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Hendry, l.b.

, kloep, m - "Lo
sviluppo nel ciclo di vita"
Psicologia Dello Sviluppo
Università degli Studi di Cagliari
62 pag.

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LO SVILUPPO NEL CICLO DI VITA
HENDRY, L.B., KLOEP, M.

Capitolo 1
LO SVILUPPO NEL CICLO DELLA VITA

Età cronologica – un marker insufficiente degli stadi della vita.

In alcune società la pubertà rappresenta il confine tra l’infanzia e l’età adulta.


Però ci sono notevoli difficoltà nel delimitare univocamente la condizione di
adulto, pertanto alcune culture hanno definito dei “riti di passaggio” che
ufficializzato la transizione vs. l’età adulta. Alcune società hanno definito:
- il 15° compleanno come data ufficiale (Paesi Latinoamericani),
- la “cresima” come cerimonia ufficiale dell’ingresso nella società adulta
(Scandinavia),
- il diploma di scuola superiore ingresso nella società adulta (Germania).
L’adolescenza è pertanto una transizione soprattutto “normativa” mentre la
pubertà indica una “maturazione”. Se si dovesse ritenere che l’adolescenza si
debba protrarre fino al raggiungimento dell’indipendenza piena e legale dai
genitori, le donne di alcuni paesi come il Marocco, non raggiungerebbero mai
la condizione adulta. Questi due processi interagiscono in modo tale che sono
sperimentati in modi diversi da ogni adolescente.
Quello che si vuole sottolineare è che nello sviluppo del ciclo di vita, le
definizioni di età non sono di nessun aiuto per capire le sfide ed i rischi che
siamo chiamati ad affrontare nel corso della vita.

Capitolo 2
TEORIE DELLO SVILUPPO – CLASSICHE

(Teoria Olistica = Teoria secondo la quale l'organismo non è la


semplice somma delle parti che lo compongono, ma una totalità a
essa superiore.
MODELLO OLISTICO: esamina le somiglianze tra le varie teorie dello
sviluppo per fornire un “quadro di elementi comuni” che permetta di
presentare un modello integrato, esplicativo dello sviluppo del ciclo di
vita: il modello di sfida dello sviluppo)
Quasi tutte le teorie dello sviluppo contengono un elemento di sfida che si
presenta nel momento in cui l’individuo cerca di far fronte alle esigenze della
vita, lo sviluppo avviene se la sfida è superata con successo. Allo stesso modo
quasi tutte queste teorie suggeriscono che se l’individuo non è in grado di
affrontare le sfide sorgono problemi. Il tipo di sfida, la sua origine e il modo in
cui viene descritta variano da teoria a teoria, ma il meccanismo sembra essere
lo stesso in tutte le analisi.

FREUD, 1905 – fasi di sviluppo psicosessuale


Descrive il modo in cui il bambino, nel corso del suo sviluppo, attraversa quelle
che definisce “fasi di sviluppo psicosessuale”. (5 fasi: orale – anale – fallica –
periodo di latenza – fase genitale)
Le sfide sono caratterizzate da conflitti tra desideri personali e richieste sociali.
Se questi sono risolti adeguatamente lo sviluppo procede vs. conflitti
successivi. Se tutte le fasi sono padroneggiate, si avrà uno sviluppo sano,

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altrimenti avvengono delle “fissazioni” che provocheranno successivi problemi
di nevrosi.
L’individuo sano risolve i conflitti tra bisogni personali e costrizioni sociali,
sublimandoli in modo produttivo, mentre l’individuo nevrotico è costretto a
mettere in atto meccanismi di difesa che possono esser in parte efficaci per
poter andare avanti in qualche modo.
1 – fase orale – 1°anno di vita
bisogni incentrati sulla bocca – mangiare, succhiare, masticare, mordere;
conflitti collegati allo svezzamento – tempi alimentazione – tipo di cibo
2 – fase anale – da 1 a 3 anni
bisogni incentrati sull’urinare e defecare;
conflitti nascono nell’insegnare al bambino ad usare il gabinetto
3 – fase fallica – da 3 a 6 anni
bisogni si sviluppano in relazione agli stimoli sessuali. Maschio, desiderio
incestuoso per la propria madre (complesso di Edipo) – femmine per il padre
(complesso di Elettra). Nel 1° è Edipo il fanciullo che detesta la presenza del
padre, nel 2° è la fanciulla che ama il padre ed è gelosa della madre;
conflitti nascono dall’identificazione con il genitore dello stesso sesso
4 - periodo di latenza – da 6 a 11 anni
Gli impulsi sessuali sono repressi ed il bambino si concentra sull’educazione e
sull’interesse per gli altri
5 - fase genitale - oltre i 12 anni
Bisogni sessuali, amore altruistico ed egoistico raggiungono un equilibrio e lo
stimolo alla riproduzione della specie porta a formare relazioni mature.

