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scelte di vita; Bouchard obiettò che poteva essere stata la natura stessa del
temperamento dei gemelli a influenzare l’ambiente in cui erano cresciuti (i gemelli
con carattere calmo da bambini molto spesso descrivevano entrambi la loro infanzia
come positiva).
Il “Minnesota Twin Study” dimostra che non è possibile scindere i fattori natura e
cultura all’interno degli studi sul comportamento umano.
4. XXI secolo → né la natura, né la cultura possono essere da sole pienamente
responsabili dello sviluppo fisico, emotivo e cognitivo del bambino. Lo sviluppo del
bambino può essere considerato lungo un continuum in cui si combinano natura e
cultura: esiste una predisposizione dalla nascita ad una particolare abilità
(camminare), che però viene sviluppata attraverso l’interazione con la natura
(genitori/pari); in alcune fasi prevale l’influenza di un fattore, in altri quella dell’altro.
PRIME ESPERIENZE
In quale misura contano le esperienze vissute durante l’infanzia nelle persone che
siamo in età adulta? Continuiamo a svilupparci socialmente, emotivamente e
cognitivamente durante l’età adulta o questo sviluppo si arresta con la fanciullezza?
La teoria dello sviluppo cognitivo di Piaget copre il periodo dalla nascita agli ultimi
anni dell’adolescenza, Erickson estende questo periodo fino all’età adulta avanzata;
entrambi concordano sull’importanza dell’apprendimento delle capacità di base
nella prima infanzia (attaccamento, linguaggio, gioco) nello sviluppo in età adulta.
La psicologia dello sviluppo, a partire da questi assunti, cerca di rispondere a queste
domande.
delle abilità. Piaget sostiene lo sviluppo discontinuo, cioè che i bambini di diversa età
siano qualitativamente diversi (esempio della conservazione del volume: spostando un
liquido da un recipiente largo e basso a uno stretto e alto, il bambino di quattro anni
dirà che il secondo recipiente è più capiente, quello di sei che ha la stessa capienza
del primo).
La ricerca recente ha mostrato che lo sviluppo del bambino avviene attraverso un
processo di cambiamento continuo.
Sviluppo asincrono: si presenta quando un bambino si comporta coerentemente con
lo stadio di sviluppo più avanzato in una prima abilità e con uno stadio di sviluppo
meno avanzato in una seconda abilità.
TEORIE
Perché una teoria sia valida è necessario che segua alcune regole:
• Specificità: è indirizzata specificamente ad un comportamento o è applicabile più
in generale?
• Appropriatezza: la fonte deve essere chiara, con basi evidenti ed esaustiva;
• Utilità: deve poter essere utilizzata e verificata da altri ricercatori;
• Validità: le conclusioni dello studio devono essere uguali per tutti i ricercatori;
• Economia: deve spiegare in modo chiaro ed economico il concetto, con una
certa eleganza (goodness of fit);
• Concordanza: deve poter essere collegata ad altre teorie psicologiche o principi.
SVILUPPO NORMALE
Tramite le teorie degli stadi e altri particolari strumenti di misurazione, è possibile fare
una valutazione flessibile, considerando comunque il bambino come individuo, delle
abilità che un bambino dovrebbe “normalmente” acquisire in un certo stadio dello
sviluppo; è possibile inoltre individuare se un bambino raggiunge risultati sopra, nella o
sotto la “norma”, in modo da intervenire nel migliore dei modi.
Fino al XVII secolo non si dava importanza alla vita del bambino (non-uomo) né al suo
sviluppo. Tra le eccezioni emerge Platone (427-347 A.C.), per il quale la formazione del
bambino era fondamentale per l’istituzione di una struttura politicamente ottimale
(nella “Repubblica”: per capire le differenze tra adulti occorre esaminare le attitudini
particolari dei bambini, l’educazione è importante per scardinare i vecchi valori e
proporne di nuovi). Con l’avvento del Cristianesimo e il culto di Gesù Bambino, iniziò
una mirata osservazione del comportamento infantile, il bambino veniva visto come
debole e da tutelare, ma in grado di esprimere sentimenti propri. Nonostante ciò, per
molti secoli venne trascurata la dimensione evolutiva del bambino.
INFANZIA NELL’ILLUMINISMO
A partire dall’Illuminismo e con l’avvento della discussione razionale si prestò ancora
più attenzione alle esigenze di bambini in età infantile e a quelle dei giovani, anche se
la discussione era ancora troppo astratta e metafisica. Herbart (filosofo post-kantiano,
pedagogista e psicologo meccanicista e intellettualista) formulò tesi come l’”istruzione
educativa” e ribadì la necessità di variare gli ambiti degli interessi dell’allievo che
deve apprendere. Forte è l’impronta del razionalismo illuminista e della cultura
romantica (rivalutazione del sentimento), ma il bambino viene ancora visto come
essere innocente, irrazionale, primitivo, pre-logico e buono (Rousseau), fino a quando
altri e che accoglie Dio. Si colloca tra ragione illuminista e complessità umana
romanticista (scrive “Leonardo e Gertrude” e “Come Gertrude istruisce i suoi figli").
Tiedemann, filosofo e pioniere della ricerca psicologica (emozioni, volontà, stati
patologici psichici e delle attività psichiche), pubblica “Osservazioni sullo sviluppo
delle attività psichiche nei fanciulli”, un diario sui primi trenta mesi di vita di uno dei suoi
figli dove è prestata molta attenzione agli aspetti senso-motori, linguistici, intellettivi e
cognitivi. Pone per la prima volta l’attenzione sull’importanza dell’osservazione diretta
dei bambini nello studio della coordinazione, della vista, del movimento e dell’origine
simbolica del linguaggio.
RICERCHE TRA LA FINE DEL XIX SECOLO E L’INIZIO DEL XX: STANLEY HALL E JAMES MARK
BALDWIN
Hall è considerato uno dei pionieri della psicologia dell’adolescenza e ha portato
grandi contributi alla psicologia dello sviluppo in generale; introduce, mettendo in
secondo piano la psicologia di laboratorio, una serie di questionari per ottenere notizie
su atteggiamenti, comportamenti e interessi dei bambini, facendoli compilare però a
insegnanti e genitori (metodi indiretti, es. diari e test ≠ osservazione diretta). Si basa
sull’assunto che esperienze normali ed ovvie per un adulto non lo sono altrettanto per
un bambino di circa 5 anni (i bambini pensano che la lana nasca già a gomitoli sulle
pecore) e che l’adulto consideri il bambino simile a sé, non riuscendo a cogliere le
differenze che intercorrono tra lui e il bambino e non comprendendo azioni ritenute
da quest’ultimo “normali” (un adulto ha difficoltà a spiegare una camminata a
quattro zampe). Collabora con Jung, Freud, Pavlov e approfondisce la psicologia
dell’invecchiamento.
Baldwin, psicologo e allievo di Wundt, tenta di integrare scienze fisiche e
comportamentali e studia i processi di socializzazione e sviluppo del pensiero. Si
occupa di adattamento, inteso come accomodamento (fautore di cambiamento e
sviluppo) e assimilazione (che consente di sviluppare l’abitudine, continuum nel
processo di sviluppo ed elemento di integrazione tra schemi cognitivi già acquisiti e
nuovi).
Gli psicologi e gli scienziati dello sviluppo, grazie all'osservazione della crescita e
dell'apprendimento dei bambini, hanno formulato teorie cosiddette “stadiali” dello
sviluppo, le quali descrivono le competenze che è “normale” aver acquisito nelle
diverse età; taluni ricercatori analizzano le abilità innate, altri osservano il ruolo della
società nell'apprendimento di competenze e abilità, altri ancora adottano un
approccio combinato, integrando lo studio delle abilità innate con il modo in cui la
società condizione il nostro sviluppo nel tempo.
individuali di sviluppo, inteso come un processo lineare che va per tappe che però
non può essere realistico.
• Teorie dello sviluppo continuo → Si basa su quattro assunti: lo sviluppo è un
processo di cambiamenti che ci accompagna tutta la vita (dura tutta la vita), non
segue fasi e stati specifici (multidimensionale); le esperienze sorgono sulla base
delle competenze già acquisite (plastico) portando un costante, coerente
miglioramento o crescita (molteplice influenza). Sono le teorie al momento più
accreditate e sostengono che lo sviluppo abbia luogo in più sfere e si svolga in più
direzioni: può riguardare la sfera fisica, quella emotiva e quella cognitiva; una
parte dello sviluppo è progressiva (acquisire più funzioni), un’altra è regressiva (si
può decidere di interrompere lo studio delle lingue per concentrarsi di più sulle
scienze comportamentali), spesso c’è una combinazione dei due aspetti.
Nella prospettiva continua lo sviluppo è molto flessibile, può presentare
“impennate” o “periodi di magra” in cui procede a poco a poco o si stabilizza (es.
linguaggio).
Lo sviluppo è influenzato da fattori come l’età, il gruppo sociale di appartenenza
(anche storico) e da fattori definibili come “influenze non normative”: influenze che
agiscono su un individuo o su un piccolo gruppo di individui, ma che non possono
essere previste o il cui effetto non può essere stabilito in anticipo (es. visitare un
luogo che colpisce molto).
gli altri e con il nostro mondo sociale (simile all’Io di Freud e alla sua funzione
“arbitraria”); la fine di ogni fase è segnata da uno stato di “risoluzione” in cui il
bambino impara a bilanciare i propri bisogni con quelli delle persone intorno a lui (se
soddisfacente → sviluppo caratteristiche personali positive, se insoddisfacente →
sviluppo caratteristiche personali problematiche e difficoltà nel passaggio di fase).
Anche per Erikson, problematiche in età adulta possono derivare da problematiche
insorte durante lo sviluppo.
Fasi della teoria dello sviluppo di Erikson (1950):
1. Fiducia/sfiducia: dalla nascita fino a dodici mesi → la cosa migliore in questa fase è
l’esperienza di un altissimo livello di fiducia (in sé stesso e negli altri), che gli
permette di acquisire sicurezza, temperato dalla consapevolezza della sfiducia
(non sempre gli altri sono degni di fiducia), che gli permette di essere attento ai
pericoli esterni: il bambino che riesce a raggiungere questo stato sviluppa la
caratteristica fondamentale della SPERANZA.
2. Autonomia/vergogna: dai dodici mesi ai tre anni → in questo periodo il bambino
impara a controllare le proprie azioni (uso della toilette, controllo apprendimento);
fissando alcune regole di comportamento, il bambino impara a sentire “vergogna”
circa alcuni modi in cui desidera agire, divenendo sensibile al bisogno di tenere un
comportamento che sia in accordo con le regole della società o con le sue
“norme” sociali. Risolvendo la “crisi” dell’indipendenza e autonomia, svilupperà la
caratteristica della VOLONTÀ.
3. Spirito di iniziativa/senso di colpa: dai tre ai sei anni → il bambino introduce nelle
proprie azioni la competitività, questa fase dimostra il suo bisogno di iniziativa. Il
gioco diventa più animato e orientato, spesso è fuori controllo e viene limitato
dall’adulto; qui si pone la “crisi” del “senso di colpa” (bilanciamento
desiderio/contrasto dell’adulto).
4. Industriosità/senso di inferiorità: dai sei anni alla pubertà → il bambino è
crescentemente “industrioso” (impara competenze a scuola e a casa). Attraversa
una “crisi” derivante dalle interazioni con il dispensatore di competenze; quando
anziché ricevere un elogio si è ridicolizzati per lo scarso risultato, ne deriva un
“senso di inferiorità” che dura a lungo. È possibile sviluppare COMPETENZA
bilanciando “industriosità” e “senso di inferiorità”.
5. Identità/dispersione: adolescenza → gli adolescenti puntano a raggiungere un
senso di identità definito, basato su un sé fisico, un sé sessuale e uno
politico/religioso, cercano di far fronte al cambiamento identificandosi nell’altro. La
“crisi” della dispersione si basa sul fatto che il giovane può non essere in grado di
assimilare queste scelte nella sua identità e avvertire di essere andato fuori strada o
che la vita gli stia passando davanti, risolvendo questa “crisi” si sviluppa la FEDELTÀ,
che permette di portare a termine obiettivi e assumersi responsabilità.
6. Intimità/isolamento: prima età adulta → i giovani adulti spostano la loro attenzione
sulla ricerca dell’intimità con un’altra persona; la “crisi” che affrontano è quella
dell’“isolamento”, l’essere soli, senza intrattenere una relazione di intimità con
nessuno. Superando la “crisi” fanno esperienza dell’”amore”.
7. Generatività/stagnazione: seconda età adulta → lo scopo della seconda età
adulta si focalizza sulla cura e l’educazione dei figli, non basta avere dei figli per
essere “generativi”, questi devono essere allevati e non bisogna rinunciare alle
proprie necessità per soddisfare le loro; se non si dà agli altri, l’adulto diventa
“stagnante” e assorbito da sé. L’obiettivo è la CURA degli altri.
8. Integrità dell’Io/disperazione: vecchiaia → l’anziano inizia un percorso di rilettura
della propria vita: se l’anziano avverte di aver raggiunto ciò che si era prefisso ed è
riuscito a soddisfare i propri bisogni, mantiene l’”integrità dell’Io”; se non è
soddisfatto della propria vita prova “disperazione” e teme l’avanzare del tempo.
Sviluppando l’”integrità dell’Io”, l’anziano raggiunge la “saggezza” (a base di
speranza).
La teoria di Erikson si basa sulla risoluzione del senso di identità, il suo punto di forza
risiede nel considerare lo sviluppo umano lungo tutto l’arco di vita, senza che debba
stabilizzarsi dopo l’adolescenza; i suoi punti di debolezza sono l’essere una rigida teoria
stadiale e la mancanza di una teoria della mente.
PROSPETTIVA BIOLOGICA DELLO SVILUPPO
Gli assunti fondamentali alla base della prospettiva biologica sono:
• gli psicologi dovrebbero studiare solo il comportamento osservabile e misurabile;
• tutti i comportamenti sono appresi, alla nascita non disponiamo di nessun bagaglio
di comportamenti;
• i processi mentali non possono essere osservati o misurati, perciò non possono
essere studiati scientificamente;
• la personalità adulta può cambiare, ma solo in seguito all’esposizione a esperienze
differenti.
LA TEORIA DELLA MATURAZIONE DI ARNOLD GESELL (1880-1961)
La prospettiva biologica dello sviluppo sostiene che tutti i cambiamenti fisici e
psicologici si verificano in quanto biologicamente e geneticamente predefiniti, il ruolo
della natura è dominante in questa prospettiva. Gesell ritiene che il bambino sia il
prodotto dell’ambiente, ma anche che il suo sviluppo sia geneticamente determinato
e suddiviso in fasi. Tutti i bambini seguono la stessa linea di sviluppo (imparano prima a
stare seduti, poi a stare in piedi, a camminare e, infine, a correre) ma lo fanno in tempi
diversi; essendo il ritmo individuale, non si possono anticipare i tempi dello sviluppo
(non ha senso cercare di insegnare a camminare ad un bambino prima che sia
fisicamente in grado di farlo). Lo stile genitoriale di Gesell si basa nei primi mesi di vita
sull’assecondare i tempi e le modalità del bambino, per poi introdurre il compromesso
quando sarà in grado di comprenderlo.
Il lavoro di Gessel viene criticato perché composto da stadi rigidi nonostante la
flessibilità che la sua visione impone; alcune ricerche appoggiano però il suo stile
genitoriale, che produrrebbe bambini soddisfatti e contenti.
