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MASTER DI I LIVELLO ECM04 IN

“IL BULLISMO E IL CYBERBULLISMO. ANALISI, INTERVENTI E METODOLOGIE DIDATTICO-


EDUCATIVE”

INSEGNAMENTO II

A cura della Prof.ssa Nunzia Lauritano


Il Processo di socializzazione

La socializzazione è il processo attraverso il quale il bambino inerme diviene


gradualmente una persona consapevole di se stessa, preparata, in grado di utilizzare
efficacemente le capacità specifiche della cultura in cui è nata. (Giddens A.,
Sociologia, il Mulino, Bologna 1991: p.68).

L'andamento della socializzazione attraversa varie fasi, dalla primissima infanzia,


dopo la nascita, evolve durante l'adolescenza attraversando varie fasi di
apprendimento che conducono la persona ad accettare modelli di comportamento
analoghi a quelli degli altri individui che formano il suo gruppo di appartenenza.
La definizione di socializzazione di Brim è quella classica: la socializzazione è quel
processo mediante il quale gli individui acquistano le conoscenze, le abilità, i
sentimenti e i comportamenti che li mettono in grado di partecipare, quali membri
più o meno efficienti, alla vita sociale. Il divenire sociale viene fatto coincidere con
l'adattamento dell'individuo alla società e con l'assunzione di ruoli sociali,
adattamento che si realizza mediante processi di apprendimento sociale. Gli
orientamenti teorici nell'analisi del processo di socializzazione sono la teoria
dell'apprendimento sociale, l'approccio psicobiologico e la teoria
dell'attaccamento.
Il modello della socializzazione di gruppo di Moreland e Levine descrive e spiega il
passaggio degli individui attraverso i gruppi, per chiarire i cambiamenti di natura
affettiva, cognitiva e comportamentale che i gruppi e gli individui producono l'uno
sull'altro dal momento in cui il gruppo si costituisce sino al momento in cui si
scioglie, in quanto nei processi di socializzazione sia i gruppi, sia gli individui che li
compongono esercitano e subiscono influenza reciproca. Questo modello si applica
principalmente a piccoli gruppi, autonomi, volontari, dove i membri interagiscono in
modo regolare, hanno legami affettivi gli uni con gli altri e sono interdipendenti dal
pdv comportamentale (gruppi di lavoro, squadre sportive, ecc.). La loro teoria
considera sia l'individuo sia il gruppo come agenti attivi di influenza reciproca, e
presuppone che la loro relazione cambi in modo sistematico nel corso del tempo, e
si basa su tre processi psicologici, ognuno dei quali può essere considerato dalla
prospettiva sia del gruppo sia dell'individuo.
Lo sviluppo umano è un processo che dura tutta la vita e implica una serie di
adattamenti che si realizzano attraverso l'interazione continua tra organismo e
ambiente. La psicologia dello sviluppo si occupa delle modificazioni che subisce la
persona nelle diverse età della vita, con particolare riferimento allo sviluppo
cognitivo, affettivo e sociale. Esistono tre approcci che si interessano alle molteplici
trasformazioni psichiche cui va incontro l'individuo nel tempo. Esse sono: la
psicologia dell'età evolutiva; la psicologia del ciclo di vita; la psicologia dell'arco di
vita.
Tre sono le teorie che generalmente troviamo all'interno della psicologia dell'età
evolutiva :
✓ la teoria comportamentista, o ambientalista, chiamata anche teoria
dell'apprendimento o teoria del rispecchiamento meccanico, che comprende
sia le impostazioni comportamentiste sia le impostazioni di riflessologi russi;
✓ la teoria genetica, o organistica, che comprende il pensiero di Piaget, della
scuola di Ginevra e di Werner;
✓ la teoria psicoanalitica, che comprende, oltre al pensiero di Freud, anche
quello di Jung, Adler, Klein e Erickson. Principalmente queste teorie si
differenziano tra di loro soprattutto per le ipotesi di base sulla natura del
bambino e sui fini dello sviluppo, i tipi di cambiamento dello sviluppo, i fattori e
le modalità dello sviluppa la presenza di stadi e le caratteristiche della

maturazione.
La teoria comportamentista

Secondo la teoria comportamentista lo sviluppo è un processo continuo di


apprendimento; la crescita e il cambiamento sono visti quindi da un punto di vista
quantitativo: in questa prospettiva l'individuo è passivo e diventa ciò che
l'ambiente lo fa diventare.
Il bambino nasce privo di contenuto psicologico e crescendo riflette in sé le
conoscenze esterne, conformandosi gradatamente all'ambiente.
Questa teoria si occupa principalmente del comportamento manifesto e ritiene che
le sue modificazioni dipendano fondamentalmente da due meccanismi: il
condizionamento e l'imitazione dei modelli.
La teoria genetica

Per il comportamentismo il corso dello sviluppo è dunque continuo, le modificazioni


e i progressi sono graduali e seguono un andamento regolare. La teoria genetica
ritiene invece che la crescita e lo sviluppo siano discontinui e che il cambiamento
sia soprattutto qualitativo. L'individuo è concepito come attivo e si sviluppa per
mezzo delle sue azioni e dell'esperienza: secondo Piaget e Werner i bambini cercano
di comprendere il mondo interagendo attivamente con gli oggetti e le persone e
tendono, da una parte, a conservare la propria integrità (sia biologica, sia
psicologica), dall'altra a svilupparsi verso uno stadio più maturo, realizzando le
proprie potenzialità.
La teoria genetica si interessa soprattutto allo sviluppo del pensiero, del
ragionamento e della capacità di risolvere i problemi.
Piaget, studioso di zoologia e laureato in scienze, condusse le prime ricerche nel
campo della psicologia collaborando con Binet alla costruzione dei test di
intelligenza e giunse a proporre una nuova disciplina, denominata epistemologia
genetica, per la quale fondò a Ginevra nel 1953 un apposito centro studi. Per Piaget
la conoscenza fondamentalmente non è ritrascrizione, ma ricostruzione della realtà
attraverso un processo di apprendimento, al fine di permettere all'individuo di
adattarsi all'ambiente, ossia di equilibrare esigenze e attese del soggetto conoscente
e caratteristiche e richieste dell'oggetto conosciuto.
Tale adattamento si realizza attraverso l'accomodamento delle strutture mentali,
cioè attraverso la loro trasformazione per meglio aderire alla realtà, e
l'assimilazione di quest'ultima agli schemi mentali posseduti, in una dinamica di
continuo superamento degli schemi mentali disponibili al fine di comprendere più
adeguatamente gli aspetti della realtà che via via emergono con l'esperienza.
In sostanza potremmo dire che il meccanismo che regola l'evoluzione del mondo
biologico viene esteso da Piaget anche al mondo mentale: in entrambi i casi ci
sarebbe un'interazione tra qualcosa che è dato in partenza, il genotipo per la
biologia e la struttura mentale nell'altro caso, e qualcosa che viene incontrato,
l'ambiente.
Piaget riteneva che lo sviluppo intellettuale di tutti i bambini sia caratterizzato da
quattro stadi evolutivi: sensomotorio (si estende dalla nascita ai due anni, ed è
caratterizzato dall'impiego delle esperienze sensoriali e motorie come tramite per
l'esplorazione e la comprensione del mondo circostante), preoperativo (dai 2 ai 6
anni di età il bambino utilizza, per conoscere il mondo, anche il pensiero simbolico,
che trova espressione nel linguaggio, ma tale pensiero è ancora essenzialmente
egocentrico, in quanto il bambino considera tutto da un unico punto di vista, il suo),
operativo concreto (comprende il periodo che va dai 7 agli 11 anni e porta con sé la
possibilità di comprendere e utilizzare il pensiero logico) e operativo formale (inizia
a partire dai 12 anni ed è caratterizzato dalla capacità di utilizzare una modalità di
pensiero astratto e ipotetico). Nessuno di questi stadi può essere saltato in quanto
ogni nuovo stadio si basa su ciò che il bambino ha fatto in quello precedente.
Il meccanismo venne applicato da Piaget anche all'evoluzione della cultura, dato che
la storia del pensiero umano sembra aver percorso tappe simili a quelle della crescita
intellettiva del bambino.
• La teoria psicoanalitica
La teoria psicoanalitica si interessa principalmente della sfera affettiva e solo in
seconda istanza di quella intellettuale e razionale. Per la psicoanalisi i bambini nella
prima e nella seconda infanzia vengono determinati nel loro sviluppo da forze
biologiche istintuali e da forze sociali; i cambiamenti sono sia quantitativi che
qualitativi.
Anche per Freud esistono della fasi che segnano lo sviluppo del bambino: fase orale
(riguarda il primo anno di vita del bambino, il maggior piacere proviene dalla
mucosa orale e dall'alimentazione), fase anale (viene attraversata nel secondo-terzo
anno di vita, il piacere è concentrato sulla mucosa anale e sul trattenere o espellere
le feci), fase fallica (si presenta tra il terzo e il quinto anno di vita,
contemporaneamente alla nascita del complesso di Edipo quando il piacere è
concentrato sull'organo genitale e sull'onanismo) e fase genitale(fase che si
completa nella pubertà e in cui si accede ai rapporti con l'altro sesso). Ogni fase è
quindi contraddistinta da investimenti emotivi in una particolare zona del corpo, che
in quel momento costituisce la fonte principale del piacere. Le fasi libidiche anteriori
a quella genitale non sono eliminate nella persona adulta, ma di norma si
organizzano sotto il primato della genialità.
Esse contribuiscono alla formazione del carattere - si parla infatti di caratteri orali,
anali, fallici - in funzione della prevalente risonanza dei tratti tipici della rispettiva
fase.
L'uomo è visto quindi essenzialmente come un essere affettivo e irrazionale, che
cresce cercando di controllare il conflitto tra le sue forze istintuali e la realtà.
Il fine dello sviluppo è dunque il raggiungimento della maturità emotiva.
• Le correnti di pensiero più recenti
Gli studi di Piaget sullo sviluppo del bambino sono considerati senz'altro una pietra
miliare nella storia della psicologia dello sviluppo.
Ricerche successive, condotte da M. Siegal, hanno però dimostrato come utilizzando
metodologie di ricerca più sensibili al mondo dei bambini e più attente a rispettare il
loro modo di ragionare, i bambini stessi dimostrassero di non essere soggetti a
molti dei vincoli ipotizzati da Piaget, ma di possedere al contrario una competenza
concettuale implicita.
In particolare Siegal sottolinea l'importanza di fattori estrinseci (l'interesse delle
domande, il rapporto instaurato con lo sperimentatore, la particolarità relazionale
dei setting di ricerca), esperienziali (la novità delle prove impiegate, la posizione di
autorità forte assunta dall'adulto che conduce le prove), linguistici (impiego di
parole non familiari, o utilizzate in contesti particolari) e conversazionali (violazione
delle massime di Grice).
J.S. Bruner, partendo dall'ipotesi che sia la cultura a formare la nostra
impostazione mentale, fornendoci gli strumenti necessari a organizzare e
comprendere il mondo, e che quindi la mente stessa non potrebbe esistere senza
una cultura di riferimento, ritiene che l'apprendimento dei bambini vada concepito
come culturalmente contestualizzato.
I bambini si muoverebbero dunque all'interno di format (intesi come insieme di
procedure comunicative che permettono al bambino e ai suoi partner scambi
finalizzati e intenzionali) che andrebbero a formare contesti interattivi tali da
permettere l'apprendimento. Studiando la comunicazione infantile Bruner arriva a
definire i bambini come esseri socialmente competenti, in grado di stabilire
precocemente relazioni, negoziazioni e elaborazioni cognitive.
Queste ultime sono facilitate dall'impiego di frame (struttura che ordina, dà
significato e permette la memorizzazione di un'esperienza) che aiutano il bambino a
elaborare in modo significativo e comunicabile il suo rapporto con la realtà, e ad
assimilare convenzioni. L'istruzione e l'educazione non dovranno quindi essere
indirizzati a far acquisire competenze o conoscenze, ma a produrre una reale
comprensione del mondo.
Per Olson invece è il linguaggio la chiave di accesso dei bambini al mondo che li
circonda, e dare un senso all'interazione con gli altri. Le capacità socio-linguistiche
dei bambini vengono sviluppate soprattutto dall'alfabetizzazione, vista come
possibilità per riflettere sul linguaggio stesso. Siccome Olson vede un forte
collegamento tra il pensiero e la parola, egli postula che questa riflessione sul
linguaggio sfoci spontaneamente nell'acquisizione di nuove abilità riflessive che
investiranno sia il linguaggio che il pensiero.
La scrittura, in particolare, favorirà la nascita del pensiero critico, stimolando il
confronto tra quanto viene detto, quanto viene inteso, e quanto viene capito, e
portando poi a un confronto tra conoscenze e credenze.
La Socializzazione nella Prima Infanzia