ERIKSON, 1959 – serie di “crisi”


L’individuo nel corso della vita deve affrontare e risolvere delle “crisi”, queste
saranno risolte attraverso lo sviluppo di abilità psicosociali in stadi di età
differenti.
1) infanzia – fiducia/sfiducia – 1° anno
2) prima infanzia – autonomia/vergogna e dubbio – 1- 3 anni
3) età del gioco – iniziativa/colpa – 3 – 6 anni
4) età scolare – industriosità/inferiorità – 6 – 12 anni
5) adolescenza – identità/confusione – 12 – 20 anni
6) prima età adulta – intimità/isolamento 20 – 40 anni
7) età adulta media – generatività/stagnazione – 40 – 65 anni
8) vecchiaia – integrità/disperazione – oltre i 75 anni
il successo dell’evoluzione attraverso i vari stadi della vita è il pre-requisito
indispensabile per una vecchiaia soddisfacente.

LEVINSON, 1978 – sviluppo attraverso ampie fasi di età da lui definite


“ere”
Ipotesi che lo sviluppo avvenga attraverso il superamento di eventi specifici nel
corso delle “ere”. Il successo ottenuto dall’individuo nell’affrontare le sfide della
vita più importanti che caratterizzano un’era, è considerato la base per la
transizione all’era successiva.

HAVIGHURST, 1972 – Mostra come i vari compiti di sviluppo durante le fasi


della vita, costituiscano le sfide che guidano lo sviluppo.

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Questi autori sono concordi nel definire lo sviluppo come la capacità di far
fronte alle esigenze della vita. Tutti hanno scelto di descrivere le sfide dello
sviluppo presentandole come “compiti” o “crisi” che stimolano lo sviluppo.
Le sfide descritte sono però tutte relative alle società occidentali.
Una eccezione è rappresentata da VYGOTSKIJ – 1930 – proveniente da una
cultura diversa –
Zona di sviluppo prossimale e fasi critiche.
Egli pone l’accento non solo sulle sfide da affrontare, ma anche sulla quantità
e sul tipo di risorse che l’individuo ha a disposizione per superarle con
successo. Rileva l’importanza di strumenti intellettuali, simili ad abilità superiori
(meta-skills), come sostegni per la memorizzazione del linguaggio, sistemi
numerici o concetti scientifici utilizzati in diverse culture per superare certi
compiti dell’apprendimento e dello sviluppo.
Egli pone molta enfasi sull’interazione tra sfide intellettuali e risorse personali.
Per il suo pensiero è cruciale la: distanza tra il livello di sviluppo reale di
un individuo ed il livello di sviluppo potenziale, da lui definita “zona di
sviluppo prossimale”, distanza che può essere ridotta utilizzando le risorse
altrui all’interno di un rapporto di insegnamento/apprendimento.
Vygotskij prende in considerazione l’esistenza di un’interazione dinamica tra
sviluppo intrinseco e forze culturali, in grado di fornire nuove “trasformazioni”,
queste sono definite “fasi critiche” che segnano la transizione verso periodi più
stabili. Lo sviluppo è visto da Vygotskij come un processo dialettico. Come i
teorici occidentali anch’egli ritiene che le sfide siano necessarie per avviare il
processo di sviluppo.

PIAGET, 1964 – considera lo sviluppo un processo di costruzione attivo


e dialettico
Egli si concentra particolarmente sullo sviluppo cognitivo considerandolo un
processo di costruzione attivo e dialettico attraverso il quale gli individui
costruiscono strutture cognitive sempre più dettagliate, diversificate e
complete per cercare di capire l’ambiente che li circonda.
Se le strutture cognitive esistenti non sono sufficienti per la costruzione di un
compito, è necessario costruirne delle nuove per mantenere l’equilibrio
cognitivo.
Questo avviene sia attraverso:
- l’assimilazione: nuovi oggetti o informazioni sono aggiunti alle strutture
cognitive esistenti (aggiunte allo Schema);
- l’accomodamento: cambiamenti nelle nostre strutture cognitive, necessari
per l’assimilazione di nuove esperienze (modifica di schemi esistenti attraverso
l’incorporazione di nuove esperienze che non si adattano ai vecchi schemi,
causando di conseguenza uno squilibrio).
Piaget definisce questo modello di cambiamento dello sviluppo
“dell’equilibrazione”.
I bambini elaborano attivamente una loro comprensione del mondo
interagendo con esso.
La comprensione diventa sempre più complessa man mano che il bambino
attraversa le 4 fasi dello sviluppo cognitivo:
1 - lo stadio sensomotorio (fino ai 2 anni di età).
I bambini esplorano l’ambiente usando i sensi e le capacità psicomotorie in via
di sviluppo. Imparano che gli oggetti sono separati e permanenti e sviluppano
un senso di sé come essere indipendenti.

