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COGNIZIONE, MOVIMENTO, RIABILITAZIONE IN FISIOTERAPIA

Prof. Varalta Valentina 2 CFU Insegnamento: Fisioterapia in età evolutiva


esame scritto per tutti i moduli (non le va proprio bene che saltiamo dei moduli durante l’appello, preferisce ed è più contenta
se facciamo tutto assieme lo stesso giorno). Esame: tutti i moduli saranno scritti o a domande chiuse o domande aperte. Le
domande di questo modulo saranno aperte, 5 in tutto di cui ognuna vale 6 punti. Se fai metà insegnamento al primo appello,
tiene buoni voti per l’appello successivo.
LEZIONE 1 – 5/10/2022
PROGRAMMA:
- Teorie sullo sviluppo
- Lo sviluppo percettivo e motorio del bambino
- Lo sviluppo cognitivo del bambino
- Link percezione-azione nel bambino neurologico
- I disturbi prassici nel bambino: la disprassia
- I disturbi prassici nell’adulto neurologico
- I disturbi percettivi nel bambino: la dispercezione
- I disturbi attentivi e percettivi nell’adulto neurologico
- Interazione cognitivo-motorio nelle malattie neurologiche degenerative (la facciamo se abbiamo tempo)

TEORIE SULLO SVILUPPO


I tre grandi approcci teorici allo studio dello sviluppo sono:
- L’approccio comportamentistico (si richiama all’empirismo)  l’ambiente fa tutto
- L’approccio organismico (si richiama all’interazionismo)  via di mezzo che prende in considerazione
l’organismo con le sue peculiarità che vengono influenzate dall’ambiente
- L’approccio psicoanalitico  tutto dipende dai fattori genetici

All’interno del comportamentismo abbiamo tutto il filone del condizionamento classico e operante, in cui Skinner è
stato uno dei principali fautori di questa visione dello sviluppo.
Nelle teorie organismiche abbiamo visioni come quelle di Piaget e Vygotskij su cui ci concentreremo particolarmente
in quanto Piaget è considerato il padre dello sviluppo cognitivo del bambino descrivendo le varie tappe dello
sviluppo, lui si concentra su che cosa acquisisco ad ogni età, lui parla proprio di conquiste del bambino dal punto di
vista cognitivo.

Poi ci sono altre teorie più di tipo psicoanalitico come


quelle di Freud che vedono la centralità sull’organismo
e i fattori genetici.
Secondo l’approccio comportamentista, l’individuo è
un organismo docile e plasmabile, ovvero che si
modifica in base all’ambiente circostante e ai rimandi
che da questo ambiente circostante in base a dei suoi
comportamenti. Questo individuo viene visto come un
soggetto con una capacità illimitata di apprendimento,
quindi, se lo mettiamo in un ambiente ricco di stimoli potrà apprendere all’infinito visto che tutto arriva
dall’ambiente e non tanto da fattori personali/biologici. Il cambiamento non avviene dall’interno ma è l’ambiente ad
imporlo dall’esterno. Il bambino viene modellato e plasmato dall’ambiente in quanto tende a ripetere i
comportamenti che hanno avuto risultati positivi (rinforzi positivi) e ad eliminare i rinforzi negativi.  qui torna il
concetto di rinforzo positivo di cui abbiamo parlato al primo anno
Io ripercuoto un comportamento se questo ha avuto su di me effetti positivi, mentre andrò ad eliminare quei
comportamenti per cui l’ambiente mi ha dato dei rinforzi negativi.
Il comportamentismo come metodo di indagine si basa sull’OSSERVAZIONE, però è un’osservazione in cui lo
sperimentatore controlla molto la situazione.
Le due correnti che possiamo racchiudere all’interno di questo approccio sono il comportamentismo di Skinner, la
corrente più estrema detta anche comportamentismo radical, in cui lo sviluppo è una lunga sequenza di esperienze
di apprendimento. Secondo questo filone l’apprendimento può avvenire secondo un condizionamento classico
(approccio di Pavlov) e uno operante (approccio di Skinner). La corrente meno estremista e radicale si ispira alla
teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, il quale sostiene che l’apprendimento può derivare anche

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dall’osservazione senza che vi sia un rinforzo. I comportamentisti puri per constatare e definire che vi sia stato
apprendimento, devono osservare un certo comportamento nel soggetto, o meglio, si chiede al soggetto di fare degli
esperimenti, ovvero di interagire con l’ambiente; loro pensavano che se il soggetto sta fermo e non sperimenta e
non interagisce con l’ambiente, l’apprendimento non sarebbe avvenuto. La visione di Bandura, invece, dice che
l’apprendimento può avvenire anche con la sola osservazione. Es. per imparare a fare un puzzle guardo la mamma
che lo fa. Quindi, l’apprendimento secondo l’approccio di Bandura può avvenire anche senza rinforzo, mentre l’idea
più radicale del comportamentismo classico è che si apprende solo attraverso dei rinforzi.
L’approccio di Bandura è quello che più si avvicina alla realtà dell’apprendimento.

L’approccio organismico considera l’individuo come un organismo attivo che si autorganizza e che è teso a realizzare
le proprie potenzialità; quindi, parte dall’idea che l’organismo ha delle potenzialità, non è una tabula rasa ma è un
organismo con delle sue proprie caratteristiche e con delle sue proprie potenzialità che si possono o meno
sviluppare in relazione con l’ambiente. Il CAMBIAMENTO è quindi la caratteristica primaria del comportamento ed è
conseguente al continuo interscambio tra il bambino e l’ambiente.
Di per sé ogni nuova scoperta che fa il bambino non riflette né una disposizione totalmente innata, né l’influenza
totale dell’ambiente esterno, si parla di un’interazione tra questi due aspetti.
Sul piano metodologico, questo approccio prevede sia l’OSSERVAZIONE ma anche la SPERIMENTAZIONE con un
grado moderato di controllo, nel senso che non predispone un ambiente rigido e controllato, ma uno più libero.
L’approccio organismico va a confrontare bambini di età diverse per individuare i cambiamenti evolutivi che ci sono
tra le varie età partendo dall’osservazione dei rispettivi comportamenti (all’età x questo aspetto non è stato
osservato mentre all’età y si).
All’interno di questo filone i due studiosi più importanti sono Piaget e Vygotskij con approcci diversi.

L’approccio psicoanalitico è una delle teorie che vede la biologia come massima espressione (non è l’unica teoria ad
avere questo tipo di pensiero). Considera l’individuo come un organismo capace di attribuire dei significati a sé
stesso e al mondo; è come se avessimo già delle competenze innate.  l’organismo è determinato dalla sua storia
personale.
Il cambiamento è visto come l’esito di CONFLITTI INTERNI. Ad esempio, Freud parla degli stadi psicosessuali
(complesso di Edipo), in cui prevede che i bambini passino da queste fasi indipendentemente dall’ambiente esterno;
il complesso di Edipo prevede che il bambino si innamori del genitore di sesso opposto con la volontà quasi di
uccidere il genitore dello stesso sesso per godere appieno dell’altro genitore senza interferenze.
Lo sviluppo è un cambiamento qualitativo e procede secondo fasi.
Il metodo di indagine ottimale è l’OSSERVAZIONE CON MINIMO DI CONTROLLO e L’OSSERVAZIONE DELLA RELAZIONE
OSSERVATORE-OSSERVATO.

I periodi principali in cui si divide lo sviluppo da un punto di vista percettivo sono:


 Periodo neonatale  dalla nascita al 28° giorno di vita
 Prima infanzia  0-2 anni
Alla nascita e i primi giorni vede sfocato, a breve distanza e soprattutto stimoli in movimento.
A 2-3 mesi migliora l’acuità visiva e la sensibilità al contrasto.
 Seconda infanzia  2-6 anni
Sincretismo infantile
 Terza infanzia  6-10 anni
Superamento del sincretismo
 Adolescenza  10-18 anni

LO SVILUPPO COGNITIVO DEL BAMBINO secondo Piaget


Il padre dello sviluppo cognitivo è Piaget che diceva che “la conoscenza umana può essere considerata come un
organo della mente e l’acquisizione della conoscenza come un processo evolutivo”. “La conoscenza è adattamento e
si costruisce nella relazione individuo-ambiente.”
La sua idea è che alla base dei processi cognitivi ci sono gli “invarianti funzionali”, ovvero dei principi generali che
sottostanno ai comportamenti e agiscono in forma immutata durante tutto l’arco della vita. L’individuo non è
passivo rispetto alle influenze ambientali, né un veicolo di idee innate, ma anzi un attivo costruttore delle proprie
conoscenze.
Il bambino conosce perché ha delle predisposizioni/potenzialità che lo mettono in questa condizione, ma conosce
solo ed esclusivamente se sperimenta/osserva, ovvero se c’è un’interazione di qualche tipo con l’ambiente.
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Quindi Piaget definiva il bambino come uno “scienziato indagatore”  il bambino fa degli esperimenti con gli oggetti
e con gli eventi per vedere cosa succede. I risultati di questi esperimenti servono a costruire degli SCHEMI, ovvero
delle teorie su come funziona il mondo.
Il bambino si costruisce questi schemi in base all’interazione che ha con l’ambiente.
Piaget ha costruito le sue teorie osservando i suoi figli e si è interessato alla relazione tra lo sviluppo tradizionale del
bambino e quelle che sono le interazioni con l’ambiente.
Gli schemi che si creano da questa relazione sono delle rappresentazioni mentali che organizzano la conoscenza.
Nella prima infanzia ci sono gli schemi comportamentali o d’azione e poi nella seconda infanzia si sviluppano gli
schemi mentali che si sviluppano con la comparsa del pensiero logico e del linguaggio. Inizialmente, infatti, gli schemi
dell’infante si manifestano con delle azioni compiute con un oggetto (l’assuzione, la prensione..), mentre i bambini
più grandi hanno degli schemi che includono delle strategie di azione, dei piani e dei ragionamenti. Questi schemi si
sviluppano nell’interazione con l’ambiente attraverso i processi di assimilazione e accomodamento.

Lo sviluppo cognitivo secondo Piaget si realizza sulla base di 3 processi:


1. ASSIMILAZIONE  è il processo per cui si incorporano i dati dell’esperienza nei propri schemi
Ovvero, io ho già fatto un’esperienza e ho lo schema di come funziona quella cosa lì (schiaccio la paperella e
fa rumore); dopo poco faccio un’altra esperienza e quell’esperienza lì cerco di classificarla con lo schema che
ho già (lancio la palla e fa rumore)
2. ACCOMODAMENTO  gli schemi posseduti vengono modificati per essere adattati a nuovi dati
Ad esempio, colpisco la palla con lo schema di azione-reazione della paperella ma la palla non fa rumore;
quindi, modifico lo schema precedente dove non è solo colpisco l’oggetto e questo fa rumore, ma modifico
lo schema precedente con colpisco paperella e paperella fa rumore. Quindi, lo schema che mi sono creato mi
serve per avere un’aspettativa sull’effetto del nuovo comportamento che avrò. Potrebbe essere però che il
rimando che ho dall’ambiente non rientri totalmente in quello schema e che quindi quello schema debba
essere modificato creandomene in questo modo un altro.
3. ADATTAMENTO  è l’equilibrio tra assimilazione e accomodamento
Questi 3 processi garantiscono l’evoluzione delle strutture mentali.

Piaget ragiona per stadi, è una visione diversa rispetto ad altri approcci che ragionano su un contiuum. Ovviamente
anche lui riconosce il fatto che si tratti di un PROCESSO di apprendimento.
Lui identifica 4 tappe dello sviluppo cognitivo:
1. Stadio sensorimotorio  da 0 a 2 anni = infanzia
2. Stadio preoperatorio  da 2 a 7 anni = prima fanciullezza
3. Stadio operatorio concreto  da 7 a 11 anni = media fanciullezza
4. Stadio operatorio formale  da 11 anni all’età adulta = adolescenza

STADIO SENSORIMOTORIO (da 0 a 2 anni)


La risposta del bambino alla realtà è di tipo sensori-motorio. Il bambino reagisce a stimoli immediati (del qui ed ora),
non fa progetti e non si propone scopi. Il bambino non ha una rappresentazione interna degli oggetti, non possiede
immagini mentali né parole che possono essere manipolate.
Per il bambino non esiste il concetto di bottiglia, esiste la bottiglia in generale.

Questo stadio è a sua volta composto da 6 sotto-stadi:


I. Esercizi dei riflessi  0-1 mese
I riflessi sono delle reazioni innate e i bambini in questa fase si limitano ad esercitare questi schemi in modo
isolato uno dall’altro. L’accomodamento si manifesta quando il neonato fa degli sforzi per applicare lo
schema, ad esempio quando muove le labbra per cercare il capezzolo mentre prima semplicemente era in
grado di succhiarlo solo quando gli veniva messo in bocca. C’è il riflesso di suzione nel momento in cui viene
proposto il seno al bambino e si inizia a vedere un’evoluzione quando inizia a cercare il seno.
II. Reazioni circolari primarie e primi adattamenti acquisiti  1-4 mesi
L’infante inizia a coordinare le informazioni provenienti dagli organi di senso e inizia ad applicare due tipi di
schemi: le abitudini e le reazioni circolari primarie.
Un’abitudine è uno schema basato su un riflesso che diventa completamente indipendente dal suo stimolo
elicitante, cioè lo schema viene applicato in automatico.

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Invece la reazione circolare è un meccanismo di fissazione delle esperienze attraverso la ripetizione che
sfocia in un nuovo comportamento o schema d’azione. Se io faccio un’azione e ottengo un nuovo risultato
rispetto a prima, il bambino allora cerca di fissare questo comportamento per poterlo ripercuotere in futuro,
quindi per poterlo ripetere.
Anche qui c’è un’interazione tra assimilazione e accomodamento, cioè il bambino può agire in maniera quasi
automatica ma può anche integrare i propri schemi attraverso dei nuovi rimandi che ha dall’ambiente o dei
“rinforzi”.
III. Reazioni circolari secondarie  4-8 mesi
Il bambino inizia ad avere una coordinazione tra visione e prensione e inizio
ad avere anche un controllo della visione sui movimenti effettuati con le
mani. Il fatto che si inizia a sviluppare questo controllo visivo sulle azioni
motorie mi permette di acquisire nuove conoscenze del mondo rispetto a
prima. Imparano a capire quella che è l’azione-reazione 
IV. Coordinazione degli schemi secondari e applicazione in situazioni nuove  8-12 mesi
Dai comportamenti del bambino si vede che esso inizia a ragionare sullo spazio, il tempo, l’oggetto, la causa
e quindi questi concetti iniziano a costruirsi all’interno del bambino. I cambiamenti più significativi di questo
stadio riguardano l’intenzionalità, ovvero faccio una cosa con l’intenzione di; questi schemi che ha appreso
iniziano ad essere ricombinati in maniera coordinata e diretti verso delle azioni che sono a loro volta dirette
verso uno scopo.
Quando un bambino vuole raggiungere uno scopo applica gli schemi che già possiede, alla nuova situazione;
e qui torna il discorso che è stato detto, che se uno scopo viene raggiunto e il risultato è quello che ho, bene,
altrimenti inizia a modificare e arricchire lo schema precedentemente costruito.
V. Reazioni circolari terziarie e scoperta di nuovi mezzi attraverso la sperimentazione attiva  12-18 mesi
Il bambino esplora intenzionalmente le nuove possibilità con gli oggetti e prova a vedere qual è il risultato.
Ad esempio, il bambino potrebbe applicare 3 condotte che Piaget denomina in 3 modi particolari:
- La condotta del supporto: il bambino cerca di avvicinarsi un oggetto tirando la base su cui è questo
oggetto; quindi, in qualche modo ha capito che tirando la base si avvicina anche quello che ci sta sopra.
- La condotta della cordicella: usare una cordicella come se fosse un prolungamento dell’oggetto
- La condotta del bastone: utilizzare un bastone come un prolungamento del proprio arto; quindi il
bambino capisce che per raggiungere un qualcosa che non è raggiungibile attraverso il proprio arto, può
utilizzare una sorta di ausilio che diventa un prolungamento del proprio arto per raggiungere oggetti che
sono fuori dalla sua portata.
VI. Invenzioni di mezzi nuovi mediante la combinazione mentale  18-24 mesi
Qui emerge la funzione simbolica. In questo caso vi è l’invenzione di mezzi nuovi mediante la combinazione
mentale; il bambino non inizia più ad applicare degli schemi di attività, ma inizia anche ad avere degli schemi
mentali intesi come ragionamenti che fa indipendentemente dall’azione che fa per sperimentare cosa
succede.
In questo stadio emerge una delle conquiste che è la PERMANENZA DEL’OGGETTO, ovvero il pensare che un
oggetto continua ad esistere anche quando è fuori dalla mia visione (non esiste). Quando un oggetto viene
nascosto, un bambino di pochi mesi perde rapidamente interesse come se l’oggetto non esistesse; al
contrario, un bambino più grande, dopo la scomparsa dell’oggetto, lo cercherà attivamente, sembra che
l’oggetto esista anche se non lo vede.
Piaget, infatti, si basava sul fatto che il bambino continuava a cercare l’oggetto anche se non riusciva a
vederlo, in questo modo capiva che il bambino aveva appreso la permanenza dell’oggetto.
Più avanti vedremo quanto in realtà questa visione di Piaget è stata superata, nel senso che lui aveva stabilito che
certe conoscenze arrivassero in determinati momenti dell’infanzia molto più avanti rispetto a quelli che poi si è
scoperto essere più reali  caratteristica di tutti gli stadi