Agli inizi degli anni '60 molti ricercatori si sono occupati di bambini ed hanno
cominciato ad approfondire i meccanismi di socializzazione fin dai primi anni di vita.
Le prime teorie definivano il processo di socializzazione come quel processo
attraverso cui il bambino inerme diviene gradualmente una persona consapevole di
sé stessa, questa tesi sosteneva la necessità di adeguamento del bambino alle
regole della società a cui appartiene, e quindi il suo sviluppo sociale veniva inteso
principalmente come acquisizione dei prerequisiti sociali per arrivare solo in seguito
all'interazione con gli altri. (R. Aloisio ).
Tesi che fu offuscata dalla teoria costruttivista di Piaget e dal prevalere del
paradigma cognitivista. Secondo questo approccio l'interazione del bambino con gli
altri e con l'ambiente che lo circonda è di fondamentale importanza per il suo
sviluppo sociale e cognitivo.
Il contesto familiare, il gruppo dei pari, la scuola e i mezzi di comunicazione di massa
diventano agenti di socializzazione cruciali che accompagneranno il percorso
evolutivo del bambino per tutta la vita. La socializzazione è un processo lento e
inarrestabile che porta ciascun individuo a far parte di una determinata società
perché da essa ed in essa apprenderà e userà le norme, i comportamenti, i ruoli e le
istituzioni di cui la stessa società si compone.
La dott. ssa Raffaella Aloisio, nel suo articolo "La Socializzazione nella prima
infanzia" afferma che la socializzazione è un processo che dura tutta la vita, ma
può essere suddivisa in due fasi principali; la socializzazione primaria e secondaria.
Nella prima il bambino verifica una progressiva generalizzazione dei ruoli e degli
atteggiamenti degli altri in particolare i membri della famiglia (padre, madre,
fratelli, nonni ). In questa fase il bambino comincia ad apprendere l'insieme delle
norme e delle regole che governano la vita sociale.
Questo apprendere dagli altri attraverso l'interazione con essi è stato definito da
Mead "il modello dell'altro generalizzato", momento cruciale in quanto permette al
bambino di identificarsi con una generalità di altri e quindi permette di iniziare a
comprendere la società.
Nella socializzazione primaria il bambino è naturalmente dipendente dagli altri, nel
senso che non ha la capacità di scegliere le persone per lui importanti. È stato
studiato, infatti, che i bambini di tutte le culture cominciano il proprio sviluppo in
situazioni di dipendenza totale dagli adulti, per poi conquistare la relativa
autonomia.
È in questa fase che il bambino svolge funzioni elementari di apprendimento
chiamate "turn taking", ovvero schemi di azioni e di interazioni complementari,
come ad esempio il dare, il prendere, fare domande, rispondere, ecc.
La socializzazione primaria si distingue da questo carattere di assoluta dipendenza
del bambino rispetto al nucleo familiare di appartenenza, la famiglia è quindi per lui
la società, il suo ambiente, anche perché l'unico che conosce realmente: quando il
bambino però comincia per esempio ad andare all'asilo e a scuola, vediamo che
anche i coetanei assumono progressivamente un ruolo molto importante ai fini del
suo processo evolutivo, tanto importante quanto quello svolto fino a quel momento
dalla sua famiglia. I bambini, in sostanza, cercano con tenacia di costruirsi modalità
di controllo e di governo della propria vita quotidiana, attraverso la creazione di una
rete di rapporti con compagni-amici che permetta loro di partecipare alla vita
sociale.
È in questa fase che il bambino comincia a mettere in discussione il ruolo degli adulti
e a fare le prime interferenze fra il suo ambiente di crescita e quello degli altri. È
anche in questa fase che si scatenano le prime tensioni emotive come ad esempio,
paura, confusione, curiosità, momenti che vengono stimolati e compresi soprattutto
nelle fase del gioco. All'interno della famiglia il processo di socializzazione
inizialmente è un processo che trasforma le esigenze fisiche (quali essere accudito e
curato- attaccamento materno- Bowlby) in esigenze interiori per cui se si fanno
determinate cose si ottengono compensi e approvazioni affettive o soddisfazione
dei propri bisogni. Il bambino , imparerà con il tempo a riflettere e a valutare ciò che
accade intorno a lui sia per le sue richieste che quelle della famiglia.
Questo primo apprendimento avverrà quindi, per prove ed errori "trial and error"
oppure per training diretto dai genitori stessi che da quando nasce il bambino
cercano di trasmettergli le regole della casa, le abitudini, le usanze... È in questo
modo che i gesti assumono un significato comune per il bambino e per la sua
famiglia, divenendo "gesti convenzionali". Tali gesti condivisi permettono al bambino
di comunicare con precisione i desideri e i bisogni, garantendogli quindi, la
sopravvivenza.
Se in famiglia si costruiscono i primi importanti legami affettivi e si interiorizzano le
norme e i valori più elementari, a scuola si costruiscono i primi comportamenti
sociali in un ambito più formale, in particolare si sperimentano ruoli più
"istituzionalizzati" e si acquistano competenze specifiche.
La scuola in genere, riveste nella società contemporanea una posizione centrale nel
sistema educativo e sociale. Oggi questo entrare anticipato con il nido e con la
materna porta a sperimentare sempre prima i comportamenti acquisiti in casa, in
famiglia dai fratelli o sorelle e con gli stessi genitori o nonni. Inoltre, bisogna anche
considerare l'effetto socializzante dei Mass-media che è sicuramente più informale e
non manifesto ma, che consente di diffondere atteggiamenti, opinioni, valori, stili di
vita che vengono fatti propri dai fruitori e quindi già da bambini (pensiamo alle
pubblicità a loro rivolte, oggi anche a due anni un bimbo riesce a scegliere accessori
rivolti alla sua fascia d'età). Mentre la partecipazione sociale e l'amicizia sono
elementi centrali della cultura dei coetanei, una crescente differenziazione sociale e
la presenza di conflitti nelle relazioni sociali sono aspetti caratteristici nel corso
dell'infanzia fino all'adolescenza. Il primo segnale di differenziazione sociale è
l'intensificarsi delle differenze fra i sessi.
La socializzazione secondaria invece, comporta naturalmente un'identificazione
emotiva con gli adulti; meno intensa di quella primaria, ma comunque importante. Il
rapporto genitori-figli è infatti sempre indispensabile ed allo stesso tempo
estremamente funzionale ad una socializzazione completa e regolare. Fonte di crisi
durante la socializzazione secondaria è proprio la presa di coscienza da parte dei
ragazzi del fatto che la famiglia e i genitori in particolare non sono più l'unico mondo
esistente. In generale la socializzazione secondaria implica riti più o meno espliciti e
ufficiali d'iniziazione al mondo adulto, periodi di apprendistato, l'esperienza di
transizioni ecologiche, come ad esempio la scuola, e in seguito l'ingresso nel mondo
del lavoro e l'uscita dalla famiglia. Nel processo di socializzazione di una nuova
generazione, è difficile stabilire il grado per cui il patrimonio umano è intrinseco
nelle informazioni genetiche e il grado di informazioni trasmesse attraverso la
conoscenza.
Sono entrambi fattori esistenti, ma pare che le informazioni genetiche siano
soprattutto delle potenzialità che si possono sviluppare, non delle informazioni
precise e restrittive. Questo è anche ciò che ci differenzia di più dal resto della
specie animale, che invece presenta un alto grado (rispetto all'uomo) di informazioni
genetiche precise e un minore grado di facoltà di apprendimento.
Fasi della socializzazione primaria: alla nascita un bambino, è un essere dotato di
grande plasticità entro i limiti posti dalle caratteristiche biologiche della specie. Le
modalità e gli esiti della prima fase di socializzazione condizionano, ma non
determinano le modalità e gli esiti delle fasi successive. L'esperienza della prima
socializzazione, determinerà il rapporto che il bambino crescendo poi manifesterà
nei confronti del mondo.
Se la prima socializzazione risulta appagante, se l'attaccamento alla madre viene
ripagato con una buona interpretazione dei bisogni del bambino, egli svilupperà un
atteggiamento positivo nei confronti della vita. La stabilità affettiva, il frequente
contatto fisico, sono tutti fattori che creano nel bambino sicurezza e fiducia in se
stesso e nel mondo che lo circonda. Tuttavia, il bambino non è solamente un essere
che reagisce ai fattori esterni, ma è anche lui il protagonista insieme ai genitori del
rapporto che va formandosi. I genitori nell'educare il bambino dispongono di una
molteplicità di metodi di punizione/premio, la loro efficacia e la loro attuazione
determinerà una buona o cattiva interiorizzazione delle regole da parte del neonato.
Le prime interazioni sociali sono imperniate sulla necessità del neonato di una
regolazione biologica di processi quali l'alimentazione e il sonno.
Nelle fasi successive il tema principale riguarda la regolazione dell'attenzione
reciproca e della prontezza a rispondere all'altro, come principalmente si riscontra
nel contesto delle interazioni faccia a faccia. I neonati impongono a queste
interazioni dei cicli di attenzione biologicamente determinati mentre i genitori vi si
adattano, assicurando una sincronizzazione dei due insiemi di azioni. Con il
progressivo aumento delle capacità attentive, i bambini divengono sempre più in
grado di incorporare gli oggetti nelle interazioni sociali. Adesso adulto e bambino
condividono argomenti. Verso la fine del primo anno di vita si sviluppa nel bambino
un insieme di capacità, il comportamento diventa più finalizzato, flessibile e
coordinato. Questi sviluppi si riflettono nei cambiamenti che avvengono nei giochi
tra adulto e bambino, e in particolare nell'incremento della reciprocità e
dell'intenzionalità.
L'aumentata coordinazione è anche responsabile degli sviluppi nella capacità di
comunicazione. Il bambino inizia ad esprimersi a gesti e riesce a identificare punti di
riferimento sociale: per entrambe le cose è necessaria la coordinazione
dell'attenzione nei confronti del partner e nei confronti di un evento esterno.
Con l'emergere delle rappresentazioni simboliche, le interazioni sociali acquistano
una caratteristica sostanzialmente verbale. Le capacità linguistiche si sviluppano
principalmente durante gli incontri faccia a faccia, nei quali gli adulti possono
adattare il loro imput alle capacità del bambino. I legami di attaccamento che si
formano durante l'infanzia sono durevoli, emotivamente significativi e legati a
persone specifiche. Essi implicano la ricerca della vicinanza fisica del genitore e
permettono così di ottenere cure e protezione in un'età nella quale il bambino è
ancora indifeso e immaturo.
Secondo la teoria dell'attaccamento di Bowlby il bambino è predisposto
geneticamente a sviluppare legami di apprendimento con chi ha cura di lui e che sia
pertanto dotato di risposte comportamentali come piangere, aggrapparsi a una
persona o seguirla. Queste risposte si sviluppano inizialmente in modo
indiscriminato ma a tempo debito si indirizzano verso persone specifiche e vengono
organizzate all'interno di un sistema coerente di attaccamenti. Con lo sviluppo
deN'intenzionalità e della capacità di pianificazione compare una relazione gestita in
funzione dell'obiettivo: il bambino è inoltre in grado di sviluppare dei modelli
operativi interni che gli permettono di rappresentarsi mentalmente il legame di
attaccamento.
Gli attaccamenti mirati compaiono per la prima volta intorno ai 7-8 mesi di vita del
bimbo. La capacità di riconoscere persone familiari compare molto prima; tuttavia
soltanto verso la seconda metà del primo anno di vita il bambino acquisisce la
"costanza della persona" cioè la capacità di rimanere orientato verso determinate
persone anche in loro assenza. È un prerequisito fondamentale per la formazione di
un legame di attaccamento. Anche durante la prima infanzia possono svilupparsi
legami di attaccamento nei confronti di varie persone. La scelta dipende dalla
qualità dell'interazione con queste persone piuttosto che da caratteristiche quali il
sesso o la quantità di tempo trascorsa insieme. Con lo sviluppo dei modelli operativi
interni il bambino diventa capace di tollerare periodi di separazione
progressivamente più lunghi; diventa inoltre sempre più capace di tener conto delle
intenzioni degli altri e di formare perciò legami più equilibrati e flessibili.
I bambini elaborano concetti sociali, soprattutto di se stessi e delle persone con le
quali interagiscono, per dare un significato alle loro esperienze in situazioni
interpersonali. Il sé funge da base di riferimento nell'interazione con gli altri, è un
complesso sistemi di differenti costrutti: uno degli aspetti del sé è la consapevolezza
della propria esistenza. Questo aspetto compare a metà del secondo anno di vita,
infatti nel linguaggio dei bambini compaiono termini relativi al sé, come segni di
autocoscienza. Alla domanda "chi sono io" le risposte variano nel corso dell'infanzia
da incoerente a coerente, da astratto a concreto, da assoluto a comparativo e dal sé
pubblico al sé privato. Un altro aspetto è l'autostima, cioè la percezione che i
bambini hanno del proprio valore. Questa è largamente influenzata dalle esperienze
sociali dei bambini: quindi non rimane statica nel corso degli anni ma varia secondo
il campo a cui si applica.
Il sé è circondato da intense emozioni come si può osservare nella capacità dei
bambini di provare orgoglio e vergogna, emozioni che si manifestano per la prima
volta alla fine dei due anni di vita quando i bambini sono in grado di auto valutarsi.
Bambini molto piccoli hanno già una certa capacità di capire che le altre persone
possiedono emozioni intime: manifestazioni di empatia con le ansie di altre persone.
I discorsi spontanei dei bambini sugli stati d'animo degli altri cominciano molto
presto, almeno dal terzo anno di vita. Le conversazioni con i genitori forniscono un
contesto per discutere di questi stati e danno ai bambini la possibilità di
approfondire le ragioni del comportamento degli altri. Rispetto allo sviluppo del
ruolo sessuale, i bambini molto piccoli cominciano attivamente a cercare le norme
che regolano il modo in cui maschi e femmine devono comportarsi.
Lo sviluppo delle differenze psicologiche legate al sesso è stato analizzato
soprattutto in tre aree: la preferenza nella scelta dei giocattoli e delle attività di
gioco, le caratteristiche della personalità e la scelta dei compagni di gioco. In tutti e
tre i settori sono state riscontrate delle diversificazioni relative al sesso daN'inizio
dell'età prescolare in poi, sebbene ciò si verifichi più nei maschi che nelle femmine.
La nozione del ruolo sessuale, cioè come si dovrebbero comportare gli appartenenti
ai due sessi, si manifesta intorno ai due anni circa. A metà dell'infanzia la stereotipia
sessuale, soprattutto nei maschi è completamente stabilita.
Dalla nascita i genitori si comportano con i maschi in modo diverso rispetto a quanto
fanno con le femmine. Altre influenze sociali, come quelle esercitate dai coetanei e
dai media, possono avere un ruolo importante. È improbabile, tuttavia, che lo
sviluppo del comportamento sessualmente caratterizzato possa essere spiegato
totalmente in termini ambientali. Sviluppo della socializzazione: Un mese: anche i
neonati sono creature sociali. Amano essere toccati, tenuti in braccio, coccolati. Già
al primo mese, comincerà a provare a farti delle facce strane. Si divertirà a guardare
la tua faccia e magari ad imitare i tuoi gesti.
Tre mesi: farà il suo primo vero sorriso, un evento sociale memorabile per tutti i
genitori. Presto "parlerà con i suoi sorrisi" iniziando un'interazione con la mamma.
Quattro mesi: sta diventando più aperto alle persone nuove, salutandole con
gridolini. Ma a questa età nessuno si avvicina a mamma o papà. Il figlio riserverà la
sua reazione più entusiasta per loro. Segno del legame di attaccamento.
Sette mesi: il bimbo diventa più mobile, comincia ad interessarsi agli altri bambini.
Ma la cosa si limita probabilmente a qualche occhiata o manata. Ogni tanto
sorrideranno e si imiteranno a vicenda, ma principalmente saranno preoccupati del
compito che hanno davanti. Quando due bambini che hanno meno di un anno sono
messi insieme con dei giocattoli, di solito giocano fianco a fianco ma non uno con
l'altro. Per la maggior parte del tempo, il bambino sarà occupato a sviluppare altre
abilità per farsi coinvolgere davvero da un compagni di giochi. I bambini di questa
età continuano a preferire i loro genitori. Potrebbero addirittura essere spaventati
da volti non familiari. L'ansia verso gli estranei è molto comune. 12 mesi: verso la
fine di questo anno, potrebbe sembrare un po' asociale, piangendo quando non gli
stai vicino o agitandosi quando lo metti in braccio a qualcun altro.
Molti bambini vivono l'ansia da separazione, con un picco intorno ai 10 e i 18 mesi.
Preferirà la mamma escludendo gli altri e potrebbe essere turbato quando non c'è.
Solo la presenza della mamma lo calmerà.
Dai 13 ai 23 mesi: i bambini di questa età sono un'altra storia. Sono più interessati al
mondo, ma principalmente in come le cose del mondo hanno a che fare con loro.
Imparando a parlare e comunicare con le altre persone, imparerà anche a farsi degli
amici. Gradirà la compagnia di altri bambini, sia coetanei che più grandi. Fra uno o
due anni, tuttavia, sarà molto geloso dei suoi giocattoli, cosa difficile da accettare
per dei genitori che pensano che dovrebbe imparare a condividere. Si noterà che
forse imita gli amici e passa molto tempo a guardare quello che fanno. Vorrà inoltre
affermare la propria indipendenza, rifiutandosi di darvi la mano quando camminate
per la strada, per esempio, o facendo i capricci quando gli si dice di non fare
qualcosa che vuole fare.
Dai 24 ai 36 mesi: i bambini tendono a diventare ancora più egocentrici . Non sono
ancora capaci di mettersi nei panni degli altri o capire che anche gli altri hanno dei
sentimenti. Ma crescendo, imparano a condividere e a fare a turno, e potrebbero
anche finire per avere uno o due amici speciali. Si pensa di averlo viziato per il loro
egoismo. Non bisogna preoccuparsi, i bambini di quest'età sono egocentrici per
natura. Ma è importante che i genitori gli mostrino come si deve comportare; se per
noi è importante dire "per favore" " grazie", fare i complimenti a qualcuno per un
lavoro ben fatto e condividere le cose, nostro figlio imparerà dal nostro esempio.
Iscriverlo ad un asilo o ad uno sport, in modo che possa stare con i bambini, può
migliorare la vita sociale attiva. Man mano che l'individuo cresce, i suoi rapporti
sociali si estendono dalla madre, alla famiglia, a gradi sempre più elevati e
diversificati.
Allo stesso modo l'individuo dovrà cambiare pur mantenendo stabile la propria
identità. In questo processo si possono distinguere due componenti che corrono
parallelamente: l'identificazione, il riconoscersi simili ad un determinato gruppo, e
l'individuazione, lo scoprire la propria specificità personale. Tra i 3 e i 6 anni i
bambini hanno bisogno di avere ampie opportunità di contatti sociali, in particolare
con i coetanei. La socializzazione con i coetanei prevede un piano di maggiore parità
e consente di sperimentare anche altre abilità: gli amici devono essere conquistati,
con loro si litiga ma si impara anche a fare la pace, bisogna di impegnarsi per
mantenere le amicizie, si sviluppano gelosie e rivalità ma anche solidarietà e
tolleranza reciproca. La comparsa dell'interazione linguistica fa emergere una nuova
abilità relazionale sociale che consente la formazione di competenze affettive in
merito allo sviluppo di sentimenti interindividuali
segnando l'inizio di un'organizzazione permanente della dimensione affettiva stessa.
La dimensione affettiva si articola e si definisce nelle sue valenze di rispetto, timore,
fiducia, simpatia, antipatia, ecc. Affettività e intelligenza procedono in modo
indissolubile, costituendo aspetti diversi ad ogni azione. Tutte le condotte umane
sono caratterizzate da entrambi gli elementi.