L’ETOLOGIA MODERNA DI KONRAD LORENZ (1903-1989)
Lorenz studia medicina ma è fortemente affascinato dall’etologia (comportamento
animale studiato nell’ambiente naturale); influenzato dagli studi di Darwin
sull’evoluzione della specie, si interessa di comportamento innato, comportamento
che appare istintivo, naturale e non appreso, comportamento o abilità con cui si
nasce. L’etologia sostiene che negli animali e negli uomini esistano schemi
comportamentali specie-specifici (propri di una specie, non comprensibili da una
specie diversa) istintivi, gli istinti sono generalmente gli stessi (es. protezione della prole
dal pericolo) ma declinati in modalità diverse (es. una madre stringe a sé i propri
bambini, una rana gonfia la gola per spaventare il predatore); gli istinti sono sempre
mossi da una motivazione o pulsione e hanno tutti valore di sopravvivenza. Lorenz
studia l’imprinting: processo di apprendimento per cui i neonati della maggior parte
delle specie riconoscono e cercano di stare vicini al primo individuo che incontrano
(solitamente colui che si occupa di loro) in seguito all’attivazione di uno stimolo nel
periodo critico successivo alla nascita. Questo stimolo può essere sostituito; Lorenz
alleva delle oche e fa in modo che il primo stimolo che vedano alla nascita sia il suo
volto, le ochette lo riconoscono come “madre” e iniziano a rispondere solo a lui
seguendolo. Lo studioso si concentra sullo studio del periodo critico, oltre il quale non
può verificarsi l’imprinting; Bowlby riprenderà i suoi studi.
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO DI JOHN BOWLBY (1907-1990)
Bowlby, psichiatra e psicoanalista, applica gli studi di Lorenz all’uomo, rilevando che
anche l’uomo imprime istintivamente nella propria mente la figura del primo essere
che vede nascendo (caregiver). Secondo Bowlby gli infanti creano un legame o un
attaccamento con qualunque adulto soddisfaccia i loro bisogni, ma esiste una
predisposizione biologica di attaccamento verso la madre (a livello fisico e emotivo),
motivo per cui, al momento del parto, il bambino viene subito adagiato sul petto della
madre. Sul “periodo critico” di sviluppo del legame di attaccamento, Bowlby sostiene
che questo vada dai sei mesi ai tre anni di età (e non solo subito dopo il parto),
teorizza ciò osservando il comportamento di bambini in orfanotrofio che non hanno
una precisa figura di riferimento; se non si sviluppa un legame di attaccamento forte
con una singola persona, il bambino prova un senso di deprivazione materna e non
cresce emotivamente stabile e felice.
Teorizza una teoria dell’attaccamento strutturata in fasi:
• Pre-attaccamento (fino ai due mesi) → l’infante risponde socialmente a chiunque
lo accudisca, senza mostrare preferenze;
• Primo attaccamento (entro i sette mesi) → il bambino impara a distinguere la
madre dal resto delle persone, è più reattivo agli stimoli da lei proposti;
• Attaccamento (otto mesi) → il bambino mostra una forte preferenza per la madre e
piange se lei lascia la stanza (angoscia di separazione: stato d’ansia che un
bambino sperimenta nel momento in cui si trova a essere separato dalla madre o
dal caregiver primario); il bambino sperimenta anche l’angoscia dell’estraneo:
cautela o paura dell’infante nei confronti degli estranei, spesso caratterizzata dalla
ricerca di vicinanza al caregiver;
• Partnership (due o tre anni) → il bambino impara che anche l’altro ha dei bisogni e
diventa consapevole che l’attaccamento è bilaterale, sperimenta il gioco
collaborativo e il “dare/avere”.
Critiche al pensiero di Bowlby: la prima critica mossa è l’assenza di prove
dell’imprinting del viso del genitore nelle prime ore di vita, respinta dallo psicoanalista
che sostiene che il legame di imprinting si crei in un lasso di tempo molto più lungo e
che il caregiver possa non essere la madre; la seconda critica è quella al danno
irreparabile che la mancanza di un legame di attaccamento creerebbe, è stato
dimostrato che non è la quantità ma la qualità del tempo speso con il bambino a fare
la differenza, bambini affidati per molto tempo durante il giorno a persone diverse dai
genitori riescono a creare un legame di attaccamento forte con loro se questi gli
dedicano poco tempo ma di qualità. La teoria di Bowlby è stata comunque molto
apprezzata ed è alla base delle moderne teorie sull’infanzia.
STADIO 3: PENSIERO OPERATORIO CONCRETO (DAI SETTE AGLI UNDICI ANNI CIRCA)
A circa sette anni il bambino acquisisce la struttura cognitiva delle “operazioni
intellettuali”, riconosce la “conservazione” della sostanza e concepisce la sua
azione di modificazione come “reversibile”. Apprende l’utilizzo della logica per
risolvere problemi reali, impara la “seriazione”: disporre gli oggetti dal più piccolo al
più grande (o per forma) o posizionarsi in ordine di altezza; acquisisce la capacità
di “classificazione”: distribuire oggetti in categorie basate su caratteristiche simili e
formulare giudizi sugli oggetti a partire dalla categoria a cui appartengono. Il
bambino inizia ad utilizzare abilità matematiche complesse e sa risolvere equazioni,
comprende che le operazioni sono reversibili.
del bambino, cioè che cosa esso sia in grado di fare adesso con l’aiuto dell’adulto e
quello che sarà in grado di fare da solo in un prossimo futuro.
LA TEORIA BIO-ECOLOGICA DI URIE BRONFENBRENNER (1917-2005)
La teoria bio-ecologica di Bronfenbrenner mette al centro della sua formulazione
l’influenza degli altri e dell’ambiente sociale sullo sviluppo dell’individuo, descrive
l’influenza sociale come una serie di circoli concentrici al centro dei quali si trova
l’individuo. Bronfenbrenner pone al centro del suo modello il bambino, inserito in un
microsistema (attività e interazioni che coinvolgono direttamente un individuo) di
attività e interazioni quotidiane, le relazioni sono bidirezionali e il bambino è parte
attiva di queste interazioni con l’adulto (se ha fame piange e richiama l’adulto); il
microsistema può essere influenzato dalla natura del bambino e dalla qualità delle
interazioni con i genitori (genitori contenti della loro relazione creano un’interazione
positiva, genitori in conflitto tra loro creano un’interazione negativa). Bronfenbrenner
postula legami tra ciascuno degli elementi del microsistema, che egli definisce
mesosistema (connessioni tra gli elementi del microsistema), il bambino non è
influenzato solo dalle singole persone che lo circondano ma anche dal modo in cui
queste persone interagiscono tra loro. Con la crescita del bambino acquisisce
maggior importanza l’esosistema (ambienti sociali che non hanno influenza diretta
sull’individuo, ma che lo circondano e sono importanti per il suo benessere) che ha
un’influenza indiretta su di lui (es. dirigente scolastico, consiglio di amministrazione
dell’azienda in cui si lavora o servizi per i genitori). Il macrosistema (valori culturali,
leggi, costumi e risorse disponibili per un individuo) influisce positivamente sul bambino
se sostiene e incoraggia il ruolo dei genitori nella crescita del bambino (es. asili, scuole,
servizi per genitori).
La teoria bio-ecologica di Bronfenbrenner non interessa solo il bambino, ma spiega lo
sviluppo dell’individuo fino alla vecchiaia, integra biologia e società e descrive
l’individuo sia come prodotto che produttore della società.
individuale rappresenta un’ulteriore difficoltà nello stabilire il ritmo tipico o meno del
bambino. Spesso i bambini vengono assegnati a percorsi di studio differenti se
presentano abilità superiori o inferiori alla norma, questo rischia di diventare un fattore
di rischio sociale.
EFFETTI COORTE
Una coorte è un gruppo di persone con qualche cosa in comune; il termine coorte è
usato nelle scienze sociali, di cui la psicologia fa parte, per descrivere le variazioni che
si rivelano in individui uniti da un’esperienza circoscritta o di vita comune (anno di
nascita, epoca, eventi vissuti). In psicologia dello sviluppo gli studiosi definiscono il
proprio bersaglio di ricerca usando le coorti al fine di ottenere risultati più affidabili; le
coorti hanno il vantaggio di essere identificate da fattori che, rispetto al semplice dato
demografico, descrivono probabilmente con maggiore efficacia le somiglianze tra i
membri del gruppo, con il rischio, però, di porre troppa enfasi sulle supposte
somiglianze, senza comprendere le differenze tra i membri.
ETICA DELLA RICERCA
In psicologia dello sviluppo l’etica della ricerca non è stabilita solo dall’università in cui
opera il ricercatore, ma anche dalle associazioni professionali (es. EFPA e AIPASS in
Italia). I punti fondamentali sono:
• Consenso e assenso → è necessario che il partecipante conosca il progetto di
ricerca e scelga di parteciparvi; viene utilizzato un consenso informato, ovvero un
consenso a prendere parte a uno studio del quale si conoscono i dettagli relativi
alla metodologia adottata e tutti i possibili benefici o rischi cui si va incontro, che
viene sottoscritto dal partecipante. Nel caso di minori, è necessario il consenso
informato firmato del genitore e l’assenso del minore (che risulta come consenso
informato), se la ricerca è condotta in una scuola sono necessarie le autorizzazioni
di insegnante e dirigente.
• Rapporti di potere, caratteristiche della domanda e coercizione → il ricercatore è
responsabile dell’influenza che esercita sul comportamento del partecipante, è
inoltre possibile che esistano rapporti di potere tra il ricercatore e il partecipante; la
caratteristica della ricerca è una situazione in cui il partecipante si sente spinto ad
agire in un determinato modo soltanto in virtù della sua partecipazione alla ricerca
o perché pensa che il suo modo di agire piacerà al ricercatore. Riguardo alla
coercizione, è doveroso che il ricercatore non prometta somme di denaro come
ricompensa per la partecipazione allo studio, eventualmente solo rimborsi-spese
per il viaggio sostenuto, e informi il partecipante di poter interrompere lo studio
qualora lo ritenesse necessario.
• Inganno e informazione dei partecipanti → è possibile che, per ragioni legate
all’esperimento da condurre, si ricorra all’”inganno” (= creazione deliberata di una
falsa conoscenza a uso dei partecipanti per influenzare i risultati di una ricerca) dei
partecipanti, che è comunque regolamentato da rigidi protocolli; in ogni caso il
partecipante verrà invitato a firmare un consenso informato.
• Protezione dal danno fisico e psicologico (sofferenza psicologica, turbamento,
senso di colpa e perdita di autostima) → il principio alla base della ricerca è
l’incolumità del partecipante e del ricercatore (spesso le università richiedono una
dichiarazione di adesione al codice etico espresso dal comitato etico
dell’università stessa da parte del ricercatore); si deve fare in modo di prevenire
qualsiasi danno, sia fisico che psicologico, inoltre con bambini molto piccoli è
necessario che l’ambiente non costituisca pericolo (es. non devono esserci oggetti
molto piccoli che possono essere ingeriti). I criteri etici della ricerca sono in
continuo sviluppo, molti anni fa, per esempio, non veniva chiesto anche al
bambino se volesse prendere parte alla ricerca.
• Confidenzialità → per condurre la ricerca eticamente, è necessario considerare la
questione della confidenzialità, cioè assicurare la riservatezza al partecipante e
garantire quella dei dati raccolti, cosicché il fruitore della ricerca possa non
individuare il partecipante o le sue risposte.
Durante gli ultimi mesi di vita prenatale, la corteccia cerebrale mostra un numero
crescente di pieghe, dovute alla produzione di neuroni e alla crescita delle sinapsi e della
mielina.
ABILITÀ E COMPORTAMENTI PRENATALI
Il rapido sviluppo dell’encefalo e del sistema nervoso spiega la precoce apparizione delle
capacità sensoriali e delle risposte comportamentali all’interno dell’utero. Al termine del
periodo embrionale, è già presente la capacità di reagire a una stimolazione esterna, in
principio attraverso semplici riflessi e poi attraverso risposte sempre più legate al controllo
cerebrale. I cinque sistemi sensoriali, infatti, iniziano a svilupparsi nell’embrione e operano
nella percezione già nel periodo fetale; inoltre, con lo sviluppo del cervello aumenta
anche l’abilità di trattenere l’informazione sensoriale e quindi di memorizzare e
apprendere.
TATTO, GUSTO E OLFATTO DEL FETO
Il primo canale che si sviluppa è il tatto: già dopo otto settimane, il feto si muove se viene
toccato nella regione della bocca e entro le dodici settimane si aggrappa ad ogni cosa
gli sfiori le dita. Anche gusto e olfatto si attivano presto: il bambino reagisce alle sostanze
introdotte in ambiente uterino e dimostra l’innata preferenza per i sapori non amari.
UDITO DEL FETO
Dopo circa venti settimane, anche il sistema uditivo entra in funzione, sebbene l’orecchio
e le regioni uditive del cervello non siano ancora mature: il feto risponde ai suoni di forte
intensità e può mostrare un “sussulto di riflesso”. Dopo ventidue settimane, il feto mostra
una reazione più sofisticata, orientandosi in direzione dei suoni o ascoltandoli, e
soprattutto se il suono si ripete dimostra un’abituazione o decremento di responsività, a
prova dell’apprendimento. Il feto è capace di cogliere semplici associazioni come
l’unione di un suono con uno stimolo tattile, ma è anche in grado di ricordare complesse
strutture sonore provenienti dal mondo esterno: in particolare, il nascituro mostra risposte
preferenziali per la voce della madre e per le sigle musicali da lei ascoltante in
gravidanza.
VISTA DEL FETO
Il meno sviluppato dei canali sensoriali nella vita prenatale è la vista: entro il quarto mese,
le principali parti dell’occhio sono sviluppate, sebbene la retina non sia formata del tutto;
un feto di sei mesi si protegge gli occhi se una luce intensa viene introdotta nell’addome
della madre; entro il settimo mese la corteccia visiva si sviluppa nella sua struttura di base
e il feto è in grado di analizzare le principali caratteristiche del mondo visivo
RISCHI PER LO SVILUPPO PRENATALE
Circa il 3% dei neonati presenta qualche malformazione congenita, cioè un problema
presente sin dalla nascita dovuto a fattori ambientali nocivi o dannosi, conosciuti come
teratogeni, o a fallimenti nei processi genetici.
TERATOGENI AMBIENTALI
Il periodo embrionale è quello più vulnerabile agli effetti dei teratogeni, poiché coincide
con la fase di formazione di tutti gli organi, inclusi cervello e sistema nervoso: per questo,
le influenze teratogene possono essere particolarmente distruttive. La maggior parte degli
agenti teratogeni è legata a condizioni o comportamenti materni (nutrizione insufficiente,
stress, assunzione di alcol, fumo) o deriva da fattori ambientali più estesi, come per
esempio le radiazioni. Sono i seguenti:
• Denutrizione
La denutrizione materna risulta particolarmente grave per il feto (in particolare, l’acido
folico è un elemento essenziale per la produzione del materiale genetico).
• Uso di droga da parte della madre
Le droghe, quelle legali come quelle illegali, possono avere conseguenze dannose
per il bambino, come crescita insufficiente e alta eccitabilità; alcol e nicotina possono
infatti avere profondi effetti sullo sviluppo del cervello e del corpo; alcuni degli effetti
più nocivi sono stati addirittura causati dall’assunzione di medicinali.
• Malattie della madre
Un altro fattore di rischio nello sviluppo prenatale è la malattia materna (la rosolia può
pregiudicare lo sviluppo degli occhi e delle orecchie nel feto).
