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Psicologia Dello Sviluppo - Riassunto libro

Psicologia Dello Sviluppo (Università degli Studi di Pavia)

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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO


Capitolo 1 – Che cos’è la psicologia dello sviluppo?
La psicologia dello sviluppo è il ramo della psicologia che studia come un bambino si
sviluppa e cresce e come ciò possa essere condizionato da elementi ambientali quali la
famiglia e la scuola. Gli psicologi dello sviluppo studiano la crescita sociale del bambino
(relazione neonato/genitore e ruolo del gioco nello sviluppo di amicizie), lo sviluppo
cognitivo (evoluzione del linguaggio, comprensione dei numeri e rapporto con l’arte), lo
sviluppo emotivo (processo decisionale dell’adolescente e ruolo di genitori e amici) e lo
sviluppo morale.
CORRENTI DI PENSIERO
Esistono diverse correnti di pensiero alla base della psicologia dello sviluppo:
Natura e cultura → il bambino nasce con abilità proprie che si sviluppano naturalmente
nel tempo a prescindere dall’ambiente, oppure necessita dello scambio con il mondo
esterno perché queste vengano fuori?
Prima del XX secolo, soprattutto nel periodo medievale, come è intuibile dalla letteratura,
dalla produzione artistica e dalle testimonianze, i bambini erano considerati adulti in
miniatura e considerati solo in funzione della loro maturazione fisica (frequentavano le
taverne, lavoravano con adulti, erano rappresentati con teste di bambino e corpo di
adulto).
Nel periodo dell’Illuminismo (tardo Seicento-primo Ottocento) Jean-Jacques Rousseau e
John Locke modificano la prospettiva sui processi di apprendimento e acquisizione della
conoscenza:
1. John Locke (1632-1704) → Si concentra sull’influenza che la società esercita sulla
persona; nel suo “Saggio sull’intelletto umano” del 1960 affronta la questione
natura/cultura e permette di comprendere i principi della psicologia dello sviluppo. Si
basa sull’osservazione, è un empirista e sostiene che il bambino alla nascita sia una
“tabula rasa” (superficie non scritta) e che solo attraverso il contatto con l’ambiente e
l’interazione sociale che egli impara a parlare, apprende emozioni e principi morali,
impara a esistere in una società creata solo per mantenere la sicurezza dei suoi
abitanti.
2. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) → Studia e concorda con le teorie di Locke, ma
ha un punto di vista differente sulla condizione del bambino alla nascita; descrive il
bambino come “buon selvaggio”, di natura angelica e innocente e con un’innata
bontà che viene corrotta al momento del suo ingresso nella società (ipocrita,
disonesta e dannosa per il bambino).
3. Thomas Bouchard e Minnesota Twin Study (1981) → venne condotto un esperimento su
una coppia di gemelli identici (monozigoti) cresciuti con genitori diversi: essendo
cresciuti in ambienti diversi i gemelli avrebbero dovuto mostrare differenze notevoli,
invece emerse che i gemelli separati erano diversi solo leggermente e che, invece,
erano molto simili nel temperamento, nelle scelte scolastiche, lavorative e nelle
modalità relazionali con gli altri. Si dimostrò così l’importanza del fattore genetico.
L’esperimento venne riproposto su 100 coppie di gemelli. Tuttavia la conclusione di
Bouchard fu considerata incompleta perché basata sull’assunto che la genetica è
responsabile delle somiglianze: i gemelli che presero parte allo studio erano motivati e
quindi condizionati dal senso di identità l’uno con l’altro e questo potrebbe aver
influenzato il racconto delle esperienze fatte durante il periodo di fanciullezza e delle

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scelte di vita; Bouchard obiettò che poteva essere stata la natura stessa del
temperamento dei gemelli a influenzare l’ambiente in cui erano cresciuti (i gemelli
con carattere calmo da bambini molto spesso descrivevano entrambi la loro infanzia
come positiva).
Il “Minnesota Twin Study” dimostra che non è possibile scindere i fattori natura e
cultura all’interno degli studi sul comportamento umano.
4. XXI secolo → né la natura, né la cultura possono essere da sole pienamente
responsabili dello sviluppo fisico, emotivo e cognitivo del bambino. Lo sviluppo del
bambino può essere considerato lungo un continuum in cui si combinano natura e
cultura: esiste una predisposizione dalla nascita ad una particolare abilità
(camminare), che però viene sviluppata attraverso l’interazione con la natura
(genitori/pari); in alcune fasi prevale l’influenza di un fattore, in altri quella dell’altro.

PRIME ESPERIENZE
In quale misura contano le esperienze vissute durante l’infanzia nelle persone che
siamo in età adulta? Continuiamo a svilupparci socialmente, emotivamente e
cognitivamente durante l’età adulta o questo sviluppo si arresta con la fanciullezza?
La teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget copre il periodo dalla nascita agli ultimi
anni dell’adolescenza, Erickson estende questo periodo fino all’età adulta avanzata;
entrambi concordano sull’importanza dell’apprendimento delle capacità di base
nella prima infanzia (attaccamento, linguaggio, gioco) nello sviluppo in età adulta.
La psicologia dello sviluppo, a partire da questi assunti, cerca di rispondere a queste
domande.

TEORIE STADIALI DELLO SVILUPPO


In psicologia dello sviluppo esistono molte teorie stadiali: teorie basate sull’idea
secondo cui l’individuo progredisce passando per una serie di stati distinti, questi stadi
sono determinati dall’acquisizione o dal possesso di abilità; generalmente sono
compresi in una specifica fascia d’età e sono consecutivi uno all’altro. Quando il
bambino entra in uno specifico “stadio di sviluppo” non è ancora in grado di eseguire
l’esercizio che caratterizza quella fase, in un determinato arco temporale impara a
completare quell’esercizio abbandonando quello stadio e passando a quello
successivo.
Mildred Parten (1932) → teoria del gioco: il genere di gioco scelto dal bambino è
determinato da aspetti diversi del suo sviluppo psicologico (abilità linguistica nella
comunicazione del significato, memoria dei ruoli altrui, comprensione del
comportamento altrui). Individua il “gioco parallelo” (i bambini giocano vicini ma non
insieme, a due anni circa) e il “gioco cooperativo” (i bambini giocano insieme con
regole e divieti, a partire dai tre anni). Spesso le teorie stadiali sono considerate troppo
rigide e unidirezionali (vedi Piaget), ma sono ancora oggi strumenti utilizzati.

SVILUPPO CONTINUO E DISCONTINUO


Sono stati individuati tre tipi di sviluppo: continuo, discontinuo e asincrono.
Sviluppo continuo: è un processo di cambiamenti che copre l’arco di vita; non
obbedisce a stadi specifici, ma è il frutto di esperienze possibili grazie a competenze
acquisite e mostra un costante, coerente miglioramento o crescita.
Sviluppo discontinuo: cambiamento che si verifica in quelli che appaiono come
periodo di grandi risultati, seguiti da periodi di consolidamento delle conoscenze o

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delle abilità. Piaget sostiene lo sviluppo discontinuo, cioè che i bambini di diversa età
siano qualitativamente diversi (esempio della conservazione del volume: spostando un
liquido da un recipiente largo e basso a uno stretto e alto, il bambino di quattro anni
dirà che il secondo recipiente è più capiente, quello di sei che ha la stessa capienza
del primo).
La ricerca recente ha mostrato che lo sviluppo del bambino avviene attraverso un
processo di cambiamento continuo.
Sviluppo asincrono: si presenta quando un bambino si comporta coerentemente con
lo stadio di sviluppo più avanzato in una prima abilità e con uno stadio di sviluppo
meno avanzato in una seconda abilità.

TEORIE
Perché una teoria sia valida è necessario che segua alcune regole:
• Specificità: è indirizzata specificamente ad un comportamento o è applicabile più
in generale?
• Appropriatezza: la fonte deve essere chiara, con basi evidenti ed esaustiva;
• Utilità: deve poter essere utilizzata e verificata da altri ricercatori;
• Validità: le conclusioni dello studio devono essere uguali per tutti i ricercatori;
• Economia: deve spiegare in modo chiaro ed economico il concetto, con una
certa eleganza (goodness of fit);
• Concordanza: deve poter essere collegata ad altre teorie psicologiche o principi.

SVILUPPO NORMALE
Tramite le teorie degli stadi e altri particolari strumenti di misurazione, è possibile fare
una valutazione flessibile, considerando comunque il bambino come individuo, delle
abilità che un bambino dovrebbe “normalmente” acquisire in un certo stadio dello
sviluppo; è possibile inoltre individuare se un bambino raggiunge risultati sopra, nella o
sotto la “norma”, in modo da intervenire nel migliore dei modi.

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Capitolo 2 – Dalla psicologia alla psicologia dello sviluppo

Fino al XVII secolo non si dava importanza alla vita del bambino (non-uomo) né al suo
sviluppo. Tra le eccezioni emerge Platone (427-347 A.C.), per il quale la formazione del
bambino era fondamentale per l’istituzione di una struttura politicamente ottimale
(nella “Repubblica”: per capire le differenze tra adulti occorre esaminare le attitudini
particolari dei bambini, l’educazione è importante per scardinare i vecchi valori e
proporne di nuovi). Con l’avvento del Cristianesimo e il culto di Gesù Bambino, iniziò
una mirata osservazione del comportamento infantile, il bambino veniva visto come
debole e da tutelare, ma in grado di esprimere sentimenti propri. Nonostante ciò, per
molti secoli venne trascurata la dimensione evolutiva del bambino.

INFANZIA NEL MEDIOEVO


Nel Medioevo, spesso, le famiglie non potevano mantenere economicamente molti
figli e i bambini nascevano con malformazioni a causa degli scarsi accorgimenti
medici; i bambini venivano quindi abbandonati fuori dalle chiese (esposti) o offerti ad
un ordine religioso (anche temporaneamente per una grazia concessa) perché
fossero allevati e contribuissero alla comunità (oblati). I bambini erano suddivisi in
“infantia” (0-7 anni) e “pueritia” (7-14 anni), nella prima fase erano considerati
incompleti e non-uomini. Nella seconda metà del Medioevo i bambini dalla nascita ai
7 anni vennero associati ai valori di purezza e mitezza (qualità di Dio) e perciò vennero
istituiti ulteriori luoghi che potessero fornire loro assistenza (Ruota degli Esposti).

INFANZIA NELL’EVO MODERNO (1492-1850)


A partire dall’Evo moderno (Rinascimento, Riforma e Controriforma), si pose maggior
attenzione all’educazione dei bambini, sia abbandonati che cresciuti in ambito
familiare; l’obiettivo primario, di stampo religioso e strumentalizzato, era quello di
educare il bambino per preservarlo dalle tentazioni che la vita adulta gli avrebbe
fornito. Inizialmente le scuole erano gestite da ordini religiosi (Gesuiti), poi divennero
materia statale, in quanto l’educazione assunse anche un valore socio-economico;
vennero istituite classi scolastiche con regole particolari: promozioni, bocciature e
classi separate per età e sesso. Comenio propose quattro fasi per l’educazione dello
scolaro che erano collegate tra loro (in contrasto con la visione medievale del
bambino “incompleto” e che per la prima volta prevedevano l’insegnamento della
realtà e non di un suo adattamento) e che si basavano sulla gradualità dei processi di
apprendimento. Nel Quattrocento e Cinquecento nacquero i collegi, che
espandevano l’istruzione a nobili e borghesi (non solo chierici) e coprivano l’età dagli
8 ai 15 anni e oltre.

INFANZIA NELL’ILLUMINISMO
A partire dall’Illuminismo e con l’avvento della discussione razionale si prestò ancora
più attenzione alle esigenze di bambini in età infantile e a quelle dei giovani, anche se
la discussione era ancora troppo astratta e metafisica. Herbart (filosofo post-kantiano,
pedagogista e psicologo meccanicista e intellettualista) formulò tesi come l’”istruzione
educativa” e ribadì la necessità di variare gli ambiti degli interessi dell’allievo che
deve apprendere. Forte è l’impronta del razionalismo illuminista e della cultura
romantica (rivalutazione del sentimento), ma il bambino viene ancora visto come
essere innocente, irrazionale, primitivo, pre-logico e buono (Rousseau), fino a quando

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con l’avvento del positivismo (progresso scientifico) e della fenomenologia


(descrizione > interpretazione) non si considererà la sua dimensione complessa
(Freud). I primi studi furono sicuramente di stampo filosofico: Locke sosteneva che il
bambino nascesse con una mente simile ad una “tabula rasa” e che la sua
personalità dipendesse da esperienze vissute ed educazione ricevuta, non da qualità
innate (rigida educazione). Da qui in poi nacque l’associazionismo: ogni evento
psichico complesso deriva da associazioni di idee semplici, ossia dalla combinazione
di elementi di ordine sensoriale che si organizzano sulla base di determinate leggi
associative. Rousseau sottolineò l’originalità del bambino e dell’adolescente, dando
grande rilievo e dignità a queste figure in quanto individui in fase di crescita e
formazione; nell’ “Émile” viene ribadito il fatto che il precettore debba prendersi cura
della crescita autonoma e spontanea del bambino, lasciando che si esprima in
quanto essere umano, senza costrizioni proprie della società.

ASSOCIAZIONISMO E COSTRUTTIVISMO (XIX e XX secolo)


Associazionismo (Locke, Pavlov, Ebbinghaus e Thorndike): comportamento plasmato
da ricompense/rinforzi o punizioni → qualsiasi avvenimento psichico, anche se
complesso, rimanda all’associazione semplice, ossia alla combinazione di elementi
sensoriali, organizzati sulla base di determinate leggi. Vengono fatte descrizioni
psicologiche di fenomeni indagati dalla riflessologia, come le associazioni
mnemoniche legate all’apprendimento (risposta allo stimolo e ripetizione) e si apre il
campo della psicologia dell’attenzione.
Costruttivismo (Rousseau e Kant): il bambino costruisce la propria educazione → è
importante il ruolo dell’individuo nei processi di formazione della realtà conosciuta
(contro il naturalismo, presenza di uno spontaneo ordine naturale); non è possibile
conoscere la realtà delle cose, bensì quelle che sono le nostre esperienze e percezioni
delle cose.

INIZIO DI UNA CONSIDERAZIONE PIÙ COMPLETA DEL BAMBINO


Col passare del tempo si intensifica l’attenzione rivolta al bambino, alla gravidanza, al
parto e al neonato, non facendo più ricorso alle cure delle balie; i bambini sono
considerati sempre di più come forza-lavoro e crescono le attenzioni alla loro
educazione, non scompaiono tuttavia le pratiche di sfruttamento e abuso. Nel XVIII
secolo iniziano le prime osservazioni sui bambini, legate a vincoli familiari e non del
tutto rigorose e scientifiche; la dimensione del bambino diviene sempre più
fondamentale nella formazione del futuro adulto.

SECONDA METÀ DEL XVIII SECOLO: JOHANN HEINRICH PESTALOZZI E DIETRICH


TIEDEMANN
Pestalozzi, pedagogista ginevrino, illuminista e seguace di Rousseau, descrive il
comportamento di suo figlio di 3 anni e mezzo seguendo la visione di Rousseau
(bambino che si autoforma); fonda anche una scuola dove insegnerà Fröbel, il
fondatore delle odierne scuole dell’infanzia. L’uomo non è buono di natura, come per
Rousseau, è un essere manchevole, teso migliorarsi naturalmente attraverso l’aiuto ed
il contributo dei suoi simili; spetta all’educatore perfezionare la natura dell’uomo
durante il suo sviluppo, ripartito in 3 stati: naturale, ovvero istintuale, sociale, basato su
adattamenti e successivi riorientamenti e morale, concernente un individuo aperto gli

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altri e che accoglie Dio. Si colloca tra ragione illuminista e complessità umana
romanticista (scrive “Leonardo e Gertrude” e “Come Gertrude istruisce i suoi figli").
Tiedemann, filosofo e pioniere della ricerca psicologica (emozioni, volontà, stati
patologici psichici e delle attività psichiche), pubblica “Osservazioni sullo sviluppo
delle attività psichiche nei fanciulli”, un diario sui primi trenta mesi di vita di uno dei suoi
figli dove è prestata molta attenzione agli aspetti senso-motori, linguistici, intellettivi e
cognitivi. Pone per la prima volta l’attenzione sull’importanza dell’osservazione diretta
dei bambini nello studio della coordinazione, della vista, del movimento e dell’origine
simbolica del linguaggio.

I PRECURSORI DEL XIX SECOLO


Continuano in questo frangente le osservazioni sui bambini, spesso sui figli, in particolari
fasce d’età come quella senso-motoria (0-21 mesi) e quella della manifestazione
completa delle attività intellettive (14-15 anni); nascono la pedagogia, i dibattiti
filosofici sulle attività razionali dei bambini e la letteratura si rivolge anche a questo
pubblico. Darwin, la cui rivoluzione prende vita smarcandosi dalle ideologie
tradizionali, contribuisce (anche se con molti limiti) in chiave evoluzionistica alla
psicologia e produce un diario sullo sviluppo precoce di suo figlio; sostiene che lo
studio del comportamento infantile permetta di individuare gli schemi
comportamentali di base, ancora relativamente immuni dalle influenze ambientali e
culturali, che possono essere confrontate con il comportamento istintuale delle specie
animali e che sia la base dello studio del comportamento dell’adulto. Sarà promotore
anche del dibattito ontogenesi/filogenesi. La psicologia dello sviluppo si basa oggi
sulla psicologia darwiniana (anche se con notevoli limiti, causa osservazione su un
unico soggetto) e sugli studi etnologici di Frazier e Levy-Bruhl.
James propone un approccio comparativo, osservando e comparando lo sviluppo
psichico infantile con quello degli animali, degli uomini primitivi e dei malati psichici.

RICERCHE TRA LA FINE DEL XIX SECOLO E L’INIZIO DEL XX: STANLEY HALL E JAMES MARK
BALDWIN
Hall è considerato uno dei pionieri della psicologia dell’adolescenza e ha portato
grandi contributi alla psicologia dello sviluppo in generale; introduce, mettendo in
secondo piano la psicologia di laboratorio, una serie di questionari per ottenere notizie
su atteggiamenti, comportamenti e interessi dei bambini, facendoli compilare però a
insegnanti e genitori (metodi indiretti, es. diari e test ≠ osservazione diretta). Si basa
sull’assunto che esperienze normali ed ovvie per un adulto non lo sono altrettanto per
un bambino di circa 5 anni (i bambini pensano che la lana nasca già a gomitoli sulle
pecore) e che l’adulto consideri il bambino simile a sé, non riuscendo a cogliere le
differenze che intercorrono tra lui e il bambino e non comprendendo azioni ritenute
da quest’ultimo “normali” (un adulto ha difficoltà a spiegare una camminata a
quattro zampe). Collabora con Jung, Freud, Pavlov e approfondisce la psicologia
dell’invecchiamento.
Baldwin, psicologo e allievo di Wundt, tenta di integrare scienze fisiche e
comportamentali e studia i processi di socializzazione e sviluppo del pensiero. Si
occupa di adattamento, inteso come accomodamento (fautore di cambiamento e
sviluppo) e assimilazione (che consente di sviluppare l’abitudine, continuum nel
processo di sviluppo ed elemento di integrazione tra schemi cognitivi già acquisiti e
nuovi).

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GLI INIZI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO COME DISCIPLINA SCIENTIFICA


Con il 1900 la psicologia dello sviluppo diviene progressivamente un settore scientifico
della ricerca psicologica e soprattutto a partire dai primi decenni del XX secolo ebbe
un forte impulso:
1. Teoria dello sviluppo di Darwin:
a) Il passaggio da una teoria creazionista a una prospettiva evoluzionista,
secondo cui l’essere umano deriva da antenati comuni;
b) Il corpo e la mente in tutte le sue manifestazioni, ovvero istinto, intelligenza,
memoria, emozioni, affettività, ecc., evolvono contemporaneamente e,
conseguentemente sia gli strumenti fisici così come le istanze mentali
obbediscono a leggi evolutive tra loro isomorfe;
c) Vi è continuità e non differenze né di grado né di specie fra gli uomini e gli
altri animali.
2. Teorie biogenetiche (Haeckel, embriologia): l’ontogenesi sintetizza la filogenesi ed
esiste una sequenza evolutiva universale all’interno della quale ciascun individuo è
collocato, seppure in modo differenziato.
3. Scolarizzazione di massa: iniziano studi sulla formazione del giovane e nascono
centri di ricerca (Gesell) che si dedicano allo sviluppo motorio, sociale, linguistico
normale e anormale.
4. Basi psicometriche: Fechner conduce i primi studi con l’ausilio della psicometria e
Galton, convinto dell’ereditarietà dell’intelligenza e della necessità di saperla
misurare (forse a scopi eugenetici = migliorare la qualità della “razza”), realizza i
primi test reattivi di intelligenza. I test erano volti a creare classi scolastiche
differenziate per abilità cognitive e di apprendimento (specifiche in caso di limiti o
deficienze); con Binet viene introdotto il concetto di “età mentale” = accertato
livello della capacità mentale di un bambino, da confrontarsi con l’età mentale di
bambini della stessa età con l’intento di evidenziare o un ritardo o un anticipo nel
suo sviluppo mentale. Più avanti, a partire da questi studi, Terman svilupperà il
concetto di “quoziente intellettivo (Q.I.)”.

OSSERVAZIONI: UN NUOVO MODO DI INTENDERE L’INFANZIA E IL SUO SVILUPPO


La psicologia dello sviluppo, così come la psicologia, segue lo stesso percorso di
quest’ultima concentrandosi su problematiche specifiche dell’evoluzione
dell’individuo; si rifà ad una visione globale delle cose e si ripartisce in settori
particolari. I temi pertinenti alla psicologia vengono indagati in individui in fase di
crescita biologica e psicologica, fino alla loro evoluzione nell’età adulta; il bambino
non viene più studiato con test e tecniche ideate dall’adulto ma nella sua personale
costruzione della realtà in cui si colloca.

IL SORGERE DI UNA PSICOLOGIA GENETICA


La comparazione tra sviluppo umano e sviluppo animale dà inizio alla psicologia
genetica; in seguito si rende necessario descrivere molto dettagliatamente le fasi dello
sviluppo umano, per poi proporre sperimentazioni che possano far comprendere il
presentarsi di determinate caratteristiche dei bambini osservate durante la crescita. È
importante saper cogliere i diversi momenti e/o livelli in cui avviene il passaggio dalle
forme più elementari e primarie del comportamento a quelle più evolute. Tale
approccio ha precursori storici (anche se il limite era un approccio poco

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metodologico e molto dogmatico) come Piaget, Freud (prime esperienze


fondamentali nella struttura dell’individuo adulto), Binet, Claparède (unione scuola e
psicologia), James, Dewey, Angell (funzioni psichiche come risultato del rapporto
dinamico tra individuo ed ambiente, sia fisico che sociale) e Galimberti (in America
Titchener), strutturalista, che sostiene che la psicologia vada studiata per elementi
“pregnanti” (forme asimmetriche percepite come più definite) ed elementi “salienti”
(importanza di un particolare oggetto in un contesto).

IL SORGERE DI UNA LETTURA STORICO-EVOLUTIVA O STORICO-CULTURALE


A partire dal 1924, nell’ambito della nuova cultura sovietica, molte problematiche
psicologiche vengono rilette in chiave marxista: Lurija si occupa di studi sul bambino,
in particolare di abilità superiori come la scrittura e il linguaggio; Vygotskij sostiene che
la formazione di processi psichici superiori (pensiero, memoria, linguaggio, attenzione
e apprendimento) sia un’attività complessa, prodotta dall’utilizzo di strumenti materiali
e culturali e che pertanto debba essere esaminata ed analizzata nell’ambito del
contesto sociale e culturale in cui le persone vivono. Le funzioni mentali si sviluppano
sulla base della significazione che questi strumenti hanno nell’ambito dei processi
sociali; non si parla più di approccio stimolo-risposta, viene introdotto un unico
strumento e stimolo (mediazione) che interagisce in un contesto sociale e interattivo
(per Vygotskij la scuola è il modo in cui una cultura trasforma i concetti intuitivi del
bambino in concetti astratti). Per Vygotskij il linguaggio ha una funzione regolatrice
all’interno del pensiero, ha delle regole e utilizza parole a cui dà significato; è in primo
luogo sociale, anche se non necessariamente comunicativo e quello interiore, che si
stabilizza solo intorno ai sette anni, è egocentrico. Piaget sostiene, invece, che il
linguaggio egocentrico sia quasi un monologo che il bambino fa con sé stesso e per
cui non si aspetta risposta né comprensione altrui.
Vygotskij introduce anche il concetto di “zona prossimale di sviluppo”: consiste nella
differenza tra il livello di sviluppo di un bambino nel risolvere un compito da solo ed il
livello potenziale, determinato attraverso le abilità che esibisce quando affronta un
compito con il sostegno di un adulto od in collaborazione con coetanei più capaci;
indica le tappe dello sviluppo che non sono ancora state raggiunte, ma che sono in
via di maturazione.

ULTERIORI ESPANSIONI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO


La psicologia continua ad arricchirsi di nuove prospettive teoriche: Koffka si concentra
sullo sviluppo e sulla crescita della mente e fonda la “psicologia della Gestalt” (non
solo descrizione, ma anche sperimentazione dei principi che regolano le attività
psichiche); Watson si occupa di coscienza, emozioni, contenuti, vissuti e aspettative in
una prospettiva comportamentista, oggettiva, misurabile e osservabile; la psicoanalisi
espande i suoi campi di applicazione, testa le ipotesi di Freud e crea la
psicopedagogia (Klein, A. Freud, Spitz, Winnicott, Mahler, Balconi, Berrini e Corti).

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Capitolo 3 – Prospettive e teorie dello sviluppo

Gli psicologi e gli scienziati dello sviluppo, grazie all'osservazione della crescita e
dell'apprendimento dei bambini, hanno formulato teorie cosiddette “stadiali” dello
sviluppo, le quali descrivono le competenze che è “normale” aver acquisito nelle
diverse età; taluni ricercatori analizzano le abilità innate, altri osservano il ruolo della
società nell'apprendimento di competenze e abilità, altri ancora adottano un
approccio combinato, integrando lo studio delle abilità innate con il modo in cui la
società condizione il nostro sviluppo nel tempo.

CHE COS’È UNA TEORIA?


Una teoria è un sistema organico d’ipotesi, principi generali, leggi, tutti i tendenti a
spiegare un fenomeno o una serie di fenomeni. Si divide in 3 fasi: definizione,
spiegazione e previsione del comportamento.
1. Definizione → una buona teoria comincia col descrivere o definire il suo oggetto di
indagine che, in psicologia, è invariabilmente un comportamento (per studiare il
linguaggio bisogna definire cosa sia il linguaggio);
2. Spiegazione → spiegazione del comportamento indagato (perché il bambino
apprende il linguaggio in un certo modo?);
3. Previsione → possibilità di anticipare il verificarsi di un comportamento in un dato
contesto (come si spiega lo sviluppo del linguaggio in bambini cresciuti in
isolamento?).
Le teorie sono strumenti utili a comprenderei il comportamento umano, ma non sono
necessariamente affermazioni esatte; sono utili al fine di comprendere una situazione
nella maggior parte dei casi ma, poiché si analizza il comportamento umano, esistono
situazioni per le quali la teoria non risulta totalmente calzante.

TEORIE STADIALI E TEORIE DELLO SVILUPPO CONTINUO


La maggior parte delle teorie dello sviluppo sono riconducibili alla famiglia delle
“teorie stadiali” o a quella delle “teorie dello sviluppo continuo”:
• Teorie stadiali → tendono a considerare lo sviluppo della competenza secondo un
modello comportamentale, concepito sulla base dell’osservazione di un
comportamento e sulla valutazione di quello che la maggior parte dei bambini è in
grado di fare nelle diverse età. La “teoria dello sviluppo cognitivo” di Piaget è una
teoria stadiale. Le teorie stadiali hanno caratteristiche particolari: gli stadi sono ben
delineati e descrivono abilità molto specifiche; le teorie prevedono che il bambino
appena entrato nello stadio non sia in grado di portare a termine il suo problema,
che sviluppi la competenza in un certo arco di tempo e che completi quello stadio
nel momento in cui dimostra piena familiarità con la competenza in questione; si
assume che ogni stadio venga completato rispettando le fasi previste dalla teoria,
senza possibilità di saltarne alcuna e si ritiene che ogni bambino debba passare
per i diversi stadi nelle fasce di età indicate dalla teoria.
Il punto di forza delle teorie stadiali consiste nel fatto che lo sviluppo di ciascun
comportamento è descritto con massima precisione secondo norme specifiche
per ogni età, questo è utile per monitorare lo sviluppo “normale” del bambino ed
eventualmente intervenire dal punto di vista educativo e psicologico.
Il punto di debolezza delle teorie stadiali sono le regole piuttosto rigide in merito a
ciò che è lo sviluppo normale, non badano minimamente alle caratteristiche

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individuali di sviluppo, inteso come un processo lineare che va per tappe che però
non può essere realistico.
• Teorie dello sviluppo continuo → Si basa su quattro assunti: lo sviluppo è un
processo di cambiamenti che ci accompagna tutta la vita (dura tutta la vita), non
segue fasi e stati specifici (multidimensionale); le esperienze sorgono sulla base
delle competenze già acquisite (plastico) portando un costante, coerente
miglioramento o crescita (molteplice influenza). Sono le teorie al momento più
accreditate e sostengono che lo sviluppo abbia luogo in più sfere e si svolga in più
direzioni: può riguardare la sfera fisica, quella emotiva e quella cognitiva; una
parte dello sviluppo è progressiva (acquisire più funzioni), un’altra è regressiva (si
può decidere di interrompere lo studio delle lingue per concentrarsi di più sulle
scienze comportamentali), spesso c’è una combinazione dei due aspetti.
Nella prospettiva continua lo sviluppo è molto flessibile, può presentare
“impennate” o “periodi di magra” in cui procede a poco a poco o si stabilizza (es.
linguaggio).
Lo sviluppo è influenzato da fattori come l’età, il gruppo sociale di appartenenza
(anche storico) e da fattori definibili come “influenze non normative”: influenze che
agiscono su un individuo o su un piccolo gruppo di individui, ma che non possono
essere previste o il cui effetto non può essere stabilito in anticipo (es. visitare un
luogo che colpisce molto).

PROSPETTIVA PSICOANALITICA DELLO SVILUPPO


Gli assunti fondamentali della prospettiva psicoanalitica sono:
• nella mente nulla avviene per caso, i fenomeni mentali non possono mancare di
connessione con ciò che li ha preceduti;
• la coscienza è un attributo eccezionale dei processi psichici;
• esistono tre livelli di coscienza: il conscio, il preconscio e l’inconscio;
• l’inconscio è fondamentale per capire il comportamento umano;
• l’inconscio è la sede dei nostri impulsi istintuali, che perseguono la massimizzazione
della nostra capacità di sopravvivere;
• entro i primi cinque o sei anni di vita, il nucleo della nostra struttura mentale è
definito e non potrà essere modificato successivamente.
LA TEORIA PSICOANALITICA DELLO SVILUPPO DI SIGMUND FREUD (1856-1939)
Sigmund Freud nacque nel 1856 a Freiberg, piccola città della Moravia (ora parte
della Cecoslovacchia) da una famiglia di origine ebraiche. La famiglia si trasferì a
Vienna dove Freud crebbe profondamente influenzato dal clima socio-politico,
sostanzialmente antisemita, di quel tempo. La teoria psicoanalitica è un insieme di
ipotesi che riguardano lo sviluppo e il funzionamento mentale umano, sia normale che
patologico; Freud pensò di poter spiegare il funzionamento mentale normale
attraverso lo studio di persone psicologicamente disturbate o ammalate, egli riteneva
che quei disturbi non avessero origini fisiche e dovessero perciò essere causati da
contenuti psichici, pertanto era necessario analizzare la mente dei pazienti per capire
i motivi dei loro sintomi devastanti. I suoi primi studi furono condotti su pazienti donne
che la psichiatria del tempo definiva affette da disturbi isterici, una patologia i cui
sintomi erano paralisi degli arti, cecità momentanea, perdita di coscienza e delle
capacità di parlare. Alla base della sua teoria ci sono il “principio del determinismo
psichico” (nella mente nulla accade per caso) e il fatto che “la coscienza è un
attributo eccezionale” (le ragioni inconsce del comportamento spesso sono difficili da

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riportare alla coscienza).


Secondo Freud, i contenuti psichici possono essere presenti a tre livelli: conscio,
preconscio e inconscio. La mente è composta da tre istanze psichiche strettamente
connesse tra loro:
• Es → presente alla nascita, in cui trovano posto i nostri impulsi primari cioè i nostri
bisogni alimentari, di calore e conforto e sessuali;
• Io → che si sviluppa nel corso dell’infanzia e della fanciullezza fino all’adolescenza;
esso corrisponde al nostro processo decisionale ed è costituito dal complesso delle
funzioni collegate alle relazioni fra l’individuo e il proprio ambiente;
• Super-Io → che comprende i nostri precetti morali e le nostre aspirazioni ideali; esso
si costruisce nel corso dello sviluppo attraverso l’interiorizzazione delle norme morali
che iniziano a essere introiettate attorno ai cinque anni.
Secondo Freud i primi cinque o sei anni di vita sono basilari per la formazione
dell’individuo e i cambiamenti successivi non potranno modificare questa parte
centrale della nostra personalità.
Freud sostiene che la principale forza motrice della libido soddisfi due forze di base, le
pulsioni, quella sessuale e quella aggressiva: la prima dà origine alla componente del
nostro comportamento dominata dal piacere, l’altra dà origine alla componente
distruttiva; esse accompagnano l’individuo lungo il corso di tutta la vita.
Nella teoria freudiana lo sviluppo dell’individuo è stadiale e procede per fasi che
pongono al centro la soddisfazione sessuale, per cui è denominata “teoria dello
sviluppo psico-sessuale”; nei bambini l’interesse è rivolto ad aree del proprio corpo
differenti nelle diverse età, si hanno così diverse fasi di sviluppo psico-sessuale:
• Fase orale (da zero a 18 mesi) in cui l’area che produce piacere è la bocca, fonte
delle soddisfazioni legate alla funzione alimentare:
• Fase anale (da 18 mesi a 3 anni) in cui assumono importanza le sensazioni legate al
trattenere ed espellere le feci;
• Fase fallica (dai 3 ai 5 anni) in cui i genitali sono le fonti di piacere. Verso la fine di
questa fase si presenta il complesso edipico (5 anni) in cui l’interesse sessuale non è
più rivolto al proprio corpo ma si dirige verso l’una o l’altra delle figure parentali
facendo sperimentare conflittualità, gelosia e sensi di colpa; esso si conclude da un
lato con la formazione del Super-Io e dall’altro con la rinuncia provvisoria alle
aspirazioni sessuali;
• Fase di latenza (dai 6 ai 10-11 anni) in cui il bambino rivolge tutti i suoi interessi al
mondo esterno, per esempio gli interessi intellettuali trovati a scuole e tutti i rapporti
sociali che in questo periodo vengono attivati;
• Fase genitale (dagli 11 anni in avanti) in cui gli interessi sessuali riemergono con la
maturazione puberale e si rivolgono alle persone al di fuori del contesto familiare.
Il ruolo dell’Io è quello di appagare l’Es (impulsi biologici), soddisfacendo al contempo
le necessità del Super-Io (regole sociali del comportamento); quando l’Io riesce a
bilanciare le necessità dell’Es e del Super-Io, l’individuo si sente soddisfatto, quando
l’Io è incapace di bilanciare i bisogni dell’Es e del Super-Io, al suo interno si sviluppa
uno stato d’ansia più o meno tollerabile che si traduce in manifestazioni sintomatiche.
L’eccessiva ansia derivante da eventi accaduti in fanciullezza mette in atto
nell’adulto un meccanismo di difesa: funzione propria dell’Io attraverso la quale esso si
protegge dall’ansia provocata da urgenze libidiche o da esperienze pulsionali troppo

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intense, l’individuo è consapevole del comportamento attivato ma non della ragione


per cui esso è stato attivato.
In seguito vengono mosse alcune critiche a Freud, gli vengono attribuite mancanza di
rigore accademico e mancanza di evidenza empirica nelle teorie da lui ideate,
anche se rimane un punto di partenza fondamentale per il successivo sviluppo della
psicologia e della psicologia dello sviluppo.
Principali meccanismi di difesa:

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LA TEORIA PSICOSOCIALE DELLO SVILUPPO DI ERIK H. ERIKSON (1902-1994)


Erikson studia la teoria psicoanalitica di Freud a Vienna, direttamente dalla figlia Anna
Freud e ne viene influenzato; si trasferisce negli Stati Uniti con la moglie, dove elabora
la sua teoria sui cambiamenti psicologici che sperimentiamo dall’infanzia alla tarda
età. Erikson ritiene che lo sviluppo del bambino passi attraverso una serie di fasi che
riflettono la capacità di portare a termine un determinato compito, che sia
unidirezionale (non si torna indietro) e che non venga saltata alcuna fase; è concorde
con Freud ma amplia la teoria anche all’età adulta e senile. Ogni fase è descritta
come “crisi” tra i nostri bisogni biologici e psicologici e le esperienze che abbiamo con

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gli altri e con il nostro mondo sociale (simile all’Io di Freud e alla sua funzione
“arbitraria”); la fine di ogni fase è segnata da uno stato di “risoluzione” in cui il
bambino impara a bilanciare i propri bisogni con quelli delle persone intorno a lui (se
soddisfacente → sviluppo caratteristiche personali positive, se insoddisfacente →
sviluppo caratteristiche personali problematiche e difficoltà nel passaggio di fase).
Anche per Erikson, problematiche in età adulta possono derivare da problematiche
insorte durante lo sviluppo.
Fasi della teoria dello sviluppo di Erikson (1950):
1. Fiducia/sfiducia: dalla nascita fino a dodici mesi → la cosa migliore in questa fase è
l’esperienza di un altissimo livello di fiducia (in sé stesso e negli altri), che gli
permette di acquisire sicurezza, temperato dalla consapevolezza della sfiducia
(non sempre gli altri sono degni di fiducia), che gli permette di essere attento ai
pericoli esterni: il bambino che riesce a raggiungere questo stato sviluppa la
caratteristica fondamentale della SPERANZA.
2. Autonomia/vergogna: dai dodici mesi ai tre anni → in questo periodo il bambino
impara a controllare le proprie azioni (uso della toilette, controllo apprendimento);
fissando alcune regole di comportamento, il bambino impara a sentire “vergogna”
circa alcuni modi in cui desidera agire, divenendo sensibile al bisogno di tenere un
comportamento che sia in accordo con le regole della società o con le sue
“norme” sociali. Risolvendo la “crisi” dell’indipendenza e autonomia, svilupperà la
caratteristica della VOLONTÀ.
3. Spirito di iniziativa/senso di colpa: dai tre ai sei anni → il bambino introduce nelle
proprie azioni la competitività, questa fase dimostra il suo bisogno di iniziativa. Il
gioco diventa più animato e orientato, spesso è fuori controllo e viene limitato
dall’adulto; qui si pone la “crisi” del “senso di colpa” (bilanciamento
desiderio/contrasto dell’adulto).
4. Industriosità/senso di inferiorità: dai sei anni alla pubertà → il bambino è
crescentemente “industrioso” (impara competenze a scuola e a casa). Attraversa
una “crisi” derivante dalle interazioni con il dispensatore di competenze; quando
anziché ricevere un elogio si è ridicolizzati per lo scarso risultato, ne deriva un
“senso di inferiorità” che dura a lungo. È possibile sviluppare COMPETENZA
bilanciando “industriosità” e “senso di inferiorità”.
5. Identità/dispersione: adolescenza → gli adolescenti puntano a raggiungere un
senso di identità definito, basato su un sé fisico, un sé sessuale e uno
politico/religioso, cercano di far fronte al cambiamento identificandosi nell’altro. La
“crisi” della dispersione si basa sul fatto che il giovane può non essere in grado di
assimilare queste scelte nella sua identità e avvertire di essere andato fuori strada o
che la vita gli stia passando davanti, risolvendo questa “crisi” si sviluppa la FEDELTÀ,
che permette di portare a termine obiettivi e assumersi responsabilità.
6. Intimità/isolamento: prima età adulta → i giovani adulti spostano la loro attenzione
sulla ricerca dell’intimità con un’altra persona; la “crisi” che affrontano è quella
dell’“isolamento”, l’essere soli, senza intrattenere una relazione di intimità con
nessuno. Superando la “crisi” fanno esperienza dell’”amore”.
7. Generatività/stagnazione: seconda età adulta → lo scopo della seconda età
adulta si focalizza sulla cura e l’educazione dei figli, non basta avere dei figli per
essere “generativi”, questi devono essere allevati e non bisogna rinunciare alle