Piaget afferma che in ogni condotta le motivazioni dipendono daN'affettività mentre


le tecniche e l'utilizzo di strumenti impiegati dipendono dall'aspetto cognitivo
(sensomotorio o relazionale). L'attività ludico-ricreativa svolge un ruolo molto
importante nello sviluppo sociale del bambino. Attraverso il gioco il bambino
incomincia a comprendere il funzionamento degli oggetti: si parla di gioco
funzionale , non è proprio un'attività ludica ma di un esercizio, di un'attività
imitativa.
Poi si passa al gioco rappresentativo, in cui il gioco funzionale comincia ad avere
caratteri rappresentativi, cioè il bambino utilizza funzionalmente gli oggetti.
L'esperienza del gioco poi insegna al bambino ad essere perseverante e ad avere
fiducia nelle proprie capacità; è un processo attraverso il quale diventa consapevole
del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le
legittime esigenze di queste due realtà.
Il gioco diventa significativo per lo sviluppo intellettivo del bambino, in quanto
quando gioca, riesce a sorprendere se stesso e attraverso la sorpresa acquisisce
nuove modalità che gli consentono di relazionarsi con il mondo esterno. Diventa
strumento per il bambino poiché lo aiuta a sviluppare la creatività, lo aiuta a
sperimentare le capacità cognitive, ha modo di poter entrare in relazione con i suoi
pari, dà vita allo sviluppo della sua personalità. I giochi di socializzazione iniziano a 3
anni. Il bambino dimostra interessa di giocare con gli altri. Inizia a svilupparsi la
capacità immaginativa, si tende ad imitare il comportamento degli altri.
A 4-5 anni il gioco diventa espressione delle proprie dinamiche interne. I giochi
prediletti sono quelli della bambola, del dottore, nascondino. L'uso di questi giochi
servono a rappresentare delle punizioni o proibizioni che il bambino ha subito.
A 10 anni i giochi sono caratterizzati dalle regole che si svolgono in gruppo, questo fa
sì che il bambino impari a stare con gli altri. A livello sociale il gioco si manifesta
attraverso 3 stadi: gioco solitario, che è tipico nei bambini di pochi mesi di vita.
Manca l'interazione sociale. Gioco parallelo, compare tra il primo e il terzo anno di
vita. In questa fase si assiste ad un momento di aiuto reciproco anche se si tratta di
gioco individuale. Gioco sociale, tipico dei bambini di età compresa tra i 4 e i 5 anni
di vita. Corrisponde all'inizio del periodo scolastico, c'è una maggiore interazione
sociale.
L'attività ludica è considerata importante dal punto di vista di socializzazione, non
solo da un punto di vista socio-emotivo, ma come strumento che consente al
bambino di conoscere, di controllare e gestire le frustrazioni che vengono sollecitate
dalla vita sociale, dai rapporti con gli altri e quindi comprendere i propri bisogni
soggettivi e mediarli con quelli degli altri. L'attività ludica acquista una grande
importanza per comprendere lo sviluppo evolutivo.
La valutazione del gioco è importante perché avviene attraverso delle sequenze
sistematiche quindi ordinate. Queste fasi corrispondono ad altrettante fasi di ordine
cognitivo, per cui valutare lo sviluppo dell'attività ludica del bambino consente di
valutare il funzionamento cognitivo. Il gioco quindi consente al bambino di
comprendere la realtà a lui esterna (mondo dal quale è ancora è
escluso) e gli consente un buon adattamento e consente al bambino di conoscere,
interpretare e di controllare il proprio mondo interno fatto di desideri, pulsioni,
istinti e quindi creare una mediazione tra le due realtà.
Il processo di socializzazione assume caratteri diversi anche in base alle classi sociali.
Per esempio, la classe media ha una tendenza a incoraggiare le nuove generazioni
all'autonomia, aN'autocontrollo, alla fiducia in se stessi; al contrario la classe operaia
(storicamente) incoraggia tendenzialmente più alla conformità, all'obbedienza,
all'ordine.
Oggi però, questi fattori risultano meno incisivi in una società
moderna.
Riessman ha individuato il prevalere della personalità eterodiretta (dipendente dal
giudizio e dai messaggi dei media) nella società moderna rispetto a una personalità
autodiretta ( dipendente da criteri e valori interiorizzati) della società premoderna.
Schonwetter spiegò come i genitori siano dotati di una razionalità inconsapevole nei
confronti del rapporto con i propri figli per cui più ci si trova in una classe media
bassa, tanto più il genitore tenderà a impostare in maniera totalitarista il rapporto
con i figli, quasi preparandoli alle difficoltà sociali che quella classe comporta.
1.2 II processo di socializzazione nella scuola primaria
Il gruppo della scuola primaria ha un ruolo fondamentale nello sviluppo sociale,
importanza a volte non pienamente riconosciuta non solo dai genitori ma anche da
insegnanti e studiosi. La scuola è conosciuta come il luogo dove si apprende: ma
esso è anche e soprattutto il luogo dove si socializza. Per molte ore al giorno, per
ben cinque anni il fanciullo fa parte di un gruppo stabile e organizzato, un gruppo dal
quale non può ritirarsi: nessuna altra esperienza sociale ha caratteri così ampi e
quindi una influenza così grande sul processo di socializzazione.
In questo lavoro noi ne prenderemo alcuni degli aspetti più salienti

Dopo una prima chiarificazione sul concetto di socialità e di gruppo con particolare
riguardo ai gruppi primari esamineremo le prime manifestazioni sociali nell'età
prescolastica per soffermarci quindi sulla funzione della scuola in ordine alla
socializzazione.
Entrando quindi nel vivo del nostro assunto vedremo le implicanze del primo giorno
di scuola passando quindi ad esaminare i caratteri del gruppo scolastico e la sua
evoluzione delineando quindi alcuni profili di comportamento tipici. Passeremo
quindi all'esame dei rapporti con il maestro e del modo in cui questi puo'
organizzare il governo della classe delineando inoltre schematicamente
l'atteggiamento degli alunni anno per anno.

Passando quindi agli aspetti non direttamente legati alla vita della classe
esamineremo quindi i caratteri del gioco sociale e del capriccio e della monelleria.
LA SOCIALITÀ'

L'uomo è " animale sociale" secondo la celebre definizione aristotelica. Non ci sono
dubbi: ma quale è la origine della socialità ? È un istinto primario oppure è il
risultato di altre esigenze? Vi sono tante tesi e tante sintesi di tesi contrapposte.
Facciamo qualche riferimento fondamentale sulle posizioni più note.

Alcuni ritengono che si tratti di un istinto a se stante. Darwin affrontò il problema


partendo dalla osservazione del branco di animali. Nella lotta eterna e spietata per
la vita, l'animale sente il bisogno di stare vicino, accanto ai propri simili per poter
ottenere aiuto e difesa. Da ciò nasce che ciascun animale un "sentimento" che
Darwin definisce "simpatia" per gli altri animali della sua specie.
Molto vicina a Darwin è la posizione di Mc Dougall. Questi però nega l'idea troppo
antropomorfica del "sentimento della simpatia". L'animale gode di stare vicino ai
suoi simili per un suo bisogno istintivo senza che provi per essi alcun sentimento. Ad
esso si accompagna la paura, il terrore di restare isolato.

Un altro vasto gruppo di studiosi considera invece la tendenza alla socializzazione


non come un istinto a se stante ma come un mezzo per soddisfare altre esigenze.
Non si nasce, quindi, con il desiderio di socializzare ma si impara ad essere sociale:
presto il bambino scopre i vantaggi di stare insieme agli altri e desidera associarsi ad
altri per soddisfare bisogni essenzialmente egoistici. È chiaro che senza l'aiuto dei
nostri simili potremmo fare ben poco, forse nemmeno sopravvivere.
Si può obbiettare che spesso nel gruppo ci si rimette: anzi si ritiene che per la
appartenenza al gruppo bisogna anche essere pronti a sacrificarsi, a porre interessi
di tutti al di sopra di interessi di singoli. Se alcune persone si uniscono con l'intento
che ciascuno debba perseguire esclusivamente i propri interessi è chiaro che non si
può parlare di gruppo sociale e di sentimenti sociali. A questa obiezione si può
rispondere che in tali casi i benefici che il singolo persegue sono la considerazione e
la stima degli altri componenti: il vantaggio non è allora evidente e materiale ma
non per questo meno importante e reale.

Nella concezione psicoanalitica l'origine dei sentimenti sociali è da ricercarsi nel


sentimento di gelosia che ha per oggetto la madre e che oppone i fratelli fra di loro.
Quando ciascuno si accorge di non poter prevalere su tutti gli altri si batte perchè
almeno ci sia uguaglianza di tutti e dominio di uno solo.
Dice Freud: "Tutte le manifestazioni di cui si constata poi la efficacia nella vita sociale
come per esempio lo spirito comune lo spirito di corpo, scaturiscono
incontestabilmente dalla gelosia. Nessuno si deve distinguere dagli altri: tutti
debbono fare ed avere la stessa cosa. La giustizia sociale significa che si rinunzia a
parecchio affinché anche gli altri vi rinuncino. È questa rivendicazione di uguaglianza
che forma la radice della coscienza sociale e del sentimento di dovere."

La posizione di Dollard è a mezzo fra gli ambientalisti e la psicanalisi: il fanciullo è


limitato dai divieti che gli sono estranei e che subisce quasi come imposizioni. Nè
vale che vi si ribelli: ribellandosi si attira la punizione che peggiora ulteriormente la
sua posizione. Il campo della vita sociale gli appare allora il mondo nel quale egli
possa esprimere la sua personalità e i suoi impulsi: la vita sociale sarebbe una
sublimazione del suo spirito aggressivo.
Non è qui il luogo per esaminare una problematica così complessa: per il nostro
assunto ci limitiamo a considerare la socialità come il campo proprio dell'uomo.
A nostro parere non occorre postulare un istinto particolare nè ricorrere all'interesse
e neppure cercare complicate spiegazioni psicanalitiche: semplicemente noi siamo
sociali perchè la società è la condizione per la esplicazione della nostra personalità. Il
bimbo nei primi mesi gode nel provocare nell'ambiente che lo circonda tante
reazioni. Con il sorriso, con il pianto muove tutto un mondo sociale ed è contento di
ciò anche se nessun interesse o bisogno venga soddisfatto .
Possiamo dire che la società sta all'uomo come la savana al leone e il fiume al
coccodrillo.
IL GRUPPO SOCIALE

Occorre ora definire più chiaramente ciò che intendiamo per gruppo sociale:
propriamente il gruppo è l'insieme delle persone che riconoscono si essere uniti da
un legame: non basta che tale legame esista oggettivamente, è necessario che i
membri ne siano coscienti.

Sorge la questione dibattuta se il gruppo possa essere soggetto o se solo l'individuo


possa esserlo: in altri termini il gruppo può considerarsi come qualcosa di diverso
dai singoli individui che lo compongono o è solo la somma delle individualità?
Ambedue le tesi hanno illustri sostenitori ma la via giusta è a
ricercarsi in una sintesi.
Fondamentale è la distinzione dei gruppi in primari e secondari, operata dal Olmsted
e generalmente accettata.

Il gruppo primario si ha quando gli aderenti si conoscono e sono in stretto rapporto


personale. Sarà pertanto piuttosto ristretto ma questo non può considerarsi un
carattere distintivo e necessario ma solo una caratteristica diffusa. Esempi di gruppi
primari sono un gruppo di amici o una scolaresca ben affiatata

Per gruppo secondario si intende il gruppo formato da individui che non hanno uno
sfondo emozionale comune ma sono legati da motivi più oggettivi. I membri hanno
rapporti fra loro rapporti formali, spesso freddi e cortesi, vige la gerarchia, i membri
sono molto numerosi. Nessuna di tali caratteristiche è necessaria o determinante: si
tratta solo di caratteristiche diffuse nella maggior parte dei casi.
Esempi tipici di gruppi secondari sono l'apparato burocratico dello Stato, il personale
di vaste società private,

La distinzione non è naturalmente assoluta: esistono casi nei quali il gruppo non può
definirsi nè primario nè secondario ma si è al limite dei due tipi e soprattutto è
spesso possibile che l'uno si trasformi nell'altro. Un piccolo reparto militare è al
limite fra i due gruppi in quanto a un rapporto gerarchico ufficiale-soldato si
sovrappone quello emozionale dato dalla comunità dei pericoli e delle attività di
guerra. Cosi in un ufficio a un iniziale rapporto del tipo di gruppo secondario si può
trasformare in uno di tipo primario quando gli impiegati si conoscono meglio e
diventano amici oltre che semplici colleghi. Si osserva il processo inverso in quelle
famiglie neile quali si perde l'unità affettiva iniziale fra i coniugi: la famiglia da
gruppo primario per eccellenza diventa purtroppo un gruppo secondario legato solo
da interessi ed esigenze pratiche.
GRUPPI PRIMARI

I gruppi primari svolgono un azione di primo piano nella formazione del fanciullo
mentre i gruppi secondari gli sono essenzialmente estranei: difficilmente il fanciullo
comprende di fare parte di un gruppo di cui non conosce i membri.

Caratteristica fondamentale del gruppo primario è quella di avere una propria


cultura, una scala di valori, un insieme di punti di vista con cui giudicare il mondo.
Cosi una comunità di religiosi giudicherà in un modo del tutto le medesime cose di
una banda di delinquenti. Possiamo dire che il condividere la cultura sia "conditio
sine qua non" dell'appartenenza al gruppo.
Il gruppo primario ha funzioni di primo piano nella educazione: forma e sostiene il
singolo che senza di esso si sentirebbe sbandato. Ma il gruppo non impedisce al
singolo di esprimere la propria personalità e anzi ciascuno puo' esprimere nel
gruppo pienamente la propria personalità. Nel gruppo ci si conosce meglio. L'
influenza del gruppo primario è molto forte: si è notato come in guerra il soldato è
spinto a comportarsi più dalla solidarietà con il suo piccolo gruppo che non dagli
ideali politici e patriottici.

In particolari i gruppi di fanciulli svolgono la funzione di affrancarsi dalla famiglia. Il


fanciullo singolo, infatti, ben difficilmente riesce a avere un comportamento
autonomo rispetto alla famiglia, il gruppo invece gli dà modo di formarsi una propria
personalità, svolgendo così una funzione importantissima nel quadro dello sviluppo
totale anche se a volta degenera e si puo' giungere perfino alla formazione di gruppi
delinquenziali minorili.
Ci occuperemo nei paragrafi che seguono di quel particolare gruppo primario che è
il gruppo scolastico, il gruppo cioè formato dagli alunni di una stessa classe che dura
di regola ben cinque anni ed ha quindi una stabilità ben più grande di qualunque
altro gruppo infantile e quindi assume una importanza enorme nella socializzazione
del bambino e quindi dell'uomo, importanza che ci sembra non sempre venga
adeguatamente compresa non solo dalla gente comune ma nemmeno dagli studiosi.
PRIME MANIFESTAZIONI SOCIALI

Il processo di socializzazione è l'evoluzione che comporta più ostacoli di ogni altra in


quanto entra in inevitabile conflitto con l'egocentrismo che costituisce un fattore
essenziale della psicologia infantile. La natura in alcuni casi ha predisposto risposte
più o meno precisamente preordinate agli stimoli esterni: così se il bambino è
naturalmente inclinato all'affetto per la madre nell'incontrare un suo simile rimane
disorientato. Ma nel rapporto con un coetaneo è spinto contemporaneamente da
due forze opposte: l'istinto gregario e l'egocentrismo. Vorrebbe da una parte
stringere un rapporto con l'altro ma il suo egocentrismo e anche la sua inesperienza
fanno fallire ogni tentativo.
Nell'ambito della famiglia, nei rapporti con i genitori e con gli adulti in genere si
sente il centro della casa, il re dell'universo, considera tutto e tutti in funzione di se
stesso, in fondo per lui anche i familiari e gli adulti sono degli oggetti. Mentre un
altro bimbo è tutt'altro che disposto a lasciarsi trattare come uno oggetto, è anche
lui animato dagli stessi impulsi.