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2 – lo stadio preoperatorio (dai 2 ai 7 anni di età)
I bambini usano il simbolismo per comprendere l’ambiente, acquisiscono il
senso del presente, passato e futuro e la capacità di pianificare in anticipo le
azioni. La loro visione del mondo è ancora caratterizzata dall’egocentrismo
infatti considerano le esperienze principalmente dalla loro prospettiva.
3 – stadio operatorio concreto (dai 7 agli 11 anni)
I bambini acquisiscono capacità cognitive che li rendono in grado di
comprendere i rapporti con gli oggetti e la visione del mondo degli altri.
Acquisiscono l’abilità di coordinare simultaneamente due prospettive
nell’esprimere i giudizi e cominciano a ragionare in maniera deduttiva.
4 – stadio operatorio formale (olte gli 11 anni)
In questo periodo vi è un’evoluzione di abilità cognitive superiori, rendendo
possibile la risoluzione di una molteplicità di problemi.

RIEGEL, 1969 – anche questo studioso formula l’idea che per


promuovere lo sviluppo è necessaria una crisi.
Nella sua psicologia dialettica teorizza che lo “sviluppo consiste in continui
cambiamenti lungo diverse dimensioni in progressione simultanee”. I
cambiamenti critici avvengono ogni volta che due sequenze non sono in
sintonia, quando in pratica manca il coordinamento e s’interrompe la sincronia.
Queste contraddizioni costituiscono la base delle progressioni dello sviluppo.
Livelli solidi di equilibrio e stabilità sono il risultato del completamento di un
compito di sviluppo o di un compito storico, anche se poi questi compiti non si
completano mai.

In sintesi tutti questi modelli considerano lo sviluppo il prodotto di una


interazione dinamica tra le varie sfide e le risorse che l’individuo ha a
disposizione.
Nell’ambito della psicologia dello sviluppo, una delle questioni più comuni e
quella di determinare se il processo di sviluppo sia innato e determinato dalla
maturazione oppure se l’individuo sceglie attivamente di confrontarsi con delle
sfide da superare.
Psicologi umanisti come ROGERS (1961) e MASLOW (1970), all’interno di
questo dibattito sostengono con forza il concetto di libero arbitrio.

MASLOW, 1970 – descrive come l’individuo cerca attivamente e


progressivamente di soddisfare i suoi bisogni.
Piramide di Maslow:
1) alla base – bisogni fisiologici – sfamarsi, riprodursi
2) nel 1° scalino – bisogni di sicurezza
3) nel 2° scalino - bisogni di amore/appartenenza
4) nel 3° scalino – bisogni di stima
5) in cima ci sono i bisogni di realizzazione di sé.
L’idea che una molteplicità di risorse sia vitale per progredire nello sviluppo.

SKINNER, 1938 – fisiologo rappresentante del comportamentismo


Egli concepisce lo “sviluppo” simile all’“apprendimento”, definito come un
cambiamento permanente del comportamento. L’individuo incontra nuove
situazioni e nuovi stimoli ogni giorno, ed elabora nuovi modi di affrontare le

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sfide (tentativi ed errori; imitazione attraverso l’apprendimento; pura fortuna o
coincidenza).
Se la sua risposta ha successo – viene cioè “rinforzata” – il nuovo
comportamento va ad aggiungersi al suo repertorio di comportamenti, dando
luogo ad un apprendimento e quindi ad uno sviluppo.
La teoria di Skinner è anche interattiva infatti egli scrisse che gli uomini
agiscono sul mondo e, cambiandolo, vengono a loro volta cambiati dalle
conseguenze delle proprie azioni.
La teoria dell’apprendimento formulata da Skinner, concepisce lo sviluppo
come il risultato di esperienze di apprendimento che continuano per tutta la
vita.
Grazie al condizionamento operante l’individuo continua a ripetere quelle
azioni che lo hanno portato a risultati favorevoli - generalizzazione, ad
abbandonare quelle azioni che invece lo hanno portato a risultati sfavorevoli -
discriminazione.
I risultati che hanno prodotto un miglioramento del comportamento sono
chiamati rinforzi. Questi possono essere:
- primari perché hanno la qualità di rinforzo naturale es. cibo, calore, ecc
- secondari perché hanno acquisito questa qualità di rinforzo attraverso
l’associazione ad altri rinforzi es. denaro, adulazioni, attenzione. Le nozioni di
generalizzazione e discriminazione sono simili alle nozioni di Piaget di
assimilazione ed accomodamento.
TEORIE DELLO SVILUPPO – ATTUALI