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proprie necessità per soddisfare le loro; se non si dà agli altri, l’adulto diventa
“stagnante” e assorbito da sé. L’obiettivo è la CURA degli altri.
8. Integrità dell’Io/disperazione: vecchiaia → l’anziano inizia un percorso di rilettura
della propria vita: se l’anziano avverte di aver raggiunto ciò che si era prefisso ed è
riuscito a soddisfare i propri bisogni, mantiene l’”integrità dell’Io”; se non è
soddisfatto della propria vita prova “disperazione” e teme l’avanzare del tempo.
Sviluppando l’”integrità dell’Io”, l’anziano raggiunge la “saggezza” (a base di
speranza).
La teoria di Erikson si basa sulla risoluzione del senso di identità, il suo punto di forza
risiede nel considerare lo sviluppo umano lungo tutto l’arco di vita, senza che debba
stabilizzarsi dopo l’adolescenza; i suoi punti di debolezza sono l’essere una rigida teoria
stadiale e la mancanza di una teoria della mente.
PROSPETTIVA BIOLOGICA DELLO SVILUPPO
Gli assunti fondamentali alla base della prospettiva biologica sono:
• gli psicologi dovrebbero studiare solo il comportamento osservabile e misurabile;
• tutti i comportamenti sono appresi, alla nascita non disponiamo di nessun bagaglio
di comportamenti;
• i processi mentali non possono essere osservati o misurati, perciò non possono
essere studiati scientificamente;
• la personalità adulta può cambiare, ma solo in seguito all’esposizione a esperienze
differenti.
LA TEORIA DELLA MATURAZIONE DI ARNOLD GESELL (1880-1961)
La prospettiva biologica dello sviluppo sostiene che tutti i cambiamenti fisici e
psicologici si verificano in quanto biologicamente e geneticamente predefiniti, il ruolo
della natura è dominante in questa prospettiva. Gesell ritiene che il bambino sia il
prodotto dell’ambiente, ma anche che il suo sviluppo sia geneticamente determinato
e suddiviso in fasi. Tutti i bambini seguono la stessa linea di sviluppo (imparano prima a
stare seduti, poi a stare in piedi, a camminare e, infine, a correre) ma lo fanno in tempi
diversi; essendo il ritmo individuale, non si possono anticipare i tempi dello sviluppo
(non ha senso cercare di insegnare a camminare ad un bambino prima che sia
fisicamente in grado di farlo). Lo stile genitoriale di Gesell si basa nei primi mesi di vita
sull’assecondare i tempi e le modalità del bambino, per poi introdurre il compromesso
quando sarà in grado di comprenderlo.
Il lavoro di Gessel viene criticato perché composto da stadi rigidi nonostante la
flessibilità che la sua visione impone; alcune ricerche appoggiano però il suo stile
genitoriale, che produrrebbe bambini soddisfatti e contenti.
L’ETOLOGIA MODERNA DI KONRAD LORENZ (1903-1989)
Lorenz studia medicina ma è fortemente affascinato dall’etologia (comportamento
animale studiato nell’ambiente naturale); influenzato dagli studi di Darwin
sull’evoluzione della specie, si interessa di comportamento innato, comportamento
che appare istintivo, naturale e non appreso, comportamento o abilità con cui si
nasce. L’etologia sostiene che negli animali e negli uomini esistano schemi
comportamentali specie-specifici (propri di una specie, non comprensibili da una
specie diversa) istintivi, gli istinti sono generalmente gli stessi (es. protezione della prole
dal pericolo) ma declinati in modalità diverse (es. una madre stringe a sé i propri

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bambini, una rana gonfia la gola per spaventare il predatore); gli istinti sono sempre
mossi da una motivazione o pulsione e hanno tutti valore di sopravvivenza. Lorenz
studia l’imprinting: processo di apprendimento per cui i neonati della maggior parte
delle specie riconoscono e cercano di stare vicini al primo individuo che incontrano
(solitamente colui che si occupa di loro) in seguito all’attivazione di uno stimolo nel
periodo critico successivo alla nascita. Questo stimolo può essere sostituito; Lorenz
alleva delle oche e fa in modo che il primo stimolo che vedano alla nascita sia il suo
volto, le ochette lo riconoscono come “madre” e iniziano a rispondere solo a lui
seguendolo. Lo studioso si concentra sullo studio del periodo critico, oltre il quale non
può verificarsi l’imprinting; Bowlby riprenderà i suoi studi.
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO DI JOHN BOWLBY (1907-1990)
Bowlby, psichiatra e psicoanalista, applica gli studi di Lorenz all’uomo, rilevando che
anche l’uomo imprime istintivamente nella propria mente la figura del primo essere
che vede nascendo (caregiver). Secondo Bowlby gli infanti creano un legame o un
attaccamento con qualunque adulto soddisfaccia i loro bisogni, ma esiste una
predisposizione biologica di attaccamento verso la madre (a livello fisico e emotivo),
motivo per cui, al momento del parto, il bambino viene subito adagiato sul petto della
madre. Sul “periodo critico” di sviluppo del legame di attaccamento, Bowlby sostiene
che questo vada dai sei mesi ai tre anni di età (e non solo subito dopo il parto),
teorizza ciò osservando il comportamento di bambini in orfanotrofio che non hanno
una precisa figura di riferimento; se non si sviluppa un legame di attaccamento forte
con una singola persona, il bambino prova un senso di deprivazione materna e non
cresce emotivamente stabile e felice.
Teorizza una teoria dell’attaccamento strutturata in fasi:
• Pre-attaccamento (fino ai due mesi) → l’infante risponde socialmente a chiunque
lo accudisca, senza mostrare preferenze;
• Primo attaccamento (entro i sette mesi) → il bambino impara a distinguere la
madre dal resto delle persone, è più reattivo agli stimoli da lei proposti;
• Attaccamento (otto mesi) → il bambino mostra una forte preferenza per la madre e
piange se lei lascia la stanza (angoscia di separazione: stato d’ansia che un
bambino sperimenta nel momento in cui si trova a essere separato dalla madre o
dal caregiver primario); il bambino sperimenta anche l’angoscia dell’estraneo:
cautela o paura dell’infante nei confronti degli estranei, spesso caratterizzata dalla
ricerca di vicinanza al caregiver;
• Partnership (due o tre anni) → il bambino impara che anche l’altro ha dei bisogni e
diventa consapevole che l’attaccamento è bilaterale, sperimenta il gioco
collaborativo e il “dare/avere”.
Critiche al pensiero di Bowlby: la prima critica mossa è l’assenza di prove
dell’imprinting del viso del genitore nelle prime ore di vita, respinta dallo psicoanalista
che sostiene che il legame di imprinting si crei in un lasso di tempo molto più lungo e
che il caregiver possa non essere la madre; la seconda critica è quella al danno
irreparabile che la mancanza di un legame di attaccamento creerebbe, è stato
dimostrato che non è la quantità ma la qualità del tempo speso con il bambino a fare
la differenza, bambini affidati per molto tempo durante il giorno a persone diverse dai
genitori riescono a creare un legame di attaccamento forte con loro se questi gli
dedicano poco tempo ma di qualità. La teoria di Bowlby è stata comunque molto
apprezzata ed è alla base delle moderne teorie sull’infanzia.

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I MODELLI DI ATTACCAMENTO DI MARY D.S. AINSWORTH (1913-1999)


Mary Ainsworth condivide il pensiero di Bowlby e cerca il modo di misurare lo stato
emotivo di un bambino, illustrando gli effetti dell’attività dei genitori sul suo
comportamento. La Ainsworth osserva le interazioni tra genitori e figli in Africa e in
Europa e rileva un comportamento comune, conclude che esistono modelli di
comportamento comuni a tutte le culture; osservando il comportamento di genitori e
bambini in un contesto di separazione, dà inizio allo studio detto “Strange Situation
Study”. È uno studio che si svolge in sette fasi, progettato per riprodurre le situazioni d’
interazione quotidiana genitore-figlio, ricavate dall’osservazione naturalistica della
Ainsworth. Abitualmente viene condotto in una confortevole stanza di un centro di
ricerca, in cui lo psicologo osserva gli eventi attraverso uno specchio bidirezionale o
una telecamera che trasmette le immagini nella stanza acanto. Nello studio della
Strange Situation, al genitore e al figlio viene chiesto di giocare insieme per tre minuti
(fase 1); dopodiché entra un estraneo (solitamente un assistente alla ricerca), che
siede un minuto, parla al genitore per un altro minuto e infine gioca con il bambino
per un ulteriore minuto (fase 2). A questo punto il genitore esce, l’estraneo, rimasto
solo con il bambino, gioca con lui per non più di tre minuti e poi torna a sedere (fase
3). Nella fase 4, il genitore rientra e l’estraneo esce. Il genitore rassicura il bambino, sta
seduto insieme a lui per tre minuti ed esce nuovamente dalla stanza lasciandolo solo
per meno di tre minuti (fase 5). A questo punto, entra nella stanza l’estraneo e cerca
di tranquillizzare il piccolo (fase 6). Infine, rientra il genitore e l’estraneo esce. Il genitore
conforta il bambino e sta seduto con lui (fase 7). L’intera procedura richiede circa 20
minuti di tempo, ma può diventare più breve se il bambino ad un certo punto mostra
segnali di angoscia: in questo caso, si salta una fase o si conclude la situazione
sperimentale. Se il bambino è sicuro e soddisfatto della relazione, nelle fasi 1, 2 e 4 egli
userà il genitore come base per esplorare la stanza e i giocattoli al suo interno; il
bambino dovrebbe turbarsi, ma non troppo, quando il genitore è assente (fasi 3, 5 e
6), dato che torna prima che siano passati tre minuti. Le fasi più interessanti sono la 4 e
la 7, quelle del ricongiungimento col genitore. La Ainsworth ipotizza tre categorie
principali di relazione di attaccamento genitore-figlio, una quarta è stata individuata
da Main e Solomon (1990):
• Forma di attaccamento di tipo A, attaccamento evitante: se l’infante mostra scarsi
o nulli segnali di nostalgia del genitore, lo ignora attivamente e lo evita al suo
ritorno, mostra un attaccamento insicuro-evitante;
• Forma di attaccamento di tipo B, attaccamento sicuro: alcuni bambini sentono la
mancanza della madre e quando essa non è presente nella stanza mostrano
segnali di tristezza o ansia, al suo ritorno si ricongiungono a lei e, visibilmente
contenti che sia tornata, riprendono a giocare, mostrano un attaccamento sicuro;
• Forma di attaccamento di tipo C, attaccamento ambivalente: se l’infante è turbato
quando la madre è fuori dalla stanza ma non può essere tranquillizzato da lei al
momento del ritorno, mostra un attaccamento insicuro-ambivalente;
• Forma di attaccamento di tipo D, attaccamento disorganizzato: l’infante sembra
mostrare comportamenti di ricongiungimento che non possono essere inclusi in
nessuna delle precedenti categorie (Mein e Solomon, 1990).
I diversi tipi di attaccamento sono determinati dall’ambiente; secondo l’”ipotesi della
sensibilità materna”, la Ainsworth sostiene che, quanto più la madre è in sintonia con
lo stato emotivo dell’infante, tanto più e probabile che questi cresca con un

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attaccamento sicuro; se la madre non è in sintonia con il figlio e non riesce a


comprenderne gli stati d’animo, ci saranno meno possibilità di costruire un rapporto
soddisfacente con lui e più possibilità che il suo stile di attaccamento sia evitante o
disorganizzato.
PROSPETTIVE DI APPRENDIMENTO DELLO SVILUPPO
Alcune prospettive attribuiscono lo sviluppo a motivazioni esterne; gli assunti
fondamentali su cui si fondano le prospettive dell’apprendimento sono:
• il cambiamento comportamentale risulta dall’interazione con il mondo che ci
circonda;
• a chiunque può essere insegnata qualunque cosa;
• con il giusto sistema di ricompense, un comportamento può essere incoraggiato;
• con il giusto sistema di punizioni, un comportamento può essere inibito.
IL CONDIZIONAMENTO CLASSICO DI IVAN PAVLOV (1849-1936)
Pavlov conia il termine “condizionamento classico” per descrivere il processo
attraverso cui si apprende l’associazione di determinati stimoli ambientali a
determinate risposte; scopre che si può insegnare a un animale che due stimoli in
precedenza privi di collegamenti, un campanello e del cibo, possono essere collegati
e producono la stessa risposta, la salivazione. Osserva che quando ad un cane si
presenta del cibo, il cane reagisce producendo saliva; osserva anche che, quando il
tecnico che normalmente nutre i cani si avvicina a loro, questi iniziano a salivare,
anche se il tecnico non porta del cibo: i cani hanno imparato ad associare il tecnico
al cibo e a collegare i due stimoli, in precedenza privi di un legame. Le associazioni
che apprendiamo da piccoli resistono anche in età adulta (orsacchiotto peluche
associato all’accudimento materno).
La principale critica mossa a Pavlov è quella di un’applicazione limitata della sua
teoria in psicologia, le associazioni possono, infatti, essere manipolate da eventi o
forze esterne.
IL CONDIZIONAMENTO OPERANTE DI B.F. SKINNER (1904-1990)
Skinner sostiene che i comportamenti possono essere incoraggiati attraverso l’uso
efficace di ricompense e punizioni; qualunque cosa rinforzi la ripetizione di un
comportamento rappresenta una ricompensa, questo rinforzo del comportamento è
raggiungibile attraverso mezzi positivi o negativi (rinforzo positivo = sorriso, rinforzo
negativo = qualsiasi cosa che allontana un disagio o un dispiacere). Una punizione è
causata da un comportamento ed è volta a provocarne l’interruzione (mancanza di
un premio, ad es. smettere di sorridere ad un bambino). Si parla di “condizionamento
operante”: processo che descrive il modo in cui i comportamenti sono incoraggiati o
inibiti attraverso l’efficace uso di premi o punizioni; è un metodo molto efficace per
manipolare il comportamento dei bambini e spesso ci condiziona anche da adulti.
Alcune tecniche di condizionamento operante sono utilizzate per modellare, nel corso
del tempo, un comportamento più complesso (es. imparare a scrivere),
l’apprendimento del bambino viene rinforzato e modellato ad ogni stadio. Il
condizionamento operante può generare anche comportamenti scorretti, è possibile
eliminarli utilizzando il metodo dell’estinzione, che consiste in ripetuti rinforzi mancati
del comportamento.

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Il condizionamento operante è criticato per la sua totale possibilità di applicazione in


laboratorio e la sua parziale possibilità di applicazione in altri ambienti, spesso è
utilizzato il rinforzo parziale, che modella molto lentamente i comportamenti positivi e
quasi mai estingue quelli negativi.
LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE DI ALBERT BANDURA (1925-)
Bandura sostiene che la maggior parte della popolazione sia stata allevata tramite
“rinforzo parziale” e che una persona impari a moderare il proprio comportamento
osservando le norme sociali; secondo la teoria dell’”apprendimento sociale”, si
apprende osservando la punizione o il rinforzo del comportamento di qualcun altro.
Bandura conduce l’esperimento del “pupazzo Bobo”, un pupazzo colorato molto
simile all’omonimo clown: Bandura chiedeva a uno dei suoi collaboratori di recarsi da
Bobo e di urlargli contro, di percuoterlo e di prenderlo a calci sino a farlo cadere per
terra; lo studioso registrava la scena, in seguito mostrava la videocassetta ad alcuni
bambini in età prescolare, quindi metteva i bambini a giocare con il pupazzo e stava
ad osservare il loro comportamento. Il loro modo di giocare era molto più aggressivo
di prima, urlavano di più ed erano molto più fisici con il pupazzo; i piccoli avevano
osservato il comportamento violento del ricercatore verso Bobo e lo avevano imitato.
L’apprendimento di un comportamento avviene, quindi, per imitazione, ma non è
automatico, devono essere soddisfatte quattro condizioni: il bambino focalizza la sua
attenzione su quel comportamento; il bambino è in grado di ricordare quel
comportamento; il bambino è capace fisicamente di mettere in atto quel
comportamento e il bambino è motivato a metterlo in atto. Se il bambino non è
motivato, non mette in atto il comportamento; si parla di autoefficacia: capacità di
scegliere come comportarsi nelle diverse circostanze a seconda delle proprie
aspettative, della comprensione delle norme sociali e della considerazione di idoneità
o meno del comportamento (aggressivo).
La teoria di Bandura è molto popolare nella psicologia dello sviluppo, la criticità sta
nel fatto che solo nel 10% dei casi si verifica l’imitazione di un comportamento, questo
perché il bambino non è motivato a riprodurlo, causa insegnamento di un adulto,
motivazione interiore o incapacità di mettere in atto lo stesso.
PROSPETTIVA COGNITIVA DELLO SVILUPPO
Gli assunti fondamentali della prospettiva cognitiva dello sviluppo sono i seguenti:
• lo sviluppo del bambino si realizza attraverso una serie di processi mentali come il
problem solving, la memoria e il linguaggio;
• questi processi devono essere appressi;
• questi processi diventano più complessi con il progredire dell’età e dell’esperienza.
LA TEORIA DELLO SVILUPPO COGNITIVO DI JEAN PIAGET (1896-1980)
La “teoria dello sviluppo cognitivo” di Piaget ha fortemente influenzato la psicologia
dello sviluppo, spiega sistematicamente in quale modo il bambino acquisisce la
propria conoscenza nelle diverse fasi dello sviluppo fino all’ingresso nell’età adulta; si
parla di epistemologia genetica. Piaget vince una borsa di studio presso il laboratorio
di Binet a Parigi, sviluppa test di intelligenza per bambini e osserva che i bambini
compiono una serie di errori simili che possono riflettere una diversa strategia di
ragionamento e possono essere utilizzati per produrre un quadro del comportamento
infantile. La teoria si sviluppa prima in Europa e poi negli Stati Uniti e può essere
suddivisa in quattro stadi principali:

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• Stadio 1: intelligenza sensomotoria (dalla nascita ai due anni);


• Stadio 2: pensiero preoperatorio (dai due ai sette anni);
• Stadio 3: pensiero operatorio concreto (dai sette agli undici anni);
• Stadio 4: pensiero ipotetico-deduttivo e delle operazioni formali (dagli undici anni
all’età adulta).
Ogni stadio prevede alcuni sottostadi ed è caratterizzato dall’acquisizione di
un’abilità, fisica o mentale, e solo attraverso il suo completamento è possibile passare
allo stadio successivo.
 STADIO 1: INTELLIGENZA SENSOMOTORIA (DALLA NASCITA AI DUE ANNI CIRCA)
Sottostadio 1: uso dei riflessi (dalla nascita fino a tutto il primo mese)
La prima abilità del bambino è la suzione: il neonato compie un moto di suzione
indirizzato al seno materno, al proprio dito oppure a un oggetto vicino alla bocca ;
successivamente, nel primo mese, l’infante inizia anche a inclinare la testa,
sollevando la bocca verso il seno materno o il biberon e sembra cercare
attivamente l’opportunità di nutrirsi.
Sottostadio 2: reazioni circolari primarie (da uno a quattro mesi)
L’infante inizia a ripetere le azioni, trova la sua mano e inizia a succhiarla per caso,
in seguito ripete l’azione in modo sempre più frequente (schemi d’azione) e
l’azione diventa più coordinata.
Sottostadio 3: reazioni circolari secondarie (dai quattro ai dieci mesi)
I bambini iniziano a mostrare connessioni con gli eventi ambientali, iniziano a
scalciare e osservano come ciò metta in disordine le coperte della carrozzina,
oppure osservano che, se scuotono un giocattolo, i campanelli tintinnano; si
sviluppano il sorriso e le espressioni di gioia e le azioni vengono ripetute in relazione
alla loro conseguenza sulla realtà.
Sottostadio 4: coordinazione di schemi secondari (dagli otto ai dodici mesi)
Avendo appreso la connessione tra azione e reazione, inizia a combinare differenti
azioni in un comportamento orientato a un obiettivo; facendo sedere un bambino
a terra e, mentre guarda, nascondendo il suo giocattolo preferito sotto un panno,
un bambino in questo sottostadio usa due schemi coordinati per ottenere ciò che
vuole: raggiunge il panno e lo solleva (primo schema), poi raggiunge il giocattolo e
lo afferra (secondo schema).
Sottostadio 5: reazioni circolari terziarie (dai dodici ai diciotto mesi)
Il bambino inizia a sperimentare lo schema appreso, esplora gli elementi del suo
mondo (utilizza uno strumento musicale percuotendolo in diversi modi). Il bambino
comprende il fenomeno della permanenza dell’oggetto: comprensione del fatto
che gli oggetti esistono anche quando non sono alla portata della nostra
percezione; coprendo il giocattolo preferito con un panno mentre il bambino
guarda, questo è consapevole (a differenza degli stadi precedenti) che l’oggetto
continua ad esistere e solleva il panno per ritrovarlo.
Sottostadio 6: inizio della rappresentazione mentale (dai diciotto mesi ai due anni)
I bambini iniziano a formarsi le immagini mentali dei percorsi da intraprendere per
ottenere quello che vogliono (salgono e scendono); si sviluppa la capacità
rappresentativa, i bambini mettono insieme le parole, ciò che vogliono mangiare,
ciò che vogliono fare e come e diventano più forti e attivi fisicamente.

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 STADIO 2: PENSIERO PREOPERATORIO (DAI DUE AI SETTE ANNI CIRCA)


Il pensiero di questo stadio viene denominato “pensiero prelogico o intuitivo”
poiché ha dei limiti nel suo funzionamento; la forma di espressione è l’”imitazione
differita”, il “gioco simbolico” e il linguaggio. Imitazione differita: il bambino fa un
gioco che rappresenta la vita reale (es. mamma e papà o il dottore) e sviluppa
l’abilità del bambino di osservare e imitare ciò che succede intorno a lui e
riproporlo a distanza di tempo; gioco simbolico: il bambino utilizza un oggetto
attribuendogli un significato immaginario (es. una penna lanciata diventa un
razzo); linguaggio: il bambino apprende nuovi termini molto velocemente.

Pensiero egocentrico: interpretazione del mondo attraverso la sola propria


prospettiva e difficoltà a porsi dal punto di vista di un’altra persona → il bambino
assume che l’altro veda quello che vede lui e dà per scontato che l’altro conosca
determinate informazioni; “esperimento delle tre montagne”: viene utilizzato un
plastico rappresentante tre montagne, diverse per altezza, colore (verdi o marroni)
e per oggetti sulla sommità (piccola casa, croce rossa, neve), testato in diverse
posizioni, il bambino dirà cosa vede dal suo punto di vista, nel momento in cui gli
viene chiesto di indicare cosa vede una persona dalla parte opposta rispetto a lui,
risponde indicando ancora il suo punto di vista assumendo che sia anche quello
dell’altra persona (introduce dettagli che l’altro non può fisicamente vedere).

Incapacità di completare esercizi di conservazione: principio secondo cui le


proprietà della materia rimangono inalterate anche se ne cambia la percezione
visiva; mostrando ad un bambino due bicchieri uguali riempiti allo stesso livello e
chiedendogli se sono uguali, questo dirà di sì, versando il contenuto di uno dei due
bicchieri in un bicchiere più alto e stretto, dirà che in questo bicchiere c’è più
liquido, analogamente, prendendo due palline di plastilina di uguale dimensione e
deformandone una in una striscia lunga e sottile, il bambino dirà che le forme sono
formate da una quantità diversa di plastilina; verso i sette anni il principio di
conservazione potrà essere compreso.

 STADIO 3: PENSIERO OPERATORIO CONCRETO (DAI SETTE AGLI UNDICI ANNI CIRCA)
A circa sette anni il bambino acquisisce la struttura cognitiva delle “operazioni
intellettuali”, riconosce la “conservazione” della sostanza e concepisce la sua
azione di modificazione come “reversibile”. Apprende l’utilizzo della logica per
risolvere problemi reali, impara la “seriazione”: disporre gli oggetti dal più piccolo al
più grande (o per forma) o posizionarsi in ordine di altezza; acquisisce la capacità
di “classificazione”: distribuire oggetti in categorie basate su caratteristiche simili e
formulare giudizi sugli oggetti a partire dalla categoria a cui appartengono. Il
bambino inizia ad utilizzare abilità matematiche complesse e sa risolvere equazioni,
comprende che le operazioni sono reversibili.

 STADIO 4: OPERAZIONI FORMALI (DAGLI UNDICI ANNI ALL’ETÀ ADULTA)


L’ultimo stadio di sviluppo consiste nel passaggio dalla capacità di considerare i
concetti concreti alla capacità di considerare i concetti astratti (es. uso delle
lettere nelle operazioni matematiche e significato di una canzone); si sviluppano
prevalentemente il pensiero formale o ipotetico-deduttivo, il pensiero astratto e la
risoluzione sistematica dei problemi.

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Pensiero formale o ipotetico-deduttivo → si sviluppa la logica deduttiva, capacità


di utilizzare un principio generale per determinare un risultato specifico; il bambino
è in grado di utilizzare lettere per rappresentare numeri mancanti e di ricavare il
valore corrispondente alla lettera.
Pensiero astratto → il bambino è in grado di considerare risultati e possibili
conseguenze di azioni di cui non ha esperienza diretta (importante per la
pianificazione a lungo termine).
Risoluzione sistematica dei problemi → il bambino è in grado di risolvere un
problema sistematicamente, in modo logico. Piaget realizza il “problema del
pendolo”: vengono distribuiti solidi di differente peso e cordicelle di differente
lunghezza e si domanda ai bambini cosa sia a determinare la frequenza delle
oscillazioni, i bambini appartenenti ad una fascia d’età precedente al quarto
stadio cercano di risolvere il problema disordinatamente, quelli dagli undici anni in
poi modificano sistematicamente una variabile alla volta (es. modificano peso e
corda).

La teoria di Piaget è considerata fondamentale per comprendere lo sviluppo del


bambino sia in campo psicologico che educativo, tuttavia riscuote alcune critiche.
La prima critica riguarda il fatto che la ricerca ha mostrato che gli stadi non sono
legati all’età, lo sviluppo procede ad un ritmo diverso per ogni bambino e gli stadi non
si raggiungono nell’ordine indicato da Piaget. La seconda critica riguarda il
raggiungimento dello stadio del pensiero formale o ipotetico-deduttivo: non tutte le
persone lo raggiungono, sono in grado di usare la logica, risolvere problemi in modo
sistematico e comprendere l’uso simbolico della matematica. Un’ulteriore critica
riguarda la sottovalutazione da parte di Piaget di alcune abilità del bambino, alcune
abilità ritenute assenti in alcuni stadi, in realtà sono già sviluppate (es. bambino che
modella il suo linguaggio per renderlo comprensibile al fratello minore/ acquisizione
del punto di vista altrui).
PROSPETTIVE INTEGRATE IN PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
Psicologi e scienziati del comportamento sono alla ricerca di teorie che integrano
effetti biologici e fisiologici dello sviluppo con fattori sociali e ambientali allo scopo di
comprendere meglio alcuni comportamenti specifici.
LA TEORIA STORICO-CULTURALE DI LEV VYGOTSKIJ (1896-1934)
Vygotskij è contemporaneo di Piaget e fortemente influenzato dalla sua teoria, vive il
contesto dell’Unione Sovietica uscita dalla Rivoluzione di Ottobre, si confronta con il
marxismo, con le teorie di Gesell, Freud e Pavlov; muore giovane e non sviluppa le sue
teorie. La sua teoria storico-culturale dello sviluppo sostiene che lo sviluppo infantile sia
il risultato di una componente biologica e delle interazioni sociali, senza il contatto con
gli altri l’individuo non procede oltre schemi di pensiero molto primitivi. L’uomo
condivide con gli animali le attività psichiche inferiori (comportamento istintivo,
comunicazione basata su suoni e movimenti istintivi e apprendimento mediante
condizionamento), tali attività psichiche inferiori permettono la formazione delle
attività psichiche superiori. Vygotskij introduce il concetto si “scaffolding”
(impalcatura) che descrive come adulti e bambini più grandi aiutino il bambino a
migliorare le proprie abilità; ognuno, per poter sviluppare le proprie abilità con l’aiuto
dell’altro, opera in una “zona di sviluppo prossimale”: indica la potenzialità di sviluppo

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del bambino, cioè che cosa esso sia in grado di fare adesso con l’aiuto dell’adulto e
quello che sarà in grado di fare da solo in un prossimo futuro.
LA TEORIA BIO-ECOLOGICA DI URIE BRONFENBRENNER (1917-2005)
La teoria bio-ecologica di Bronfenbrenner mette al centro della sua formulazione
l’influenza degli altri e dell’ambiente sociale sullo sviluppo dell’individuo, descrive
l’influenza sociale come una serie di circoli concentrici al centro dei quali si trova
l’individuo. Bronfenbrenner pone al centro del suo modello il bambino, inserito in un
microsistema (attività e interazioni che coinvolgono direttamente un individuo) di
attività e interazioni quotidiane, le relazioni sono bidirezionali e il bambino è parte
attiva di queste interazioni con l’adulto (se ha fame piange e richiama l’adulto); il
microsistema può essere influenzato dalla natura del bambino e dalla qualità delle
interazioni con i genitori (genitori contenti della loro relazione creano un’interazione
positiva, genitori in conflitto tra loro creano un’interazione negativa). Bronfenbrenner
postula legami tra ciascuno degli elementi del microsistema, che egli definisce
mesosistema (connessioni tra gli elementi del microsistema), il bambino non è
influenzato solo dalle singole persone che lo circondano ma anche dal modo in cui
queste persone interagiscono tra loro. Con la crescita del bambino acquisisce
maggior importanza l’esosistema (ambienti sociali che non hanno influenza diretta
sull’individuo, ma che lo circondano e sono importanti per il suo benessere) che ha
un’influenza indiretta su di lui (es. dirigente scolastico, consiglio di amministrazione
dell’azienda in cui si lavora o servizi per i genitori). Il macrosistema (valori culturali,
leggi, costumi e risorse disponibili per un individuo) influisce positivamente sul bambino
se sostiene e incoraggia il ruolo dei genitori nella crescita del bambino (es. asili, scuole,
servizi per genitori).
La teoria bio-ecologica di Bronfenbrenner non interessa solo il bambino, ma spiega lo
sviluppo dell’individuo fino alla vecchiaia, integra biologia e società e descrive
l’individuo sia come prodotto che produttore della società.

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Capitolo 4 – Metodi di ricerca


Le teorie elaborato sullo sviluppo dei bambini sono il frutto di ricerche differenti in
ambienti diversi, alcune sono state condotte nel loro ambiente naturale, altre in
laboratorio. La ricerca nel campo della psicologia dello sviluppo riguarda la
comprensione dello sviluppo sociale (comportamento di gioco e relazionale e
relazione tra pari) e la comprensione dello sviluppo cognitivo (sviluppo del linguaggio
e della memoria); vengono qui approfonditi i metodi utilizzati e perché sono
inevitabilmente diversi da quelli utilizzati con gli adulti.
CHE COS’È LA RICERCA?
Il termine ricerca si riferisce alla serie di attività volte a trovare la risposta a una
domanda o la soluzione di un problema, è un’attività volta alla scoperta di eventi
nuovi o al confronto di eventi passati, attraverso l’indagine di un argomento o
un’indagine critica. La ricerca scientifica è obiettiva, sistematica e verificabile; può
essere ESPLORATIVA (= ha come oggetto una realtà poco conosciuta), SPECULATIVA
(= indaga su possibili implicazioni a lungo termine del cambiamento di un fenomeno).
DESCRITTIVA (=mostra modelli e collegamenti nel comportamento), PREDITTIVA (=
sviluppa e verifica un modello finalizzato a prevedere quali circostanze potranno
essere causa di un determinato comportamento o di un altro effetto) o VALUTATIVA
(=misura l’impatto di un cambiamento nella cura delle malattie o nella tecnica
educativa).
L’IMPORTANZA DI COMPRENDERE I PARADIGMI TEORICI
Esistono due tipi di paradigmi contrapposti: positivismo e costruttivismo; il positivismo è
il sistema che riconosce solo ciò che può essere verificato scientificamente o provato
per via logica e che, pertanto, rifiuta la metafisica e il teismo, il costruttivismo è la
filosofia dell’apprendimento fondata sul presupposto che, riflettendo sulle proprie
esperienze, l’individuo costruisca il proprio punto di vista sul mondo in cui vive. Nel
concreto, la psicologia positivista richiede che un fatto psichico sia un dato
riproducibile sperimentalmente, quindi misurabile e rilevabile sensorialmente; inoltre
pone attenzione alle variabili che possono influenzare l’osservatore e sulla validità e
attendibilità della ricerca (i risultati devono essere falsificabili per essere attendibili); si
parla di “ricerca quantitativa”. Il costruttivismo (“ricerca qualitativa”), invece, sostiene
che non sia possibile una conoscenza “oggettiva” del mondo, in quanto questa è
indissolubilmente legata alle conoscenze personali dell’individuo che vive nel mondo;
le interpretazioni e le azioni possono porsi comunque a diversi livelli e, per Piaget, i dati
sono falsificabili.
I ricercatori positivisti prendono avvio da una certa ipotesi e portano avanti il lavoro in
modo che possa esserne affermata la veridicità: vengono controllate le condizioni
sperimentali, si verifica che lo studia sia realizzato in modo sistematico e ci si assicura
che il campione sia sufficiente; il ricercatore non può però controllare le variabili
confusive (= fattori estranei ad una ricerca non specificamente misurati né manipolati
e che possono modificarne i risultati), spesso modifica il suo comportamento senza
accorgersi in un ambiente sperimentale, così come lo fa il bambino esaminato (es. di
comunicazione/comprensione di Ginsburg → quando egli chiede ad un bambino di
contare ad alta voce i giocattoli, questo menziona sistematicamente tutti quelli che
ha davanti, quando chiede quanti giocattoli ci sono, questo li conta
scrupolosamente; se non avesse posto correttamente la domanda, avrebbe pensato

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che il bambino non sapesse contare). Il ricercatore positivista sviluppa metodi di


ricerca in grado di valutare bambini di tutte le abilità, trovando una misura adatta
non solo ad una determinata fascia d’età ma anche alle fasce di abilità comprese in
quella fascia d’età.
I ricercatori costruttivisti considerano la realtà in odo dinamico, i bambini e gli individui
che li circondano formano una rete di relazioni in cui tutte le componenti sono
importanti; il contesto dell’interazione è fondamentale perché è questo (storia, tempo,
cultura) ad attribuire significato al comportamento. Questi cercano di avere una
comprensione il più ampia possibile del comportamento, indagando nel dettaglio
gruppi numericamente limitati di individui, cercando di entrare nel mondo del
bambino per cogliere quali siano le persone importanti per lui, le influenze
comportamentali e il suo punto di vista; non tentano di generalizzare alla popolazione
nel suo complesso i risultati ottenuti su un piccolo gruppo, per questo motivo la
prospettiva costruttivista risulta limitata.
Nella prospettiva positivista la ricerca utilizzerà metodi quantitativi, con il rischio della
costruzione di situazioni artificiali che possono influenzare i risultati; in quella
costruttivista la ricerca utilizzerà metodi qualitativi, con il rischio che l’interpretazione
del dato reale possa essere ricondotta a un valore dello sperimentatore che il dato in
realtà non possiede.
METODI DI RICERCA NELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
Nell’elaborazione di metodi di ricerca adatti ai bambini, gli psicologi dello sviluppo
tengono conto della capacità di lettura, di comprensione e di quella linguistica;
utilizzano metodi utilizzati anche sugli adulti modificandoli, come l’osservazione, lo
studio del caso singolo, i questionari e i metodi sperimentali. Solitamente il metodo
utilizzato rientra nelle categorie dei disegni longitudinali o trasversali, che a loro volta
possono essere catalogati come ricerca qualitativa o quantitativa.
DISEGNI DI RICERCA TRASVERSALE E LONGITUDINALE
Nella ricerca è indispensabile scegliere il metodo da utilizzare in base al tempo a
disposizione, può essere trasversale o longitudinale.
DISEGNO DI RICERCA TRASVERSALE
Il disegno di ricerca trasversale è un metodo di raccolta dei dati che prevede la
somministrazione di un test o una serie di test a un gruppo di partecipanti di diversa
età e la conseguente analisi degli stessi in riferimento al periodo corrente; i dati
raccolti in questo modo possono rivelare il punteggio più alto e quello più basso, il
punteggio più comune (la moda), il punteggio centrale (la mediana) e il punteggio
medio (la media), tali punteggi sono indicatori utili della prestazione e vengono usati
per la definizione di norme di comportamento e abilità. Questo disegno di ricerca
permette di avere un’istantanea delle abilità del bambino e delle loro modificazioni
nelle età che vengono considerate, ma non dà informazioni sulle differenze dei singoli
nel corso dello sviluppo.
ESEMPIO: per rispondere alla domanda “Qual è il punteggio medio ottenuto nei test di
matematica dai bambini di sette anni? Differisce, e in quale modo, da quello dei
bambini di nove anni?” si utilizza una ricerca trasversale. Si va nelle scuole e si
distribuisce lo stesso test di matematica a tutti i bambini di sette e nove anni, si calcola
il punteggio medio dei test compilati dai gruppi e si rendono note le rilevazioni fatte.