Da qui quindi una serie di inevitabili scontri che man mano si attenueranno
evolvendo verso la socializzazione

Il Cousinet distingue quattro fasi attraverso cui egli si avvia a una maturazione
sociale: aggressione manuale, aggressione verbale, esibisionismo, dispettosità
sociale.
AGGRESSIONE MANUALE: vediamo un esempio concreto; un bambino sta giocando
con un secchiello di sabbia e una paletta. Ecco, accorre un altro bambino che
possiede gli stessi strumenti ma che ugualmente e illogicamente per noi cerca di
strapparglieli: forse per questo sarà sgridato e magari si dirà che ha cattive
inclinazioni. Ma vediamo meno superficialmente le motivazione psicologiche
dell'accaduto. In effetti questa è una prima manifestazione di socialità anche se
molto immatura: infatti il secondo bambino ha sentito il bisogno di un approccio ma
nella sua inesperienza non ha trovato di meglio che assalirlo per sottometterlo, per
introiettarlo quasi in se stesso: non erano gli strumenti che voleva, già li possedeva e
con molta probabilità metterà subito via anche quelli di cui si è impadronito.
Voleva invece impadronirsi del complesso bambino-gioco-strumenti visti
unitariamente, concepisce ancora l'unione con una persona come identificazione.
Tali informi tentativi saranno ben presto abbandonati perchè non tarderà ad
accorgesi della unitilità di azioni del genere.

AGGRESSIONE VERBALE: il bambino, ora favorito anche da una maggiore


acquisizione del linguaggio non assale più materialmente ma a parole. Si vanta, si
vanta moltissimo di sè, della sua famiglia, e mostra disprezzo per tutto quello che
riguarda l'altro: In questo caso abbiamo due componenti. Da una parte la naturale
bramosia di affermarsi, di imporsi. e dall'altra il desiderio di socializzare. Visti vani i
suoi tentativi per fare dell'altro bimbo una parte di se stesso egli cerca di attirarlo
con la dimostrazione della sua potenza affinché l'altro si sottometta a lui. Ancora
concepisce il rapporto con l'altro come sottomissione anche se gli riconosce una
individualità.
ESIBIZIONISMO: Questa fase è molto simile alla precedente ma ora il bambino cerca
di apparire superiore non solo con le parole ma anche con le azioni. Notiamo che
mentre le due prime fasi sono proprie dei bambini molto piccoli questa fase puo'
non essere mai completamente superata.

A volte il bambino per apparire superiore cerca di essere il preferito dell'adulto. Alla
scuola materna la stima della maestra è molto ambita anche perchè è il miglior
titolo di esibizionismo. Purtroppo l'esibizionismo può assumere anche forme molto
meno piacevoli giungendo fino a esibizionismo sessuale. Se il bambino non
abbandona a tempo questa fase può essere seriamente pregiudicato il suo ulteriore
sviluppo sociale. Infatti per i più piccoli essere il preferito degli adulti può essere
titolo di merito ma per i più grandicelli, con il progredire del senso del gruppo
diventa un titolo di disistima molto forte.
Per il gruppo più maturo apparire il "cocco " o "la gallina bianca" della maestra è una
colpa gravissima e porta all'esclusione dal gruppo stesso. Infatti. come vedremo
anche meglio in seguito, una delle leggi fondamentali del gruppo e il non fare ricorso
all'aiuto esterno.
DISPETTOSITA'

È questa l'ultima fase immatura e permane talvolta anche nell'adulto non molto
socializzato. Con il dispetto il bambino vuole costringere il gruppo che lo rifiuta ad
occuparsi di lui. Il dispettoso sociale gioca quindi un ruolo ingrato di disturbatore
dell'attività sociale. Ma quanto più insiste tanto più il gruppo vede in lui un elemento
pertubatore e lo evita.
È curioso notare che anche l'adulto si comporta dispettosamente con il bambino per
attirare la sua attenzione.
Abbiamo così delineato quattro fasi che potremmo definire pre-sociali: si tratta
ovviamente di uno schematismo espositivo e la socializzazione è sempre qualcosa di
tanto più complesso e avviene sempre in modo originale.

FUNZIONE DELLA SCUOLA

La scuola è il luogo dove avviene più pienamente il processo di socializzazione. Nella


famiglia il fanciullo ha rapporti sociali molto più intensi con i familiari (padre, madre,
fratelli) ma in ciò egli è guidato dall'affetto naturale, dalla lunga pratica della sua
stessa famiglia che egli conosce meglio di ogni altra cosa. Il gioco collettivo
presuppone un notevole adattamento sociale ma è da notare che gli altri giocatori
per il fanciullo sono visti più come pedine di un gioco che non nelle loro
individualità.
Inoltre il gruppo è quanto mai vario e cangiante, si scioglie e si ricompone
diversamente a ogni piè sospinto, il singolo non ha nessuno obbligo di restarci se
non lo vuole più. Diversamente si presenta la socializzazione a scuola dove vengono
riuniti in un gruppo abbastanza grande fanciulli diversi per condizioni ambientali e
sociali e comunque sempre dalla caratteristiche psicologiche più varie. Il gruppo
scolastico è stabile: ciascun componente non si può allontanare quando vuole.
Accade quindi che, qualche volta solo per un anno, ma generalmente per ben cinque
anni il fanciullo rimane nello stesso gruppo. Inoltre essi si trovano a dover affrontare
insieme qualcosa di serio come lo studio. Per tali ragioni la scuola nella
socializzazione viene ad avere una funzione assolutamente predominante.
PRIMO GIORNO DI SCUOLA

Il primo giorno di scuola è per il bambino un avvenimento importante per lo


sviluppo della sua vita sociale.

I primi contatti con la scuola generano una crisi ma è essa molto ridotta se il
bambino ha già frequentato la scuola materna. Comunque va notato che nella
scuola dell'infanzia la problematica è molto diversa. Il bambino si preoccupa molto
meno dei suoi compagni e comunque la maestra fa di tutto per ottenere un
ambiente il più simile a quello familiare. Molto diversamente si presenta la scuola
elementare che appartiene a un mondo tutto diverso.
Osserviamo dunque un fanciullo che va per la prima volta alla scuola elementare. Si
trova in un particolare stato emotivo, è eccitato dall'idea di diventare scolaro "della
scuola dei grandi". Sente il desiderio di fare cose che fino ad ora non ha potuto fare,
di prendersi la rivincita verso gli altri bambini più grandi che lo hanno trattato con
sufficienza. Pensa che all'uscita, a casa avrà tante cose da raccontare e i fratellini e i
compagni più piccoli terranno in grande considerazione il "ragazzo grande" che va
alla scuola elementare. Ma a questo si contrappone una paura serpeggiante e
talvolta dominante al pensiero di trovarsi solo fra tanti ragazzi che non conosce, con
una maestra che non conosce, in un' aula che non conosce. Tutto ciò gli è nuovo ed
ha paura. Talvolta la paura ingigantisce per varie ragioni: i compagni lo deridono per
un difetto fisico, è frequente il caso di bambino di famiglia borghese che si trova fra
ragazzi cresciuti per strada e quindi ben più svelti e sicuri di lui.
La maestra a volte è stata citata come colei che farà giustizia di tutte le disubbidienze
e monellerie e pertanto l'immagine che il bambino si è fatta di lei non è certo ideale
perchè le si avvicini con fiducia. Ma talvolta, anche senza nessuna di queste ragioni il
bambino scoppia a piangere e rifiuta decisamene di entrare in classe. Si attacca
disperatamente alla madre e per quanto si faccia, per quanto il maestro si mostri
sollecito, affettuoso e gentile non c'è verso di calmarlo.
Il primo impatto con la scuola ha una grande importanza psicologica per
l'atteggiamento generale verso la scuola. Anche se facilmente questi momenti
saranno dimenticati dal bambino tuttavia può permanere in lui a livello incoscio una
percezione negativa per la scuola che può trascinarsi molto a lungo. È quindi molto
importante che il bambino acquisti familiarità con l'ambiente e gli insegnanti della
scuola elementare già quando si trova alla scuola materna. In questo modo si evita o
almeno si riduce al minimo il pericolo di una crisi emotiva dalle ripercussioni
indefinibili.
CARATTERI DEL GRUPPO SCOLASTICO

La legge fondamentale del gruppo scolastico può considerasi, come d'altronde in


ogni gruppo, il non far ricorso all' aiuto esterno. La unità del gruppo infatti è
minacciata se qualche membro chiede aiuto all'esterno. Nella scuola cercare l'aiuto
del maestro nei rapporti con in compagni appare il "delitto" più grave. Nei primi
anni delle elementari il ricorso al maestro è continuo e non desta impressione nella
scolaresca perchè non si è ancora raggiunta una maturità sociale. Ma man mano che
tale maturità viene raggiunta le delazioni si fanno sempre più rare e vengono fatte
dagli elementi meno socializzati.
La unità del gruppo dipende anche dalle relazioni esterne. Se il gruppo si trova in
stato di "guerra" la sua unità sarà rafforzata anche se in modo deteriore: essa Infatti
si rafforzerà per la semplice constatazione che la unione fa la forza ma si
rafforzeranno anche i caratteri deteriori del gruppo come la antidemocraticità, a
prevalenza di un capo dispotico e la assunzione di valori in contrasto con quelli
morali che la scuola propone.
Ogni gruppo ha i suoi modelli ideali a cui si ispira: massima aspirazione del maestro
sarebbe quella di impersonare tale modello. Abbiamo così dei principi comuni a cui i
membri non possono sottrarsi. Si ha quindi una pressione fortissima del gruppo sui
membri. La approvazione o la disapprovazione del gruppo possono divenire la
maggiore motivazione del comportamento individuale.
Il maestro può pertanto giovarsi della approvazione o disapprovazione per indurre
il singolo a comportarsi nel modo desiderato. Naturalmente sarà difficile compito
del maestro acquistare la fiducia della scolaresca e dare ad essa buoni principi. Si
comprende che se il gruppo si trova in opposizione con il maestro qualunque cosa
fatta contro di lui solleverà unanime consenso.

La resistenza di un membro alla pressione dl gruppo può dipendere da molti fattori:


la immaturità sociale può attutire molto la sua importanza. È chiaro che se ciascuno
sente la pressione del gruppo proporzionalmente al grado con cui vi partecipa. I più
piccoli sentiranno quindi più la pressione del maestro che quella dei compagni. Si
può resistere al gruppo inoltre se si trova compensazione altrove.
Se l'alunno non trova soddisfazione a scuola può cercarla in altri ambienti sociali.
Allora egli sarà poco sensibile all'apprezzamento dei compagni di scuola. D'altra
parte questi presto o tardi se ne accorgeranno e lo lasceranno in disparte senza
molestarlo e tentare di farlo pensare come loro.
Bisogna anche notare la severità della scolaresca verso i suoi membri. Per quanto il
maestro possa essere severo la scolaresca lo è molto di più: se riconosce che un
fanciullo ha commesso una colpa, per quanto grave possa essere la punizione del
maestro, crederà sempre che sia troppo blanda. I fanciulli in genere sono veramente
feroci verso i loro compagni più deboli, quelli che non sono in grado di comportarsi
come dovrebbero. Tale durezza dipende da due fattori. Innanzi tutto la inesperienza:
nella sua mentalità assolutizzante gli riesce difficile concepire l'errore e la colpa che
gli sembrano qualcosa di abnorme.
A volte per i più piccoli anche una inezia sembra una enormità. Fu chiesto a un
bambino che cosa sarebbe avvenuto se non avesse ubbidito a un certo ordine della
madre e il bambino rispose che forse Dio avrebbe distrutto il mondo. Certo i ragazzi
delle ultime classi delle elementari ne hanno fatto di strada da allora ma manca
ancora ad essi il senso della misura. La seconda motivazione di tanta severità è data
da un motivo inconscio: puniscono in un loro compagno più debole i loro stessi
difetti. Ciò spiega perchè in genere la colpa più grave è ritenuta sempre quella di
essere troppo infantile, mostrare di non aver superato quella infantilismo che in
effetti nemmeno quelli che sono tanto severi hanno poi veramente superato.
Interessante è notare il particolare meccanismo con il quale nuove idee vengono
accettate Qualche membro comincia timidamente ad affacciare qualche idea nuova,
non la sostiene subito con decisione ma timidamente aspetta le reazioni degli altri
senza esporsi troppo. Se tali reazioni non gli sembrano favorevoli egli si affretta a
ritirale un po per non attirarsi il biasimo generale ma soprattutto perchè
effettivamente se il gruppo non è favorevole nemmeno lui si sentirà veramente
convinto. Se invece le reazioni gli sembrano favorevoli egli espone più apertamente.
Comunque accetterà pienamente la sua stessa idea solo quando il gruppo la avrà
accettata. Difficilmente ci si mantiene nelle proprie opinioni se queste non sono
condivise dal gruppo.
Talvolta troviamo nel gruppo anche una altra caratteristica: il segreto. Con patto
esplicito o implicito i membri si impegnano a non rivelare a nessun estraneo quello
che accade nel gruppo. Il senso del segreto si rafforza quando il gruppo scolastico si
sente minacciato dal maestro. Per difendere le proprie caratteristiche il mezzo
migliore è quello di tenerlo segreto. La scolaresca sente che l'adulto potrebbe
vincere la resistenza individuale convincendo ad abbandonare i comuni parametri di
giudizio del gruppo e minacciare così quella che viene definita la "cultura del
gruppo". Si giunge talvolta a scatenare a posta la collera del maestro per evitare che
egli possa avere ascendente sui più deboli e minacciare quindi attraverso questo
l'intero gruppo. Fortunatamente queste situazioni sono piuttosto rare.
Acceniamo ora all'influenza del gruppo sul profitto. Gli stimoli degli altri e
l'emulazione sono più importanti per i meno intelligenti che per quelli che hanno
ottime capacità: il lavoro individuale appare più rapido ma in genere meno originale.
I ragionamenti fatti in gruppo sono più obbiettivi ma difficilmente sono molto
brillanti: abbiamo idee concrete ma pochi colpi di genio.
EVOLUZIONE DEL GRUPPO SCOLASTICO

L'evoluzione del gruppo sociale si esplica in gradi che si succedono lentamente ma


incessantemente. La età di grazia viene ritenuta generalmente quella compresa fra
fra gli otto e gli undici anni. Prima degli otto anni, pur desiderando di socializzare il
bambino in effetti vi riesce solo parzialmente. L'egocentrismo non superato gli fa
vedere gli altri sempre in funzione di se stesso, l'intelligenza non è ancora in grado di
comprendere veramente che, oltre al suo, esistono anche altri punti di vista.
Verso gli otto anni invece il fanciullo è maturo per socializzare con i suoi compagni in
modo che con tutta probabilità non avverrà più in futuro. Il bambino sente il bisogno
di socializzare il suo punto di vista discutendo con i suoi compagni degli argomenti
che più gli interessano. Dopo questa età il processo di socializzazione va incontro a
una involuzione spesso brusca. Con il passare del tempo, con il preannunciarsi della
crisi puberale il fanciullo rimane solo. Il gruppo della scuola media è molto meno
compatto di quella delle elementari, ma già in quinta elementare è possibile notare i
prodromi della involuzione. Vediamone le ragioni.
La intelligenza comincia a a farsi più astratta, il ragazzo comincia a comprendere le
cose anche se non ne ha diretta esperienza. Questo spostamento di interesse porta
alla svalutazione della discussione fra i coetanei. Infatti se i ragazzi parlano di cose
comuni, quotidiane, di cui ciascuno ha familiarità diretta allora ciascuno può dare il
suo parere che viene ascoltato dagli altri e che è pari per autorità a quello degli
adulti. Ma con il rafforzarsi dell'interesse per gli argomenti di cultura l'autorità
dell'adulto diviene predominante. Di fronte all'insegnante che parla di conoscenze
scolastiche il ragazzo non può fare a meno di tacere, non è ancora maturo per avere
un proprio parere. Viene a mancare fra i ragazzi la base delle discussioni.
Una seconda ragione di involuzione risiede nell'affiorare delle personalità
individuali. Fino a dieci o undici anni la personalità di ciascuno non appariva in modo
così netto. Non che ciascuno non avesse caratteristiche proprie ma i compagni non
ci badavano, non ne prendevano coscienza. Ora invece ogni ragazzo vuole affermare
la propria personalità ed entra necessariamente in contrasto con gli altri animati
dalla stessa esigenza. L'unità del gruppo è così irrimediabilmente compromessa.
Non si è ancora maturi per comprendere che la socialità presuppone e non esclude
la individualità. Ma questo principio d'altronde è difficilmente compreso anche nella
società adulta.