BRONFENBRENNER, 1979 – (uno dei più competenti teorici attuali)


considera l’insieme dell’ambiente sociale dell’individuo come il
“contesto dello sviluppo”
• microsistemi: i contesti immediati dove l’individuo vive, come la
famiglia o il gruppo dei pari;
• mesosistemi: le interazioni tra i membri di due o più microsistemi (es.
genitori e insegnanti) avvengono all’interno del mesosistema;
• ecosistemi: inoltre le persone all’interno dei propri microsistemi sono
soggette all’influenza di coloro che non né fanno parte (es. genitori e loro
colleghi di lavoro) questa è definita: esosistema. Queste interazioni
hanno effetti indiretti sull’individuo in via di sviluppo;
• macrosistema: più ampio contesto culturale, le leggi, le norme che
caratterizzano la società di cui l’individuo fa parte e che esercitano una
forte influenza a tutti i livelli.
Per Bronfenbrenner la chiave ecologica è l’affermazione che le influenze
interattive sono multidirezionali. Infatti gli individui influenzano i sistemi che li
circondano ma a loro volta ne sono influenzati per cui: le caratteristiche di una
persona oltre ad essere il prodotto dello sviluppo ne sono anche indirettamente
i produttori.
Nello stesso tempo i vari sistemi sono anche interdipendenti tra loro perché si
influenzano a vicenda. Infatti lo sviluppo è un processo dinamico, interattivo
che coinvolge tutti i livelli dei sistemi di una società. Se ad esempio si
considera un bambino appena nato, egli influenzerà il comportamento dei
genitori nella stessa misura in cui ne è influenzato.
Si andrà così incontro ad un processo di sviluppo che non interessa solo il
bambino e tutto il suo microsistema, ma anche tutti i microsistemi con esso
interagenti come il luogo di lavoro dei genitori, l loro legami sociali, ecc.

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La visione ecologica di Bronfenbrenner pone l’accento su un’interazione a più
livelli dei vari microsistemi, approfondendo alcune teorie già discusse che
vedono l’individuo concentrarsi su alcuni importanti compiti di sviluppo,
all’interno di una interazione posta su basi individuali.

MAGNUSSON E STATTIN, 1998 – nella loro “teoria persona-contesto”


ribadiscono questa idea ecologica che mette in evidenza i processi
interattivi che si evolvono all’interno dell’individuo.
Secondo la moderna prospettiva interattiva, indicata come interazionismo
olistico, gli eventi psicologici riflettono gli aspetti di 2 tipi di processi interattivi:
1. il processo bidirezionale continuo di interazione tra l’individuo e
l’ambiente;
2. il processo continuo di interazione reciproca tra fattori mentali,
biologici, comportamentali all’interno dell’individuo.

VALSINER, 1997 – basandosi sulla teoria del sistema dinamico


considera lo sviluppo come un processo dinamico interattivo

I sistemi Biologico, Psicologico e Sociale, sono sistemi aperti e quindi in grado


di svilupparsi. Questo importante aspetto caratterizza i fenomeni dello sviluppo
e comporta quindi che tutte le ricerche sullo sviluppo siano strutturali ed
ecologiche, devono cioè studiare l’oggetto di riferimento in un rapporto di
reciproca dipendenza con l’ambiente cui appartiene.
All’interno della struttura proposta da Valsiner ci sono 4 tipi principali di
cambiamenti ambientali che interagiscono con il processo di sviluppo:
a. Quelli prodotti dall’azione dell’individuo
b. Quelli creati dalle persone che circondano l’individuo
c. Quelli provocati da gruppi sociali ad un livello sociale più alto
d. Quelli causati da eventi incontrollabili (es. disastri naturali)
Pertanto poiché l’ambiente passa attraverso continui cambiamenti è dinamico,
ed altrettanto dinamico è il processo di sviluppo dell’individuo al suo interno.
Valsiner evidenzia il ruolo giocato dal conflitto nello sviluppo, suggerendo il
concetto di bontà del mancato adattamento, definendo 2 diversi tipi di
conflitto:
- un conflitto che porta alla comparsa di nuovi stati quindi conflitti positivi –
cioè relazioni conflittuali tra le componenti di un sistema di sviluppo che
portano alla costituzione di nuovi stati di quel sistema;
- un altro conflitto che porta alla rottura quindi conflitti negativi – cioè il
contrasto o la guerra tra opposti che si distruggono a vicenda in modo
esclusivamente competitivo causando l’estinzione dell’intero di cui
fanno parte.