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DISEGNO DI RICERCA LONGITUDINALE


Il disegno di ricerca longitudinale è un metodo di raccolta dei dati che prevede la
somministrazione di un test o di una serie di test al medesimo partecipante o ad un
gruppo di partecipanti in diverse occasioni per un periodo di tempo più o meno
lungo; è molto utile per misurare il cambiamento nel corso del tempo. Ha dei limiti: si
basa sulla distribuzione di test dello stesso tipo agli stessi partecipanti in almeno due
tempi differenti, l’intervallo di tempo può variare, essere di un paio di giorni o di
parecchi anni, numerosi partecipanti potrebbero non essere reperibili per la seconda
raccolta per diversi motivi e rendere nulla l’indagine; i test cambieranno sicuramente,
poiché somministrati prima ad un bambino piccolo, poi al ragazzo ormai cresciuto,
potrebbero valutare competenze più complesse in funzione dell’età rispetto alla
competenza inizialmente valutata, si altera, quindi, una parte fondamentale della
ricerca.
ESEMPIO: per rispondere alla domanda “Permette il punteggio medio ottenuto all’età
di sette anni di prevedere le abilità matematiche all’età di sedici anni?” si utilizza una
ricerca longitudinale. Si distribuisce il test standard di matematica ai bambini di sette
anni che potrebbero essere in futuro reperibili e si raccolgono i punteggi, quando i
bambini avranno sedici anni si riproporrà un altro test standardizzato di matematica e
si raccoglieranno i dati, in seguito, confrontando i punteggi ottenuti dagli stessi
individui a sette e a sedici anni, sarà possibile capire se le abilità matematiche che si
possiedono a sette anni permettono di prevedere quali abilità si avranno a sedici.
METODI QUANTITATIVI
I metodi quantitativi, raccolta sistematica di dati che hanno o a cui viene assegnato
un valore numerico, sono metodi che si servono dei numeri per descrivere e definire
concetti; hanno il vantaggio di essere rapidi e semplici da utilizzare, sono un modo
abbastanza economico per raccogliere grandi quantità di dati, inoltre i dati possono
essere analizzati matematicamente e statisticamente allo scopo di fornire informazioni
su norme e variazioni nell’ambito della popolazione oggetto di studio.
METODI QUANTITATIVI DI USO COMUNE
• Questionari e inchieste → è un modo veloce di raccogliere molte informazioni; è
costituito da un elenco di domande strutturate, oggetto di validazione o risultato di
una ricerca effettuata sulla letteratura disponibile, che richiedono una risposta di
tipo sì/no, che rientra in una scala da 1 a 5, che rientra in particolari categorie o
espressa su una scala continua. Sono utilizzati anche gli inventari, misurano
attitudini e abilità. Per creare un questionario valido è necessario stabilire un tema
di indagine e creare domande mirate, sulla base della letteratura e dell’esperienza
del ricercatore, le domande saranno poi ricontrollate da altri colleghi, validate e
verrà istituito uno “studio pilota” (fase preliminare di uno studio, svolta su piccola
scala e con l’obiettivo di verificare l’adeguatezza degli strumenti) per poi
procedere alla somministrazione vera e propria.
• Inventari in psicologia dello sviluppo → un esempio di inventario utilizzato in
psicologia dello sviluppo è il CDI (MacArthur-Bates Communicative Develompmet
Inventories), sono modelli concepiti per essere compilati da genitori che devono
misurare le abilità linguistiche comunicative del loro bambino. Esistono versioni
differenti per infanti tra gli otto e i sedici mesi, per toddler fra i sedici e i trenta mesi
e per fanciulli trai trenta e i trentasette mesi; il CDI per infanti misura la capacità di

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comprendere parole e gesti, mentre quelli per toddler e fanciulli misurano la


capacità di pronunciare, oltre che di capire, parole e frasi brevi. Possono essere
presentati in versione breve o lunga (una o più pagine); il genitore annota le parole
che il bambino capisce e ripete e i dati sono poi interpretati da un esperto del
linguaggio. I metodi quantitativi forniscono dati numerici, spesso non spiegano il
comportamento e sono fallibili dell’interpretazione del ricercatore.
• Metodi sperimentali → sono definiti come una manipolazione di eventi finalizzata a
osservare se il cambiamento di una variabile è causa del cambiamento di un’altra
(avviene in laboratorio); tutti gli esperimenti includono la manipolazione di una
variabile su un tipo di comportamento. Esempi di esperimenti sono: misurazione
della capacità di ricordare un elenco di parole in condizioni di silenzio o rumore,
misurazione della prestazione matematica in condizioni di forte o scarso stress e
misurazione delle reazioni degli infanti di fronte al viso delle madri o di altre persone.
Si possono usare vari ambienti per l’esperimento, un ambiente naturale si avvicina
di più alla realtà, in un laboratorio è più facile manipolare le variabili e individuare
l’effetto delle variabili confusive.
INTERPRETAZIONE E UTILIZZO DATI
Tutti i metodi di ricerca descritti portano a dati numerici che è necessario interpretare;
la maggior parte delle misure standardizzate che sono state pubblicate si
accompagnano a istruzioni per codificare e assegnare un punteggio alle risposte dei
bambini e presentano una gamma di risultati che rientrano nella fascia “normale”,
differente a seconda dell’età. Il ricercatore ha la responsabilità dei dati raccolti e
delle loro conseguenze, si fa inoltre garante del rispetto della volontà del bambino.
METODI QUALITATIVI
I metodi qualitativi descrivono e definiscono concetti senza utilizzare numeri, sono
impiegati, solitamente, quando il numero dei partecipanti alla ricerca è ridotto; di
solito implicano l’osservazione del comportamento o, più comunemente, consistono
nel parlare con gli individui per conoscere le loro personali esperienze. L’utilizzo di un
metodo qualitativo non esclude quello di un metodo quantitativo e viceversa, spesso
il metodo qualitativo è utilizzato per comprendere meglio i dati derivanti da ricerche
quantitative.
METODI QUALITATIVI DI USO COMUNE
• Osservazione → in uno studio osservativo il ricercatore osserva il comportamento in
un laboratorio oppure nel contesto naturale e registra gli eventi che vi hanno
luogo; egli, generalmente, cerca di non influenzare gli eventi, a meno che ciò non
sia richiesto dal progetto di ricerca. Il ricercatore può utilizzare l’osservazione per
formulare un quesito di ricerca significativo o per rispondere al quesito di ricerca.
L’osservazione può essere un metodo con alta validità scientifica e molto utile per
raccogliere informazioni all’interno di un disegno di ricerca, tuttavia è un metodo
molto difficile da apprendere e padroneggiare e molto spesso l’osservatore rischia
di non essere obiettivo. Un esempio di metodo osservativo è lo studio della
“Strange Situation” della Ainsworth e della Bell.
• Interviste → l’intervista è condotta dal ricercatore il quale, nel caso si tratti di
un’intervista chiusa o strutturata, segue un rigido elenco di domande o, al
contrario, si lascia guidare dalle risposte dell’intervistato e allora si tratta di
un’intervista aperta. L’intervista strutturata è utile per raccogliere opinioni,

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preferenze o dati che richiedano una risposta dell’intervistato a ogni domanda


dell’elenco precompilato; i dati raccolti sono utili per analisi di mercato e sono
adatti all’analisi quantitativa, oltre che quantitativa. Mentre l’intervista strutturata
garantisce che tutti gli intervistati rispondano alle stesse domande, l’intervista
aperta consente all’intervistatore e all’intervistato di indagare in modo flessibile le
risposte date e le questioni da esse sollevate; né all’intervistatore né al
partecipante è richiesto necessariamente di porre e di rispondere a una serie di
domande e il flusso dell’intervista dipende dalle risposte fornite. Anche l’intervista è
un metodo difficile da apprendere; spesso i due tipi di intervista vengono
combinati. Un esempio di intervista sono le interviste semi-strutturate di Kohlberg.
• Studio del caso singolo → l’approccio basato sullo studio del caso singolo,
indagine dettagliata sull’esperienza di un individuo o di un piccolo gruppo di
individui, può essere impiegato in numerose situazioni, ma la ragione di fondo del
suo utilizzo è dovuta essenzialmente al fatto che a un certo punto il ricercatore si
trova a rivolgere l’interesse a un particolare individuo o ad una particolare
situazione, qualcosa di tanto interessante da richiedere un’indagine più
approfondita. Lo studio del caso singolo permette di comprendere meglio una
determinata teoria e vederne i riscontri nella realtà, tuttavia dallo studio di un unico
individuo non è possibile inferire considerazioni di carattere generale. Un esempio
sono le osservazioni di Robertson e Robertson su un caso singolo, un bambino di
diciassette mesi allontanato dalla madre per nove giorni, in quanto questa doveva
partorire, che hanno permesso di comprendere meglio alcuni meccanismi
dell’attaccamento.
QUANDO PORTARE UNA RICERCA ALLA CONCLUSIONE?
Perché lo studio abbia luogo, i partecipanti devono essere consapevoli e dare il loro
consenso; quando sono coinvolti bambini, i ricercatori devono considerare se il
bambino per qualche ragione ha bisogno di fare una pausa e se le esperienze che gli
si stanno proponendo sono davvero necessarie ai fini della ricerca: le necessità dei
bambini vengono sempre prima delle necessità dello studio.
LAVORARE CON I BAMBINI
Quando si lavora con i bambini, sono particolarmente importanti il come, il dove e il
quando la ricerca avrà luogo; è necessario considerare se il bambino può
comprendere le domande o i compiti che si vuole sottoporgli, il suo contesto sociale
ed emotivo e il suo livello di sviluppo in generale (bambini piccoli comprendono solo
alcune domande, bambini più grandi sono in grado di rispondere a questioni più
complesse e hanno un ragionamento più simile all’adulto). Quando si pensa al luogo
in cui sarà condotta la ricerca, è necessario considerare i molti contesti in cui i
bambini passano le proprie vite e il modo in cui questi influenzeranno le loro risposte
(casa, scuola, luoghi ricreativi).
NORME E TIPICITÀ
Larga parte della ricerca in psicologia dello sviluppo segue una di queste direzioni: la
misurazione e la descrizione del comportamento “normale” o “tipico” e l’indagine del
comportamento “unico” o “individuale”; i metodi quantitativi sono utili al fine di
identificare le norme e il comportamento tipico, mentre i metodi qualitativi sono utili,
perlopiù, al fine di indagare il comportamento unico e individuale. Il rischio legato al
momento della descrizione delle modalità comportamentali tipiche dei bambini
riguarda la variabilità delle abilità di ogni bambino, tale variabilità nello sviluppo

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individuale rappresenta un’ulteriore difficoltà nello stabilire il ritmo tipico o meno del
bambino. Spesso i bambini vengono assegnati a percorsi di studio differenti se
presentano abilità superiori o inferiori alla norma, questo rischia di diventare un fattore
di rischio sociale.
EFFETTI COORTE
Una coorte è un gruppo di persone con qualche cosa in comune; il termine coorte è
usato nelle scienze sociali, di cui la psicologia fa parte, per descrivere le variazioni che
si rivelano in individui uniti da un’esperienza circoscritta o di vita comune (anno di
nascita, epoca, eventi vissuti). In psicologia dello sviluppo gli studiosi definiscono il
proprio bersaglio di ricerca usando le coorti al fine di ottenere risultati più affidabili; le
coorti hanno il vantaggio di essere identificate da fattori che, rispetto al semplice dato
demografico, descrivono probabilmente con maggiore efficacia le somiglianze tra i
membri del gruppo, con il rischio, però, di porre troppa enfasi sulle supposte
somiglianze, senza comprendere le differenze tra i membri.
ETICA DELLA RICERCA
In psicologia dello sviluppo l’etica della ricerca non è stabilita solo dall’università in cui
opera il ricercatore, ma anche dalle associazioni professionali (es. EFPA e AIPASS in
Italia). I punti fondamentali sono:
• Consenso e assenso → è necessario che il partecipante conosca il progetto di
ricerca e scelga di parteciparvi; viene utilizzato un consenso informato, ovvero un
consenso a prendere parte a uno studio del quale si conoscono i dettagli relativi
alla metodologia adottata e tutti i possibili benefici o rischi cui si va incontro, che
viene sottoscritto dal partecipante. Nel caso di minori, è necessario il consenso
informato firmato del genitore e l’assenso del minore (che risulta come consenso
informato), se la ricerca è condotta in una scuola sono necessarie le autorizzazioni
di insegnante e dirigente.
• Rapporti di potere, caratteristiche della domanda e coercizione → il ricercatore è
responsabile dell’influenza che esercita sul comportamento del partecipante, è
inoltre possibile che esistano rapporti di potere tra il ricercatore e il partecipante; la
caratteristica della ricerca è una situazione in cui il partecipante si sente spinto ad
agire in un determinato modo soltanto in virtù della sua partecipazione alla ricerca
o perché pensa che il suo modo di agire piacerà al ricercatore. Riguardo alla
coercizione, è doveroso che il ricercatore non prometta somme di denaro come
ricompensa per la partecipazione allo studio, eventualmente solo rimborsi-spese
per il viaggio sostenuto, e informi il partecipante di poter interrompere lo studio
qualora lo ritenesse necessario.
• Inganno e informazione dei partecipanti → è possibile che, per ragioni legate
all’esperimento da condurre, si ricorra all’”inganno” (= creazione deliberata di una
falsa conoscenza a uso dei partecipanti per influenzare i risultati di una ricerca) dei
partecipanti, che è comunque regolamentato da rigidi protocolli; in ogni caso il
partecipante verrà invitato a firmare un consenso informato.
• Protezione dal danno fisico e psicologico (sofferenza psicologica, turbamento,
senso di colpa e perdita di autostima) → il principio alla base della ricerca è
l’incolumità del partecipante e del ricercatore (spesso le università richiedono una
dichiarazione di adesione al codice etico espresso dal comitato etico
dell’università stessa da parte del ricercatore); si deve fare in modo di prevenire
qualsiasi danno, sia fisico che psicologico, inoltre con bambini molto piccoli è

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necessario che l’ambiente non costituisca pericolo (es. non devono esserci oggetti
molto piccoli che possono essere ingeriti). I criteri etici della ricerca sono in
continuo sviluppo, molti anni fa, per esempio, non veniva chiesto anche al
bambino se volesse prendere parte alla ricerca.
• Confidenzialità → per condurre la ricerca eticamente, è necessario considerare la
questione della confidenzialità, cioè assicurare la riservatezza al partecipante e
garantire quella dei dati raccolti, cosicché il fruitore della ricerca possa non
individuare il partecipante o le sue risposte.

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Capitolo 5 – Sviluppo prenatale e infanzia


L’esperienza del mondo durante l’infanzia non è caotica, disordinata o effimera: già a tre
mesi i bambini considerano i cani e i gatti come esseri diversi, come si è visto usando
l’elettroencefalografia (EEG) su bambini di sei mesi che osservavano cani e gatti. Anche
se non pienamente sviluppate, la percezione e la cognizione sono ordinate e strutturate
sin dalla nascita e costituiscono il fondamento per la comprensione e l’apprendimento
successivo.
La ricerca recente ha infatti evidenziato come l’esperienza infantile sia molto più ricca e
coerente della semplice esperienza sensomotoria descritta da Piaget, priva di
un’autentica attività cognitiva e caratterizzata da impressioni del mondo separate e
frammentarie.
COME CRESCERE UN BAMBINO: I RUOLI DELLA NATURA E DELLA CULTURA NEL PRIMO
SVILUPPO
A tutte le età, lo sviluppo umano dipende dalla stretta interazione fra natura e cultura,
ossia tra i processi controllati dai nostri geni e le informazioni ricevute dall’ambiente e
dall’esperienza; è stato rilevato che influenzano in ugual modo lo sviluppo umano.
I fattori ambientali che influenzano il primo sviluppo sono gli stimoli fisici, cognitivi,
linguistici, sociali ed emotivi a cui ogni bambino va incontro. L’ambiente fisico include
inoltre i fattori nutrizionali, i quali hanno effetto sullo sviluppo delle capacità cognitive e
percettive; e anche l’ambiente culturale, sociale e interpersonale del bambino fornisce
esperienze che influenzano molti aspetti del primo sviluppo. L’ambiente può quindi dare
un’impronta duratura alle capacità del bambino, attraverso la memoria e
l’apprendimento, e nella vita prenatale l’ambiente materno è il condotto attraverso cui il
mondo esterno incide sullo sviluppo del nascituro: informazioni sensoriali possono
permeare l’ambiente uterino e stimolare la crescita di organi e sistemi sensoriali che,
probabilmente, forniscono anche il contenuto dei primi ricordi e del primo
apprendimento. Anche lo stato emotivo della madre durante la gravidanza può
costituire un fattore ambientale dello sviluppo del bambino. Tali fattori ambientali,
tuttavia, operano invariabilmente in stretta relazione con il corredo genetico del
bambino, in un dialogo che consente ai geni di modificare gli effetti dell’esperienza
ambientale e che permette all’esperienza di influenzare direttamente l’attività dei geni.
IN CHE MODO I GENI INFLUENZANO IL PRIMO SVILUPPO?
I geni sono sequenze di materiale biochimico (DNA) presenti in tutte le cellule del corpo
che influenzano la crescita e il funzionamento del corpo. I geni sono trasmessi dal
genitore al bambino e ogni cellula presenta due varianti (alleli) di ciascun gene; gli alleli
possono essere uguali o differenti e ciascuna differenza porta a una mescolanza o alla
dominanza di un allele sull’altro. Tutte le cellule hanno lo stesso insieme di geni, ma per
ogni cellula soltanto alcuni di essi devono essere attivati e solo al momento giusto (dai
regolatori). Dunque, la crescita prenatale del cervello e del corpo sono controllate dalla
attivazione e dalla disattivazione dei geni corretti al momento appropriato. È probabile
che la maggior parte delle funzioni psicologiche implichino molti geni e complesse
interazioni genetico-ambientali. È importante sottolineare la differenza tra genotipo
(impronta genetica di base) e fenotipo (espressione del gene nello sviluppo reale): il
fenotipo può essere diverso dal genotipo a causa dell’influenza dell’ambiente, che può
modificare o inibire l’azione dei geni.

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IN CHE MODO INTERAGISCONO I GENI E L’AMBIENTE NEL PRIMO SVILUPPO?


Quindi, le interazioni tra natura e cultura possono assumere forme differenti. Da una
parte, la cultura (esperienza) può attivare o disattivare la natura (geni): molti geni sono
infatti inattivi ed entrano in funzione solo grazie a particolari stimoli ambientali
(epigenetici). Le interazioni epigenetiche sono state dimostrate da diversi studi: per
esempio, la ricerca ha confermato che lo stress o i differenti stili di cura materni incidono
direttamente sull’espressione di fattori genetici collegati alla risposta allo stress nei figli.
D’altra parte, i geni possono alterare gli effetti dell’ambiente: individui con varianti
differenti dello stesso gene possono reagire in maniera differente alle stesse esperienze e
dunque i geni possono limitare o filtrare gli effetti dell’esperienza.
La relazione tra geni e ambienti è pertanto molto stretta, come risulta evidente nello
sviluppo dell’attaccamento durante l’infanzia.
SVILUPPO FISICO PRENATALE
Ci sono tre fasi principali nella vita prenatale:
1. Periodo germinale (da 0 a 2 settimane) – lo zigote (cellula singola) si sviluppa in un
gruppo di 60-70 cellule chiamato blastocisti.
2. Periodo embrionale (da 3 a 8 settimane) – da circa 2 mm di lunghezza l’embrione
raggiunge 2,5 cm di lunghezza e 4 g di peso circa. Assume aspetto umano, apre gli
occhi e mostra risposte riflesse al tocco. Il cuore inizia a battere, si sviluppa il tubo
neurale e inizia la produzione di neuroni.
3. Periodo fetale (da 9 a 40 settimane) – da una lunghezza di 7,5 cm al terzo mese il
feto raggiunge un’altezza media di 50 cm e un peso di 3,2 kg. Il corpo e il sistema
nervoso iniziano a operare in modo organizzato, attraverso le funzioni del respiro,
della deglutizione e della minzione. I movimenti degli arti si fanno frequenti, è
possibile conoscere il sesso e sopravvivere alla nascita prematura a partire dalla
ventunesima settimana.

SVILUPPO PRENATALE DEL CERVELLO


L’encefalo inizia molto presto a svilupparsi in utero: durante il periodo embrionale, il disco
embrionale diventa una struttura cellulare a tre strati; entro il diciottesimo giorno, inizia a
crescere uno spesso piatto neurale; dalla quarta settimana, si sviluppa il tubo neurale,
precursore dell’encefalo e del midollo spinale. Il tubo neurale si struttura come un
ripiegamento simile ad una cerniera, destinato poi a chiudersi alle estremità: in un caso su
mille, il tubo neurale non riesce a chiudersi e questa anomalia può causare
un’anencefalia (solitamente fatale dopo la nascita) o la spina bifida, che può portare
alla paralisi. Dopo la chiusura del tubo, lo sviluppo neurale procede in maniera convulsa,
attraverso diverse fasi, che possono sovrapporsi in differenti aree dell’encefalo:
1. La prima fase coincide con la neurogenesi, ossia la rapida e fitta produzione di
neuroni all’interno del tubo neurale, e all’incirca entro la ventiquattresima
settimana la maggior parte dei neuroni dell’encefalo è formata. Questa
prolificazione di neuroni porta alla crescita delle dimensioni dell’encefalo, con la
testa che raggiunge la metà della dimensione del corpo entro l’ottava settimana.
Negli ultimi mesi di vita prenatale, crescono le sinapsi e il peso dell’encefalo
decuplica.

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2. La seconda fase è la migrazione neuronale, durante la quale i neuroni procedono


verso differenti luoghi dell’encefalo e del sistema nervoso. Se la migrazione, per
qualsiasi ragione, viene interrotta, le funzioni cerebrali possono risultare
danneggiate: numerosi disturbi, come la dislessia e l’autismo, sono stati collegati al
danneggiamento della migrazione neuronale nell’encefalo durante la fase
prenatale.
3. La terza fase è la differenziazione neuronale, che inizia quando i geni modificano
ulteriormente le cellule appena arrivate per specializzarle. Durante questo
processo, si verificano altre due fasi:
• La sinaptogenesi è lo sviluppo di potenziali connessioni o sinapsi tra i neuroni;
• La mielinizzazione è la copertura degli assoni con una sostanza isolante,
finalizzata a migliorarne l’efficienza;

Durante gli ultimi mesi di vita prenatale, la corteccia cerebrale mostra un numero
crescente di pieghe, dovute alla produzione di neuroni e alla crescita delle sinapsi e della
mielina.
ABILITÀ E COMPORTAMENTI PRENATALI
Il rapido sviluppo dell’encefalo e del sistema nervoso spiega la precoce apparizione delle
capacità sensoriali e delle risposte comportamentali all’interno dell’utero. Al termine del
periodo embrionale, è già presente la capacità di reagire a una stimolazione esterna, in
principio attraverso semplici riflessi e poi attraverso risposte sempre più legate al controllo
cerebrale. I cinque sistemi sensoriali, infatti, iniziano a svilupparsi nell’embrione e operano
nella percezione già nel periodo fetale; inoltre, con lo sviluppo del cervello aumenta
anche l’abilità di trattenere l’informazione sensoriale e quindi di memorizzare e
apprendere.
TATTO, GUSTO E OLFATTO DEL FETO
Il primo canale che si sviluppa è il tatto: già dopo otto settimane, il feto si muove se viene
toccato nella regione della bocca e entro le dodici settimane si aggrappa ad ogni cosa
gli sfiori le dita. Anche gusto e olfatto si attivano presto: il bambino reagisce alle sostanze
introdotte in ambiente uterino e dimostra l’innata preferenza per i sapori non amari.
UDITO DEL FETO
Dopo circa venti settimane, anche il sistema uditivo entra in funzione, sebbene l’orecchio
e le regioni uditive del cervello non siano ancora mature: il feto risponde ai suoni di forte
intensità e può mostrare un “sussulto di riflesso”. Dopo ventidue settimane, il feto mostra
una reazione più sofisticata, orientandosi in direzione dei suoni o ascoltandoli, e
soprattutto se il suono si ripete dimostra un’abituazione o decremento di responsività, a
prova dell’apprendimento. Il feto è capace di cogliere semplici associazioni come
l’unione di un suono con uno stimolo tattile, ma è anche in grado di ricordare complesse
strutture sonore provenienti dal mondo esterno: in particolare, il nascituro mostra risposte
preferenziali per la voce della madre e per le sigle musicali da lei ascoltante in
gravidanza.
VISTA DEL FETO
Il meno sviluppato dei canali sensoriali nella vita prenatale è la vista: entro il quarto mese,
le principali parti dell’occhio sono sviluppate, sebbene la retina non sia formata del tutto;
un feto di sei mesi si protegge gli occhi se una luce intensa viene introdotta nell’addome

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della madre; entro il settimo mese la corteccia visiva si sviluppa nella sua struttura di base
e il feto è in grado di analizzare le principali caratteristiche del mondo visivo
RISCHI PER LO SVILUPPO PRENATALE
Circa il 3% dei neonati presenta qualche malformazione congenita, cioè un problema
presente sin dalla nascita dovuto a fattori ambientali nocivi o dannosi, conosciuti come
teratogeni, o a fallimenti nei processi genetici.
TERATOGENI AMBIENTALI
Il periodo embrionale è quello più vulnerabile agli effetti dei teratogeni, poiché coincide
con la fase di formazione di tutti gli organi, inclusi cervello e sistema nervoso: per questo,
le influenze teratogene possono essere particolarmente distruttive. La maggior parte degli
agenti teratogeni è legata a condizioni o comportamenti materni (nutrizione insufficiente,
stress, assunzione di alcol, fumo) o deriva da fattori ambientali più estesi, come per
esempio le radiazioni. Sono i seguenti:
• Denutrizione
La denutrizione materna risulta particolarmente grave per il feto (in particolare, l’acido
folico è un elemento essenziale per la produzione del materiale genetico).
• Uso di droga da parte della madre
Le droghe, quelle legali come quelle illegali, possono avere conseguenze dannose
per il bambino, come crescita insufficiente e alta eccitabilità; alcol e nicotina possono
infatti avere profondi effetti sullo sviluppo del cervello e del corpo; alcuni degli effetti
più nocivi sono stati addirittura causati dall’assunzione di medicinali.
• Malattie della madre
Un altro fattore di rischio nello sviluppo prenatale è la malattia materna (la rosolia può
pregiudicare lo sviluppo degli occhi e delle orecchie nel feto).
• Stato psicologico della madre
Anche lo stato psicologico gioco un ruolo fondamentale: stress e ansia, infatti,
producono alti livelli di cortisolo, collegati a problemi di crescita e a problemi cognitivi
postnatali.
• Tossine ambientali
Anche Le sostanze inquinanti e le tossine presenti nell’ ambiente naturale possono
avere effetti sul nascituro.

FATTORI GENETICI CHE DANNEGGIANO LO SVILUPPO PRENATALE


Tra i difetti genetici, uno dei più comuni è la sindrome di Down, conosciuta anche come
trisomia 21: si verifica circa una volta ogni ottocento nascite e il rischio aumenta in modo
consistente all’avanzare dell’età della madre. La maggior parte dei casi è dovuta alla
non riuscita separazione della ventunesima coppia di cromosomi durante la replicazione
cellulare, cosicché le nuove cellule, anziché due, si trovano tre cromosomi: ciò porta
anomali sia nel corpo sia nel cervello, pregiudicando le capacità cognitive, il linguaggio
e le capacità motorie.
PARTO
Il parto prende avvio dalla comunicazione chimica tra la madre e il bambino: il feto
manda segnali ormonali che si traducono in contrazioni uterine; inoltre, produce ormoni
dello stress che aumentano le contrazioni durante il travaglio e aiutano il bambino a
prepararsi alla nascita.

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Il travaglio ha tre fasi:


1. Si verificano contrazioni uterine ritmiche di forza e frequenza crescenti, che
causano la dilatazione della cervice;
2. La testa del bambino entra nell’apertura cervicale e la madre spinge fuori il
bambino;
3. La placenta viene espulsa;

Tuttavia, durante il travaglio, possono sorgere delle complicazioni: i parti protratti possono
causare danni cerebrali all’infante, dovuti ad anossia, cioè assenza di ossigeno.
L’IMPORTANZA DEL PESO IN RAPPORTO ALL’ETÀ GESTAZIONALE
Il peso medio di un neonato si aggira sui 3,2 kg e la lunghezza sui 50 cm: il peso alla
nascita è un fattore chiave nella sopravvivenza postnatale. Un peso scarso può essere
associato a un mancato completo sviluppo dei polmoni e dovuto ad una nascita
prematura o ad un neonato SGA (small for gestational age): i bambini prematuri, ma con
un peso che rientra nella media della loro età gestazionale, hanno più probabilità di
sopravvivere e di svilupparsi più rapidamente dei bambini SGA.
IL NEONATO È IN BUONE CONDIZIONI?
Esistono diversi strumenti per giudicare le condizioni fisiche e lo stato di salute di un
neonato. Tra questi, l’indice di Apgar valuta la condizione del bambino prendendo in
considerazione una serie di aspetti: respirazione, colore della pelle, battito cardiaco,
riflessi, tono muscolare. Ad ogni aspetto corrisponde un punteggio e un punteggio
complessivo uguale o superiore a sette indica buone condizioni.
IL NEONATO: STATI, MOVIMENTI E RIFLESSI
Per circa trenta minuti dopo la nascita, gli infanti mostrano un periodo di “allerta
tranquilla”, iniziando a osservare il mondo. Ricerche recenti confermano che il neonato è
capace di sensazione, percezione, attenzione, memoria e apprendimento organizzato e
non mostra solo semplici riflessi, ma anche risposte volontarie che fanno riferimento a
funzioni complesse del cervello.
Uno dei segnali chiave dell’operatività del sistema nervoso neonatale consiste nel fatto
che, dopo lo stato di allerta tranquilla, i neonati mostrano sei differenti stati di attivazione:
1. Sonno profondo
2. Sonno leggero
3. Sonnolenza
4. Allerta tranquilla
5. Attività vigile (sveglio ma agitato)
6. Pianto

Nei bambini piccoli, il sonno non è controllato dalla melatonina e perciò non è collegato
ai cicli di luce e buio: i neonati dormono dalle sedici alle diciotto ore al giorno, sebbene
non continuate, con fasi REM più numerose rispetto agli adulti.
I neonati hanno un controllo relativamente scarso dei movimenti del proprio corpo, ma
possono muovere la testa e scalciare quando sono stesi a pancia in giù. Presentano
anche molte reazioni riflesse, che rappresentano un indicatore della maturità del sistema
nervoso: alcuni riflessi continuano per tutta la vita ma la maggior parte dovrebbe
scomparire nel primo anno di vita.

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SVILUPPO POSTNATALE DEL CERVELLO


Il cervello del neonato è sufficientemente sviluppato per permettere all’infante di
percepire il mondo e di apprendere informazioni al suo riguardo ma è anche abbastanza
duttile per garantire gli adattamenti al contesto necessari per lo sviluppo.
CONNESSIONE E “POTATURA” NELL’ENCEFALO DOPO LA NASCITA
La prima differenza tra il cervello del neonato e quello dell’adulto è dato dal fatto che
l’encefalo del neonato contiene grossomodo appena un sesto delle sinapsi di quelle
dell’individuo adulto. Nei primi mesi, si verifica un massiccio incremento del numero di
sinapsi: a un anno, il cervello del bambino contiene il doppio delle sinapsi di quello di un
adulto e questa sovrapproduzione viene poi corretta con una forte “potatura” (solo le
connessioni più utilizzate sopravvivono).
RIVESTIMENTO DEI NEURONI: LA MIELINIZZAZIONE
L’utilizzo dell’encefalo si riflette anche nell’intensificarsi della mielinizzazione, che si
espande rapidamente dopo la nascita e non rallenta fino all’adolescenza. Dopo la
nascita continua a svilupparsi anche la lateralizzazione delle funzioni (le differenze
funzionali tra i due emisferi) e nel corso dell’infanzia si sviluppa anche la comunicazione
tra i due emisferi.
NATURA E CULTURA NELLO SVILUPPO POSTNATALE DEL CERVELLO
Natura e cultura collaborano armoniosamente nel primo sviluppo del cervello. Sebbene i
processi fondamentali della crescita siano controllati dai geni, paradossalmente la
crescita stessa riflette la duttilità e l’adattabilità del cervello umano all’apprendimento e
all’esperienza: input diretti al cervello provenienti dall’esperienza hanno effetti diretti sulla
crescita delle sinapsi. Le esperienze avute nelle prime fasi della vita possono persino
rafforzare o indebolire innate capacità cerebrali.
PERIODI CRITICI PER L’ADATTABILITÀ DEL CERVELLO
Esistono anche periodi critici perché possano aver luogo cambiamenti importanti
nell’organizzazione del cervello: in generale, il cervello è meno adattabile nella tarda
fanciullezza e in età adulta. Aree come la corteccia visiva, che maturano presto,
possono essere più flessibili in caso di danneggiamenti precoci poiché possono “prendere
in prestito” capacità cerebrali nelle regioni circostanti: questo spiega perché le funzioni
che maturano più tardi, come il linguaggio, possano essere condizionate (la zona
cerebrale di loro pertinenza è già stata usata) e quindi siano maggiormente vulnerabili.
VISTA IN ETÀ INFANTILE
La vista coinvolge l’attività di speciali ricettori del corpo e di canali speciali del sistema
nervoso, che ci rendono capaci di rilevare gli stimoli dall’ambiente. Di questi percorsi
neuronali la percezione è il processo aggiuntivo, che fornisce un’impressione più
completa della natura dello stimolo. La percezione è attiva e coerente anche nei
neonati e struttura il flusso di stimoli che giunge dal mondo esterno.
I neonati, dunque, possiedono l’apparato visivo, sebbene alcune componenti non siano
ancora formate al primo anno di età: i coni visivi non sono ancora collocati nella fovea e
il cristallino non è ancora in grado di mettere a fuoco oggetti distanti più di 75 cm.
L’acutezza visiva infantile viene misurata attraverso il metodo di preferenza visiva, basato
sull’idea che i bambini preferiscano guardare qualcosa piuttosto che non guardare nulla,
o attraverso il metodo VEP (misurazione dell’attività cerebrale): entrambi questi metodo
permettono di concludere che l’acutezza visiva del neonato è di circa 6/180, ossia i

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neonati vedono a 6 metri di distanza quello che un adulto vede a una distanza di 180.
L’acutezza visiva cresce rapidamente per arrivare a 6/18 entro i sei mesi e 6/6 (come
l’adulto) all’incirca a 9 mesi.
Ci si è però chiesti se i neonati, pur vedendo, riescano a farlo in maniera coerente e
logica (distinguono gli oggetti?). Per comprendere questo aspetto, sono state utilizzate le
procedure di preferenza visiva dell’abituazione-recupero e della familiarizzazione: in
genere, il metodo della abitazione viene utilizzato con neonati di pochi giorni e lo stimolo
a cui il bambino deve essere abituato viene presentato per un tempo variabile, mentre
nella familiarizzazione lo stimolo viene presentato per un periodo di tempo stabilito dallo
sperimentatore. I neonati che si sono abituati a una determinata forma mostrano un
recupero di interesse alla visione di una forma diversa (per esempio di un rettangolo se
abituati a un quadrato). I neonati mostrano, inoltre, una preferenza visiva per
determinate forme, il che indica la loro capacità di distinguerle: in particolare, hanno una
predisposizione per la forma del viso e, dopo soltanto quattro ore, mostrano una
preferenza di fissazione visiva per il volto della madre. Dopo soli due giorni sono poi in
grado di distinguere espressioni emotive fondamentali come la felicità o la tristezza.
Per quanto riguarda la percezione dei colori, gli studi sostengono che i neonati
possiedano almeno in parte una visione funzionale dei colori. Sembra che appena nati i
bambini percepiscano tonalità verdi, gialle o rosse, ma non possano percepire
correttamente tonalità blu: questa abilità matura a circa tre mesi.
Rispetto alla profondità e alla tridimensionalità, si è scoperto che gli infanti cominciano a
percepire il mondo in profondità a circa tre mesi e questo processo si rafforza
rapidamente nel corso del primo anno di vita.
Inoltre, i neonati percepiscono che lo stesso oggetto può apparire diverso da angolazioni
o distanze differenti, cogliendone così la costanza di dimensione e forma. Gli infanti sono
anche in grado di “collegare” le diverse caratteristiche di un oggetto (colore,
consistenza, dimensione) e di percepirlo come un tutto.
UDITO IN ETÀ INFANTILE
Alla nascita, il sistema uditivo è maggiormente sviluppato di quello visivo: i neonati sono in
grado di distinguere i suoni e di percepire somiglianze fra suoni e strutture sonore.
Le capacità uditive più complesse sono spesso misurate con il metodo HAS (suzione ad
alta intensità): ai bambini viene dato un succhiotto, collegato con uno strumento che
controlla la produzione di suoni; il suono si attiva quando la suzione del bambino cresce
di intensità, così se egli vuole sentire, continuerà a succhiare ad alta intensità. Da questo
si è dedotto che i neonati hanno un orientamento di preferenza al linguaggio e alla
musica.
Tecniche di imaging cerebrale hanno confermato che nella prima infanzia il bambino è
estremamente sensibile agli stimoli linguistici dell’ambiente circostante: i neonati nascono
con la capacità di rilevare le strutture del linguaggio.
ABILITÀ TATTILI, GUSTATIVE E OLFATTIVE NELL’INFANZIA
A partire dalla fase embrionale gli aspetti base della percezione tattile si attivano e il
neonato mostra chiare risposte di riflesso al tatto. Gli infanti utilizzano il tatto anche in
maniera “aptica”, cioè per ottenere informazioni sul mondo.

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Il gusto e l’olfatto maturano presto per diminuire con l’età. I neonati reagiscono in modo
diverso ai quattro gusti base attraverso differenti espressioni facciali e sembrano preferire i
sapori dolci. La stessa cosa avviene con gli odori.
ABILITÀ MOTORIE NELL’INFANZIA
Le capacità di movimento alla nascita sono piuttosto scarse: la padronanza del
movimento del corpo coinvolge infatti centri cerebrali superiori e inferiori e lo sviluppo del
controllo motori deriva dalla maturazione di comportamenti di azione innati in
combinazione con gli stimoli provenienti dall’ambiente.
In linea generale
• Tra il primo e il quarto mese, il bambino compie movimenti riflessi, solleva la testa
quando è sdraiato sulla pancia e sta seduto se aiutato;
• Tra i cinque e i nove mesi, sta in posizione seduta senza aiuti;
• Entro i dieci mesi, si solleva in posizione eretta;
• Entro gli undici mesi, si muove carponi;
• Entro i diciassette mesi, sta in posizione eretta e cammina da solo;
• Tra i diciotto e i trenta mesi, corre e salta;

Per quanto riguarda lo sviluppo motorio fine, il centro di attenzione primario è il controllo
di mani e dita, volto all’atto di afferrare gli oggetti: si tratta infatti di un’abilità critica per
l’esplorazione. A circa cinque mesi, i bambini possono afferrare un oggetto anche al buio
e tra i quattro e i sei mesi si sviluppa una guida precisa da parte della vista che permette
di calibrare la presa alla dimensione e alla forma dell’oggetto. A nove-dieci mesi circa, i
bambini usano una presa “a tenaglia” che richiede la coordinazione tra il pollice e le
altre dita.
ABILITÀ COGNITIVE NELL’INFANZIA: MODELLI E APPROCCI GENERALI
L’azione sul mondo e l’esplorazione portano il bambino all’assimilazione di nuove
informazioni in struttura di conoscenza preesistenti e all’accomodamento (revisione) di
queste ultime alla luce delle nuove informazioni.
Attualmente, le teorie sullo sviluppo cognitivo si basano su modelli di elaborazioni
cognitive che si collegano strettamente alle funzioni e ai sistemi del cervello. In questo
schema di riferimento, gli infanti sono considerati capaci di funzioni cognitive di base e
non vengono confinati all’esistenza “precognitiva”, come aveva sostenuto Piaget
(periodo senso motorio).
Alcuni studiosi sostengono che il pensiero degli adulti e quello degli infanti abbiano una
natura sostanzialmente e qualitativamente differente; altri, invece, propongono una
continuità nello sviluppo.
ATTENZIONE DELL’INFANTE
Tra le facoltà cognitive, ci si è concentrati particolarmente sul processo attentivo, ossia
l’elaborazione selettiva di uno stimolo, in quanto essenziale per acquisire informazioni sul
mondo. L’attenzione può essere sublimale o manifesta (riconoscibile) ed essere misurata
da risposta fisiologiche come la diminuzione del battito cardiaco. I neonati mostrano
risposte attentive fondamentali che si adattano alle richieste della situazione: hanno
capacità di orientamento e di attenzione selettiva, strumenti essenziali per qualsiasi

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attività cognitiva. Con il crescere dell’età, l’attenzione diventa poi sempre più efficiente
ed è influenzata da fattori quali la conoscenza, gli interessi e gli stati emotivi.
APPRENDIMENTO E MEMORIA IN ETÀ INFANTILE
Per quanto riguarda la memoria, la maggior parte dei modelli propone differenti fasi:
• Memoria sensoriale, caratterizzata dalla breve persistenza di impressioni sensoriali;
• Memoria di lavoro, ossia il temporaneo mantenimento delle informazioni in uno
stato attivo;
• Memoria a lungo termine, ossia i cambiamenti duraturi, biochimici e strutturali, delle
sinapsi;

La memoria richiede il riconoscimento di qualcosa che è presente o di richiamare un


oggetto assente: questa capacità è visibile già nei neonati, che mostrano una memoria
di riconoscimento per ogni tipo di informazione sensoriale.
Memoria e apprendimento sono chiaramente attivi alla nascita: si ritiene che a circa sei
mesi la memoria dei bambini assomigli alla memoria dichiarativa esplicita degli adulti.
Infatti, l’ippocampo, essenziale nella memoria esplicita, appare svilupparsi presto
nell’infanzia; tuttavia, parti dell’ippocampo e le suo connessioni alla corteccia
raggiungono la maturità funzionale solo ai venti-ventiquattro mesi di età: da ciò deriva il
dibattito sulla memoria infantile. Alcuni studiosi ritengono che la prima memoria sia
implicita e procedurale e che la memoria esplicita si sviluppi tra i sei e i dodici mesi. In
ogni caso, sembra che i bambini manifestino il tipo di memoria che meglio si adatta alle
circostanze.
CONOSCENZA DI BASE E COMPRENSIONE NELL’INFANZIA
Uno dei punti centrali del dibattito sulla cognizione nell’infanzia riguarda poi la
conoscenza. La conoscenza iniziale delle caratteristiche delle persone, degli oggetti,
degli eventi proviene in prima istanza dai canali sensopercettivi e costituisce le
fondamenta delle successive reti di comprensione.
Uno degli aspetti su cui si è indagato è la capacità dei bambini di riconoscere la
permanenza dell’oggetto (vedi Piaget): tale abilità richiede un coordinamento di
capacità motorie, memoria e sistemi di attenzione che è difficilmente raggiungibile
nell’infanzia.
CATEGORIZZAZIONE NELL’INFANZIA
Strumenti centrali per lo sviluppo della conoscenza in età infantile sono poi la
categorizzazione, che permette il raggruppamento di elementi sulla base della loro
somiglianza, e i concetti che sono le rappresentazioni sulle quali si basano le categorie. La
capacità di categorizzare è un potente strumento cognitivo, che rende possibile
l’organizzazione efficiente della conoscenza. Numerosi metodi di ricerca concordano nel
confermare che la categorizzazione si verifica già nell’infanzia: i bambini di tre-quattro
mesi individuano categorie fondamentali come i quattro colori e categorie di natura
generale come i cani e i gatti.
RAGIONAMENTO E PROBLEM SOLVING NELL’INFANZIA
Attenzione, memoria, categorizzazione sono tutte componenti che collaborano a
sostenere le più complesse attività cognitive del cervello umano: il ragionamento e il
problem solving. Il ragionamento degli adulti assume due forme: il ragionamento
deduttivo è logico e fornisce una conclusione certa e precisa, mentre quello induttivo

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usa conoscenze e informazioni al di là di quella a disposizione e fornisce conclusioni


meno certe. Quest’ultimo tipo di ragionamento porta spesso ad errori: infatti, gli adulti
possono risolvere un problema tramite un ragionamento analogico, impostato sulla
somiglianza con un problema precedente (quindi sulla base della loro conoscenza ed
esperienza), o usare euristiche. Partendo da questi presupposti, si può dire che gli infanti
ragionano entro i confini delle loro abilità motorie e sensoriali e della loro conoscenza del
mondo. Ci sono modi relativamente passivi di elaborazione, che sorgono dai canali senso
percettivi, ma esistono anche prove di più attiva risoluzione dei problemi: infatti, ci sono
prove che i bambini, come gli adulti, sono in grado di risolvere problemi e di ragionare
usando le conoscenze pregresse in maniera analogica.