Inoltre anche la scuola stessa finisce con il contribuire alla dissoluzione del gruppo
sociale in quanto sancisce le differenze individuali classificando i ragazzi con i voti
scolastici e il fanciullo si fa sempre più maturo per capirne l'importanza.
Con l'aumentare poi della preoccupazione del profitto scolastico l'insegnante finisce
con il restringere sempre più il terreno delle attività sociali. Indubbiamente in una
quinta elementare le attività sociali già tendono a perdere importanza rispetto a
quelle tendenti al profitto. Nella scuola media la vita sociale viene quasi messa al
margine .

Alla socialità di gruppo in parte viene sostituita l'amicizia a due. Specialmente le


bambine inclinano a tali amicizie sia perchè il processo evolutivo generale è più
precoce di quello dei maschi sia perchè in loro il senso sociale è generalmente meno
forte. Nella età di grazia della socialità le amicizie a due erano riguardate con
sospetto, e giustamente, perchè in effetti era un tentativo di evitare la
socializzazione: il formarsi di sottogruppi minacciava la compattezza del gruppo
principale.
Va notato che la unità cosi perduta a scuola si mantiene ancora a lungo nel gruppo
di gioco specialmente presso i maschi. Le bambine diventano delle "signorine" e
disdegnano alquanto il gioco. Il gioco mantiene ancora una sua forza e apre spazi di
vita sociale perchè mancano in esso le cause che provocano la dissoluzione del
gruppo scolastico. Infatti durante il gioco poco ci si preoccupa di problemi culturali e
anche lo spicco delle personalità, pure essendo più forte, non viene tanto notato.

Dopo la crisi puberale, superato le sue tempeste si giungerà alla vita sociale più
matura e consapevole della vita adulta. Ma forse l'ingenuità, la semplicità del
gruppo infantile non si troverà più e la si ricercherà invano per tutta la vita. Spesso è
proprio questo tipo di socialità che da adulti ci fa ricordare la fanciullezza come l' età
bella, l'età felice in cui si era veramente tutti amici
ALCUNI PROFILI DI COMPORTAMENTO
Ogni fanciullo reagisce all'ambiente in un suo modo personale. Non di meno si
possono delineare alcuni profili tipici particolarmente interessanti anche se
interessano un numero limitato di alunni: facciamone una breve rassegna

LEADER: il capo, il "boss! come pure si dice comunemente. La presenza di un capo è


del tutto normale in ogni gruppo e quindi anche nel gruppo scolastico: tuttavia esso
può assumere aspetti negativi dal punto di vista dello sviluppo della socializzazione
ed educativo quando questa figura assume caratteri di prepotenza, di dominio
dispotico. Vi sono condizione che talvolta provocano e favoriscono il fenomeno del
dominio di un ragazzo sugli altri. Quando il gruppo infantile si trova in stato di guerra
con l'insegnante i fanciulli sentono il bisogno di appoggiarsi a uno dei loro compagni
per poter resistere meglio alla pressione degli adulti. Ecco allora sorgere un fanciullo
che finisce con il dominare dispoticamente gli altri.
Infatti nelle "Scuole nuove" dove la pressione adulta non si manifesta il fenomeno
non esiste o per lo meno è estremamente ridotto. Il "capo" di solito non è il più
intelligente: la dote fondamentale è la sua esperienza e capacità nei rapporti sociali.
In lui è vivo il senso della misura: sa quando deve concedere e quando deve imporsi.
A volte il capo cerca solo compensazione per una sua debolezza nel profitto e
ottenere così una rivincita che lo renda superiore al biasimo del maestro e degli altri
adulti. il suo potere dura a volte a lungo, termina per varie ragioni: perchè ha
commesso l'errore di impegnarsi in contese da cui è uscito perditore, ed quindi ha
perso prestigio; perchè sorge un altro astro che prende il suo posto; perchè il gruppo
si scioglie; perchè viene a mancare quello stato di guerra sorda che aveva favorito il
sorgere del fenomeno, perchè i fanciulli giungono a una maggiore maturità. Da
notare che presso i fanciulli l'idea di un capo elettivo è estranea.
IL GREGARIO: formano la maggioranza, una vera la folla, i gregari che seguono i capi
e la corrente sono senza particolari caratteristiche. Questo però non significa che
siano i meno maturi socialmente: anzi in fondo la normalità della socializzazione si
incontra proprio in essi.

IL FIGLIO DI PAPA' - Nelle classi capitano spesso ragazzi che si trovano a un livello
sociale superiore ai loro compagni. Un ragazzo ben educato e curato si trova in
mezzo a ragazzi di strada già abituati alla dura lotta per la vita, magari già impegnati
a contribuire con il loro lavoro manuale al magro bilancio familiare. Il figlio di
persone socialmente più elevato si accorgerà di essere meglio vestito, di avere
oggetti migliori, di essere più curato, di cattivarsi la simpatia del maestro con la
educazione migliore e magari di andare anche meglio nel profitto.
Ne concluderà di essere superiore ai suoi compagni e logicamente ne dedurrà che a
lui spetta il posto di capo. Niente di più errato, naturalmente. I suoi compagni hanno
avuto ben altre esperienze sociali e non si lasceranno certo dominare da lui. Ma egli
ignora le proprie difficoltà, non si rende conto della assurdità delle proprie pretese
per difetto di esperienza e finisce con il rendersi ridicolo. Da ciò può scaturire una
certa difficoltà all'inserimento nel gruppo e quindi per compensazione a darsi l'aria
di superiorità e fingere di non desiderare affatto la leadership .
IL DEBOLE: Si tratta di fanciulli psicologicamente deboli afflitti spesso da complessi
di inferiorità e che vogliono inserirsi a qualunque costo nel gruppo. Ingenuamente
credono di potersi inserire dicendo sempre "si" e seguendo sempre la corrente:
accetteranno sempre con entusiasmo ogni iniziativa, si asterranno da critiche,
faranno passivamente sempre quello che vogliono gli altri. Ma malgrado questo,
atteggiamento, proprio anzi proprio per questo atteggiamento non riescono mai a
inserirsi veramente nel gruppo. I compagni infatti presto intuiscono che non
possono fidarsi di uno che dice sempre "si". Bisogna pure che ciascuno nel gruppo
abbia un pò di personalità. Ed è davvero doloroso vedere questi fanciulli cosi miti e
buoni che sopportano ogni angheria senza ribellarsi pur di essere accettati dal
gruppo e che vengono invece respinti implacabilmente.
IL DISPETTOSO SOCIALE: si tratta ancora di ragazzi che non riescono a entrare
pienamente nel gruppo, ma mentre i precedenti prendono un atteggiamento
passivo questi passano senza altro all'azione: non riuscendo a entrare nel gruppo
essi cercano in ogni modo di dissolverlo nella speranza di poterlo ricostituire essi
stessi ponendosi al centro: ostacolano quindi in ogni modo la vita sociale e sono un
"flagello" non solo per i compagni ma anche per il maestro, con i loro tentativi di
creare disordini e costringere così il maestro a intervenire. L'aspetto più odioso del
loro atteggiamento è la delazione spesso falsa e tendenziosa: purtroppo qualche
maestro provoca egli stesso la delazione sia con punizioni collettive nella speranza
che qualcuno magari denunci il colpevole sia circuendo addirittura qualche soggetto
meno maturo. Il danno che il maestro provoca in questi casi è gravissimo.
IL DISTACCATO - Interessante è anche un'altra figura in verità non molto frequente.
Si tratta del fanciullo che aderisce all'ambiente ma non vi partecipa completamente.
Questi segue la corrente senza opporsi mai decisamente, ma la sua accettazione è
solo superficiale: profondamente è solo alquanto distaccato e mantiene la sua
personalità. Questo tipo è il meno influenzabile dal gruppo. Lo segue ma non ne è
conquistato. Di solito agisce cosi perchè pur desiderando la socializzazione trova
compensazione e maggiori gratificazioni in altri campi. È amico di tutti e
generalmente ben voluto ma rimane intimamente sempre un estraneo.
GOVERNO DELLA CLASSE

Esaminiamo gli aspetti della vita sociale promossi più o meno direttamente dal
maestro.

Nella scuola elementari a differenza di quanto accade nelle medie e nelle superiori
abbiamo quasi sempre un così detto "governo" della classe, abbiamo cioè alunni
incaricati di alcuni compiti particolari di organizzazione sia in relazione alla attività
propriamente istruttiva che a quella generalmente educativa. Troviamo così un
capoclasse, altri incaricati della lavagna, dell'armadietto e di tante altre cose a
seconda dei casi. In alcune classi tutto il governo si riduce al capoclasse, in altre
invece diviene molto ampio e articolato.
Presso i migliori insegnanti i compiti del capoclasse e degli altri incaricati sono
organizzativi e di aiuto all'insegnante ma presso altri si riducono miseramente al
mantenimento dell''ordine. Il criterio di nomina è anche molto diverso . Va notato
che il governo degli alunni assume forme molto elaborate e sono fondamentali in
molte "Scuole nuove".
Vediamo brevemente le implicanze psicologiche del governo della
classe

L'importanza del governo per il processo di socializzazione è fondamentale. Infatti in


questo caso il fanciullo fa la sua prima esperienza di vita sociale organizzata. Anche
nel gioco abbiamo una organizzazione a volte molto complessa e rigida. Ma anche se
per il fanciullo il gioco è un'attività molto seria essa non ha mai il carattere della
obbligatorietà che ha la scuola.
Nel disimpegnare un compito nel gioco un bambino può sempre rinunciare e
rifiutare di continuare, ma nella scuola è obbligato ad assolvere il suo incarico. Per la
prima volta il fanciullo si trova di fronte a una certa organizzazione obbligatoria che
tende a uno scopo preciso. La importanza di tutto ciò non dovrebbe sfuggire agli
insegnanti come purtroppo spesso avviene e così questa magnifica occasione per
educare il senso sociale viene tralasciata e talvolta come ora vedremo usata in senso
negativo.

In certe scuole vige infatti l'uso di prendere il ragazzo più indisciplinato ed irrequieto
e farlo capoclasse con compiti essenzialmente di polizia. In tal modo viene tolto un
elemento di disordine e quel ragazzo ha l'energia sufficiente a imporre ordine alla
classe. Raggiunge questo scopo essenzialmente facendo delazione al maestro di
quelli che hanno compiuto qualche infrazione.
Generalmente il fanciullo così scelto è quello che altrove abbiamo definito "boss" e
di cui abbiamo gia delineato la negatività per un sano sviluppo sociale. Ora il
maestro nominandolo capoclasse da' una nuova forza a questo ragazzo che diventa
"onnipotente": minacciando di accusarli al maestro anche se innocenti ha un mezzo
di intimIdazione e un potere sugli altri compagni veramente fortI che si aggiunge a
quello che già possedeva solo come ascendente. Va notato, però, che con rafforzarsi
del senso sociale non può mantenersi insieme il suo ascendente e il suo compito di
capoclasse: la odiosità della delazione gli farà perdere ogni prestigio e finirà con il
restare ai margini della vita sociale.
Talvolta il capoclasse viene scelto secondo il criterio del merito. Il maestro promette
di dare tale incarico ambito al più bravo nel profitto. Ciò rappresenta uno stimolo
all'impegno scolastico ma bisogna notare che spesso il più preparato negli studi non
è il più capace nelle relazioni sociali. Il più bravo si sente superiore agli altri e crede
che gli spetti per diritto il posto di capo ma ciò è ben lontano dalla realtà: non
sempre i più bravi nel profitto sono adatti per un compito del genere.

Può essere scelto anche il più disciplinato: ma il più disciplinato in genere è anche
un timido e porlo in tale difficile incarico non adatto a lui finisce con l'aumentare la
sua timidezza. Fallito il suo compito egli si sentirà sempre più incapace nelle
relazioni sociali. I più timidi debbono essere incoraggiati inserendoli in compiti facili
nei quali possano attingere fiducia in se stessi.
Interessante è il caso in cui il capoclasse e gli altri incarichi vengono scelti per
elezioni dei compagni. In alcune "Scuole nuove" tali elezioni hanno assunto un
carattere rilevantissimo.

La elezione dei compagni dà all'eletto un significato che non ha negli altri casi. Non è
imposto da nessuno ma scelto liberamente. Soprattutto in tal modo i fanciulli si
abituano, si preparano a una vita democratica, ad essere cittadini di uno stato
democratico. Inoltre si affina il giudizio, la capacità di giudizio sui compagni. Come si
vede molti sono gli aspetti postivi, ma c' è un'ampia riserva da fare. Come abbiamo
gia notato in altro luogo, la scelta elettiva dei capi non è naturale nei gruppi infantili,
non nasce mai spontaneamente. Si rischia di illudersi che i fanciulli eleggano
veramente un compagno mentre in effetti non ne hanno chiara consapevolezza.
In verità, tranne forse che nell'ultimo anno tali elezioni nelle classi elementari sono
spesso dei fallimenti. Si vedono i ragazzi che scelgono senza aver capito il criterio
della competenza: dicono un nome per amicizia, perchè vicino di casa, perchè i
compagni lo hanno detto, perchè altre volte è stato eletto per caso e molto
difficilmente lo ritengono il più capace.
Sarà quindi sensibilità dell'insegnante capire fino a che punto la singola scolaresca è
matura per esperimenti del genere. Comunque va notato che anche se la prima
volta simili esperimenti possono risolversi in fallimenti in seguito gli alunni
potrebbero rendersi conto di quanto viene loro richiesto .

Il migliore criterio di scelta secondo noi è quello di contemperare un pò i vari criteri :


per esempio fare scegliere i fanciulli per elezioni in una rosa di alunni scelta dal
maestro secondo le loro capacità, studio e disciplina.
Per quanto riguarda la natura dei compiti che si affidano ai ragazzi vi è da notare che
i compiti di "polizia" sono i pìù ingrati. La coscienza sociale dei fanciulli viene infatti
spesso scossa dalla delazione che inevitabilmente finisce con il divenirne il fulcro. I
compiti invece meglio accettati sono quelli di natura organizzativa e funzionale alle
attività educative e utili al buon andamento del lavoro scolastico.
RAPPORTI CON IL MAESTRO

L'insegnante occupa naturalmente un posto fondamentale nel processo di


socializzazione a scuola. Bisogna innanzi tutto notare che ha con gli scolari due
ordini di rapporti: con ciascuno e con il complesso. Influisce cioè con il suo rapporto
personale con ciascuno a somiglianza dei genitori ma ha anche tanta parte nella vita
del gruppo scolastico
Visto nel suo complesso, mentre nei primi il rapporto con il singolo è predominante
negli ultimi della scuola elementare assume maggiore importanza quello con il
complesso della classe. Infatti la accresciuta maturità sociale, l'età di grazia del
gruppo fa sì che un atteggiamento del singolo verso l'insegnante sia determinato
essenzialmente dal comportamento di tutto il gruppo scolastico.

Vediamo qualche differenza fra la posizione dell'insegnante e quella del genitore.


Ciascuno ha i propri vantaggi e svantaggi. Il rapporto con il genitore è più caldo
sostenuto da un affetto, da un sentimento naturale tanto più forte. Ciò conferisce al
genitore un grande vantaggio ma d'altra parte il maestro si presenta al bambino
come una autorità indiscussa con un prestigio culturale che in genere il genitore non
ha. Il bambino crede che il maestro sappia tutto e che non gli possa rifiutare
ubbidienza. Ciò accade soprattutto nei ceti meno elevati culturalmente dove il
maestro può essere l'unica voce della cultura in grado di farsi udire.
La famiglia è un gruppo ristretto e pertanto il fanciullo in essa può avere maggiore
attenzione che non nel più vasto gruppo scolastico il che da un vantaggio al genitore.
Ma l'ampiezza del gruppo scolastico da al maestro una grande possibilità:
influenzare il singolo attraverso il gruppo. D'altra parte è da notare che i fanciulli
sono pochi, magari uno solo in famiglia e tuttavia i genitori non si dedicano
unicamente ad essi ed hanno sempre altro da fare. Invece l'insegnante nell'orario di
scuola si occupa esclusivamente dei bambini.

I genitori possono conoscere meglio i loro figli in quanto ne hanno una esperienza
più lunga ma l'insegnante lo vede nei suoi rapporti con gli altri e quindi vede ciò che
i familiari non vedono. D'altra parte anche per preparazione e mentalità è meglio
preparato. Ma soprattutto la esperienza che ha dei bambini è ben maggiore in
quanto puo' confrontare il comportamento di un gran numero di coetanei.
La famiglia infatti ha del proprio rampollo spesso una idea inesatta sia sotto il punto
di vista intellettuale che sociale soprattutto per mancanza di confronti. Accade
spesso al maestro di notare errori di sopravvalutazione e di sottovalutazione delle
famiglie che hanno idee molto vaghe su quale sia la "normalità" per i fanciulli
dell'età dei loro figli.