STADIO PREOPERATORIO (2-7 anni)


Il bambino inizia ad usare i simboli, inizia a rappresentarsi il mondo con parole, immagini, disegni e giochi; gli oggetti
iniziano a trasformarsi in altri oggetti, ad esempio usa la scopa come se fosse una spada, ci sono tutti quegli aspetti
fantasiosi tipici dei bambini. Emerge la capacità di ragionamento e qui inizia a vedersi chiaro l’egocentrismo e le idee
magiche rispetto a quello che succede nel mondo. Anche in questo caso ci sono 2 sotto-stadi:
I. Lo stadio della funzione simbolica  2-4 anni
In cui il bambino acquisisce la capacità di rappresentare mentalmente un oggetto non presente, ad
esempio la mamma esiste anche se non è presente con me in questo momento. Qui emerge
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chiaramente l’EGOCENTRISMO INTELLETTUALE che è un po’ un
limite per il bambino. Per dimostrare la presenza
dell’egocentrismo intellettuale, gli sperimentatori utilizzano il
compito delle tre montagne.
Il bambino si trova nella posizione A, mentre nella posizione B
viene messa una bambola e viene chiesto al bambino secondo lui
cosa riesce a vedere la bambola. Secondo Piaget il bambino non
è in grado di modificare la sua prospettiva e di conseguenza dirà cosa vede lui, non la bambola. Esiste
solo il suo punto di visto sia da un punto di vista materiale che da un punto di vista emotivo, secondo il
bambino “sto bene io, stanno bene tutti”. In sostanza il bambino non è in grado di mettersi nei panni
degli altri.
Come detto prima il bambino inizia ad avere una visione un po’ magica del mondo, e quindi la
“confusione” non è solo tra sé e gli altri, ma anche tra sé e il mondo; infatti, dal pensiero egocentrico
emergono anche dei pensieri più magici come l’animismo, il fatalismo e l’artificialismo.
L’animismo è credere che gli oggetti inanimati abbiano vita o qualità vitali (es. se cado sul marciapiede è
questo che mi ha fatto male.
Il fatalismo è il principio per cui si crede che tutti i fenomeni abbiano uno scopo, tutto avviene con un
senso, lo scopo è orientato a garantire la serenità nell’uomo (ad esempio la luna sorge per dirmi che è
ora di andare a letto)  riporta tutto su sé stesso
L’artificialismo che è la tendenza a credere che le cose siano state sempre e comunque costruite
dall’uomo, oppure da una certa divinità che si muove secondo regole umane (i laghi sono stati scavati e
le montagne sono state costruite)
II. Lo stadio del pensiero intuitivo  4-7 anni
Il bambino inizia a usare ragionamenti rudimentali e cercano risposte. La comparsa delle domande indica
interesse per il ragionamento e per la spiegazione della realtà.
Es. Perché si cresce? Che cosa ferma la crescita? Chi era la mamma quando tutti erano bambini? Perché
splende il sole?
Cerca di spiegarsi quello che gli succede attorno.
Questa fase nella realtà avviene attorno ai 2-3 anni, questo per sottolineare nuovamente come Piaget abbia in un
certo senso ritardato lo sviluppo del bambino rispetto a quello che si vede nella realtà

I LIMITI dello stadio preoperatorio è che si tratta di un pensiero preconcettuale e trasduttivo. Ad esempio, non sono
in grado di costruire le categorie, di elencare le proprietà che consentono di identificare i vari membri e di collegare i
vari oggetti secondo una certa logica. Per questo motivo Piaget dice che non sono in grado di effettuare dei
ragionamenti né deduttivi né induttivi (né dal generale al particolare, né dal particolare al generale). Quindi in realtà
le rappresentazioni mentali in questa fase vengono definite più precisamente da Piaget come dei PRECONCETTI
perché ancora non c’è il vero concetto formato e il tipo di ragionamento è la TRASDUZIONE ovvero passare dal
particolare al particolare, non riescono a generalizzare e nemmeno a staccarsi da una certa rigidità di pensiero.

Rigidità di pensiero che non è solo il pensiero è


incentrato su di me ed esiste solo il mio punto di vista
(egocentrismo), ma è anche un’impossibilità di
annullare o invertire mentalmente una serie di eventi o
trasformazioni; il bambino si concentra solo su cose
concrete, vedi ad esempio l’esperimento dei tre
recipienti.

A e B sono contenitori uguali, C è diverso. Davanti al bambino lo sperimentatore prende il contenitore B e riempie il
contenitore C con tutto il suo liquido. Poi chiede al bambino se l’acqua presente nel contenitore C è la stessa
quantità che c’era nel contenitore A?
Il bambino dice NO, perché lo vede più alto e da ciò deduce non si tratti della stessa quantità. Quindi questo tipo di
capacità che secondo Piaget compare nello stadio operatorio completo, è la
capacità di conservazione, ovvero la consapevolezza che una certa quantità
rimanga inalterata indipendentemente dalla forma fisica che gli si fa
assumere. Per capire questo è necessario fare un ragionamento di tipo
astratto, cosa che il bambino in questa fase non riesce a fare.
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STADIO OPERATORIO CONCRETO (7-11 anni)
Si sviluppa la capacità di conservazione e in generale il ragionamento logico sostituisce quello intuitivo nei casi in cui
può essere applicato a casi semplici e concreti. Quindi non esistono più esclusivamente il ragionamento concreto o
quello intuitivo singolarmente, ma esiste anche un ragionamento di tipo logico.
Le operazioni mentali vengono esercitate solo su oggetti ed eventi concreti, il bambino non è ancora in grado di
riflettere su nozioni astratte o ipotetiche; quindi, il bambino riesce a fare il ragionamento della conservazione, ma se
deve ragionare su qualcosa dove non c’è nessun elemento di concretezza come la morte, la vita, la religione, ecc..,
non ci riesce.
A questo punto compaiono i CONCETTI, non più dei preconcetti, come quello di CONSERVAZIONE e comincia ad
operare anche altre manipolazioni logiche.
Inoltre, è in grado di classificare gli oggetti e di ordinarli in serie secondo una sola dimensione, come la grandezza.

Con la CONSERVAZIONE si intende la capacità del bambino di


comprendere che certe caratteristiche di base di un oggetto
rimangono costanti anche quando l’oggetto di è trasformato
dal punto di vista percettivo. Ora con l’esperimento dei
recipienti il bambino è in grado di capire che la caratteristica
di base è rimasta uguale, in questo caso la quantità e il tipo di
acqua.

Il bambino a questo punto è in grado di classificare e ordinare le cose, in particolare avvengono le capacità di:
- CLASSIFICAZIONE  capacità di classificare gli oggetti in diversi gruppi in base a certi criteri e di individuare
la relazione tra i gruppi.
Es. divide le penne rosse da quelle blu ed è in grado di dirci che la relazione tra i gruppi è che cambiano
colore
- SERIAZIONE abilità di organizzare mentalmente gli oggetti/eventi sulla base di una proprietà
quantificabile.
Si tratta sostanzialmente di mettere in serie
Es. mettere in ordine dal più grande al più piccolo
- TRANSITIVITA’  capacità di ragionamento e di combinazioni logiche rispetto alle relazioni.
Es. il bambino è in grado di capire la proprietà transitiva, quindi se A>B e B>C allora A>C
- PENSIERO LOGICO  comprende le operazioni logiche concrete di reversibilità per inversione e di
reversibilità per reciprocità. Scompaiono invece l’animismo, il finalismo e l’artificialismo, quindi tutte le
caratteristiche del pensiero magico.

STADIO OPERATORIO FORMALE (da 11 anni in poi)


In questo stadio il bambino è capace di ragionare in termini puramente simbolici. Il pensiero è di tipo ipotetico-
deduttivo. Si interessa a speculazioni, al futuro e a problemi ideologici.

Il pensiero ipotetico – deduttivo è quel pensiero che permette di fare ipotesi e valutare se quelle ipotesi fatte
corrispondono a verità o meno. Quindi compio una serie di operazioni logiche su delle premesse ipotetiche e ricavo
delle conseguenze appropriate, sviluppo delle ipotesi. Una volta individuati i potenziali fattori coinvolti, il bambino
cerca di vagliarli in modo sistematico per verificare quali causano quel fenomeno, deduce il percorso migliore.
In questo caso si fa il test per valutare il pensiero operatorio formale: all’adolescente si da un pezzo di corda teso ad
un gancio con una serie di pesi; l’adolescente può scegliere la lunghezza della corda, il peso e l’altezza da cui si
rilascia il pendolo. Il compito consiste nello scoprire quali di questi fattori determina la durata di 1 oscillazione del
pendolo, cioè se gli dico che il pendolo deve oscillare per 1
minuto, quale di questi fattori determina l’oscillazione di 1
minuto? Quindi l’adolescente verifica ogni fattore in modo
sistematico, ovvero farà delle ipotesi con quelle che ipotizza
siano la giusta lunghezza della corda, il giusto peso e la giusta
altezza e successivamente verificherà se effettivamente questi
fattori permettono l’oscillazione del pendolo per 1 minuto
come richiesto.

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CONTRIBUTI DELLA TEORIA DI PIAGET
- I bambini sono pensatori attivi e costruttivi
- Il suo modo di osservare i bambini e di allestire situazioni sperimentali per scoprire come i bambini agiscono
e si adattano al mondo
- I bambini hanno bisogno di far calzare le loro esperienze nei loro schemi e contemporaneamente adattare i
loro schemi alle loro esperienze.
- I cambiamenti cognitivi avvengono più facilmente se il contesto è strutturato in modo da permettere un
graduale movimento al livello successivo più elevato.

Piaget diceva che lo sviluppo cognitivo è dato dall’interazione tra le potenzialità e l’ambiente, in qualche
modo ci sta dicendo che senza l’uno non può esserci l’altro e che quindi entrambe le cose sono importanti
per lo sviluppo cognitivo. Io posso avere un bambino con un sacco di possibilità innate, ma se non gli fornisco
un ambiente ricco lui non potrà svilupparle.
Il bambino deve essere sottoposto al linguaggio entro un tot di tempo perché lui ha questo tipo di
potenzialità dentro di sé (c’è uno sviluppo cerebrale in questo senso), ma se io metto il bambino in una
stanza insonorizzata e non lo faccio mai esporre al linguaggio, lui non lo apprenderà.
La stessa cosa vale per il movimento, nel senso che un bambino impara ad alzarsi da una sedia solo che ce
l’ha a disposizione, se si trova in una stanza vuota non imparerà mai questo tipo di movimento  quindi
deve essere un ambiente ricco che gli permetta di sviluppare al meglio quelle che sono le sue potenzialità.

CRITICHE ALLA TEORIA DI PIAGET


- Alcune abilità cognitive emergono prima rispetto a quello che pensava Piaget, altre capacità possono
emergere più tardi. Es. segni di permanenza dell’oggetto già a 3-4 mesi
Il grande errore di Piaget è stato l’approccio iniziale, in quanto aspettava nel bambino la comparsa di una
funzione per dimostrare la comparsa dell’altra competenza; quindi gli sperimentatori non hanno provato ad
osservare le azioni, ma ad osservare le espressioni facciali. Hanno messo i bambini molto piccoli davanti a
certe condizioni e posizionavano davanti a loro un oggetto per loro interessante…gli sperimentatori facevano
in modo che questo oggetto venisse ad un certo punto
nascosto attraverso una sorta di pannello che passava da
una condizione in cui lo stimolo era ben visibile ad una
condizione in cui lo stimolo veniva coperto.
Se per il bambino l’oggetto scompare nel momento in cui
non lo vede più, nel momento in cui la parete passa oltre, il
bambino non si stupisce perché tanto l’oggetto per lui non c’è più.
Se, invece, per il bambino l’oggetto pur non vedendolo esiste ancora, ritiene che questo tipo di evento sia
impossibile. Secondo Piaget il bambino in entrambi i casi non si sarebbe dovuto stupire, né che il pannello si
fermasse, né che il pannello andasse oltre, perché se è vero che non ha la permanenza dell’oggetto, nel
momento in cui l’oggetto non lo vede più, per il bambino cessa direttamente di esistere.
In realtà i bambini avevano due espressioni diverse: nel caso in cui il pannello si fermava, per loro era tutto
regolare; nel caso in cui il pannello andava oltre l’oggetto, loro si stupivano, perché era impossibile che il
pannello potesse superare l’oggetto. Quindi, in questo modo hanno dimostrato che esisteva la conoscenza
della permanenza dell’oggetto già attorno ai 3-4 mesi.
DOMANDA SULL’ESPERIMENTO DELL’OGGETTO CHE SCOMPARE LA FA SEMPRE!
- Piaget sosteneva la sincronia dello sviluppo, ma vari aspetti di un unico stadio non emergono tutti nello
stesso momento
- Alcuni bambini che si trovano a uno stadio cognitivo possono essere addestrati a ragionare ad uno stadio
cognitivo più alto.
- Cultura ed educazione esercitano influenze più forti sullo sviluppo rispetto a quanto pensato da Piaget. 
Piaget non aveva considerato che il bambino vive in un ambiente sociale (questo è più un’idea di Vjgotskij)

LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO VYGOTSKIJ


Vygotskij ha dato un’alternativa alla visione di Piaget, pur rimanendo nello stesso filone, proponendo un approccio
più di tipo socio-culturale. Il bambino non è vero che non sa fare certe cose, lui sa fare certe cose se tu adulto gli fai
vedere come si fa. Non è come pensava Piaget in cui si aspetta che il bambino riesce ad acquisire le capacità da solo.
Quindi esiste un’importanza fondamentale del contesto sociale in cui il bambino è inserito per l’apprendimento e per

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la costruzione delle conoscenze. Per Vigotskij era fondamentale la collaborazione e l’interazione sociale e le attività
socio-culturali.
Come un bambino si sviluppa dipende anche da quanto e come la società lo considera; ci sono delle società in cui il
bambino non viene inglobato all’interno delle attività sociali e questo bambino avrà bisogno di più tempo per
acquisire alcune capacità.

Secondo lui esiste una zona di sviluppo prossimale, infatti secondo lui i processi mentali superiori del bambino
vengono CO-COSTRUITI durante attività di condivisione con gli altri. In seguito, tali processi vengono interiorizzati dal
bambino e diventano parte dello sviluppo cognitivo.
Si fa uno SCAFFOLDING, quindi si costruisce una sorta di impalcatura, l’adulto mette le basi per permettere al
bambino di sviluppare prima quella determinata competenza; è il livello di supporto modulato sul bambino.
Quindi le interazioni sociali non sono semplici influenze, ma sono l’origine di processi
mentali superiori come il problem solving. Quindi secondo Vygotskij esiste un livello
prossimale e uno attuale. Il livello attuale è quello che ha sempre guardato Piaget, ovvero
quello che un bambino riesce a fare in autonomia senza nessun tipo di aiuto; nel livello
prossimale invece, il bambino riesce a dimostrare di avere una determinata competenza se
qualcuno lo ha inizialmente aiutato creando una sorta di base da cui partire. A questo
punto non esiste “sono in grado” o “non sono in grado”, esistono delle sfaccettature 
esiste “essere in grado”, esiste “essere in grado” tramite un aiuto oppure esiste “non
essere in grado”. Vigostkij ha aggiunto questo cuscinetto di mezzo parlando proprio di
Scaffolding.
LO SVILUPPO COGNITIVO SECONDO BRUNER
Bruner sostiene che qualsiasi processo mentale, incluso il linguaggio, abbia un’origine sociale e che la cognizione sia
influenzata dalla cultura.
Quindi in qualche modo si lega alla visione di Vigotskij; infatti, da un’importanza fondamentale all’adulto e
all’interazione che l’adulto ha con il bambino. Inoltre, parla di psicologia culturale, un tipo di psicologia che si
propone di interpretare i modi con cui la società e la cultura influenzano lo sviluppo individuale.