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Capitolo 6 – Sviluppo del linguaggio

CHE COS’È IL LINGUAGGIO?


Il linguaggio è solo uno dei sistemi di comunicazione che rende possibile una molteplicità
di scambi.
Le capacità comunicative si trasmettono nel linguaggio ma sono più del linguaggio
stesso.

PRIMA DELLA NASCITA/ PERIODO PERINATALE: il feto è in grado di percepire i suoni già
dalla 24esima settimana.
Questa capacità non è solo ricettiva generale ma si manifesta anche in abilità di
discriminazione, che mostrano alla nascita quando preferiscono suoni rispetto ad altri.
Ad esempio, i neonati sono in grado di riconoscere e preferire la voce materna da
un’altra femminile; dimostrano anche di saper discriminare suoni che provengono dalla
propria lingua a cui sono stati esposti e suoni che provengono da lingue diverse a cui non
sono stati esposti; mostrano anche di saper riconoscere filastrocche, canzoni a cui sono
stati esposti in utero.

Interazioni tra infanti e caregiver per preparare gli infanti al linguaggio:


Uno degli aspetti che troviamo nelle interazioni tra madri e bambino è
• alternanza dei turni durante la nutrizione = suzione intensa intervallata da pause →
rispecchiamento nella reciproca alternanza dei turni del linguaggio.
• Sguardo madre-infante = cicli di attenzione seguiti dal distogliemento dello sguardo
dell’infante (i bambini regolano in questo modo il grado di stimolazione - sensibilità del
caregiver!).
• Discorso al bambino = baby talk o motherese (forma iperbolica e semplificata della
lingua): linguaggio lento, semplice, ripetitivo.

QUALE COMUNICAZIONE C’È PRIMA DELLA COMUNICAZIONE VERBALE?


Il pianto è la modalità basilare di comunicazione degli infanti.
John Bowlby riteneva che il pianto si fosse sviluppato come parte del repertorio
comportamentale degli infanti durante il processo dell’evoluzione umana (pianto
prevede il ritorno della madre dal figlio).
L’ascolto del pianto nei neonati causava nelle madri un incremento di tristezza e un
significativo innalzamento degli impulsi di aiuto. Dunque, attraverso il pianto, i neonati
stimolano una risposta coerente in particolari zone del cervello delle madri e un concitato
desiderio di prestare aiuto.
In questo modo si verifica una comunicazione preverbale.
Generalmente, nei primissimi giorni di vita, il pianto non rappresenta un tentativo di
comunicazione ma solo una mera reazione a stati fisiologici. Dalle sei settimane in poi si
può interpretare in altro modo.

LE QUATTRO COMPONENTI DEL LINGUAGGIO


Il linguaggio è un sistema comunicativo che funziona per CODICE = insieme di simboli
(parole che rappresentano qualcosa) che usiamo per comunicare con altri.
È un sistema simbolico: ogni parola/parte di parola ha un significato, rappresenta
qualcosa o si riferisce a qualcos’altro (ciò che è importante è che il significato sia
condiviso - la parola in sé è irrilevante).

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Sistema complesso che viene gestito in diversi livelli:


• FONOLOGIA:è il sistema di suoni di una lingua (capacità di produrre e distinguere
suoni). Sviluppo come specializzazione nella capacità di produrre e distinguere suoni
della propria lingua.

Consapevolezza fonologica: abilità di riconoscere / elaborare suoni del linguaggio orale,


analizzare e manipolare la struttura linguistica delle parole, in presenza di adeguati stimoli
verbali.
È importante per il processo di apprendimento della lingua scritta, soprattutto: per poter
acquisissero la corrispondenza tra lettere (grafemi) e suoni (fonemi) è, infatti, importante
che il bambino sia consapevole che le parole son composte da tanto suoni.
Chi ha problemi nella capacità fonologica ha problemi a leggere e scrivere.

• SEMANTICA: la parte del linguaggio interessata ai significati delle parole e delle loro
parti componenti.
Con la crescita aumenta la capacità di paganizzare parole in gruppi semantici correlati.

• SINTASSI: interessa le regole di combinazione delle parole

• MORFOLOGIA: modificazione della forma delle


parole per cambiarne il significato (es.
singolare/plurale).

• PRAGMATICA: la parte del linguaggio interessata


al suo uso nei contesti sociali. Riguarda la
capacità del bambino di comprendere
l’enunciato nel contesto in cui viene prodotto.

- Bisogna adeguare il linguaggio alla situazione


contestuale.
- Bisogna anche avere la capacità di andare oltre il
linguaggio e adeguare l’espressione linguisticamente falsa e metterla in un contesto
sociale che permette di attribuirle senso (es. quell’avvocato è uno squalo).

TEORIE DELLO SVILUPPO


1. Teoria dell’APPRENDIMENTO SOCIALE: i teorici dell’apprendimento sociale sostengono
che il linguaggio è un tipo di comportamento che apprendiamo e non considerano le
abilità linguistiche come innate. I teorici sottolineano il fatto che i bambini sono
circondati dal linguaggio a partire dalla nascita. Parliamo continuamente agli infanti,
anche se sappiamo che non possono risponderci e neppure capirci (motherese). Nel
processo di sviluppo del linguaggio è importante il modellamento, cioè il processo
attraverso cui gli enunciati dei bambini si avvicinano al discorso corretto per mezzo
di una serie di successive approssimazioni conseguenti a un rinforzo positivo.

2. Teoria INNATISTA: ipotesi di Chomsky = gli esseri umani possiedono un innato dispositivo
di acquisizione del linguaggio e di sviluppo di grammatica e sintassi (LAD: language

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acquisition device). Dunque, molti aspetti del linguaggio sono universali conoscenze di
base innata di linguaggio chiamato "grammatica
universale”.
• Analizzando il cervello, Paul Broca è stato il primo a
identificare una specifica parte dell'emisfero sinistro
coinvolta nel linguaggio, detta "area di Broca".
Questa parte del cervello è importante per la
produzione delle parole,i soggetti che hanno la
fantasia di Broca presentano problemi nel
linguaggio espressivo, le loro frasi sono brevi e il loro
discorso frammentario e talvolta distorto.
• Altra area coinvolta nel linguaggio è quella di
Wernicke. Gli individui con quest'area del cervello danneggiata sono in grado di
produrre un discorso che allo stesso tipo di suono e di ritmo del discorso normale, ma
è privo di significato; inoltre fanno fatica a comprendere il linguaggio altrui.
• Gli adulti che sviluppano disturbi del linguaggio a seguito di questi tipi di lesioni,
probabilmente, rimarranno con un disturbo permanente, e anche la ricerca
condotta con bambini che hanno subito lesioni cerebrali ha rilevato effetti di lunga
durata sul linguaggio.
• Plasticità = capacità del cervello di recuperare il proprio funzionamento nel
momento in cui le parti del cervello sviluppate appositamente per il linguaggio
subiscono danni e devono essere compensate, per cui possono essere reclutate per
il linguaggio altre parti.

3. Teorie INTERAZIONISTE: esse ci fanno riflettere sull'interazione tra lo sviluppo del


linguaggio e lo sviluppo delle abilità di cognizione e di pensiero in generale. Una
spiegazione interazionista osserva che il linguaggio è presentato come parte del
processo dello sviluppo cognitivo, il che significa che non dovremmo considerarlo
come un aspetto evolutivo speciale o significativamente diverso. Altre spiegazioni
interazioniste enfatizzano il fatto che i bambini non sviluppano il linguaggio in
isolamento, permettendoci di considerare come l'input del mondo esterno collabori
con le abilità innate che è un bambino porta con sé venendo al mondo.

Le proprietà del linguaggio:


• REFERENZIALITA’: i segni linguistici si riferiscono ad eventi e oggetti esterni (apprendere
una lingua vuol dire apprendere dei significati).
• ARBITRARIETÀ: la relazione tra la forma linguistica e la parola è del tutto arbitraria (non
c’è somiglianza tra parola e oggetto a cui si riferisce).
• CONVENZIONALITÀ: la relazione tra il segno e il significato è convenzionale e condivisa
tra i parlanti di una stessa lingua.
• DISTANZIAMENTO: il linguaggio consente di andare al di là del qui ed ora (moltiplica le
possibilità del pensiero).
• NON DIREZIONALITA’: il linguaggio può essere compreso ad arrivare non solo
all’interlocutore.
• DUALITÀ: differenza e doppio livello che c’è tra un suono e il significato. (Tane/rane sono
suoni simili dal punto di vista musicale ma non dal punto di vista del significato)
• ORGANIZZAZIONE: un enunciato è una lista di parole organizzate secondo un ordine
preciso.
• CREATIVITÀ: si possono generare un numero infinito di enunciati.

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La complessità del linguaggio: dotazione biologica, intrinseca predisposizione a produrre


e comprendere il codice linguistico.
Il linguaggio è un mezzo di comunicazione che consente la costruzione di reti sociali.
Rapporto di continuità con altre forme di comunicazione che lo precedono.
(Es: la mamma al pediatra: “dottore, il mio bambino di un anno emmezzo non parla”
Dottore: “il suo bambino comunica?”)

Ci sono 4 parti che compongono il linguaggio: fonologia, semantica, sintassi e


pragmatica.

SVILUPPO FONOLOGICO
È lo sviluppo delle capacità di percepire i suoni del linguaggio.
Fomenta: la più piccola unita di suoni di una lingua, dotata di valore distintivo.
I bambini sanno distinguere tra fonemi appartenenti a categorie distinte da molto presto
(circa 1 mese distinguono “p” e “b”).

Nella prima infanzia, la percezione di suoni del linguaggio è superiore a quella tipica degli
adulti, estendendo oltre l lingua madre. A partire dai 6-12 mesi questa capacità declina.
Lo sviluppo non è solo un aumento delle capacità, è una tendenza a orientare le
capacità di discriminazione verso quello che è rilevante (nel caso del linguaggio la lingua
madre quindi).
I bambini nascono in grado di produrre suoni.
(a partire dal pianto del bambino, che serve a modulare la vicinanza o lantana del
caregiver).

LE LALLAZIONI:
• non hanno una funzione sociale (perché vengono prodotte anche in isolamento) ma
di esercizio
• Risentono del contesto (aumentano quando la madre è vicino al bambino)
• Riflettono le caratteristiche della lingua di appartenenza
• Sono in continuità con l’apprendimento delle prime parole (le lallazioni a 4 e 7 mesi
correlano con il numero di parole a 12 mesi)
La lallazione diventa sempre più complessa durante lo sviluppo:
C’è molta variabilità in ambito di lallazioni/parole.

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I GESTI: (comunicazione interna)


• Deittici (8-10 mesi) = mancano dell’aspetto simbolico, infatti per essere interpretati e
compresi hanno bisogno del contesto. Si riferiscono ad un oggetto o evento esterno
(mostrare, dare, richiedere).

I gesti deittici possono essere prodotti con due intenzioni comunicative:


• Nel gesto del pointing richiestivo (“dammi il gioco”) l’obiettivo è l’oggetto e l’altro è
concettualizzato come individuo che compie una azione, è strumentale al
raggiungimento dell’oggetto.
• Nel pointing dichiarativo (“mamma guarda il gioco”) l’obbiettivo non è l’oggetto
ma l’attenzione dell’altro. Nell’indicare dichiarativo l’altro non è capace di azione ma
è capace di intenzione, in quanto l’obbiettivo è modificare lo stato mentale della
madre e portala a conoscenza di qualcosa. Quindi il bambino ha capito che l’altro
non solo fa delle cose ma ha anche degli stati mentali che non si vedono, in questo
caso l’attenzione.

Referenziali = (cioè che hanno un referente) sostituto delle parole, sono particolarmente
importanti quando lo sviluppo del vocabolario è ancora agli inizi. Non sono più riferiti a
cose/eventi presenti nel contesto immediato, ma “simboli” per rappresentare uno
specifico referente (ciao, no con la testa…).

• Sono, come le parole, veri e propri veicoli simbolici


• Non necessitano del contesto per essere interpretato

SVILUPPO SEMANTICO
Lo sviluppo del vocabolario: lo sviluppo del lessico è caratterizzato da una elevata
variabilità.
• 12 mesi: compaiono le prime parole
• Verso l’anno emmezzo il bambino conosce una cinquantina di parole.
• Esplosione del vocabolario a 24 mesi che passa da 50 parole a circa 300.
Come mai?
1) scoperta improvvisa della denominazione: i bambini si rendono conto, verso i 2 anni,
che le cose hanno un nome, che esiste una parola per tutto. Questa scoperta è la
base cognitiva per l’esplosione del vocabolario.
2) Capacità di categorizzare, di individuare relazioni semantiche: capacità di dividere
oggetti e parole in categorie, individuare somiglianze nel significato.

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Esperimento di Gopnik e Meltzoff sulla categorizzazione: hanno studiano infanti tra i 15 E il


21 mesi di età giocare con differenti serie di oggetti. Ogni serie di otto oggetti consisteva
di quattro oggetti di un tipo (per esempio quattro scatole di plastica) e di quattro oggetti
di un altro tipo (per esempio quattro palle).
Veniva osservato il comportamento degli infanti mentre giocavano con gli oggetti li
manipolavano. I ricercatori prestavano particolare attenzione all'esibizione o meno di tre
differenti livelli di raggruppamento:
• Raggruppamento in una singola categoria (il bambino sposta i 4 oggetti uguali in un
unico gruppo)
• Tocco ripetuto di entrambi tipi di oggetto (il bambino tocca i 4 oggetti di un tipo in
successione poi fa lo stesso con l’altro tipo)
• Raggruppamento in due categorie (distribuzione degli oggetti in due gruppi, ogni
gruppo con oggetti uguali). È il tipo di categorizzazione più elevato.
• Oltre alla categorizzazione, i ricercatori erano interessati allo sviluppo lessicale
dell’infante e hanno preso nota del momento in cui si verificava in ognuno l’esplosione
del vocabolario.

Risultati: si riscontra una consistente variabilità nell'età in cui ciascun bambino iniziava a
produrre i tre livelli del comportamento di categorizzazione. L'età media in cui veniva
osservato il terzo livello è stata di 18 mesi. Essi hanno inoltre riscontrato una grande
variabilità nell'età dell'esplosione del vocabolario ma l'età media era di 18,33 e mesi.
Il dato è particolarmente interessante, tuttavia, è che i ricercatori hanno trovato una forte
correlazione tra l'età dell'esplosione del vocabolario e l'età dello sviluppo della
categorizzazione di terzo livello. Sembra che lo sviluppo della comprensione delle
relazioni semantiche o dell'appartenenza a una categoria sia un prerequisito necessario
all'esplosione del vocabolario.
(Quindi: prima categorizzazione, poi esplosione vocabolario).

Apprendere i significati delle parole:


Dopo lo sviluppo del vocabolario, lo sviluppo della semantica continua ad arricchirsi.
Secondo alcune stime, entro i 6 anni di età si possiede un vocabolario di 14 mila parole.
Quali parole si imparano per prime?
• nomi comuni come “mamma, papà, pappa, nanna” …
• suoni onomatopeici come “bau bau, muh, oh oh” …
• In qualsiasi lingua, i nomi più comuni che appaiono per primi sono sempre gli stessi.

Usare gli errori dei bambini per comprendere l’apprendimento delle parole referenziali:
4 tipici errori che i bambini commettono nell’apprendimento di parole sono:
1. Sottoestensione: si verifica quando un bambino utilizza una parola per riferirsi soltanto
a un sottogruppo della categoria di oggetti ai quali la parola si riferisce. Quando i
bambini operano una sottoestensione sappiamo che essi l’hanno per errore associata
soltanto ad un sottogruppo della categoria a cui l’oggetto si riferisce.
2. Sovraestensione: (contrario sott.) si verifica quando un bambino usa una parola per
riferisti ad altri oggetti oltre a quelli a cui il termine si riferisce. Quando i bambini
sovraestendono una parola sappiamo che l’hanno erroneamente associata a più
cose rispetto alla categoria di oggetti a cui si riferisce.
3. Sovrapposizione: È una via di mezzo tra la sottoestensione e la sovraestensione.
Nell'apprendimento il bambino associa il termine correttamente a un sottogruppo
della categoria a cui esso si riferisce ma, nel contempo, scorrettamente a referenti di
altre categorie.
4. Associazione impropria: si realizza quando le associazioni tra una parola e la sua
categoria di referenti non sono corrette. (es. un bambino chiede cos’è una cosa

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indicandola -finestra- ma davanti ce n’è un’altra -caffè- e si risponde con quest’ultima


→ il bambino crederà che la finestra si chiami caffè).

SVILUPPO SINTATTICO
Fasi dello sviluppo morfosintattico:
• fase presintattica (12-26 mesi): manca il verbo, frasi telegrafiche. Le parole singole che
usano il bambino sono conosciute come olofrase (= parola che esprime un significato
più complesso di quello mostrato dal suo significante).
• Fase sintattica primitiva (20-29 mesi): enunciati semplici con soggetto, verbo e
complemento. Tale discorso è definito telegrafico, data la sua somiglianza ai vecchi
telegrammi.
• Fase completamento della fase nucleare (24-33 mesi): frasi complete con morfemi,
articoli, congiunzioni..., non sono ancora corrette grammaticalmente però.
• Fase consolidamento e generalizzazione in strutture complesse: frasi relative,
connettivi temporali...; i bambini in questa fase iniziano a riordinare le proprie frasi per
formulare domande. Entro i primi anni di scuola l'uso dei verbi irregolari e delle regole
grammaticali in generale aumenta notevolmente, facendole di venire parlanti
competenti capaci di costruire enunciati complessi.

SVILUPPO DELLA PRAGMATICA


I bambini hanno una maggiore considerazione degli altri individui nelle conversazioni e
mostrano una maggiore consapevolezza, per esempio, di ciò che le persone sanno e
non sanno.
Possibile sviluppo di altre aree della cognizione insieme alla pragmatica, come la teoria
della mente e, nella teoria piagetiana, lo sviluppo del pensiero non egocentrico.
Nel terzo anno di età si sviluppa molto.

Tra i 2 e 3 anni di età il 10/15% dei bambini mostra un ritardo nel vocabolario espressivo,
assenza di parole a 30 mesi (late talkers = parlatori tardivi).

• Late bloomers = entro i 4 anni recuperano il ritardo


• La restante parte soffre di disturbo specifico del linguaggio, DSL = è un disturbo del
neurosviluppo e in particolare una categoria, che sono i disturbi della comunicazione.

Il DSL colpisce prevalentemente i maschi, il 7% in età pre-scolare e il 3% in età scolare.


È un disturbo specifico in quanto hanno dei disturbi del linguaggio selettivi.

Fattori di rischio:

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• genere maschile
• problemi prenatali
• basso livello di istruzione
• basso status socioeconomico

I disturbi del linguaggio sono rilevanti perché vanno a bloccare le comunicazioni con gli
altri e quindi anche la capacità di imparare.
Sono critici perché c’è anche un aspetto emotivo della frustrazione di non riuscire ad
essere capiti, di capire... che va tenuto in conto durante la terapia.
Il disturbo del linguaggio si lega al disturbo specifico dell’apprendimento. I bambini
presentano all’anamnesi un pregresso disturbo di linguaggio nel 30/40% dei casi.
Il bambino dislessico è un bambino intelligente ma, in modo specifico, non riesce a
leggere.

Disturbo dello spettro autistico: deficit nelle capacità di comunicazione interazioni sociali
e da interessi e comportamenti limitati
• comunicazione non verbale
• Contatto oculare e gesti
• Ritardo nello sviluppo del linguaggio e atipie
• Difficoltà a iniziare atti comunicativi
• Ridotto uso di gesti convenzionali
• Difficoltà pragmatiche

La regola è la variabilità.

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Capitolo 7 - Memoria e intelligenza


Per capire lo sviluppo cognitivo, è necessario studiare lo sviluppo della memoria e
dell’intelligenza; “intelligenza” è il termine generico usato per descrivere con quanta
efficacia siamo capaci di elaborare le informazioni e include la velocità con cui
risolviamo problemi o rispondiamo a nuove situazioni e la rapidità con cui recuperiamo
informazioni dal magazzino della memoria ogni volta che si rende necessario.
COS’È LA MEMORIA?
● Memoria → parte fondamentale dei nostri processi cognitivi;
● Le nostre identità individuali sono il risultato di tutte le esperienze vissute
● Teorie piagetiane → egli mette al centro dell’attenzione degli infanti il mondo
presente, fino alla tarda infanzia le informazioni immagazzinate in precedenza non
influenzano lo sviluppo.
In età adulta = sistema mnemonico, il quale permette di organizzare tipi differenti di
conoscenze e informazioni

Tipi di memoria Esplicita o Caratteristiche Esempio


Implicita principali

Episodica Esplicita Memoria di Ricordarsi quello


eventi o che si è
occorrenze mangiato a
specifici, che colazione
include dettagli
sul tempo, luogo
e le emozioni a
essi associati

Semantica Esplicita MLT di fatti, Ricordarsi la data


concetti e del terremoto
significati dell’Aquila

Procedurale Implicita MLT, implicita e Sedersi al


inconscia, di computer e
abilità o di modi ricordarsi come
di fare le cose usare la tastiera
(procedure) o andare in
bicicletta o
guidare

Autobiografica Esplicita Memoria delle Ricordarsi gli


esperienze eventi del proprio
vissute, delle matrimonio, le
interpretazioni sensazioni
date a quelle provate e ciò
esperienze e dei che quel giorno

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fatti personali ha significato per


noi

*esplicita: in quanto possiamo parlarne e dichiarare ciò che ricordiamo


*implicita: tutti quei processi che avvengono automaticamente (es guidare o andare in
bici)
*MLT = memoria a lungo termine
*MBR = memoria a breve termine
● Memoria → complessa
● Essa possiede degli script = rappresentazioni mentali di sequenze tipiche di eventi
basate sulle esperienze precedenti che includono le nostre aspettative su di essi

Processi fondamentali della mente:


1. Codifica: primo stadio dell’elaborazione delle info in memoria in cui l’info, proveniente
dall’ambiente, è recepita tramite i sensi
2. Immagazzinamento: secondo stadio dell’elaborazione delle info in memoria,
attraverso cui l’info è conservata per brevi o lunghi periodi di tempo
3. Recupero: terzo stadio dell’elaborazione delle info, attraverso cui l’info è recuperata
dal magazzino della memoria e ricordata

MEMORIA NEI BAMBINI


CHE COSA POSSONO RICORDARE I BAMBINI?
1. Frantz
• Ideò un metodo di ricerca che ha permesso di studiare per la PRIMA volta la memoria
degli infanti;
• Studiava sia gli scimpanzè che gli infanti;
• Dallo studio sugli scimpanzé, ha notato che se veniva loro presentata una coppia di
stimoli, essi guardavano ciascun elemento per una quantità di tempo differente
• Così anche gli infanti, inoltre, notò che gli infanti mostravano un maggior interesse agli
stimoli NON familiari, quindi agli stimoli nuovi
• Questo lavoro sulla memoria di riconoscimento visivo ha portato allo sviluppo del
metodo del CONFRONTO VISIVO A COPPIE (in inglese abbreviato: VPC).
2. Fagan
• Il primo ad aver utilizzato il metodo VPC, prendendo in considerazione i neonati (da 3-
6 mesi)
• Ha verificato la loro memoria di riconoscimento visivo sempre con due stimoli
• L’osservazione fu che i neonati fissavano più a lungo un elemento rispetto all’altro, così
il risultato che venne fuori fu che i bambini avevano riconosciuto uno stimolo come
uno stimolo familiare e uno nuovo (quello fissato di meno era quello familiare)

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• Da allora, si capì che negli infanti il riconoscimento visivo esiste già ad un’età inferiore
ai 3-6 mesi.
3. Casper e Fifer
• Hanno mostrato che i bimbi nati da non più di 3 giorni mostrano differenze nei sensi
non solo visivi ma anche negli altri
• Mostrano una preferenza alla voce materna
• Come lo hanno studiato: è stato dato ai bambini un ciuccio che a seconda della
velocità di suzione sentivano una registrazione o della voce materna o della voce di
un’altra donna
• I bambini hanno adattato la velocità della suzione in modo tale da sentire la voce
della mamma, mostrano così una preferenza
• I risultati ottenuti possono derivare dall’esposizione degli infanti alle voci delle madri
quando ancora si trovavano nell’utero
• La memoria degli infanti risale al periodo prenatale.
4. Altri ricercatori
• Oltre ai ricordi visivi e uditivi, la memoria infantile si estende al tatto e all’olfatto
• Tutto ciò mostra che gli infanti hanno la capacità di codificare informazioni persino
prima della nascita
• Già appena nati possono accedere alle info immagazzinate in maniera tale da essere
in grado di riconoscere gli stimoli.

COME SI SVILUPPA LA MEMORIA CON L’ETÀ?


• Che cosa cambia nel corso del tempo, di che cosa incrementa le abilità
mnemoniche dall'infanzia all'età adulta
• Per capire analizziamo i tre processi che compongono la memoria

Sviluppo della codifica:


• Codifica e recupero → strettamente connessi, esaminando uno, si esamina anche
l'altro
• Possiamo valutare come le cose siano codificate nella memoria, osservando come
sono successivamente recuperati dalla memoria stessa
• I bambini più piccoli necessitano di tempi di codifica iniziale più lunghi prima di
mostrare i tipi di preferenza per gli stimoli nuovi
• Crescendo, i bambini impiegano meno tempo a codificare l'informazione
• La ricerca ha dimostrato come la quantità di tempo disponibile per la codifica iniziale
influisca sulla quantità di tempo durante la quale l'informazione sarà conservata e
successivamente recuperata

→ Diversi studi sulla memoria hanno dimostrato che non tutte le informazioni a cui siamo
esposti vengono codificate dai nostri sensi
→ Infatti le informazioni presenti nel mondo che ci circonda sono troppe per essere tutte
codificate, quindi l’ATTENZIONE ci permette di focalizzarci su determinate cose e di
escluderne delle altre

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• I bambini crescendo focalizzano la loro attenzione su ciò che è importante, arrivando


a una codifica più efficace

Come funziona il magazzino di memoria?


• Le informazioni sono distribuite in scomparti o raccoglitori in base a un criterio
organizzativo
• I nuovi documenti sono archiviati insieme ad altri a essi correlati
• Ciò significa che le informazioni su un particolare argomento possono essere
recuperate più facilmente
• I bambini crescendo accumulano conoscenze e informazioni, le nuove informazioni
una volta codificate possono essere legate alle informazioni già esistenti

→ questo accumulo di conoscenze migliora la memoria nel corso dello sviluppo e


permette alle informazioni di essere organizzati in modo più efficace

Quando le conoscenze o le informazioni pregresse influenzano il modo in cui sono


codificate nuove informazioni, si verifica un’elaborazione top-down
→ Elaborazione top down si verifica quando l'elaborazione dell'informazione recepita
attraverso i sensi è fortemente influenzata dalle conoscenze precedenti
● Dispositivi mnemonici
★ Sono strategie che agiscono come aiuti per la memoria
★ Strategie utilizzate da adulti
★ I miglioramenti della memoria dei bambini sono il risultato dell'oro ha cresciuto uso di
queste strategie di codifica
★ Ci sono diverse strategie sia complesse che semplici: una semplice è la REITERAZIONE
→ Reiterazione = Ripetizione dell'informazione con lo scopo di liberato di aiutare la
memoria
→ Esempio cantare una filastrocca come quella per imparare quanti giorni ci sono in un
mese

★ Si può usare una tecnica immaginativa per ricordare informazioni (è stato anche
usato il metodo del confronto visivo a coppie)
→ Questa tecnica immaginativa può migliorare il recupero i bambini di età compresa tra
i 6 e i 12 anni
→ I bambini più piccoli ne beneficiano solo se ricevono istruzioni aggiuntive che li aiutano
ad usare la strategia

★ Una volta che i bambini crescono utilizzano strategie più complesse quali
l’ELABORAZIONE è l’ASSOCIAZIONE
★ Degli studi dicono che lo sviluppo della memoria può essere collegato allo sviluppo di
altre aree della cognizione, quali la teoria della mente (ToM)

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La teoria della mente è la capacità di attribuire stati mentali agli altri e comprendere che
gli altri hanno stati mentali diversi dai nostri, abilità che si sviluppa tra i 3 e i 4 anni.
Sviluppo dell'immagazzinamento
● Il limite della memoria dei bambini è la durata di immagazzinamento delle
informazioni
● Il miglioramento di questa area influenza lo sviluppo della memoria durante la
fanciullezza
● Diversi studi hanno dimostrato come durante il primo anno di vita esistono evidenze di
un allungamento della durata temporale entro cui i bambini possono conservare le
informazioni
→ Entro i 18 mesi i bambini possono conservare le informazioni per 13 settimane

● Da qui si può parlare di AMNESIA INFANTILE


→ È un fenomeno per cui gli eventi dei primi tre o quattro anni di vita sono in gran parte
dimenticati
→ Ma non è ancora chiaro Se questo fenomeno è causato da un problema nella
codifica, nell’immagazzinamento o nel recupero delle informazioni
● Alcuni scienziati prendono in considerazione l'assenza del linguaggio in quanto esso è
necessario per l'immagazzinamento lungo termine perché rende le rappresentazioni
astratte più concrete e significative

Sviluppo del recupero


● Codifica e recupero sono legati, esso migliora con l'età
● IL PRINCIPIO DI SPECIFICITÀ DELLA CODIFICA = Fermate recupero sarà migliore in
presenza di cues esistente al momento della codifica

Cues = Stimoli che facilitano un recupero dell'informazione della memoria, fornendo


un'indicazione o aiutando a ricreare aspetti dell'originale ambienti di codifica (es colore,
forma)
● Per i più piccoli il recupero si verifica solo se iqos presenti al momento del recupero
sono praticamente identici a quelle che c'erano nel momento della codifica, una
leggera variazione di questi può ridurre la prestazione mnemonica
● Una volta che i bambini crescono anche se vi sono state delle variazioni il recupero
diventa più flessibile
● Vi sono dei “promemoria“ che possono agevolare il recupero di ricordi: REMINDER
➢ Ovvero un elemento di una situazione/evento che serve a mantenere il ricordo
attivo più a lungo
➢ I remind possono essere efficaci anche a distanza di molto tempo
● I bambini piccoli impiegano più tempo a recuperare le informazioni

Influenza delle conoscenze pregressi e delle aspettative

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● I bambini accumulano conoscenze informazioni sul mondo man mano che crescono
● Ciò porta loro a farsi delle aspettative

→ Per esempio un bambino chi partecipa alle feste di compleanno avrà sviluppato un
complesso di aspettative, o script (copione) relativo ai compleanni
→ Ciò significa che si include l'aspettativa chi si dovrebbe portare un regalo o mangiare
una torta tutte cose che si fanno ai compleanni

● I bambini di 3 anni possiedono script Generali relativi a eventi quotidiani Come andare
a fare la spesa al supermercato
● Lo script funziona come una scatola divisa in compartimenti nei quali organizzare
informazioni specifiche
● Lo script è il modo attraverso il quale le conoscenze pregresse e le aspettative
possono aiutare nella codifica, immagazzinamento e il recupero delle informazioni

QUALI SONO LE CAUSE DEL “DIMENTICARE”


Quando un bambino non è in grado di rievocare qualcosa è difficile riconoscere il ruolo
dei tre differenti processi mnemonici
• Potrebbe non essere stata codificata con successo
• Potrebbe essere stata persa durante l'immagazzinamento
• Potrebbe non essere in grado di recuperarla anche se è stata immagazzinata
• Oltre all’ amnesia infantile esistono altri casi di dimenticanza o ti ricordo non corretto:

L’amnesia post-traumatica
- Si verifica quando gli eventi sono dimenticati ho il loro ricordo Eri presso In seguito a un
evento traumatico
- La rimozione è un meccanismo di difesa psicologico e permette di immagazzinare i
ricordi spiacevoli nell'inconscio, i quali non possono accedere alla coscienza talvolta
anche per decenni
- Per esempio dei casi di abuso sessuale su bambini sono denunciati dalle vittime molti
anni dopo il fatto
- La rimozione di ricordi traumatici può comprendere specifici processi mentali che
agiscono sulla nostra memoria per difenderci dai possibili effetti negativi

1. I falsi ricordi
• Hanno luogo quando i bambini riferiscono qualcosa che non è successo realmente, o
si rievocano i dettagli di un evento in modo non corretto
• I falsi ricordi rappresentano un fallimento della memoria
• I bambini sono particolarmente soggetti ai falsi ricordi, spesso raccontano storie
fantastiche e inverosimili su ciò che hanno visto è fatto, con convinzione e molti
particolari

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• Il termine utilizzato per indicare quanto sia probabile I bambini li porti non falsi ricordi è
SUGGESTIONABILITÀ

→ Ovvero l'attitudine di un individuo a lasciarsi influenzare dalle idee o informazioni


presentate da altri
• I bambini possono scivolare in falsi ricordi se vengono loro poste domande e li
spingono in quella direzione
• Anche gli script possono incidere sulla suggestionabilità dei bambini, in quanto le
aspettative legate a un evento possono influenzarne il recupero

Interviste cognitive
● Essendo i bambini suggestionabili tramite semplici ma dirette domande, Come si fa a
capire durante un processo penale se un bambino dice la verità o si basa su falsi
ricordi?
● Viene utilizzata INTERVISTA COGNITIVA
→ Sviluppata specificamente per interrogare testimoni in contesti legali, Chi usa i principi
della memoria elaborate dalla psicologia cognitiva, per massimizzare la quantità di
informazioni ricordate con precisione
● Questa tecnica è caratterizzata da quattro elementi chiave:
A) Il reinserimento nel contesto: l'investigatore dovrebbe aiutare il bambino a
ricostruire il contesto fisico e personale in cui è inserito l'evento
B) Non limitare il bambino: così facendo si fa dire al bambino Tutto quello che
ricorda così da poter ricordare quanto più possibile attorno alle circostanze che
avvolgono l'informazione desiderata
C) Incoraggiare il bambino a cambiare prospettiva: L'investigatore dovrebbe
cercare di facilitare nel bambino il ricordo degli eventi o delle cose dal punto di
vista di un'altra persona coinvolta nella situazione
D) Far ricordare al bambino le cose in un ordine diverso da quello cronologico

*Il terzo il quarto elemento chiave servono a modificare il modo in cui le informazioni
vengono recuperate , tentando di accedere alle alla memoria da strade alternative può
portare ha una minore probabilità e recupero faccia affidamento sulle conoscenze
pregresse del bambino o sulle sue aspettative rispetto alla situazione, quindi le risposte
date saranno più vicine alla verità

COS’È L’INTELLIGENZA?
● È composta dai processi cognitivi della memoria, del problem solving e del pensiero
● Il livello di intelligenza di una persona e indicatore del livello di efficacia con cui essa
elabora le informazioni, risolvere i problemi, si adatta o impara dall'esperienza
● Gli sviluppi della memoria fanno parte dell'intelligenza

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L'INTELLIGENZA NEI BAMBINI


● Abbiamo visto come negli adulti il grado di intelligenza è stabilito sulla base di ciò che
dicono, sulla capacità di rispondere a domande differenti o di risolvere i problemi e sul
modo di esprimersi e di interagire con gli altri
● Ma le abilità linguistiche dei bambini possono essere limitate o persino assenti a
seconda dell'età
● Cerchiamo di spiegare come viene rappresentata l'intelligenza nei bambini
considerando numerose questioni, tra cui le modalità di approccio ai test di
intelligenza, il modo in cui l'intelligenza è stata concepita e la maniera in cui natura e
cultura interagiscono nel suo sviluppo

APPROCCI AI TEST D’INTELLIGENZA


● Quando si parla di approcci ai test di intelligenza, molti pensano al QI
● QI = Abbreviazioni di Quoziente di intelligenza, ovvero il punteggio ottenuto dalla
prestazione di un individuo in test standardizzati costruiti per misurare l'intelligenza
● Vi sono state molte ricerche per il quale si dice che ci sono quattro aree in cui si può
valutare la prestazione di un bambino per quanto riguarda la sua intelligenza, il suo QI:
1. Il ragionamento quantitativo ( numerico)
2. Il ragionamento astratto visivo
3. Il ragionamento verbale
4. La memoria a breve termine
*C'è stata una critica rivolta ai tradizionali test di QI, ovvero che, secondo i dati normativi,
l'età mentale si stabilizza a metà dell'adolescenza; ciò significa che l'età mentale non
cresce più perciò questo metodo favorisce gli adulti e pertanto dovrebbe essere usato
solo con i bambini

UNA O TANTE INTELLIGENZE?