Interessante è da notare quel fenomeno che i francesi chiamano CHANUT. Si tratta


di un comportamento scorretto della classe a cui il maestro si rassegna. Accade
talvolta che la classe si mostra indisciplinata ed apertamente si comporti violando le
regole del maestro senza che questi riesca a impedirlo. Di solito ciò consiste nel
chiacchierio che gli scolari continuano a fare senza che il maestro riesca a impedirlo
ed ottenere e il silenzio e l'attenzione necessarie alla lezione.
Talvolta può assumere forme più gravi di indisciplina come il turpiloquio, la
maleducazione ostentata, la derisione stessa del maestro. Il fenomeno deriva in
massima parte da imperizia dell'insegnante. Questi vorrebbe imporre una disciplina
coattiva: a parte l'errore pedagogico della coattività il maestro non ha valutato le
proprie forze credendo di essere in grado di imporsi laddove non lo è. Lo stato di
guerra fra maestro e scolari è sempre deprecabile ma a ciò si aggiunge la leggerezza
di aprire una lotta che non si è in grado di sostenere.

Da notare però che a volte lo CHANUT non è da imputare interamente al maestro:


infatti può essere la conseguenza indiretta di errori compiuti da altri insegnanti. Se
una classe è tenuta con eccessiva disciplina coattiva da un insegnante può esplodere
quando sopravviene un altro insegnante che si mostra un pò meno severo. Accade
comunemente con i supplenti: durante la sua lezione si scatena per transfert tutto
quanto era stato represso dagli altri insegnanti.
Un altro aspetto poco piacevole dei rapporti maestro-scolaro è la delazione. La'
dove la autorità del maestro viene imposta in modo autoritario occorrono allora
mezzi esterni alla lezione stessa e uno di essi è la delazione. Il maestro così agendo
in modo irresponsabile favorisce che i bambini si accusino fra di loro, così riuscendo
a trovare e quindi punire i responsabili delle infrazioni alla disciplina.

La delazione nelle prime classi non desta molta impressioni negli alunni per lo scarso
senso sociale ma con il suo rafforzarsi la delazione diventa sempre più odiosa e il
delatore è squalificato davanti ai compagni. Se è incoraggiato dal maestro egli può
resistere al biasimo e alla pressione dei compagni perchè trova compensazione
nell'appoggio del maestro. Ma sia nella prime che nelle ultime classi la delazione è
la più grande remora alla formazione sociale dei fanciulli.
Precisiamo che per i più piccoli è del tutto naturale cercare l'aiuto degli adulti e
quindi la delazione non è affatto sintomo di immaturità sociale. Sta al maestro
scoraggiando la delazione contribuire a una più matura coscienza di gruppo.
Vediamo ora la posizione del maestro e della scuola rispetto alla vita sociale della
scuola. Dobbiamo purtroppo notare che molte volte non è affatto favorevole. Si
richiede infatti durante le ore scolastiche che non si parli con i compagni, che
ciascuno faccia da solo i suoi compiti. Non è raro vedere alunni che scrivono facendo
schermo per evitare che gli altri possano copiare. Il maestro finisce con lo
scoraggiare la vita sociale della classe. Paradossalmente in molti casi la vita sociale
della classe si svolge ai margini e contro il maestro. L'ideale di molti maestri è
purtroppo che gli alunni siano gli uni contro gli altri senza darsi nessun aiuto e senza
comunicare. Alla vita sociale spontanea così inibita si vuole sostituire una vita
sociale falsa imposta dal maestro : pertanto purtroppo l'opera del maestro e il
processo di socializzazione sono a volte in pieno contrasto.
EVOLUZIONE ANNO PER ANNO

Vediamo ora le caratteristiche dell'evoluzione della socializzazione scolastica anno


per anno: naturalmente la successione cronologica è semplicemente indicativa: ogni
fanciullo si evolve secondo un suo ritmo persona

SEI ANNI: il primo giorno spesso è difficile ma presto il bambino va a scuola con
piacere: solo alla fine dell'anno in genere si manifestano casi di opposizione netta
alla scuola quando cioè il bimbo crede a torto o a ragione di non essere riuscito a
cattivarsi la benevolenza del maestro e l'amicizia dei compagni. Gli accade spesso
nella inesperienza di spaventarsi per qual cosa che all'insegnante pare tanto
semplice e allora avrà un momento di crisi. Cerca nei primi contatti con i compagni
di imporsi e porta pertanto a scuola oggetti e cianfrusaglie varie che secondo lui gli
darebbero prestigio.
Caratteristica anche del comportamento della scolaresca è la discontinuità: In alcuni
giorni i fanciulli appaiono ordinati e silenziosi, in altri senza nessuna ragione
apparente la irrequietezza è tanta che bisogna quasi rinunciare a lavorare.

Il bambino parla raramente a casa di quello che ha fatto a scuola. Si è notata la


tendenza a parlare del compagno più cattivo. In effetti il rapporto con il maestro e
compagni è molto impersonale.

SETTE ANNI - Talvolta può preoccuparsi che la seconda sia molto più difficile della
prima mentre in effetti è il contrario. I suoi rapporti con il maestro si evolvono in
senso più personale. Il fanciullo comincia a vederlo meglio e più accuratamente.
Caratteristica della seconda classe sono le notazioni sull'abito, sulla nuova borsetta o
cravatta dell'insegnate che talvolta mettono in imbarazzo l'insegnante stesso.
In particolare si nota spesso una particolare simpatia ed attaccamento dei
maschietti verso la maestra se giovane. Anche rispetto ai condiscepoli comincia ad
avere rapporti più personali e a vederli più obbiettivamente e non solo
esclusivamente in relazione a se stesso. Ha anche maggiore tendenza a giovarsi
dell'aiuto dell'insegnante dei compagni. Ciò dipende anche dal maggiore livello
intellettivo in senso relativistico della sua mente che comincia a vedere gli altri come
altri punti di vista. Di solito è ubbidiente e ragionevole e cerca di essere buono
anche se talvolta il risultato non rispecchia affatto l'intenzione. Si sviluppa anche il
senso acuto della proprietà delle cose e sorgono piccoli baratti e piccoli commerci
che aiutano il processo di socializzazione anche se spesso per la poca esperienza le"
transazioni commerciali" diventano fonti di infinite dispute, litigi e recriminazioni.
In complesso quindi è una età abbastanza tranquilla e questo fa si che le seconde
classi elementari in genere sono le più tranquille e facili dal punto di vista della vita
sociale.

OTTO ANNI: il fanciullo in genere va a scuola con vero piacere: la terza è la classe
nella quale il fanciullo va più volentieri, nè prima nè dopo andrà con lo stesso
piacere. I suoi rapporti con i compagni migliorano molto e si fanno più stretti.
Cominciano anche le caratteristiche amicizie del cuore. È meno disposto
all'obbedienza che a sette anni ma è più disciplinato perchè sa controllarsi meglio.
Partecipa più coscientemente alla vita scolastica, si rende meglio conto di ciò che
accade. Infatti mentre prima parlava poco a casa di quello che avveniva a scuola ora
comincia a riferire spesso e volentieri se i genitori glielo chiedono episodi della vita
scolastica. Ciò dimostra la maggiore comprensione padronanza della vita scolastica.
Si fa netta la distinzione fra maschi e femmine: mentre nelle prime due classi si
osserva molto raramente una discriminazione in base al sesso, nelle terze essa è ben
chiara. Prima cominciano le femmine essendo esse più precoci nel loro sviluppo.
Esse si appartano dai maschi tranquillamente e pienamente durante le pause. Poi
saranno i maschi ad escluderle, anche rudemente, dai loro giochi.

NOVE ANNI Questa età corrisponde alla quarta elementare. In essa la coscienza
sociale della scolaresca compie un grande balzo in avanti. Molto più raramente lo
scolaro accusa i compagni e chiede aiuto all'insegnante contro di essi. Accresciuto è
il senso di responsabilità per cui egli si sente maggiormente impegnato nella scuola.
Mentre prima erano i genitori prevalentemente a preoccuparsi ora è il fanciullo che
sente cocentemente i suoi eventuali insuccessi. Qualche volta è anche capace di
rifiutare una lode o un premio se sente di non meritarli.
Come prima è sensibilissimo all'ingiustizia ma ora piu di prima è capace di valutare
la realtà delle cose, il caratteristico egocentrismo della infanzia comincia a cedere il
posto a un visione più relativa. Gareggia con piacere sia in squadra che
individualmente e ciò testimonia l'accresciuta coscienza sociale e di gruppo.
Accresciuta è anche la capacità di autodisciplina che rende pertanto i
comportamenti della scolaresca abbastanza ordinati. Il compito dell'insegnante è
comunque più difficile che in terza: a otto anni erano molto personali, ora si fanno
invece meno stretti e il fanciullo appare meno disposto all'obbedienza. Distingue più
chiaramente fra materia di studio e insegnante e può appassionarsi all'uno e non
all'altro. La coscienza di gruppo gli da di fronte all'insegnante un'autonomia mai
raggiunta prima. Sarà naturalmente cura dell'insegnante prendere atto delle mutate
condizioni psicologiche del processo di socializzazione e agire in conseguenza. Il
fanciullo è anche più disposto a parlare a scuola della sua vita extrascolastica e
viceversa.
DIECI ANNI. Questa età può considerarsi come l'età di grazia per il gruppo sociale
infantile, come prima abbiamo notato. In seguito invece con la crisi puberale
perderà molto della forza delle sue relazioni sociali per chiudersi nel caratteristico
isolamento dell'adolescente.
Comunque già da ora si possono notare i segni della prossima dissoluzione del
gruppo. Per le bambine ci troviamo già in una fase prepuberale. La relazioni quindi
fra le bambine e l'insegnante e tra le bambine stesse si fanno più difficili.
Testimonianza di questa divergenza dello sviluppo maschile e femminile sta il fatto
che la discriminazione dei sessi diviene molto forte e invero delle differenze
psicologiche fra i due sessi non erano mai state pronunziate come ora.
IL GIOCO SOCIALE

Il gioco ha una parte fondamentale nella vita di un fanciullo. Per gioco, come è stato
autorevolmente e giustamente affermato, noi possiamo intendere la attività
complessiva del fanciullo. Abbiamo giochi quanto mai vari e mutevoli, dal battere
delle mani del neonato agli scacchi: a noi interessa il gioco sociale. In esso si
manifesta più spontaneamente la socialità e la personalità infantile meglio che in
nessuna altra attività.

Il gioco sociale nasce verso i sei anni. Già molto prima i bambini giocavano insieme
ma giocavano propriamente "l'uno accanto all'altro" in una vera comunità. Il
compagno era per ciascuno una pedina del proprio gioco. Dopo i sei anni invece il
sentimento sociale si fa avanti e abbiamo il riconoscimento della personalità altrui .
Il gioco sociale può essere diviso in due fasi i cui limiti cronologici possiamo
indicativamente fissare da sei ai nove anni la prima fase, dai nove ai tredici e anche
oltre la seconda: nella prima fase sono prevalenti i giochi competitivi nei quali cioè
vi sia qualche idea di gara. Abbiamo cosi partite di pallone, giochi di carta, di palline,
di figurine, corse e altri giochi di forza e destrezza. Tutti questi giochi hanno la
caratteristica di essere retti da regole ferree. Le regole infatti sono per i fanciulli
qualche cosa di dato, di "divino" che non possono essere mutate o infrante
nemmeno se tutti i giocatori sono d'accordo. Non concepisce, cioè, la regola come
qualcosa di convenuto fra i giocatori e quindi che può essere in ogni momento
mutato se si raggiunge l'accordo. Guai a quel fanciullo che infrange una regola: è
come scomunicato! Dice Chateau che il gioco è come la messa e chi ha giocato ha
giurato.
Il senso del sacro insito nel gioco è una manifestazione della vita infantile che
colpisce: in caso di contestazione delle regole il fanciullo non crede mai alla buona
fede degli altri ma pensa sempre all'imbroglio.
Per questo motivo spesso i giochi si fermano per una sciocchezza. Dalla assolutezza
della regole discende una altro principio: I giochi non vengono mai inventati dai
giocatori, si trasmettono da generazione a generazione e vengono inventate dagli
adulti. Nemmeno le modifiche delle regole viene mai operata dai piccoli ma
avvengono ad opera degli adulti o almeno degli adolescenti. Il bambino adora le
regole fisse di cui in genere l'adulto è il depositario. Ha bisogno di esse per ordinarsi
interiormente. Va però precisato che, malgrado tutto, i fanciulli facilmente
trasgrediscono le regole. Essi infatti vorrebbero rispettarle ma vorrebbero anche e a
ogni costo vincere. Talvolta essi credono di poter vincere trasgredendo le regole ma
quando sarà chiaro che questo è impossibile avremo un rispetto assoluto per la
osservanza della regola.
Dopo i nove anni pur continuando i giochi competitivi e di regole appare un'altra
forma di gioco: i fanciulli immaginano di essere personaggi tratti dai film o da
letture, di trovarsi in ambienti esotici, diversi dal proprio e di correre meravigliose
avventure: generalmente essi si ispirano alle avventure di moda del momento:
intrecciano così fantastici poemi epici. Spesso questo gioco ha come oggetto
principale la guerra. I ragazzi si dividono in due gruppi avversari immaginando di
essere indiani e cow-boys, conquistadores e pirati, esploratori e guerrieri indigeni,
soldati tedeschi e alleati e si combattono come hanno visto fare al cinema o nei
fumetti. Il valore sociale di questo gioco è importantissimo anche se talvolta questo
tipo di gioco è pressoché ignorato da molti autori. Infatti qui si manifesta in pieno la
nascente personalità sociale del fanciullo.
Il soggetto della guerra non deve preoccupare. Non vi è in questi giochi nessuno
invito alla violenza anzi se i naturali "istinti guerrieri", il piacere del rischio hanno
sfogo in questo modo innocente e più difficilmente daranno adito a a brutte
sorprese dopo i quattordici anni. Anche la guerra può essere vista attraverso gli
occhi dell'infanzia come una cosa nobile e bella. E nella guerra i fanciulli possono
immaginare gli atti di eroismo puro e disinteressato dei quali questi giochi sono
massimamente intessuti. Potremmo definire questo come il "grande gioco" per
l'ampiezza e complessità delle situazioni che i ragazzi riescono a immaginare e
soprattutto per la complessità dei ruoli sociali che si vengono a delineare.
Questo tipo di gioco è quasi esclusivamente per i maschi: infatti proprio nell'età
nella quale essi cominciano a manifestarsi l'interesse delle bambine il gioco va
scemando: a nove o dieci anni le bambine quasi non giocano più. I loro giochi si
riducono quasi esclusivamente a quelle delle bambole. Cuce vestine, abbiglia e cura
e svolge tante attività che vede compiere delle madri: non si tratta quindi nemmeno
di veri e propri giochi ma di attività propriamente femminili nelle quali le bimbe
vanno a impratichirsi.
Capitolo 2 .Dinamiche di gruppo e gestione dei conflitti nei processi
di socializzazione