• Stato psicologico della madre
Anche lo stato psicologico gioco un ruolo fondamentale: stress e ansia, infatti,
producono alti livelli di cortisolo, collegati a problemi di crescita e a problemi cognitivi
postnatali.
• Tossine ambientali
Anche Le sostanze inquinanti e le tossine presenti nell’ ambiente naturale possono
avere effetti sul nascituro.
Tuttavia, durante il travaglio, possono sorgere delle complicazioni: i parti protratti possono
causare danni cerebrali all’infante, dovuti ad anossia, cioè assenza di ossigeno.
L’IMPORTANZA DEL PESO IN RAPPORTO ALL’ETÀ GESTAZIONALE
Il peso medio di un neonato si aggira sui 3,2 kg e la lunghezza sui 50 cm: il peso alla
nascita è un fattore chiave nella sopravvivenza postnatale. Un peso scarso può essere
associato a un mancato completo sviluppo dei polmoni e dovuto ad una nascita
prematura o ad un neonato SGA (small for gestational age): i bambini prematuri, ma con
un peso che rientra nella media della loro età gestazionale, hanno più probabilità di
sopravvivere e di svilupparsi più rapidamente dei bambini SGA.
IL NEONATO È IN BUONE CONDIZIONI?
Esistono diversi strumenti per giudicare le condizioni fisiche e lo stato di salute di un
neonato. Tra questi, l’indice di Apgar valuta la condizione del bambino prendendo in
considerazione una serie di aspetti: respirazione, colore della pelle, battito cardiaco,
riflessi, tono muscolare. Ad ogni aspetto corrisponde un punteggio e un punteggio
complessivo uguale o superiore a sette indica buone condizioni.
IL NEONATO: STATI, MOVIMENTI E RIFLESSI
Per circa trenta minuti dopo la nascita, gli infanti mostrano un periodo di “allerta
tranquilla”, iniziando a osservare il mondo. Ricerche recenti confermano che il neonato è
capace di sensazione, percezione, attenzione, memoria e apprendimento organizzato e
non mostra solo semplici riflessi, ma anche risposte volontarie che fanno riferimento a
funzioni complesse del cervello.
Uno dei segnali chiave dell’operatività del sistema nervoso neonatale consiste nel fatto
che, dopo lo stato di allerta tranquilla, i neonati mostrano sei differenti stati di attivazione:
1. Sonno profondo
2. Sonno leggero
3. Sonnolenza
4. Allerta tranquilla
5. Attività vigile (sveglio ma agitato)
6. Pianto
Nei bambini piccoli, il sonno non è controllato dalla melatonina e perciò non è collegato
ai cicli di luce e buio: i neonati dormono dalle sedici alle diciotto ore al giorno, sebbene
non continuate, con fasi REM più numerose rispetto agli adulti.
I neonati hanno un controllo relativamente scarso dei movimenti del proprio corpo, ma
possono muovere la testa e scalciare quando sono stesi a pancia in giù. Presentano
anche molte reazioni riflesse, che rappresentano un indicatore della maturità del sistema
nervoso: alcuni riflessi continuano per tutta la vita ma la maggior parte dovrebbe
scomparire nel primo anno di vita.
neonati vedono a 6 metri di distanza quello che un adulto vede a una distanza di 180.
L’acutezza visiva cresce rapidamente per arrivare a 6/18 entro i sei mesi e 6/6 (come
l’adulto) all’incirca a 9 mesi.
Ci si è però chiesti se i neonati, pur vedendo, riescano a farlo in maniera coerente e
logica (distinguono gli oggetti?). Per comprendere questo aspetto, sono state utilizzate le
procedure di preferenza visiva dell’abituazione-recupero e della familiarizzazione: in
genere, il metodo della abitazione viene utilizzato con neonati di pochi giorni e lo stimolo
a cui il bambino deve essere abituato viene presentato per un tempo variabile, mentre
nella familiarizzazione lo stimolo viene presentato per un periodo di tempo stabilito dallo
sperimentatore. I neonati che si sono abituati a una determinata forma mostrano un
recupero di interesse alla visione di una forma diversa (per esempio di un rettangolo se
abituati a un quadrato). I neonati mostrano, inoltre, una preferenza visiva per
determinate forme, il che indica la loro capacità di distinguerle: in particolare, hanno una
predisposizione per la forma del viso e, dopo soltanto quattro ore, mostrano una
preferenza di fissazione visiva per il volto della madre. Dopo soli due giorni sono poi in
grado di distinguere espressioni emotive fondamentali come la felicità o la tristezza.
Per quanto riguarda la percezione dei colori, gli studi sostengono che i neonati
possiedano almeno in parte una visione funzionale dei colori. Sembra che appena nati i
bambini percepiscano tonalità verdi, gialle o rosse, ma non possano percepire
correttamente tonalità blu: questa abilità matura a circa tre mesi.
Rispetto alla profondità e alla tridimensionalità, si è scoperto che gli infanti cominciano a
percepire il mondo in profondità a circa tre mesi e questo processo si rafforza
rapidamente nel corso del primo anno di vita.
Inoltre, i neonati percepiscono che lo stesso oggetto può apparire diverso da angolazioni
o distanze differenti, cogliendone così la costanza di dimensione e forma. Gli infanti sono
anche in grado di “collegare” le diverse caratteristiche di un oggetto (colore,
consistenza, dimensione) e di percepirlo come un tutto.
UDITO IN ETÀ INFANTILE
Alla nascita, il sistema uditivo è maggiormente sviluppato di quello visivo: i neonati sono in
grado di distinguere i suoni e di percepire somiglianze fra suoni e strutture sonore.
Le capacità uditive più complesse sono spesso misurate con il metodo HAS (suzione ad
alta intensità): ai bambini viene dato un succhiotto, collegato con uno strumento che
controlla la produzione di suoni; il suono si attiva quando la suzione del bambino cresce
di intensità, così se egli vuole sentire, continuerà a succhiare ad alta intensità. Da questo
si è dedotto che i neonati hanno un orientamento di preferenza al linguaggio e alla
musica.
Tecniche di imaging cerebrale hanno confermato che nella prima infanzia il bambino è
estremamente sensibile agli stimoli linguistici dell’ambiente circostante: i neonati nascono
con la capacità di rilevare le strutture del linguaggio.
ABILITÀ TATTILI, GUSTATIVE E OLFATTIVE NELL’INFANZIA
A partire dalla fase embrionale gli aspetti base della percezione tattile si attivano e il
neonato mostra chiare risposte di riflesso al tatto. Gli infanti utilizzano il tatto anche in
maniera “aptica”, cioè per ottenere informazioni sul mondo.
Il gusto e l’olfatto maturano presto per diminuire con l’età. I neonati reagiscono in modo
diverso ai quattro gusti base attraverso differenti espressioni facciali e sembrano preferire i
sapori dolci. La stessa cosa avviene con gli odori.
ABILITÀ MOTORIE NELL’INFANZIA
Le capacità di movimento alla nascita sono piuttosto scarse: la padronanza del
movimento del corpo coinvolge infatti centri cerebrali superiori e inferiori e lo sviluppo del
controllo motori deriva dalla maturazione di comportamenti di azione innati in
combinazione con gli stimoli provenienti dall’ambiente.
In linea generale
• Tra il primo e il quarto mese, il bambino compie movimenti riflessi, solleva la testa
quando è sdraiato sulla pancia e sta seduto se aiutato;
• Tra i cinque e i nove mesi, sta in posizione seduta senza aiuti;
• Entro i dieci mesi, si solleva in posizione eretta;
• Entro gli undici mesi, si muove carponi;
• Entro i diciassette mesi, sta in posizione eretta e cammina da solo;
• Tra i diciotto e i trenta mesi, corre e salta;
Per quanto riguarda lo sviluppo motorio fine, il centro di attenzione primario è il controllo
di mani e dita, volto all’atto di afferrare gli oggetti: si tratta infatti di un’abilità critica per
l’esplorazione. A circa cinque mesi, i bambini possono afferrare un oggetto anche al buio
e tra i quattro e i sei mesi si sviluppa una guida precisa da parte della vista che permette
di calibrare la presa alla dimensione e alla forma dell’oggetto. A nove-dieci mesi circa, i
bambini usano una presa “a tenaglia” che richiede la coordinazione tra il pollice e le
altre dita.
ABILITÀ COGNITIVE NELL’INFANZIA: MODELLI E APPROCCI GENERALI
L’azione sul mondo e l’esplorazione portano il bambino all’assimilazione di nuove
informazioni in struttura di conoscenza preesistenti e all’accomodamento (revisione) di
queste ultime alla luce delle nuove informazioni.
Attualmente, le teorie sullo sviluppo cognitivo si basano su modelli di elaborazioni
cognitive che si collegano strettamente alle funzioni e ai sistemi del cervello. In questo
schema di riferimento, gli infanti sono considerati capaci di funzioni cognitive di base e
non vengono confinati all’esistenza “precognitiva”, come aveva sostenuto Piaget
(periodo senso motorio).
Alcuni studiosi sostengono che il pensiero degli adulti e quello degli infanti abbiano una
natura sostanzialmente e qualitativamente differente; altri, invece, propongono una
continuità nello sviluppo.
ATTENZIONE DELL’INFANTE
Tra le facoltà cognitive, ci si è concentrati particolarmente sul processo attentivo, ossia
l’elaborazione selettiva di uno stimolo, in quanto essenziale per acquisire informazioni sul
mondo. L’attenzione può essere sublimale o manifesta (riconoscibile) ed essere misurata
da risposta fisiologiche come la diminuzione del battito cardiaco. I neonati mostrano
risposte attentive fondamentali che si adattano alle richieste della situazione: hanno
capacità di orientamento e di attenzione selettiva, strumenti essenziali per qualsiasi
attività cognitiva. Con il crescere dell’età, l’attenzione diventa poi sempre più efficiente
ed è influenzata da fattori quali la conoscenza, gli interessi e gli stati emotivi.
APPRENDIMENTO E MEMORIA IN ETÀ INFANTILE
Per quanto riguarda la memoria, la maggior parte dei modelli propone differenti fasi:
• Memoria sensoriale, caratterizzata dalla breve persistenza di impressioni sensoriali;
• Memoria di lavoro, ossia il temporaneo mantenimento delle informazioni in uno
stato attivo;
• Memoria a lungo termine, ossia i cambiamenti duraturi, biochimici e strutturali, delle
sinapsi;
PRIMA DELLA NASCITA/ PERIODO PERINATALE: il feto è in grado di percepire i suoni già
dalla 24esima settimana.
Questa capacità non è solo ricettiva generale ma si manifesta anche in abilità di
discriminazione, che mostrano alla nascita quando preferiscono suoni rispetto ad altri.
Ad esempio, i neonati sono in grado di riconoscere e preferire la voce materna da
un’altra femminile; dimostrano anche di saper discriminare suoni che provengono dalla
propria lingua a cui sono stati esposti e suoni che provengono da lingue diverse a cui non
sono stati esposti; mostrano anche di saper riconoscere filastrocche, canzoni a cui sono
stati esposti in utero.
• SEMANTICA: la parte del linguaggio interessata ai significati delle parole e delle loro
parti componenti.
Con la crescita aumenta la capacità di paganizzare parole in gruppi semantici correlati.
2. Teoria INNATISTA: ipotesi di Chomsky = gli esseri umani possiedono un innato dispositivo
di acquisizione del linguaggio e di sviluppo di grammatica e sintassi (LAD: language
acquisition device). Dunque, molti aspetti del linguaggio sono universali conoscenze di
base innata di linguaggio chiamato "grammatica
universale”.
• Analizzando il cervello, Paul Broca è stato il primo a
identificare una specifica parte dell'emisfero sinistro
coinvolta nel linguaggio, detta "area di Broca".
Questa parte del cervello è importante per la
produzione delle parole,i soggetti che hanno la
fantasia di Broca presentano problemi nel
linguaggio espressivo, le loro frasi sono brevi e il loro
discorso frammentario e talvolta distorto.
• Altra area coinvolta nel linguaggio è quella di
Wernicke. Gli individui con quest'area del cervello danneggiata sono in grado di
produrre un discorso che allo stesso tipo di suono e di ritmo del discorso normale, ma
è privo di significato; inoltre fanno fatica a comprendere il linguaggio altrui.
• Gli adulti che sviluppano disturbi del linguaggio a seguito di questi tipi di lesioni,
probabilmente, rimarranno con un disturbo permanente, e anche la ricerca
condotta con bambini che hanno subito lesioni cerebrali ha rilevato effetti di lunga
durata sul linguaggio.
• Plasticità = capacità del cervello di recuperare il proprio funzionamento nel
momento in cui le parti del cervello sviluppate appositamente per il linguaggio
subiscono danni e devono essere compensate, per cui possono essere reclutate per
il linguaggio altre parti.
SVILUPPO FONOLOGICO
È lo sviluppo delle capacità di percepire i suoni del linguaggio.
Fomenta: la più piccola unita di suoni di una lingua, dotata di valore distintivo.
I bambini sanno distinguere tra fonemi appartenenti a categorie distinte da molto presto
(circa 1 mese distinguono “p” e “b”).
Nella prima infanzia, la percezione di suoni del linguaggio è superiore a quella tipica degli
adulti, estendendo oltre l lingua madre. A partire dai 6-12 mesi questa capacità declina.
Lo sviluppo non è solo un aumento delle capacità, è una tendenza a orientare le
capacità di discriminazione verso quello che è rilevante (nel caso del linguaggio la lingua
madre quindi).
I bambini nascono in grado di produrre suoni.
(a partire dal pianto del bambino, che serve a modulare la vicinanza o lantana del
caregiver).
LE LALLAZIONI:
• non hanno una funzione sociale (perché vengono prodotte anche in isolamento) ma
di esercizio
• Risentono del contesto (aumentano quando la madre è vicino al bambino)
• Riflettono le caratteristiche della lingua di appartenenza
• Sono in continuità con l’apprendimento delle prime parole (le lallazioni a 4 e 7 mesi
correlano con il numero di parole a 12 mesi)
La lallazione diventa sempre più complessa durante lo sviluppo:
C’è molta variabilità in ambito di lallazioni/parole.
Referenziali = (cioè che hanno un referente) sostituto delle parole, sono particolarmente
importanti quando lo sviluppo del vocabolario è ancora agli inizi. Non sono più riferiti a
cose/eventi presenti nel contesto immediato, ma “simboli” per rappresentare uno
specifico referente (ciao, no con la testa…).
SVILUPPO SEMANTICO
Lo sviluppo del vocabolario: lo sviluppo del lessico è caratterizzato da una elevata
variabilità.
• 12 mesi: compaiono le prime parole
• Verso l’anno emmezzo il bambino conosce una cinquantina di parole.
• Esplosione del vocabolario a 24 mesi che passa da 50 parole a circa 300.
Come mai?
1) scoperta improvvisa della denominazione: i bambini si rendono conto, verso i 2 anni,
che le cose hanno un nome, che esiste una parola per tutto. Questa scoperta è la
base cognitiva per l’esplosione del vocabolario.
2) Capacità di categorizzare, di individuare relazioni semantiche: capacità di dividere
oggetti e parole in categorie, individuare somiglianze nel significato.
Risultati: si riscontra una consistente variabilità nell'età in cui ciascun bambino iniziava a
produrre i tre livelli del comportamento di categorizzazione. L'età media in cui veniva
osservato il terzo livello è stata di 18 mesi. Essi hanno inoltre riscontrato una grande
variabilità nell'età dell'esplosione del vocabolario ma l'età media era di 18,33 e mesi.
