interno del curricolo 4 nuclei operativi:

- Realtà: il curricolo deve essere radicato all’interno di una realtà locale specifica
- Razionalità: il curricolo fa riferimento a un sistema di decisioni razionali
- Socialità: superamento dell’individualismo didattico a vantaggio della dimensione collegiale
- Pubblicità: la scuola rende trasparenti, comunicabili e controllabili le proprie procedure.

2. Scopi della valutazione secondo la Direttiva Ministeriale 11/2014 ud 4 lez


L’oggetto è l’Avvio del ciclo di valutazione”. Già con le indicazioni nazionali del 2012 si poneva l’accento
sulla necessità di promuovere una “cultura della valutazione” che miri a raggiungere una serie di
competenze fondamentali (da certificare) finalizzate alla crescita personale e alla partecipazione sociale.

La Direttiva Ministeriale 11/2014 si afferma che la valutazione della qualità dell’offerta formativa e degli
apprendimenti sarà indirizzata in modo particolare:

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- Alla riduzione della dispersione scolastica
- Riduzione delle differenze tra scuole e aree geografiche nei livelli di apprendimento
- Rafforzamento delle competenze di base degli studenti
- Valorizzazione degli esiti a distanza degli studenti con attenzione a università e lavoro.

Per raggiungere questi scopi vengono individuate delle priorità strategiche, tra cui
l’autovalutazione. (con un Rapporto di autovalutazione)

Il tema dell’autovalutazione è al centro delle politiche educative a livello comunitario e


internazionale, pertanto la valutazione come strumento posto a presidio della qualità della
formazione è diventata uno dei principali obiettivi dell’Unione Europea.

Altre priorità stabilite dalla Direttiva 2014:

- Valutazione esterna da operare su una % di scuole mediante visite effettuate dai nuclei di
formazione
- Valutazione della dirigenza scolastica per cui i dirigenti scolastici sono sottoposti a
valutazione sulla base di indicatori definiti dall’Invalsi
- Le rilevazioni nazionali sugli apprendimenti degli studenti e la partecipazione a indagini
internazionali
- La valutazione di sistema con l’Invalsi.

3. Cos’è la progettazione partecipata p11


Cosa vuol dire “progettazione partecipata” nel contesto della didattica scolastica?

Si tratta di una concezione per cui ogni alunno è considerato soggetto attivo e portatore di idee e
proposte. A ciascuna proposta viene riconosciuta la stessa dignità e la stessa possibilità di apportare
cambiamenti a una situazione.

Nella progettazione partecipata si parte perciò dalla creazione di un contesto in grado di attivare la
creatività dei soggetti: le modalità utilizzate a questo fine possono essere i giochi cooperativi, i
laboratori esperienziali, le tecniche di training, ecc.

Si preferisce che i progetti siano di breve durata: gli studenti appaiono più interessati ai progetti che
si svolgono in poco tempo (poche settimane, e non mesi o anni). Si è inoltre osservato che in
genere gli alunni più giovani sono interessati più ai processi che ai risultati finali.

Nella valutazione del progetto sono da prendere in considerazione i seguenti parametri: fattibilità,
efficacia, efficienza, impatto e sostenibilità.

L’utilità didattica che viene riconosciuta alle esperienze di progettazione partecipata è quella di
portare gli alunni a sentirsi cittadini, a sentirsi parte di una comunità, a esserne corresponsabili.

Inoltre, tali esperienze favoriscono anche il coinvolgimento dei genitori, che saranno indotti a
cercare di salvaguardare e mantenere un’opera alla cui realizzazione hanno contribuito i loro figli.

12
4. Le competenze dell’insegnante digitale p 10
Un “docente digitale” deve possedere, dunque, sia abilità tecniche, sia abilità cognitive e culturali
legate alla competenza digitale. Tra le abilità tecniche, si annoverano le seguenti:

 saper utilizzare i software di produttività personale;


 saper utilizzare la rete per navigare, reperire risorse attraverso motori di ricerca e banche
dati;
 saper elaborare testi multimediali utilizzando immagini, audio, video;
 saper utilizzare un content management system per la pubblicazione di contenuti in rete;
 saper organizzare ed elaborare dati utilizzando gli strumenti informatici;
 conoscere e saper utilizzare software didattici e di authoring multimediale.