LEZIONE 2 – 13/10/2022
Bruner ha proposto che durante lo sviluppo il bambino passi attraverso 3 forme di rappresentazione:
I. ESECUTIVA  la realtà viene codificata attraverso l’azione. Questa rappresentazione esecutiva
caratterizza soprattutto il primo anno di vita ma in realtà continua anche dopo il primo anno di vita
anche se si affiancano altri tipi di rappresentazioni e continua ad essere utile laddove l’acquisizione delle
conoscenze deve avvenire attraverso il fare e l’eseguire. Es. andare in bici, lo devo fare, non è che solo
immaginandolo riesco a farlo
II. ICONICA  la codifica della realtà attraverso delle immagini che possono essere di vario tipo: visive,
olfattive, tattili, uditive. L’immagine in questo caso consente di evocare mentalmente una realtà assente
ma non di poterla descrivere verbalmente; quindi, io attraverso le immagini posso evocare quella che è
l’immagine della mamma visivamente ma anche per l’odore, la voce, ecc.
Solitamente questo tipo di rappresentazione il bambino non riesce ancora a descriverla ma solo ad
immaginarla, o meglio, non tutto può essere effettivamente descritto perché gli mancano le competenze
per poterlo fare. Nel primo anno di vita si affianca alla rappresentazione esecutiva ed è la più utilizzata
fino ai 6-7 anni.
III. SIMBOLICA  si codifica la realtà attraverso dei simboli. Quindi non si codifica la realtà solo facendo o
immaginando, ma dandogli delle caratteristiche più astratte e simboliche come ad esempio l’utilizzo dei
numeri, del sistema del linguaggio e della musica.

L’APPROCCIO DELL’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI (HIP)


Non è una vera e propria teoria dello sviluppo cognitivo come hanno sviluppato Piaget e gli altri, però è utile citarla
perché comunque si occupa sempre di studiare gli aspetti cognitivi, ma più che una teoria dello sviluppo cognitivo, è
un approccio allo studio del pensiero e della memoria attraverso una serie di metodi di indagine.
La HIP vuole capire come fa il bambino quando affronta un compito, quindi quali sono i processi intellettivi che il
bambino adotta e in che modo questi processi cambiano in funzione all’età. A differenza di Piaget che non parlava di
un contiuum, ma parla di tappe/fasi/stadi, quindi lo stadio antecedente questa funzione non c’è e lo stadio
successivo questa funzione c’è.

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In questo caso nell’HIP invece, pensa che certe competenze ci
siano fin da subito ma che si sviluppino e accrescano a livello
quantitativo più che qualitativo nel corso dello sviluppo. Quindi
c’è un cambiamento in funzione all’età ma non c’è un emergere
di una funzione in base all’età, come invece era l’idea di Piaget.
HIP = approccio allo studio del pensiero e della memoria
Il suo scopo è capire cosa fa un bambino quando affronta un
compito, quali processi intellettivi adotta e in che modo questi
cambiano funzione della realtà.

Questo approccio utilizza una metafora che è il cervello come un computer  ritiene che la mente elabori e
manipoli le informazioni che arrivano dall’ambiente esterno, codificandole, ri-codificandole, combinandole,
conservandole e recuperandole dalla memoria nel momento opportuno (=in cui vi è la necessità). Per questo è un
approccio che vede lo studio del pensiero e della memoria, in quanto le informazioni che ho acquisito vengono
tenute in memoria e successivamente vengono tirate fuori in base alle necessità.

CONFRONTO TRA L’APPROCCIO DI PIAGET E LA HIP


L’approccio della HIP pone l’accetto sulla prestazione e non tanto sulla competenza del bambino; inoltre, vede i
cambiamenti dell’intelligenza come quantitativi e vede lo sviluppo come un processo continuo e non a tappe.
Questi aumenti quantitativi non generano tanto delle trasformazioni
qualitative e la natura dei processi cognitivi non cambia in funzione
all’età  la natura è sempre quella, è solo che c’è un aumento di quelle
acquisizioni e di quelle competenze
La HIP ha interesse di capire come si sviluppa l’intelligenza più che cosa
si sviluppa dell’intelligenza.
È proprio un’alternativa rispetto all’approccio di Piaget.

Tutte le teorie dello sviluppo, HIP a parte che non può essere definita
teoria dello sviluppo vero e proprio, condividono l’obiettivo di analizzare i processi e i meccanismi comuni a tutti gli
individui, però non si occupano di capire quali sono le differenze di potenziale tra i vari individui.
Si è iniziato a parlare in maniera concreta del fatto che ci possano essere delle potenzialità diverse tra un individuo e
l’altro tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 con l’approccio psicometrico.

APPROCCIO PSICOMETRICO
Tra la fine del 1800 e i primi del 1900 vengono ideati i primi test di intelligenza con l’obiettivo di individuare le
differenze individuali e/o il ritardo mentale. Nel 1905 infatti è stato elaborato il primo test per stabilire il QI grazie
alla scala di Binet-Simon.
Ancora oggi si utilizzano le scale del QI per definire il grado di intelligenza o l’eventuale ritardo mentale nella
persona. Questo è possibile farlo sia nei bambini che negli adulti con le rispettive versioni.
Il QI viene definito sulla base di un rapporto tra età mentale ed età cronologica (l’età mentale la mostro facendo il
test). Se l’età mentale corrisponde pienamente all’età cronologica, allora avrò un QI di 100, ovvero perfettamente in
media; se invece ho un’età mentale superiore rispetto all’età cronologica, allora avrò un QI che supera il 100; se
invece avrò un’età mentale inferiore rispetto all’età cronologica, avrò un QI sotto al 100.
Esiste un range di normalità che va da 85 a 115, quindi ci sono 15 punti di deviazione che stanno comunque nella
norma rispetto al 100. Se il QI risulta tra l’85 e il 70 andiamo in una situazione border inferiore; dal 115 al 130
andiamo in una situazione border superiore; agli estremi sotto al 70 ci sta il ritardo mentale mentre sopra al 130 ci
stanno i plus dotati.
I plus dotati molto spesso sono disgrafici, discalculi o disortografici, ma nonostante nell’immaginario comune si
pensa che questi soggetti siano inferiori agli altri, in realtà queste caratteristiche talvolta sono proprio caratteristiche
appartenenti ad un’intelligenza di tipo diverso.
Il QI è una scala molto lunga da somministrare, ci vuole circa 1,5/2 ore. Cerca di rilevare 2 tipi di capacità:
l’intelligenza verbale e l’intelligenza di performance.
L’intelligenza verbale è la più classica, quella appresa  prova di vocabolario, prova delle informazioni
Le prove di performance sono non verbali ma più esecutive/visive  prova di far costruire dei puzzle con dei cubi,
prova di costruire dei puzzle, far vedere delle immagini in cui manca qualcosa e chiedere cosa manca

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Ogni sotto prova parte dai livelli base, fino ad arrivare a livelli più alti. L’esaminatore ferma la prova quando il pz fa
un tot di errori. Le due prove vanno a costituire rispettivamente il QI verbale e il QI performance.

Solitamente ci sono dei profili psicopatologici tipici di QI, ad esempio tipicamente il pz con autismo ha un QI di
performance alto e un QI verbale basso.
Quindi, oltre a determinare se c’è o meno un ritardo e se c’è una lacuna su una specifica funzione piuttosto che su
un’altra, si riesce anche a fare un profilo che potrebbe corrispondere o meno a quella che può essere sospetto di
diagnosi del neuropsichiatra.
Solitamente il QI non cambia nel tempo, a meno che non incorrano delle patologie.

Attualmente c’è la scala Standford-Binet e la Wish per la valutazione del QI.


Si tratta di un approccio psicometrico proprio perché vengono fatti dei test validati e non ci si basa sulla sola
osservazione. Tante scale che si usano in psicologia sono proprio delle scale psicometriche.

CRITICHE AI TEST DI INTELLLIGENZA


Questo tipo di approccio è stato criticato in quanto l’intelligenza viene vista come una capacità unitaria e stabile, un
potenziale finito con cui l’individuo nasce e che rimane costante nel corso del suo sviluppo, non subisce cambiamenti
qualitativi né l’influenza di condizioni ambientali.  questo è vero ma ci possono comunque essere delle piccole
influenze esterne nel corso tempo
I test di intelligenza, inoltre, possono essere usati per discriminare i bambini meno dotati o quelli che appartengono
a culture minoritarie.
LO SVILUPPO PERCETTIVO E MOTORIO DEL BAMBINO
Si dice che ci sia uno sfasamento tra lo sviluppo percettivo e quello motorio, le due cose non procedono di pari
passo. Lo sviluppo motorio richiede più tempo anche in termini di quantità di cose. Infatti, un bambino che non sa
ancora camminare sa già fare un sacco di cose dal punto di vista cognitivo o percettivo.
Durante i primi 2 anni i bambini acquisiscono la capacità di sedersi, di mantenere la stazione eretta, di muoversi
nello spazio e questa viene un po’ come motricità grossolana perché questi tipi di attività coinvolgono i grandi
muscoli del collo, della schiena e degli arti. Parallelamente alla motricità grossolana, con un leggero ritardo, si
sviluppa anche la motricità fine che è legata alla mobilità degli arti superiori e alla manipolazione degli oggetti
(motricità perché coinvolge i piccoli muscoli delle mani e delle dita).
Le capacità percettive alla nascita sono simili a quelle adulte o lo diventano durante il primo ano di vita; mentre lo
sviluppo motorio richiede più tempo, i neonati hanno scarso controllo dei loro movimenti.

Il repertorio comportamentale del neonato viene descritto in termini principalmente di riflessi e di postura.
Dove per riflessi si intendono quei movimenti che possono essere provocati da uno stimolo esterno; la postura
invece è la posizione che il neonato assume e che assomiglia un po’ alla posizione che il neonato aveva in pancia.
Nelle ultime settimane di gestazione assume la posizione fetale che quando nasce permane per un tot di tempo. Ad
esempio, anche succhiarsi il dito è una cosa che il bambino fa già in pancia, oppure toccarsi l’orecchio.
Si tratta di movimenti che poi ci portiamo avanti.
C’è sempre uno stimolo esterno che stimola il riflesso del bimbo.

Il riflesso della prensione lo troviamo anche in un test


neuropsicologico che si chiama FABIT, test di screening per le
funzioni frontali, in cui vengono fatte strisciare le nostre mani sui
palmi delle mani del pz e se al paziente parte il riflesso di chiusura
delle mani, come a volerle stringere, è un brutto segno di lesione
frontale e quindi di demenza. Questo anche nell’adulto.
Per quanto riguarda il riflesso della marcia automatica, il bambino
lo ha anche dopo pochissime ore dalla nascita, anche se
ovviamente non è sufficiente per deambulare.

LO SVILUPPO MOTORIO
Per quanto riguarda lo sviluppo motorio, un po’ come per lo sviluppo cognitivo, c’è un’influenza tra quelli che sono i
fattori genetici e quelle che sono le influenze ambientali. Ad esempio, il bambino dai 7 mesi in poi potrebbe
camminare tenendosi ai mobili, ma se non gli fornisco nessuna sedi nella stanza, non ha la possibilità per sviluppare
questo comportamento.
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Creare un ambiente montessoriano con le stanze “attrezzate” a misura di bambino.

Lo sviluppo motorio avviene nei primi 2 anni di vita in cui conquista le principali abilità motorie:
1. Il bambino raggiunge una sempre maggiore mobilità che gli permette di
ampliare il proprio raggio d’azione ed esplorare un ambiente
progressivamente più vasto. Questo è molto importante anche per lo
sviluppo della percezione  il potermi muovere mi permette anche di
acquisire delle nuove conoscenze a livello percettivo (es. andare a
toccare una palla).
2. Il bambino conquista la posizione eretta, in modo da avere le mani
libere piuttosto che utilizzarle come appoggio o per camminare. Anche
questo permette di aumentare l’esperienza percettiva, perché se sono
impegnato ad utilizzare le mani per gattonare, non posso andare a sperimentare altri oggetti.

LE TAPPE DELL SVILUPPO POSTURO-MOTORIO


DA 0-3 MESI
- POSIZIONE PRONA  solleva energicamente il capo e lo tiene in posizione
mediana, tentando di afferrare i giochi che gli vengono posti di lato
- POSIZIONE SUPINA  mantiene gli arti semiflessi e flessi con tendenza ad
abdurli; le mani tenute preferibilmente chiuse, vengono aperte
spontaneamente e portate agli occhi o alla bocca
- POSIZIONE SEDUTA  controlla per un certo tempo il capo, lo volge verso la
persona che gli parla e dimostra di riconoscere la voce materna. Posizione
comunque difficile da mantenere e che lo infastidisce facilmente)

DA 4 A 6 MESI
- POSIZIONE PRONA  è capace di appoggiarsi su un avambraccio e di passare
alla posizione supina rotolando. Se aiutato è in grado di stare seduto
controllando il tronco più o meno lungo.
- Prende gli oggetti con il lato ulnare della mano (a rastrello) e li porta alla bocca
oppure li manipola e li passa da una mano all’altra.

DA 6 A 9 MESI
- POSIZIONE PRONA  riesce a mettersi seduto controllando bene l’equilibrio
del tronco. Alla fine del 9° mese se ha un sostegno raggiunge la stazione
eretta. Lo spostamento può avvenire strisciando o gattonando (il
gattonamento non è obbligatorio, l’importante è che il bambino raggiunga quello che gli interessa. Ci sono
bambini che saltano proprio questa fase e iniziano subito con la deambulazione)
- Predilige oggetti che utilizza per consolarsi, li porta alla bocca o li getta a terra.

DA 9 A 12 MESI
- Riesce a passare rapidamente da supino a prono, seduto, alla stazione eretta.
- È in grado di deambulare con base allargata aggrappandosi a dei sostegni
- Per rendere più stabile l’equilibrio abduce gli arti superiori allargando le dita

DAI 12 AI 18 MESI
- Compare la deambulazione autonoma, che progressivamente diviene più sicura, con
restringimento della base di appoggio
- Gli arti superiori vengono mantenuti prima sollevati, poi addotti lungo il corpo (marcia
a guardia alta, media e bassa)

DAI 18 MESI AI 2 ANNI


- Il cammino ha raggiunto un grado di automatismo simile a quello dell’adulto
- Inizia a correre e diventa progressivamente più sicuro
- Fa le scale in salita

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DAI 2 AI 3 ANNI
- Fa le scale da solo
- Salta
- Cammina sulla punta dei piedi
- Va sul triciclo, tira calci al pallone
- Afferra oggetti di piccole dimensioni e con la matita fa prima scarabocchi e poi linee. Questo perché a
manualità fine di cui abbiamo parlato prima, è ancora poco precisa.

DAI 3 AI 5 ANNI
- Diventa progressivamente più abile e coordinato
- Verso i 5 anni è in grado di camminare a tandem e stare su un piede solo
- Sul versante della motricità fine è in grado di usare costruzioni, è in grado di fare i primi abbozzi di un
disegno, di copiare figure geometriche e lettere in stampato maiuscolo

DAI 6 AGLI 11 ANNI


- Tra i 6 e i 7 anni lo sviluppo delle competenze motorie si completa, in quanto le regioni cerebrali che
regolano il movimento hanno completato il loro processo maturativo
- Successivamente migliora la coordinazione (cervelletto)

L’aspetto percettivo (capacità di percepire suoni, di elaborare stimoli tattili..) avviene prima rispetto allo sviluppo
motorio che è seguito dallo sviluppo cognitivo.
Lo sviluppo motorio si completa attorno ai 6-7 anni perché le regioni del cervello deputate alla funzionalità motoria,
in questa età dovrebbero essersi completate. Se pensiamo che il lobo frontale finisce di svilupparsi attorno ai 18-20
anni, si capisce come in realtà le competenze cognitive abbiano un excursus ancora più lungo. Infatti, Piaget diceva
che l’ultima tappa è nell’adolescenza, mentre qui l’ultima tappa è attorno ai 6-7 anni.
Quindi l’aspetto cognitivo è un qualcosa di ancora più complesso dell’aspetto motorio.