● Invece di considerare le 4 abilità citate sopra come parti che compongono un
intelligenza generale, sarebbe più utile concepirle come intelligenze distinte
● Gardner → ha suggerito una divisione in 8 tipi di intelligenza:
1) Verbale
2) Matematica
3) Spaziale
4) Motoria
5) Musicale
6) In Inter persona
7) Intrapersonale
8) Naturalistica
*Questo ci permette di considerare che ci siamo punti di forza e di debolezza
● Per i bambini essere etichettati con un'intelligenza inferiore può diminuire l'autostima
● La divisione di intelligenze multiple allontana i pericoli e gli effetti negativi di un'unica
intelligenza e permette di considerare ogni bambino diverso dall'altro

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● Inoltre è stata riconosciuta l'INTELLIGENZA EMOTIVA: comprende la capacità del


bambino di interpretare le emozioni altrui e di gestire le proprie
È stato pensato, secondo le caratteristiche legate all'abilità artistica e musicale, che esse
dovrebbero essere considerate sotto le insegne di CREATIVITÀ
→ È la capacità di pensare in modo nuovo è differente, o di lavorare idee, concetti e
soluzioni originali

Intelligenza e creatività
● Sternberg
- Avviluppato un'altra teoria delle intelligenze multiple nella quale mi prende in
considerazioni solo tre tipi di intelligenza:
1. Intelligenza analitica
2. Intelligenza creativa
3. Intelligenza pratica

VALUTARE L’INTELLIGENZA RISPETTANDO LE DIVERSITÀ CULTURALI


● Molto spesso il successo dei test tradizionali si basa sulla conoscenza della lingua nel
quale questo è costruito
● Perciò i bambini appartenenti a culture diverse possono interpretare una domanda in
modo differente e dare di conseguenza una risposta valutata come sbagliata, la
quale abbassa il punteggio
● Si parla di un fenomeno chiamato PENSIERO DIVERGENTE
→ Ovvero un tipo di pensiero che è Solitamente il prodotto della creatività ed è pertanto
originale
→ Si riscontra spesso nei bambini superdotati o di talento
● Sono perciò stati creati dei test di intelligenza rispettosi delle diverse culture:
- Uno di questi eh Il test di Cattell
- Esso si basa su elementi non verbali e usa, per esempio: labirinti, esercizi di
classificazione e immagini
- Tutto ciò non dipende dal linguaggio e dalla cultura

BAMBINI SUPERDOTATI
● Un bambino può essere considerato superdotato se il suo QI e almeno di 130
● I bambini superdotati possono anche avere un talento speciale per qualcosa oppure
eccellere in un particolare campo
● Il tipo di pensiero divergente e indica la creatività, ho la capacità di pensare alle cose
in maniera originale, può essere l'elemento più importante in merito al superdotazione
INTERAZIONI TRA EREDITARIETÀ E AMBIENTE NELLO SVILUPPO
● Quanto più diventiamo grandi, tanto più la nostra intelligenza è influenzata dai fattori
genetici

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● Quando cresciamo, acquisiamo una sempre maggiore capacità di vivere il tipo di


vita e di avere i tipi di esperienza verso cui il nostro bagaglio genetico ci ha sempre
spinto
● Questo significa che, quanto più siamo vecchi, tanto più i nostri ambienti sono in
realtà il prodotto dei fattori genetici che abbiamo ereditato

ARCO DI VITA
● Per vedere se le caratteristiche intellettuali rimangono stabili nel corso del tempo è
stata condotta una ricerca nella l'arco della vita In any considerazione quasi tutta la
popolazione degli Scolari scozzesi
● Una volta compiute le ricerche, i risultati hanno mostrato che c'è una forte stabilità
nella misura dell'intelligenza, in quanto il livello di intelligenza di un individuo misurato a
11 anni essere simile a quello dello stesso individuo ottantenne

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Capitolo 8 - sviluppo del pensiero matematico

CHE COS’È IL PENSIERO MATEMATICO?


La matematica richiede la comprensione delle relazioni tra le cose. La comprensione
delle equivalenze tra insiemi, è spesso definita come il concetto cardinale del numero, o
cardinalità (legata all’idea di numeri cardinali).
Fu Piaget a sostenere che, per attribuire ai bambini la comprensione dei numeri,
dobbiamo accertarti che comprendano l’equivalenza tra gli insiemi. Piaget, e poi
Frydman e Bryant, dimostrarono che non tutti i bambini capaci di contare erano in grado
di dire quanti oggetti ci fossero in un insieme equivalente, senza contarli.
Anche l’ordinalità è importante: i bambini devono aver consapevolezza dell’ordine in cui
si presentano i numeri (sapendo ad esempio che 3 è un insieme più piccolo di 6).
Infine, ci aspetteremmo che un bambino comprenda le relazioni additive che sussistono
tra i numeri, ovvero delle relazioni tra quantità in cui queste ultime sono definite nei termini
di parti e intero.
Pierre Gréco, sottopose i bambini ad un esperimento: egli voleva indagare se i bambini
fossero consapevoli che due quantità etichettate con lo stesso numero fossero
equivalenti. Per fare ciò mise i bambini di fronte a due insiemi di oggetti, non disposti in
corrispondenza visiva: un insieme era infatti più dilatato dell’altro, e gli oggetti
apparivano più numerosi. I bambini non ebbero problemi a contare ed etichettare gli
insiemi, ma la maggior parte di loro continuò a dire che c’erano più oggetti nella fila più
lunga.
Ciò dimostra che i bambini non sanno produrre inferenze parallele quando paragonano
quantità.
Attualmente esistono 3 teorie predominanti per quanto riguarda la comprensione del
numero:
1. Teoria di Piaget: il punto di vista interazionista → i bambini possono capire i numeri solo
se stabiliscono una connessione tra questi e le relazioni di quantità da essi implicate.
Disporre insiemi in corrispondenza biunivoca o aggiungere e togliere quantità implica
l’aver compreso gli schemi d’azione che stanno alla base del confrontare e
riconoscere quantità. L’idea centrale è che i bambini giungano alla comprensione
delle relazioni tra quantità riflettendo sui risultati delle loro azioni, passando per tre
concetti fondamentali da acquisire: equivalenza, ordine, inclusione in classi.
2. La visione innatista → i bambini possiedono una conoscenza innata dei principi del
contare e associano termini numerici alle proprietà che sono causa di quelle
grandezze. Una caratteristica di questo tipo di giudizio è che più le quantità sono
grandi, più è difficile distinguerle, secondo la funzione di Weber.
Un esperimento ripreso da Carey dimostra che sia nettamente più facile battere 4
colpi sul tavolo dicendo la parola “il” (quindi senza contare) e riconoscere la quantità
di colpi che si è battuti, che riconoscerne ad esempio 28. Il meccanismo analogico
innato del pensare potrebbe essere la base neurologica dell’elaborazione del
numero, ma rimane poco chiaro come possa formarsi una corrispondenza tra un
sistema analogico impreciso e un sistema preciso basato sul contare.
3. Visione empirista: Susan Carey sostiene che nei primi 3 anni di vita i bambini possano
imparare i numeri in 3 modi differenti. Il primo è quello del sistema analogico. Il
secondo prende il nome di individuazione parallela: i bambini molto piccoli sono in
grado di rilevare gli insiemi contenenti un oggetto come dotati di una quantità
distinta. Sono perciò dei conoscitori dell’uno, come afferma la stessa Carey. Più avanti

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essi sono capaci di riconoscere e distinguere insiemi del 2 e, ancora dopo, insiemi con
3 oggetti. Si tratta di una conoscenza categoriale, non relazionale, dal momento
che i bambini non hanno maturato la comprensione della relazione tra numeri. Il
bambino impara, indipendentemente, i termini numerici, che non hanno nessun ruolo
nell’identificazione della quantità. Ciononostante, il bambino cerca di associare il
termine numerico corretto alla rispettiva quantità. Questo conduce al bootstrapping,
ovvero al miglioramento progressivo delle proprie capacità e conoscenze facendo
affidamento sui propri sforzi e le proprie risorse. In questo caso si tratta di integrare le
rappresentazioni dei quantificatori del linguaggio naturale con l’elenco esterno dei
numeri, ordinato serialmente. Questa nuova comprensione prende il nome di
individuazione parallela arricchita.
Esperimento di Winn, ripreso da Carey: dammi un numero.
I conoscitori dell’uno, cioè bambini molto piccoli, prelevavano correttamente da un
insieme la quantità richiesta solo se si trattava, appunto, di un oggetto. Bambini dai 3
anni in su si comportavano correttamente anche nei confronti di quantità più grandi,
dimostrandosi così conoscitori dei principi del contare, che avevano acquisito tramite
un processo di induzione dall’individuazione delle quantità e dall’apprendimento della
proprietà ordinale dei numeri. Carey propone dunque un sistema evolutivo, basato
sull’acquisizione di un certo numero di conoscenze, che progressivamente influenzano
e determinano la capacità di individuare i numeri e le proprietà di questi.

IL SISTEMA DEI NUMERI COME STRUMENTO DI PENSIERO


• Quando i bambini apprendono che contare è uno strumento di pensiero? All’età di
cinque-sei anni, bambini che sono in grado di contare sembrano non utilizzare questa
abilità ai fini del confronto tra due insiemi, e quindi della relazione. Essi si affidano a
qualità percettive per determinare il rapporto tra due insiemi, all’impressione visiva.
Questo accade anche per bambini che hanno imparato a contare piuttosto bene. È
stato riscontrato anche che i bambini mostravano difficoltà nel capire come contare
gli oggetti di due insiemi. Sophian (1988) portò avanti un esperimento in cui un
pupazzo contava a volte in modo giusto (ad esempio contando due file di oggetti
separatamente se doveva confrontarne la quantità oppure contandole unitamente
se doveva inferirne il totale) e a volte invece in modo sbagliato. Il modello di risposta
più comune per i bambini di 3 anni era quello di contare comunque i due insiemi
separatamente. I bambini di quattro ritenevano corretto il conteggio totale per
entrambi i casi.
• Imparare a contare fino a 100 è un compito che sfida la nostra memoria. Tuttavia le
culture creano i sistemi di numeri basandosi su regole, più che sull’apprendimento
mnemonico. Gli Oskapmin, un gruppo indigeno della Nuova Guinea, usa le parti del
corpo come etichette numeriche, partendo dal pollice destro, che rappresenta il
numero 1. In italiano il riferimento è al 10, tanto che poi le etichette numeriche si
ripetono quando raggiungono le 10 unità. Esso è basato su due principi: quello
additivo (23 è 20 + 3) e quello moltiplicativo (evidente nelle centinaia, come
duecento che rappresenta 2x100). Non è semplice comprendere questi meccanismi
perché richiedono nuovi insight, ovvero una vera e propria ristrutturazione
concettuale: il primo è la composizione additiva dei numeri, il secondo è quella
moltiplicativa, necessaria a capire che le unità possono avere valori differenti.
• Nunes e Schliemann (1990), esercizio del negozio: ai bambini viene chiesto di pagare
giocattoli che volevano con monete, a volte dello stesso taglio, a volte monete di

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taglio diverso. Questo esercizio ha permesso ai ricercatori di stimare fino a che punto i
bambini erano in grado di combinare tra loro unità di differente valore in modo
additivo. I bambini, sebbene le cifre da pagare rimangano invariate, dimostrano più
difficoltà a combinare tagli differenti. I bambini che falliscono nel compito di
combinare le monete, non riescono a contare le unità dopo aver indicato la decina.
Essi o ripartono da 1 oppure contano di 10 in 10 quando proseguono nel conteggio.
Essi non combinano quindi decine ed unità per arrivare a 15, ma usano due stringhe
numeriche. Una fase intermedia interessante nella comprensione della composizione
additiva vede il bambino contare fino a 10 nell’indicare la moneta da 10 cents,
oppure alzare dieci dita e dire 10. Questo potrebbe indicare la necessità per il
bambino di osservare unità visibili nelle cose che conta, per cui utilizza unità percettibili
per rappresentarle. Questo metodo è stato implementato da Nunes, il quale ha
dimostrato che i bambini presentavano una prestazione nettamente migliore quando
esposti a questo ragionamento.

RAGIONAMENTO E SOLUZIONE DEI PROBLEMI ATTRAVERSO I NUMERI


Il ragionamento additivo è il ragionamento usato per risolvere i problemi attraverso
l’operazione dell’addizione o della sottrazione.
Gli studiosi hanno identificato 3 tipi di ragionamento additivo:
1. Problemi di cambiamento (Paolo ha 8 mele e ne regala 3. Quante mele ha Paolo? -
ne esistono di 3 tipi)
2. Problemi di combinazione (Maria ha 3 bambole e Sara ne ha 4. Quante ne hanno in
tutto? – ne esistono di 2 tipi)
3. Problemi di confronto (Samuele ha 5 libri e Marta ne ha 8. Quanti libri ha Marta in più
di Samuele? - ne esistono di 2 tipi)
Sembra che i bambini trovino molto più difficili i problemi di confronto rispetto ai problemi
delle prime due categorie.

PROBLEMI DI CAMBIAMENTO E COMBINAZIONE


I problemi di combinazione sembrano non essere difficili per bambini di età prescolare,
soprattutto se le quantità sono basse mentre i problemi di cambiamento danno
leggermente più problemi, ma in generale si può concludere che i bambini di età
prescolare possono risolvere semplici problemi di cambiamento e combinazione anche
senza conoscere i fatti aritmetici.
Le narrazioni che descrivono una situazione in cui la quantità diminuisce, ma che sono
caratterizzate da uno stato iniziale mancante possono essere facilmente risolte con
un’addizione, soltanto se il bambino capisce la relazione inversa tra addizione e
sottrazione, e cioè che, sommando il numero di oggetti attuali e il numero di oggetti persi,
si può ottenere il numero iniziale. Vergnaud, si è concentrato sulla differenza tra calcolo
numerico e calcolo relazionale. Il primo consiste nell’applicazione delle operazioni
aritmetiche, il secondo invece alle operazioni di pensiero che il bambino deve svolgere
per gestire le relazioni tra le quantità. Egli suggerisce che i bambini svolgono i calcoli
relazionali in maniera implicita, facendo affidamento sui teoremi in azione (proposizioni
considerate vere implicitamente dalla persona che le possiede). Inoltre, il suo lavoro è
utile anche per capire come i bambini potrebbero affrontare le trasformazioni: nel
rappresentarsi un cambiamento di quantità in seguito ad un evento il bambino dovrebbe
prendere in considerazione non solo i numeri naturali, ma anche i numeri interi.

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PROBLEMI DI CONFRONTO
Verschaffel pose a bambini di circa 12 anni un problema con linguaggio coerente (dove
“in più” implica intuitivamente un’addizione) e uno con linguaggio incoerente (cioè
controintuitivo), notando che i bambini che davano una risposta corretta nel problema
con linguaggio incoerente tendevano poi a cambiarne il testo in un linguaggio coerente
quando gli si chiedeva che problema avevano risolto. Apostrofati su questo dettaglio,
alcuni hanno risposto che così era di più semplice comprensione, altri sono andati in
confusione e hanno dubitato delle loro risposte.

RAGIONAMENTO MOLTIPLICATIVO
Sulla scorta delle opinioni di Thompson e Vergnaud consideriamo il ragionamento
additivo e moltiplicativo come aventi una radice diversa. Entrambi derivano da due
schemi d’azione, che sono però differenti: il secondo deriva dall’azione di porre due
quantità in relazione uno a molti, azione che mantiene costante il rapporto tra variabili.
Anche prima di imparare le moltiplicazioni, i bambini sanno risolvere semplici problemi di
corrispondenza uno: molti, soprattutto quando ne hanno un supporto visivo.

PROBLEMI DI DISTRIBUZIONE
In una divisione, si hanno tipicamente tre termini, ovvero dividendo, divisore e quoziente.
Se la relazione tra dividendo e quoziente è diretta, la relazione tra divisore e quoziente è
inversa. Correa ha condotto una serie di esperimenti volti a verificare se i bambini
comprendo questa relazione inversa. È stato loro chiesto di immaginare che lo stesso
numero di caramelle fosse distribuito tra diversi destinatari, in questo caso orsi di peluche.
Lo sperimentatore non mostrava al bambino il numero di caramelle che venivano
destinate agli orsi, i quali erano divisi in due gruppi, da 3 e 4 elementi. Se il numero di
peluches aumentava, il bambino capiva però che le caramelle a ciascun orso
dovevano essere di meno. I bambini di 5 e 6 anni sembrano non avere particolari
problemi nemmeno se le quantità da dividere sono quantità continue, e cioè misurabili
tramite lunghezza, larghezza, altezza eccetera.

PROBLEMI DI PRODOTTO DELLE MISURE


Problemi di ragionamento moltiplicativo che coinvolgono tre variabili. Bryant (1992) ha
dimostrato che bambini di 8 anni che sanno rispondere correttamente a problemi di
ragionamento moltiplicativo fanno invece molta fatica nei problemi di prodotto delle
misure (solo il 4% dà la risposta corretta), mentre nei bambini di 9 anni la percentuale sale
al 50%.
I problemi di prodotto delle misure comprendono una forma di ragionamento chiamato
corrispondenza multipla, in cui il bambino deve pensare che ogni esemplare sia il risultato
della classificazione per il primo elemento combinata alla classificazione per il secondo.
Questo ragionamento è alla base del calcolo delle probabilità. Bryant ha testato, nei
bambini capaci di risolvere questo tipo di problema, la corretta interpretazione nel senso
della corrispondenza multipla.

IL PASSAGGIO AI NUMERI RAZIONALI


Come si comportano i bambini nelle situazioni di divisione che portano a quantità
frazionarie? Gli schemi d’azione nella divisione sono il frazionamento e la distribuzione. Il
primo è l’azione di dividere le cose in parti uguali. La distribuzione implica la formazione di
corrispondenze tra le quantità da distribuire e i destinatari. La differenza risiede nel fatto

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che nel frazionamento c’è un solo intero, mentre nella distribuzione due quantità. Sembra
che, dal punto di vista dei bambini, questi schemi siano molto diversi.
Piaget ha identificato diversi tipi di insights che i bambini devono aver acquisito per
comprendere il processo di frazionamento: l’intero deve essere concepito come
divisibile, le parti devono esaurire l’intero, le parti devono essere uguali, ogni parte può
essere considerata a sua volta come un intero, contenuto nell’intero, ma anche
suscettibile di divisioni, ed infine, l’intero non varia ed è la somma delle parti.
Difficilmente i bambini di 6 anni riescono ad operare un corretto frazionamento, e
quando riescono, il successo dipende anche dalla forma e dal numero di parti.
Sono stati eseguiti anche esperimenti sull’equivalenza delle quantità frazionarie. Esempi di
problemi:
• Tre bambini si dividevano una torta in parti uguali, e nell’altro gruppo 6 bambini si
dividevano 2 torte in parti uguali. Ai bambini veniva chiesto se i membri del primo
gruppo mangiassero la stessa quantità di torta del secondo gruppo.
• Una ragazza ed un ragazzo hanno una tavoletta di cioccolato: lei la divide in 4 pezzi e
ne mangia 2, lui in 8 e ne mangia 4. Hanno mangiato la stessa quantità?

Il primo problema viene risolto più facilmente dai bambini, non solo di 6-7 anni, ma anche
bambini che hanno già ricevuto, a livello scolastico, nozioni sulle frazioni. Nel primo caso
infatti, il bambino può focalizzarsi sull’ordine delle quantità frazionarie, dunque su un solo
fattore, come il numero di destinatari oppure il numero di parti in cui è tagliato l’intero; nel
secondo caso essi devono pensare sia al dividendo che al divisore.

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Capitolo 9 - teoria della mente


CHE COS’È LA TEORIA DELLA MENTE?
Il termine ‘’teoria della mente” è stato coniato da Premack e Woodruff nel 1978; essi
condussero un esperimento sugli scimpanzè e dimostrarono che gli animali erano in
grado di attribuire stati mentali all’uomo; la teoria della mente è infatti la capacità di
comprendere che gli stati mentali altrui possono causare dei comportamenti, e di poter
prevedere e spiegare questi comportamenti.
Per esempio: Maria entra in un negozio e al momento di pagare si accorge di non avere
il portafoglio, il cassiere osservandola frugare nella borsa può intuire quello che è
accaduto (non ha il portafoglio) e prevedere cosa farà (potrebbe dirgli di tenere la
spesa fino a che non torna in negozio con il portafoglio).
Questa capacità di ‘’leggere la mente’’ è un’importantissima abilità sociale che segue
un percorso evolutivo collegato al nostro sviluppo sia cognitivo che sociale.
LO SVILUPPO DELL’EMPATIA E DI ALTRE ABILITÀ DI ‘’LETTURA DELLA MENTE’’
Le basi della ‘’lettura della mente’’ vanno ricercate nel primo anno di vita del bambino,
e secondo Baron-Cohen sono due comportamenti in particolare: l’inseguimento visivo (8
mesi circa) e il pointing proto-dichiarativo (12 mesi circa); il primo, è la capacità di
seguire la direzione dello sguardo di un’altra persona e di guardare in direzione dello
stesso oggetto(es: mamma distoglie sguardo dal bambino per guardare oggetto x,
anche il bambino guarda oggetto x), qui il bambino dimostra di essere consapevole che
l’adulto sta mostrando interesse verso un oggetto; il secondo è la capacità di indicare lo
stesso oggetto che ha suscitato interesse nell’adulto (es: la mamma indica un’immagine
su un libro, e anche il bambino la indica), anche qui il bambino conferma di aver colto
l’interesse dell’adulto per l’oggetto indicato.
Intorno ai 36-48 mesi, il bambino acquisisce il principio del ‘’vedere porta a sapere’’
ovvero capisce che la conoscenza di una situazione dipende in parte da ciò che la
persona ha visto, di conseguenza il bambino può sapere cosa sa un’altra persona, in
base a ciò che quest’ultima ha visto accadere. Intorno ai 18 mesi inoltre il bambino inizia
a giocare al gioco del far finta e questo dimostra che nel bambino è presente anche
l’abilità di meta-rappresentazione, ovvero la capacità di separare realtà e fantasia, e
che è in grado di capire che un pensiero si può basare sia sulla realtà che sulla fantasia;
combinando queste abilità si può notare che il bambino ha le competenze necessarie
per un’interazione sociale efficace. Infatti è proprio intorno a quest’età che i bambini
iniziano a manifestare comportamenti prosociali (offrono i propri giochi/merendine),
dimostrano di provare empatia (consolano i bambini tristi o che piangono), e sviluppano
una comprensione dell’inganno (nascondono gli oggetti fingendo di non sapere dove
sono); questi comportamenti dimostrano che il bambino ha la capacità di comprendere
la mente degli altri.
CREDENZE E DESIDERI
Sempre intorno a quest’età (36-48), i bambini iniziano a distinguere tra Sé privato (come
ci sentiamo dentro) e Sé pubblico (come ci mostriamo agli altri), comprendere che una
persona può essere felice esteriormente ed infelice interiormente, è un’abilità cognitiva
complessa e fondamentale per avere interazioni sociali di successo.
Tra i 12 e i 24 mesi i bambini giungono allo stadio del desiderio nella teoria della mente,
acquisiscono la capacità di cogliere in un individuo un desiderio di avere qualcosa o che

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qualcosa accada, e quindi possono prevedere le intenzioni degli altri; ai 3 anni il


bambino passa allo stadio di credenza-desiderio nella teoria della mente, egli capisce
che non esistono solo i desideri ma anche le credenze, ma non arriva ancora a capire
che le credenze possono anche essere false; (es: una bimba ha sia il DESIDERIO di usare
la bici dell’amica, sia la CREDENZA, di non poterlo fare perché la farebbe piangere); ai 4
anni il bambino è considerato nello stadio rappresentativo della teoria della mente, in
questo stadio impara che le credenze possono essere vere o false, e che se cade in
errore è perché ha fatto affidamento a conoscenze errate.
FALSE CREDENZE NELLA TEORIA DELLA MENTE
Secondo Dennett (1978) l’unico modo per esaminare la capacità dei bambini di
attribuire stati mentali, è verificare la comprensione della falsa credenza.
1) Wimmer e Perner esperimento ‘’il compito di Maxi e la cioccolata’’ (1983): viene
raccontata ai bambini la seguente storia: ‘’maxi mette la cioccolata in un armadietto
e va fuori a giocare; la mamma la sposta nel frigorifero; maxi torna e vuole la
cioccolata, dove la va a cercare?’’, i bambini di 3 anni in genere rispondono nel
frigorifero, perché non hanno ancora la capacità di immedesimarsi in Max, e visto che
loro sanno che la cioccolata è nel frigo danno per scontato che anche lui lo sappia.
(esperimento criticato perché la storia era considerata troppo complicata per
bambini di 3 anni)
2) Baron-Cohen (1985) propose una storia più semplificata rappresentata tramite le
vignette, per ovviare al problema sorto dopo l’esperimento del 1983(guardate la foto
a pagina 221 che riassume tutto quello che scriverò adesso e credo sia molto utile
vederle assieme per capire meglio, sorry ma non ho le skills di valentina per metterla
qui sotto), storia di Sally e Annie: Sally e Annie sono in una stanza con una cesta e una
scatola, Sally mette una biglia nella cesta ed esce dalla stanza, Annie sposta la biglia
dalla cesta alla scatola, Sally rientra, dove cercherà la biglia? Anche qui il bambino
che risponde ‘’nella scatola’’ dimostra di non essere in grado di attribuire a Sally una
rappresentazione mentale diversa dalla propria; l’esperimento dimostrò che tutti i
bambini sotto i 4 anni non erano in grado di rispondere correttamente.
3) Perner (1987) esperimento Smarties: il ricercatore mostra una scatola di Smarties e
chiede ai bambini cosa pensano ci sia all’interno, tutti rispondono Smarties; dopo di
che viene mostrato loro che dentro alla scatola in realtà ci sono delle matite, e gli
viene chiesto cosa pensano che avrebbero risposto gli altri bambini alla stessa
domanda: i bambini dai 4 anni in su rispondono giustamente Smarties perché
capiscono che un altro bambino non può sapere che dentro ci sono delle matite; i
bambini di 3 anni rispondono invece sempre ‘’matite’’

Tutti questi esperimenti vengono messi in dubbio da vari scienziati che sostengono che
i bambini falliscono perché non capiscono la domanda, tra cui Susan e Leslie che
eseguono un esperimento nel 1999 dove raccontano sempre una storia simile con
protagonisti Billy e la sua palla: Billy mette la sua palla sul tavolo ed esce, la madre
gliela sposta nella scatola dei giochi; questa volta cambiano la domanda, e la
sostituiscono con più domande più semplici (es: dove ha messo la palla
all’inizio?/dov’è la palla ora?/quando Billy torna dove pensi che cercherà?). Essi
dimostrarono che i bambini pur non conoscendo la falsa credenza, avevano un’idea
del concetto alla base di essa, infatti a queste domande ottennereo un numero più
alto di risposte corrette.

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Wellman et al. nel 2001, compiendo una meta analisi su 168 articoli riguardanti la falsa
credenza dimostrarono che gli studi di Susan e Leslie con le domande semplificate,
miglioravano le prestazioni dei bambini di ogni età, ed inoltre, che le risposte corrette
dei bambini di 3 anni erano fortuite: le loro risposte avevano la stessa probabilità di
essere giuste o sbagliate.

Fino ad ora abbiamo parlato del compito di falsa credenza detto ‘’di primo ordine’’,
ovvero risolto tra i 3-4 anni d’età, ma attorno ai 6-7 anni si presenta la capacità di
rispondere a compiti sulla falsa credenza di secondo ordine, ovvero i bambini
comprendono che esistono delle credenze sulle credenze; ciò significa che essi
capiscono che una persona può voler stimolare un emozione in un’altra persona o far
sentire bene/male un altro individuo, e riescono a capire anche il sarcasmo.
Esempio: ’’Federico ha vinto la lotteria preso 30 e lode in dinamica e ricevuto tanti regali,
ha proprio avuto una brutta giornata’’ i bambini di 6/7 anni capiranno il sarcasmo in
questa frase, se più piccoli invece no.
COME SI INSERISCE LA TEORIA DELLA MENTE NELLA PROSPETTIVA EVOLUTIVA?
Gli studi di Wellman hanno dimostrato che meno del 20% dei bambini di 2 anni e mezzo,
riusciva completare l’esercizio delle false credenze, mentre riuscivano a completarlo il
50% dei bambini di 3 anni e 8 mesi ed il 75% dei bambini di 4 anni; la teoria della mente
mostra pertanto una linea di sviluppo simile a quella del linguaggio o del ragionamento.
TEORIA DELLA MENTE E SVILUPPO DEL LINGUAGGIO
DeVilliers e DeVilliers (si giuro sono due uguali non so perché lol), suggeriscono che le
prestazioni dei bambini siano meno buone perché non capiscono cosa gli viene chiesto
(stesso dubbio che avevano sollevato Susan e Leslie tempo prima); Hale e Tager-Flusberg
nel 2003 cercarono di dimostrare che l’addestramento linguistico può migliorare le
performance nei compiti di falsa credenza: essi fecero un esperimento su 60 bambini tra i
3 e i 5 anni, addestrandoli con esercizi sulle false credenze, e notarono dopo appena 5
giorni di esercitazioni, un miglioramento significativo, passando dal 10/20% al 70% di
risposte esatte, ciò conferma che l’aiuto dato ai bambini nella comprensione del
linguaggio migliorava le loro performance.
Che cosa succede se il bambino è sordo? Ricerca compiuta da Melisto et al. (2007) su
bambini segnanti nativi (che hanno appreso la lingua dei segni fin dalla nascita) e
bambini segnanti non nativi (che l’hanno appresa a scuola): i risultati dello studio hanno
dimostrato che i bambini segnanti nativi possedevano un’abilità della teoria della mente
paragonabile a quella dei bambini in grado di sentire, mentre i bambini segnanti non
nativi hanno punteggi molto più bassi.
Clement and Perner (1994) cercarono di dimostrare che la teoria della mente è presente
anche in bambini più piccoli; essi credevano che i bambini ce l’avessero presente in
qualità di concetto implicito (non conscio) e non esplicito (conscio), per dimostrarlo
eseguirono un esperimento con due scatole, una bambola e un giocattolo, si ok è
sempre la solita roba la bambola esce dalla stanza, il ricercatore sposta il gioco dalla
scatola a sinistra a quella a destra, e quando la bambola rientra chiede al bambino
dove avrebbe cercato la bambola; il bambino prima di rispondere osserva una scatola,
e secondo i ricercatori, questa è la sua risposta implicita, mentre la scatola che indicherà
vocalmente, è la sua risposta esplicita. I risultati mostrarono che i bambini sotto i 3 anni
non osservavano nessuna delle 2, mentre quelli di 3 anni e 7 mesi osservavano tutti la

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scatola sinistra (ovvero la risposta corretta) ma solo il 23% di loro risponde anche a voce
correttamente, secondo i ricercatori quindi i bambini sapevano dove la bambola
avrebbe guardato, ma non erano in grado di verbalizzarlo.
Quest’ultimo esperimento ha portato moltissimi ricercatori a cercare di perfezionarlo, tra
questi, Onishi e Baillargeon (sto notando che i nomi diventano più difficili man mano che
vado avanti), che hanno creato un esperimento con una scatola gialla una verde e un
anguria di plastica.
I ricercatori creano una sorta di palcoscenico con due scatole, una gialla e una verde,
un anguria di plastica posizionata tra le due scatole, e dietro questi oggetti una porta;
dopo aver fatto alcune prove di familiarizzazione, l’attore inserisce l’anguria nella scatola
verde ed esce, a questo punto i ricercatori creano 4 condizioni, 2 in cui la credenza
dell’attore è vera e due in cui è falsa.
1) Condizione A: l’attore apre la porta, e vede la scatola gialla muoversi verso quella
verde, per poi tornare alla sua posizione originale, in questa condizione la credenza
dell’attore è vera, l’anguria si trova nella scatola verde.
2) Condizione B: l’attore apre la porta e vede l’anguria che viene spostata dalla scatola
verde a quella
gialla, anche qui la sua credenza è vera.
3) Condizione C: la porta rimane chiusa, e l’anguria si sposta dalla scatola verde a quella
gialla, qui
l’attore ha quindi una credenza falsa.
4) Condizione D: l’attore apre la porta, vede l’anguria spostarsi dalla scatola verde alla
scatola gialla, dopo di che chiude la porta, e l’anguria viene spostata in quella verde,
anche qui l’attore ha quindi una credenza falsa.
Secondo Onishi e Baillargeon se un infante si aspetta che l’attore cerchi l’anguria sulla
base della SUA credenza, allora il bambino dovrebbe guardare la scatola più a lungo se
l’attore confonde le sue aspettative cercando nell’altra scatola: esempio, nella
condizione D l’attore crede che l’anguria sia nella scatola gialla, ma l’infante sa che è
ritornata in quella verde, quindi se l’infante capisce la prospettiva dell’attore si aspetterà
che cerchi nella scatola gialla, e in questo caso osserverà brevemente la scatola, se
l’attore invece cerca in quella verde, l’infante la osserverà più a lungo. Gli esperimenti
hanno confermato la teoria degli autori, che hanno sostenuto che i bambini di quindici
mesi hanno una teoria della mente rappresentativa.
Buttleman et al. riconoscono un limite allo studio di Onoshi, ovvero che il bambino
osservava più a lungo solo perché si accorgeva che stava accadendo qualcosa di
insolito e non perché attribuiva credenze all’attore, e decidono di proporre un
esperimento in cui il bambino sia parte attiva.
Partono dal fatto che i bambini dai 12 mesi in su iniziano ad aiutare gli altri per risolvere
compiti o problemi, e che se sono in grado di fare ciò vuol dire che capiscono quale sia il
problema o il focus dell’altra persona, questo dimostrerebbe che i bambini hanno una
teoria della mente: per verificare queste ipotesi hanno sottoposto dei bambini di 16 e 18
mesi a un compito di falsa credenza che implicava un comportamento d’aiuto. Un
bambino osservava un adulto mettere una palla in un cesto e poi uscire dalla stanza; lo
sperimentatore spostava la palla dal cesto alla scatola; l’adulto rientrando, cerca la palla
nel cesto e non la trova; come si aspettavano i ricercatori la maggior parte dei bambini
aiutava gli adulti a ritrovarla, dimostrando di aver capito la prospettiva dell’adulto.

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Quindi introducendo un aspetto comportamentale si può eliminare l’influenza sistematica


data dalle diverse abilità linguistiche, sia respingere l’ obiezione sull’inseguimento visivo;
possiamo concludere che la teoria della mente sembra essere presente da un età molto
precoce, e che si può misurare attraverso compiti di falsa credenza.
TEORIE CHE SPIEGANO LA MENTE
Teoria-Teoria o spiegazione rappresentativa della mente
Questa teoria sostiene che il bambino non può avere una piena comprensione delle false
credenze fino a che non impara ad usare la meta-rappresentazione; secondo Leslie è la
capacità di separare realtà e fantasia durante il gioco e si manifesta per la prima volta
con il gioco del far finta intorno ai
18 mesi. Ma il gioco del far finta dovrebbe generare molta confusione nel bambino, se
sta imparando che il frutto giallo curvo è una banana, giocare con la banana fingendo
che sia un telefono dovrebbe essere troppo complicato per lui; Leslie ci spiega che
questo è possibile perché il bambino elabora due tipi dio rappresentazione: la prima è la
rappresentazione primaria, ovvero la banana come frutto giallo e curvo; la seconda è la
rappresentazione secondaria, ovvero la banana come finto telefono, quest’ultima è
chiamata da Leslie meta-rappresentazione e dimostra la capacità del bambino di usare
la fantasia non solo quando gioca da solo, ma anche quando gioca con dei coetanei,
dimostrando di essere consapevole della meta-rappresentazione della banana anche
nel gioco altrui. Secondo Leslie è un’evidenza della capacità del bambino di sviluppare
una teoria della mente.
Questa teoria spiega i fallimenti nel comprendere la prospettiva altrui, come degli errori
nel creare le meta-rappresentazioni che porteranno di conseguenza a errori nel
prevedere il comportamento di una persona.
La teoria della simulazione
Questa teoria sostiene invece che siamo programmati biologicamente per comprendere
le credenze e i desideri degli altri, e che lo facciamo usando come modello la nostra
mente, ovvero cerchiamo di prevedere cosa farà un’altra persona pensando a cosa
faremmo noi nella stessa situazione, quello che Meltzoff ha chiamato confronto del
‘’come me’’; questa teoria ha un fondamento biologico nei neuroni specchio, che
sembrano attivarsi davanti all’osservazione di un’azione. Questa
teoria spiega i fallimenti in maniera molto semplice: ci si aspetta che la persona si
comporti ‘’come me’’ ma la persona non è come me.
Fino ad ora non si è riusciti a dimostrare la supremazia di nessuna delle due teorie nella
comprensione della teoria della mente.
Dibattiti sull’origine della teoria della mente
Come visto, ci sono diverse opinioni sull’origine della teoria della mente, a cui si aggiunge
anche quella di Gopnik et al. (1994) i quali divisero lo sviluppo della teoria della mente in
4 stadi, affermando che solo ai 4 anni di età il bambino è capace di comprendere la
prospettiva delle altre persone e ,in caso di falsa credenza, prevederne il
comportamento, tutto ciò che avviene prima sono altri stadi dello sviluppo della teoria
della mente (loro divisero in 4 stadi che simpaticamente non sono riportati nel libro), dove
i bambini hanno una pre-teoria, che permette loro di eseguire qualche compito di falsa
credenza (come quelli visti nei paragrafi precedenti), ma il miglioramento delle loro
prestazioni avviene appunto intorno ai 4 anni, e ciò riflette un netto cambiamento nello
siluppo cognitivo e nella comprensione della teoria della mente vera e propria.

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TEORIA DELLA MENTE E BAMBINI AUTISTICI


Le persone autistiche hanno difficoltà a comprendere la mente degli altri, perché fanno
fatica a cogliere il contesto degli eventi e sono dotate di una scarsa coerenza centrale:
una persona dotata di coerenza centrale, per esempio, se vede dei palloncini, una torta
e dei regali, capisce che è nel contesto di una festa di compleanno, la persona autistica
non riesce a collegare gli elementi ma a vederli solo singolarmente in maniera
estremamente dettagliata (es: saprebbe dire dopo poco tempo quanti palloncini ci
sono, di che colore sono, la scritta su ognuno di essi ecc..)
In letteratura ci sono molti studi che collegano l’autismo a deficit delle abilità cognitive:

1) I bambini autistici non sanno distinguere ciò che è reale da ciò che è mentale, come
dimostrato da uno studio del 1986 di Wellman ed Estes fatto a bambini tra i 3 e i 4 anni
con sviluppo tipico e con autismo: venivano presentati ai bambini due personaggi,
uno teneva in braccio un cane e l’altro lo immaginava solamente, dopo di che
veniva chiesto ai bambini quale dei due personaggi avesse un cane. I bambini
autistici commettevano molti errori, mentre i bambini con sviluppo tipico rispondevano
correttamente con molta facilità.
2) Altri studi hanno mostrato che i bambini autistici non riescono a distinguere tra
l’appartenenza di un oggetto e la sua realtà. Se gli viene mostrata una penna a forma
di dinosauro, la vedranno o come penna o come dinosauro, ma non riescono a
vederla come un tutt’uno.
3) Baron-Cohen et al. in uno studio del 1985 hanno proposto l’esperimento di Sally e
Annie a bambini di 4 anni con sviluppo tipico (23/27 risposero correttamente), con
sindrome di down (12/14), con autismo (4/20); gli autori giunsero alla conclusione che i
bambini autistici non erano in grado di rappresentare gli stati mentali altrui e che
quindi non sono in grado di prevederne il comportamento. I bambini con autismo non
hanno infatti il concetto del ‘’vedere porta a sapere’’ ed è proprio per questo motivo
che non possono rappresentare gli stati mentali degli altri.
Inganno
L’inganno appare circa a 4 anni nei bambini con sviluppo tipico, ma per i bambini
autistici è molto difficile da mettere in pratica. Baron-Cohen propose a dei bambini il
‘’gioco del penny nascosto’’, egli chiedeva ai bambini di nascondere un penny in
una delle due mani e di non rivelargli in quale quando glielo avesse chiesto: i bambini
con sviluppo tipico non avevano difficoltà e anzi, si dimostravano molto abili; i
bambini con autismo invece facevano molta fatica e spesso rivelavano dove si
trovava il penny prima ancora che lo sperimentatore glielo chiedesse.