Un docente deve, pertanto, essere in grado di progettare attività didattiche con le TIC, di strutturare
percorsi didattici che si avvalgono delle TIC, nonché saper realizzare contenuti didattici digitali.

Ciò consente al docente l’adozione di nuovi approcci metodologici: dal problem solving al cooperative
learning alla didattica laboratoriale, approcci ai quali risulta funzionale la predisposizione di un
diverso ambiente di apprendimento. La tecnologia fa da supporto culturale per il reperimento di
materiali utili nella didattica delle discipline e favorisce il miglioramento e la facilitazione dei processi
di apprendimento.

5. Cosa si intende per competenza


La competenza è l’agire personale di ciascuno, basato sulle conoscenze e abilità acquisite, adeguato
,in un determinato contesto, in modo soddisfacente e socialmente riconosciuto, a rispondere ad un
bisogno, a risolvere un problema, a eseguire un compito, a realizzare un progetto. Non è mai un
agire semplice, atomizzato, astratto, ma è sempre un agire complesso che coinvolge tutta la
persona e che connette in maniera unitaria e inseparabile i saperi (conoscenze) e i saper fare
(abilità), i comportamenti individuali e relazionali, gli atteggiamenti emotivi, le scelte valoriali, le
motivazioni e i fini. Per questo, nasce da una continua interazione tra persona, ambiente e società,
e tra significati personali e sociali, impliciti ed espliciti.

In sintesi, quando si parla di conoscenze ci si riferisce al “sapere”; quando si parla di abilità, al


“saper fare”; quando si parla di competenze, alla capacità di servirsi delle conoscenze e delle abilità
in modo autonomo e responsabile in situazioni lavorative e di studio, e in generale nella vita
personale.

In particolare, oggi si parla molto di “competenze di cittadinanza”, ossia quella consapevolezza


critica che un alunno, al termine del percorso formativo, dovrebbe aver conseguito anche grazie
alle sollecitazioni ricevute a scuola.

Un obiettivo fondamentale della scuola di oggi, da raggiungere anche attraverso le TIC, è quello di
rendere l’alunno autonomo e responsabile nella costruzione delle conoscenze.
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Si tratta di un’ottica che trova rispondenza in due delle otto “competenze chiave per
l’apprendimento lungo l’intero arco della vita” (secondo il documento del Parlamento e del
Consiglio Europeo del 18 dicembre 2006): la competenza digitale e l’imparare ad imparare.

La competenza digitale riguarda l’abilità di base nell’uso delle TIC e l’uso del pc per il reperimento,
la valutazione, la produzione e lo scambio di informazioni; le TIC consentono anche di “imparare ad
imparare”, nel momento in cui portano a una più efficace organizzazione e gestione del processo di
apprendimento.

Negli ultimi anni ha conosciuto una significativa espansione l’ICC (“competenza in comunicazione
interculturale”), che identifica una serie di elementi di maturità personale considerati centrali ai fini
dello sviluppo delle competenze interculturali. Tali elementi sono la conoscenza di sé, le abilità
relazionali, la consapevolezza delle proprie cornici culturali, la sensibilità ricettiva rispetto all’altro.

6. La Ricerca – azione (ud 2, lez 5 – ud 3 lez 4)


O metodo euristico partecipativo, dove si intende il metodo della scoperta e consiste nel guidare
l’alunno a scoprire da solo una certa realtà, facendo in modo che sia coinvolto costantemente e
attivamente nei percorsi di ricerca e interpretazione. Nello specifico, il metodo della ricerca –
azione riguarda il cambiamento di situazioni, contesti e relazioni. Da un pdv metodologico si parla di
“ciclo della ricerca- azione” che comprende 5 fasi

- Identificazione dei problemi da risolvere e delle cause, delle risorse e dei vincoli
- Formulazione di Ipotesi di cambiamento
- Applicazione di queste ipotesi nei contesti-obiettivo
- La valutazione dei cambiamenti intervenuti
- L’approfondimento l’istituzionalizzazione e la diffusione capillare delle applicazioni a cui è
stata assegnata una valutazione positiva. La logica è che il progetto una volta concluso non
deve morire ma diffondersi ad altre classi.