LA MANIPOLAZIONE
Si tratta di un’evoluzione del riflesso di presa. Intorno al primo mese di vita, il riflesso di presa che c’è stato fino ad
allora, inizia ad indebolirsi e scompare del tutto attorno ai 2 mesi quando il bambino comincia a sviluppare la
prensione vera e propria, la quale si differenzia dal riflesso di presa in quanto è sotto controllo volontario.
Lo sviluppo di questa capacità riguarda sia l’avvicinamento della mano verso l’oggetto, sia la prensione vera e
propria. Esistono 3 tipi di avvicinamento che corrispondono fondamentalmente alle articolazioni interessate che
sono: spalla, gomito e polso. All’inizio, per il processo dell’avvicinamento, il bambino intorno ai 5-6 mesi utilizza
soprattutto l’articolazione della spalla, successivamente inizia ad utilizzare l’articolazione del gomito e come ultima
articolazione inizia ad utilizzare la mano che gli permette di arrivare direttamente all’oggetto attraverso il grasping.
La percezione visiva ha un ruolo molto importante nell’afferrare gli oggetti (come nell’adulto).
Alla fine del primo anno di vita il bambino riesce a programmare la direzione del movimento anticipando la futura
posizione di un oggetto che si muove davanti a lui “prendendolo al volo”.

LO SVILUPPO MOTORIO
Ci sono differenze individuali nello sviluppo motorio  infatti, ogni bambino ha il proprio ritmo di sviluppo ed
impara diverse abilità scegliendo le abilità che meglio si adattano al suo stile di movimento e agli oggetti che di volta
in volta si pone davanti. Oltre allo sviluppo neurologico, c’è uno sviluppo dei fattori fisici, meccanici, ambientali come
le esperienze che il bambino fa e dei fattori psicologico-cognitivi come la motivazione o le sollecitazioni esterne.
Ogni bambino attua strategie di conquista delle specifiche abilità motorie con tempi e modi diversi.

LO SVILUPPO DELLA PERCEZIONE


Talvolta il comportamento del bambino non deve essere frainteso, ad esempio se un bambino sotto i 2 anni si
guarda allo specchio, lui non si riconosce, ma se noi reagiamo contenti, il bambino poi tornerà davanti allo specchio,
ma non tanto perché si riconosce e quindi per specchiarsi, ma perché vuole la nostra reazione di compiacimento.
Quindi noi tendiamo a dire che il bambino ha acquisito la capacità di riconoscersi allo specchio quando in realtà sta
rispondendo a tutt’altro, ovvero ad un rinforzo che noi gli diamo da fuori.

Per quanto riguarda la percezione, anche in questo caso c’è un dibattito tra natura e ambiente. Gli psicologi
contemporanei non credono che sia una questione “di questo” o “di quello”, ormai le visioni estreme non dipendono
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solo dalla genetica o dall’ambiente, ma ormai è chiaro che si tratta di un’interazione, perché lo sviluppo cognitivo,
percettivo e motorio è dato da un’interazione tra predisposizione genetica e l’ambiente circostante.
Infatti nessuno mette in dubbio che ci sia un’influenza nella genetica sulla percezione, ma anche dell’ambiente.
Il bambino è dotato di prerequisiti percettivi e cognitivi precoci che si sviluppano nell’interazione con l’ambiente. Il
bambino non è più un passivo recettore di stimoli ma attivo nell’elaborazione delle esperienze che elabora in base a
delle predisposizioni interne/genetiche.  non è la visione del bambino come una tabula rasa
Percepire significa fare un qualcosa in più rispetto agli stimoli provenienti dall’esterno; la percezione è
un’interpretazione sensoriale ovvero un’opinione relativa alle informazioni ricevuto e un adattamento del sistema ad
esse. La percezione è diversa dalla sensazione, infatti:
SENSAZIONE = effetto soggettivo ed immediato provocato dagli stimoli sui diversi organi di senso. Nella sensazione
siamo abbastanza passivi perché non c’è nessuno che stimola.
PERCEZIONE =processo attivo e dinamico di elaborazione degli stimoli sensoriali che riguarda l’analisi, la selezione, il
coordinamento e l’elaborazione delle informazioni.  Fare qualcosa in più con gli stimoli che vengono da fuori, non
si tratta semplicemente di riceverli e registrarli. Percepire significa dare un significato a questi stimoli e interpretarli.

 PERCEZIONE VISIVA
Il neonato possiede delle capacità funzionali visive ma il sistema visivo è ancora immaturo, ma di certo non riesce a
vedere il mondo come un adulto perché si tratta sempre di un processo di arricchimento  è un sistema ancora
imperfetto, infatti la macula lutea che è posta sulla retina è ancora immatura e impedisce la visione centrale
(pensandoci in pancia il bambino vive in un ambiente scuro che non gli consente di poter vedere colori differenti e
che in generale gli dà pochi stimoli). Intorno al primo mese inizia a manifestarsi una visione centrale migliore che
appare adeguata attorno ai 4 mesi.
Le fibre ottiche non sono ancora completamente mielinizzate, quindi anche la trasmissione degli impulsi visivi non è
così veloce; tuttavia, il bambino è già in grado fin dai primi giorni/mesi di vita di compiere i movimenti oculari, di
percepire stimoli luminosi, il buio e i colori.

Il bambino risponde molto al contrasto, come bianco-nero di una scacchiera, spirale…; ma in realtà non è tanto
attratto dal bianco-nero, ma piuttosto dai colori contrastanti come anche blu-rosso ad esempio. Quindi non è vero
che devo fare i contrasti solo in bianco e nero perché tanto i colori non li vede, è proprio il contrasto ad interessare e
attirare il bambino.
Per quanto riguarda il movimento degli occhi, il neonato possiede già dei movimenti oculari che sono:
- Movimenti coniugati  consentono l’esplorazione del campo visivo e sono più quelli sul piano orizzontale
rispetto a quelli sul piano verticale
- Movimenti di inseguimento  è in grado di seguire l’oggetto che si sta muovendo
- Riflesso pupillare  è presente alla nascita ma si inizialmente si manifesta solo con stimoli molto forti e si
perfeziona a partire dai primi giorni di vita. Il riflesso pupillare è la pupilla che si allarga e si stringe in base ai
cambiamenti di luminosità.
- Coordinazione e convergenza  sono indispensabili per la messa a fuoco. Se ho un occhio che converge e
l’altro che rimane fermo, ho una visione diclopica e non un’unica immagine che si fonde. Questi movimenti
sono fondamentali anche per la percezione della profondità che passa da 25 cm alla nascita fino ai 150 cm
verso i 2-3 mesi. Questo aspetto è funzionale alla vita del bambino.
La labilità attentiva (aspetto cognitivo) del neonato influenza molto l’aspetto visivo, perché questi movimenti
di inseguimento, questi movimenti oculari e la capacità di fissazione di un oggetto, sono influenzati da
quanto il bambino sta attento.
- Visione binoculare  un suo miglioramento notevole avviene entro i 3 mesi di vita, quando è in grado di
mettere a fuoco gli oggetti con entrambi gli occhi.
- Percezione cromatica  è presente nei neonati. Rispondono preferibilmente ai colori più saturi, rosso e blu,
che sanno distinguere indipendentemente dalla loro brillantezza. Inoltre, alla nascita è possibile discriminare
il rosso se viene messo a confronto con il verde o con il blu; quindi, in realtà c’è la capacità di discriminare i
colori ma dipende molto da cosa gli mettete in contrasto. A 3 mesi presentano una buona visione
tricromatica, quindi riconoscono e discriminano 3 colori. A 4 mesi la percezione cromatica assomiglia molto a
quella di noi adulti.

Il bambino ha un’ATTENZIONE FOCALIZZATA/SELETTIVA per alcuni elementi:


 Stimoli nuovi
 Stimoli grandi
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 Stimoli in movimento
 Stimoli curvilinei
 Contorni
 Stimoli strutturati
 Stimoli complessi

L’attenzione focalizzata è un parametro di valutazione per studiare l’attività cognitiva; infatti, la direzione dello
sguardo e i tempi di fissazione degli elementi sono indici di una condizione che determina l’apprendimento di
un’elaborazione tesa a immagazzinare informazioni (più rimango concentrato e sono in grado di fissare e prestare
attenzione ad uno stimolo e più è facile che io lo immagazzini). Ci sono delle differenze individuali nelle strategie di
elaborazione in bambini di 4 mesi. Prima degli 8 mesi ci sono 2 modalità di elaborazione degli stimoli:
 short-lookers: hanno tempi di fissazione brevi, analizzano gli aspetti generali degli stimoli e solo successivamente
gli aspetti particolari. Rimangono sullo stimolo per poco tempo.
 long-lookers: hanno tempi di fissazione più lunghi, fanno un esame più dettagliato e analitico di ogni particolare.
Indipendentemente dal fatto che un bambino sia uno short-lookers o un long-lookers, successivamente agli 8 mesi,
entrambi i gruppi iniziano ad adottare la stessa strategia degli adulti, cioè iniziano considerando prima la figura nella
sua globalità e poi in maniera analitica le componenti più rilevanti.

Tra gli stimoli che maggiormente attraggono i bambini c’è il volto umano. Anche questo ha un senso di
sopravvivenza, infatti io devo essere più attratto da un volto umano che non dai tratti di una tigre, perché il volto
umano mi fornisce nutrimento mentre la tigre qualcosa di molto diverso. La percezione del volto umano implica una
visione d’insieme delle sue caratteristiche che riproduce il volto umano, e non la scomposizione in singoli dettagli.
All’età di 2 settimane i neonati sono attratti da volti in movimento e a 5 settimane, tra 2 immagini dello stesso volto
ma con differente velocità di movimento delle pupille, il bambino preferisce l’immagine in cui il movimento è più
rapido. I volti he attirano maggiormente l’interesse del bambino hanno caratteristiche specifiche che sono:
- Nitidezza dei contorni, simmetria, complessità
- Movimento
- Regolarità dello schema del volto

Inoltre, c’è un ulteriore discriminazione, ovvero, va bene il volto rispetto ad un’altra configurazione, ma va ancora
meglio il volto di mia mamma, sempre per lo stesso scopo di sopravvivenza.
A 2 giorni dalla nascita i bambini preferiscono guardare il viso della madre rispetto a quello di una donna estranea.
A 4 giorni un neonato il neonato guarda più a lungo il volto di una madre rispetto a quello di un’estranea anche se si
presentano immagini videoregistrate.
Intorno ai 2-3 mesi i bambini iniziano ad imitare le nostre facce, riescono a discriminare un volto sorridente da uno
imbronciato  rispondono ai segnali emotivi. Oltre all’immagine, il bambino percepisce e sa distinguere anche
l’odore, il rumore (la voce)..e quindi il bambino ha una preferenza “automatica” per le cose che conosce e che gli
permettono la sopravvivenza.

COSTANZE PERCETTIVE E PERCEZIONE DELLA PROFONDITA


La percezione dell’ambiente resta stabile in base alle costanze percettive, cioè non è tanto importante vedere una
sedia rovesciata o una sedia in posizione canonica, per me è sempre una sedia indipendentemente dalle
caratteristiche fisiche e dalle sensazioni che mi arrivano in quel momento, io sarò in grado di percepire sempre una
sedia. Quindi la costanza percettiva mi permette di percepire gli oggetti nell’ambiente come variati e costanti
indipendentemente da quali sono le caratteristiche fisiche in quel momento.
Esistono varie costanze:
 Costanza della forma: consente di percepire un oggetto come uguale anche se
presentato da angolature diverse
 Costanza della dimensione: consente di riconoscere che un oggetto è sempre lo
stesso anche se viene presentato a distanze diverse.

Esiste anche la percezione della distanza e della profondità che si manifesta abbastanza precocemente. A tal
proposito hanno fatto l’esperimento del “precipizio visivo” ideato da Gibson e Walk nel 1960, in cui emerge che dai 6
mesi il bambino non oltrepassa un certo punto se non sente salda la mano della madre e che percepisce la
profondità.

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Questo esperimento può essere attuato solo con delle competenze di base del bambino,
ovvero che il bambino deve sapersi muovere o gattonando o strisciando almeno.
In questo esperimento si riproduce un tavolo con una superficie in vetro in cui si creano
2 percezioni di profondità con la scacchiera che è uguale sia sopra che a terra e che
determina una visione diversa di questi scacchi sulla retina del bambino. La maggior
parte dei bambini tra i 6 e i 14 mesi era riluttante ad avventurarsi sul precipizio, mentre
fino ai 6 mesi non mostrano questa preoccupazione. Questo era un segno che i bambini
avevano sviluppato la capacità di percepire la profondità.
Molti studiosi ritengono che questa capacità sia in parte innata e in parte prodotta dalle
esperienze di vita.

Esiste la percezione delle forme, per cui un bambino fino ai 3-4 anni non riesce a combinare in un’unica struttura
percettiva i singoli frammenti di una configurazione complessa. Si parla di SINCRETISMO PERCETTIVO INFANTILE che
è il fenomeno per cui la percezione della struttura di insieme ostacola l’individuazione delle singole parti. Quindi
percepisco le cose in maniera sincretica, ovvero nella loro globalità senza essere in grado di andare ad individuare i
singoli elementi che costituiscono questa forma/elemento.
Alcuni esperimenti fanno vedere che i bambini sotto i 7 anni faticano e impiegano più tempo a svincolarsi dalle
strutture d’insieme, mentre con l’età queste capacità analitiche si affinano.

SVILUPPO DELLA CAPACITA’ PERCETTIVA


Anche in questo caso possiamo distinguere dei periodi dello sviluppo percettivo:
1. Periodo neonatale (0-1 mesi): alla nascita e nei primi giorni il bambino vede sfuocato, a breve distanza e
stimoli in movimento.
2. Prima infanzia (0-2 anni): a 2-3 mesi migliora l’acuità visiva, la sensibilità al contrasto e anche la capacità di
vedere oggetti posti a distanze maggiori.
3. Seconda infanzia (2-6 anni): in cui ha una percezione di tipo sincretico
4. Terza infanzia: in cui c’è il superamento del sincretismo
5. Adolescenza

La PERCEZIONE SINCRETICA ha a che fare una percezione “globale-indifferenziata”  fenomeno per cui la
percezione della struttura d’insieme ostacola l’individuazione delle singole parti.
Successivamente, inizia ad avere una PERCEZIONE ANALITICA  Adozione di una prospettiva reversibile, capacità di
esplorare il “tutto” per passare alle singole parti per poi tornare alla totalità. Consiste nell’esplorare le singole parti
ma o di esplorare le singole parti, o esplorare il tutto. Non permette la contemporaneità delle due cose. Questo c’è
attraverso la percezione sintetica (ultimo stadio)
La PERCEZIONE SINTETICA  riesco a percepire contemporaneamente sia la totalità che la particolarità.

LINK PERCEZIONE-AZIONE NEL BAMBINO NEUROLOGICO (con paralisi cerebrale infantile)


L’idea secondo Ferrari e Cioni, due studiosi italiani che da sempre studiano lo sviluppo disfunzionale del bambino in
caso di patologia, è che la percezione e l’azione siano interdipendenti, nel senso che la percezione permette
un’azione adeguata così come l’azione risulta necessaria per procurarsi adeguate informazioni percettive. Questa
visione tiene conto tanto degli aspetti visivi quanto di quelli motori.
Es. se voglio capire qual è la superficie di quella palla, è necessario che io abbia una buona capacità di azione verso
quella palla sia da un punto di vista di andare verso quella palla, sia dal punto di vista della manipolazione della palla.
Allo stesso tempo però ho bisogno di percepire dov’è quella palla per poter fare un’azione corretta verso la palla
stessa. Se io percepisco la palla ad una profondità non corretta, farò un movimento sbagliato per raggiungerla.
Quindi Berthoz e altri dicono che bisogna abbandonare la distinzione tra sensoriale e motorio e per questo lui diceva
che le frontiere tra sensazione e motricità dovrebbero cancellarsi.

Cosa succede nella disabilità?


LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE
Si tratta di una turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento, dovuta ad un’alterazione
organica e non progressiva della funzione cerebrale, per cause pre-peri-post natali, prima che se ne completi la
crescita e lo sviluppo.
Qui c’è un concetto chiave che distingue il bambino patologico dall’adulto patologico; infatti, nel caso del bambino
c’è uno sviluppo patologico, c’è un processo di sviluppo che viene alterato a causa di queste “cause” pre-peri-post
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natali. Nel caso del pz adulto cerebroleso, c’è uno sviluppo che si è completato in maniera normale e che ad un certo
punto vengono a mancare.
Si tratta di due cose molto diverse: in un caso c’è una condizione che non permette uno sviluppo normale delle
capacità, mentre dall’altro c’è uno sviluppo normale delle capacità e poi una perdita improvvisa (es.ictus).
 il cammino disfunzionale del bambino con PCI non è mai stato normale, aveva delle basi e delle potenzialità che
non gli hanno permesso uno sviluppo normale della funzionalità del cammino.
 il cammino del pz emiparetico è un cammino nuovo per il pz

Disprassia: sviluppo alterato della funzione prassica


Aprassia: perdita della funzione prassica a causa di un evento
Nel caso del bambino con sviluppo patologico si parla di dispercezione.

PARALISI: non è interpretata come un arresto, ma un diverso assetto di funzionamento di un SNC che continua a
cercare nuove soluzioni all’esigenza interna di diventare adatto e al bisogno esterno di adattare a sé stesso il mondo
che lo circonda. Quindi il bambino con PCI nasce con un qualcosa che gli manca che però cerca di farsi bastare per
poter vivere nel mondo esterno, e allo stesso tempo cerca di adattare il mondo esterno affinché sia funzionale a
quelle che sono le sue funzionalità.

CEREBRALE: termine da non ricondurre alla sola struttura (il cervello), ma da attribuire al concetto di sistema.

INFANTILE: connota la specificità della paralisi del bambino intesa come mancata acquisizione di funzioni,
contrapponendola alla paralisi dell’adulto come perdita di funzioni acquisite.

La PCI non è l’arresto di un processo, ma l’inizio di un processo inarrestabile che siamo comunque chiamati a definire
SVILUPPO, poiché è l’adattarsi del soggetto con la sua patologia al suo specifico ambiente di vita.

Basta il disturbo motorio a spiegare tutto il problema della PCI?


La definizione internazionale considera la PCI unicamente come una turba della postura e del movimento,
trascurando in modo oggi inaccettabile l’influenza esercitata dai DISTURBI PERCETTIVI e dai problemi cognitivi,
emotivi e relazionali sulla “natura del difetto” e sulla “storia naturale” di ciascuna forma clinica.
 lo sviluppo non riguarda solo lo sviluppo motorio, ma anche motorio, cognitivo e percettivo.
Quindi non si può distinguere una turba del movimento da quello che è un disturbo
percettivo/cognitivo/emotivo/relazionale.

EZIOLOGIA DELLE PCI


 FATTORI PRENATALI: ci possono essere alterazioni placentari, ittero nucleari, alterazioni cromosomiche,
malformazioni congenite, infezioni, sindromi neurocutanee, farmaci, alcool, sostanze tossiche.
 FATTORI PERINATALI: parto distocico, prematurità, distress respiratorio.
 FATTORI POSTNATALI: alterazioni metaboliche, traumi, infezioni, coagulopatie, emorragia endocranica.

Se subisco un trauma cranico a 1-2 anni, sono davanti ad un cerebroleso o ad una PCI? Pensandoci lo sviluppo a
questa età non è ancora avvenuto, quindi da lì in poi lo sviluppo sarà patologico; quindi possiamo farla rientrare in
una PCI.
LEZIONE 3 – 28/10/2022
LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE
L’idea è che c’è un’interazione tra gli aspetti motori e gli aspetti di tipo cognitivo e percettivo, al contrario di quello
che ritiene la classificazione tradizionale che la vede come una turba della postura e del movimento (come detto la
lezione scorsa), quindi si concentra esclusivamente su aspetti di tipo motorio. In realtà secondo la visione di Ferrari-
Cioni la PCI è l’interazione tra aspetti di percezione e di azione. Però la classificazione tradizionale solitamente
differenzia le varie forme di PCI in forme spastiche, discinetiche, atassiche o miste. Loro due, invece, cercano di dare
una classificazione diversa parlando di tetraparesi, diplegia ed emiplegia all’interno delle quali ci sono aspetti più di
tipo percettivo. Questa classificazione si basa sul presupposto che la PCI non vada considerata solo come
un’alterazione del tono muscolare o come un insieme di pattern motori patologici, ma come un problema di
organizzazione funzionale del bambino nella sua interazione con l’ambiente, perché è molto importante anche
l’interazione con l’ambiente circostante.

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La modalità di organizzazione è in relazione non solo con il disturbo motorio ma anche con le problematiche di altro
ordine come le problematiche cognitive, percettive e motivazionali. Quindi in qualche modo il disturbo motorio non
basta a spiegare tutto in questi bambini.

A livello neuropsicologico il profilo delle PCI può essere caratterizzato da disturbi del linguaggio, da disabilità
intellettiva (con il test del QI vengono definiti dei ritardati mentali con un QI<70), disturbi dell’apprendimento e
disturbi visuo-percettivi.
Nella visione di Ferrari e Cioni, la PCI viene vista come difficoltà negli aspetti motori ma anche percettivi. In
particolare, i difetti motori vengono divisi in 3 livelli:
1. I moduli: si tratta di singoli elementi motori preformati di cui si compone la motricità. Di per sé questi
elementi motori non hanno nessun significato ma se inseriti all’interno di una motricità più complessa
(azione), acquistano il loro significato e possono comporre le posture e i gesti di ogni possibile attività
motoria.
Nei bambini con PCI i deficit mostrati dal bambino sono commisurati alla perdita o all’alterazione dei moduli
motori, in particolare possiamo trovare una povertà e stereotipia dei movimenti oppure un eccesso di
movimento.  i bambini potrebbero continuare ripetutamente a performare sempre gli stessi elementi
motori in maniera stereotipata e in piccola quantità, oppure potrebbero avere una serie di elementi motori
che mettono insieme in maniera disorganizzata che producono un eccesso di movimento.

2. Le prassie: livello successivo in cui gli elementi motori vengono pianificati e organizzati tra di loro per creare
la sequenza del movimento necessario per realizzare una determinata azione. In questo caso si parla di
funzione prassica, il bambino che ha difficoltà con l’organizzazione e la pianificazione di questi singoli
elementi motori viene definito “disprassico”.
Nella PCI la disprassia incide nella gestione dei movimenti comunemente utilizzata durante le attività della
vita quotidiana (lavarsi, vestirsi, usare le posate,…) e per compiere gesti espressivi (destinati alla
comunicazione).
Così come succede per i pz aprassici, possiamo avere una disprassia ideativa o una disprassia ideomotoria:
- Disprassia ideativa  avrà a che fare con gesti transitivi che si fanno utilizzando degli oggetti. Es. fare la
moka del caffè per un adulto oppure utilizzare un pettine
- Disprassia ideo motoria  ci sarà una difficoltà nella sequenzialità e nell’organizzazione di questi elementi
motori, in gesti che sono intransitivi (non chiedono l’utilizzo di un oggetto) ma che hanno un significato
simbolico.

3. Le azioni: ovvero come il movimento viene organizzato cognitivamente per raggiungere uno scopo. Le azioni
hanno la caratteristica di avere uno scopo, tutto parte dall’alto (cervello). Infatti, nei pz neurologici la parte
motoria spesso va bene ma quello che manca è l’ideazione e la progettazione del gesto motorio.
Nell’attuazione delle azioni in ordine avviene:

Nella PCI la paralisi del bambino secondo la visione di Ferrari e Cioni è prima di tutto un disordine concettuale
dell’organizzazione cognitiva, emotiva e relazionale, cioè un problema di azione, e solo secondariamente un disturbo
di pianificazione (prassia) e dell’esecuzione del movimento (prestazione motoria).
Posso trovare dei bambini che hanno degli adeguati elementi motori ma che poi risultano prassici, quindi non è
necessario avere tutti i livelli compromessi, dipende dalle forme di PCI.

I DISTURBI PRASSICI DEL BAMBINO: LA DISPRASSIA


Come si costruisce una prassia?
 Il neonato non è già dotato di un magazzino di engrammi motori e visuo-cinestetici.
 Ciò che avviene è una costruzione e un aggiornamento progressivo dalla nascita fino all’età adulta di
questi engrammi.

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 Nell’individuo normale l’acquisizione di uno schema motorio progredisce attraverso stadi in cui il
movimento è controllato in modo attivo e accurato.
 I singoli movimenti devono essere prodotti lentamente prestando attenzione ad ogni singola azione. Es.
quando abbiamo imparato ad allacciare le scarpe non eravamo così veloci come lo siamo oggi, abbiamo
appreso quella che è una sequenza di passaggi motori che abbiamo affinato e organizzata, fino a farla
diventare una sorta di automatismo.
 Ciascuna azione deve essere selezionata e la sequenza deve essere assemblata e immagazzinata in
memoria.
 Con la pratica questa sequenza si consolida e diventa automatica
Qualche elemento di questa sequenza/schema non accade nei bambini disprassici!

La cosa fondamentale è di vedere la disprassia non tanto come una perdita di funzione, ma piuttosto come uno
sviluppo non normale/patologico di quella che è una funzione. Questa è la grande differenza tra aprassia e disprassia
e tra afasia e dislessia. (A è privativo, dice qualcosa che ora non c’è più e che prima c’era; DIS dice che c’è uno
sviluppo che non avviene in maniera canonica). Non è che il bambino non si sviluppa, ma segue un suo processo di
sviluppo, solo che questo non segue i canoni classici.

DEFINIZIONE DI DISPRASSIA
- La disprassia viene definita come un disturbo dell’esecuzione di un qualsiasi gesto o azione volontaria; è la
difficoltà a programmare, coordinare e controllare gli atti motori necessari a raggiungere uno scopo.
- Mentre l’aprassia viene intesa come assenza della funzione da perdita o da mancanza e si riferisce all’adulto,
in età evolutiva si preferisce il termine Disprassia, intesa come malfunzionamento, anomalia della funzione
da disfunzione.
- Il DSM-IV (manuale dei disturbi della salute mentali) e l’ICD-10 classificano la disprassia come un disturbo del
movimento. Questo è vero in parte, nel senso che dobbiamo capire cosa intendiamo per disturbo del
movimento perché in realtà la disprassia così come l’aprassia e in generale la funzione prassica, è molto
cognitiva che si manifesta attraverso una disorganizzazione dell’azione, ma appunto non è una turba
specifica del movimento come lo può essere ad esempio un’emiplegia o un ipertono.
La funzione non viene a svilupparsi in maniera completa perché c’è un processo alterato.

EPIDEMILOGIA ED EZIOLOGIA DELLA DISPRASSIA


La prevalenza è del 3-6 % della popolazione infantile tra i 5 e gli 11 anni. Il rapporto è di 3M: 1F.
Le cause possono essere la prematurità, la postmaturità, i problemi perinatali e il basso peso alla nascita.
La disprassia rispetto ad altri disturbi del bambino è più facile diagnosticarla prima. Questo è abbastanza intuibile in
quanto la dislessia, la disgrafia e la discalculia hanno bisogno che il bambino vada a scuola e che sia in una fase di
acquisizione di competenze linguistiche e di scrittura che prima non può avere. Mentre vede che un bambino è
disorganizzato nei movimenti o nell’esecuzione di alcune funzioni prassiche, lo possiamo vedere anche in bambini
più piccoli.

VARI TIPI DI DISPRASSIA


 Disprassia pura o primaria: non associata ad altra patologia e che non presenta segni neurologici evidenti.
 Disprassia secondaria: associata ad altre patologie e sindromi come PCI, S. Down, S. Williams.

La disprassia come l’aprassia può colpire diversi distretti dell’organismo, quindi posso avere: disprassia generalizzata,
verbale, orale, dell’abbigliamento, degli arti superiori, della scrittura, dello sguardo, della marcia, del disegno,
costruttiva. Posso avere difficoltà prassica in una o più di queste attività.

SEGNALI E INDICATORI DI RISCHIO


 Ci sono degli elementi che mi possono far sospettare che ci possono essere problematiche in questa funzione fin
dal 1° anno di vita. Ad esempio, si può notare dal punto di vista fisico e comportamentale una difficoltà di suzione,
problemi con il sonno, difficoltà nei cambi di posizione, ritardo nella prensione, difficoltà ad utilizzare la presa pinza e
continuare con una presa palmare.
Da un punto di vista prassico-motorio potrebbe avere difficoltà a fare le tappe dette precedentemente oltre che
avere alterazione o ritardo o assenza dei tratti linguistici così come quelli sociali e ludici. La lallazione è la prima
forma di comunicazione verbale del bambino, il bambino che si rivelerà disprassico potrebbe avere un’assenza di

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questo tipo di linguaggio. Oppure potrebbe non utilizzare i gesti, avere una scarsa manipolazione di oggetti o essere
poco interessati per breve tempo.
 In età prescolare si potrebbero notare altre difficoltà e alterazioni dei tratti fisici e comportamentali come dei
tempi lunghi per svolgere i compiti che solitamente dovrebbero essere alla loro portata, delle facili rinunce, dei brevi
tempi di attenzione, difficoltà ad addormentarsi, difficoltà a saltare, salire le scale, non essere ancora in grado di
mangiare da solo, non riuscire a stare su un piede solo, mancato coinvolgimento degli AS durante la deambulazione,
difficoltà a stare in equilibrio sulle punte dei piedi, difficoltà ad utilizzare penne per eseguire scarabocchi, povertà di
vocabolario, nel gioco hanno difficoltà a fare cose di manualità fine come infilare i chiodini nei buchi.
 In età scolare si può notare una difficoltà di apprendimento più ampia come, ad esempio, la disprassia che si
identifica meglio nella disgrafia, quindi la difficoltà nell’utilizzo corretto della penna. Questi bambini non sono in
grado di dosare bene la forza sul quaderno e arrivano a fare dei buchi, non utilizzano bene lo spazio, non
mantengono la stessa grandezza del carattere, lentezza esecutiva, difficoltà con i numeri, difficoltà di copiatura dalla
lavagna, difficoltà grafomotorie e nel disegno. Sono bambini che potrebbero non aver ancora deciso se essere destri
o mancini, diverso dall’ambidestro.

I DISTURBI PECETTIVI NEL BAMBINO: LA DISPERCEZIONE


La percezione nella PCI
Come per gli aspetti motori, anche la percezione nei bambini con PCI può essere alterata.
La percezione è un’interpretazione sensoriale, ovvero un’opinione relativa alle informazioni ricevute e un
adattamento del sistema ad esse.
Sensazione ≠ percezione  nella sensazione c’è un’interpretazione, mentre nella percezione no
Per poter compiere in modo corretto un movimento bisogna disporre di una corretta informazione percettiva cosa
che risulta deficitaria nelle PCI.  qui torna il concetto fondamentale del link percezione-azione, ovvero che non
posso pensare di fare un’azione/movimento corretto in relazione ad un oggetto se io non percepisco quell’oggetto
alla giusta distanza, perché se ho la percezione di una distanza alterata, farò più o meno passi di quello che
effettivamente mi serve. Allo stesso modo avere una buona capacità motoria per avvicinarmi a quell’oggetto, mi
permetterà di aumentare la conoscenza di quell’oggetto da un punto di vista tattile ad esempio. Perché ad una certa
distanza ho percezione della sedia solo dal punto di vista visivo.
Quindi la percezione mi è fondamentale per poter svolgere la corretta azione, ma
anche l’azione per poter ampliare il mio “magazzino percettivo” di quell’elemento.
Per una corretta esecuzione del movimento sono necessari input sensitivi
appropriati; in mancanza di afferenze sensitive non è possibile alcuna esecuzione
motoria.

Ora andiamo più nello specifico di quelli che possono essere gli aspetti percettivi della PCI dopo aver parlato degli
aspetti motori all’inizio della lezione (moduli, prassie, azioni).
CI sono 3 livelli di difetto percettivo:
1. Le sensazioni: consistono nella capacità di raccogliere le informazioni di base. Sono definite come esperienze
soggettive associate ad uno stimolo fisico ed implicano la registrazione e la codifica dell’informazione
contenuta nello stimolo da parte degli organi di senso e delle vie neurali. Qui siamo prima della percezione.
Per il controllo motorio occorrono info di superficie o esterocettive (fornite dalla sensibilità tattile) e info
propriocettive (ottenute dalla sensibilità cinestesica, batiestetica e pallestetica). Tutte queste assieme alla
statognosia e alle info vestibolari, apportano informazioni di vicinanza, mentre le info di lontananza vengono
procurate dall’udito, olfatto e vista. Nella PCI si possono riconoscere alterazione della sensibilità in grado di
influenzare le prestazioni motorie del pz.