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Capitolo 10 - Attaccamento e prime esperienze sociali


CHE COS’È L’ATTACAMENTO?
Attaccamento: è un legame affettivo ed emotivo, forte e duraturo, che abbiamo con
persone che fanno parte della nostra vita. In psicologia dello sviluppo l’attaccamento è
inteso come il primo legame che un infante ha con il suo caregiver primario (solitamente
la madre).
LA TEORIA DEL PRIMO ATTACCAMENTO DI BOWLBY
Secondo Bowlby, la nostra tendenza a formare legami affettivi con individui specifici è un
dato biologico evolutivo poiché presenta valori di sopravvivenza e di adattamento. La
relazione che si crea tra bambino-caregiver primario assicura oltre che al nutrimento
anche protezione e sicurezza.
Le caratteristiche che stabiliscono e mantengono la vicinanza tra la madre e il bambino
sono:
• Monotropia: tendenza a privilegiare una figura di attaccamento particolare (il
caregiver), e una separazione prolungata da esso può provocare conseguenze
deleterie per il bambino
• Ricerca di vicinanza: l’obiettivo nel primo attaccamento è mantenere una vicinanza
ideale con il caregiver primario
• Ansia di separazione: comportamenti tipici manifestati dall’infante per esprimere
protesta contro l’allontanamento del caregiver
• Angoscia dell’estraneo
• Periodo critico: la formazione dell’attaccamento deve rispettare precisi termini
temporali, che secondo Bowlby, è un periodo compreso tra i sei mesi e i tre anni di età
LE FASI DELL’ATTACCAMENTO
1) Preattaccamento → 0-2 mesi → l’infante mostra poche differenze tra le risposte
date alla madre e quelle date ad altre persone
2) Primo attaccamento → 2-7 mesi → il bimbo inizia a riconoscere la madre
gradualmente e si fa confortare da lei con più facilità
3) Ansia da separazione → 7/9 mesi-2anni →il bambino cerca di mantenere la
vicinanza alla madre, protesta quando è separato da lei ed è cauto verso gli
estranei
4) Corretta in vista di uno scopo →da 2-3 anni in poi → bambino possiede
rappresentazioni dell’attaccamento più astratte (fiducia, affetto..), inizia a
comprendere i bisogni della madre e la sua indipendenza matura.
IPOTESI DELLA DEPRIVAZIONE MATERNA
Nella seconda parte della teoria, Bowlby analizza i casi di bambini che hanno subito una
separazione di lungo periodo dalle figure parentali . Si parla quindi di deprivazione
materna che deriva da situazioni come malattia della madre o del bambino, decesso
genitoriale o abbandono (infatti si chiama ipotesi della deprivazione materna) .
Partendo dagli studi di Goldfarb: egli seguì 30 bambini abbandonati dalle madri prima
dei nove mesi, metà di essi furono adottati, gli altri collocati in un istituto per poi passare a
forme di affido continuative.
Arrivati all’età di dieci anni furono sottoposti, insieme ai loro caregiver e insegnanti, a una
serie di test e prove di intelligenza; Goldfarb rilevò che coloro che avevano trascorso in

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istituto i primi anni di vita, presentavano situazioni peggiori rispetto a quelli in affido.
Partendo da questo presupposto, Bowlby, giunse alla conclusione che, anche se si ha
sofferto di deprivazione nei primi sei mesi di vita, un infante può essere salvato da una
cura tempestiva e adeguata, mentre oltre i due anni e mezzo non ci sarebbero risultati
positivi.
Necessario, quindi per uno sviluppo sano è una relazione continua, intima e affettuosa.
RICERCHE SUGLI ANIMALI
Quando si parla di etologia si intende lo studio del comportamento animale finalizzato
alla sopravvivenza e all’adattamento, attraverso la combinazione di raccolta di dati. Tra
gli autori che spiccano di più c’è Lorenz. Egli ha studiato il processo dell’imprinting=
processo adattivo che permette di formare un legame di attaccamento con l’individuo
‘’giusto’’ che lo sosterrà e lo proteggerà; osservando gli uccelli appena usciti dalle uova
rileva che il primo oggetto che vedevano in movimento (solitamente la madre) era
oggetto di imprinting. Non è necessario che il primo oggetto sia una creatura vivente ma
può essere anche una palla, una scatola… Un altro aspetto chiave di questo processo è
l’irreversibilità, cioè una volta che l’animale ha ricevuto l’imprinting non può più riceverne
di nuovi.
I comportamenti di imprinting negli animali, sono simili a quelli degli infanti umani.
Il secondo autore importante è Harlow, egli separò subito dopo la nascita alcuni
macachi dalla loro madre chiudendoli in gabbie isolate, a questo punto egli notò che i
macachi che ricevevano regolarmente attenzione da una madre-surrogata umana (che
forniva loro cibo, calore e conforto) avevano maggiore possibilità di sopravvivenza.
Successivamente aggiunse nelle gabbie isolate una madre-surrogato fatta di fili di
metallo come fonte di cibo, e un’altra madre-surrogato di stoffa: escludendo i momenti
di nutrizione, le scimmie mostravano la loro preferenza per il modello di stoffa che
percepivano come base sicura.
Le profonde conseguenze negative sperimentate dagli animali allevati lontano dalle loro
madri offrono sostegno all’ipotesi della deprivazione materna di Bowlby.
CRITICHE ALLA TEORIA DI BOWLBY
Il successo della teoria originaria di Bowlby deve essere collocato nel contesto del suo
tempo ovvero anni Quaranta e Cinquanta. Tra le critiche più forti:
• Critica all’ipotesi della deprivazione materna: riprendendo l’esperimento di Harlow, si
notò che gli effetti dell’isolamento sulle scimmie erano reversibili in certe condizioni
• Non si parla più di ‘periodo critico’ ma di ‘periodo sensibile’: durante il quale i legami
affettivi si forgiano più facilmente che in altri momenti della vita.
• Critica allo studio di Goldfarb: non si poteva essere sicuri che gli effetti negativi sui
bambini fossero dovuti alla separazione dalla madre anziché ad altri fattori collegati
all’istituzionalizzazione
• Critica alla monotropia: il fatto che, dopo condizioni di deprivazione, i piccoli di uomo
e di animale possano continuare ad avere relazioni, indica che tali condizioni possono
anche non essere profondamente dannose
MISURARE L’ATTACCAMENTO
L’idea secondo cui bambini diversi possono raggiungere diversi tipi di sicurezza
nell’attaccamento spetta a Mary Ainsworth: osservò i comportamenti del gruppo etnico
in Ganda e li paragonò a campioni di popolazione americana. Notò differenze nell’ansia
da separazione e nell’intensità dell’angoscia dell’estraneo ma contemporaneamente

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entrambi i gruppi mostravano comportamenti tipici delle fasi di attaccamento. Questo la


spinse a guardare quanto prontamente l’infante riuscisse a usare il caregiver come base
sicura (=attaccamento sicuro).
Successivamente ideò la procedura della Strange Situation (per procedura nel dettaglio
di tutte le fasi pag.251): sette fasi le quali prevedono che la madre e il bambino stiano
insieme con e senza un estraneo; l’allontanamento della madre in presenza e in assenza
dell’estraneo e il ritorno della madre in presenza dell’estraneo. I comportamenti più
interessanti coincidono con il ricongiungimento alla madre e la classificazione in tipi di
attaccamento è valutata sulla base di questi episodi.
a) TIPO A → insicuro-ambivalente → mancanza/fuga dal contatto con la madre, il
bambino tratta lei e l’estraneo in modo simile; non è turbato dall’allontanamento
della madre e la ignora quando ritorna
b) TIPO B → sicuro → quantità moderata di ricerca di vicinanza alla madre;
turbamento al suo allontanamento seguito da accoglienza positiva al
ricongiungimento
c) TIPO C → insicuro/resistente-ambivalente→ grande angoscia all’allontanamento
della madre; resistenza al tentativo di conforto da parte dell’estraneo, difficoltà
nell’essere confortato al ricongiungimento
d) TIPO D →insicuro-disorganizzato → mancanza di un modello comportamentale
coerente; timore di avvicinarsi alla madre; confusione su separazione e
ricongiungimento
E’ importante identificare il tipo di attaccamento che un bambino ha con il proprio
caregiver dato che indica la qualità della relazione tra bambino-caregiver; inoltre il
bambino potrebbe esibire comportamenti si attaccamento diversi con persone
diverse a seconda della relazione in cui egli è con ciascuna di loro.
CRITICA DELLA STRANGE SITUATION
La Strange Situation è stata progettata per esporre il bambino a una crescente
quantità di stress, ma la maggior parte dei bambini al secondo anno di vita (età a cui
vengono sottoposti alla SS) si trovano esposti ad adulti diversi dal caregiver primario e
che quindi l’impatto con alcune fasi della Strange Situation non siano così stressanti
come si pensava in passato. Quindi l’uso di questa procedura può essere
inappropriata con bambini abituati alle cure non materne.
E’ molto probabile che alcuni comportamenti di attaccamento siano considerati
diversamente in culture diverse. Molti punti deboli della Strange Situation e dei tipi di
attaccamento sono dovuti al loro essere basati sul comportamento, in quanto solo
comportamento ed espressioni palesi contano al fine della classificazione.
ATTACCAMENTO E CURA DEL BAMBINO
Le relazioni di attaccamento presentano modelli diversi, e poiché si forma solitamente
in casa, le origini di tali differenze sono da cercare probabilmente nell’ambiente
familiare
LA MADRE
Nella maggior parte dei casi, il piccolo sente maggiore intimità con la madre anche
se affidato alle cure di altri adulti. Per avere la formazione di un legame sicuro con il
bimbo è essenziale la disponibilità fisica e la sua disponibilità emotiva. Questo è
chiamata da Bowlby sensibilità materna: capacità della madre nel rispondere in
maniera tempestiva e coerente ai segnali dell’infante es. bambino piange la mamma

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lo prende in braccio
In realtà, l’associazione tra sensibilità materna e attaccamento sicuro non è certa: una
minoranza di bambini che ha subito maltrattamenti riesce a formare attaccamenti
sicuri con il caregiver e buone relazioni con altri senza necessariamente presentare un
attaccamento disorganizzato.
Più recentemente nelle caratteristiche fondamentali della madre è subentrato il
concetto di mind-mindfulness: capacità del genitore di porsi in relazione con il proprio
figlio considerandolo come un individuo dotato di pensieri, stati mentali e sentimenti
propri, usando un linguaggio in cui si fa riferimento agli stati psicologici interiori del
figlio stesso.
IMPORTANZA DEL PADRE
La letteratura sull’attaccamento materno è molto più ricca di quella
sull’attaccamento paterno, ed è pertanto necessaria una maggiore quantità di
lavoro per entrare a fondo a questa relazione. La ricerca attuale conferma l’idea che
i padri svolgano un ruolo differente da quello delle madri in quanto, il loro intervento
negli aspetti emotivi e pratici è minore; occupano più tempo invece a giocare con i
bambini offrendo stimoli fisici piuttosto che i giochi tradizionali che propone la madre
che stimolano l’interazione affettuosa. E’ per questo che in generale, gli infanti
preferiscano rivolgersi alla madre piuttosto che al padre.
IMPATTO DELLA CURA QUOTIDIANA
Le modalità alternative di cura (parenti, baby-sitter, puericultrici o scuole dell’infanzia)
mettono a disposizione un aiuto alle madri che devono tornare a lavorare, tuttavia
sono da considerare la qualità della cura e il contesto familiare in cui essa si inserisce.
Inizialmente era in voga l’idea che affidare gli infanti a cure extra-genitoriali
provocasse un attaccamento insicuro (Bowlby), più avanti lo stesso Belsky sostenne
prima che non ci fosse nessuna evidenza nello sviluppo di un attaccamento non
sicuro, poi che l’attaccamento risultava certamente insicuro; ricerche successive
hanno dimostrato che non è certa la correlazione cure extra-
genitoriali/attaccamento, molto dipende dal legame con la madre, in alcuni casi si
sviluppa un attaccamento insicuro, in altri l’attaccamento si rafforza, insieme
all’indipendenza e alle interazioni sociali.
ATTACCAMENTO OLTRE L’INFANZIA
MODELLO OPERATIVO INTERNO
La funzione centrale è che il bambino apprenda come relazionarsi: costruisce
aspettative su di sé, sugli altri formando il cosiddetto modello operativo interno (MOI).
La componente MOI dell’attaccamento oltre che a elementi comportamentali ed
emotivi, si attribuisce anche una parte cognitiva. Di conseguenza, i diversi tipi di
attaccamento sono rappresentati da diversi MOI (es. bimbo con un attaccamento
sicuro)→il MOI del caregiver sarà di attenzione e calore (es.bimbo con attaccamento
insicuro)→il MOI del caregiver sarà di freddezza e insicurezza
ATTACCAMENTO NELLA TARDA INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA
Il MOI fornisce al bambino sicurezza e autostima necessarie a sviluppare relazioni più
intime con familiari e amicizie con i pari.
La Main, ha ideato delle varianti alla Strange Situation al fine di misurare le qualità delle
relazioni nei bambini in età prescolare; rilevò che i bambini che a dodici mesi avevano
manifestato un attaccamento sicuro continuavano a mostrare una maggiore apertura

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emotiva, mentre quelli che avevano manifestato un attaccamento insicuro davano


perlopiù risposte negative/irrazionali.
Gli adolescenti che durante l’infanzia mostrano un attaccamento sicuro presentano
autostima in fase adolescenziale (esistono certamente delle eccezioni) , viceversa con
attaccamento insicuro-evitante.
ETA’ ADULTA E CICLI INTERGENERAZIONALI
La Main con i suoi collaboratori hanno sviluppato un’intervista semistrutturata chiamata
Intervista sull’attaccamento adulto,volta a far emergere il tipo di attaccamento nei
confronti delle figure parentali, con lo scopo di ricostruire la qualità della relazione. Se
l’adulto ha ricordi positivi delle passate relazioni familiari parlerà più apertamente delle
relazioni, se invece, ha avuto relazioni molto “distanziate’’ tenderà a creare un
attaccamento insicuro.

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Capitolo 11 - Lo sviluppo emotivo

COSA SONO LE EMOZIONI?


Oggi si è riconosciuto il fondamentale ruolo delle emozioni nello sviluppo psicologico
umano, il loro legame con gli aspetti cognitivi e la loro funzione nella regolazione delle
interazioni. Le emozioni sono il motore che ci muove e ci spinge a evitare o avvicinarci a
determinate esperienze, persone, luoghi.

Le emozioni sono dei vissuti oggettivi, degli stati mentali multi-componenziali, che possono
essere compresi in termini dei processi sottostanti, quali la tendenza all'azione, la
valutazione cognitiva, il desiderio di raggiungere uno scopo, il coinvolgimento di tutto il
corpo e delle energie personali; hanno la durata nel tempo e un'intensità e svolgono
un'importante funzione adattiva. Hanno anche una base biologica nel cervello.
Il cervello umano è predisposto a rilevare stimoli importati dal punto di vista emotivo e a
rispondere in modo differenziato in base alla loro valenza. Già a 7 anni di vita, i bambini
mostrano più segnale di attenzione nell'elaborazione di un volto spaventato che di un
volto felice. Da un punto di vista evolutivo, i bambini sarebbero predisposti a prestare
maggiore attenzione a stimoli negativi, che possono indicare pericolo, che a stimoli
positivi o neutri.
Nonostante le emozioni abbiano queste importanti base neurobiologica, risentono
profondamente di influenze culturali e ambientali. Non sarebbe possibile capire come,
perché e quando si esprimono emozioni senza considerare i fattori culturali.

COMPONENTI DELLE EMOZIONI


Un'emozione viene elicitata da un evento esterno o interno all'individuo, che modifica lo
stato dell'organismo. Tali modificazioni avvengono a livelli diversi e coinvolgono vari
sistemi interconnessi tra loro.
A livello fisiologico, le emozioni si esprimono attraverso reazioni corporee. Il cervello
reagisce a uno stimolo inviando dei messaggi a vari organi del corpo affinché si
predispongano a reagire. Tali reazioni sono per lo più inconsapevoli e difficili da
controllare. Il nostro corpo reagisce lo stimolo emotivo con espressioni facciali o con le
altre manifestazioni corporee, che caratterizzano le emozioni primarie. Anche il
linguaggio verbale è una modalità con cui vengono espresse.
A livello cognitivo si assiste a una riflessione sulle emozioni, cioè gli individui attribuiscono
significato allo stimolo e a ciò che stanno provando. È possibile così valutare la tonalità
affettiva dell'evento emotigeno. La sfera emotiva e quella cognitiva sono intrecciate
l'una con l'altra e sottintendono un processo evolutivo per cui, con la crescita, il bambino
è sempre più in grado di valutare ciò che accade e di mettere in atto azioni pianificate
per gestire al meglio la situazione.

Un'altra componente importante del processo emotivo è la tendenza all'azione. Uno


stimolo che attiva emozioni positive induce ad avvicinarsi, mentre un evento percepito
come negativo spinge ad allontanarsi. Non sempre la tendenza all'azione è
effettivamente associata ad un'azione vera e propria. Essa viene mediata da influenze
ambientali ed all'intervento educativo, che agiscono sull'effettiva messa in atto di un
comportamento.
La componente esperienziale fa riferimento al vissuto soggettivo interno, provocato da

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ciascuna emozione. È difficile distinguere in maniera netta emozioni della stessa tonalità
che vengono vissute insieme.
È più semplice riuscire a definire la sensazione positiva o negativa legata a un'esperienza,
così come il livello di attivazione, più che una specifica emozione. Altre volte è difficile
anche definire la tonalità emotiva, perché si trovano emozioni miste o ambivalenti, cioè
di valenza opposta. È solo verso i 7-8 anni che il bambino ne diventa consapevole.
Possiamo considerare le emozioni come risultato di un processo complesso che scaturisce
da l'insieme di tutte queste componenti.
L'emozione dipende anche dalla novità dell'evento o dalla variazione della situazione.
Le reazioni emotive sono pertanto flessibili e si adattano all'individuo e alla situazione, con
l'obiettivo di salvaguardare i propri desideri e interessi e le relazioni sociali.

A COSA SERVONO LE EMOZIONI?


Secondo l'approccio funzionalista, la finalità delle emozioni è sovraordinata rispetto alle
loro caratteristiche e alla loro natura, per cui le emozioni possono essere raggruppati in
famiglie di emozioni in base al ruolo che svolgono.
Le emozioni non dovrebbero mai essere ignorate. Innanzitutto, fin dalla nascita, le
emozioni hanno una funzione biologica. Inoltre, regolano i processi psicologici interni che
si attivano di fronte a uno stimolo. Pertanto, le emozioni rivestono anche un ruolo di
autoregolazione, in quanto l'attivazione fisiologica ci dà un feedback su come ci
sentiamo e su come possiamo modificare tale arousal (=attivazione dello stato fisiologico
o psicologico).
Le emozioni vengono esperite quasi sempre in contesti sociali, per cui una delle loro
funzioni principali e quella di gestire in modo efficace le relazioni con gli altri.
È attraverso le emozioni che riusciamo a segnalare agli altri come ci sentiamo e di cosa
abbiamo bisogno, a capire come si sente un'altra persona ea comportarci di
conseguenza.
Anche le valutazioni degli altri e le loro aspettative nei nostri confronti e hanno un ruolo
importante sul tono e sull'intensità delle emozioni che proviamo. La comunicazione con
gli altri si basa spesso su scambi emotivi. Per esempio, la comunicazione tra madre e
bambino passa attraverso l'emotività, come nel caso del riferimento sociale, che implica
la capacità del bambino, dai 12 mesi di vita, di comprendere l'espressione emotiva del
caregiver e di utilizzarla con punto di riferimento. Il fenomeno del riferimento sociale
supporta l'importanza della funzione comunicativa delle emozioni e del ruolo del
caregiver nella regolazione del bambino nei primi anni di vita.

LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI


Per sviluppo emotivo si intende la comparsa delle emozioni nei bambini secondo tappe
evolutive, ma anche lo sviluppo delle capacità di esprimere le emozioni in modo
appropriato, di riconoscerle, comprenderle e regolarle, cioè quelle abilità che formano la
competenza emotiva.

LE EMOZIONI PRIMARIE
Sono considerate emozioni primarie quelle che hanno uno specifico substrato neurale e
natura innata, e che hanno una funzione adattiva specifica. Sono presenti fin dalla
nascita e vengono espresse e comprese in modo simile in ogni popolazione umana,
indipendentemente dalla cultura. Con l'età, i bambini diventano in grado di esprimere e
organizzarli in modo sempre più complesso.

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Sono considerati emozioni primarie la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura, ma anche la


sorpresa, il disgusto, l'interesse, il disprezzo e la vergogna. Secondo la teoria differenziale, il
bambino viene al mondo con un bagaglio di emozioni fondamentali. Il termine
differenziale indica la natura distintiva delle emozioni. Lo sviluppo cognitivo e la
socializzazione intervengono nel corso dello sviluppo per far sì che queste vengano
espresse e gestite in modo più flessibile e adatto al contesto.
Al contrario, per la teoria della differenziazione, i meccanismi cognitivi e hanno un ruolo
importante per spiegare come le emozioni discrete si sviluppano a partire da uno strato
iniziale di eccitazione indifferenziata.
Entrambe le teorie concordano nel ritenere che nei primi due mesi di vita assistiamo a
manifestazioni regolate da meccanismi fisiologici e riflessi.
Le espressioni corporee non sono ancora specifiche di determinate emozioni e spesso
sono comuni a più sensazioni.
Per la teoria differenziale, dal terzo mese, tali manifestazioni emotive diventano più
articolate e compaiono le emozioni di gioia, sorpresa, tristezza collera e paura, in
relazione a stimoli del contesto. Intorno agli otto nove mesi, si presenta la paura
dell'estraneo, che segnala anche che si sta consolidando un legame affettivo
preferenziale con una figura di attaccamento.
Secondo la teoria della differenziazione, verso i 3-4 mesi si osservano dei precursori delle
emozioni, mentre nella seconda metà del primo anno che le emozioni vere e proprie
comprerebbero, quando il bambino diventa in grado di valutare l'evento emotigeno e
dargli significato. Gli stimoli si caratterizzano, quindi, prima per l'intensità, poi per il
contenuto e infine per il significato che viene loro attribuito.

Sistema piacere-gioia
- 0-2 mesi: il bambino produce il sorriso endogeno, che è una manifestazione di uno strato
di benessere interiore, ma non è indirizzato all'esterno.
- 2 mesi: il sorriso esogeno viene prodotto in risposta a stimoli acustici o visivi che perlopiù
riguardano il volto è la voce delle persone familiari.
- 3 mesi: compare sorriso sociale selettivo, che segnala uno stato emotivo positivo come
risposta specifica determinate persone e che ha un ruolo fondamentale di iniziare e
mantenere uno scambio sociale.
- 4 mesi: si assiste alla comparsa delle emozioni vere e proprie della gioia
- 8 mesi: la gioia viene recitata dal significato che il bambino da all'evento.

Sistema di circospezione-paura
- prime settimane di vita: il bambino sperimenta forme di disagio indifferenziato.
- 3-6 mesi: di fronte a stimoli che non riesce ad assimilare come familiari mostra
circospezione, il precursore della paura
- 6 mesi in poi: Compare la paura vera e propria, come reazione a stimoli valutati come
minacciosi.

Sistema frustrazione-rabbia
- 0-3 mesi: iniziale manifestazione di agitazione e reazione di disagio dovute all'intensità
dello stimolo.
- 3-6 mesi: nel tentativo di scaricare la tensione dovuta uno specifico stimolo, compare il
precursore della rabbia, cioè la frustrazione
- 6 mesi: la frustrazione si sviluppa in risposte sempre più organizzate di rabbia e collera

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verso uno stimolo considerato di ostacolo ai propri obiettivi.

Sia il sistema di circospezione-paura che quello di frustrazione-rabbia possono elicitare il


pianto, che può diventare un'importante segnalatore emotivo con valenza
comunicativa. Serve per richiamare l'attenzione del caregiver e per segnalare uno stato
di disagio. Il tipo di pianto si differenzia in base al motivo che l'ha provocato e i genitori
sono spesso in grado di riconoscerlo. Una risposta coerente al pianto contribuisce al suo
senso di fiducia.
Con il tempo i bambini comprendono il suo valore comunicativo e verso la fine del primo
anno lo utilizzano in modo intenzionale.
Le sequenze di sviluppo delle emozioni sono molto simili nella teoria differenziale e in
quella della differenziazione, perché si basano sulle osservazioni dei bambini e quindi su
dati oggettivi. Ciò che maggiormente le distingue è che nella prima gli aspetti emotivi
prevalgono su quelli cognitivi, le emozioni sono già presenti alla nascita e dipendere da
meccanismi neurali specifici. Nella teoria della differenziazione, invece, lo sviluppo
emotivo e subordinate si intreccia quello cognitivo e sociale.
In ogni caso, si osserva che il bambino, crescendo, risponde non solo a stimoli biologici,
ma anche sociali.
Dopo il primo anno emergono anche le emozioni secondarie e il ruolo del contesto
diventa via via preponderante nell'influenzare il modo in cui le emozioni vengono
espresse.

LE EMOZIONI SECONDARIE
Si chiamano secondarie quelle emozioni che necessitano di autoconsapevolezza e
introspezione e di una base di sviluppo cognitivo che consenta di riconoscere, valutare e
interiorizzare norme e standard sociali. Sono influenzate dall'apprendimento, dal contesto
e dalla cultura e non sono caratterizzate da pattern di attivazione fisiologica specifici,
anche se presentano aspetti espressivi abbastanza tipici.
Possiamo includere tra le emozioni secondarie l'imbarazzo, la vergogna, il senso di colpa,
l'orgoglio e la superbia, ma anche l'empatia, l'invidia e la gelosia.
Le prime emozioni autocoscienti compaiono tra i 15 e i 24 mesi e necessitano che si sia
sviluppata la consapevolezza di sé. Solo quando questo avviene, il bambino riesce a
sperimentare le prime emozioni autocoscienti, come l'imbarazzo o l'empatia.
Successivamente, intorno ai 30 mesi, grazie ad un ulteriore sviluppo di abilità cognitive,
emergono anche emozioni più complesse come la vergogna, senso di colpa, l'orgoglio e
la superbia. Affinché il bambino posso provare queste emozioni, c'è infatti prima di tutto
bisogno che riconosca la propria individualità, e che abbia sviluppato più sofisticate
capacità sociali e cognitive per comprendere alcuni aspetti del contesto e valutare sé
stesso o il proprio comportamento.
Le emozioni secondarie continuano ad affinarsi durante gli anni prescolari e la
fanciullezza.
A 2 anni i bambini si autovalutano e riescono a vedersi dalla prospettiva di un adulto che
li apprezza, ma sarà solo intorno ai 3 anni che avranno interiorizzato un metro interno di
giudizio che consentirà loro di provare orgoglio anche l'assenza della reazione
dell'adulto. Il processo di sviluppo che coinvolge la consapevolezza e la verbalizzazione
di tali emozioni è tuttavia ancora più lungo.
Dopo i 5 anni compare la capacità di individuare gli aspetti fondamentali delle emozioni

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autocoscienti e solo intorno ai 9 anni i bambini diventerebbero in grado di utilizzare le


etichette linguistiche appropriate.

LO SVILUPPO DELLA COMPETENZA EMOTIVA


Come lo sviluppo del linguaggio, anche quello emotivo si basa su un insieme di abilità
con cui i bambini nascono, ma che si evolvono nel contesto sociale e culturale. La
competenza emotiva include diverse capacità riferite alle emozioni che il bambino deve
sviluppare.
Innanzitutto, troviamo il riconoscimento delle emozioni in sé stessi, chiamato
consapevolezza emotiva, e negli altri. In secondo luogo, il bambino dev'essere capace di
comunicare le proprie emozioni agli altri, attraverso un appropriato controllo delle
espressioni e l'utilizzo di un vocabolario emotivo. Inoltre, hanno bisogno di imparare quali
sono i comportamenti corretti all'interno della società in cui vivono per diventare buoni
cittadini, capire cioè cosa è giusto e sbagliato. L'ambiente sociale si compone di diversi
livelli. Al primo posto troviamo il caregiver e in generale la famiglia allargata (in cui i fratelli
giocano un ruolo importante), ma è altrettanto fondamentale il rapporto con i pari.
Quest'ultimo soprattutto durante il gioco "libero", che favorisce l'espressione spontanea e
l'interazione fra pari, tutto ciò aiuta a sviluppare molte abilità importanti: per esempio
imparano ad accettare la sconfitta o ad adattarsi se qualcuno cambia le regole,
apprendono l'alternanza dei turni e lo scambio dei ruoli; ma imparano molto anche
riguardo le emozioni, a come leggerle negli altri bambini e reagire in modo adeguato, o
come regolare le proprie. Con il passare del tempo il linguaggio diventa sempre più
rilevante nelle relazioni, nell'adolescenza il ruolo dei genitori diventa meno importante, e i
ragazzi si rivolgono sempre più ad amici e al gruppo dei pari per la condivisione emotiva
ed il supporto.

Oltre all'ambiente anche il contesto culturale influenza lo sviluppo della competenza


emotiva nei bambini. Vi è un'importante distinzione tra culture a stampo individualistico e
culture prevalentemente collettivistiche. Tra le prime sono inclusi i paesi occidentali, i cui
valori enfatizzano lo sviluppo personale, l'indipendenza, i bisogni, le preoccupazioni e il
benessere dell'individuo. I valori di tipo collettivistico sono predominanti in culture non
occidentali (es. asiatiche e africane) e sottolineano il benessere e l'armonia del gruppo e
il rispetto della gerarchia.

CONSAPEVOLEZZA EMOTIVA E COMUNICAZIONE DELLE EMOZIONI


La consapevolezza emotiva è una componente della competenza emotiva e include
varie abilità, tra cui distinguere ed etichettare le emozioni che si provano, identificarne le
cause e comunicarle agli altri. Saper distinguere quale emozione si sta provando segnala
che la situazione è importante per l'individuo e suggerisce la tendenza all'azione, e quindi
gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

I bambini non imparano tutto ciò in modo automatico e spesso possono confondere i
segnali fisici, che sono parte del processo emotivo che preparano l'individuo ad agire,
con sintomi dolorosi o di malattia (es. tensione allo stomaco che riguarda l'avvicinarsi di
un compito scolastico). Spesso gli adulti guidano i bambini nella comprensione di questo
legame, pertanto spiegano l'associazione tra un evento e una reazione fisica ed emotiva
e forniscono anche l'etichetta emotiva appropriata, insegnando quindi ai bambini un
vocabolario emotivo. Gli infanti hanno bisogno di imparare quando esprimere una certa

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emozione e quanto intensamente comunicare i loro sentimenti. Avere una buona


consapevolezza emotiva, è un prerequisito fondamentale anche per un'efficace
comunicazione delle emozioni, che tenga conto dei bisogni e dei desideri individuali, ma
anche degli obiettivi sociali, come per esempio mantenere buone relazioni con persone
significative.

Inoltre, per la comunicazione adattiva delle emozioni, i bambini devono apprendere le


REGOLE DI ESIBIZIONE delle emozioni, che sono determinate dal contesto e dalla cultura
e che facilitano la comunicazione tra gli individui, la comprensione reciproca e
l'accettazione nel gruppo. Per esempio, un'emozione può restare inespressa del tutto
(mascheramento) o cambiata con un'altra (sostituzione), anche se gli infanti sono capaci
fin dai primi anni di vita di aumentare o diminuire l'intensità di un'emozione (piangere per
ottenere quello che vogliono), è solo verso i 6 anni che tali tecniche diventano
consapevoli e i bambini comprendono la distinzione tra emozione che si prova ed
emozione che si comunica.

ESPERIMENTO DEL REGALO SGRADITO (Saarni,1984) ----> mostrò la capacità di dissimulare


la delusione dopo aver ricevuto un regalo insignificante o non apprezzato era minore nei
bambini di 6 anni, in cui si notava uno sforzo di controllarsi ma era ancora evidente
l'emozione reale, rispetto ai bambini di 10 anni, che invece riuscivano bene a mostrare
contentezza e gratitudine e a nascondere delusione. Crescendo, pertanto, i bambini
imparano a comunicare le emozioni in modo sempre più flessibile e articolato.

Esistono importanti differenze culturali nell'espressione e nella comunicazione delle


emozioni. Uno studio ha dimostrato che, mentre nei bambini olandesi (paese
occidentale), esprimevano apertamente la loro rabbia in una situazione conflittuale con i
pari, i bambini cinesi (paese orientale) erano meno aggressivi e addirittura arrivavano a
scusarsi con il compagno che aveva fatto loro del male. Tali risultati sono coerenti con
l'idea che i bambini di culture collettivistiche, come la Cina, attribuiscono maggiore
importanza all'armonia nel gruppo e alla salvaguardia delle relazioni.

Molti bambini però crescono in contesti con una doppia cultura----> sono stati condotti
vari studi sull'espressione e la comunicazione delle emozioni in bambini e adolescenti
marocchini(cultura di tipo collettivistico) che vivono nei Paesi Bassi (cultura di tipo
individualistico)----> risultati che adolescenti marocchini tendono ad esprimere la rabbia
sia in modo indiretto, come i coetanei che vivono in Marocco, che in modo diretto,
come adolescenti olandesi, ma comunicano meno aggressività dei compagni olandesi.
Tali risultati evidenziano un pattern di comunicazione della rabbia funzionale per chi
appartiene a due culture, ma sottolineando anche l'importanza dei modelli culturali
collettivistici che valorizzano i buoni rapporti nel gruppo.

LA REGOLAZIONE EMOTIVA
La consapevolezza è un prerequisito anche per la regolazione, se per esempio la rabbia
può essere accettabile entro certi limiti, superare tali livelli può essere dannoso. Essere
sopraffatti dalle emozioni e non riuscire a gestirle può essere una condizione di rischio per
sviluppare disturbi psicopatologici, come la depressione, pertanto è necessario anche
saper gestire l'intensità delle emozioni che si provano. A tale forma di regolazione la
letteratura si riferisce anche come COPING. Ci sono diverse strategie di coping, la prima
che osserviamo nei bambini di pochi mesi è il tentativo di evitare uno stimolo negativo.

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Già a tre mesi i bambini distolgono lo sguardo da qualcosa che non gradiscono, per
arrivare alla fine del primo anno ad allontanarsi fisicamente da una situazione
indesiderata. La ricerca di supporto sociale è un'altra buona strategia a qualsiasi età, per
esempio, nei bambini di pochi mesi si esprime come ricerca di vicinanza e conforto
affettivo, mentre i bambini più grandi chiedono direttamente aiuto agli adulti e gli
adolescenti cominciano a rivolgersi al loro gruppo di pari. Quando poi i bambini
diventano più autonomi, provano a risolvere le difficoltà da soli, cioè attuano il PROBLEM
SOLVING.

Oltre a questi tentativi i preadolescenti, anche grazie a una migliore capacità di meta-
cognizione, riescono a considerare diverse prospettive e le varie opzioni a livello astratto.
Ciò apre la strada a strategie cognitive di livello superiore, che si affiancano a quelle
comportamentali. I preadolescenti adesso possono pensare alla situazione e provare a
cambiare il loro punto di vista su di essa, valutandola da un'altra angolazione per
comprenderla meglio: si tratta della cosiddetta rivalutazione cognitiva (REAPPRAISAL).

Un'altra strategia cognitiva è la minimizzazione, cioè sminuire qualcosa per sentirsi meno
tristi o arrabbiati per il fatto di averla persa. tali strategie non servono tanto a cambiare il
problema, quanto piuttosto a modificare i pensieri e le emozioni dell'individuo relativi al
problema.

L’ EMPATIA
L'empatia è una risposta affettiva a uno stato interiore altrui, la capacità di sentire ciò
che sente l'altro. Chi prova empatia ha a cuore il benessere di un altro ed è spinto ad
aiutare o sostenere la persona che ha bisogno, pertanto si prova empatia quando si
osserva qualcuno che soffre o è a disagio; è anche chiamata "colla sociale" perché
rafforza il legame tra i membri di un gruppo e la cura reciproca.

L'empatia è costituita da diversi aspetti: nel primo anno di vita, quando un bambino
comincia a piangere, un altro bambino che lo sente inizierà a piangere a sua volta. A
quest'età, sembra che gli esseri umani siano programmati neurologicamente per sentire
le emozioni degli altri, che diventano contagiose. Però tutto ciò non è utile nel confortare
il primo bambino che piange, perciò devono imparare che la sensazione che stanno
provando non è la loro reazione affettiva a un evento, ma è l'emozione dell'altra persona
e, soprattutto, devono imparare come regolare il loro livello di attivazione. Se diventano
loro stessi turbati, come possono confortare l'altro? solo dal secondo anno di vita, i
bambini diventano consapevoli della distinzione tra sé e altro e cominciano a regolare le
emozioni in modo più consapevole. Ma ciò non basta. È molto utile che i bambini
capiscano anche la causa del disagio altrui, in modo tale che il supporto che offrono sia
davvero efficace.

I Bambini più grandi e in particolare gli adolescenti tendono a parlare delle loro emozioni
più che a mostrarle. Una ragazza che ha avuto una delusione sentimentale condividerà
la sua sofferenza parlando con la sua migliore amica, che, per tirarla su di morale deve
comprendere bene la situazione. Questo aspetto dell'empatia si chiama "empatia
cognitiva", per la quale è necessaria una teoria della mente. La comprensione che i
desideri e le credenze possono differire dai propri, si sviluppa pienamente intorno ai 4
anni. A quest'età assistiamo anche a un livello superiore di empatia cognitiva, che,
continua a svilupparsi via via che la teoria della mente si fa più sofisticata. In realtà,

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all'inizio della pubertà, si nota spesso una diminuzione dell'empatia, probabilmente


perché questo periodo i preadolescenti devono far fronte a così tanti cambiamenti a
livello fisico, emotivo, sociale e cognitivo, che la preoccupazione per gli altri diventa
temporaneamente meno importante.

LE EMOZIONI MORALI DI SENSO DI COLPA E VERGOGNA


Il senso di colpa e la vergogna sono comunemente definite come emozioni morali,
perché contribuiscono alla valutazione di cosa sia giusto e cosa sbagliato e alla
tendenza ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni; hanno la funzione di
segnalare e interrompere una violazione a norme morali o sociali, regolando così il
comportamento morale e le relazioni interpersonali.

Il focus della vergogna è sul sé (IO ho fatto una cosa orribile), per cui l'individuo si sente
svalutato come persona, inferiore o carente rispetto a regole o modelli sociali. Al
contrario, nel caso del senso di colpa, l'oggetto di valutazione è il comportamento agito
o non agito (io ho fatto UNA COSA ORRIBILE). Da questo punto di vista la vergogna è
un'emozione più dolorosa e più pericolosa per lo sviluppo dell'autostima e di positive
relazioni sociali.

La vergogna prevede la presenza di un pubblico, reale o immaginario, che viene


percepito come giudicante o derisore. Si tende a non mostrare il proprio sentimento di
vergogna, che, se resa pubblica, si inasprisce e si associa a un senso di umiliazione e a
reazioni ostili. Invece il senso di colpa può essere condiviso con gli altri, cosa che
contribuisce ad alleviarlo, ma può essere vissuto anche come un'emozione più privata,
ciò rende tale emozione un importante indicatore di standard morali interni in base alla
coscienza. Mentre con la vergogna ci si preoccupa della valutazione degli altri sul sé, il
senso di colpa è maggiormente correlato alla preoccupazione dell'effetto del sé sugli
altri.

A livello comportamentale ed espressivo, quando ci si vergogna si ha la sensazione di


sentirsi piccoli e insignificanti e il desiderio di sparire, nascondersi o scappare; si può
arrossire, le spalle sono basse e il corpo sembra volersi ripiegare su sé stesso. Le reazioni
del senso di colpa, invece, includono movimento, confessione, mortificazione, richiesta di
scuse ecc.

Tra le due emozioni, il senso di colpa è quello maggiormente legato alla moralità perché
scaturisce in seguito ad una trasgressione di cui ci si sente responsabili, la vergogna
invece ha un carattere morale quando viene elicitata da un'azione che causa un danno
a qualcuno, ma può emergere anche indipendentemente dalla moralità, quando il
proprio comportamento non è approvato, ma non causa del male agli altri. Hanno
ipotizzato che ciò che caratterizza l'emergere di queste emozioni sono i contesti e le
situazioni: le situazioni morali (trasgressione) elicitano senso di colpa e vergogna, mentre
situazioni non morali (in cui è presente solo l'aspetto dell'identità non voluta) elicitano
vergogna.