Es. “Rispetto dell’ambiente scolastico” dove si individuano problemi, formulano soluzioni e regole e
si mettono in atto azioni per renderle operative ed efficaci. L’obiettivo è quello di far comprendere la
complessità dei sistemi in cui l’uomo interviene

FASI DELLA RICERCA AZIONE

SI definisce ricerca azione una strategia di ricerca educativa messa a punto per osservare e controllare
le pratiche e le dinamiche di un determinato contesto educativo. Tale strategia è caratterizzata dal
coinvolgimento di diversi attori ed è finalizzata all’introduzione di cambiamenti migliorativi e allo
sviluppo di competenze specifiche e consapevolezze relative alla capacità di incidere sugli studi e sulle
pratiche scolastiche. La “ricerca azione” è legata all’idea di partecipazione e collaborazione tra gruppi
di lavoro e alla motivazione di cooperare all’interno di una comunità di pratica.

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7. Principi del cooperative learning (ud 2 lez 5)
Si tratta di un metodo didattico-educativo di apprendimento sviluppato da Johnson e Johnson (1989),
basato sulla cooperazione fra gli studenti, ciascuno dei quali mette a disposizione del gruppo il suo
sapere e le sue competenze.

Fa parte dei principali metodi didattici basati sull’azione (le tecniche “attive” sono quelle che
coinvolgono attivamente lo studente nei processi di apprendimento), sulla scoperta e sulla
cooperazione tra gli alunni che includono appunto: il metodo della ricerca-azione; l’apprendimento
cooperativo (cooperative learning); lo studio di caso e l’incident; e come esempio di metodo
individualizzato, il mastery learning.

Le tecniche di produzione cooperativa (cooperative learning) permettono di sviluppare in modo


integrato competenze di tipo cognitivo, operativo e relazionale.

E proprio per attuare questo tipo di apprendimento il docente deve, pertanto, essere in grado di
progettare attività didattiche con le TIC, di strutturare percorsi didattici che si avvalgono delle TIC,
nonché saper realizzare contenuti didattici digitali.

Ciò consente al docente l’adozione di nuovi approcci metodologici: dal problem solving al cooperative
learning alla didattica laboratoriale, approcci ai quali risulta funzionale la predisposizione di un
diverso ambiente di apprendimento.

Il cooperative learning consente di assegnare a ogni alunno un compito che risulti adatto alle sue
competenze: si tratta, dunque, di un metodo che favorisce l’inclusione, e pertanto appare
particolarmente adatto agli alunni con difficoltà come DSL, DSA e BES.

Con gli alunni che presentano DSL è consigliato il cooperative learning perché questo tipo di
apprendimento si fonda sui seguenti principi cardine: interdipendenza positiva, responsabilità
individuale e di gruppo, interazione faccia-a-faccia (si consiglia di non utilizzare gruppi superiori a 4-
5 membri), sviluppo di abilità sociali, valutazione individuale e di gruppo, contemporaneità delle
azioni: tutti i membri del gruppo devono lavorare negli stessi tempi, leadership distribuita.

8. Criteri di valutazione secondo l’istituto IARD (ud 3 lez 1)


Dalle indicazioni per il curricolo del 2007 si evince come alla valutazione venga attribuito come scopo
essenziale quello di reperire le informazioni che servono a gestire nel modo più efficace il processo
formativo. La valutazione deve precedere e accompagnare i percorsi curricolari, deve essere
concepita come parte integrante della progettazione in quanto ha la precisa funzione di raccogliere
e analizzare le informazioni necessarie alla sua condizione.

Fondamentale per la valutazione è la messa a punto di strumenti di misurazione adeguati. Tali


strumenti sono i “criteri di valutazione” ossia i principi in base ai quali giudicare se un certo risultato
nell’apprendimento sia soddisfacente o meno. Secondo una ricerca condotta dall’Istituto IARD le
tipologie di criterio di valutazione usate dai docenti sono le seguenti:
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- Il raggiungimento di una soglia minima di conoscenza prefissata. Si tratta di un “criterio
assoluto”: il docente stabilisce una sogli al di sotto della quale le prestazioni degli alunni non
sono da considerarsi accettabili.
- Confronto tra ciascuna prestazione ( si prende il rendimento medio del gruppo)
- Confronto tra prestazioni del singolo alunno ( si tiene conto dei progressi)
- I criteri dell’impegno e della buona volontà. Si stabilisce di premiare l’impegno mostrato
dall’alunno nell’affrontare lo svolgimento dei compiti, indipendentemente dai risultati
raggiunti; vengono tenute presenti anche le eventuali problematiche familiari

Il criterio meno utilizzato è quello della soglia minima (la maggioranza è su quello della buona
volontà). Ma i docimologi si sono mostrati preoccupati ritenendo più adeguati i criteri assoluti.