2. La percezione: è l’interpretazione di queste sensazioni ma ad un livello un po’ più alto. Infatti, è un processo
attivo e adattivo, integrato e complesso, attraverso cui la stimolazione sensoriale viene trasformata in
esperienza organizzata. La percezione del corpo che si muove e viene mosso è chiamata senso del
movimento. Il SENSO DEL MOVIMENTO è importante perché le info sensoriali contribuiscono a costruire una
rappresentazione interna del movimento, rendendo possibile un’anticipazione dell’azione e delle sue
conseguenze.
Il cervello attribuisce diverso valore alle info raccolte in base alla valutazione che fa dello stato generale e del
contesto in cui il corpo si muove e si trova. In base a questa valutazione che il cervello fa, esso da
l’autorizzazione o la negazione all’effettuazione del movimento.

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Anche qui in realtà si tratta di una parte che viene prima dell’esecuzione del movimento; effettivamente la
percezione è un qualcosa che viene prima del movimento, prima devo percepire dov’è quella sedia e poi
agisco  organizzo l’azione e poi agisco e, in base a come sono messo, capisco se può avere senso agire
oppure no

Nella PCI è stato riconosciuto il ruolo significativo del DISTURBO DISPERCETTIVO che condiziona la costruzione delle
funzioni motorie fungendo da decisore proprio per l’alterazione del senso del movimento. Il problema è che se
abbiamo un senso del movimento alterato, quello che succede è che probabilmente organizzeremo e agiremo nel
movimento stesso in maniera sbagliata e disorganizzata.
La dispercezione può essere considerata “un’illusione”, non è una percezione corretta della realtà perché se io
percepisco la sedia a 20m quando in realtà è a 2m, questo non mi permette di svolgere l’azione corretta, mi dà delle
implicazioni sull’azione e sul movimento. Questa “illusione” è prodotta da una frammentazione dello spazio e della
difficoltà di trovare coerenza tra i molteplici riferimenti corporei e le informazioni sensoriali. Perché quando
percepisco è fondamentale saper mettere assieme vari elementi e che questi si coordinino tra di loro. La
dispercezione viene anche definita come un’alterazione dell’interpretazione sensoriale che porta un’opinione errata
della realtà.

Il disturbo percettivo può essere:


- Sul tipo di percezione: quindi posso avere un disturbo nella percezione visiva
oppure in quella sensoriale
- Sul tipo di disturbo

Nella PCI possiamo riconoscere il differente comportamento clinico dei bambini che difettano di vigilanza percettiva
nei confronti delle informazioni deputate al controllo motorio o di altri che invece prestano un’attenzione eccessiva
e immotivata ad ogni nuova info e per questo che non si concentrano su niente (bambini “tirati su”) e di bambini che
sono intolleranti a situazioni percettive al di là di una certa intensità andando a compromettere la capacità di
muoversi (bambini “cado-cado”).
Quindi il bambino che si per sé non è in grado di mantenere l’attenzione su delle informazioni importanti per il
movimento, può essere definito bambino “tirati su”. È quel bambino che ha bisogno delle attenzioni dall’esterno
perché da solo non è in grado di utilizzare gli elementi interni ed esterni per gestirli adeguatamente e per mantenere
l’attenzione su questi elementi per poter in autonomia fare quelle cose che noi da fuori gli suggeriamo.

Dall’altro lato potrei avere dei bambini che non riescono a focalizzare adeguatamente le proprie risorse sulle cose
importanti ma tendono a prendere tutto con la stessa importanza oppure a perdersi degli elementi che sono
fondamentali.
Ci sono altri bambini invece per cui tutte le informazioni arrivano con la stessa potenza e sono travolti in un vortice
di informazioni e non riesco ad isolare le cose più importanti. Quindi questi bambini non riescono a tollerare tutte le
info che arrivano proprio perché arrivano con un’entità molto forte e quindi hanno una sensazione continua di
cadere anche quando sono distesi sul pavimento  definiti bambini “cado-cado”
Per loro c’è una frammentazione della presentazione dello spazio e delle difficoltà di trovare una coerenza tra vari
elementi che mi arrivano e una sensazione continua di vertigine. Qualsiasi variazione posturale o sollecitazione
interna o esterna, anche se modesta, risulta una minaccia intollerabile; infatti, avverte di perdere il controllo della
postura e pensa di precipitare in un mondo inarrestabile, percependo come in un incubo il proprio corpo disgregarsi
e disperdersi.
 nell’aspetto percettivo l’attenzione ha un carico importante e la capacità di fornire adeguato peso alle varie
informazioni, se alterata, può provocarmi o una difficoltà a concentrarmi sulle cose importanti, oppure una
esagerazione di tutte le informazioni che mi arrivano a livello di importanza.

3. Le rappresentazioni: o anche dette immagini mentali, cioè le mappe che costituiscono il destino finale delle
informazioni dopo che esse sono state raccolte ed elaborate attraverso l’esperienza.
La rappresentazione è un qualcosa che va oltre la concretezza, cioè me la sono costruita attraverso degli
elementi concreti, ma è un qualcosa di astratto. Ad esempio, la consistenza della sedia la conosco già ma
solo perché ho fatto spesso esperienza con quelle che possono essere delle sedie.
Queste mappe fanno parte del patrimonio delle memorie procedurali su cui si basano i meccanismi
anticipatori e vengono ogni volta riattualizzate nel corso del movimento stesso. Io so già che cosa mi aspetto
e questo mi permette di mantenere un certo tipo di movimento e di controllo.
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Nella PCI a livello di rappresentazioni mentali è possibile riconoscere la presenza di errori, il più tipico è
costituito nella negligenza. La rappresentazione mentale riguarda anche il nostro corpo.
Potrebbe avere il fenomeno della “mano esclusa”, ovvero non avere una rappresentazione mentale
adeguata di quello che è il suo corpo e quindi avere una negligenza su aspetti personali e di non inclusione
dell’arto nel movimento  quindi un fenomeno tipico che posso notare e che mi descrive un difetto al terzo
livello e a livello delle rappresentazioni è il fenomeno appunto della “mano esclusa”.

In questi bambini, per cercare di allenare e ridurre la “mano esclusa”, si può utilizzare il metodo della
costraint. Questa metodica si può utilizzare sia in caso di danno effettivo dell’arto, sia nel momento in cui c’è
un danno nella rappresentazione di quell’arto.

I DISTURBI PRASSICI NELL’ADULTO NEUROLOGICO


Aprassia = difficoltà o incapacità ad eseguire azioni apprese con l’esperienza (con o senza significato).
Molto importante sapere che questo disturbo di tipo neuropsicologico e cognitivo NON dipende da:
- Deficit motori, sensoriali, di coordinazione o di comprensione
- Deficit di orientamento spaziale
- Inerzia frontale, demenza, neglect

Può colpire entrambi i lati del corpo  non c’è lateralizzazione come succede con i deficit di moto.
È un aspetto da ricordare perché se ho un pz emiplegico che però ha anche aprassia, devo sospettare che l’arto che
io considero sano non sia necessariamente così tanto sano.
Solitamente è molto frequente nei pz che sono anche afasici perché l’emisfero interessato è sempre quello sx, ma
può presentarsi anche senza afasia nonostante la vicinanza anatomica delle aree corticali coinvolte nella gestualità e
nel linguaggio. C’è una specificità emisferica sinistra per la funzione prassica.

APRASSIA DEGLI ARTI può essere di 2 tipi:


 aprassia ideativa (da alcuni detta di utilizzazione): riconosce
l’oggetto ma non sa come usarlo (non sa cosa fare)  viene
diagnosticata richiedendo l’uso di oggetti o utensili
 aprassia ideomotoria: pur essendo in grado di pianificare la
sequenza di azioni, il paziente esegue il programma motorio in
maniera difettosa. (sa cosa fare ma non sa come farlo)  viene
diagnosticata richiedendo di effettuare gesti su imitazione

Secondo uno dei modelli teorici del sistema prassico, esiste una
COMPONENTE RAPPRESENTAZIONALE quindi una conoscenza
concettuale dell’azione che è più legata alla funzione ideativa
ed esiste una COMPONENTE CINEMATICA della funzione
prassica che è la capacità di programmare il movimento, quindi
la direzione, l’ampiezza, la velocità e questa riguarda sia la
componente ideativa che la componente ideomotoria.

Il modello di Liepmann sull’aprassia è stato ormai superato, ma da alcuni viene ancora


utilizzato. Liepmann parlava di 3 aree per la corretta esecuzione del gesto: posteriore,
intermedia e anteriore; definiva una funzione per ognuna di queste aree.
 Area posteriore o del PROGRAMMA MOTORIO: qui si va ad ideare il
programma motorio necessario ad eseguire quella azione.
In quest’area viene determinata la sequenza spaziale e temporale dei gesti che
devo andare ad eseguire ed è costituito da rappresentazioni visive delle
sequenze da compiere (solo in parte consapevoli). Come se avessi delle foto di
ogni passaggio.
 Area anteriore o del PATTERN DI INNERVAZIONE: si tratta dell’area che viene attivata nel momento in cui
devo effettivamente eseguire attivamente l’azione. Quest’area permette l’esecuzione del programma
motorio. La memoria di questo pattern è depositata nel sensorimotorio ed è l’insieme di engrammi
cinestestico-innervatori.
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 Area intermedia o AREA DI CONNESSIONE/IDEOMOTORIA: mette in comunicazione il programma
ideativo con l’esecuzione effettiva del movimento.

Il problema dove sta?


Le immagini mentali di un’azione sono create nelle regioni occipitali e trasferite poi alla regione motoria precentrale
per l’esecuzione motoria.
Un’inadeguata formulazione del programma motorio (una conoscenza che mi manca) porta all’aprassia ideativa,
mentre una lesione delle vie di connessione dove metto in ordine, programmo e organizzo queste informazioni tra le
aree post rolandiche e il sensorimotorio, determina l’aprassia ideocinetica o ideomotoria.

Un avanzamento di questo modello è stato proposto da Binkofski e Buxbaum nel 2013, si basa sul modello della
percezione, la via del dove, del cosa e del come. Anche in questo caso esiste una “via del cosa”, ovvero quella via che
è importante per recuperare informazioni relative all’oggetto (che cosa ho davanti); una lesione a questo livello nella
via ventrale da agnosia visiva che è un mancato riconoscimento dell’oggetto che abbiamo davanti. Questo perché in
quest’area ci sono le informazioni importanti relative all’identificazione di che cos’è quell’oggetto.
Poi abbiamo una “via del come” che è una via dorsale che ha a che fare con l’identificazione di dov’è questo
elemento, di come interagisco con esso, ecc.
Secondo questo modello, all’interno della via dorsale esistono 2 ulteriori vie: la via del “Grasp” e la via dell’”use”.
 la via del “Grasp” è la via dorso-dorsale che processa caratteristiche quali dimensioni, forma e orientamento
dell’oggetto che sono quelle caratteristiche che mi servono per afferrare l’oggetto adeguatamente.
 la via dello “Use” è la via dorso-ventrale ed elabora informazioni per l’uso di quello specifico oggetto, ha a che
fare con quella conoscenza concettuale dell’uso.

In questa evoluzione di modello, l’idea è che i pz con aprassia ideativa o di utilizzazione abbiano una lesione della via
dorso ventrale, quindi della via dello “Use”; mentre i pz con aprassia ideomotoria abbiano una difficoltà nella via
dorso-dorsale che ha a che fare anche con attività sia di afferrare che di imitare.
Un aspetto importante su cui focalizzarsi è che l’aprassia porta con sé un certo grado di disabilità, infatti rispetto ad
altri disturbi, nell’aprassia il contesto fornisce un cues che permette l’attuazione del programma motorio adeguato
 nel senso che si è notato che il pz aprassico non è in grado di effettuare un determinato gesto (segno della croce)
durante il test, MA può essere in grado di effettuarlo in situazioni contestuali facilitanti (in chiesa).

Per questo motivo tempo fa i ricercatori si sono chiesti che senso ha riabilitare questo tipo di pz visto che il lavoro
del riabilitatore verte sulla disabilità. Anche oggi ci sono dei professionisti che non trattano l’aprassia perché hanno
questa concezione forte di questa dissociazione automatico-volontaria. In realtà sono stati fatti molti studi in cui si è
visto che i pz aprassici anche nelle attività della vita quotidiana richiedono una maggiore assistenza come anche in
attività del pasto, oppure risultano più lenti nell’esecuzione delle attività ecologiche, fanno più fatica a recuperare le
autonomie nella vita quotidiana rispetto ai pz che non sono aprassici.

VISIONE VIDEO pz in studio e pz a casa sua: se ora seguiamo l’idea della dissociazione automatico-volontaria, nel
caso del video siamo in un contesto volontario in quanto ci troviamo all’interno di uno studio in cui la terapista
chiede al pz di utilizzare alcuni oggetti.  prova di aprassia ideativa

L’aprassia di utilizzazione ha a che fare con il richiedere l’utilizzo di un oggetto, ma in realtà questo aspetto è un po’
più complesso in quanto vede l’utilizzo dell’oggetto all’interno di un determinato contesto, quindi nell’attività
complessiva. È vero che il contesto aiuta, ma è vero anche che il contesto frega perché ci sono molti più stimoli e c’è
una sequenza he per usare ad esempio lo spazzolino in studio non c’è.

Il singolo frame del gesto viene, è l’azione che diventa deficitaria perché l’azione è fatta di un’organizzazione e di una
pianificazione. Quando la terapista gli fa prendere lo spazzolino, il pz sbaglia (così come fa nella maggior parte
dell’azione), ma quando arriva a prendere lo spazzolino, il pz non lo mette sotto l’acqua per poi metterlo in bocca,
ma fa un’altra cosa. Lavarsi i denti è un’attività ecologica e il pz aprassico ha difficoltà perché l’attività ecologica è
composta da molti elementi che devono essere organizzati correttamente, questo il pz aprassico non è in grado di
farlo, non riesce ad organizzare correttamente l’azione. Dalla visione del video si intuisce che il pz non sarebbe mai
riuscito a lavarsi i denti senza aiuto. Oltre al lavarsi i denti, un’altra attività ecologica è fare la moka: si osservano
perseverazioni, scorretto posizionamento degli oggetti, omissione di alcuni passaggi.

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Quindi è vero che il singolo gesto potrebbe essere elicitato dal contesto, il problema è che nella normalità non
facciamo il singolo gesto ma qualcosa di più complesso, un’azione appunto in cui dobbiamo mettere in ordine le
varie parti.
APRASSIA E STROKE
I pz con aprassia, al momento del ricovero, risultano meno indipendenti rispetto ai pz che non ce l’hanno.  la
riabilitazione è necessaria al fine di riprendere in parte l’autonomia. La presenza di aprassia compromette l’abilità di
vestirsi in pz con ictus. Uno dei metodi riabilitativi più utilizzati è un metodo che va ad allenare delle attività
ecologiche, cioè va a lavorare sull’aprassia durante attività di tipo ecologico (attività della vita quotidiana).

Solitamente durante la riabilitazione motoria dei pz, tendiamo a considerare come sano e come d’aiuto per il
recupero dell’arto patologico, l’arto controlaterale a quello lesionato. In realtà si è visto che anche questo arto
motoriamente integro ha una ridotta capacità nei pz aprassici.

In uno studio in cui sono stati valutati 30 pz con ictus, alcuni lesionati a dx e altri a sx, che sono stati valutati in fase
acuta, e 34 controlli sani. A questi venivano fatti varie valutazioni tra cui: la destrezza manuale, la forza e venivano
effettuati dei test cognitivi specifici anche sull’aprassia.
Quello che si vede è che rispetto ai pz sani, i pz con ictus presentano difficoltà di destrezza con l’arto sano.
Una cosa importante che si è osservata è che i lesionati a sx hanno una funzionalità motoria dell’arto sano che si
discosta enormemente da quella che è la normalità.
Quindi i pz con lesione sx presentano una difficoltà di destrezza manuale rispetto ai pz con lesione dx e che
presentano anche deficit aprassici; quindi, gli autori hanno correlato questi due aspetti, cioè la destrezza manuale
dell’arto sano è correlata alla presenza di aprassia. Questo ci torna a far dire che quell’arto che noi consideriamo
sano, proprio sano non è; nei lesionati sx sarebbe sempre importante fare una valutazione della funzionalità
prassica, perché un conto è che noi abbiamo davanti un pz emiplegico con un arto ipsilesionale totalmente
funzionante da un punto di vista della programmazione motoria, ecc.., un conto è che noi abbiamo un emiplegico
con un arto ipsilaterale aprassico, o meglio un pz che ha un’aprassia dell’arto ipsilaterale alla lesione.