APPROCCI TEORICI ALLO SVILUPPO NEL CICLO DELLA VITA

Uno dei pionieri moderni della teoria del corso della vita è GLEN ELDER JR.
(1974) che concepì una nuova visione dei cambiamenti sociali, dei percorsi di
vita e dello sviluppo individuale intendendoli come modi di continuità e
cambiamento del comportamento.
Propose 4 principi della teoria del corso della vita:

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1. il principio del tempo e del luogo nella storia: il corso della vita
negli individui è radicato nel e formato dal “tempo” e dal “luogo storico”
in cui si sviluppa la loro esperienza;
2. il principio della tempestività nelle vite: l’impatto dello sviluppo di
una successione di transizioni o eventi della vita, dipende dal particolare
momento in cui si verificano nella vita di una persona;
3. il principio delle vite collegate: le vite sono vissute in modo
interdipendente e le influenze storiche e sociali si esprimono attraverso
una rete di rapporti condivisi;
4. Il principio dell’agire umano: gli individui costruiscono la loro vita
attraverso scelte ed azioni compiute all’interno delle opportunità e delle
costrizioni provocate dalla situazione storica e dalle circostanze sociali.
In sintesi Elder riconosce l’importanza delle transizioni della vita cioè delle
sfide nel determinare lo sviluppo, tuttavia in contrasto con precedenti studiosi
non ritiene che certi eventi siano caratteristici di determinati stadi evolutivi, ma
li considera funzione di un determinato periodo, luogo e tempo storico del ciclo
della vita. In accordo con il modello ecologico di Bronfenbrenner mette in
risalto l’interdipendenza dei cicli di vita degli individui appartenenti agli stessi
microsistemi.

BALTES e Coll., 1974 – in Germania quasi contemporaneamente ad


Elder
Impostarono lo studio della psicologia dello sviluppo della vita sulla base di 4
principi centrali:
1. Fornire una base per la comprensione delle strutture complessive e della
successione dello sviluppo attraverso il ciclo di vita;
2. Incoraggiare la ricerca sulle interconnessioni tra eventi e processi dello
sviluppo avvenuti all’inizio del ciclo di vita e quelli avvenuti
successivamente;
3. Identificare i meccanismi alla base delle traiettorie del corso della vita
(età);
4. Specificare i fattori biologici e culturali che facilitano e limitano lo
sviluppo nel ciclo di vita ed il processo di invecchiamento degli individui.

La teoria del ciclo di vita postula che:


lo sviluppo si estende all’intera durata della vita dell’individuo e che vi siano
coinvolti i processi di adattamento messi in atto dall’individuo nel corso della
vita i cambiamenti possono avere lo stesso forte impatto sullo sviluppo nel
corso di tutta la vita. Ogni età è caratterizzata da certe priorità di sviluppo e si
verificano processi di sviluppo:
· Sia continui – cumulativi
· Sia discontinui – innovativi
Anche Baltes e coll. Concordano con Elder nell’affermare che lo sviluppo è
radicato in contesti storici e culturali più ampi. Distinguono 3 cause – origini – di
influenze contestuali:
▲ Influenze normative a seconda dell’età
▲ Influenze normative a seconda della storia
▲ Influenze non normative

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Baltes introduce il concetto di mulitidirezionalità
Egli mette in risalto che lo sviluppo da una parte:
▲ implica sempre delle perdite oltre che delle acquisizioni dall’altra
▲ I cambiamenti dello sviluppo non devono necessariamente procedere in
sincronia attraverso o all’interno di ambiti di funzionamento.
Uno sviluppo riuscito viene definito come il massimo aumento di acquisizioni ed
il minimo di perdite.

Baltes introduce il concetto base di plasticità


Esso è riferito ad una variabilità all’interno dell’individuo, indica le sue
potenzialità latenti nei diversi livelli di funzionamento. Viene fatta una
distinzione tra:
▲ Capacità di riserva di base: identifica il livello corrente di plasticità a
disposizione dell’individuo;
▲ Capacità di riserva di sviluppo: Il cui scopo è specificare ciò che è
possibile – in principio – se vengono impiegati interventi di
ottimizzazione.
Queste idee che sostengono un processo di sviluppo continuo sembrano simili
all’idea di “Zona di Sviluppo Prossimale” teorizzata da Vygotskij.

Per Baltes (1997) le risorse sono distribuite in modo diverso lungo il ciclo della
vita:
✓ Nei primi anni sono distribuite in modo da funzionare in collegamento
con la crescita – raggiungendo livelli più alti di funzionamento;
✓ Nell’età adulta sono dirette verso il mantenimento – sostenendo livelli di
funzionamento normale nell’affrontare sfide contestuali o perdite di
potenziale.
✓ Nell’età matura vengono distribuite in modo da regolare le perdite
quando mantenimenti o recuperi non sono più possibili. In questo ambito
gli individui sono più orientati a preferire di evitare una perdita piuttosto
che a ricercare un miglioramento.
Attualmente Baltes, Lindernberger e Staudinger -1997- suggeriscono un
modello di sviluppo che implichi:
✓ Una selezione di obiettivi di sviluppo;
✓ Un’ottimizzazione che generi e metta in atto risorse in relazione agli
obiettivi che si intendono raggiungere;
✓ Una compensazione con risposte funzionali verso una diminuzione delle
risorse impiegate per il raggiungimento degli obiettivi, causate
dall’ambiente o dall’età.