9. La flipped classroom (ud 3 lez 6)


Flipped classroom: la lezione è diventata compito a casa, dove sono state utilizzate anche risorse
video ed e-learning come contenuti oggetto di studio.
L’espressione “classe capovolta”, che costituisce la traduzione letterale di flipped classroom, fa
riferimento al fatto che rispetto al modello tradizionale si invertono i tempi e lo schema di lavoro: a
casa, lo studente apprende un argomento in autonomia; successivamente, il docente rivede e
approfondisce l’argomento in classe, adottando una didattica pratica e personalizzata basata anche
sulla collaborazione e la cooperazione tra gli alunni, e assegna “compiti autentici”, che tengono conto
delle differenze individuali, dei percorsi di apprendimento e del progresso dimostrato.
Tale modello didattico assegna una maggiore responsabilità allo studente, che diventa maggiormente
protagonista del proprio percorso educativo, e l’insegnante assume un ruolo di guida in questo
percorso.

10. Fasi e funzione della valutazione (ud 4 lez2)


Nella nuova ottica della valutazione autentica, invece, la principale funzione della valutazione non è
quella di misurare gli apprendimenti, ma quella di fornire elementi sui processi che generano
l’apprendimento e sul modo in cui le conoscenze si trasformano in competenze personali spendibili
anche fuori dal contesto scolastico. L’accento viene dunque posto non su criteri oggettivi validi per
tutti gli alunni, quanto sulle modalità personali che ciascun alunno attiva in situazioni di
apprendimento formali e informali. Per esempio, la valutazione assume un’importanza fondamentale
nella teoria delle intelligenze multiple di Gardner: se utilizzata come strumento di analisi e
promozione dell’apprendimento e non come mero elemento di misurazione e di giudizio, la
valutazione può avere un ruolo rilevante nel far scoprire all’alunno potenzialità di sviluppo in un
settore specifico. Tale concezione porta a differenziazione e alla personalizzazione dei percorsi
formativi in base alle forme di intelligenza prevalenti nei diversi alunni.

11. L’effetto alone nelle prove di profitto. (ud 4 lez 3)


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Un settore importante della ricerca educativa in ambito scolastico è rappresentato
dall’individuazione degli strumenti più idonei ad accertare i diversi tipi di apprendimento, così da
offrire informazioni affidabili. Gli strumenti valutativi devono essere in grado di misurare realmente
ciò che si intende misurare e di offrire informazioni attendibili.

2 requisiti: validità e attendibilità.

Spesso la valutazione degli apprendimenti manca di oggettività: ci sono tipologie di prova che
difficilmente potrebbero essere giudicate in modo univoco da docenti diversi (es. tema).
Specialmente se le prove non sono strutturate e consentono all’alunno di interpretare le consegne
con un certo margine di libertà. Può quindi accadere che le prove tradizionali non consentano di
verificare effettivamente gli obiettivi di apprendimento che si propone di verificare.

Si parla di “effetti di distorsione” che intervengono nella prassi valutativa scolastica. Si parla di “effetto
stereotipia” se l’insegnante che valuta è influenzato dalle precedenti valutazioni che ha attribuito ad
un alunno; Un altro effetto di distorsione è “l’effetto alone” cioè i giudizi di chi valuta possono essere
condizionati da componenti di tipo affettivo. “Il docente matura consapevolmente o meno, opinioni
ed emozioni che possono influenzare le valutazioni che dovrebbero essere di carattere
esclusivamente cognitivo. Componenti dell’effetto alone sono la cosiddetta “presentabilità”
dell’alunno agli occhi del docente, ovvero ne può gradire ad esempio il linguaggio, il modo di essere
o addirittura l’abbigliamento. L’effetto alone interviene anche quando l’insegnante di fronte ad una
prova scritta in cui si presenti una grafia poco comprensibile o un certo disordine nella pagina, tende
ad attribuire una valutazione inferiore rispetto a quella che potrebbe dare alla stessa prova se ad
esempio digitalizzata.