Il dato è particolarmente interessante, tuttavia, è che i ricercatori hanno trovato una forte
correlazione tra l'età dell'esplosione del vocabolario e l'età dello sviluppo della
categorizzazione di terzo livello. Sembra che lo sviluppo della comprensione delle
relazioni semantiche o dell'appartenenza a una categoria sia un prerequisito necessario
all'esplosione del vocabolario.
(Quindi: prima categorizzazione, poi esplosione vocabolario).
Usare gli errori dei bambini per comprendere l’apprendimento delle parole referenziali:
4 tipici errori che i bambini commettono nell’apprendimento di parole sono:
1. Sottoestensione: si verifica quando un bambino utilizza una parola per riferirsi soltanto
a un sottogruppo della categoria di oggetti ai quali la parola si riferisce. Quando i
bambini operano una sottoestensione sappiamo che essi l’hanno per errore associata
soltanto ad un sottogruppo della categoria a cui l’oggetto si riferisce.
2. Sovraestensione: (contrario sott.) si verifica quando un bambino usa una parola per
riferisti ad altri oggetti oltre a quelli a cui il termine si riferisce. Quando i bambini
sovraestendono una parola sappiamo che l’hanno erroneamente associata a più
cose rispetto alla categoria di oggetti a cui si riferisce.
3. Sovrapposizione: È una via di mezzo tra la sottoestensione e la sovraestensione.
Nell'apprendimento il bambino associa il termine correttamente a un sottogruppo
della categoria a cui esso si riferisce ma, nel contempo, scorrettamente a referenti di
altre categorie.
4. Associazione impropria: si realizza quando le associazioni tra una parola e la sua
categoria di referenti non sono corrette. (es. un bambino chiede cos’è una cosa
SVILUPPO SINTATTICO
Fasi dello sviluppo morfosintattico:
• fase presintattica (12-26 mesi): manca il verbo, frasi telegrafiche. Le parole singole che
usano il bambino sono conosciute come olofrase (= parola che esprime un significato
più complesso di quello mostrato dal suo significante).
• Fase sintattica primitiva (20-29 mesi): enunciati semplici con soggetto, verbo e
complemento. Tale discorso è definito telegrafico, data la sua somiglianza ai vecchi
telegrammi.
• Fase completamento della fase nucleare (24-33 mesi): frasi complete con morfemi,
articoli, congiunzioni..., non sono ancora corrette grammaticalmente però.
• Fase consolidamento e generalizzazione in strutture complesse: frasi relative,
connettivi temporali...; i bambini in questa fase iniziano a riordinare le proprie frasi per
formulare domande. Entro i primi anni di scuola l'uso dei verbi irregolari e delle regole
grammaticali in generale aumenta notevolmente, facendole di venire parlanti
competenti capaci di costruire enunciati complessi.
Tra i 2 e 3 anni di età il 10/15% dei bambini mostra un ritardo nel vocabolario espressivo,
assenza di parole a 30 mesi (late talkers = parlatori tardivi).
Fattori di rischio:
• genere maschile
• problemi prenatali
• basso livello di istruzione
• basso status socioeconomico
I disturbi del linguaggio sono rilevanti perché vanno a bloccare le comunicazioni con gli
altri e quindi anche la capacità di imparare.
Sono critici perché c’è anche un aspetto emotivo della frustrazione di non riuscire ad
essere capiti, di capire... che va tenuto in conto durante la terapia.
Il disturbo del linguaggio si lega al disturbo specifico dell’apprendimento. I bambini
presentano all’anamnesi un pregresso disturbo di linguaggio nel 30/40% dei casi.
Il bambino dislessico è un bambino intelligente ma, in modo specifico, non riesce a
leggere.
Disturbo dello spettro autistico: deficit nelle capacità di comunicazione interazioni sociali
e da interessi e comportamenti limitati
• comunicazione non verbale
• Contatto oculare e gesti
• Ritardo nello sviluppo del linguaggio e atipie
• Difficoltà a iniziare atti comunicativi
• Ridotto uso di gesti convenzionali
• Difficoltà pragmatiche
La regola è la variabilità.
• Da allora, si capì che negli infanti il riconoscimento visivo esiste già ad un’età inferiore
ai 3-6 mesi.
3. Casper e Fifer
• Hanno mostrato che i bimbi nati da non più di 3 giorni mostrano differenze nei sensi
non solo visivi ma anche negli altri
• Mostrano una preferenza alla voce materna
• Come lo hanno studiato: è stato dato ai bambini un ciuccio che a seconda della
velocità di suzione sentivano una registrazione o della voce materna o della voce di
un’altra donna
• I bambini hanno adattato la velocità della suzione in modo tale da sentire la voce
della mamma, mostrano così una preferenza
• I risultati ottenuti possono derivare dall’esposizione degli infanti alle voci delle madri
quando ancora si trovavano nell’utero
• La memoria degli infanti risale al periodo prenatale.
4. Altri ricercatori
• Oltre ai ricordi visivi e uditivi, la memoria infantile si estende al tatto e all’olfatto
• Tutto ciò mostra che gli infanti hanno la capacità di codificare informazioni persino
prima della nascita
• Già appena nati possono accedere alle info immagazzinate in maniera tale da essere
in grado di riconoscere gli stimoli.
→ Diversi studi sulla memoria hanno dimostrato che non tutte le informazioni a cui siamo
esposti vengono codificate dai nostri sensi
→ Infatti le informazioni presenti nel mondo che ci circonda sono troppe per essere tutte
codificate, quindi l’ATTENZIONE ci permette di focalizzarci su determinate cose e di
escluderne delle altre
★ Si può usare una tecnica immaginativa per ricordare informazioni (è stato anche
usato il metodo del confronto visivo a coppie)
→ Questa tecnica immaginativa può migliorare il recupero i bambini di età compresa tra
i 6 e i 12 anni
→ I bambini più piccoli ne beneficiano solo se ricevono istruzioni aggiuntive che li aiutano
ad usare la strategia
★ Una volta che i bambini crescono utilizzano strategie più complesse quali
l’ELABORAZIONE è l’ASSOCIAZIONE
★ Degli studi dicono che lo sviluppo della memoria può essere collegato allo sviluppo di
altre aree della cognizione, quali la teoria della mente (ToM)
La teoria della mente è la capacità di attribuire stati mentali agli altri e comprendere che
gli altri hanno stati mentali diversi dai nostri, abilità che si sviluppa tra i 3 e i 4 anni.
Sviluppo dell'immagazzinamento
● Il limite della memoria dei bambini è la durata di immagazzinamento delle
informazioni
● Il miglioramento di questa area influenza lo sviluppo della memoria durante la
fanciullezza
● Diversi studi hanno dimostrato come durante il primo anno di vita esistono evidenze di
un allungamento della durata temporale entro cui i bambini possono conservare le
informazioni
→ Entro i 18 mesi i bambini possono conservare le informazioni per 13 settimane
● I bambini accumulano conoscenze informazioni sul mondo man mano che crescono
● Ciò porta loro a farsi delle aspettative
→ Per esempio un bambino chi partecipa alle feste di compleanno avrà sviluppato un
complesso di aspettative, o script (copione) relativo ai compleanni
→ Ciò significa che si include l'aspettativa chi si dovrebbe portare un regalo o mangiare
una torta tutte cose che si fanno ai compleanni
● I bambini di 3 anni possiedono script Generali relativi a eventi quotidiani Come andare
a fare la spesa al supermercato
● Lo script funziona come una scatola divisa in compartimenti nei quali organizzare
informazioni specifiche
● Lo script è il modo attraverso il quale le conoscenze pregresse e le aspettative
possono aiutare nella codifica, immagazzinamento e il recupero delle informazioni
L’amnesia post-traumatica
- Si verifica quando gli eventi sono dimenticati ho il loro ricordo Eri presso In seguito a un
evento traumatico
- La rimozione è un meccanismo di difesa psicologico e permette di immagazzinare i
ricordi spiacevoli nell'inconscio, i quali non possono accedere alla coscienza talvolta
anche per decenni
- Per esempio dei casi di abuso sessuale su bambini sono denunciati dalle vittime molti
anni dopo il fatto
- La rimozione di ricordi traumatici può comprendere specifici processi mentali che
agiscono sulla nostra memoria per difenderci dai possibili effetti negativi
1. I falsi ricordi
• Hanno luogo quando i bambini riferiscono qualcosa che non è successo realmente, o
si rievocano i dettagli di un evento in modo non corretto
• I falsi ricordi rappresentano un fallimento della memoria
• I bambini sono particolarmente soggetti ai falsi ricordi, spesso raccontano storie
fantastiche e inverosimili su ciò che hanno visto è fatto, con convinzione e molti
particolari
• Il termine utilizzato per indicare quanto sia probabile I bambini li porti non falsi ricordi è
SUGGESTIONABILITÀ
Interviste cognitive
● Essendo i bambini suggestionabili tramite semplici ma dirette domande, Come si fa a
capire durante un processo penale se un bambino dice la verità o si basa su falsi
ricordi?
● Viene utilizzata INTERVISTA COGNITIVA
→ Sviluppata specificamente per interrogare testimoni in contesti legali, Chi usa i principi
della memoria elaborate dalla psicologia cognitiva, per massimizzare la quantità di
informazioni ricordate con precisione
● Questa tecnica è caratterizzata da quattro elementi chiave:
A) Il reinserimento nel contesto: l'investigatore dovrebbe aiutare il bambino a
ricostruire il contesto fisico e personale in cui è inserito l'evento
B) Non limitare il bambino: così facendo si fa dire al bambino Tutto quello che
ricorda così da poter ricordare quanto più possibile attorno alle circostanze che
avvolgono l'informazione desiderata
C) Incoraggiare il bambino a cambiare prospettiva: L'investigatore dovrebbe
cercare di facilitare nel bambino il ricordo degli eventi o delle cose dal punto di
vista di un'altra persona coinvolta nella situazione
D) Far ricordare al bambino le cose in un ordine diverso da quello cronologico
*Il terzo il quarto elemento chiave servono a modificare il modo in cui le informazioni
vengono recuperate , tentando di accedere alle alla memoria da strade alternative può
portare ha una minore probabilità e recupero faccia affidamento sulle conoscenze
pregresse del bambino o sulle sue aspettative rispetto alla situazione, quindi le risposte
date saranno più vicine alla verità
COS’È L’INTELLIGENZA?
● È composta dai processi cognitivi della memoria, del problem solving e del pensiero
● Il livello di intelligenza di una persona e indicatore del livello di efficacia con cui essa
elabora le informazioni, risolvere i problemi, si adatta o impara dall'esperienza
● Gli sviluppi della memoria fanno parte dell'intelligenza
Intelligenza e creatività
● Sternberg
- Avviluppato un'altra teoria delle intelligenze multiple nella quale mi prende in
considerazioni solo tre tipi di intelligenza:
1. Intelligenza analitica
2. Intelligenza creativa
3. Intelligenza pratica
BAMBINI SUPERDOTATI
● Un bambino può essere considerato superdotato se il suo QI e almeno di 130
● I bambini superdotati possono anche avere un talento speciale per qualcosa oppure
eccellere in un particolare campo
● Il tipo di pensiero divergente e indica la creatività, ho la capacità di pensare alle cose
in maniera originale, può essere l'elemento più importante in merito al superdotazione
INTERAZIONI TRA EREDITARIETÀ E AMBIENTE NELLO SVILUPPO
● Quanto più diventiamo grandi, tanto più la nostra intelligenza è influenzata dai fattori
genetici
ARCO DI VITA
● Per vedere se le caratteristiche intellettuali rimangono stabili nel corso del tempo è
stata condotta una ricerca nella l'arco della vita In any considerazione quasi tutta la
popolazione degli Scolari scozzesi
● Una volta compiute le ricerche, i risultati hanno mostrato che c'è una forte stabilità
nella misura dell'intelligenza, in quanto il livello di intelligenza di un individuo misurato a
11 anni essere simile a quello dello stesso individuo ottantenne
essi sono capaci di riconoscere e distinguere insiemi del 2 e, ancora dopo, insiemi con
3 oggetti. Si tratta di una conoscenza categoriale, non relazionale, dal momento
che i bambini non hanno maturato la comprensione della relazione tra numeri. Il
bambino impara, indipendentemente, i termini numerici, che non hanno nessun ruolo
nell’identificazione della quantità. Ciononostante, il bambino cerca di associare il
termine numerico corretto alla rispettiva quantità. Questo conduce al bootstrapping,
ovvero al miglioramento progressivo delle proprie capacità e conoscenze facendo
affidamento sui propri sforzi e le proprie risorse. In questo caso si tratta di integrare le
rappresentazioni dei quantificatori del linguaggio naturale con l’elenco esterno dei
numeri, ordinato serialmente. Questa nuova comprensione prende il nome di
individuazione parallela arricchita.
Esperimento di Winn, ripreso da Carey: dammi un numero.
I conoscitori dell’uno, cioè bambini molto piccoli, prelevavano correttamente da un
insieme la quantità richiesta solo se si trattava, appunto, di un oggetto. Bambini dai 3
anni in su si comportavano correttamente anche nei confronti di quantità più grandi,
dimostrandosi così conoscitori dei principi del contare, che avevano acquisito tramite
un processo di induzione dall’individuazione delle quantità e dall’apprendimento della
proprietà ordinale dei numeri. Carey propone dunque un sistema evolutivo, basato
sull’acquisizione di un certo numero di conoscenze, che progressivamente influenzano
e determinano la capacità di individuare i numeri e le proprietà di questi.
taglio diverso. Questo esercizio ha permesso ai ricercatori di stimare fino a che punto i
bambini erano in grado di combinare tra loro unità di differente valore in modo
additivo. I bambini, sebbene le cifre da pagare rimangano invariate, dimostrano più
difficoltà a combinare tagli differenti. I bambini che falliscono nel compito di
combinare le monete, non riescono a contare le unità dopo aver indicato la decina.
Essi o ripartono da 1 oppure contano di 10 in 10 quando proseguono nel conteggio.
Essi non combinano quindi decine ed unità per arrivare a 15, ma usano due stringhe
numeriche. Una fase intermedia interessante nella comprensione della composizione
additiva vede il bambino contare fino a 10 nell’indicare la moneta da 10 cents,
oppure alzare dieci dita e dire 10. Questo potrebbe indicare la necessità per il
bambino di osservare unità visibili nelle cose che conta, per cui utilizza unità percettibili
per rappresentarle. Questo metodo è stato implementato da Nunes, il quale ha
dimostrato che i bambini presentavano una prestazione nettamente migliore quando
esposti a questo ragionamento.
PROBLEMI DI CONFRONTO
Verschaffel pose a bambini di circa 12 anni un problema con linguaggio coerente (dove
“in più” implica intuitivamente un’addizione) e uno con linguaggio incoerente (cioè
controintuitivo), notando che i bambini che davano una risposta corretta nel problema
con linguaggio incoerente tendevano poi a cambiarne il testo in un linguaggio coerente
quando gli si chiedeva che problema avevano risolto. Apostrofati su questo dettaglio,
alcuni hanno risposto che così era di più semplice comprensione, altri sono andati in
confusione e hanno dubitato delle loro risposte.
RAGIONAMENTO MOLTIPLICATIVO
Sulla scorta delle opinioni di Thompson e Vergnaud consideriamo il ragionamento
additivo e moltiplicativo come aventi una radice diversa. Entrambi derivano da due
schemi d’azione, che sono però differenti: il secondo deriva dall’azione di porre due
quantità in relazione uno a molti, azione che mantiene costante il rapporto tra variabili.
Anche prima di imparare le moltiplicazioni, i bambini sanno risolvere semplici problemi di
corrispondenza uno: molti, soprattutto quando ne hanno un supporto visivo.