Per riassumere: secondo Baltes lo sviluppo è il risultato di un confronto


vittorioso tra sfide del contesto della vita e/o perdite o mancanze. La natura di
queste sfide ed il loro impatto sull’individuo variano a seconda del cotesto,
dell’età e della cultura. Riuscire ad affrontarle con successo dipende dalla sua
capacità di adattamento. In concordanza con altri studiosi Baltes considera la
sfida come la causa scatenante dello sviluppo.
Sviluppo = processo dinamico che dura tutta la vita.

CONCLUSIONE
1. Lo sviluppo per essere stimolato ha sempre bisogno di una sfida –
compito, crisi. Stimolo, perdita;
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2. Lo sviluppo avviene attraverso la capacita di risolvere con successo una
sfida;
3. L’insuccesso del tentativo di superare una sfida comporta l’insorgenza di
alcuni tipi di problemi nell’affrontare le sfide successive;
4. Risolvere le sfide è un processo dialettico, d’interazione che provoca
cambiamenti nell’ambiente, nell’individuo, oppure in entrambi, di
conseguenza stimola lo sviluppo;
5. Gli individui posseggono quantità diverse di risorse per affrontare le sfide.

Capitolo 3
IL MODELLO DI SFIDA DELLO SVILUPPO DEL CICLO DI VITA

Le sfide che si affrontano nella vita allo scopo di sopravvivere e progredire


posso essere rappresentate da:
• un episodio importante come per esempio: il contrasto tra bisogni
individuali e le esigenze psicosociali di adattamento alle norme di una
particolare società, che almeno temporaneamente provoca una crisi
(Erikson);
• una sfida molto piccola rappresentata ad esempio da un nuovo stimolo
che non è ancora presente nello schema dell’individuo (Piaget): come
per esempio un bambino che vede la neve per la prima volta;
• uno stimolo al quale l’individuo non sa ancora come rispondere
appropriatamente (Skinner): come per esempio il caso di una persona
che riceve in regalo un computer ma non sa come usarlo.
In ogni caso l’individuo dovrà rispondere alla sfida che si presenta e nel fare
questo cambierà il suo modo di essere. Il modo in cui portiamo a termine i
nostri compiti mentre cresciamo e maturiamo, influenzerà in una certa misura
il modo in cui affronteremo gli anni futuri e con l’andare avanti con l’età creerà
differenze sempre più grandi tra gli individui. Queste implicazioni variano a
seconda del successo/insuccesso ottenuto nel misurarsi con le sfide, e questa
capacità di superare o meno le sfide dipende dalle risorse individuali di ognuno.
Sviluppo significa pertanto avere a che fare con le piccole e grandi
sfide che affrontiamo giornalmente nel corso della vita, e con il tipo di
insegnamento che traiamo da queste esperienze. Se il numero delle sfide
che affrontiamo è limitato, o se cerchiamo di evitarle, corriamo il rischio di
limitare il nostro sviluppo potenziale e di esaurire le risorse che ci permettono
di sopravvivere.
Il MODELLO DI SFIDA DELLO SVILUPPO si sviluppa intorno ai concetti di:
• sfida
• risorse
• sviluppo
• stagnazione
• deterioramento
DIFFERENZE INDIVIDUALI NELLE RISORSE POTENZIALI: COMPONENTI
DEL BAGAGLIO DI RISORSE PERSONALI

RISORSE POTENZIALI: Il bambino alla nascita dispone di un bagaglio di


risorse potenziali per affrontare le sfide della vita. Molte di queste risorse sono
innate (come certi riflessi), mentre altre sono apprese sin dalle prime ore di
vita e continuano fino alla morte. Altre risorse sono determinate
strutturalmente come la nazionalità, la classe sociale di appartenenza.

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Sin da neonati gli individui si differenziano tra di loro nella quantità e qualità
delle risorse che hanno a disposizione per affrontare le sfide e queste
differenze potranno aumentare o diminuire a seconda delle esperienze di vita
dell’individuo.