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Didattica Speciale
1. Bes e riferimenti normativi
In ambito scolastico si parla di “Bisogni educativi speciali”, termine che compare per la prima volta
nel 2012 e nella successiva Circolare ministeriale n.8 del 6 marzo 2013. Chi sono i BES? Sono gli alunni
che non rientrano nella legge 104/1992 per la disabilità né quelli che rientrano nella Legge 170/2010
per i DSA, bensì quei restanti casi relativamente ai quali “spetta alla scuola la responsabilità della loro
individuazione e progettazione didattica”. Tali soggetti possono essere rappresentati da soggetti con
deficit relativi alla sfera cognitiva, al linguaggio, alla coordinazione motoria, all’attenzione, ecc. Nella
categoria BES rientrano anche alunni con situazione di svantaggio economico, linguistico e culturale.

Per i BES è prevista una presa in carico dalla parte della scuola, la quale attua nei confronti di questi
soggetti un approccio pedagogico diverso, basato sulla creazione di percorsi di studio personalizzati.
Viene esteso così a tutti gli studenti in difficoltà, il diritto alla personalizzazione e
all’individualizzazione dei percorsi di apprendimento sancito dalla Legge 53/2003 e dal D.lgs 59/2004.

Anche i BES devono avere obbligatoriamente una certificazione

2. GLI (Gruppo di Lavoro per Inclusione)


All’interno delle singole scuole opera il GLI ovvero il gruppo di lavoro per l’Inclusione: ad assumere
questa designazione è il gruppo di lavoro per l’handicap (GLH), che era già stato istituito dalla Legge
104/1992. Al gruppo di lavoro per l’Inclusione partecipano soggetti che possiedono competenze
specifiche riguardo alle situazioni di disagio o che svolgono compiti di coordinamento all’interno della
scuola; ne possono dunque far parte insegnanti di sostegno, funzioni strumentali, assistenti educativi
culturali, assistenti alla comunicazione, docenti curricolari che hanno una formazione specifica o che
sono coordinatori delle classi, genitori, esperti.

Il GLI
- Individua i BES all’interno della scuola
- Raccoglie gli interventi didattico educativi attuati
- Promuove il confronto sui casi, fornendo supporto e consulenza e supporto ai colleghi così da
favorire l’elaborazione di strategie e metodologie di gestione delle classi
- Si occupa di rilevare, monitorare e valutare il livello di inclusività nella scuola
- Raccogli ee coordina le proposte formulate dai singoli GLH operativi
- Elabora una proposta di Piano Annuale per l’Inclusività che riguarda tutti gli alunni con BES, la
quale viene redatta al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di giugno).(il PAI)

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3. Interventi di inclusione per alunni con handicap
La scuola “inclusiva che si cerca di costruire oggi si inquadra in quell’attenzione per i valori
dell’inclusione e della solidarietà che caratterizza attualmente l’ottica della Comunità Europea. Tra gli
interventi previsti dalla “Piattaforma europea contro la povertà e l’emarginazione” si annoverano
misure trasversali in un’ampia gamma di settori: dal mercato del lavoro al reddito minimo,
dall’assistenza sanitaria agli alloggi, e tra questi settori figura ovviamente anche l’istruzione. Per
quanto riguarda l’inclusione sociale, tale obiettivo costituisce una delle 11 priorità della politica di
coesione dell’Unione Europea: sostiene l’inclusione delle persone disabili, dei lavoratori più giovani e
più anziani, dei lavoratori con scarse competenze, degli immigrati e delle minoranze etniche”. I
soggetti destinatari delle politiche di inclusione sociale sono dunque i disabili, i lavoratori giovani e
anziani, le minoranze etniche, le donne lavoratrici. Nel 2013 è stato adottato il Pacchetto di
investimenti sociali che indica le riforme necessarie negli Stati membri per garantire politiche sociali
più adeguate e sostenibili da realizzarsi.