PROBLEMI DI DISTRIBUZIONE
In una divisione, si hanno tipicamente tre termini, ovvero dividendo, divisore e quoziente.
Se la relazione tra dividendo e quoziente è diretta, la relazione tra divisore e quoziente è
inversa. Correa ha condotto una serie di esperimenti volti a verificare se i bambini
comprendo questa relazione inversa. È stato loro chiesto di immaginare che lo stesso
numero di caramelle fosse distribuito tra diversi destinatari, in questo caso orsi di peluche.
Lo sperimentatore non mostrava al bambino il numero di caramelle che venivano
destinate agli orsi, i quali erano divisi in due gruppi, da 3 e 4 elementi. Se il numero di
peluches aumentava, il bambino capiva però che le caramelle a ciascun orso
dovevano essere di meno. I bambini di 5 e 6 anni sembrano non avere particolari
problemi nemmeno se le quantità da dividere sono quantità continue, e cioè misurabili
tramite lunghezza, larghezza, altezza eccetera.
che nel frazionamento c’è un solo intero, mentre nella distribuzione due quantità. Sembra
che, dal punto di vista dei bambini, questi schemi siano molto diversi.
Piaget ha identificato diversi tipi di insights che i bambini devono aver acquisito per
comprendere il processo di frazionamento: l’intero deve essere concepito come
divisibile, le parti devono esaurire l’intero, le parti devono essere uguali, ogni parte può
essere considerata a sua volta come un intero, contenuto nell’intero, ma anche
suscettibile di divisioni, ed infine, l’intero non varia ed è la somma delle parti.
Difficilmente i bambini di 6 anni riescono ad operare un corretto frazionamento, e
quando riescono, il successo dipende anche dalla forma e dal numero di parti.
Sono stati eseguiti anche esperimenti sull’equivalenza delle quantità frazionarie. Esempi di
problemi:
• Tre bambini si dividevano una torta in parti uguali, e nell’altro gruppo 6 bambini si
dividevano 2 torte in parti uguali. Ai bambini veniva chiesto se i membri del primo
gruppo mangiassero la stessa quantità di torta del secondo gruppo.
• Una ragazza ed un ragazzo hanno una tavoletta di cioccolato: lei la divide in 4 pezzi e
ne mangia 2, lui in 8 e ne mangia 4. Hanno mangiato la stessa quantità?
Il primo problema viene risolto più facilmente dai bambini, non solo di 6-7 anni, ma anche
bambini che hanno già ricevuto, a livello scolastico, nozioni sulle frazioni. Nel primo caso
infatti, il bambino può focalizzarsi sull’ordine delle quantità frazionarie, dunque su un solo
fattore, come il numero di destinatari oppure il numero di parti in cui è tagliato l’intero; nel
secondo caso essi devono pensare sia al dividendo che al divisore.
Tutti questi esperimenti vengono messi in dubbio da vari scienziati che sostengono che
i bambini falliscono perché non capiscono la domanda, tra cui Susan e Leslie che
eseguono un esperimento nel 1999 dove raccontano sempre una storia simile con
protagonisti Billy e la sua palla: Billy mette la sua palla sul tavolo ed esce, la madre
gliela sposta nella scatola dei giochi; questa volta cambiano la domanda, e la
sostituiscono con più domande più semplici (es: dove ha messo la palla
all’inizio?/dov’è la palla ora?/quando Billy torna dove pensi che cercherà?). Essi
dimostrarono che i bambini pur non conoscendo la falsa credenza, avevano un’idea
del concetto alla base di essa, infatti a queste domande ottennereo un numero più
alto di risposte corrette.
Wellman et al. nel 2001, compiendo una meta analisi su 168 articoli riguardanti la falsa
credenza dimostrarono che gli studi di Susan e Leslie con le domande semplificate,
miglioravano le prestazioni dei bambini di ogni età, ed inoltre, che le risposte corrette
dei bambini di 3 anni erano fortuite: le loro risposte avevano la stessa probabilità di
essere giuste o sbagliate.
Fino ad ora abbiamo parlato del compito di falsa credenza detto ‘’di primo ordine’’,
ovvero risolto tra i 3-4 anni d’età, ma attorno ai 6-7 anni si presenta la capacità di
rispondere a compiti sulla falsa credenza di secondo ordine, ovvero i bambini
comprendono che esistono delle credenze sulle credenze; ciò significa che essi
capiscono che una persona può voler stimolare un emozione in un’altra persona o far
sentire bene/male un altro individuo, e riescono a capire anche il sarcasmo.
Esempio: ’’Federico ha vinto la lotteria preso 30 e lode in dinamica e ricevuto tanti regali,
ha proprio avuto una brutta giornata’’ i bambini di 6/7 anni capiranno il sarcasmo in
questa frase, se più piccoli invece no.
COME SI INSERISCE LA TEORIA DELLA MENTE NELLA PROSPETTIVA EVOLUTIVA?
Gli studi di Wellman hanno dimostrato che meno del 20% dei bambini di 2 anni e mezzo,
riusciva completare l’esercizio delle false credenze, mentre riuscivano a completarlo il
50% dei bambini di 3 anni e 8 mesi ed il 75% dei bambini di 4 anni; la teoria della mente
mostra pertanto una linea di sviluppo simile a quella del linguaggio o del ragionamento.
TEORIA DELLA MENTE E SVILUPPO DEL LINGUAGGIO
DeVilliers e DeVilliers (si giuro sono due uguali non so perché lol), suggeriscono che le
prestazioni dei bambini siano meno buone perché non capiscono cosa gli viene chiesto
(stesso dubbio che avevano sollevato Susan e Leslie tempo prima); Hale e Tager-Flusberg
nel 2003 cercarono di dimostrare che l’addestramento linguistico può migliorare le
performance nei compiti di falsa credenza: essi fecero un esperimento su 60 bambini tra i
3 e i 5 anni, addestrandoli con esercizi sulle false credenze, e notarono dopo appena 5
giorni di esercitazioni, un miglioramento significativo, passando dal 10/20% al 70% di
risposte esatte, ciò conferma che l’aiuto dato ai bambini nella comprensione del
linguaggio migliorava le loro performance.
Che cosa succede se il bambino è sordo? Ricerca compiuta da Melisto et al. (2007) su
bambini segnanti nativi (che hanno appreso la lingua dei segni fin dalla nascita) e
bambini segnanti non nativi (che l’hanno appresa a scuola): i risultati dello studio hanno
dimostrato che i bambini segnanti nativi possedevano un’abilità della teoria della mente
paragonabile a quella dei bambini in grado di sentire, mentre i bambini segnanti non
nativi hanno punteggi molto più bassi.
Clement and Perner (1994) cercarono di dimostrare che la teoria della mente è presente
anche in bambini più piccoli; essi credevano che i bambini ce l’avessero presente in
qualità di concetto implicito (non conscio) e non esplicito (conscio), per dimostrarlo
eseguirono un esperimento con due scatole, una bambola e un giocattolo, si ok è
sempre la solita roba la bambola esce dalla stanza, il ricercatore sposta il gioco dalla
scatola a sinistra a quella a destra, e quando la bambola rientra chiede al bambino
dove avrebbe cercato la bambola; il bambino prima di rispondere osserva una scatola,
e secondo i ricercatori, questa è la sua risposta implicita, mentre la scatola che indicherà
vocalmente, è la sua risposta esplicita. I risultati mostrarono che i bambini sotto i 3 anni
non osservavano nessuna delle 2, mentre quelli di 3 anni e 7 mesi osservavano tutti la
scatola sinistra (ovvero la risposta corretta) ma solo il 23% di loro risponde anche a voce
correttamente, secondo i ricercatori quindi i bambini sapevano dove la bambola
avrebbe guardato, ma non erano in grado di verbalizzarlo.
Quest’ultimo esperimento ha portato moltissimi ricercatori a cercare di perfezionarlo, tra
questi, Onishi e Baillargeon (sto notando che i nomi diventano più difficili man mano che
vado avanti), che hanno creato un esperimento con una scatola gialla una verde e un
anguria di plastica.
I ricercatori creano una sorta di palcoscenico con due scatole, una gialla e una verde,
un anguria di plastica posizionata tra le due scatole, e dietro questi oggetti una porta;
dopo aver fatto alcune prove di familiarizzazione, l’attore inserisce l’anguria nella scatola
verde ed esce, a questo punto i ricercatori creano 4 condizioni, 2 in cui la credenza
dell’attore è vera e due in cui è falsa.
1) Condizione A: l’attore apre la porta, e vede la scatola gialla muoversi verso quella
verde, per poi tornare alla sua posizione originale, in questa condizione la credenza
dell’attore è vera, l’anguria si trova nella scatola verde.
2) Condizione B: l’attore apre la porta e vede l’anguria che viene spostata dalla scatola
verde a quella
gialla, anche qui la sua credenza è vera.
3) Condizione C: la porta rimane chiusa, e l’anguria si sposta dalla scatola verde a quella
gialla, qui
l’attore ha quindi una credenza falsa.
4) Condizione D: l’attore apre la porta, vede l’anguria spostarsi dalla scatola verde alla
scatola gialla, dopo di che chiude la porta, e l’anguria viene spostata in quella verde,
anche qui l’attore ha quindi una credenza falsa.
Secondo Onishi e Baillargeon se un infante si aspetta che l’attore cerchi l’anguria sulla
base della SUA credenza, allora il bambino dovrebbe guardare la scatola più a lungo se
l’attore confonde le sue aspettative cercando nell’altra scatola: esempio, nella
condizione D l’attore crede che l’anguria sia nella scatola gialla, ma l’infante sa che è
ritornata in quella verde, quindi se l’infante capisce la prospettiva dell’attore si aspetterà
che cerchi nella scatola gialla, e in questo caso osserverà brevemente la scatola, se
l’attore invece cerca in quella verde, l’infante la osserverà più a lungo. Gli esperimenti
hanno confermato la teoria degli autori, che hanno sostenuto che i bambini di quindici
mesi hanno una teoria della mente rappresentativa.
Buttleman et al. riconoscono un limite allo studio di Onoshi, ovvero che il bambino
osservava più a lungo solo perché si accorgeva che stava accadendo qualcosa di
insolito e non perché attribuiva credenze all’attore, e decidono di proporre un
esperimento in cui il bambino sia parte attiva.
Partono dal fatto che i bambini dai 12 mesi in su iniziano ad aiutare gli altri per risolvere
compiti o problemi, e che se sono in grado di fare ciò vuol dire che capiscono quale sia il
problema o il focus dell’altra persona, questo dimostrerebbe che i bambini hanno una
teoria della mente: per verificare queste ipotesi hanno sottoposto dei bambini di 16 e 18
mesi a un compito di falsa credenza che implicava un comportamento d’aiuto. Un
bambino osservava un adulto mettere una palla in un cesto e poi uscire dalla stanza; lo
sperimentatore spostava la palla dal cesto alla scatola; l’adulto rientrando, cerca la palla
nel cesto e non la trova; come si aspettavano i ricercatori la maggior parte dei bambini
aiutava gli adulti a ritrovarla, dimostrando di aver capito la prospettiva dell’adulto.
1) I bambini autistici non sanno distinguere ciò che è reale da ciò che è mentale, come
dimostrato da uno studio del 1986 di Wellman ed Estes fatto a bambini tra i 3 e i 4 anni
con sviluppo tipico e con autismo: venivano presentati ai bambini due personaggi,
uno teneva in braccio un cane e l’altro lo immaginava solamente, dopo di che
veniva chiesto ai bambini quale dei due personaggi avesse un cane. I bambini
autistici commettevano molti errori, mentre i bambini con sviluppo tipico rispondevano
correttamente con molta facilità.
2) Altri studi hanno mostrato che i bambini autistici non riescono a distinguere tra
l’appartenenza di un oggetto e la sua realtà. Se gli viene mostrata una penna a forma
di dinosauro, la vedranno o come penna o come dinosauro, ma non riescono a
vederla come un tutt’uno.
3) Baron-Cohen et al. in uno studio del 1985 hanno proposto l’esperimento di Sally e
Annie a bambini di 4 anni con sviluppo tipico (23/27 risposero correttamente), con
sindrome di down (12/14), con autismo (4/20); gli autori giunsero alla conclusione che i
bambini autistici non erano in grado di rappresentare gli stati mentali altrui e che
quindi non sono in grado di prevederne il comportamento. I bambini con autismo non
hanno infatti il concetto del ‘’vedere porta a sapere’’ ed è proprio per questo motivo
che non possono rappresentare gli stati mentali degli altri.
Inganno
L’inganno appare circa a 4 anni nei bambini con sviluppo tipico, ma per i bambini
autistici è molto difficile da mettere in pratica. Baron-Cohen propose a dei bambini il
‘’gioco del penny nascosto’’, egli chiedeva ai bambini di nascondere un penny in
una delle due mani e di non rivelargli in quale quando glielo avesse chiesto: i bambini
con sviluppo tipico non avevano difficoltà e anzi, si dimostravano molto abili; i
bambini con autismo invece facevano molta fatica e spesso rivelavano dove si
trovava il penny prima ancora che lo sperimentatore glielo chiedesse.
istituto i primi anni di vita, presentavano situazioni peggiori rispetto a quelli in affido.
Partendo da questo presupposto, Bowlby, giunse alla conclusione che, anche se si ha
sofferto di deprivazione nei primi sei mesi di vita, un infante può essere salvato da una
cura tempestiva e adeguata, mentre oltre i due anni e mezzo non ci sarebbero risultati
positivi.
Necessario, quindi per uno sviluppo sano è una relazione continua, intima e affettuosa.
RICERCHE SUGLI ANIMALI
Quando si parla di etologia si intende lo studio del comportamento animale finalizzato
alla sopravvivenza e all’adattamento, attraverso la combinazione di raccolta di dati. Tra
gli autori che spiccano di più c’è Lorenz. Egli ha studiato il processo dell’imprinting=
processo adattivo che permette di formare un legame di attaccamento con l’individuo
‘’giusto’’ che lo sosterrà e lo proteggerà; osservando gli uccelli appena usciti dalle uova
rileva che il primo oggetto che vedevano in movimento (solitamente la madre) era
oggetto di imprinting. Non è necessario che il primo oggetto sia una creatura vivente ma
può essere anche una palla, una scatola… Un altro aspetto chiave di questo processo è
l’irreversibilità, cioè una volta che l’animale ha ricevuto l’imprinting non può più riceverne
di nuovi.
I comportamenti di imprinting negli animali, sono simili a quelli degli infanti umani.
Il secondo autore importante è Harlow, egli separò subito dopo la nascita alcuni
macachi dalla loro madre chiudendoli in gabbie isolate, a questo punto egli notò che i
macachi che ricevevano regolarmente attenzione da una madre-surrogata umana (che
forniva loro cibo, calore e conforto) avevano maggiore possibilità di sopravvivenza.
Successivamente aggiunse nelle gabbie isolate una madre-surrogato fatta di fili di
metallo come fonte di cibo, e un’altra madre-surrogato di stoffa: escludendo i momenti
di nutrizione, le scimmie mostravano la loro preferenza per il modello di stoffa che
percepivano come base sicura.
Le profonde conseguenze negative sperimentate dagli animali allevati lontano dalle loro
madri offrono sostegno all’ipotesi della deprivazione materna di Bowlby.