Un’altra cosa fondamentale è NON valutare l’aprassia nell’arto plegico, non ha alcun senso perché non si capisce se
quello è un problema cognitivo o motorio. La stessa cosa vale per quei pz che hanno un problema di sensibilità, in
quell’arto NON va valutata l’aprassia perché questa deve escludere tutti i deficit sensori-motori.

Quindi se abbiamo un pz che ha una qualche compromissione a livello sensitivo e motorio anche lieve, l’aprassia va
SEMPRE valutata a livello dell’arto ipsilesionale, ovvero quello sano. Si può valutare anche nell’arto controlesionale,
ovvero quello malato, ma su questo arto non è possibile fare una diagnosi di aprassia. La diagnosi di aprassia si fa
solo sull’arto sano in quanto è quello pulito dal punto di vista sensoriale e motorio.

C’è un filone di studi di Mutha e collaboratori, in cui vanno a vedere le varie fasi del movimento. I pz avevano l’arto
malato coperto e utilizzavano l’arto sano, e veniva chiesto ai pz di raggiungere un target che vedevano. Quindi loro in
realtà non riuscivano a controllare visivamente il proprio arto e le traiettorie utilizzate per raggiungere i diversi
target venivano registrate. Sono stati osservati 3 tipi di soggetti: sani, lesionati a sx e a dx.
Quello che si vede è che le traiettorie nei controlli e nei non aprassici, sono sovrapponibili e hanno delle buone
traiettorie di movimento; mentre quello che si osserva nel pz aprassico sono delle traiettorie non così lineari,
soprattutto nella prima parte del movimento. Si tratta di un problema di programmazione che si evidenzia
soprattutto nella prima parte del movimento in cui la traiettoria è meno funzionale rispetto alle altre.
Gli autori dicono che nei pz aprassici vi è una difficoltà nel trasformare le informazioni visive estrinseche in comandi
motori intrinseci, cioè una povera coordinazione e una scarsa pianificazione del movimento.

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Ma i pz aprassici non hanno solo una difficoltà nell’esecuzione dei gesti e delle azioni e delle
traiettorie che possono essere meno funzionali rispetto ad altri soggetti, ma hanno anche una
difficoltà nell’apprendimento motorio.
Lo stesso gruppo di studiosi ha cercato di far apprendere delle sequenze di movimento e
quello che succede è che i pz aprassici, quelli sani e quelli non aprassici, hanno una riduzione
dell’errore, nel senso che diventano sempre più bravi ad affettuare la sequenza data per le
prime prove. Dopo un tot i pz non aprassici e i soggetti sani hanno una continua riduzione
dell’errore, continuano ad apprendere, sono sempre più veloci e più precisi, mentre i pz
aprassici si fermano, non sono in grado di apprendere ulteriormente.
Questo per noi che lavoriamo sui movimenti, le sequenze motorie e l’apprendimento
motorio, sono cose importanti da tenere in considerazione.

APRASSIA NEL PZ CON PARKINSON


L’aspetto dell’aprassia nei pz con Parkinson si vede abbastanza spesso, nonostante abbia altri aspetti motori di
bradicinesia, rigidità, ecc.

Visione di video: Pz con Parkinson ad evoluzione veloce della malattia.


La terapista chiede al pz di copiare un gesto che lei sta facendo. Si vede che nel pz il gesto non è fluido, è
perseverativo, non è preciso nel posizionamento della mano, non è preciso nelle singole parti del gesto, c’è una
lentezza esecutiva e una serie di errori abbastanza tipici. Al di là questo, emergeva anche un’aprassia
dell’abbigliamento, infatti quando gli chiediamo di chiudere la felpa con la zip, lui non ci riesce perché non capisce di
dover tenere una parte della cerniera fissa per riuscire a portare su la cerniera. Le mani non riescono a coordinarsi
tra di loro. Lui la teoria la sa, non è un aprassico ideativo ma è un aprassico ideomotorio abbinato ad un’aprassia
dell’abbigliamento. Motoriamente il pz ha un buon controllo, il problema è che è comunque disabile perché appunto
non riesce nemmeno a chiudersi la felpa.

METODI RIABILITATIVI DELL’APRASSIA


Non esiste una metodica precisa, ma ci sono 2 approcci più tipici che sono:
- Approccio compensativo: ha lo scopo di andare a compensare e vicariare la funzione compromessa
mediante strategie alternative di compenso. Ci fa raggiungere l’obiettivo facendo una strada diversa rispetto
a quella che è sempre stata utilizzata fino ad adesso.
- Approccio restitutivo: va a recuperare la funzione perduta riportandola quanto più possibile all’efficienza
premorbosa. Cerca di riaprire quella strada che è già stata danneggiata restituendo la funzione così com’era
prima.

Possono essere utilizzati entrambi gli approcci, dipende dalla fase di malattia e dal grado di aprassia del pz.
 fase acuta o sub-acuta: posso andare ad utilizzare l’approccio restitutivo visto che c’è una maggiore plasticità
cerebrale che possiamo sfruttare.
 fase cronica o successivamente ad aver tentato l’approccio restitutivo: posso andare ad utilizzare l’approccio
compensativo.
Nell’ambito cognitivo viene utilizzato molto di più l’approccio compensativo, nel senso che far ritornare una funzione
cognitiva che è danneggiata è molto difficile perché le aree cerebrali sono molto specifiche.
Poi comunque dipende dal tipo di disfunzione, nel senso che mentre per il neglect è più facile utilizzare un approccio
restitutivo, per la memoria o per i deficit visivi è più utile utilizzare un approccio di tipo compensativo.

STRATEGIE COMPENSATIVE DELLA RIABILITAZIONE DELL’APRASSIA (ma anche per altre funzioni)
Queste possono riguardare delle strategie differenti:
 Strategie compensative esterne: ovvero quando si usano ausili esterni per superare l’ostacolo. Es. se il pz
ha difficoltà a sequenziare le azioni, si mostrano fotografie raffiguranti le diverse fasi o step dell’attività
 Strategie compensative interne: ovvero quando si insegnano ad usare altre funzioni cognitive per
compensare quella deficitaria.
Es. si insegna al pz a verbalizzare (visualizzare) l’esatta sequenza di azioni mentre le esegue

Per capire la differenza tra le due strategie, nel primo caso pensiamo ad un qualcosa di non concreto che c’è dentro
la testa del pz, nel secondo caso ad un qualcosa di concreto che è fuori dal pz.

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Si riesce a spiegare bene questa cosa con la memoria; infatti, gli approcci per la riabilitazione della memoria che
prevedono delle tecniche compensative, possono utilizzare delle tecniche compensative interne come ad esempio
“memorizza la lista di parole utilizzando la strategia della categorizzazione”, oppure “memorizza la lista di parole
utilizzando la strategia di creare una storia”.
Un approccio compensativo con strategie esterne è “per memorizzare la lista delle parole scrivile in un foglietto e poi
vai a rivederla”, oppure “per memorizzare l’appuntamento usa l’agenda”.
L’idea della strategia compensativa è quella di portare le funzioni risparmiate a vicariare la funzione danneggiata 
trovare strategie di compenso

Una metodica riabilitativa che rientra all’interno della strategia compensativa è lo STRATEGY TRAINING, un tipo di
riabilitazione dell’aprassia basata sull’insegnamento di strategie utili per compensare la disabilità derivante dal
disturbo aprassico. Va ad allenare le ADL.
Lo strategy training solitamente viene applicato dai terapisti occupazionali perché è un approccio che avviene in
contesto ecologico.
L’aprassia in generale è una delle funzioni cognitive he sono maggiormente di interesse dei terapisti occupazionali,
proprio perché possono avere questo risvolto nelle attività ecologiche.

Lo strategy training si basa su 3 principi su cui porre l’attenzione:


1. Corretta selezione del piano d’azione e degli oggetti che mi servono per quella ADL
2. Corretta esecuzione dell’attività
3. Monitoraggio finale sia dei passaggi che di quello che ho fatto alla fine di tutto

Il pz con aprassia che viene trattato con questo metodo, potrebbe avere difficoltà in una di queste fasi, quindi spetta
al TO durante le ADL ad identificare in quale punto il pz ha difficoltà e allenarlo.

STRATEGIE RESTITUTIVE
Hanno lo scopo di far ri-apprendere le giuste modalità di svolgimento dei compiti utilizzando le funzioni
compromesse. Si insegnano al pz delle tecniche che hanno come obiettivo il raggiungimento del massimo recupero
cognitivo del paziente. La funzione perduta viene allenata per riportarla il più possibile a efficienza premorbosa.

Uno degli approcci che prevede la strategia restituiva è l’approccio proposto dal prof. Smania che si basa sul
riabilitare gesti di varia tipologia con un approccio appunto restitutivo.
Questo lavoro ha avuto poi un grande riscontro ed è diventato un punto di riferimento nella riabilitazione
dell’aprassia e alcuni lo hanno preso ed utilizzato anche integrando questa strategia restitutiva con delle strategie
più di tipo compensatorio.

Si tratta di un trattamento molto neuropsiologico e ha delle fasi ben precise.


A tutti i pz propongo una serie di gesti da effettuare e i gesti possono essere:
- Gesti transitivi, ovvero prove di utilizzo di oggetti
- Gesti intransitivi simbolici, come il segno della croce
- Gesti intransitivi non simbolici, come una sequenza di gesti qualsiasi
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Quindi vado ad allenare dei gesti ben specifici, non dei gesti
inseriti all’interno di azioni più complesse come attività della
vita quotidiana, e allenando i gesti transitivi segue varie fasi.

Gesti transitivi:
1. Prima di tutto alleno i gesti transitivi dando in mano
un oggetto al pz e facendogli vedere un video di come
si usa e gli dico di fare la stessa cosa mostrata in video.
2. Poi chiedo al soggetto di osservare il video senza
l’oggetto in mano e di fare l’imitazione senza avere
l’oggetto in mano (pantomima).
3. Infine, faccio vedere solo la fotografia dell’oggetto e gli richiedo la pantomima.
È pensato con un grado di difficoltà sempre maggiore.

Gesti transitivi simbolici:


1. Imitare un gesto visto in un video (fare autostop)
2. Imitare un gesto dopo aver visto una fotografia con il contesto uguale a quello del video
3. Imitare il gesto visto in fotografia con un contesto diverso dal precedente
Si chiede una sorta di generalizzazione sul gesto.

I gesti instransitivi non simbolici vengono allenati senza le varie fasi.


È un training molto ripetitivo in cui passo da una fase all’altra solo se il pz è riuscito a fare una percentuale di gesti
proposti corretta. È stato tenuto in considerazione perché è molto strutturato e preciso, e poi perché ci sono
stati dei buoni risultati nei pz in quanto si nota una riduzione del deficit aprassico.

LEZIONE 4 – 9/11/2022
I DISTURBI ATTENTIVI E PERCETTIVI NELL’ADULTO NEUROLOGICO
ATTENZIONE SELETTIVA E ATTENZIONE SPAZIALE
La prof non si è soffermata più di tanto sull’attenzione visto che l’abbiamo già vista al primo anno, ci lascia comunque le slide per ripasso.

Un aspetto su cui si vuole soffermare è che all’interno della selettività dell’attenzione esiste la capacità di selezionare
non solo un elemento ma anche uno spazio, quindi si parla di ATTENZIONE SPAZIALE.
ATTENZIONE SPAZIALE = capacità di selezionare aspetti particolari dell’ambiente, sia visivamente, che uditivamente,
attraverso l’utilizzo del paradigma del VISUAL SEARCH. La modalità visiva è la modalità con cui viene maggiormente
indagata questa funzione.
Ovviamente non c’è solo una capacità di dirigere l’attenzione su stimoli presentati visivamente, ma anche su stimoli
differenti; solitamente prima di tutto arriva l’attenzione che viene catturata da quello spazio in cui sta succedendo
qualcosa, e poi, se voglio elaborare ulteriori elementi, posso portare lo sguardo su quella cosa.
Si può porre attenzione spostando lo sguardo o il capo e focalizzando l’attenzione su particolari, ma è anche
possibile farlo senza.
Uno degli autori che ha studiato maggiormente questa funzione è Posner, il quale dice che il circuito dell’attenzione
spaziale è costituito da 3 step:
1. DISENGAGE
2. MOVE
3. ENHANCE
In pratica, l’attenzione da quando viene catturata da un movimento, al fine di
muoversi verso quella direzione, ha la necessità di potersi sganciare dallo
spazio in cui era concentrata per potersi muovere verso un altro spazio ed
agganciarlo.
Al fine di poter attuare adeguatamente la funzione dell’attenzione spaziale ed
elaborare adeguatamente a livello selettivo quello spazio, c’è bisogno che io
mi sganci dallo spazio in cui sono, che muova il mio focus dallo spazio 1 verso
lo spazio 2 per andare ad agganciarlo.
Secondo il modello di Posner, il neglect è stato spiegato anche come un

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disturbo di disegnare, quindi come una difficoltà di sganciare l’attenzione da uno spazio per muoverla verso un altro
spazio.

Sia che parliamo di attenzione selettiva sugli elementi che se parliamo di attenzione selettiva
su uno spazio, possiamo orientare la nostra attenzione in 2 modi fondamentali:
 Attenzione automatica (orientamento esogeno)  è guidata dall’ambiente e
non dalle intenzioni e dagli scopi dell’individuo. Meccanismo bottom-up.
 Attenzione selettiva volontaria (orientamento endogeno)  meccanismo che
entra in gioco quando bisogna affrontare situazioni nuove e richiede l’impiego
volontario di risorse di processamento. Meccanismo top-down.

Gli stessi meccanismi posso avvenire sia per gli aspetti visivi che uditivi.
Questi due meccanismi sono importanti perché è importante essere consapevoli che quando siamo davanti ad un pz
con neglect, è più facile che porti l’attenzione su di me se ci troviamo in un ambiente pulito, dove la mia voce è
quella che emerge e attrae la sua attenzione in maniera automatica.
Nel momento in cui gli chiediamo di utilizzare l’attenzione volontaria il pz fa più fatica perché dobbiamo sempre
pensare al neglect come un disturbo attentivo, poi se vogliamo specificare lo consideriamo un disturbo attentivo
visuo-spaziale. Questo perché risente del carico, è più difficile per il pz.

Il neglect non è un disturbo visivo ma di consapevolezza di quello che avviene in quello spazio!
Non è tanto un disturbo di rilevamento cosciente dello stimolo, perché se vado a chiedergli
dove vuole andare a vivere mostrandogli i disegni di due case dove una è normale e nell’altra
c’è del fuoco, il pz la maggior parte delle volte sceglie quella normale. Secondo gli autori il pz
elabora fino ad un certo punto la presenza del fuoco, ma che questa non arriva ad essere
elaborata in maniera cosciente; quindi, la sua corteccia occipitale funziona così come il nervo
ottimo, ma quello che non funzione è l’area parietale che è l’area deputata alla elaborazione
cosciente dello stimolo.

Visione video di un pz con Neglect: Si vede che il pz se lasciato da solo ha una tendenza a stare ruotato con il capo
verso dx, se produco una stimolazione verso l’altro lato il pz cerca di rivolgere l’attenzione a quello che avviene alla
sua sx, pur non riuscendo a superare a linea mediana.
In questo caso oltre a cercare di fargli ruotare il capo, sta cercando anche di fargli raggiungere uno stimolo visivo che
però lui non rileva. Quindi qui si evidenzia come il neglect non sia “un tutto o niente”, è un gradiente perché lui
comunque non riesce a prestare attenzione ad uno stimolo che è posto alla sua dx.
Nella prova per il neglect personale, viene chiesto al pz di raggiungere con l’arto sano l’arto controlaterale. Qui si
vede che non riesce a raggiungerlo, è come se non fosse consapevole del fatto che quella parte del corpo c’è e dove
si trova. Un altro tipo di prova è di chiedere al pz di rilevare degli stimoli sul tavolo, si vede come la deviazione che
prima in qualche modo riusciva ad essere ridotta perché arrivava fino alla linea mediana, adesso che la terapista si è
spostata verso dx, il pz si è deviato maggiormente verso lo spazio di dx.
Infine, gli vengono chieste le stesse prove di neglect personale ma con gli occhi chiusi, e senza le informazioni visive
che permettono l’orientamento dell’attenzione, il pz riesce a raggiungere l’arto controlaterale con maggiore facilità e
ha anche un orientamento più facile verso lo spazio di sx, pur rimanendo sempre negligente. Il fatto di togliergli
queste afferenze visive è come aiutarlo a togliere quell’attrazione magnetica verso lo spazio da cui non riesce a
sganciarsi.