2.1 La comunicazione in gruppo

Non potrebbe esistere nessun gruppo se non fosse possibile comunicare, cioè
scambiare significati che vengono compresi da tutti. Anche per numerose specie
animali, come hanno mostrato gli etologi, esistono codici comunicativi interni, che
vanno dalle tracce odorose a segnali sonori, a comportamenti posturali che
veicolano messaggi ben precisi: minaccia, difesa, corteggiamento, protezione del
territorio, ecc.
Nella nostra specie la comunicazione ha un codice privilegiato nel linguaggio
verbale, che fornisce una gamma molto ampia di espressione di contenuti, anche se
non è meno potente un altro canale, quello dalle comunicazione non verbale (il
linguaggio del corpo) che comprende gesti, posture, sguardi, mimica facciale,
prossimità fisica e orientamento spaziale, segnali che completano, arricchiscono e a
volte contraddicono la stessa comunicazione verbale. Esiste inoltre un codice "non
verbale" del verbale, fatto di pause, esitazioni, tono della voce, borbottii, che
offrono all'ascoltatore una serie di indicatori da cui potrà dedurre che il suo
interlocutore è, ad esempio, imbarazzato, aggressivo, annoiato, poco sincero,
condiscendente, inferiorizzato, spaventato, ecc.
Senza comunicazione non può esistere un gruppo. Gli aspetti strutturali (status,
ruoli, norme), di cui abbiamo già discusso, sono costruiti nel corso di un ininterrotto
fluire di comunicazioni, verbali e non verbali; si potrebbero studiare tutti i gruppi a
partire dai processi comunicativi che si svolgono al loro interno. Immaginiamo di
osservare dall'esterno una riunione di gruppo, cui sia stato "tolto l'audio"; noteremo
subito alcune cose particolarmente evidenti: vi sono persone che parlano di più e
altre di meno e altre ancora non dicono neppure una parola; vi sono persone che
mentre parlano sono ascoltate da tutti con attenzione, mentre altre sono poco
ascoltate (gli altri si distraggono, parlottano fra loro, non rivolgono lo sguardo verso
chi parla). Noteremo inoltre che alcuni membri hanno un atteggiamento posturale
che testimonia sicurezza, uno sguardo diretto sugli altri mentre parlano, la capacità
di sostenere lo sguardo degli altri più a lungo, mentre altri esibiscono atteggiamenti
meno assertivi, più difensivi.
Potremo cogliere, se siamo in un buon punto di osservazione, che certi membri
si scambiano occhiate e mezzi sorrisi fra di loro quando parla qualcuno, o fanno gesti
di esasperazione, come se fossero molto disturbati dagli interventi di questa
persona. Insomma, dopo un certo tempo di osservazione, avremo un po' di idee su
alcuni aspetti di quel gruppo; avremo informazioni, ad esempio, su chi conta di più e
chi conta di meno (cioè sulla gerarchia interna), su quanti siano i membri che
partecipano poco o sono addirittura marginalizzati, sul livello di coinvolgimento dei
membri rispetto al lavoro comune, sul clima affettivo prevalente (caldo/freddo,
interessato/disinteressato, collaborativo/competitivo, sereno/teso, ecc.). A questo
punto si potrà accendere l'audio e nel corso degli scambi verbali potremo avere
conferme di quanto ipotizzato. Potremo, ad esempio, accorgerci che quell'individuo
che suscita sguardi fra i membri ed espressioni di noia è qualcuno che fa discorsi
prolissi e poco chiari, cercando un consenso e una visibilità senza avere particolari
abilità e competenze per meritarli.
Discutere, scambiare opinioni è molto importante non solo per i piccoli gruppi
faccia-a faccia, ma anche per i gruppi estesi, come partiti, confessioni religiose,
organizzazioni scientifiche, che hanno cura di riunire periodicamente i propri
membri per scambi, dibattiti, convegni, in cui si consolida (talora pur tra conflitti) il
senso di appartenenza a quel gruppo.

Nell'ambito della comunicazione, vi sono due concetti da distinguere: la rete di


comunicazione e la struttura di comunicazioni:

q la rete di comunicazione è l'insieme di canali comunicativi presenti in un gruppo; i


"canali" sono le condizioni materiali che rendono possibile il passaggio delle
informazioni. In altre parole, una rete è un insieme di possibilità materiali di

comunicazione.
Esempi di reti di comunicazione del passato sono i messaggeri a cavallo che
assicurarono il passaggio di informazioni necessarie per governare alcuni imperi
molto estesi, come quello Romano o quello del Katai, che tanto colpì Marco Polo per
la sua efficacia nel tenere costantemente informato l'imperatore di quanto
succedeva negli angoli più remoti del suo impero. Oggi, la rete informatica di
Internet consente qualcosa che era impensabile solo alcuni anni fa: lo scambio di
informazioni in tempo reale fra luoghi lontanissimi fra di loro; q la struttura di
comunicazione è, invece, l'insieme di comunicazioni che sono state effettivamente
scambiate in un gruppo. Possiamo dire che la rete è una possibilità di
comunicazione, mentre la struttura è una realtà di comunicazione. Per osservare
una struttura di comunicazione è necessario registrare la frequenza degli scambi fra
emittenti e riceventi, il contenuto di tali scambi, il luogo e il momento in
cui sono avvenuti.
Bales ha messo a punto uno strumento per rilevare attraverso i processi
comunicativi (contenuti verbali e non verbali) la struttura di relazioni nel gruppo e le
tonalità affettive che le contraddistinguono.
Non è detto che avvenga uno scambio comunicativo anche se esistono i canali
materiali (la rete) per farlo, mentre possiamo dire che se vi è una struttura di
comunicazione esistono le possibilità materiali (le reti) per realizzarla.
Come sostengono gli studiosi della comunicazione, comunicare è sempre un'attività
che comporta dei rischi. Rischi di fraintendimento, di acutizzazione di un conflitto già
esistente, di espressioni inadeguate, ecc. Uno degli elementi su cui i formatori di
gruppo insistono è che bisogna lavorare sulle modalità con cui ci si esprime; molte
volte non è tanto il contenuto ad essere offensivo quanto la modalità con cui è stato
presentato quel contenuto.
Si può dare all'altro un messaggio anche molto spinoso, ma la modalità adeguata di
espressione può far sì che il destinatario non si senta offeso. In questo senso sono
importanti, come elementi che migliorano la comunicazione interpersonale,
l'automonitoraggio continuo sulle nostre modalità comunicative e la capacità di
accogliere i feed-back degli altri (che ad esempio ci dicono che le nostre espressioni
verbali e non verbali sono spesso aggressive o poco chiare o poco decentrate).
Un altro elemento che incide sulla qualità della comunicazione è lo spazio,
l'ambiente fisico in cui le persone si incontrano. Non è la stessa cosa interagire in
gruppo in una stanza accogliente, con arredi gradevoli, comodamente seduti su
poltrone, con la possibilità di vedersi tutti, o al contrario incontrarsi in un'aula
anfiteatro, vasta e anonima, con le persone sedute in file parallele che fanno fatica a
guardarsi reciprocamente in faccia.
In molti dibattiti televisivi si cerca di riprodurre la situazione di un salotto, piuttosto
che di un'aula, per rendere più vivaci gli scambi d'opinione. Alcuni insegnanti
sensibili dal punto di vista psico- pedagogico cercano, proprio per creare climi
interattivi più caldi, di cambiare l'ordine dei banchi e di metterli in cerchio, in modo
che gli allievi possano vedersi e relazionarsi in modo continuativo.
Quando vengono svolti corsi di formazione di gruppo, una consuetudine ormai
ampiamente diffusa vuole che si lavori con le persone sedute in cerchio per
consentire che tutti vedano tutti, in modo tale che la comunicazione "circoli"
liberamente fra i componenti. Questi fatti così conosciuti da ognuno di noi sono stati
sottoposti a verifiche sperimentali: si è constatato, ad esempio, che gli individui
interagiscono più attivamente e si coinvolgono di più quando stanno intorno ad un
tavolo quadrato, in cui viene mantenuto costante il contatto visivo fra tutti, piuttosto
che seduti l'uno di fianco all'altro, in una situazione di
"allineamento", che impedisce la spontaneità degli scambi.
Non è solo la disposizione spaziale degli interlocutori a cambiare l'intensità della
comunicazione; anche lo stesso ambiente fisico in cui ci si pone
contribuisce a ravvivare o a spegnere la discussione.
In un esperimento i soggetti sperimentali dovevano svolgere un dibattito seduti sui
due lati di un tavolo rettangolare, che in un caso era situato in un grande anfiteatro
di circa 250 posti, nell'altro in una stanzetta che poteva contenere al massimo una
trentina di persone. I risultati mostrano che la partecipazione al dibattito è molto più
calda e intensa nella stanzetta, mentre nello spazio freddo dell'anfiteatro gli scambi
si rivelano più formali e meno partecipativi. Insomma, anche la tipologia
dell'ambiente spaziale influenza i processi comunicativi; per questo in alcune
associazioni la stanza delle riunioni viene arredata in modo da presentarsi come un
luogo piacevole, accogliente, non troppo disturbato da rumori. Infatti, lo stress
ambientale (rumori, temperatura inadeguata, spazio ristretto o troppo ampio, ecc.)
viene considerato come uno dei fattori che incidono sulla qualità della
comunicazione e della produttività di gruppo.
2.2 II conflitto
Nel modo di pensare comune, il conflitto quasi inevitabilmente rimanda a qualcosa
di negativo, che spezza l'armonia di un gruppo e che introduce divergenze se non
spaccature fra posizioni diverse. In realtà, è importante sottolineare fin dall'inizio
che vi sono conflitti distruttivi, che rompono l'equilibrio e la coesione del gruppo, e
conflitti costruttivi, che comportano attraverso la disamina e la negoziazione di
posizioni diverse un arricchimento e un'evoluzione positiva della vita di gruppo.
Il conflitto è, in ogni caso, una realtà sempre possibile in qualunque tipo di
gruppo. Per quali motivi? In linea di massima, possiamo dire che il conflitto si genera
per la situazione di disuguaglianza fra i membri, per quanto la disparità di
condizione sia un dato di base di tutti i gruppi che si strutturano nel tempo e in
qualche misura necessario perché l'insieme possa funzionare. Abbiamo visto, infatti,
che nella struttura del gruppo vi sono posizioni differenziate, sia per quanto riguarda
lo status, sia per quanto riguarda i ruoli svolti. In altre parole, la disuguaglianza fra i
componenti è un elemento fondante della strutturazione e della relativa stabilità del
gruppo e nello stesso tempo costituisce anche una permanente possibilità di
conflitto, in quanto le gerarchie e le differenziazioni non sono date una volta per
tutte e nella storia del gruppo possono presentarsi situazioni o eventi particolari che
sconvolgono gli assetti stabiliti e richiedono la ricerca di nuovi equilibri.
L'entrata di nuovi membri, l'uscita di altri, la variazione di alcune norme,
l'introduzione di nuovi traguardi da raggiungere, la salita nella cerchia di status di un
componente e non di un altro, possono rimettere in causa la stabilità del gruppo.
Pensiamo ad esempio cosa significhi per ogni scuola il continuo turn over degli
insegnanti, con l'entrata ogni anno di nuovo personale e l'uscita di altri. I nuovi
arrivati possono essere, ad esempio, insegnanti che hanno già una notevole
esperienza lavorativa, hanno consolidato nel tempo un proprio stile di ruolo,
provengono da scuole in cui il clima relazionale e normativo era piuttosto diverso da
quello della nuova scuola.
Questi nuovi insegnanti possono sentirsi in diritto di porsi in modo abbastanza
assertivo nei consigli di classe e nei consigli d'istituto, non ritenendosi dei "novellini"
del mestiere, mentre per il resto del gruppo essi sono dei neofiti piuttosto
disturbanti, che pensano subito a farsi valere e a conquistare in modo troppo
accelerato una certa credibilità e un po' di visibilità. Tutto questo può innescare delle
contrapposizioni latenti, delle divergenze più o meno strutturate, che possono più
tardi sfociare in conflitti manifesti.
Proviamo a vedere più in dettaglio quali potrebbero essere gli elementi che
scatenano il conflitto dentro al gruppo.
• Vi può essere il caso dell'accesso a risorse limitate; è la classica situazione della
competizione per cui solo ad alcuni membri viene dato un premio (che può essere
materiale o simbolico, come la stima e l'approvazione del leader) o un
riconoscimento per la propria prestazione.
• Un'altra possibile fonte di tensione (vicina alla precedente) è legata ad una
distribuzione ineguale delle opportunità fra i membri: alcuni hanno maggiore
spazio di iniziativa, oppure vengono concesse loro più risorse o sono più ascoltati o
si presentano come meglio attrezzati degli altri alle dinamiche sociali o sono più
"sponsorizzati" da membri interni ed esterni al gruppo; a volte sono "sponsorizzati"
dal capo stesso del gruppo, creando in tal modo delle disuguaglianze che creano
occasione permanente di tensione. Si tratta di situazioni che spesso si presentano
negli ambiti lavorativi.
• Vi può essere, poi, la disuguaglianza delle idee e delle opinioni rispetto a qualcosa
che è importante per il gruppo; si tratta di contrasti di opinione o di conflitti
intellettuali che sono sempre presenti nei gruppi, in quanto essi non sono mai delle
realtà totalmente omogenee e compatte. Nel caso delle decisioni di gruppo, ma
anche nelle routine quotidiane vi sono inevitabilmente delle divergenze nel modo di
concepire determinati problemi e nel delinearne soluzioni. Ad esempio, fra gli
insegnanti vi è spesso una notevole differenza nel modo di concepire il proprio stile
di ruolo, la propria autorità e la propria responsabilità verso gli allievi, e tutto ciò
costituisce una permanente ragione di conflitto.
• Oltre a questi aspetti, il conflitto può generarsi per la distribuzione ineguale del
potere interno, per cui alcuni membri mettono in discussione le graduatorie di
prestigio già consolidate e prospettano dei cambiamenti nella gerarchia di status. In
questo senso, può succedere che si creino tensioni interne per l'opposizione del
gruppo al proprio capo, che viene giudicato non adeguato al ruolo che ricopre. Ciò
può creare malcontento diffuso, demotivazione al lavoro, tensioni che vengono
scaricate su capri espiatori, soprattutto quando non è possibile agire la rivolta contro
la leadership per rispetto alle regole formali o per oggettiva impossibilità di
modificare la situazione.
Il conflitto è, dunque, una realtà immanente di ogni gruppo, proprio per le
differenze e ineguaglianze che lo caratterizzano; possiamo tuttavia sottolineare che
non tutti i gruppi lo affrontano nello stesso modo; vediamo i tre casi più evidenti:
> evitamento del conflitto : vi sono gruppi che si specializzano nell'evitare
sistematicamente il conflitto, anche quando è ormai vicino a scoppiare e sarebbe
necessario affrontarlo per l'equilibrio stesso del gruppo. Questo evitamento ha delle
conseguenze, in quanto produce demotivazione in una parte dei componenti,
affievolisce i sentimenti di appartenenza e di fiducia nei confronti del gruppo e può
avere ripercussioni sull'efficacia e il "morale" complessivo del gruppo;
> riduzione del conflitto : in questo caso il conflitto è già scoppiato e i membri del
gruppo (o almeno una parte di essi) cercano le strategie per ridurne la portata
destabilizzante. Una modalità può essere quella per cui il dirigente risolve d'autorità
la questione; questo modo può essere efficace se gli vengono riconosciuti carisma e
competenza da una larga parte del gruppo, ma se la leadership non ha queste
caratteristiche, il conflitto non si risolverà con questo tipo d'intervento. Altra
modalità di ridurre il conflitto può essere il ricorso a votazioni, che non è sempre
efficace perché spesso non si basa su di un autentico confronto di opinioni e di
posizioni reciproche, ma si fonda unicamente sulla dialettica maggioranza-
minoranza. Più produttive sono, invece, le negoziazioni che nascono dopo un'
approfondita disamina delle ragioni conflittuali, in uno scambio di conoscenze e di
informazioni;
> creazione del conflitto : in questo caso il gruppo crea intenzionalmente un conflitto
o lo acuisce. Questa situazione non è necessariamente negativa, anzi può produrre
innovazione e spinta a cambiamenti produttivi; vi sono autori che sostengono la
necessità anche nelle culture aziendali di opporsi all'omologazione e di "sfruttare"
produttivamente la diversità delle posizioni e opinioni.