CRITICHE ALLA TEORIA DI BOWLBY
Il successo della teoria originaria di Bowlby deve essere collocato nel contesto del suo
tempo ovvero anni Quaranta e Cinquanta. Tra le critiche più forti:
• Critica all’ipotesi della deprivazione materna: riprendendo l’esperimento di Harlow, si
notò che gli effetti dell’isolamento sulle scimmie erano reversibili in certe condizioni
• Non si parla più di ‘periodo critico’ ma di ‘periodo sensibile’: durante il quale i legami
affettivi si forgiano più facilmente che in altri momenti della vita.
• Critica allo studio di Goldfarb: non si poteva essere sicuri che gli effetti negativi sui
bambini fossero dovuti alla separazione dalla madre anziché ad altri fattori collegati
all’istituzionalizzazione
• Critica alla monotropia: il fatto che, dopo condizioni di deprivazione, i piccoli di uomo
e di animale possano continuare ad avere relazioni, indica che tali condizioni possono
anche non essere profondamente dannose
MISURARE L’ATTACCAMENTO
L’idea secondo cui bambini diversi possono raggiungere diversi tipi di sicurezza
nell’attaccamento spetta a Mary Ainsworth: osservò i comportamenti del gruppo etnico
in Ganda e li paragonò a campioni di popolazione americana. Notò differenze nell’ansia
da separazione e nell’intensità dell’angoscia dell’estraneo ma contemporaneamente
lo prende in braccio
In realtà, l’associazione tra sensibilità materna e attaccamento sicuro non è certa: una
minoranza di bambini che ha subito maltrattamenti riesce a formare attaccamenti
sicuri con il caregiver e buone relazioni con altri senza necessariamente presentare un
attaccamento disorganizzato.
Più recentemente nelle caratteristiche fondamentali della madre è subentrato il
concetto di mind-mindfulness: capacità del genitore di porsi in relazione con il proprio
figlio considerandolo come un individuo dotato di pensieri, stati mentali e sentimenti
propri, usando un linguaggio in cui si fa riferimento agli stati psicologici interiori del
figlio stesso.
IMPORTANZA DEL PADRE
La letteratura sull’attaccamento materno è molto più ricca di quella
sull’attaccamento paterno, ed è pertanto necessaria una maggiore quantità di
lavoro per entrare a fondo a questa relazione. La ricerca attuale conferma l’idea che
i padri svolgano un ruolo differente da quello delle madri in quanto, il loro intervento
negli aspetti emotivi e pratici è minore; occupano più tempo invece a giocare con i
bambini offrendo stimoli fisici piuttosto che i giochi tradizionali che propone la madre
che stimolano l’interazione affettuosa. E’ per questo che in generale, gli infanti
preferiscano rivolgersi alla madre piuttosto che al padre.
IMPATTO DELLA CURA QUOTIDIANA
Le modalità alternative di cura (parenti, baby-sitter, puericultrici o scuole dell’infanzia)
mettono a disposizione un aiuto alle madri che devono tornare a lavorare, tuttavia
sono da considerare la qualità della cura e il contesto familiare in cui essa si inserisce.
Inizialmente era in voga l’idea che affidare gli infanti a cure extra-genitoriali
provocasse un attaccamento insicuro (Bowlby), più avanti lo stesso Belsky sostenne
prima che non ci fosse nessuna evidenza nello sviluppo di un attaccamento non
sicuro, poi che l’attaccamento risultava certamente insicuro; ricerche successive
hanno dimostrato che non è certa la correlazione cure extra-
genitoriali/attaccamento, molto dipende dal legame con la madre, in alcuni casi si
sviluppa un attaccamento insicuro, in altri l’attaccamento si rafforza, insieme
all’indipendenza e alle interazioni sociali.
ATTACCAMENTO OLTRE L’INFANZIA
MODELLO OPERATIVO INTERNO
La funzione centrale è che il bambino apprenda come relazionarsi: costruisce
aspettative su di sé, sugli altri formando il cosiddetto modello operativo interno (MOI).
La componente MOI dell’attaccamento oltre che a elementi comportamentali ed
emotivi, si attribuisce anche una parte cognitiva. Di conseguenza, i diversi tipi di
attaccamento sono rappresentati da diversi MOI (es. bimbo con un attaccamento
sicuro)→il MOI del caregiver sarà di attenzione e calore (es.bimbo con attaccamento
insicuro)→il MOI del caregiver sarà di freddezza e insicurezza
ATTACCAMENTO NELLA TARDA INFANZIA E NELL’ADOLESCENZA
Il MOI fornisce al bambino sicurezza e autostima necessarie a sviluppare relazioni più
intime con familiari e amicizie con i pari.
La Main, ha ideato delle varianti alla Strange Situation al fine di misurare le qualità delle
relazioni nei bambini in età prescolare; rilevò che i bambini che a dodici mesi avevano
manifestato un attaccamento sicuro continuavano a mostrare una maggiore apertura
Le emozioni sono dei vissuti oggettivi, degli stati mentali multi-componenziali, che possono
essere compresi in termini dei processi sottostanti, quali la tendenza all'azione, la
valutazione cognitiva, il desiderio di raggiungere uno scopo, il coinvolgimento di tutto il
corpo e delle energie personali; hanno la durata nel tempo e un'intensità e svolgono
un'importante funzione adattiva. Hanno anche una base biologica nel cervello.
Il cervello umano è predisposto a rilevare stimoli importati dal punto di vista emotivo e a
rispondere in modo differenziato in base alla loro valenza. Già a 7 anni di vita, i bambini
mostrano più segnale di attenzione nell'elaborazione di un volto spaventato che di un
volto felice. Da un punto di vista evolutivo, i bambini sarebbero predisposti a prestare
maggiore attenzione a stimoli negativi, che possono indicare pericolo, che a stimoli
positivi o neutri.
Nonostante le emozioni abbiano queste importanti base neurobiologica, risentono
profondamente di influenze culturali e ambientali. Non sarebbe possibile capire come,
perché e quando si esprimono emozioni senza considerare i fattori culturali.
ciascuna emozione. È difficile distinguere in maniera netta emozioni della stessa tonalità
che vengono vissute insieme.
È più semplice riuscire a definire la sensazione positiva o negativa legata a un'esperienza,
così come il livello di attivazione, più che una specifica emozione. Altre volte è difficile
anche definire la tonalità emotiva, perché si trovano emozioni miste o ambivalenti, cioè
di valenza opposta. È solo verso i 7-8 anni che il bambino ne diventa consapevole.
Possiamo considerare le emozioni come risultato di un processo complesso che scaturisce
da l'insieme di tutte queste componenti.
L'emozione dipende anche dalla novità dell'evento o dalla variazione della situazione.
Le reazioni emotive sono pertanto flessibili e si adattano all'individuo e alla situazione, con
l'obiettivo di salvaguardare i propri desideri e interessi e le relazioni sociali.
LE EMOZIONI PRIMARIE
Sono considerate emozioni primarie quelle che hanno uno specifico substrato neurale e
natura innata, e che hanno una funzione adattiva specifica. Sono presenti fin dalla
nascita e vengono espresse e comprese in modo simile in ogni popolazione umana,
indipendentemente dalla cultura. Con l'età, i bambini diventano in grado di esprimere e
organizzarli in modo sempre più complesso.
Sistema piacere-gioia
- 0-2 mesi: il bambino produce il sorriso endogeno, che è una manifestazione di uno strato
di benessere interiore, ma non è indirizzato all'esterno.
- 2 mesi: il sorriso esogeno viene prodotto in risposta a stimoli acustici o visivi che perlopiù
riguardano il volto è la voce delle persone familiari.
- 3 mesi: compare sorriso sociale selettivo, che segnala uno stato emotivo positivo come
risposta specifica determinate persone e che ha un ruolo fondamentale di iniziare e
mantenere uno scambio sociale.
- 4 mesi: si assiste alla comparsa delle emozioni vere e proprie della gioia
- 8 mesi: la gioia viene recitata dal significato che il bambino da all'evento.
Sistema di circospezione-paura
- prime settimane di vita: il bambino sperimenta forme di disagio indifferenziato.
- 3-6 mesi: di fronte a stimoli che non riesce ad assimilare come familiari mostra
circospezione, il precursore della paura
- 6 mesi in poi: Compare la paura vera e propria, come reazione a stimoli valutati come
minacciosi.
Sistema frustrazione-rabbia
- 0-3 mesi: iniziale manifestazione di agitazione e reazione di disagio dovute all'intensità
dello stimolo.
- 3-6 mesi: nel tentativo di scaricare la tensione dovuta uno specifico stimolo, compare il
precursore della rabbia, cioè la frustrazione
- 6 mesi: la frustrazione si sviluppa in risposte sempre più organizzate di rabbia e collera
LE EMOZIONI SECONDARIE
Si chiamano secondarie quelle emozioni che necessitano di autoconsapevolezza e
introspezione e di una base di sviluppo cognitivo che consenta di riconoscere, valutare e
interiorizzare norme e standard sociali. Sono influenzate dall'apprendimento, dal contesto
e dalla cultura e non sono caratterizzate da pattern di attivazione fisiologica specifici,
anche se presentano aspetti espressivi abbastanza tipici.
Possiamo includere tra le emozioni secondarie l'imbarazzo, la vergogna, il senso di colpa,
l'orgoglio e la superbia, ma anche l'empatia, l'invidia e la gelosia.
Le prime emozioni autocoscienti compaiono tra i 15 e i 24 mesi e necessitano che si sia
sviluppata la consapevolezza di sé. Solo quando questo avviene, il bambino riesce a
sperimentare le prime emozioni autocoscienti, come l'imbarazzo o l'empatia.
Successivamente, intorno ai 30 mesi, grazie ad un ulteriore sviluppo di abilità cognitive,
emergono anche emozioni più complesse come la vergogna, senso di colpa, l'orgoglio e
la superbia. Affinché il bambino posso provare queste emozioni, c'è infatti prima di tutto
bisogno che riconosca la propria individualità, e che abbia sviluppato più sofisticate
capacità sociali e cognitive per comprendere alcuni aspetti del contesto e valutare sé
stesso o il proprio comportamento.
Le emozioni secondarie continuano ad affinarsi durante gli anni prescolari e la
fanciullezza.
A 2 anni i bambini si autovalutano e riescono a vedersi dalla prospettiva di un adulto che
li apprezza, ma sarà solo intorno ai 3 anni che avranno interiorizzato un metro interno di
giudizio che consentirà loro di provare orgoglio anche l'assenza della reazione
dell'adulto. Il processo di sviluppo che coinvolge la consapevolezza e la verbalizzazione
di tali emozioni è tuttavia ancora più lungo.
Dopo i 5 anni compare la capacità di individuare gli aspetti fondamentali delle emozioni
I bambini non imparano tutto ciò in modo automatico e spesso possono confondere i
segnali fisici, che sono parte del processo emotivo che preparano l'individuo ad agire,
con sintomi dolorosi o di malattia (es. tensione allo stomaco che riguarda l'avvicinarsi di
un compito scolastico). Spesso gli adulti guidano i bambini nella comprensione di questo
legame, pertanto spiegano l'associazione tra un evento e una reazione fisica ed emotiva
e forniscono anche l'etichetta emotiva appropriata, insegnando quindi ai bambini un
vocabolario emotivo. Gli infanti hanno bisogno di imparare quando esprimere una certa
Molti bambini però crescono in contesti con una doppia cultura----> sono stati condotti
vari studi sull'espressione e la comunicazione delle emozioni in bambini e adolescenti
marocchini(cultura di tipo collettivistico) che vivono nei Paesi Bassi (cultura di tipo
individualistico)----> risultati che adolescenti marocchini tendono ad esprimere la rabbia
sia in modo indiretto, come i coetanei che vivono in Marocco, che in modo diretto,
come adolescenti olandesi, ma comunicano meno aggressività dei compagni olandesi.
Tali risultati evidenziano un pattern di comunicazione della rabbia funzionale per chi
appartiene a due culture, ma sottolineando anche l'importanza dei modelli culturali
collettivistici che valorizzano i buoni rapporti nel gruppo.
LA REGOLAZIONE EMOTIVA
La consapevolezza è un prerequisito anche per la regolazione, se per esempio la rabbia
può essere accettabile entro certi limiti, superare tali livelli può essere dannoso. Essere
sopraffatti dalle emozioni e non riuscire a gestirle può essere una condizione di rischio per
sviluppare disturbi psicopatologici, come la depressione, pertanto è necessario anche
saper gestire l'intensità delle emozioni che si provano. A tale forma di regolazione la
letteratura si riferisce anche come COPING. Ci sono diverse strategie di coping, la prima
che osserviamo nei bambini di pochi mesi è il tentativo di evitare uno stimolo negativo.
Già a tre mesi i bambini distolgono lo sguardo da qualcosa che non gradiscono, per
arrivare alla fine del primo anno ad allontanarsi fisicamente da una situazione
indesiderata. La ricerca di supporto sociale è un'altra buona strategia a qualsiasi età, per
esempio, nei bambini di pochi mesi si esprime come ricerca di vicinanza e conforto
affettivo, mentre i bambini più grandi chiedono direttamente aiuto agli adulti e gli
adolescenti cominciano a rivolgersi al loro gruppo di pari. Quando poi i bambini
diventano più autonomi, provano a risolvere le difficoltà da soli, cioè attuano il PROBLEM
SOLVING.
Oltre a questi tentativi i preadolescenti, anche grazie a una migliore capacità di meta-
cognizione, riescono a considerare diverse prospettive e le varie opzioni a livello astratto.
Ciò apre la strada a strategie cognitive di livello superiore, che si affiancano a quelle
comportamentali. I preadolescenti adesso possono pensare alla situazione e provare a
cambiare il loro punto di vista su di essa, valutandola da un'altra angolazione per
comprenderla meglio: si tratta della cosiddetta rivalutazione cognitiva (REAPPRAISAL).
Un'altra strategia cognitiva è la minimizzazione, cioè sminuire qualcosa per sentirsi meno
tristi o arrabbiati per il fatto di averla persa. tali strategie non servono tanto a cambiare il
problema, quanto piuttosto a modificare i pensieri e le emozioni dell'individuo relativi al
problema.
L’ EMPATIA
L'empatia è una risposta affettiva a uno stato interiore altrui, la capacità di sentire ciò
che sente l'altro. Chi prova empatia ha a cuore il benessere di un altro ed è spinto ad
aiutare o sostenere la persona che ha bisogno, pertanto si prova empatia quando si
osserva qualcuno che soffre o è a disagio; è anche chiamata "colla sociale" perché
rafforza il legame tra i membri di un gruppo e la cura reciproca.
L'empatia è costituita da diversi aspetti: nel primo anno di vita, quando un bambino
comincia a piangere, un altro bambino che lo sente inizierà a piangere a sua volta. A
quest'età, sembra che gli esseri umani siano programmati neurologicamente per sentire
le emozioni degli altri, che diventano contagiose. Però tutto ciò non è utile nel confortare
il primo bambino che piange, perciò devono imparare che la sensazione che stanno
provando non è la loro reazione affettiva a un evento, ma è l'emozione dell'altra persona
e, soprattutto, devono imparare come regolare il loro livello di attivazione. Se diventano
loro stessi turbati, come possono confortare l'altro? solo dal secondo anno di vita, i
bambini diventano consapevoli della distinzione tra sé e altro e cominciano a regolare le
emozioni in modo più consapevole. Ma ciò non basta. È molto utile che i bambini
capiscano anche la causa del disagio altrui, in modo tale che il supporto che offrono sia
davvero efficace.