Esistono tanti tipi di Neglect (personale, extrapersonale..), ma in particolare esiste un tipo


di neglect in base alle coordinate di riferimento che prendo in considerazione. Solitamente
siamo abituati a vedere il neglect come un disturbo in cui esiste una destra e una sinistra
rispetto al pz stesso, quindi tutto ciò che sta a sx e in parte anche a dx viene negletto sia
rispetto all’ambiente che rispetto a sé stesso.
Esiste poi un altro tipo di neglect che è più difficile da vedere in cui il pz non ha una deviazione posturale e riesce ad
esplorare bene sia ciò che sta alla sua dx che alla sua sx, il problema è che le coordinate di riferimento sono centrate
sull’oggetto; quindi, esiste una dx e una sx rispetto all’oggetto che sto elaborando. Questo tipo di pz riescono a
copiare le immagini a metà, quindi c’è un non completamento della parte di sx di ogni elemento, indipendentemente
da come questo elemento sia stato posto.

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Da questo punto di vista possiamo distinguere un NEGLECT EGOCENTRICO e un NEGLECT ALLOCENTRICO.
Neglect egocentrico  dipende dalla posizione dell’osservatore. Il pz, il
cui piano medio-sagittale è allineato con il centro del disegno, omette i
due alberi a sinistra e parte dei dettagli della casa.
Neglect allocentrico  dipende dalle coordinate dello stimolo. Il pz
omette dettagli a sinistra di alcuni oggetto (le foglie a sinistra degli alberi
e la parte sinistra del muro della casa).

Una delle prove più assodate che viene utilizzata è l’APPLE TEST per il neglect
allocentrico che non sarebbe rilevabile con il test delle campanelle. Infatti, con
il test delle campanelle posso rilevare se ha neglect egocentrico ma non
allocentrico (perché con questo test sembrerebbe non avere nessun tipo di
neglet). Il test delle mele è più sensibile al riconoscimento del neglect
allocentrico in cui il pz è come se negligesse la parte sx di ogni stimolo e quindi
negligendola vede la mela come intera anche se in realtà nel disegno ne
manca un pezzo.
È importante discriminare questo tipo di neglect perché questo risente poco
del trattamento riabilitativo rispetto al neglect egocentrico.

Ci sono delle forme miste (caso sotto) dove ho sia il neglect egocentrico che il neglect allocentrico. Queste forme
però, rispetto all’egocentrico e all’allocentrico singolarmente, non si vedono fin da subito ma emergono alla fine
della riabilitazione del neglect egocentrico che era stato osservato inizialmente, ed emerge come forma allocentrica.

Il neglect egocentrico risponde bene al trattamento, mentre il neglect allocentrico è difficilmente modificabile. Gli
studi ci fanno vedere che l’allocentrico risente poco del trattamento riabilitativo, solo che crea dei problemi perché
ad esempio per strada leggono i cartelli a metà, oppure non riescono a riconoscere le cose in casa perché appunto le
vedono a metà.

NEGLECT E RECUPERO DELL’ARTO SUPERIORE


Il recupero dell’arto superiore è influenzato dalla presenza di neglect.
Quando si parla di neglect esistono diverse componenti:
- Una componente percettivo/rappresentazionale: deficit di esplorazione attentiva dello spazio
controlesionale, reale o immaginato (neglect percettivo)
- Una componente pre-motoria: tendenza a non programmare movimenti verso lo spazio controlesione
(ipocinesia direzionale). Questo disturbo cognitivo che si riflette su una ipo-programmazione dei movimenti
verso il lato controlesionale, detta anche ipocinesia direzionale.
- Una componente motoria: tendenza a non utilizzare gli arti controlesionali pur in assenza di un deficit
motorio primario (neglect motorio).

Esempio di un caso clinico per farci capire come la valutazione con i test fatta dai neuropsicologi ha una sua valenza
e importanza, ma il tutto non può ridursi solo a questo perché il pz può farci capire quali sono le due esigenze e poi
bisogna programmare la riabilitazione in base anche a questi fattori.
A noi come riabilitatori non interessa la sola performance, ma ci interessa la performance nel momento in cui è
inserita in un quadro di disabilità; se la performance è deficitaria ma non presenta nessun grado di disabilità nella
vita di tutti i giorni, io posso anche non trattare il pz.

Sull’impatto del neglect sul recupero dell’arto superiore sono stati fatti molti
studi.
Presentazione di uno studio del 2014 che dice che questo disturbo
percettivo-attentivo, ha in realtà un effetto anche sul recupero di un aspetto
che con il cognitivo ha poco a che fare.
Sono stati valutati 100 soggetti con ictus, alcuni con neglect e altri senza, che
sono stati seguiti dalla fase acuta fino alla fase cronica. All’interno di questo
periodo per circa 3 mesi, questi pz hanno fatto un trattamento riabilitativo
per il recupero dell’AS. Non hanno fatto un trattamento neuropsicologico
specifico per il deficit eminattentivo.
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Le valutazioni periodiche venivano fatte con dei test cognitivi per il neglect e anche attraverso delle prove motorie,
in particolare sono state utilizzate la Fugl Mayer e il Motricity Index.
Quello che si vede è che i due gruppi hanno andamenti molto diversi.
Inizialmente, pur partendo da un grado di disabilità dell’AS sx simile, nelle prime 3 settimane mostrano un grado di
recupero abbastanza importante entrambi i gruppi. Questo grado di recupero, pur continuando ad esserci,
diminuisce dalle 3-7 settimane per i pz con neglect; continua in maniera esponenziale per i pz senza neglect.
La cosa più eclatante si osserva dalla 10° settimana in poi, quando viene concluso il trattamento. I pz senza neglect
continuano in qualche modo a modificare la loro performance motoria anche se in maniera meno esponenziale
rispetto alle prime settimane, mentre i pz con neglect non migliorano e addirittura sembrano peggiorare, perdono
quella funzionalità che avevano acquisito durante la riabilitazione.
Questo studio ci fa capire che a parità di condizione di disabilità, la presenza di un deficit cognitivo sul deficit
motorio, ha un’implicazione importante. Quindi ancora una volta non è possibile scindere gli aspetti motori da quelli
cognitivi, e non posso trattare i pz con deficit dell’AS con neglect nello stesso modo in cui tratto quelli senza neglect
(anche solo per l’ambiente riabilitativo).
 Quello che ci dice lo studio è che la severità del disturbo motorio dell’AS è associata alla severità del neglect
(neglect minore = minor capacità motoria).
 Il neglect interferisce con la velocità (recupero più lento) e la quantità di recupero (minor recupero) dell’arto
superiore.
 Tale interferenza è importante soprattutto nelle prime 10 settimane dall’evento (finestra temporale del recupero
spontaneo) mentre diminuisce con il passare del tempo.

La presenza di un disturbo eminattentivo ha il suo impatto anche su variabili che pensiamo non siano così tanto
importanti o associate al disturbo cognitivo. In un altro studio si vede come il Barthel Index nei pz all’ingresso e alla
dimissione, cambiano notevolmente tra i due gruppi. Il BI al’ingresso nei pz senza neglect è quasi il doppio rispetto ai
pz con neglect. Alla dimissione c’è un maggior recupero nei pz senza neglect, mentre i pz con neglect recuperano
meno. C’è un grado di recupero diverso tra le due tipologie di pz.
I tempi di ricovero dei pz con neglect sono più lunghi a parità di compromissione motoria rispetto agli altri pz,
mantengono anche il catetere più a lungo e mostrano più rischio di cadute.

Sul controllo posturale sono stati fatti molti studi e in uno di questi si è cercato di capire il livello di controllo
posturale valutandolo attraverso il Trunk Control Test, la Berg Balance Scale e altre, e come queste potessero essere
correlate alla presenza di un disturbo cognitivo quale il neglect, o alla presenza della sindrome della spinta.
Neglect e sindrome della spinta non sono la stessa cosa, verò è che però molto spesso i due disturbi si manifestano
assieme e quindi in questo studio hanno voluto vedere sia come il disturbo eminattentivo abbia un effetto sulla
capacità di equilibrio, ma anche come l’eventuale presenza di pusher syndrome possa avere un effetto.

La sindrome della spinta o pusher syndrome si manifesta quando si chiede al pz di mantenere la posizione sulla linea
mediana e il pz tende a spingere dal lato controlaterale alla lesione e più io cerco di oppormi a questa deviazione
cercando di raddrizzarlo, più il pz spinge.
Da questo studio è emerso che c’è un’influenza del neglect per quanto riguarda la capacità di mantenere l’equilibrio.
Quindi, la presenza di neglect incide tra il 25-28% con bassi valori della funzionalità di equilibrio.
Oltre alla presenza di neglect, un’ulteriore aggravante che riduce ulteriormente questa capacità di equilibrio, è la
presenza della pusher.

Uno dei tanti trattamenti proposti per la riabilitazione del neglect è il LIMB ACTIVATION. I maggiori trattamenti che
troviamo in letteratura per il neglect sono: il training visuo-esplorativo e il prism adamptation. Si tratta di due
metodiche molto cognitive e neuropsicologiche che vengono applicate solo dai neuropsicologi.
Un’altra metodi è appunto quella del limb activation. Questa si basa sull’idea che noi abbiamo una multipla
rappresentazione dello spazio e queste rappresentazioni interagiscono tra di loro per produrre un sistema di
riferimento di coordinate spaziali che abbiano senso.  secondo la teoria premotoria, nel senso che io sono in grado
di attivare contemporaneamente quelle che sono le coordinate personali, extrapersonali e peripersonali per creare
un’idea globale dello spazio in cui sono inserite. L’idea di attivare in modo coerente, significa che io posso andare a
muovere il braccio di sx nello spazio peripersonale di sx; questa attivazione cerebrale permette un’attivazione
cerebrale minima necessaria a ridurre il neglect.
Una delle ipotesi su cui si base la fisiopatologia del neglect è che ci sia uno squilibrio interemisferico (tra i due
emisferi), dove l’emisfero di sx (integro) prevale rispetto all’attività dell’emisfero dx (lesionato). Quindi, al di là del
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fatto che l’emisfero dx è molto importante per la distribuzione dell’attenzione spaziale, ho anche l’impossibilità per
l’emisfero di dx di poter lavorare alla funzionalità che gli è rimasta, perché comunque l’emisfero di sx crea in qualche
modo uno schiacciamento sull’emisfero controlaterale e si crea sempre un maggior disequilibrio e quindi va a
peggiorare il disturbo eminattentivo.
Attivare più aree cerebrali contemporaneamente nell’emisfero danneggiato, potrebbe aiutarmi ad avere quella
attivazione necessaria a contrastare l’iperattivazione dell’emisfero sx.

Quindi, l’attivazione dell’emisfero leso attraverso la limb activation, potrebbe modificare l’equilibrio interemisferico.
La presenza di deficit cognitivi influenza il recupero motorio e funzionale nei pz con stroke.

Esperimento sulla limb activation: Veniva chiesto al pz di camminare in una situazione classica e si andava a misurare
quanto deviasse il cammino verso dx, poi si chiedeva di fare lo stesso percorso, però chiedendo l’attivazione dell’AS
sx con l’apertura e chiusura del polso restando nello spazio peripersonale di sx.
Questa attivazione motoria dell’arto riduceva la devizione della traiettoria del cammino; da qui Robertson ha
dedotto che questa attivazione motoria potesse essere utile alla riduzione del disturbo eminattentivo.

Esperimento con guanto robotico: Terapia passiva in cui il guanto infilato al pz fa muovere l’arto. Su questi
macchinari non si possono mettere i pz spastici perché vanno contro resistenza.
Nell’esperimento è stato fatto un trattamento intensivo breve e il setting consisteva nel posizionare il guanto
sull’arto che deve essere stimolato e in uno spazio peripersonale dallo stesso lato.
Quello che si è visto è che successivamente alle 2 settimane di trattamento, il neglect si riduceva. Questo è andato a
confermare la teoria sotto alla limb activation, anche se è un’esperienza su pochi casi.
In questo modo si va ad agire sia sulle componenti motorie che su quelle cognitive.

È stato visto che il disturbo di attenzione selettiva, sostenuta e divisa, ha un impatto sulla capacità di equilibrio dei pz
e anche sul recupero di queste capacità, quindi meno un pz è attento e ha un’adeguata performance in quelle
funzioni, più manifesterà un disturbo di equilibrio. Disturbo di equilibrio che è stato visto a livello di Berg Balance
Scale, ma anche attraverso le immagini posturo-grafiche. Questo si vede sia negli ictus che nei parkinson.
Pz con deficit attentivi o in cui noi andiamo ad aggiungere un carico attentivo, hanno delle oscillazioni più ampie
all’interno della posturo-grafia; e questo poi andando anche incontro a maggiori numero di cadute.

ATASSIA OTTICA
Disturbo che può essere a cavallo tra aspetti motori e aspetti cognitivi. Si tratta di un disturbo neurologico della
coordinazione visuo-motorio che si manifesta nell’incapacità di raggiungere e afferrare stimoli visivi presenti nello
spazio controlesionale  deficit di uno stimolo visivo a livello motorio. Si manifesta quando il pz deve fare un’attività
di raggiungimento di uno stimolo visivo (se lo stimolo è uditivo, se non passa dalla visione di questo stimolo, questo
tipo di raggiungimento avviene).
Il pz è incapace di indicare o raggiungere con l’arto stimoli presentati per via visiva, mentre stimoli presentati in altre
modalità possono essere localizzati/raggiunti correttamente.

Questi pz hanno una lesione della VIA DORSALE, in particolare della giunzione parieto-occipitale laterale e mediale
 area coinvolta nelle operazioni visuo-spaziali, utilizza informazioni visive di coordinate egocentriche al fine di
programmare i movimenti di raggiungimento e prensione. È conservata la capacità di riconoscere l’oggetto (via
ventrale).

Visione di un video di paziente con atassia ottica: La pz è in grado di rilevare la presenza dell’oggetto, il problema è
che quando le viene chiesto di raggiungerlo, lei non lo raggiunge correttamente ma va sul naso della terapista.

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Il disturbo lo troviamo con certe condizioni:
- Di stimolo visivo
- Lo stimolo deve essere posto nello spazio controlaterale alla lesione
- Il raggiungimento deve avvenire con l’arto controlaterale alla lesione
- Lo sguardo deve essere mantenuto centrale, quindi la visione non deve essere periferica

Nell’immagine, il pz con lesione destra, deve raggiungere uno stimolo presentato


nello spazio di sx con la mano di sx. Si vede chiaramente che c’è un non
raggiungimento.
In tutte le altre condizioni il raggiungimento avviene adeguatamente.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Attraverso la visione di video di pz con problematiche diverse:
 DISMETRIA
 APRASSIA
 AGNOSIA VISIVA

 se le voglio chiedere quanto deve aprire la mano per prendere la bottiglia, lei mi risponderà che deve aprirla
poco. Però, in realtà, quando esegue il gesto davvero, ha un’ampiezza adeguata.

Questo diverso invece nell’atassia ottica, dove il pz ci mostra una dimensione corretta, ma nel momento in cui deve
eseguire davvero il gesto, la presa è scorretta.

Inoltre c’è una lesione di tipo diverso:


- Agnosia lesione ventrale
- Atassia ottica lesione dorsale

Nel caso del neglect, rispetto all’atassia ottica, è un problema


di esplorazione dell’emispazio controlesionale.
Con questo esempio di diagnosi differenziale capiamo come in
realtà in ambito neurologico c’è la necessità di effettuare
tante prove. Inoltre abbiamo visto come il test alle volte non è sufficiente ma bisognerebbe osservare il soggetto
nella sua quotidianità.

Le slide in più che troviamo ce le lascia per conoscenza ma non saranno argomento d’esame.

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