Nonostante la vergogna regoli il comportamento per renderlo appropriato al contesto,


questa emozione può presentare dei risvolti maladattivi, in particolare nelle culture
occidentali. Infatti, la vergogna, minando uno dei bisogni fondamentali dell'individuo,
che è quello di essere apprezzato dagli altri, può provocare reazioni disfunzionali legate a
comportamenti interiorizzati, come ritiro sociale, disagio a stare con gli altri e a gestire le

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relazioni, disturbi emotivi, ansia e depressione. In altri casi le reazioni alla vergogna sono di
tipo esternalizzato-----> alcuni sostengono che la rabbia per sentirsi svalutati può portare
le persone a scaricare tale ostilità sugli altri attraverso accuse, risentimento,
comportamenti aggressivi, con l'obiettivo di difendere la propria autostima e
riguadagnare un senso di controllo, superiorità, potere. In un circolo vizioso, riconoscere
l'inadeguatezza di tali reazioni induci ulteriore vergogna. Tuttavia, queste reazioni sono
fortemente influenzate dalla cultura e da come vengono vissute le emozioni morali nelle
società individualistiche e in quelle collettivistiche. Nelle prime, la vergogna è in genere
percepita come un'emozione negativa e indesiderabile, associata a diminuzione
dell'autostima e all'evitamento delle interazioni sociali; in questo caso è soprattutto il
senso di colpa che risulta infatti funzionale come meccanismo di controllo sociale nelle
culture occidentali. Infatti, quest'emozione consente all'individuo di assumersi la
responsabilità delle sue azioni e genera desiderio di riparare, aspetti apprezzati nelle
società occidentali.

Nelle società collettivistiche, invece, è la vergogna ad avere un maggior ruolo adattivo


nell'inibire le trasgressioni e uniformarsi alle norme del gruppo. Infatti, l'infrazione di regole
morali elicita un'enorme vergogna sia nell'individuo che la commette che nella comunità
cui egli appartiene, che viene anch'essa svalutata e umiliata, cosa talmente oltraggiosa
da essere vietata in ogni modo.

L’ORGOGLIO E LA SUPERBIA
Indichiamo le caratteristiche dell'orgoglio e la superbia che, secondo Lewis (1992), sono
l'altra faccia della medaglia del senso di colpa e della vergogna.

L'orgoglio e la superbia indicano un'esaltazione del sé e una valorizzazione della propria


immagine. Così come nel senso di colpa si assiste a una valutazione del proprio
comportamento, anche l'orgoglio si focalizza su un comportamento che esalta la
persona: il bambino prova orgoglio quando raggiunge un obiettivo o ha successo in
qualcosa di importante. A livello espressivo l'orgoglio si manifesta con spalle dritte e
aperte, sguardo fiero, movimenti di esultanza, sorriso.

Invece, la superbia, come la vergogna, coinvolge l'intero sé, che si sente superiore agli
altri ed estremamente gratificato. Indica un eccesso di fiducia in sé stessi, vanagloria,
arroganza, insolenza, presunzione. L'individuo che vuole mantenere questa emozione,
che non è legata a un'azione specifica, deve modificare costantemente i propri obiettivi,
criteri di successo e di condotta.

LA COMPETENZA SOCIO-EMOTIVA: IL LEGAME TRA EMOZIONI E RELAZIONI INTERPERSONALI


Denham (1998,2003) parla di COMPETENZA SOCIO-EMOTIVA per indicare la stretta
interdipendenza tra questi domini, in cui la competenza emotiva precede la
competenza sociale e contribuisce a definirla. La competenza sociale include "la
capacità del bambino di raggiungere obiettivi sociali, considerando il benessere altrui, e
di relazionarsi con adulti e coetanei in base alle richieste e al contesto, in modo che tale
interazione risulti positiva per entrambi i partner coinvolti". Così, i bambini che sanno
comunicare con chiarezza i propri stati emotivi, che comprendono meglio i messaggi
emotivi degli altri, e che riescono a gestire le loro reazioni emotive, hanno relazioni più
soddisfacenti, un maggiore successo sociale e sono più apprezzati dai compagni.

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Riuscire a comprendere se un compagno è triste o arrabbiato, aiuta il bambino a


mettere in atto risposte, emotive e comportamentali, congruenti con la situazione,
mentre deficit della comprensione delle emozioni sono un fattore di rischio per mettere in
atto comportamenti inadeguati, come quelli prepotenti. Infine, una buona regolazione
emotiva è un altro importante predittore della competenza sociale e consente anche ai
bambini isolati o poco socievoli di essere apprezzati dai pari, mentre avere difficoltà nella
gestione delle emozioni porta a difficoltà nella soluzione di problemi e a reazioni iper- o
ipo-controllate.

Un recente studio longitudinale ha indagato le relazioni reciproche tra alcune emozioni


primarie e secondarie e il coinvolgimento nel bullismo e nella vittimizzazione. È emerso
che la paura e la vittimizzazione hanno una relazione reciproca nel tempo, per cui una
predice l'altra e viceversa; La rabbia invece, è antecedente e conseguenza sia del
bullismo che della vittimizzazione.

Le emozioni morali intervengono nella regolazione dei rapporti sociali e sono funzionali a
un vivere civile. Il disagio prodotto da queste emozioni induce l'individuo a cercare di
porre rimedio a un comportamento dannoso (senso di colpa) o a salvaguardare una
buona immagine di sé (vergogna), cose che contribuiscono a mantenere o migliorare
buone relazioni con gli altri. Vari studi sono stati condotti per approfondire le emozioni
morali di bambini e adolescenti coinvolti nel bullismo----> i risultati sono concordi nel
rilevare un'associazione tra basso livello di senso di colpa e bullismo. I bambini che
mettono in atto prepotenze non si preoccupano di danneggiare gli altri. Il fatto di non
assumersi la responsabilità delle proprie azioni, di contro, facilita ulteriori azioni aggressive
perché elimina eventuali freni inibitori forniti dal rimorso o dalla coscienza di aver
trasgredito delle regole. I bambini che tendono ad aiutare e a difendere i compagni
vittima, e che quindi sono riconosciuto come empatici e competenti socialmente,
mostrano elevati livelli di senso di colpa, cosa che sottolinea la funzione adattiva di
questa emozione.

CONCLUSIONI
Il bambino è predisposto per natura a provare emozioni diverse che si attivano a livello
corporeo, ma è solo grazie ai legami affettivi e all'interazione con gli altri, caregiver, pari,
altri adulti significativi, oltre che al contesto culturale in cui è immerso, che impara come
interpretare correttamente gli eventi e le emozioni corrispondenti, come esprimere
emozioni, regolarle ed utilizzarle.

Acquisire la competenza emotiva appare, quindi, un compito di sviluppo


particolarmente importante nei primi anni di vita. Anche nel corso della vita adulta,
grazie al confronto con altre persone e sperimentando situazioni diverse, sarà sempre
necessario rivedere le proprie capacità, tenendo a mente che un buon funzionamento
emotivo è essenziale per il benessere personale e sociale dell'individuo.

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Capitolo 12 – Temperamento e sviluppo del comportamento nella


fanciullezza
CHE COS’È IL TEMPERAMENTO?
TEMPERAMENTO : insieme delle tendenze (caratteristiche o tratti) che definiscono il
modo peculiare o individuale con cui un bimbo reagisce all’ambiente che lo circonda
. Affonda le radici nella biologia e guida le reazioni di base del bambino (emotive,
cognitive e fisiche)
! Diverso da comportamento e personalità
BATES ha provato a caratterizzare quelli che sono gli aspetti principali del
temperamento —> In che cosa consiste? (6 e 7 aggiunti in seguito)
1. Nelle differenze individuali a base biologica
2. Rilevabili nel comportamento
3. Che compaiono precocemente
4. E che sono relativamente stabili nel tempo
5. E in situazioni diverse
6. Ambiente ed esperienza influenzano il modo in cui si esprimono le basi biologiche
7. Legame con problemi di sviluppo e psicopatologici
Un tratto temperamentale x essere definito tale deve mostrare le seguenti
caratteristiche: stabilità, continuità, dipendenza dal contesto, emergere rapido:
• CONTINUITÀ : sebbene i comportamenti o le espressioni cambino con il trascorrere
del tempo (anche a causa del crescente controllo/regolazione delle risposte),
continuano a rivelare lo stesso tratto fondamentale
Un bimbo che mostra un tratto a 2 anni lo mostra anche una volta cresciuto
• STABILITÀ : caratteristica data dal fatto che il livello dei tratti comportamentali si
mantiene costante in relazione ai pari.
! Non significa che il livello di un dato tratto comportamentale non possa mai variare,
ciò che non varia è il livello relativo (cioè quello in relazione agli altri bambini)
Un bambino che mostra un tratto in misura maggiore rispetto ai propri pari a 2 anni,
mostrerà quel tratto in misura maggiore rispetto ai proprio pari anche quando sarà
cresciuto
• DIPENDENZA DAL CONTESTO : il tratto in sé non si modifica, ciò che si modifica è la sua
espressione in base al diverso contesto in cui ci si trova
• EMERGERE RAPIDO : numerosi schemi di temperamento compaiono molto presto
nella vita di una persona. Non significa che il temperamento sia innato, ha però
molto probabilmente una base biologica o ereditaria. Inoltre, l’ambiente che
circonda il bimbo (ex: rapporto col caregiver) ha un’influenza sul temperamento fin
dalla nascita.

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STUDIO E MISURA DEL TEMPERAMENTO


I tratti sono rintracciabili in risposte elementari all’ambiente, strettamente legate alla
biologia: risposte emotive, orientamento attentivo, attività motoria (queste sono tre
macrocategorie proposte da Bates)
- Risposte emotive: danno risposte importanti su quello che è l’umore generale del
bimbo (predominanza di emozioni positive o negative),la sua risposta davanti allo
sconosciuto, la risposta a situazioni stressanti :
- Riposta davanti a uno sconosciuto: Timidezza vs Socievolezza
- Risposta a situazioni stressanti:
- Individui altamente reattivi: che provano emozioni intense,
cercheranno di evitare lo stimolo che gli crea stress. Maggiore
reattività fisiologica allo stress
- Individui blandamente reattivi: non solo provano reazioni meno
intense in situazioni stressanti, ma anche la loro reazione fisiologica è
più blanda
- Orientamento attentivo: distraibilità vs persistenza attentiva —> quale è migliore da
un punto di vista evolutivo? Dipende dall’ambiente e dalla situazione in cui ci si
trova
- Distraibilità: facilità con cui si orienta l’attenzione del bimbo
- Persistenza attentiva: capacità di mantenere il focus attentivo
- Attività motoria: bisogno, frequenza e intensità dell’attività e dei movimenti del bimbo

TEORIE DI RIFERIMENTO:

A. THOMAS E CHESS : teoria delle 9 dimensioni


Scopo di ricerca: verificare manifestazioni infantili che potessero spiegare delle
problematiche nella fanciullezza
Hanno fatto uno studio longitudinale (con interviste e questionari ai genitori e
osservazione diretta dei bimbi) e hanno scoperto che ci sono dei tratti che si
mantenevano piuttosto stabilmente nel tempo e che sembravano determinanti x le
differenze di comportamento —> le 9 DIMENSIONI

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Sulla base delle 9 dimensioni, furono presi in esame altri dati e rilevarono che alcune
caratteristiche andavano insieme —> Hanno incasellato i bimbi in 3 diversi tipi di
temperamento:
1. BIMBI FACILI : socievoli, adattabili, umore positivo, lieve intensità nelle reazioni
emotive (circa il 40%)
2. BIMBI LENTI A SCALDARSI : tendono a fuggire uno stimolo nuovo ma, in seguito
vi si adattano gradualmente; hanno in genere un umore negativo e
manifestano poche reazioni emotive (circa il 15%),
3. BIMBI DIFFICILI : non si adattano facilmente alle nuove esperienze; hanno
prevalentemente umore negativo e una forte intensità emotiva (circa il 10%).
Sono quelli a cui i ricercatori erano maggiormente interessati visto lo scopo della
loro ricerca
! Avanza un 35% dei bambini xche era difficile incasellarli tutti in queste tre categorie
vista l’individualità del temperamento
Problematica della teoria delle 9 dimensioni: mancanza di indipendenza tra le
dimensioni —> che ha spinto gli studiosi successivi a sviluppare modelli che
comportano un numero minore ma più ampio di elementi, utili a descrivere le differenti
tendenze comportamentali dei bambini.
(Propongono anche il “goodness of fit” che è spiegato sotto)

B. BUSS E PLOMIN : modello EAS (Emotività, Attività, Socievolezza)

Studi su gemelli sia omozigoti che eterozigoti : evidenti correlazioni dei tratti EAS tra
gemelli omozigoti ma nessuna correlazione tra gemelli eterozigoti —> conclusione:
temperamento dipende molto dalla genetica
Altro studio: studi longitudinali —> seguire sviluppo bimbi nel tempo permette di
indagare il grado di stabilità dei tratti nel corso dei primi 4 anni di vita —> i tratti EAS
sono moderatamente stabili tra il primo e il quarto anno di vita
Metodo: intervista e questionari ai genitori
Qual è il problema dei questionari dato a i genitori? Non tiene conto dei bias dei
genitori. La percezione/ aspettativa del genitore varia da genitore a genitore (ex:
“quanto è attivo il figlio?” Il genitore risponde diversamente non solo in base all’attività
del bimbo ma anche influenzato dal proprio livello di attività) —> portate diverse critiche
su questa base a Tomas e Chess e a Buss e Plomin —> come si può risolvere questo
problema? Osservando direttamente i bambini (vedi Kagan).

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C. KAGAN : inibizione comportamentale


Kagan sostiene che l’unica qualità psicologica a preservarsi dai primi 3 anni di vita
all’età adulta è il modo in cui il bambino reagisce alle novità. Grazie al lavoro svolto in
laboratorio divide i bambini in:
1. Bambini INIBITI : tendono ad essere timidi, cauti, controllati e chiusi verso le
novità a partire dal secondo anno di vita (circa 15%)
2. Bambini DISINIBITI : tendono a essere estroversi, spontanei e aperti alle novità
(negli stessi contesti degli altri bimbi) a partire dal secondo anno di vita (circa
15%)
! Solo il 30% era facilmente inquadrabile in una delle due categorie a due anni, gli altri
bimbi mostravano caratteristiche di entrambe le categorie.
Allo studio in laboratorio affianca uno studio delle MISURE FISIOLOGICHE. Cosa nota?
Bambini classificati come inibiti a 2 anni mostravano una attivazione fisiologica più forte
rispetto ai bambini disinibiti: ritmo cardiaco più elevato, maggiore dilatazioni della
pupilla, maggiore tensione motoria e livelli più alti di cortisolo (ormone secreto in stato
di stress) in situazioni nuove (questi studi sono ancora orientati verso lo studio della base
biologica del temperamento, Kagan non parla ancora del temperamento come
influenzato dall’ambiente esterno). I suoi studi hanno rilevato anche differenze
individuali nell’attivazione dell’amigdala (ad evidenziare la fondamentale importanza
del sistema limbico) —> bimbi più inibiti hanno maggiore sensibilità all’attivazione
dell’amigdala
Bambini che a 4 mesi mostrano una maggiore intensità di reazione emotiva e motoria
ad uno stimolo esterno, hanno più probabilità di manifestare inibizione
comportamentale (es. evitamento di situazioni nuove) a 2 anni di fronte a situazioni
nuove —> Questi bambini mostrano sia a 4 mesi che a 2 anni maggiori livelli di reattività
fisiologica —> La differenza tra 4 mesi e 2 anni è nel modo di esprimere la sensibilità
fisiologica —> Inibizione comportamentale di fronte alla novità come meccanismo
appreso di regolazione della paura
Osservazioni sulla STABILITÀ di questo tratto temperamentale:
• Il 40% del bambini classificati come “Inibiti” in contesti di laboratorio a 2 anni
mostrano una tendenza stabile all’evitamento durante il gioco con pari sconosciuti
a 7 anni e1⁄2
• Il 50% dei bambini classificati come “inibiti” a 2 anni si mostrano meno timidi a 7
anni e 1⁄2 (Anche se non diventavano certo estroversi!)
• Il 10% diventa “molto timido”
—> riscontra stabilità nel tempo ma anche cambiamento nel tempo —> se il
temperamento ha una base genetica, com’è possibile che un tratto temperamentale
cambi (parzialmente)? Grazie all’influenza dell’ambiente, all’interazione natura-cultura
nello sviluppo —> il cervello del bimbo è molto plastico, più siamo piccoli più il nostro
cervello è capace di adattarsi, di compensare

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INTERAZIONE NATURA-CULTURA NELLO SVILUPPO


Un ambiente supportivo può moderare difficoltà temperamentali, così come fattori
temperamentali possono moderare l’impatto di rischi ambientali. Lo stesso Kagan dice
(1) che alcuni bambini fortemente inibiti non rimangono paurosi; madri non
eccessivamente protettive o esigenti potrebbero averli aiutati a crescere meno paurosi.
(2) che c’è sempre una piccola quota di bambini “disinibiti” che, con il tempo, assume
un atteggiamento più riservato a causa di esperienze intercorse che sono state fonte
d’ansia.
Ogni temperamento ha bisogno di ambienti diversi —> “lo sforzo dell’ambiente” o
GOODNESS OF FIT . Furono Thomas e Chess i primi a proporre l’idea che i genitori
tendono solitamente a offrire un ambiente più adatto al tipo di temperamento iniziale
del bambino. —> L’ambiente necessario ad un bambino “difficile” sarà diverso da
quello necessario ad un bambino “facile” e l’esito del processo di adattamento del
bambino dipenderà dalla congruenza o incongruenza delle risposte ambientali —> L’
esito positivo o negativo non dipende solo dal temperamento ma anche dal modo in
cui l’ambiente risponde a quel temperamento —> (ad esempio: bambini inibiti
dovranno essere stimolati e supportati, bambini difficili richiederanno un maggior sforzo
di contenimento) —> Il temperamento del bambino e il modo in cui l’ambiente
(genitori/ insegnanti) risponde a tale temperamento definiscono lo sviluppo del
comportamento futuro

D. ROTHBART : l’autoregolazione
Ritiene che l’autoregolazione sia uno dei tratti base del temperamento —> “gli individui
differiscono nel modo in cui regolano o gestiscono le proprie risposte” —> il
temperamento del bambino e il modo in cui l’ambiente (genitori/insegnanti) risponde a
tale temperamento possono favorire o rendere più difficile lo sviluppo
dell’autoregolazione
Effortfull control (Controllo volontario) = soppressione volontaria di una risposta allo
scopo di metterne in atto un’altra più appropriata
Può essere valutata già nei bambini di due anni e mezzo o tre tramite un compito di
conflitto spaziale progettato dalla R. : compito della prova compatibile e
incompatibile. (Molto simile alla prova dell’arrow task) —> Verso i tre anni si osservano
decisivi miglioramenti che sembrano indicare la presenza del primo sviluppo del
sistema neuronale finalizzato a questo tipo di funzione esecutiva o di controllo
volontario.

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MISURAZIONE DEL TEMPERAMENTO


Meglio un questionario diretto o indiretto? Meglio un’osservazione o un questionario?
Come creare un questionario? Come porre le domande? Come formularle? Bisogna
utilizzare un linguaggio adeguato. Importante dare indicazioni precise. Sottolineare che
non ci siano risposte giuste o sbagliate. Mettere domande/item uguali o opposti x
controllare se chi compila il questionario è ancora attento e concentrato (item di
controllo), ecc.
Esempio di strumento di misurazione del temperamento: QUIT questionari italiani del
temperamento —> importante valutare proprio la cultura in cui il questionario viene
impostato
“Quit complaining and pay attention”
4 diverse fasce d’età: 1-12 mesi, 13-36 mesi, 3-6 anni, 7-11 anni
Comportamenti i indagati in diversi contesti (3 contesti): “bimbo con gli altri”, “bimbo
che gioca”, “bimbo di fronte alla novità” e “bimbo che svolge una attività o un
compito” (sono la stessa cosa ma il primo si osserva fino ai 3 anni e il secondo dai 3 in
poi)
Descrizione dei comportamenti secondo i parametri di: frequenza, intensità, durata,
velocità con cui si innesca la relazione comportamentale, quanto il comportamento è
sensibile all’influenza esterna; votazione da 1 (quasi mai) a 6 (quasi sempre).
Valutano 6 dimensioni, inquadrabili in due tipi di adattamento diversi: Adattamento
all’ambiente di vita generale, tramite (1) attività motoria, (2) attenzione alla novità, (3)
inibizione alla novità; Adattamento specifico al mondo sociale, tramite: (4)
orientamento sociale, (5) emozionalità positiva, (6) emozionalità negativa.
Identificano 4 profili temperamentali: temperamento emotivo, calmo, normale, difficile
Proprietà psicometriche: consistenza interna (si usa l’alpha di cronbach x capire se le
sei dimensioni studiate sono coese e coerenti tra loro, nota che i punteggi erano
maggiori nelle ultime due fasce d’età) e affidabilità (correlazione giudizi madri-padri).

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Capitolo 13 - Sviluppo del concetto di sé e dell’identità di genere


CHE COSA SONO IL CONCETTO DI SÉ E L’IDENTITÀ SOCIALE?
Alla domanda “chi sono?” pensiamo ad una serie di risposte che riguardano la nostra
nazionalità, la nostra età, la nostra occupazione, religione o famiglia. Tutti questi elementi
costituiscono il nostro concetto di sé.
Concetto di sé: le idee che abbiamo su noi stessi (riguardo alle nostre caratteristiche
fisiche/mentali/emotive/comportamentali)
La società adotta alcuni di questi attributi (genere, età, nazionalità) per categorizzare gli
individui in gruppi. Ognuno di noi infatti non si limita a descriversi e a descrivere gli altri ma
sviluppa particolari sentimenti suo gruppo o gli altri gruppi (Es. Bambina: “giocherei con lei
perché è anche lei una bambina, cioè siamo uguali”). L’insieme di questi pensieri
riguarda il nostro senso di identità sociale)
Identità sociale: senso di identità derivato dall’appartenenza ad un gruppo sociale
TEORIE DELLO SVILUPPO DEL CONCETTO DI SÉ
Maccoby: il sé si sviluppa per tappe, in modo graduale e cumulativo. Le idee riguardo
chi siamo sono continuamente analizzate e riviste e diventiamo sempre più consapevoli
dei nostri comportamenti in base alle risposte e le valutazioni degli altri.
A differenti età le risposte alla domanda “chi sei” sono diverse:
Susan Harter: nelle autodescrizioni dei bambini fino ai 5 anni compaiono descrizioni di
qualità fisica o delle attività che si svolgono. In quelle dei bambini più gradi invece si
riscontrano descrizioni più intime riguardanti ad esempio le relazioni con gli altri.
Rosenberg (1979): chiede a ragazzi tra gli 8 e i 18 anni che tipo di persona volessero
diventare. A 8 anni solo il 36% dei partecipati diede risposte che comprendevano tratti
interpersonali, mentre a 14-16 ben il 69%
Crescendo l’individuo ha un concetto di sé sempre più dettagliato, a causa delle
esperienze che fa e dell’acquisizione di un linguaggio sempre più complesso che
permette loro di descriversi in modo più esauriente
Il primo passo per sviluppare il concetto di sé è la consapevolezza di sé, che consiste nel
riconoscersi come esseri distinti dagli altri, con proprietà fisiche e mentali specifiche.
William James ha etichettato questo primo autoriconoscimento come “sé-come-
soggetto”, o “io” e ne individua 4 caratteristiche fondamentali: CONSAPEVOLEZZA
• Della nostra agenticità negli eventi
• Dell’unicità della nostra esperienza
• Della continuità della nostra identità
• Della nostra consapevolezza (capacità di riflettere sulla consapevolezza del sé)
Lewis chiama questo aspetto del sé “sé soggettivo”/”sé esistenziale”.
Sé soggettivo o esistenziale: il riconoscimento del sé come unico e distinto degli altri,
persistente nel tempo e nello spazio e dotato di autoriflessività.
James aggiunge un’altra caratteristica essenziale del sé: “Sé oggettivo/sé categorico”

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Sé oggettivo o categorico: il riconoscimento del sé come persona che è vista dagli altri
ed è definita dagli attributi e dalle qualità usate per definire gruppi di persone.
Superati i due anni infatti, i bambini iniziano a collocarsi all’interno di una serie di
categorie e diventano consapevoli del fatto che possono essere considerati in relazione
a tali categorie.
Sé allo specchio: abbiamo visto come la consapevolezza di sé di un bambino (sé
esistenziale) e la sua successiva comprensione del proprio ruolo (sé oggettivo) siano
influenzate da fattori sociali
Secondo Cooley e Mead, con l’idea di sé allo specchio, gli altri costituiscono uno
specchio in cui ci possiamo vedere riflessi, e tramite cui costruiamo i nostri sensi del sé, a
partire dai punti di vista che gli altri possono avere su di noi e che noi giungiamo a capire.
Attraverso scambi sociali come il gioco i bambini giungono a gradualmente a
considerare i punti di vista degli altri su di sé. Second Cooley e Mead un bambino non
può sviluppare un senso del sé senza interagire con gli altri.
Autostima
I bambini spesso riflettono su di se e si valutano e tali valutazioni formano una parte
importante del loro concetto di sé: l’autostima.
Susan Harter (menzionata prima per autodescrizioni bambini), ha individuato cinque
contesti utili a giudicare l’autovalutazione dei bambini: 1. Competenza scolastica, 2.
Competenza sportiva, 3. Accettazione sociale, 4. Aspetto fisico, 5. Condotta
comportamentale.
Harter afferma inoltre che l’autostima dipende dalla discrepanza tra Sé Ideale e Sé
Reale: tanto più essa è maggiore tanto meno sarà l’autostima dell’individuo.
A mano a mano che crescono i bambini avranno una sempre più coerente visione di sé,
più o meno allineata con quella che gli altri hanno di lui. Si può perciò considerare che le
valutazioni degli altri agiscano come elementi del sé allo specchio.
CAPIRE LE CATEGORIE DI GENERE: L’IDENTITÀ DI GENERE NEI BAMBINI
Abbiamo visto che quando il concetto di sé diventa stabile i bambini categorizzano se
stessi e gli altri in base a fattori come età, genere e etnia. Le categorie sociali sono gruppi
di persone che condividono attributi comuni. Lewis e Brooks-Gunn sostengono che il
genere sia tra le prime categorie sociali ad essere apprese.
Dai nove ai dodici mesi i bambini sanno già distinguere volti maschili e femminili.
Dai dodici ai diciotto sanno distinguerli attraverso etichette verbali (mamma/papà)
Entro i tre anni di età, la maggior parte dei bambini può etichettare correttamente il suo
genere.
Nella teoria dello sviluppo cognitivo (Kohlberg 1966), si descrive lo sviluppo dell’identità di
genere come un processo di tre tappe:
1. ETICHETTAMENTO DI GENERE (<3 anni): identificazione corretta di se stessi e degli
altri come appartenenti all’uno o all’altro genere
2. STABILITA’ DI GENERE (4 anni): la comprensione che l’appartenenza ad un gruppo
di genere è di norma stabile e permanente nel tempo

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3. COSTANZA DI GENERE: la comprensione che l’appartenenza ad un gruppo di


genere non cambia nonostante i cambiamenti nell’aspetto
Queste tre fasi rappresentano solo una parte dello sviluppo dell’identità di genere. La
parte più ampia di questo processo è occupata riguarda ciò che è associato all’essere
un bambino o una bambina. Verso i due anni e mezzo infatti si iniziano a sviluppare nei
bambini sulle attività e gli atteggiamenti che sono consoni o tipici nel proprio e nell’altro
genere. In questo giocano un importante ruolo gli stereotipi di genere (credenze di ciò
che è appropriato o tipico del proprio gruppo di genere ->i maschi non piangono, le
femmine sono affettuose ecc…)
Entro i tre anni, prima della stabilità di genere, i bambini cominciano a mostrare una
preferenza nell’interazione e nel gioco per i bambini dello stesso genere, tendenza che
continua fino all’adolescenza.
Abbiamo visto tre tipi di approcci:
1. SPIEGAZIONI BIOLOGICHE
Molti ricercatori hanno considerato i fattori biologici in parte responsabili delle differenze
nell’identità di genere. La teoria dell’investimento parentale è una teoria che pone come
causa delle differenze di genere le differenze sessuali di tipo biologico. Il fatto che la
riproduzione abbia implicazioni differenti nell’uomo e nella donna porta a differenze
riscontrabili nel ruolo di genere, nello status e nel comportamento.
EVIDENZE: per sostenere che le differenze biologiche tra maschio e femmina siano alla
base della differenziazione dei modelli di genere, Money e Ehrhardt hanno osservato
bambine con iperplasia surrenale congenita (malattia derivante dall’esposizione
prenatale di Androgeno, ormone maschile somministrato alle madri durante il parto, che
porta a sviluppare tratti maschili, addirittura genitali maschili che venivano corretti
chirurgicamente. I follow up hanno dimostrato che le stesse bambine si consideravano
maschiacce e giocavano meno con le altre bambine.
Money e Ehrhardt hanno studiato anche il caso di due gemelli, uno dei quali a sette mesi
fu evirato a causa di un intervento di circoncisione andato male. Money consigliò ai
genitori di sottoporre il bambino a un’operazione, seguita poi da una terapia ormonale,
per diventare femmina. Il caso passò ai media come una storia di grande successo. Una
volta adulto però il paziente di Money raccontò la sua triste storia: tra le bambine si
sentiva a disagio, non era interessato alle loro attività ma a correre e arrampicarsi. In
adolescenza divenne depresso e con tendenze suicide per poi ritornare al suo sesso
biologico con il quale si sentiva realmente a suo agio. Questa storia si presenta come una
prova del fatto che la biologia abbia un grosso impatto nell’identità di genere. Dimostra
come sia difficile sradicare gli effetti del sesso biologico nonostante gli interventi.
2. TEORIE DELL’APPRENDIMENTO SOCIALE NELL’IDENTITA’ DI GENERE
Quasi in antitesi all’approccio biologico, le teorie dell’apprendimento sociale sostengono
che i bambini siano formati ai modelli di genere attraverso il comportamento degli adulti
e dei pari. Questo avviene tramite due processi:
• il rinforzo: il bambino viene ricompensato quando ha atteggiamenti in linea con il suo
genere e punito per il comportamento non conforme al suo sesso (non si tratta di
premi o punizioni concreti, ma più spesso impliciti)

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• il modellamento: gli stessi agenti fungono da modello dei ruoli di genere (padri e
madri che si dedicano a differenti incombenze domestiche)
Ci sono 3 tipi di agenti fondamentali:
1. Adulti: i genitori sono stati osservati ricompensare comportamenti conformi a stereotipi
di genere, incoraggiando bambine a coccole e carezze e i bambini al gioco e attività
fisiche (lewis,1975)
2. I pari: i bambini nella prima infanzia passano molto tempo a scuola dove tutti i
bambini portano la loro esperienza sui ruoli di genere cercando confronto e conferme
e di fatto entro i 3-4 anni i bambini riconoscono l’adeguatezza al genere dei giochi e
delle attività e denigrano i bambini che non sono conformi ad essi.
3. I media: i media forniscono un modello di comportamento consono per maschio e
femmina. Inoltre uno studio della Huston ha dimostrato che sebbene il tempo trascorso
davanti alla tv non cambiasse in dipendenza al genere, ciò che i bambini e le
bambine guardavano differiva di molto. I bambini sono infatti più orientati a contenuti
di azione, le femmine invece più alle persone.

3. TEORIE COGNITIVE DELL’IDENTITA’ DI GENERE


Kohlberg afferma invece che “il nostro approccio ai problemi dello sviluppo sessuale non
inizia direttamente dalla biologia, né dalla cultura, ma dalla cognizione.” Nella
conoscenza del ruolo di genere secondo lui il bambino è guidato dalla ragione, dalla
logica. Secondo lui, la conoscenza di genere deriva dall’interazione del bambino con il
mondo che lo circonda, un processo che chiama “autosocializzazione”.
In stretto collegamento con le teorie stadiali di Piaget, Kohlberg sostiene che lo sviluppo
dell’identità di genere avvenga in tre stadi: Etichettamento, stabilità di genere e
costanza di genere. Crescendo il bambino sviluppa sempre più abilità cognitive: nel terzo
stadio ha le abilità cognitive più elevate e comprende che il proprio genere è una parte
distintiva, permanente e immutabile della sua personalità
Teorie dello schema di genere
I teorici dello schema di genere non contraddicono Kohlberg, ma spostano la loro
attenzione dalla costanza di genere, all’etichettamento di genere. Secondo loro (Martin
e Halverson, 1987) una volta che i bambini sanno etichettare i generi sanno a quale di
essi appartengono e cercheranno sempre di più, all’interno del loro ambiente sociale,
informazioni sui comportamenti e sui valori coerenti con il proprio genere, formando o
arricchendo in questo modo il proprio schema. Dunque la semplice conoscenza del
proprio genere è la base sufficiente a costruire schemi di genere. Inizialmente gli schemi
dei bambini sono molto elementari: approfondisce le conoscenze del proprio outgroup in
modo approfondito, solo dopo si rivolgerà alla conoscenza dell’outgroup.
Nella scelta del giocattolo conosciuto, il bambino valuterà se sia o non sia opportuno al
suo genere in base alle sue conoscenze fondamentali (il maschietto che vede la
macchinina, sa che è un gioco per maschi e quindi vi presta più attenzione) (“per chi
è?”->maschi ->allora è per me)
Nella scelta del giocattolo nuovo e non stereotipato valuterà in primis se ne è attratto o
meno, ma quando dovrà prevedere il grado di apprezzamento del giocattolo da parte

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degli altri bambini/bambine il piccolo baserà le sue previsioni sull’apprezzamento


personale. (mi piace-> sono un maschio-> agli altri maschi piacerebbe.)
I partecipanti riuscivano quindi a prevedere che un giocattolo non stereotipico sarebbe
piaciuto ai propri simili tanto quanto loro.
Tuttavia si dice che già entro i diciotto mesi i bambini tendano ad usare giocattoli inerenti
al loro genere
UN APPROCCIO COMBINATO: LA TEORIA SOCIO-COGNITIVA
Bandura e Bussey hanno proposto hanno formato una teoria che attinge sia
dall’apprendimento sociale sia dalle teorie cognitive sullo sviluppo di genere.
Tale approccio individua tre fattori: personali, ambientali e legati agli schemi
comportamentali.
E suggerisce che il genere si apprenda tramite tre percorsi: insegnamento, approvazione
dell’esperienza e modellamento:
• L’insegnamento si verifica ad esempio quando una madre insegna alla figlia come si
allatta una bambina con il biberon o quando un padre insegna le regole del calcio al
figliolo.
• L’approvazione dell’esperienza consiste nella reazione degli altri ad un particolare
comportamento e lo rinforza se in linea con il modello fi genere.
• Il modello di genere è quanto viene appreso dai bambini riguardo al genere
attraverso l’osservazione degli altri.
Tuttavia poiché le osservazioni abbiano effetto sull’apprendimento, devono essere
attivati 4 processi cognitivi chiave: attenzione, memoria, produzione e motivazione.
Il bambino vede un’informazione che ritiene collegata al genere, la ricorda, la mette in
atto e viene poi ricompensato.
IN CONCLUSIONE
Lo sviluppo dell’identità di genere avviene tramite transazioni (scambio tra interno ed
esterno) fra elementi innati, individuali e ambientali. L’identità di genere è un’espressione
multidimensionale, poiché abbraccia componenti cognitive, affettive e biologiche:
nessun approccio esclusivamente biologico, sociale o cognitivo preso singolarmente può
spiegarne lo sviluppo.

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Capitolo 14 - Interazioni e relazioni con i pari


GRUPPO DEI PARI E INTERAZIONI TRA I PARI
Un pari è un altro bambino, di età uguale o simile, rispetto a quello in questione non
appartenente alla sua famiglia e con il quale si relaziona.
L’interazione tra pari è più complessa rispetto a quella con i genitori e altri adulti in
quanto necessita di capacità sociali e cognitive. La relazione tra bambino e adulto infatti
è ben delineata, di tipo gerarchico mentre quella tra pari comprende un gruppo di
bambini con età e potere analoghi pur con bisogni e desideri diversi. Le relazioni tra pari
sono più complesse in quanto richiedono un maggior livello di reciprocità: abilità sociali
come la condivisione e la cooperazione, la capacità di risolvere conflitti e moderazione
della competitività necessari per mantenere l’armonia di gruppo.
Una volta formato il gruppo dei pari, i componenti possono sviluppare norme, idee,
regole proprie e hanno a volte un’importanza superiore a quella dei genitori.
GRUPPI DI PARI E INTERAZIONI NEL CORSO DEGLI ANNI
Già entro la fine del primo anno gli infanti dimostrano un qualche interesse verso i pari e
crescendo questo sarà sempre più evidente. Già verso i 6 mesi i bambini posti l’uno di
fronte all’altro si guardano, scambiano suoni ma fino alla fine del primo anno
preferiscono ancora esplorare e interagire con gli oggetti.
Nel 2 anno di vita dimostrano interazioni più elaborate e frequenti tuttavia ancora uno di
fianco all’altro e in modo poco coordinato spesso con esito conflittuale questo perché
entrambe le parti non hanno ancora sviluppato l’abilità di ovviare alle differenze
reciproche.
PRIMA FANCIULLEZZA/ETA’ PRESCOLARE
Con l’ingresso all’asilo nido e alla scuola dell’infanzia, le occasioni di interazione sociale
con i coetanei aumentano per cui tra i 2 e i 5 anni, i bambini giocano insieme con
crescente reciprocità e cooperazione.
La studiosa Mildred Parten ha rilevato che i bambini tra i 2 e i 3 anni preferiscono attività
parallele cioè uno di fianco all’altro e si mostravano più solitari mente i bambini di età
maggiore si dedicano maggiormente ad attività di associazione e cooperazione. Tramite
il gioco parallelo e osservando le interazioni altrui, i bambini si avvicinano gradualmente
ad attività comuni quando acquistano le giuste abilità per prenderne parte.
In età prescolare la dimensione del gruppo dei pari inizia ad aumentare anche se
continuano a trascorrere molto tempo in attività parallele.
Categorie del comportamento durante il gioco:
• libero → bambino non coinvolto in nessuna attività
• da spettatore → osserva ma non si unisce agli altri
• solitario → gioca da solo, lontano dagli altri
• parallelo → gioca accanto agli altri senza interagire con loro, svolgendo azioni simili o
con gli stessi oggetti
• associativo → interagisce con gli altri mentre partecipa alla stessa attività
• cooperativo → interagisce con gli altri in modo coordinato e complementare in
un’attività che può richiedere condivisione e sostegno reciproco

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FANCIULLEZZA/ETA’ SCOLARE
Già entro la fine del primo anno di scuola i bambini manifestano un forte senso di
appartenenza al gruppo di pari perché trascorrono la maggioranza del tempo a scuola
svolgendo attività libere e meno strutturate dagli adulti.
Quando il gruppo inizia a crescere, le attività al suo interno diventano più complesse ed
essendo ogni membro unico, favorirà la capacità di riconoscere le diversità, prospettive
e motivazioni altrui e perfezionare i ruoli sociali.
La maggior libertà di poter scegliere chi frequentare tra i compagni permette di
distinguere tra maschi e femmine che da questo punto in poi percorreranno strade
separate e distinte per la struttura e la natura delle interazioni. A partire dai 7 anni i
maschi svolgono soprattutto sport di squadra mentre le femmine tendono a formare
gruppi ristretti tra amiche dedite ad attività più organizzate e tradizionali.
I gruppi tra pari sono molto forti e tendono ad influenzare la formazione di stereotipi dei
comportamenti di genere, tendenzialmente i bambini tendono a stare con persone dello
stesso sesso con cui svolgono attività in conformità agli stereotipi di genere e che trovano
i maschi più competitivi e le femmine impegnate in attività che favoriscono la
collaborazione.