▲ DISPOSIZIONI BIOLOGICHE
Sono quelle che la natura mette a disposizione dei bambini: talenti naturali,
potenzialità per lo sviluppo di attitudini diverse, caratteristiche di personalità
ecc. Queste risorse predispongono i bambini ad apprendere più facilmente e
determinano anche in che misura lo faranno. Le risorse possedute
determineranno anche le reazioni degli altri nei loro confronti.
Nel caso di bambini irritabili si avrà un minor coinvolgimento delle madri nei
loro confronti, minori contati visivi e fisici che determineranno una minor
capacità da parte di queste di tranquillizzarli. Una sindrome più generalizzata
legata al bambino che soffre di coliche può essere generalmente definita
difficoltà persistente tra madre e neonato. Altre caratteristiche personali
influenzano il modo in cui i bambini affrontano le loro esperienze quotidiane.
Con il passare del tempo queste predisposizioni interagiranno sempre di più
con i comportamenti appresi e con l’ambiente sociale, subendo una
trasformazione. Ad es. lo stato di buona salute che pare sia una delle risorse
più importanti e determinanti della vita, è fortemente influenzato dallo stile di
vita e dall’ambiente.

▲ RISORSE SOCIALI
L’interazione con altre persone è sempre presente nella vita e queste persone
possono aiutarci ad affrontare le sfide che incontriamo. La nostra rete di
rapporti sociali e la qualità delle relazioni che instauriamo sono considerate
risorse importanti.
La qualità delle relazioni dipende da 2 fattori:
· la disponibilità di una rete di rapporti sociali
· le abilità sociali individuali
Più è alto il numero delle persone con cui interagiamo, più probabilità abbiamo
di arricchire le risorse individuali assicurandoci un sostegno emotivo,
informativo, pratico quando si presenta la necessità di superare una sfida. Per
instaurare e mantenere relazioni sociali è necessario possedere abilità sociali a
partire da quelle più semplici come rispondere agli altri, sostenere un contatto
visivo, fino a quelle più complesse ed elaborate come risolvere conflitti.
Erikson (1959) sottolinea l’importanza di imparare ad avere fiducia negli altri
durante il 1° anno di vita, Bowlby (1969) richiama l’attenzione
sull’importanza della capacità di instaurare legami nei primi giorni di vita ai fini
della formazione delle successive relazioni. Un attaccamento sicuro non
sempre garantisce un adattamento positivo più avanti nel tempo, come del
resto attaccamenti insicuri nel primo anno di vita non sono predittori di un
successivo adattamento mediocre (Ainsworth, 1979).

▲ ABILITÀ IN AMBITI DIVERSI


Il principio di base sembra essere che il possesso di abilità diverse in vari
settori, rappresenti una risorsa più efficace rispetto al possesso di abilità
altamente specializzate in campi limitati.
Per i generalisti – persone versatili – la soglia di rischio è maggiore perché
possono compensare più facilmente la mancanza di abilità, utilizzando altre
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risorse all’interno di un’ampia scelta di abilità sviluppate portando a temine con
successo compiti precedentemente affrontati. Una delle chiavi del successo
nell’affrontare le sfide della vita è l’adattabilità anche se in alcuni casi un’alta
specializzazione in un’area può compensare la mancanza in un’altra.
Le abilità di base per la sopravvivenza particolarmente importanti per
l’individuo sono:
_ le abilità psicomotorie;
_ la capacità di leggere e scrivere;
_ la capacità di pianificare a livello economico;
_ la conoscenza e l’osservanza delle norme igieniche;
_ la capacità di mantenersi economicamente.
A queste si aggiungono le abilità superiori – meta skills – cioè tutte quelle
abilità che migliorano l’apprendimento di nuovi comportamenti e la capacità di
portare a termine nuove sfide.
Per Furntratt e Moller – 1982 – l’essere umano ideale dovrebbe essere l’homo
excercens, un individuo che esplora ed apprende continuamente in modo attivo
e con un vasto repertorio di abilità.

▲ SELF-EFFICACY – AUTOEFFICACIA
Il confronto con le sfide per essere sicuro ha bisogno di una certa quantità di
self efficacy e di autostima, ha bisogno cioè della convinzione dell’individuo di
essere in grado di affrontare e risolvere le sfide contando sulle proprie risorse.
Questo aspetto è simile al locus of control interno descritto da Rotter nel 1966.
La consapevolezza del nostro self-efficacy ci è comunicata da un feed back
sociale (critiche o lodi che ci rivolgono altri) e in parte attraverso l’esperienza, il
successo/insuccesso nel portare a termine i vari compiti.
Bandura (1986) definisce il nostro comportamento autovalutativo sulle nostre
prestazioni, sulla base dei nostri standard ed obiettivi, “valutazione sulla
self-efficacy” e ritiene che questi giudizi esercitino effetti notevoli sul grado di
motivazione.
La valutazione sulla self-efficacy si basa su 4 fonti di informazione:
1. risultati della prestazione (più importanti). Se si riesce a portare a
termine un compito ripetutamente, il senso della nostra efficacia
aumenta ed eventuali fallimenti temporanei non ci preoccupano molto;
2. esperienze vissute per interposta persona. Attraverso
l’osservazione di successi e fallimenti vissuti da altri nello svolgimento di
certi compiti;
3. la persuasione verbale. Conversazioni stimolanti, affermazioni da
parte di altri sulle abilità di qualcuno, costituisce un’altra fonte di
aspettative di alta efficacia personale;
4. indizi psicologici. Es. saper interpretare la stanchezza come un segnale
che mostra che il compito intrapreso si sta rivelando troppo difficile.
Valutazioni realistiche della nostra self-efficacy rappresentano dei validi
requisiti per decidere se un compito può essere intrapreso e quanta energia è
necessario investirci. Soprattutto in presenza di risorse limitate questa è una
buona strategia per selezionare i compiti più adeguati ad esse e concentrarci
per la loro realizzazione.