I Bambini più grandi e in particolare gli adolescenti tendono a parlare delle loro emozioni
più che a mostrarle. Una ragazza che ha avuto una delusione sentimentale condividerà
la sua sofferenza parlando con la sua migliore amica, che, per tirarla su di morale deve
comprendere bene la situazione. Questo aspetto dell'empatia si chiama "empatia
cognitiva", per la quale è necessaria una teoria della mente. La comprensione che i
desideri e le credenze possono differire dai propri, si sviluppa pienamente intorno ai 4
anni. A quest'età assistiamo anche a un livello superiore di empatia cognitiva, che,
continua a svilupparsi via via che la teoria della mente si fa più sofisticata. In realtà,
Il focus della vergogna è sul sé (IO ho fatto una cosa orribile), per cui l'individuo si sente
svalutato come persona, inferiore o carente rispetto a regole o modelli sociali. Al
contrario, nel caso del senso di colpa, l'oggetto di valutazione è il comportamento agito
o non agito (io ho fatto UNA COSA ORRIBILE). Da questo punto di vista la vergogna è
un'emozione più dolorosa e più pericolosa per lo sviluppo dell'autostima e di positive
relazioni sociali.
Tra le due emozioni, il senso di colpa è quello maggiormente legato alla moralità perché
scaturisce in seguito ad una trasgressione di cui ci si sente responsabili, la vergogna
invece ha un carattere morale quando viene elicitata da un'azione che causa un danno
a qualcuno, ma può emergere anche indipendentemente dalla moralità, quando il
proprio comportamento non è approvato, ma non causa del male agli altri. Hanno
ipotizzato che ciò che caratterizza l'emergere di queste emozioni sono i contesti e le
situazioni: le situazioni morali (trasgressione) elicitano senso di colpa e vergogna, mentre
situazioni non morali (in cui è presente solo l'aspetto dell'identità non voluta) elicitano
vergogna.
relazioni, disturbi emotivi, ansia e depressione. In altri casi le reazioni alla vergogna sono di
tipo esternalizzato-----> alcuni sostengono che la rabbia per sentirsi svalutati può portare
le persone a scaricare tale ostilità sugli altri attraverso accuse, risentimento,
comportamenti aggressivi, con l'obiettivo di difendere la propria autostima e
riguadagnare un senso di controllo, superiorità, potere. In un circolo vizioso, riconoscere
l'inadeguatezza di tali reazioni induci ulteriore vergogna. Tuttavia, queste reazioni sono
fortemente influenzate dalla cultura e da come vengono vissute le emozioni morali nelle
società individualistiche e in quelle collettivistiche. Nelle prime, la vergogna è in genere
percepita come un'emozione negativa e indesiderabile, associata a diminuzione
dell'autostima e all'evitamento delle interazioni sociali; in questo caso è soprattutto il
senso di colpa che risulta infatti funzionale come meccanismo di controllo sociale nelle
culture occidentali. Infatti, quest'emozione consente all'individuo di assumersi la
responsabilità delle sue azioni e genera desiderio di riparare, aspetti apprezzati nelle
società occidentali.
L’ORGOGLIO E LA SUPERBIA
Indichiamo le caratteristiche dell'orgoglio e la superbia che, secondo Lewis (1992), sono
l'altra faccia della medaglia del senso di colpa e della vergogna.
Invece, la superbia, come la vergogna, coinvolge l'intero sé, che si sente superiore agli
altri ed estremamente gratificato. Indica un eccesso di fiducia in sé stessi, vanagloria,
arroganza, insolenza, presunzione. L'individuo che vuole mantenere questa emozione,
che non è legata a un'azione specifica, deve modificare costantemente i propri obiettivi,
criteri di successo e di condotta.
Le emozioni morali intervengono nella regolazione dei rapporti sociali e sono funzionali a
un vivere civile. Il disagio prodotto da queste emozioni induce l'individuo a cercare di
porre rimedio a un comportamento dannoso (senso di colpa) o a salvaguardare una
buona immagine di sé (vergogna), cose che contribuiscono a mantenere o migliorare
buone relazioni con gli altri. Vari studi sono stati condotti per approfondire le emozioni
morali di bambini e adolescenti coinvolti nel bullismo----> i risultati sono concordi nel
rilevare un'associazione tra basso livello di senso di colpa e bullismo. I bambini che
mettono in atto prepotenze non si preoccupano di danneggiare gli altri. Il fatto di non
assumersi la responsabilità delle proprie azioni, di contro, facilita ulteriori azioni aggressive
perché elimina eventuali freni inibitori forniti dal rimorso o dalla coscienza di aver
trasgredito delle regole. I bambini che tendono ad aiutare e a difendere i compagni
vittima, e che quindi sono riconosciuto come empatici e competenti socialmente,
mostrano elevati livelli di senso di colpa, cosa che sottolinea la funzione adattiva di
questa emozione.
CONCLUSIONI
Il bambino è predisposto per natura a provare emozioni diverse che si attivano a livello
corporeo, ma è solo grazie ai legami affettivi e all'interazione con gli altri, caregiver, pari,
altri adulti significativi, oltre che al contesto culturale in cui è immerso, che impara come
interpretare correttamente gli eventi e le emozioni corrispondenti, come esprimere
emozioni, regolarle ed utilizzarle.
TEORIE DI RIFERIMENTO:
Sulla base delle 9 dimensioni, furono presi in esame altri dati e rilevarono che alcune
caratteristiche andavano insieme —> Hanno incasellato i bimbi in 3 diversi tipi di
temperamento:
1. BIMBI FACILI : socievoli, adattabili, umore positivo, lieve intensità nelle reazioni
emotive (circa il 40%)
2. BIMBI LENTI A SCALDARSI : tendono a fuggire uno stimolo nuovo ma, in seguito
vi si adattano gradualmente; hanno in genere un umore negativo e
manifestano poche reazioni emotive (circa il 15%),
3. BIMBI DIFFICILI : non si adattano facilmente alle nuove esperienze; hanno
prevalentemente umore negativo e una forte intensità emotiva (circa il 10%).
Sono quelli a cui i ricercatori erano maggiormente interessati visto lo scopo della
loro ricerca
! Avanza un 35% dei bambini xche era difficile incasellarli tutti in queste tre categorie
vista l’individualità del temperamento
Problematica della teoria delle 9 dimensioni: mancanza di indipendenza tra le
dimensioni —> che ha spinto gli studiosi successivi a sviluppare modelli che
comportano un numero minore ma più ampio di elementi, utili a descrivere le differenti
tendenze comportamentali dei bambini.
(Propongono anche il “goodness of fit” che è spiegato sotto)
Studi su gemelli sia omozigoti che eterozigoti : evidenti correlazioni dei tratti EAS tra
gemelli omozigoti ma nessuna correlazione tra gemelli eterozigoti —> conclusione:
temperamento dipende molto dalla genetica
Altro studio: studi longitudinali —> seguire sviluppo bimbi nel tempo permette di
indagare il grado di stabilità dei tratti nel corso dei primi 4 anni di vita —> i tratti EAS
sono moderatamente stabili tra il primo e il quarto anno di vita
Metodo: intervista e questionari ai genitori
Qual è il problema dei questionari dato a i genitori? Non tiene conto dei bias dei
genitori. La percezione/ aspettativa del genitore varia da genitore a genitore (ex:
“quanto è attivo il figlio?” Il genitore risponde diversamente non solo in base all’attività
del bimbo ma anche influenzato dal proprio livello di attività) —> portate diverse critiche
su questa base a Tomas e Chess e a Buss e Plomin —> come si può risolvere questo
problema? Osservando direttamente i bambini (vedi Kagan).
D. ROTHBART : l’autoregolazione
Ritiene che l’autoregolazione sia uno dei tratti base del temperamento —> “gli individui
differiscono nel modo in cui regolano o gestiscono le proprie risposte” —> il
temperamento del bambino e il modo in cui l’ambiente (genitori/insegnanti) risponde a
tale temperamento possono favorire o rendere più difficile lo sviluppo
dell’autoregolazione
Effortfull control (Controllo volontario) = soppressione volontaria di una risposta allo
scopo di metterne in atto un’altra più appropriata
Può essere valutata già nei bambini di due anni e mezzo o tre tramite un compito di
conflitto spaziale progettato dalla R. : compito della prova compatibile e
incompatibile. (Molto simile alla prova dell’arrow task) —> Verso i tre anni si osservano
decisivi miglioramenti che sembrano indicare la presenza del primo sviluppo del
sistema neuronale finalizzato a questo tipo di funzione esecutiva o di controllo
volontario.
Sé oggettivo o categorico: il riconoscimento del sé come persona che è vista dagli altri
ed è definita dagli attributi e dalle qualità usate per definire gruppi di persone.
Superati i due anni infatti, i bambini iniziano a collocarsi all’interno di una serie di
categorie e diventano consapevoli del fatto che possono essere considerati in relazione
a tali categorie.
Sé allo specchio: abbiamo visto come la consapevolezza di sé di un bambino (sé
esistenziale) e la sua successiva comprensione del proprio ruolo (sé oggettivo) siano
influenzate da fattori sociali
Secondo Cooley e Mead, con l’idea di sé allo specchio, gli altri costituiscono uno
specchio in cui ci possiamo vedere riflessi, e tramite cui costruiamo i nostri sensi del sé, a
partire dai punti di vista che gli altri possono avere su di noi e che noi giungiamo a capire.
Attraverso scambi sociali come il gioco i bambini giungono a gradualmente a
considerare i punti di vista degli altri su di sé. Second Cooley e Mead un bambino non
può sviluppare un senso del sé senza interagire con gli altri.
Autostima
I bambini spesso riflettono su di se e si valutano e tali valutazioni formano una parte
importante del loro concetto di sé: l’autostima.
Susan Harter (menzionata prima per autodescrizioni bambini), ha individuato cinque
contesti utili a giudicare l’autovalutazione dei bambini: 1. Competenza scolastica, 2.
Competenza sportiva, 3. Accettazione sociale, 4. Aspetto fisico, 5. Condotta
comportamentale.
Harter afferma inoltre che l’autostima dipende dalla discrepanza tra Sé Ideale e Sé
Reale: tanto più essa è maggiore tanto meno sarà l’autostima dell’individuo.
A mano a mano che crescono i bambini avranno una sempre più coerente visione di sé,
più o meno allineata con quella che gli altri hanno di lui. Si può perciò considerare che le
valutazioni degli altri agiscano come elementi del sé allo specchio.
CAPIRE LE CATEGORIE DI GENERE: L’IDENTITÀ DI GENERE NEI BAMBINI
Abbiamo visto che quando il concetto di sé diventa stabile i bambini categorizzano se
stessi e gli altri in base a fattori come età, genere e etnia. Le categorie sociali sono gruppi
di persone che condividono attributi comuni. Lewis e Brooks-Gunn sostengono che il
genere sia tra le prime categorie sociali ad essere apprese.
Dai nove ai dodici mesi i bambini sanno già distinguere volti maschili e femminili.
Dai dodici ai diciotto sanno distinguerli attraverso etichette verbali (mamma/papà)
Entro i tre anni di età, la maggior parte dei bambini può etichettare correttamente il suo
genere.
Nella teoria dello sviluppo cognitivo (Kohlberg 1966), si descrive lo sviluppo dell’identità di
genere come un processo di tre tappe:
1. ETICHETTAMENTO DI GENERE (<3 anni): identificazione corretta di se stessi e degli
altri come appartenenti all’uno o all’altro genere
2. STABILITA’ DI GENERE (4 anni): la comprensione che l’appartenenza ad un gruppo
di genere è di norma stabile e permanente nel tempo
• il modellamento: gli stessi agenti fungono da modello dei ruoli di genere (padri e
madri che si dedicano a differenti incombenze domestiche)
Ci sono 3 tipi di agenti fondamentali:
1. Adulti: i genitori sono stati osservati ricompensare comportamenti conformi a stereotipi
di genere, incoraggiando bambine a coccole e carezze e i bambini al gioco e attività
fisiche (lewis,1975)
2. I pari: i bambini nella prima infanzia passano molto tempo a scuola dove tutti i
bambini portano la loro esperienza sui ruoli di genere cercando confronto e conferme
e di fatto entro i 3-4 anni i bambini riconoscono l’adeguatezza al genere dei giochi e
delle attività e denigrano i bambini che non sono conformi ad essi.
3. I media: i media forniscono un modello di comportamento consono per maschio e
femmina. Inoltre uno studio della Huston ha dimostrato che sebbene il tempo trascorso
davanti alla tv non cambiasse in dipendenza al genere, ciò che i bambini e le
bambine guardavano differiva di molto. I bambini sono infatti più orientati a contenuti
di azione, le femmine invece più alle persone.
FANCIULLEZZA/ETA’ SCOLARE
Già entro la fine del primo anno di scuola i bambini manifestano un forte senso di
appartenenza al gruppo di pari perché trascorrono la maggioranza del tempo a scuola
svolgendo attività libere e meno strutturate dagli adulti.
Quando il gruppo inizia a crescere, le attività al suo interno diventano più complesse ed
essendo ogni membro unico, favorirà la capacità di riconoscere le diversità, prospettive
e motivazioni altrui e perfezionare i ruoli sociali.
La maggior libertà di poter scegliere chi frequentare tra i compagni permette di
distinguere tra maschi e femmine che da questo punto in poi percorreranno strade
separate e distinte per la struttura e la natura delle interazioni. A partire dai 7 anni i
maschi svolgono soprattutto sport di squadra mentre le femmine tendono a formare
gruppi ristretti tra amiche dedite ad attività più organizzate e tradizionali.
I gruppi tra pari sono molto forti e tendono ad influenzare la formazione di stereotipi dei
comportamenti di genere, tendenzialmente i bambini tendono a stare con persone dello
stesso sesso con cui svolgono attività in conformità agli stereotipi di genere e che trovano
i maschi più competitivi e le femmine impegnate in attività che favoriscono la
collaborazione.
ADOLESCENZA
L’adolescenza è il periodo in cui il gruppo di pari esercita la maggiore influenza,
agevolata dalla condivisione di un tempo più lungo trascorso a scuola e da una maggior
libertà di frequentare i pari nel tempo libero.
Lungo il percorso che va dall’infanzia all’adolescenza, il gruppo tra pari si forma in modo
evidente e la natura e le funzioni delle interazioni al suo interno si trasformano. Si passa da
scambi in cui il genitore ha un ruolo chiave a una sempre maggiore autonomia dovuta
all’ampliarsi delle abilità sociali, esperienze e al ridursi della supervisione. In questo
periodo la famiglia rimane il punto di riferimento principale e i pari favoriscono
l’autonomia.
GIOCO
L’attività più diffusa tra bambini in età scolare è il gioco, un’attività piacevole e per
questo molto studiata per definirne l’utilità in un quadro educativo. Howard ha compreso
che quando apprende divertendosi, il bambino impara di più probabilmente per una
maggiore motivazione all’interno di un ambiente di divertimento.
Visto che i bambini assorbono informazioni, conoscenze e abilità da qualcosa che si
sentono motivati a fare, negli ultimi decenni c’è stata una forte spinta verso
l’apprendimento tramite il gioco negli asili in modo da offrire una maniera naturale di
apprendere.
Il gioco è fondamentale nella relazione tra pari e la sua complessità aumenta con l’età e
con i tipi di sviluppo e agevola la pratica di abilità sociali e cognitive. Spesso, per far
procedere il gioco, il bambino dovrà tenere a freno la propria volontà nell’interesse
dell'attività condivisa, il che richiede la consapevolezza della volontà dei pari, la
capacità di regolare i propri comportamenti ed emozioni perfezionando le abilità.
I bambini fino a 5 anni trascorrono molto tempo in attività solitarie per cui si sono
individuati i giochi sociali da quelli che non lo sono e quali tipi di apprendimento sono ad
essi correlati. Parten ha individuato 6 categorie di interazioni sociali (funzionale, simbolico,
di finzione, costruttivo, strutturato).