È probabile che questi tre meccanismi vengano usati in momenti diversi della storia
di un gruppo. Ad esempio, in genere si attenuano le tensioni interne quando si è
vicini ad un'importante scadenza o a un confronto con un gruppo esterno. In un
gruppo di pubblicitari a corto di idee per il lancio di un nuovo prodotto, potrebbe
rivelarsi produttivo esaltare la divergenza e la conflittualità dei punti di vista per
arrivare ad una "trovata" creativa.
È possibile, anche, che i vari gruppi si specializzino in uno o l'altro dei tre meccanismi
che abbiamo evocato. Chi di noi non ha avuto l'esperienza di appartenere a gruppi
che sistematicamente evitano il conflitto? Pensiamo, ad esempio, ad un motivo
molto comune di conflitto nei gruppi, quello della divergenza di opinioni. Come
rilevano gli autori che si sono occupati di questo tema, in questo caso il modo per
evitare il conflitto passa attraverso delle tecniche di "controllo del pensiero", che può
avere due modalità: controllo del proprio pensiero o controllo del pensiero degli
altri. Nel primo caso, l'individuo non esplicita quello che pensa o cerca il più
possibile di avvicinarsi al modo di pensare degli altri; si tratta della tendenza al
conformismo presente in tutti i gruppi.
Nel secondo caso, possono essere usate varie tecniche per controllare il pensiero
degli altri e che, in buona sostanza, si riassumono in un uso abbastanza
manipolatorio delle discussioni di gruppo, quali: ridurre la durata degli interventi
"contrari", non dare la parola ai dissidenti, indire le riunioni quando si sa che non
potranno intervenire coloro che portano avanti posizioni divergenti, introdurre
regole restrittive nella discussione, dare un'interpretazione falsata del dissenso per
ridurne la portata eversiva ("in fondo, siamo tutti abbastanza d'accordo su..."),
adottare sistematicamente il compromesso.
Gli studiosi dei fenomeni di gruppo sottolineano l'importanza dello scambio
comunicativo autentico, in cui i membri sono in grado di reggere l'impatto delle
posizioni diverse e anche contrarie fra loro.
La vera discussione (che può anche sfociare nella controversia) permette di mettere
a confronto pensieri, conoscenze, esperienze pur creando in prima istanza
sentimenti di incertezza e disagio; da questo confronto, se non diventa polemica
personale fra alcuni membri, nascono delle riflessioni e curiosità conoscitive che
permettono una riformulazione del problema e la scoperta di soluzioni creative. È
chiaro che questi scambi impegnativi sembrano poco desiderabili perché richiedono
un apporto di energia e di coinvolgimento personali; inoltre, in termini di dinamica
di gruppo essi sono "costosi" perché prendono più tempo e creano un clima di
gruppo apparentemente disordinato e sicuramente più difficile da disciplinare.
Quando esiste una situazione di conflitto nel gruppo, è necessario che per poterla
gestire vi sia consapevolezza da parte dei componenti della difficoltà che si è venuta
a creare. Questa consapevolezza non interessa tutti i membri contemporaneamente
e con la stessa intensità; è possibile che alcuni componenti del gruppo ignorino a
lungo una situazione difficile, per vari motivi: difese percettive (il "non voler vedere"
la situazione), diversa distribuzione della conoscenza fra i componenti del gruppo
(alcuni hanno accesso più di altri alle fonti d'informazione), presenza di sottogruppi
che cominciano ad avere una vita sempre più indipendente l'uno dall'altro
all'interno del gruppo. A volte succede che lo stesso leader del gruppo ignori la
presenza di un conflitto già attivo da qualche tempo, magari proprio a causa del suo
comportamento eccessivamente favorevole nei confronti di alcuni componenti e
discriminante nei confronti di altri.
Oltre al problema dell'essere consapevoli della presenza di un conflitto, vi è un
divario fra tale consapevolezza e la capacità di gestire efficacemente e
creativamente gli aspetti conflittuali alla ricerca di soluzioni accettabili per tutti i
componenti. Spesso fra la presa di coscienza dell'esistenza di un conflitto e la
decisione di affrontarlo passa un tempo lungo, in cui i membri "fanno come se" non
ci fossero problemi (evitamento) nella speranza che le cose possano aggiustarsi da
sole. Tuttavia, l'evitare di far fronte ai conflitti crea, spesso, più problemi di quanti ne
risolva. Il tacere ed evitare diventano strategie alla lunga disfunzionali, in quanto
generano passività, inerzia, perdita di investimento o, anche, piccoli sottogruppi di
membri che si alleano in modo sotterraneo, magari solo per "sparlare" della
dirigenza e degli altri componenti.
La via di uscita da una situazione conflittuale di gruppo è, inevitabilmente, la
capacità di discuterne senza reticenze, accettando l'aspetto "costoso" di tale
operazione e il rischio di constatare che certe posizioni sono difficilmente
conciliabili. Moscovici e Doise sostengono che i processi di partecipazione
consensuale, in cui gli individui discutono liberamente col desiderio di confrontarsi e
di esprimere le proprie opzioni senza temere la censura e l'esclusione, sono
situazioni che rianimano qualunque dinamica sociale, introducendo il
coinvolgimento, l'investimento, il sentimento di appartenenza ad una comunità. La
partecipazione normalizzata è, invece, la situazione per cui l'accesso dei membri del
gruppo alla discussione è regolato dalla gerarchia esistente, dal grado in cui ciascuno
può esprimersi solo sulla base della posizione assegnata.
In questo caso, i contrasti si smorzano, le controversie sono mitigate, il che può
sembrare un vantaggio per tutti; tuttavia, in tali situazioni la reticenza (soprattutto
dei membri di status inferiore) diviene un elemento centrale e diffonde disagio e
ulteriore chiusura, il senso di partecipazione e il coinvolgimento si attenuano, le
soluzioni virano verso il compromesso piuttosto che verso il consenso, che è invece il
risultato di un accordo che nasce dall'autentico confronto sociale.
Non è sempre possibile scegliere fra partecipazione consensuale e normalizzata
nelle discussioni di gruppo e in particolare in quelle volte a chiarire conflittualità
interne; la scelta dipende dal tipo di gruppo (aperto, chiuso, formale, informale,
ecc.), dalle circostanze in cui un conflitto si palesa (durante il conflitto con un altro
gruppo, ad esempio, diviene troppo costoso affrontare i conflitti interni), dalle poste
che sono in gioco (se il gruppo deve raggiungere una meta importante, è probabile
che si soprassieda sulle conflittualità interne).
2.3 II gruppo-classe

La dinamica di gruppo è di fondamentale importanza allo scopo di un buon


insegnamento e, soprattutto, di un buon apprendimento. Senza la nascita di una
relazione di classe positiva, sarà inutile ogni riflessione sul come insegnare, come
costruire situazioni che consentano apprendimento, come procedere in maniera
efficace.

Per aver chiaro il concetto di gruppo è utile non soltanto operare delle distinzioni
sulla base di alcune caratteristiche proprie del gruppo stesso, che assumono più o
meno rilevanza a seconda del punto di vista che si assume, ma anche tener presente
che ogni gruppo ha una propria "anima".
Nella sua definizione più generale il gruppo è visto come "un insieme di persone
unite fra loro da vincoli naturali, da rapporti di interesse, da scopi o idee comuni
ecc...", definizione che però è incompleta in quanto non lascia intuire il "di più", non
lascia intuire che, come K. Lewin ha ampiamente dimostrato, un gruppo è più, o
meglio, è qualcosa di diverso della somma delle sue singole componenti. Quest'idea
ci porta subito ad operare una distinzione tra un insieme di persone casualmente
riunite e un gruppo nel quale si instaurano sentimenti di appartenenza e di
interdipendenza con gli altri membri. Questi sono, infatti, i fattori che permettono al
gruppo di avere un'anima, imprescindibile e in relazione con quella delle persone
che lo compongono.
Infatti affinché un gruppo sia tale, oltre ai già citati sentimenti, tra i suoi membri
deve aver luogo una integrazione e una soddisfazione dei loro bisogni e un certo
grado di connessione emotiva che porti le persone a identificarsi con il gruppo
stesso (De Grada, 2000). Per aver un quadro ancora più chiaro, ma non certo
esaustivo del concetto di "gruppo", è utile ricordare la classica distinzione fatta da
Coleey (1969) tra gruppi "primari" e gruppi "secondari", distinzione che tiene conto
del tipo di relazioni che intercorrono tra i membri. Un'altra caratteristica importante,
come abbiamo già visto, è la numerosità che ci permette di distinguere tra gruppi
"estesi" e gruppi "ristretti". Inoltre, secondo il tipo di azione e gli scopi prefissati,
possiamo ancora distinguere, ad esempio, gruppi di "terapia", gruppi di "auto-
aiuto", gruppi "sperimentali", gruppi "politici", "sportivi",
ecc...
Ulteriormente possiamo distinguere un gruppo sulla base del suo "livello di
organizzazione gerarchica e normativa", sul tipo di "rete di comunicazione" esistente
al suo interno, e sul suo grado di "permeabilità" verso l'esterno. Tutte queste
caratteristiche sono presenti, in misura maggiore o minore, in tutti i tipi di gruppo.

L'interazione delle parti è una condizione irrinunciabile nella scuola. È necessario


che i protagonisti della scena, che si ripete per circa 30 ore settimanali, conoscano
se stessi e chi recita con loro, le aspettative, i desideri, i problemi, i sogni, le paure, i
pregi e i difetti.
Bisogna che i vari soggetti coinvolti si accettino gli uni con gli altri, compreso chi è
visto come "diverso". Il gruppo cosi composto dovrebbe avere un obiettivo comune
riconosciuto da tutti i membri. È proprio quest'adesione agli obiettivi principali che
porta i soggetti coinvolti, in questo caso alunni ed insegnanti, ad impegnarsi per la
loro realizzazione. Ciascuno deve trovare il modo di esprimere le sue potenzialità ed
integrarle con quelle degli altri in modo da sviluppare anche un senso
d'interdipendenza con gli altri membri favorendo cosi il senso d'appartenenza al
gruppo. È importante che ognuno abbia la possibilità di esprimere ed affermare la
propria originalità e creatività facendo in modo che le differenze siano vissute come
complementari e non come inconciliabili. Il gruppo-classe rappresenta per il
bambino la prima struttura sociale dopo la famiglia. Quest'ultima però, spesso si
configura come una struttura rigida, che non permette scambi con l'esterno e nella
quale le persone si rifugiano nei momenti di difficoltà.
FAMIGLIA CLASSE
Discendente e
Discendente, dal
COMUNICAZIONE gerarchica da parte
capofamiglia ai figli
del docente,
Limitata più dal
PERMEABILITÀ Bassa o quasi assente
contesto

Dai 15 fino ai 30
NUMEROSITÀ Dai 4 ai 6 membri di solito
membri in alcuni
INTERDIPENDENZA Elevata Media

Tabella 1 II gruppo-famiglia e il gruppo-classe a confronto.


Queste dinamiche non dovrebbero invece instaurarsi in classe, dove i bambini
iniziano a fare esperienza della socialità e della loro capacità di relazionarsi. Il
gruppo-classe, inoltre, rappresenta la struttura di base attraverso cui
l'organizzazione scolastica persegue gli obiettivi istituzionali dell'acquisizione
sistematica e programmata di conoscenze ma costituisce anche l'ambito entro il
quale si manifestano bisogni di natura individuale, differenti da quelli istituzionali,
ad esempio il bisogno di avere amicizia, di conquistare prestigio o di scaricare
aggressività (Carli, Mosca, 1980).
Quest'ultimo aspetto, definito da Carli e Mosca come livello subistituzionale,
caratterizza profondamente il processo di socializzazione ed è spesso considerato
dagli insegnanti l'ambito all'interno del quale si manifestano problemi di relazione
tra gli alunni e tra gli alunni e il corpo docente. D'altra parte non sempre
l'insegnante riesce a cogliere correttamente la qualità e la quantità dei rapporti
interpersonali che si instaurano all'interno di una classe. Il gruppo di bambini dà a
ciascuno la necessaria sicurezza e costituisce un insieme funzionale le cui attività si
evolvono a partire dagli scambi tra i bambini stessi, dagli scambi tra questi è gli
insegnanti e attraverso i cambiamenti che gli alunni contribuiscono a suscitare
nell'ambiente Moreno, il fondatore della sociometria, individua nella differenza
esistente tra la percezione dell'insegnante e il reale status sociale degli allievi, la
causa che forse maggiormente incide negativamente nella costruzione di rapporti
adeguati e gratificanti tra alunni e docenti. (J.L. Moreno, 1943).
Quindi, un mancato riconoscimento ed una inadeguata esplicitazione dei bisogni
emergenti a questo livello può determinare una integrazione problematica e
disfunzionale del gruppo- classe, incidendo, di conseguenza, negativamente sul
processo primario dell'apprendimento.

Attraverso approcci comunicativi efficaci, il fine ultimo dovrebbe essere quello di far
sì che ciascun membro della classe si senta apprezzato e ben inserito,
indipendentemente dalle sue prestazioni scolastiche, dal suo aspetto fisico, dalla sua
razza, dal suo carattere e, al tempo stesso, bisogna fare in modo che egli sperimenti
nuovi modi di porsi in relazione alla persone che lo circondano in maniera aperta e
suscettibile di cambiamento. Utopia è forse la parola che molti potrebbero associare
a questa idea, ma credo che attraverso un lavoro di formazione specifico, che
valorizzi le risorse del gruppo e il potenziale insito in ogni persona, ciò è possibile.
A questo punto del discorso non si riesce a concepire una scuola in cui venga
trascurato l'aspetto relazionale. Alunni ed insegnanti vivono in aula, vi trascorrono la
maggior parte del tempo ed è assolutamente indispensabile che vi stiano volentieri.
Non possono esistere un pensiero e uno sviluppo cognitivo indipendentemente dal
contatto con i sentimenti e le emozioni sperimentate con i compagni e con gli adulti.
La qualità della scuola si misura dai modelli di relazione che vengono messi in atto
dagli insegnanti e dall'istituzione in tutte le sue componenti.
Una scuola ad hoc dovrebbe essere caratterizzata da un buon clima interno
impostato al rispetto reciproco e al dialogo, all'ascolto e a una collaboratività che
non esclude conflitti, ma ha la capacità di riconoscerli ed elaborarli per metterli al
servizio dello sviluppo e non delle forze regressive della mente. La scuola va intesa
come un "sistema di rapporti" che promuova la crescita e lo sviluppo delle persone e
non badi solo alle regole esteriori e formali. Le relazioni vanno improntate allo
sforzo di far fronte alle difficoltà piuttosto che a cercare di eluderle in maniera
illusoria. Si dovrebbero formare soggetti e gruppi che si muovano nella prospettiva
di lavorare insieme per individuare soluzioni di problemi e per dialogare. Cosi
facendo, il fine ultimo della scuola non è solo quello di trasmettere sapere e cultura
e introdurre gli individui nella società, ma anche quello di svilupparne le potenzialità
a tutti i livelli, quello emotivo-relazione compreso.
Il docente dunque, inteso come chi deve presiedere al conseguimento degli
obiettivi, ha il compito di gestire sia il contenuto professionale sia quello delle
relazioni. È in queste ultime che si manifestano spesso i problemi più difficili cui far
fronte. Il lavoro dell'insegnante non si esaurisce nel possesso di competenze
tecniche, ma implica una formazione personale mirata allo sviluppo di capacità
relazionali. Si tratta di sviluppare una sensibilità che consenta di riconoscere ed
entrare in contatto con i fattori emotivo-affettivi nel determinare il comportamento
umano e nel modo di apprendere e conoscere. Trascurando questo aspetto,
"paghiamo il prezzo di restare come siamo: giocattoli dell'economia, della politica,
del destino" (Winnicott, 1965).
Sapersi assumere la responsabilità emotiva della gestione educativa non vuol dire
perseguire una utopica qualità organizzativa e didattica. Un insegnante non deve
essere una figura ideale, perfettamente equipaggiata, ma un professionista che sa
apprendere dai propri errori, così come una buona formazione e un buon processo
educativo non sono quelli che formano soggetti che non sbagliano mai, ma persone
che sanno pensare e riflettere su quello che fanno. Forte non è colui che non cede,
ma colui che cede ed ha la forza di rialzarsi. Le capacità relazionali non sono
l'equivalente di un atteggiamento di comprensività paternalistica e buonista che
tutto tollera e niente punisce. Per l'insegnante significa fornire supporti conoscitivi,
tecnici ed emotivi e assumere un atteggiamento orientato a individuare le cause
oggettive e soggettive degli errori o delle mancanze, per correggerle dove possibile.
Non si parla di manipolazione degli altri, ma di contenimento, ovvero della capacità
di comprendere, capire. Il docente si pone come un interlocutore credibile, capace
di accettare l'atteggiamento a volte contestativi e provocatorio degli allievi ma
abbastanza forte da tenere loro testa.
In sintesi egli dovrebbe:

✓ gestire la complessità interpersonale e quindi presidiare il clima del gruppo di


lavoro;
✓ attivare la comunicazione nelle varie direzioni;
✓ negoziare i conflitti;
✓ favorire lo sviluppo di un contesto che soddisfi i bisogni fondamentali degli
alunni.

A questo punto è lecito chiedersi: "Quali sono i bisogni da soddisfare affinché i


bambini vivano con serenità il loro stare a scuola?" Ci vengono in aiuto alcuni lavori
di famosi psicologi.
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