Negli anni Ottanta e Novanta, con l’aumento della sensibilità per l’integrazione sociale dei disabili,
viene affermato il pieno diritto dei soggetti disabili a frequentare ogni ordine di scuola, compresa
quella secondaria di secondo grado. Il documento di riferimento è la Legge 12 febbraio del 1992
n.104 in cui sono indicati 3 strumenti per il processo di integrazione

- Diagnosi Funzionale: (descrizione analitica della compromissione funzionale, risultato di


accertamenti collegiali che avvengono in collaborazione con il SSN)
- Profilo Dinamico Funzionale: (descrizione funzionale dell’alunno per quanto riguarda le
difficoltà che incontra nei vari settori di attività, analisi dello sviluppo potenziale a breve e
medio lungo termine)
- Piano Educativo Individualizzato

Alla definizione degli strumenti di integrazione e dei soggetti che devono provvedere a metterli a
punto è dedicato il DPR 24 febbraio 1994, modificato con DPCM 23 febbraio 2006 n.185,

4. Il PEI (Piano Educativo Individualizzato)


E’ il documento nel quale vengono descritti gli interventi programmati per garantire il diritto
all’educazione e all’istruzione dell’alunno in situazione di handicap. Il PEI viene redatto dagli operatori
sanitari individuati dall’Azienda Sanitaria Locale e dai docenti curricolari e di sostegno con la
partecipazione dell’insegnante operatore psico pedagogico in collaborazione con i genitori o tutori
dell’alunno, che devono approvarne le finalità controfirmandolo. E’relativo ad un periodo al termine
del quale viene verificato e aggiornato.

Sulla base del profilo di funzionamento della persona, vengono proposti interventi finalizzati a
garantire all’alunno in situazione di handicap il diritto all’educazione, all’istruzione e all’integrazione
scolastica, e viene indicato il numero di ore che si ritiene si debba svolgere l’insegnante di sostegno.
Gli interventi vengono poi integrati tra di loro.

Il PEI è stato definito un “progetto globale di vita, che non coincide con il solo progetto didattico”.

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Il PEI si articola in tre parti: profilo di funzionamenti della persona, progettazione didattica, verifica e
valutazione.

5. Quali sono i DSA


I disturbi dell’apprendimento sono quelle condizioni in cui l’alunno non apprende in maniera
adeguata alla sua età. Rientrano

- Dislessia: minore correttezza e velocità di lettura ad alta voce in relazione all’età anagrafica.
- Disortografia: disturbo specifico della scrittura connessa all’aspetto motorio, che ha
conseguenze sugli aspetti grafico-formali dell’attività scrittoria. – impugnatura o postura del
corpo scorretta, disimpegno della mano che non scrive, incapacità di esercitare la giusta
pressione sul foglio, …-
- Disgrafia: è legata ad una difficoltà nel processo di transcodifica del testo orale al testo scritto,
riconducibile ad un deficit di funzionamento delle componenti centrali del processo di
scrittura.
- Discalculia: deficit riguardante l’apprendimento aritmetico. E’ dunque caratterizzato da errori
nel calcolo, dall’incapacità di riconoscere il valore dello zero, dalla difficoltà nel risolvere
problemi matematici

Che la Legge 170/2010 ha riconosciuto come DSA.

6. Didattica individualizzata e personalizzata


Legge 170/2010: uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili
di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti quali il
bilinguismo, adottando metodologie e strategie educative adeguate.

Linee guida per il diritto allo studio DM 12 Luglio 2011: Individualizzato è l’intervento calibrato sul
singolo e non sull’intera classe. L’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per tutto il
gruppo classe, ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteristiche individuali
dei discenti, con l’obiettivo di assicurare a tutti il conseguimento delle competenze fondamentali del
curricolo, attenzione alle differenze individuali in rapporto ad una pluralità di dimensioni. L’azione
formativa personalizzata ha, in più, l’obiettivo di dare a ciascun alunno l’opportunità di sviluppare al
meglio le proprie potenzialità e porsi quindi obiettivi diversi per ciascun discente, essendo
strettamente legata a quella specifica e unica persona a cui ci rivolgiamo.

Dunque mentre l’intervento didattico individualizzato è una macro-azione del docente, quello
personalizzato è una micro azione del docente. Se la didattica individualizzata permette di perseguire,
nel lavoro specialistico, gli stessi obiettivi del gruppo classe, portandoli avanti con metodologie
pensate in funzione delle peculiarità dei singoli alunni, la didattica personalizzata consente di
scegliere obiettivi differenziati a seconda degli alunni. Il docente specializzato applicherà sia
interventi didattici individualizzati, sia interventi didattici personalizzati. Nella didattica
individualizzata assumono rilevanza sia i tempi di attenzione, il livello cognitivo e il ritmo di
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apprendimento e gli stili cognitivi, la sollecitazione delle differenti forme di intelligenza, la capacità e
i talenti personali.