Sebbene il gioco in solitaria sia il preferito in età prescolare, si osserva un notevole
aumento del tempo trascorso nella forma più complicata di gioco sociale che è il gioco
di finzione, il gioco simbolico è affine ma più semplice, vi è poi il gioco di lotta altra forma
semplice sottovalutata.
Gioco:
• funzionale (primi 2 anni) semplice, attività con o senza giocattoli (correre, far
rimbalzare la palla ..)
• simbolico (2-6 anni) rappresentazione di eventi/oggetti assenti attraverso quelli
disponibili o attraverso il proprio corpo (fingere di prendere del cibo da un piatto
vuoto o dalla mano..)
• di finzione/sociodrammatico (2-6 anni) interpretazione di ruoli o svolgimento di giochi
finti che implicano ruoli sociali veri o immaginari (giocare a mamma e papà ..)
• costruttivo (3-6 anni) creazione o costruzione di un oggetto tangibile o sua
rappresentazione (usare i mattoncini ..)
• strutturato (dai 6 anni) giochi strutturati con regole accettate pubblicamente (calcio..)
GIOCO SIMBOLICO
La prima descrizione e interpretazione del primo gioco dei bambini è stata fornita da
Piaget (1945); egli ha fornito 3 stadi in sequenza: gioco sensomotorio (attività funzionali
fondamentali), gioco simbolico o gioco per finta (15mesi-6anni, inizio del rappresentare
simbolicamente qualcosa non presente nell’ambiente immediato, cognizione simbolica)
e il gioco di finzione (repertorio comportamentale più ampio, spesso associato l’uso del
linguaggio, coinvolge più di un bambino).
GIOCO DI FINZIONE
Chiamato anche gioco di ruolo o sociodrammatico, riflette in modo più ampio lo
sviluppo delle rappresentazioni nelle abilità cognitive del bambino. Emerge dai 2-3 anni,
diventa più complesso con l’inclusione dei pari, segna i progressi fondamentali delle
precedenti simulazioni solitarie. Fino ai 2 anni le simulazioni sono rigide cioè imitano gli
adulti senza rappresentati eventi immaginari o sostituire gli oggetti realmente adoperati
con altri (es. sostituire una tazza con la mano).
Prima del coinvolgimento dei pari, il bambino utilizza delle bambole o altri giochi iniziando
a comprendere le differenti prospettive tra i partecipanti alle interazioni.
Successivamente, quando avrà a che fare con altri bambini inizierà ad essere coinvolto
in un gioco in cui saranno presenti più idee e ruoli, verranno combinati atti immaginari e
negoziazione, il gioco diventa più complesso. Con l’età e l’esposizione alla tv e ai fumetti i
bambini si addentreranno nel mondo della fantasia che il bambino utilizzerà per giocare
anche se avrà coscienza della distinzione tra realtà e finzione.
GIOCO DI LOTTA
Coinvolge l’attività fisica grosso-motoria da svolgere in ampi spazi. Questa forma di
gioco, più comune tra i maschi, implica attività quali lottare, correre, calciare, non è una
lotta vera perché terminato il gioco i bambini proseguono le loro interazioni. Spesso gli
educatori dividono i partecipanti fraintendendo il gioco e ritenendo che possa portare a
comportamenti aggressivi ma ciò in realtà accade molto raramente anzi, la
comprensione delle regole in questa forma di gioco risponde a certe funzioni sociali
nell’ambito del gruppo dei pari.
Il gioco di lotta invece è stato meno studiato, al di là dei miglioramenti della forma fisica,
si è visto che questo tipo di gioco è simile a quello mostrato in altre specie di mammiferi
per cui si pensa che possa svolgere una funzione sociale da una prospettiva
evoluzionistica e prepara la strada alla formazione di una gerarchia di dominanza che
indica la posizione di ogni membro del gruppo all’interno di un contesto di conflitto in
quanto chi vince ha un maggior accesso alle risorse. Durante l’adolescenza, il gioco di
lotta è spesso usato per sfidarsi reciprocamente e cercare di incrementare il proprio
status in una situazione sicura. Questo tipo di gioco non conduce all’aggressività ma ad
un’affiliazione continuata e inoltre i pari che fanno questo tipo di giochi sono in genere
popolari.
In generale quindi il gioco richiede abilità sociali e cognitive come trampolino di lancio
per ulteriori interazioni. Con i progressi della tecnologia vale la pena valutare i potenziali
effetti che può avere sul comportamento interattivo.
bambino sensibile al rifiuto. Sebbene spesso siano privi di abilità sociali necessarie per
interagire in modo efficace, non sempre il rifiuto è dovuto a questo ma alla reazione
intensa dell’essere rifiutati mostrando di conseguenza un comportamento disadattato.
I bambini aggressivi che esteriorizzano il loro disturbo sono più inclini a diventare bulli,
quelli che interiorizzano il loro disturbo cioè si ritirano in loro stessi invece a diventare
vittime di questi bulli.
AMICIZIA DEI BAMBINI
Per amicizia si intende un’associazione reciproca tra 2 o più bambini in cui tutte le parti
coinvolte desiderano stare con le altre e sono più positive e collaborative verso di loro
che verso gli altri pari. Epstein ha individuato 3 principi fondamentali nella selezione degli
amici: vicinanza fisica, condivisione di caratteristiche come età o sesso, condivisione di
interessi e atteggiamenti.
I bambini scelgono di passare maggior tempo con gli amici rispetto agli altri aumentando
la sensibilità, fiducia e intimità. Possono anche avere più contrasti tra loro che con altri
pari perché passano maggior tempo insieme imparando così anche la negoziazione e il
compromesso per risolvere dispute.
PERSONALITA’ E PREFERENZE
Persone simili con più probabilità condividono i punti di vista e ciò vale ancora di più
nell'adolescenza dove l’affermazione reciproca e la cooperazione hanno maggior
importanza. Essi tendono ad essere simili ai loro amici nello status identitario,
nell’orientamento scolastico, nelle credenze politiche, verso l’illegalità. Occasionalmente
AMICIZIA E TECNOLOGIA
A partire dal massiccio incremento dell’uso dei computer e dell’accesso a Internet tutti i
bambini hanno iniziato a fare uso di questi strumenti per stabilire e mantenere amicizie.
Nei primi tempi ha riscosso particolare successo tra i maschi che prendevano parte a
giochi di simulazione per cui era richiesta collaborazione che favoriscono lo sviluppo
dell’identità virile tra gli adolescenti maschi. Ad oggi gli spazi online sono considerati
come un qualsiasi altro ambiente e la differenza di genere rimane anche qui come nella
vita reale. Gli ambienti online rappresentano un rischio perché le identità online possono
essere false e si è più esposti a molestie, razzismo, bullismo e inoltre sono ambienti virtuali
che possono sfuggire di mano al controllo genitoriale.
CONCETTO DI SE’
Il nostro concetto di sé racchiude il modo in cui pensiamo il mondo, struttura le
esperienze, guida la nostra condotta e le nostre relazioni. E’ una definizione che ci mette
in relazione agli altri perché viene costruito nel contesto delle relazioni sociali. Con gli
amici il bambino esplora il proprio ruolo sociale, ha un senso di appartenenza, viene
messo di fronte a personalità diverse permettendogli di esplorare se stesso attraverso
l’identificazione o meno e alla capacità di mettersi nella prospettiva altrui.
Capitolo 15 – Adolescenza
BREVE STORIA
La prima descrizione di questa fase dello sviluppo si ha con i due volumi
Adolescence, pubblicati dallo psicologo e pedagogista Granville Stanley
Hall nel 1904 e con il successivo Youth: its education, regimen and
hygiene (1906) in cui coniò l'espressione “tempesta e impeto” per
descrivere la volubilità emotiva e fisica del turbolento periodo
adolescenziale.
Daniel Offer si oppose a queste conclusioni con The Psychological World of the Teenager
(1969) in cui constatò che la concezione di adolescenza come periodo di sbalzi d'umore
e instabilità ormonale era basata su studi effettuati con adolescenti problematici.
Effettuando studi su adolescenti privi di difficoltà comportamentali ed emotive, egli
concluse che comportamenti disturbanti e sconvolgimenti emotivi non fossero la norma.
Questa teoria venne sostenuta da Jeffrey Jensen Arnett, il quale aggiunse che la
probabilità di vivere la “tempesta e impeto” era maggiore nelle culture industrializzate
che nelle tradizionali.
Con la prosperità economica degli anni '50 l'età media di ingresso nella vita adulta
(inizio attività lavorativa/matrimonio) si è alzata arrivando a 25 anni poiché un maggior
numero di adolescenti continuava a studiare per apprendere le abilità necessarie al
nuovo mercato del lavoro, altamente industrializzato e tecnologico. Attualmente
questo processo è in continua crescita, parallelamente all'aumentare della
complessità del mercato del lavoro.
Adolescenza/pubertà = periodo di transizione dalla tarda fanciullezza (prepubertà)
all'età adulta (maturazione).
CAMBIAMENTI FISICI
Il principale cambiamento è l'inizio della pubertà con successivo sviluppo
della maturità sessuale. Ragazze (10-15 anni): incremento altezza e peso,
sviluppo ovaie, comparsa mestruazioni, sviluppo seno e peli pubici.
Ragazzi (11-18 anni): incremento altezza e peso, produzione spermatozoi, peli su viso e
corpo, aumento dimensione pene.
Cambiamenti neurologici
• Continua la mielinizzazione degli assoni che favorisce una trasmissione più efficiente
delle info alla corteccia frontale.
• Avviene nuovamente la potatura sinaptica (vissuta già nel primo anno di vita) che
garantisce un miglioramento nella trasmissione delle informazioni intra-cerebrali.
• La materia grigia (controllo muscoli, percezione sensoriale, memoria, emozioni,
linguaggio) diminuisce, sostituita dalla bianca (regolazione temperatura, frequenza
cardiaca, pressione sanguigna, espressione emozioni, ormoni, regolazione assunzione
di cibo e acqua). Dai cambiamenti nel lobo frontale risultano miglioramenti in
funzioni come l'attenzione selettiva, il processo decisionale, l'inibizione della risposta,
la memoria prospettica (capacità di ricordarsi di eseguire un'azione in futuro), la
teoria della mente.
• La capacità di riconoscere e interpretare le emozioni e la situazione stessa
diminuisce nella prima adolescenza, per poi tornare nella tarda adolescenza.
A 11 anni si entra nello stadio delle operazioni formali in cui si ampliano le abilità di
risoluzione di problemi astratti → competenze algebriche.
Si sviluppano il pensiero ipotetico-deduttivo → il giovane può analizzare gli eventi e le
possibili ragioni che li giustifichino (ipotesi → risultato reale → punto di vista personale).
e il pensiero astratto/formale → capacità di considerare un concetto ipotetico senza
dover assistere allo svolgersi degli eventi per giungere ad una conclusione logica (es.
comprendere l'enunciato logico: “Se Stefano è più alto di Carolina e Carlo è più alto di
Stefano, chi è il più basso?”).
A differenza di quanto riteneva Piaget non tutti raggiungono questo stadio, uno studio
di Keating (1980) ha infatti osservato che solo nel 40-60% dei casi gli studenti
universitari usano in modo coerente la logica formale.
Alla teoria di Kohlberg sono state mosse diverse critiche, tra cui quella di non prendere
in considerazione il ruolo degli altri nel processo decisionale. Per ovviare a questo si
considera lo Studio di Milgram (1974) (non lo riporto, è quello dell'obbedienza
all'autorità visto anche a Sociale) che vede i soggetti affrontare una questione morale
attraverso l'azione anziché da un punto di vista ipotetico. Successivamente Milgram
condusse ulteriori studi in cui all'”insegnante” si accompagnavano degli “osservatori”
che fornivano commenti. La conclusione è stata che il pensiero ed il comportamento
morale possono essere influenzati dal comportamento delle persone che ci circondano
→ tendenza al conformismo.
SVILUPPO SOCIALE
Nonostante le numerose ricerche si sa ancora poco sull'influenza dei diversi stili
genitoriali sullo sviluppo adolescenziale anche se sono state rilevate differenze nella
percezione dello stile genitoriale da parte dei teenager di diversi paesi. Comunque, ciò
che conta davvero è una buona relazione tra genitori e adolescenti, con un
coinvolgimento intenso da parte del padre.
Anche la struttura familiare è determinante; si è visto che in famiglie integre (biologiche
o adottive) vi è meno aggressività e maggiore qualità di comunicazione tra adolescenti
e genitori, mentre in famiglie separate, divorziate o in cui manca un genitore, i figli
hanno maggiore probabilità di essere coinvolti in conflitti e litigi con pari.
Identità e immigrazione
La ricerca sottolinea l'importanza del mantenimento di un proprio senso di identità
nazionale, in seguito allo stabilirsi in un altro paese. Una ricerca su immigrati russi in
Finlandia ha dimostrato come il ruolo dei genitori che hanno mantenuto le tradizioni
russe sia stato fondamentale per l'incremento dell'autostima e la protezione dalle
discriminazioni razziali → miglior adattamento, orgoglio etnico, identità positiva.
Questo riflette la natura dei gruppi che, nella prima adolescenza, presentano
generalmente omogeneità di genere. Con la crescita, la preferenza dei pari (scelta di
amici che condividano con noi credenze, punti di vista e interessi) perde specificità di
genere, basandosi molto più sulla personalità dei membri. Tra i 16 e i 19 anni si osserva la
tendenza a privilegiare il proprio ingroup che il proprio gruppo di genere.
Adolescenti con:
• attaccamento sicuro (sviluppato in precedenza con il genitore) → sviluppano
amicizie di buona qualità, maggiore integrazione, capacità di staccarsi dal gruppo
se non soddisfa più ibisogni.
• attaccamento insicuro – evitante → presentano maggiore influenza dalla pressione
dei pari e minori probabilità di uscire dal gruppo nonostante comportamenti ritenuti
sbagliati.
Giochi multimediali
Dai risultati della ricerca attuale possiamo concludere che i videogiochi violenti
influenzano gli adolescenti modificandone il livello di violenza accettabile, cosa che
porta all'aumento dei livelli di aggressività nelle interazioni con i pari.
BENESSERE MENTALE
La depressione sembra essere un problema in crescita nella popolazione
adolescente.
Fattori di rischio per le donne: scarsa autostima, insoddisfazione scolastica e famigliare,
mancanza di amicizie intime (motivi perlopiù “interni”).
Fattori di rischio per gli uomini: difficoltà nel risolvere conflitti, problemi con la legge,
mancanza di amicizie intime (motivi perlopiù “esterni”).
L'ambiente famigliare ha influenza diretta (genitori depressi) e indiretta (stile genitoriale
e legame di attaccamento), così come gli eventi scolastici (bullismo e aggressività)
sulla depressione.
Uno studio internazionale ha dimostrato che il bullismo è riducibile attraverso alti livelli di
supervisione genitoriale, un ambiente famigliare politicamente liberale e socialmente
tollerante (che incoraggi l'empatia) e un atteggiamento positivo verso i pari.
Preoccupazioni e coping
Seiffge-Krenke (2000) ha rilevato che, indipendente dalla gravità degli eventi, gli
adolescenti tendono a scegliere una sola strategia di coping (per gestire i cambiamenti
e le emozioni) e a usarla in modo indiscriminato senza considerarne una più appropriata.
Nel lungo periodo gli adolescenti che usano strategie di coping passivo presentano
più facilmente debole adattamento psicologico ai diversi eventi della vita, nonché