ADOLESCENZA
L’adolescenza è il periodo in cui il gruppo di pari esercita la maggiore influenza,
agevolata dalla condivisione di un tempo più lungo trascorso a scuola e da una maggior
libertà di frequentare i pari nel tempo libero.
Lungo il percorso che va dall’infanzia all’adolescenza, il gruppo tra pari si forma in modo
evidente e la natura e le funzioni delle interazioni al suo interno si trasformano. Si passa da
scambi in cui il genitore ha un ruolo chiave a una sempre maggiore autonomia dovuta
all’ampliarsi delle abilità sociali, esperienze e al ridursi della supervisione. In questo
periodo la famiglia rimane il punto di riferimento principale e i pari favoriscono
l’autonomia.
GIOCO
L’attività più diffusa tra bambini in età scolare è il gioco, un’attività piacevole e per
questo molto studiata per definirne l’utilità in un quadro educativo. Howard ha compreso
che quando apprende divertendosi, il bambino impara di più probabilmente per una
maggiore motivazione all’interno di un ambiente di divertimento.
Visto che i bambini assorbono informazioni, conoscenze e abilità da qualcosa che si
sentono motivati a fare, negli ultimi decenni c’è stata una forte spinta verso
l’apprendimento tramite il gioco negli asili in modo da offrire una maniera naturale di
apprendere.
Il gioco è fondamentale nella relazione tra pari e la sua complessità aumenta con l’età e
con i tipi di sviluppo e agevola la pratica di abilità sociali e cognitive. Spesso, per far
procedere il gioco, il bambino dovrà tenere a freno la propria volontà nell’interesse
dell'attività condivisa, il che richiede la consapevolezza della volontà dei pari, la
capacità di regolare i propri comportamenti ed emozioni perfezionando le abilità.

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I bambini fino a 5 anni trascorrono molto tempo in attività solitarie per cui si sono
individuati i giochi sociali da quelli che non lo sono e quali tipi di apprendimento sono ad
essi correlati. Parten ha individuato 6 categorie di interazioni sociali (funzionale, simbolico,
di finzione, costruttivo, strutturato).
Sebbene il gioco in solitaria sia il preferito in età prescolare, si osserva un notevole
aumento del tempo trascorso nella forma più complicata di gioco sociale che è il gioco
di finzione, il gioco simbolico è affine ma più semplice, vi è poi il gioco di lotta altra forma
semplice sottovalutata.
Gioco:
• funzionale (primi 2 anni) semplice, attività con o senza giocattoli (correre, far
rimbalzare la palla ..)
• simbolico (2-6 anni) rappresentazione di eventi/oggetti assenti attraverso quelli
disponibili o attraverso il proprio corpo (fingere di prendere del cibo da un piatto
vuoto o dalla mano..)
• di finzione/sociodrammatico (2-6 anni) interpretazione di ruoli o svolgimento di giochi
finti che implicano ruoli sociali veri o immaginari (giocare a mamma e papà ..)
• costruttivo (3-6 anni) creazione o costruzione di un oggetto tangibile o sua
rappresentazione (usare i mattoncini ..)
• strutturato (dai 6 anni) giochi strutturati con regole accettate pubblicamente (calcio..)

GIOCO SIMBOLICO
La prima descrizione e interpretazione del primo gioco dei bambini è stata fornita da
Piaget (1945); egli ha fornito 3 stadi in sequenza: gioco sensomotorio (attività funzionali
fondamentali), gioco simbolico o gioco per finta (15mesi-6anni, inizio del rappresentare
simbolicamente qualcosa non presente nell’ambiente immediato, cognizione simbolica)
e il gioco di finzione (repertorio comportamentale più ampio, spesso associato l’uso del
linguaggio, coinvolge più di un bambino).

GIOCO DI FINZIONE
Chiamato anche gioco di ruolo o sociodrammatico, riflette in modo più ampio lo
sviluppo delle rappresentazioni nelle abilità cognitive del bambino. Emerge dai 2-3 anni,
diventa più complesso con l’inclusione dei pari, segna i progressi fondamentali delle
precedenti simulazioni solitarie. Fino ai 2 anni le simulazioni sono rigide cioè imitano gli
adulti senza rappresentati eventi immaginari o sostituire gli oggetti realmente adoperati
con altri (es. sostituire una tazza con la mano).
Prima del coinvolgimento dei pari, il bambino utilizza delle bambole o altri giochi iniziando
a comprendere le differenti prospettive tra i partecipanti alle interazioni.
Successivamente, quando avrà a che fare con altri bambini inizierà ad essere coinvolto
in un gioco in cui saranno presenti più idee e ruoli, verranno combinati atti immaginari e
negoziazione, il gioco diventa più complesso. Con l’età e l’esposizione alla tv e ai fumetti i
bambini si addentreranno nel mondo della fantasia che il bambino utilizzerà per giocare
anche se avrà coscienza della distinzione tra realtà e finzione.

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GIOCO DI LOTTA
Coinvolge l’attività fisica grosso-motoria da svolgere in ampi spazi. Questa forma di
gioco, più comune tra i maschi, implica attività quali lottare, correre, calciare, non è una
lotta vera perché terminato il gioco i bambini proseguono le loro interazioni. Spesso gli
educatori dividono i partecipanti fraintendendo il gioco e ritenendo che possa portare a
comportamenti aggressivi ma ciò in realtà accade molto raramente anzi, la
comprensione delle regole in questa forma di gioco risponde a certe funzioni sociali
nell’ambito del gruppo dei pari.

GIOCO, APPRENDIMENTO E SVILUPPO


Un quesito controverso di interesse per gli psicologi e gli educatori è se i bambini
apprendano e sviluppino abilità attraverso il gioco. È difficile provare che effettivamente
il gioco causa apprendimento e non sia dovuto invece a capacità preesistenti che ha il
bambino. Esistono però delle chiare relazioni tra i progressi nel gioco e i risultati ottenuti in
numerosi domini dello sviluppo e chiare evidenze che se i bambini non praticano alcun
gioco mostrano chiare mancanze o ritardi nello sviluppo di alcune abilità. La maggior
parte delle ricerche si sono concentrate sul gioco simbolico e di finzione ed è stato
osservato che i gesti e i suoni usati nel gioco simbolico compaiono nello stesso tempo in
cui i bambini formano il primo vocabolario e colore che sono in grado di mettere in
relazione una catena di atti sono quelli che collegano per primi le parole nei loro discorsi.
I ritardi nel linguaggio vanno di pari passo con i ritardi nel gioco che coinvolge
l’imitazione e le funzioni simboliche. Analogamente, i bambini in età prescolare che non si
dedicano al gioco sociodrammatico presentano ritardi nelle abilità linguistiche e
cognitive; tuttavia va notato che questi ritardi possono essere dovuta ad
un’iperstimolazione generale piuttosto che alla pura mancanza di un determinato tipo di
gioco.
Poiché il gioco per finta emerge circa alla stessa età di quelli della teoria della mente si è
affermato che questo promuova la comprensione della prospettiva altrui. Nel gioco
sociodrammatico poi, con regole condivise e il bisogno di affinare la coordinazione e la
negoziazione in modo da condividere un mondo di fantasia questa comprensione è
maggiore.
Piaget (1945) e successivamente altri studiosi hanno osservato l’utilità del gioco di finzione
rilevando che alcuni bambini usavano le loro abilità rappresentative per ricostruire eventi
o situazioni ansiogene in modo da avere un maggior controllo della situazione e
affrontare meglio l'esperienza. Anche se è difficile accertare empiricamente questa
osservazione il valore terapeutico e il significato emotivo di ciò rimane degno di nota.
Per Vigotskij il gioco di finzione è una zona di sviluppo prossimale per l’estensione della
abilità cognitive e sociali in grado di liberare dalle inibizioni, esplorare nuovi modi di
pensare, di comportarsi e relazionarsi inoltre, con l’assegnazione di ruoli e regole, questo
gioco richiede che i bambini sopprimano i loro impulsi per attenersi alle aspettative dei
pari prima o durante l’attività ludica. La prestazione nel gioco di finzione può migliorare
l’attenzione, l’autoregolazione e la comprensione emotiva. I bambini che giocano al
gioco sociodrammatico sono considerati socialmente più competenti, le loro interazioni
durano a lungo e attraggono un numero maggiore di nuovi compagni rispetto al gioco
sociale privo di elementi di finzione.

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Il gioco di lotta invece è stato meno studiato, al di là dei miglioramenti della forma fisica,
si è visto che questo tipo di gioco è simile a quello mostrato in altre specie di mammiferi
per cui si pensa che possa svolgere una funzione sociale da una prospettiva
evoluzionistica e prepara la strada alla formazione di una gerarchia di dominanza che
indica la posizione di ogni membro del gruppo all’interno di un contesto di conflitto in
quanto chi vince ha un maggior accesso alle risorse. Durante l’adolescenza, il gioco di
lotta è spesso usato per sfidarsi reciprocamente e cercare di incrementare il proprio
status in una situazione sicura. Questo tipo di gioco non conduce all’aggressività ma ad
un’affiliazione continuata e inoltre i pari che fanno questo tipo di giochi sono in genere
popolari.
In generale quindi il gioco richiede abilità sociali e cognitive come trampolino di lancio
per ulteriori interazioni. Con i progressi della tecnologia vale la pena valutare i potenziali
effetti che può avere sul comportamento interattivo.

GRUPPI DI PARI E STATUS SOCIALE


Le interazioni nel gruppo evolvono con l’età tuttavia esistono differenze individuali: alcuni
sono più bravi di altri ad interagire con i pari altri trovano particolarmente difficile unirsi o
possono essere rifiutati. Questi fenomeni sono indicati come status sociale dei bambini. E’
un modo per osservare in quale misura ciascuno di loro è accettato/apprezzato non dal
singolo bambino (un amico) ma dal gruppo di pari.
Negli anni gli psicologi hanno indagato cosa renda alcuni bambini più o meno accettati
dai pari perchè, oltre ad influire sullo stato d’animo, potrebbe incidere sul loro
apprendimento e sviluppo.

ACCETTAZIONE DEI PARI


I bambini accettati sono in genere di bell'aspetto, scolasticamente e socialmente
competenti, capaci di comunicare in maniera amichevole e gentile, più positivi,
cooperativi e di sostegno, eccellono nella negoziazione e nel compromesso, modificano
il loro comportamento in modo da inserirsi forse perchè hanno una migliore capacità di
comprensione emotiva e assunzione della prospettiva altrui. Sporadicamente nella tarda
fanciullezza, i ragazzi sono popolari grazie al loro comportamento battagliero e
antisociale che sfida deliberatamente l’autorità mentre tra le ragazze la popolarità
antisociale diminuisce con l’età.

RIFIUTO DEI PARI


I bambini rifiutati sono quelli che destano maggiori preoccupazioni in quanto sono
correlati con scarsi risultati nello sviluppo, meno apprezzati e hanno basse possibilità di
essere scelti come compagni di gioco. Tale impopolarità può essere dovuta ad un
comportamento aggressivo, disturbatore o non collaborativo. A questi bambini mancano
abilità sociali e scarsa capacità di controllo delle espressioni emotive e possono
possedere una minor comprensione del punto di vista altrui, tendono a mostrare maggior
antagonismo che stimola l’ostilità altrui oppure possono essere bambini molto timidi,
introversi, passivi o socialmente goffi. Possono soffrire di fobia sociale che rende il

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bambino sensibile al rifiuto. Sebbene spesso siano privi di abilità sociali necessarie per
interagire in modo efficace, non sempre il rifiuto è dovuto a questo ma alla reazione
intensa dell’essere rifiutati mostrando di conseguenza un comportamento disadattato.

NONCURANZA DEI PARI


I bambini trascurati cioè quelli che non sono nè fortemente apprezzati nè rifiutati sono
spesso socialmente inadatti e indecisi e tendono a giocare da soli, molti di questi non
dichiarano di essere infelici e soli. E’ possibile che questo sia semplicemente in funzione
della loro personalità: preferiscono stare da soli.
Molti bambini trascurati infatti sono adattati tanto quanto gli altri e hanno caratteristiche
che vengono accettate dai pari ed è possibile che con il tempo acquistino maggiore
popolarità.

EFFETTI DELLO STATUS SOCIALE


L’associazione di un bambino a un determinato status tende a permanere perché questo
viene riconosciuto per la sua reputazione anche se il comportamento cambia con il
tempo.
Va tenuto presente che molti bambini non appartengono a nessuna categoria perchè
nella media cioè hanno un livello medio di popolarità. Inoltre esiste una categoria di
bambini controversi che così come sono favoriti da alcuni, sono detestati da altri. Quelli
che hanno più mobilità di status sono quelli trascurati e, insieme a quelli controversi, non
sembrano particolarmente svantaggiati dal loro status.
I bambini trascurati sono comunque quelli più inclini alla solitudine e alla depressione
(imaging cerebrale: la noncuranza attiva le stesse aree cerebrali del dolore) e possono
accusare gli insegnanti di non occuparsi di loro.
I bambini più accettati e popolari tendono ad avere più alti livelli di socievolezza e abilità
cognitive e livelli più bassi di aggressività ed introversione. Tendono inoltre ad andare
meglio a scuola e si adattano meglio alla vita adulta. I bambini popolari che mostrano un
atteggiamento di sfida verso l’autorità invece hanno meno adattamento e successi in
ambito scolastico.
I bambini rifiutati sono i più problematici perché hanno meno contatti sociali. Poiché sono
inconsapevoli di non piacere possono diventare sempre più impopolari. Durante
l’adolescenza, questi ragazzi tendono ad avere scarsi risultati a scuola e sono a rischio di
abbandono a causa della difficoltà di adattamento oltre ad aver un maggior rischio di
manifestare comportamenti violenti.
L'aggressività eccessiva è un dato importante predittivo di disturbi e problemi
comportamentali indice di un disadattamento più profondo. I bambini rifiutati introversi
invece possono sviluppare scarsa autostima come risultato del fallimento nell’inserirsi
all’interno del gruppo e un peggioramento dei risultati scolastici creando un ritiro
psichico.

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I bambini aggressivi che esteriorizzano il loro disturbo sono più inclini a diventare bulli,
quelli che interiorizzano il loro disturbo cioè si ritirano in loro stessi invece a diventare
vittime di questi bulli.
AMICIZIA DEI BAMBINI
Per amicizia si intende un’associazione reciproca tra 2 o più bambini in cui tutte le parti
coinvolte desiderano stare con le altre e sono più positive e collaborative verso di loro
che verso gli altri pari. Epstein ha individuato 3 principi fondamentali nella selezione degli
amici: vicinanza fisica, condivisione di caratteristiche come età o sesso, condivisione di
interessi e atteggiamenti.
I bambini scelgono di passare maggior tempo con gli amici rispetto agli altri aumentando
la sensibilità, fiducia e intimità. Possono anche avere più contrasti tra loro che con altri
pari perché passano maggior tempo insieme imparando così anche la negoziazione e il
compromesso per risolvere dispute.

AMICIZIA NEGLI ANNI


PRIMA FANCIULLEZZA/ETA’ PRESCOLARE
E’ difficile accertare che i toddler considerino alcuni compagni amici perché il loro
vocabolario è ridotto però è vero che i bambini passano la maggior parte del loro tempo
giocando. In questo stadio considerano l’amicizia in modo superficiale per cui questa è
anche destinata a finire all’improvviso. L’amicizia nel corso del tempo sarà sempre più
stabile mostrando un’estensione dell’interazione, un mutuo apprezzamento, maggior
reciprocità e sostegno e minore comportamento negativo reciproco in larga misura con
persone del proprio sesso.
SECONDA FANCIULLEZZA/ETA’ SCOLARE
Sebbene l’amicizia continui a basarsi sulle attività in comune e sulla vicinanza fisica, un
amico è più di un compagno di giochi abituale, è qualcuno che condivide regole,
aspettative e così via. Vi è quindi una distinzione tra amicizie e conoscenze e ciò
rappresenta uno spostamento cognitivo da una focalizzazione più fisica ad una più
psicologica quando iniziano ad emergere aspetti più profondi dell’intimità e della fiducia.
Ci si aspetta infatti un sostegno reciproco, collaborazione, fiducia per cui le amicizie in
questa fase sono più selettive di quelle fatte in età prescolare; le femmine in particolare
danno all'intimità e all’esclusività un maggior valore dei maschi.
ADOLESCENZA
A 11-12 anni gli adolescenti iniziano a dare grande valore all’intimità e possono
condividere informazioni personali, segreti con gli amici. Hanno inoltre maggiore
esperienza in merito ai sentimenti degli altri e si aspettano che un amico sia fedele,
degno di fiducia e aiuto. Si lavora più duramente sul compromesso e la negoziazione per
il mantenimento dell’esclusività infatti le amicizie sono più durature.
L’attenzione degli adolescenti è più focalizzata su aspetti qualitativi che quantitativi, il
livello di selettività è più alto mentre il numero di migliori amici diminuisce soprattutto tra le
ragazze. Sono inoltre più realistici rispetto alla durata di un’amicizia e che le amicizie
possono cambiare nel corso del tempo in caso di cambiamento del proprio status, in

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caso di maturità diversa o raggiungimento di obiettivi diversi anche se ritengono che le


amicizie forti possano durare a lungo.

STADI NELLA CONCEZIONE DELL’AMICIZIA DA PARTE DEI BAMBINI


Le idee dei bambini attraversano vari stadi che riflettono i loro cambiamenti nella
comprensione sociocognitiva.
Analizzando le risposte fornite dai bambini e ragazzi tra i 3 e i 15 anni Selman ha concluso
che si possono riconoscere 4 stadi principali nello sviluppo della concezione dell’amicizia
corrispondenti ad abilità di assunzione della prospettiva altrui. Da parte dei bambini la
comprensione dell’amicizia è considerata come un avanzamento lineare dalla
focalizzazione sulle caratteristiche fisiche agli attributi psicologici e ciò viene paragonato
allo sviluppo generale delle abilità cognitive e sociali. Ulteriori ricercatori hanno rilevato
che per i più piccoli i significati dell’amicizia possono essere più ampi e profondi di
quanto rilevato da Selman; Corsaro per esempio ha individuato, oltre ai 4 stadi di Selman,
altre 4 categorie che mostravano nei bambini un uso astratto dell’amicizia: per
distinguere le parti di una competizione, per escludere gli altri, per esprimere
preoccupazione per gli altri e usare i migliori amici come misura della cura e
dell’interessamento reciproco.
Stadi di definizione dell’amicizia secondo Selman:
Compagno di gioco provvisorio e fisico (3-5 anni) -> attività condivise e di vicinanza fisica
(abitare vicino...), gli amici si trovano nel qui ed ora, nessun riferimento a caratteristiche
personali/psicologiche
Aiuto a senso unico (6-8 anni) -> l’amico è chi ti aiuta e fa cose che ti piacciono, bisogno
di consapevolezza su ciò che piace/non piace, natura non ancora reciproca
Cooperazione solo nella buona sorte (9-12 anni) -> comprensione reciproca
fondamentale, consapevolezza che gli amici possono giudicarci, adattamento o presa in
considerazione delle preferenze altrui, i conflitti concludono l’amicizia
Interessamento reciproco (11-15 anni) -> capacità di assumere la prospettiva dell’altro,
amicizia come rapporto edificato nel tempo e reso forte dal sostegno reciproco,
interessamento e comprensione, interessi-valori-personalità compatibili, forte protezione
dell’amicizia che può resistere a leggeri conflitti.

FATTORI CHE INFLUENZANO L’AMICIZIA NEI BAMBINI


Bambini che fanno parte di un gruppo di amici possono fare cose differenti da quelli di
altri gruppi per cui esistono altri fattori oltre all’età che influenzano l’amicizia tra bambini

PERSONALITA’ E PREFERENZE
Persone simili con più probabilità condividono i punti di vista e ciò vale ancora di più
nell'adolescenza dove l’affermazione reciproca e la cooperazione hanno maggior
importanza. Essi tendono ad essere simili ai loro amici nello status identitario,
nell’orientamento scolastico, nelle credenze politiche, verso l’illegalità. Occasionalmente

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un cambiamento di circostanze può portare ad avventurarsi in amicizie con individui che


hanno punti di vista diversi.
Nella prima adolescenza alcuni rinunciano all’affinità a favore della popolarità dei pari.
Tuttavia, la preferenza è sempre verso persone simili.

GRUPPO DI GENERE E IDENTITA’


Tendenzialmente la scelta degli amici verte verso persone dello stesso sesso fino
all’adolescenza. A seconda del genere ci sono delle differenze qualitative: le interazioni
tra maschi sono spesso competitive basate sull’attività, i loro gruppi sono più ampi e
inclusivi ma si concentrano sulla supremazia dei risultati negli sport e a scuola; l’amicizia
tra femmine tende ad essere organizzata in piccoli gruppi in cui vi è maggior intimità e
sostegno emotivo. Tali diversità si collegano alle identità di genere e alle aspettative di
ruolo. Ad ogni modo, ci sono punti in comune tra le amicizie di entrambi i generi:
entrambi danno valore alla cooperazione e alla collaborazione per cui l’intimità è
importante per entrambi anche se con una comunicazione diversa.

AMICIZIA E TECNOLOGIA
A partire dal massiccio incremento dell’uso dei computer e dell’accesso a Internet tutti i
bambini hanno iniziato a fare uso di questi strumenti per stabilire e mantenere amicizie.
Nei primi tempi ha riscosso particolare successo tra i maschi che prendevano parte a
giochi di simulazione per cui era richiesta collaborazione che favoriscono lo sviluppo
dell’identità virile tra gli adolescenti maschi. Ad oggi gli spazi online sono considerati
come un qualsiasi altro ambiente e la differenza di genere rimane anche qui come nella
vita reale. Gli ambienti online rappresentano un rischio perché le identità online possono
essere false e si è più esposti a molestie, razzismo, bullismo e inoltre sono ambienti virtuali
che possono sfuggire di mano al controllo genitoriale.

FUNZIONI E IMPLICAZIONI DELL’AMICIZIA DEI BAMBINI


Oltre a tutti questi fattori l’amicizia ha anche altri scopi come la conoscenza di sé, la
risoluzione di problemi e favorisce la capacità di far fronte ad eventi stressanti grazie alle
abilità sviluppate nel gruppo di amici.

CONCETTO DI SE’
Il nostro concetto di sé racchiude il modo in cui pensiamo il mondo, struttura le
esperienze, guida la nostra condotta e le nostre relazioni. E’ una definizione che ci mette
in relazione agli altri perché viene costruito nel contesto delle relazioni sociali. Con gli
amici il bambino esplora il proprio ruolo sociale, ha un senso di appartenenza, viene
messo di fronte a personalità diverse permettendogli di esplorare se stesso attraverso
l’identificazione o meno e alla capacità di mettersi nella prospettiva altrui.

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RISOLUZIONE DEI PROBLEMI, APPRENDIMENTO E SVILUPPO COGNITIVO


I bambini interagiscono con gli amici non solo per giocare ma anche per svolgere attività
formali tra cui l’attività di collaborazione tra pari che può sviluppare abilità cognitive e
sociali. Per risolvere i problemi o un compito il bambino si trova insieme ai pari a discutere
attivamente per trovare una soluzione insieme negoziando e trovando compromessi in
modo efficace.

ADATTAMENTO PSICOLOGICO E SCOLASTICO E RELAZIONI FUTURE


L’amicizia presenta altri vantaggi meno evidenti: gli amici possono fungere da cuscinetto
in caso di eventi stressanti favorendo il benessere psicologico riducendo il bisogno di atti
antisociali. Avere amicizie inoltre permette di conseguire risultati scolastici migliori e può
aprire a future relazioni sentimentali, permette di parlare di emozioni, di confrontarsi sulla
sessualità e le relazioni. Studi evidenziando inoltre che la mancanza di amici nella
fanciullezza potrebbe causare patologie psichiche e la necessità di cure psichiatriche.

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Capitolo 15 – Adolescenza

BREVE STORIA
La prima descrizione di questa fase dello sviluppo si ha con i due volumi
Adolescence, pubblicati dallo psicologo e pedagogista Granville Stanley
Hall nel 1904 e con il successivo Youth: its education, regimen and
hygiene (1906) in cui coniò l'espressione “tempesta e impeto” per
descrivere la volubilità emotiva e fisica del turbolento periodo
adolescenziale.
Daniel Offer si oppose a queste conclusioni con The Psychological World of the Teenager
(1969) in cui constatò che la concezione di adolescenza come periodo di sbalzi d'umore
e instabilità ormonale era basata su studi effettuati con adolescenti problematici.
Effettuando studi su adolescenti privi di difficoltà comportamentali ed emotive, egli
concluse che comportamenti disturbanti e sconvolgimenti emotivi non fossero la norma.
Questa teoria venne sostenuta da Jeffrey Jensen Arnett, il quale aggiunse che la
probabilità di vivere la “tempesta e impeto” era maggiore nelle culture industrializzate
che nelle tradizionali.
Con la prosperità economica degli anni '50 l'età media di ingresso nella vita adulta
(inizio attività lavorativa/matrimonio) si è alzata arrivando a 25 anni poiché un maggior
numero di adolescenti continuava a studiare per apprendere le abilità necessarie al
nuovo mercato del lavoro, altamente industrializzato e tecnologico. Attualmente
questo processo è in continua crescita, parallelamente all'aumentare della
complessità del mercato del lavoro.
Adolescenza/pubertà = periodo di transizione dalla tarda fanciullezza (prepubertà)
all'età adulta (maturazione).

CAMBIAMENTI FISICI
Il principale cambiamento è l'inizio della pubertà con successivo sviluppo
della maturità sessuale. Ragazze (10-15 anni): incremento altezza e peso,
sviluppo ovaie, comparsa mestruazioni, sviluppo seno e peli pubici.
Ragazzi (11-18 anni): incremento altezza e peso, produzione spermatozoi, peli su viso e
corpo, aumento dimensione pene.

Abbassamento età in cui arriva il menarca


Negli ultimi 150 anni l'età si è parecchio abbassata (passando da 17 nel 1850 a 12
nel 1990), tendenza osservata in particolare nelle società industrializzate.
Questo fenomeno dipende da fattori biologici e ambientali, spesso collegati, tanto da
non riuscire a discriminare il dominante.

Questioni psicologiche e tempi della pubertà


Nonostante pochissime adolescenti vivono la prima mestruazione come evento
psicologicamente traumatico, esso può giungere in modo inaspettato per molte. Così
come per molti ragazzi può essere una sorpresa la prima eiaculazione. Inoltre i ragazzi
sono meno istruiti rispetto alle ragazze, da genitori, pari o riviste riguardo a cosa
aspettarsi per le prime esperienze puberali.
La ricerca ha indagato l'impatto dei tempi di pubertà rispetto ai pari (asincronia con i
pari), osservando che le ragazze che maturano prima risultano avere un'autostima

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inferiore, minore popolarità, comportamento sessuale promiscuo, maggiori problemi


emotivi (come depressione e ansia) e rapporti conflittuali con i genitori. Al contrario i
ragazzi precoci sono spesso più sicuri, indipendenti, fisicamente attraenti e con
maggiore successo a scuola e nello sport.

Cambiamenti neurologici
• Continua la mielinizzazione degli assoni che favorisce una trasmissione più efficiente
delle info alla corteccia frontale.
• Avviene nuovamente la potatura sinaptica (vissuta già nel primo anno di vita) che
garantisce un miglioramento nella trasmissione delle informazioni intra-cerebrali.
• La materia grigia (controllo muscoli, percezione sensoriale, memoria, emozioni,
linguaggio) diminuisce, sostituita dalla bianca (regolazione temperatura, frequenza
cardiaca, pressione sanguigna, espressione emozioni, ormoni, regolazione assunzione
di cibo e acqua). Dai cambiamenti nel lobo frontale risultano miglioramenti in
funzioni come l'attenzione selettiva, il processo decisionale, l'inibizione della risposta,
la memoria prospettica (capacità di ricordarsi di eseguire un'azione in futuro), la
teoria della mente.
• La capacità di riconoscere e interpretare le emozioni e la situazione stessa
diminuisce nella prima adolescenza, per poi tornare nella tarda adolescenza.

SVILUPPO COGNITIVO: TEORIE

1. Piaget – th. dello sviluppo cognitivo

A 11 anni si entra nello stadio delle operazioni formali in cui si ampliano le abilità di
risoluzione di problemi astratti → competenze algebriche.
Si sviluppano il pensiero ipotetico-deduttivo → il giovane può analizzare gli eventi e le
possibili ragioni che li giustifichino (ipotesi → risultato reale → punto di vista personale).
e il pensiero astratto/formale → capacità di considerare un concetto ipotetico senza
dover assistere allo svolgersi degli eventi per giungere ad una conclusione logica (es.
comprendere l'enunciato logico: “Se Stefano è più alto di Carolina e Carlo è più alto di
Stefano, chi è il più basso?”).
A differenza di quanto riteneva Piaget non tutti raggiungono questo stadio, uno studio
di Keating (1980) ha infatti osservato che solo nel 40-60% dei casi gli studenti
universitari usano in modo coerente la logica formale.

2. Erikson – th. dello sviluppo psicosociale


Adolescenza = stadio di sviluppo dell'identità in opposizione alla dispersione
Per sviluppare un forte senso di identità (conoscere sé stessi, ciò che si reputa
importante e ciò che si desidera) è necessario completare tutti i precedenti stadi dello
sviluppo sociale ed emotivo; ma anche vivere una crisi, un periodo di confusione
identitaria che precede la capacità di fare attivamente delle scelte su valori ed
obiettivi.
Questo periodo di adattamento è influenzato da: tempi dello sviluppo fisico (precoce o
tardivo), che possono condurre a senso di insicurezza, pressioni provenienti dai ruoli di
genere, richieste scolastiche e genitoriali.

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3. Elkind – th. dell'egocentrismo adolescenziale


L'adolescente sviluppa una costante preoccupazione per sé stesso, paragonabile al
trovarsi su un palcoscenico sociale permanente (in cui il pubblico è tanto esigente
quanto lui lo è con sé stesso), al centro dell'attenzione. Questo sentimento lo spinge a
fare di tutto per non sentirsi in imbarazzo, come seguire le mode per quanto riguarda
vestiti e apparenza estetica, o comportarsi alla stessa maniera dei pari.
Questo egocentrismo rende l'individuo ultrasensibile alle opinioni altrui, con il
conseguente calo dell'autostima che si recupera e stabilizza successivamente.
Durante questi anni, talvolta difficili, gli adolescenti alternano bisogno di privacy →
pausa dal sentirsi continuamente sotto osservazione, con bisogno di compagnia →
quando si sentono bene con loro stessi e vogliono impressionare gli altri.
I giovani sono sia attori che spettatori del gruppo in quanto desiderano l'accettazione
e tendono a formarsi giudizi sugli altri per accettarli a loro volta.
Entro i 15/16 anni l'adolescente acquisisce un vero senso di sé considerandosi sotto una
luce più realistica, con la scomparsa del “pubblico”.

4. Kohlberg – th. dello sviluppo morale


Partendo dalla teoria di Piaget sviluppa la propria teoria composta da 6 stadi in cui
illustra i legami tra lo sviluppo cognitivo e il modo in cui la nostra considerazione
specifica delle questioni morali ed etiche si complica.
I risultati sono stati ottenuti grazie a ricerche e interviste con bambini, adolescenti e
adulti presentando dei dilemmi morali → dilemma di Heinz: le motivazioni sottostanti le
decisioni prese dai soggetti rientravano nelle sei categorie che esprimono vari livelli di
complessità di pensiero e di consapevolezza sociale, che Kohlberg rappresenta come
una serie di stadi.

Livello 1: moralità preconvenzionale


Stadio 1: obbedienza e punizione → regole fisse e assolute, si obbedisce solo per
evitare la punizione. Stadio 2: individualismo e scambio → considerazione
ipotetica del punto di vista di un'altra persona.
Livello 2: moralità convenzionale
Stadio 3: relazioni interpersonali → senso delle aspettative sociali, importanza di
accordo e solidarietà nel mantenimento delle relazioni.
Stadio 4: mantenimento dell'ordine sociale → considerazione della moralità in un
contesto globale, processo decisionale basato su rispetto legge e autorità.
Livello 3: moralità postconvenzionale
Stadio 5 (dalla tarda adolescenza all'età adulta): contatto sociale e diritti individuali →
considerazione di valori, opinioni e credenze altrui nel processo decisionale.
Riconoscimento della necessità di concordare e migliorare le leggi. Stadio 6: principi
etici universali → moralità che trascende legge e convenzioni e segue concetti interiori
di giustizia, bene e male.

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Alla teoria di Kohlberg sono state mosse diverse critiche, tra cui quella di non prendere
in considerazione il ruolo degli altri nel processo decisionale. Per ovviare a questo si
considera lo Studio di Milgram (1974) (non lo riporto, è quello dell'obbedienza
all'autorità visto anche a Sociale) che vede i soggetti affrontare una questione morale
attraverso l'azione anziché da un punto di vista ipotetico. Successivamente Milgram
condusse ulteriori studi in cui all'”insegnante” si accompagnavano degli “osservatori”
che fornivano commenti. La conclusione è stata che il pensiero ed il comportamento
morale possono essere influenzati dal comportamento delle persone che ci circondano
→ tendenza al conformismo.

In conclusione l'adolescenza è un periodo di immenso sviluppo cognitivo: operazioni


formali, concetti ipotetici a scopo predittivo, processi di pensiero logici e astratti,
pensiero morale e processi decisionali complessi (Piaget, 1947). Progressi che
collaborano alla creazione di un senso d'identità in seguito ad una crisi (Erikson, 1968).
Cambiamenti cognitivi e ricerca di autonomia sono fondamentali ed influenzati dalle
relazioni sociali.

SVILUPPO SOCIALE
Nonostante le numerose ricerche si sa ancora poco sull'influenza dei diversi stili
genitoriali sullo sviluppo adolescenziale anche se sono state rilevate differenze nella
percezione dello stile genitoriale da parte dei teenager di diversi paesi. Comunque, ciò
che conta davvero è una buona relazione tra genitori e adolescenti, con un
coinvolgimento intenso da parte del padre.
Anche la struttura familiare è determinante; si è visto che in famiglie integre (biologiche
o adottive) vi è meno aggressività e maggiore qualità di comunicazione tra adolescenti
e genitori, mentre in famiglie separate, divorziate o in cui manca un genitore, i figli
hanno maggiore probabilità di essere coinvolti in conflitti e litigi con pari.

Identità e immigrazione
La ricerca sottolinea l'importanza del mantenimento di un proprio senso di identità
nazionale, in seguito allo stabilirsi in un altro paese. Una ricerca su immigrati russi in
Finlandia ha dimostrato come il ruolo dei genitori che hanno mantenuto le tradizioni
russe sia stato fondamentale per l'incremento dell'autostima e la protezione dalle
discriminazioni razziali → miglior adattamento, orgoglio etnico, identità positiva.

Sviluppo dell'identità di genere


Il senso di identità di genere durante l'adolescenza si intensifica, così come il legame
con i ruoli di genere a cui la società predispone → gli atteggiamenti si fanno sempre più
stereotipati (soprattutto nelle ragazze). Secondo la teoria dello schema di genere (Bem,
1981), per la quale fin dalla nascita siamo condizionati dalla società, durante
l'adolescenza, il tempo trascorso con i pari influenza la specificità dello schema di
genere di cui si è già in possesso.

Effetto dei pari sull'identità di genere


La ricerca di Brutsaert (2006) sostiene che se l'identità di genere coincide con il sesso
biologico, il livello di accettazione nel gruppo dei pari è significativamente maggiore.

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Questo riflette la natura dei gruppi che, nella prima adolescenza, presentano
generalmente omogeneità di genere. Con la crescita, la preferenza dei pari (scelta di
amici che condividano con noi credenze, punti di vista e interessi) perde specificità di
genere, basandosi molto più sulla personalità dei membri. Tra i 16 e i 19 anni si osserva la
tendenza a privilegiare il proprio ingroup che il proprio gruppo di genere.
Adolescenti con:
• attaccamento sicuro (sviluppato in precedenza con il genitore) → sviluppano
amicizie di buona qualità, maggiore integrazione, capacità di staccarsi dal gruppo
se non soddisfa più ibisogni.
• attaccamento insicuro – evitante → presentano maggiore influenza dalla pressione
dei pari e minori probabilità di uscire dal gruppo nonostante comportamenti ritenuti
sbagliati.

Giochi multimediali
Dai risultati della ricerca attuale possiamo concludere che i videogiochi violenti
influenzano gli adolescenti modificandone il livello di violenza accettabile, cosa che
porta all'aumento dei livelli di aggressività nelle interazioni con i pari.

Aggressività, comportamento antisociale e bullismo


L'esperienza amplificata delle emozioni, effetto dell'egocentrismo adolescenziale, rende
gli effetti dell'essere bullo o vittima particolarmente nocivi.
Differenti studi hanno constatato che comportamento antisociale, rifiuto emotivo, scarso
affetto e coinvolgimento dei genitori aumentano la probabilità di comportamenti
aggressivi e devianti nell'adolescente → bullismo e futura delinquenza.

BENESSERE MENTALE
La depressione sembra essere un problema in crescita nella popolazione
adolescente.
Fattori di rischio per le donne: scarsa autostima, insoddisfazione scolastica e famigliare,
mancanza di amicizie intime (motivi perlopiù “interni”).
Fattori di rischio per gli uomini: difficoltà nel risolvere conflitti, problemi con la legge,
mancanza di amicizie intime (motivi perlopiù “esterni”).
L'ambiente famigliare ha influenza diretta (genitori depressi) e indiretta (stile genitoriale
e legame di attaccamento), così come gli eventi scolastici (bullismo e aggressività)
sulla depressione.
Uno studio internazionale ha dimostrato che il bullismo è riducibile attraverso alti livelli di
supervisione genitoriale, un ambiente famigliare politicamente liberale e socialmente
tollerante (che incoraggi l'empatia) e un atteggiamento positivo verso i pari.

Preoccupazioni e coping
Seiffge-Krenke (2000) ha rilevato che, indipendente dalla gravità degli eventi, gli
adolescenti tendono a scegliere una sola strategia di coping (per gestire i cambiamenti
e le emozioni) e a usarla in modo indiscriminato senza considerarne una più appropriata.
Nel lungo periodo gli adolescenti che usano strategie di coping passivo presentano
più facilmente debole adattamento psicologico ai diversi eventi della vita, nonché

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maggiori livelli di ansia e depressione.


Il sostegno famigliare è fondamentale per lo sviluppo della capacità di diverse
strategie di coping, sin dalla fanciullezza (con i legami d'attaccamento).

Strategie di coping attivo Strategie di coping passivo


Coping attivo: rimozione o evitamento Assenza di coping finchè non potrà
elemento di stress essere usato
Pianificazione: riflessione su come Rassegnazione o accettazione
affrontare l'elemento
Sostegno sociale strumentale: ricerca Focalizzazione e sfogo delle emozioni:
di consigli, info, aiuto consapevolezza della propria
angoscia
Sostegno sociale emotivo: empatia di Negazione: rifiuto della realtà stressante
qualcuno
Soppressione attività concomitanti Disimpegno mentale: fantasticherie,
con l'elemento di stress, per sonno, distogliere l'attenzione
concentrarsi su quello
Religione Disimpegno comportamentale di ciò
con cui interferisce l'elemento
Reinterpretazione positiva e crescita Uso di alcol e droga
Umorismo

SESSO E COMPORTAMENTO RELAZIONALE


Un adolescente con maggiore intimità con i genitori (attaccamento sicuro), con i quali
parla delle proprie relazioni, tenderà a sperimentare relazioni più durature e
soddisfacenti di chi si sente emotivamente distante dai genitori. Dal punto di vista
statistico, il sesso in età adolescenziale può essere rischioso per quanto riguarda le
malattie sessualmente trasmissibili. Inoltre si è osservato come i giovani si preoccupino
più di prevenire le gravidanze che di proteggersi da infezioni.

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