7. La teoria delle intelligenze multiple


(Gardner, 1983). Secondo questa teoria, ciascun soggetto possiede tutte le intelligenze (oltre a
quella linguistica e logico-matematica, Gardner individua quella spaziale, sociale, introspettiva,
corporeo cinestetica e quella musicale): non è possibile etichettare un allievo attribuendogli una
particolare intelligenza. Ciò perché le attitudini di ciascuno di noi è in continua evoluzione e inoltre
risultano modificabili dalla pratica formativa, per tutto il corso della vita: l’esperienza infatti modifica
il cervello costruendo nuove connessioni. In altre parole, le esperienze che ciascuno vive possono
modificare la qualità del suo pensiero.

Quali ricadute può avere la teoria delle intelligenze multiple a scuola?

La scuola tradizionale ha sempre attribuito la priorità alle abilità linguistiche e logico – matematiche,
penalizzando gli studenti che erano scarsamente dotati di queste abilità e presentavano profili
intellettivi diversi. Individuare i profili intellettivi dei discenti costituisce dunque un ausilio ai fini
della personalizzazione degli interventi didattici. Consente di riconoscere “le potenzialità degli
studenti, di diversificare l’azione formativa e garantire ad ognuno la possibilità di successo”

8. Bullismo e cyberbullismo
Si definiscono atti di bullismo aggressioni o molestie ripetute, che vengono praticate con lo scopo di
causare ansia, isolamento ed emarginazione. Nel momento in cui tali aggressioni o molestie sono
compiute attraverso cellulari o Internet, si parla di cyberbullismo.

Il fenomeno del bullismo è in costante aumento in modo allarmante, sia nel contesto scolastico, sia
nei “luoghi” tradizionali di ritrovo delle nuove generazioni.

Nelle scuole 1 ragazzo su 3 è vittima di bullismo, tra i 14 e 17 anni risultano addirittura 2 su 5.


Incremento del fenomeno tra le ragazze. Il cyberbullismo è praticato maggiormente tra soggetti tra
gli 11 e 13 anni. Ogni scuola è dotata di un docente referente delle inizative volte a combattere
bullismo e cyberbullismo, il dirigente scolastico è tenuto a informare le famiglie dei minori coinvolti
in atti di bullismo e cyberbullismo, dando inoltre corso a misure di supporto per le vittime e mettendo
in atto sanzioni e percorsi rieducativi per i responsabili degli atti.

9. Pedagogia inclusiva/interculturale
Nella normativa scolastica italiana è adottato da tempo il concetto di pedagogia interculturale,
elaborato negli anni 80, ossia nella fase in cui si stava affermando una realtà multiculturale. La
pedagogia interculturale nasce dalla sfida che i processi migratori hanno lanciato alla pedagogia
stessa, obbligandola ad affrontare una molteplicità di problemi di natura non solo educativa ma
anche culturale, sociale ed economica.

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La pedagogia interculturale presuppone il dialogo tra le diverse culture: è considerata la pedagogia
normale dei nostri tempi e non straordinaria, speciale. L’interculturalità è infatti l’elemento
costitutivo dell’identità all’interno di una società globale. La pedagogia ha costituito il fondamento
teorico del percorso di accoglienza delle varie forme di diversità intrapreso negli ultimi anni di fronte
alla diversificazione dell’utenza scoltastica.

Nella fase dell’inclusione la classe multiculturale rappresenta la “nuova normalità”, fatta di studenti
e studentesse con diverse origini e diverse storie. La diversità diventa parte della realtà scolastica
ordinaria. Una formazione che si apra a lingue e culture diverse è importante per il futuro di tutti i
giovani: nel mondo della complessità e globalizzazione l’apertura verso forme culturali diverse “non
sono gesti d’accoglienza ma importanti competenze per affrontare il mondo del lavoro”. Questa
nuova pedagogia interculturale è stata definita pedagogia dell’inclusione o pedagogia interculturale
di seconda generazione.

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