▲ RISORSE STRUTTURALI
Sono le risorse che derivano dall’ambiente culturale, quali risorse materiali,
nazionalità, genere, razza, status sociale, ecc

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INTERAZIONE DINAMICA ALL’INTERNO DELLE RISORSE POTENZIALI E
TRA POTENZIALI E COMPITI DA AFFRONTARE

All’interno delle risorse potenziali nessuna variabile può essere considerata


singolarmente, anzi esse sono fortemente interagenti. Ad esempio variabili
biologiche o socio-strutturali interagiscono con le abilità acquisite ed insieme
formano la base del self-efficacy che facilita l’apprendimento di nuove
abilità. Le qualità e la quantità delle abilità possedute da una persona
esercitano un’influenza sul proprio senso di self-efficacy. E’ stato dimostrato
che le persone con un alto senso di autostima sono più attraenti ed hanno più
contatti sociali, quindi più opportunità di imparare e di mettere alla prova le
proprie abilità sociali.
Le risorse potenziali oltre ad essere ecologicamente intrecciate tra di loro sono
altamente dinamiche, possono essere perse, conquistate o cambiate ed
ognuno di questi cambiamenti influisce sulle altre variabili del bagaglio di
risorse dell’individuo.
Oltre ad essere ecologicamente intrecciate le risorse potenziali sono
altamente dinamiche.
Le risorse potenziali possono essere perse, conquistate o cambiate e ognuno di
questi cambiamenti influisce sulle altre variabili del bagaglio di risorse
dell’individuo. Gli elementi del bagaglio di risorse personali non sono mai statici
ma soggetti a continui mutamenti nel corso di tutto il ciclo di vita. Importante
è il fatto che in qualunque momento della vita il numero e la natura di queste
risorse permette di prevedere i traguardi futuri e l’andamento negli anni
successivi. Si deve inoltre osservare che nessuna risorsa potenziale può essere
isolata dal contesto ed inoltre a volte qualunque caratteristica personale può
rappresentare una risorsa, essere irrilevante oppure rappresentare uno
svantaggio.
In pratica, ognuna di queste risorse potenziali diventa una risorsa effettiva solo
attraverso l’interazione con il tipo di compito da portare a termine.
La quantità ed il tipo di risorse potenziali presenti nel bagaglio delle risorse
personali dell’individuo, determinano se il compito che si deve affrontare è una
impegno di routine oppure se rappresenta una “sfida” (Compito realisticamente
impegnativo - Bandura, 1986) o un rischio.

Il buon adattamento tra compiti e risorse potenziali e l’influenza dei


fattori situazionali
Il buon adattamento tra risorse potenziali da un lato e difficoltà del compito
dall’altro è determinato da una serie di variabili tra queste il tipo e la quantità
di risorse potenziali presenti nel bagaglio dell’individuo. Inoltre le
caratteristiche situazionali influenzano sia il tipo di impegno richiesto dal
compito sia l’efficacia delle risorse potenziali e l’interazione tra compiti e
risorse.
Altri fattori di influenza possono alterare alcune risorse potenziali dell’individuo,
questi fattori sono: stanchezza, scarsa motivazione, obiettivi in competizione
tra loro, Presenza di altre persone ed ulteriori compiti che possono influire sulla
difficoltà del compito.
Altri variabile importante è rappresentata dalle diverse sfide che l’individuo si
trova ad affrontare contemporaneamente.
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Il buon adattamento tra risorse potenziali personali e tipi di sfide varia da
individuo ad individuo, ma anche all’interno dello stesso individuo a causa dei
fattori situazionali: a volte ciò che è più facile per una persona non lo è
necessariamente per un’altra e, allo stesso modo, quello che era difficile ieri
può essere facile domani. Le risorse potenziali sono quindi relative, collegate
tra di loro e determinate dal tipo di compito che l’individuo si trova ad
affrontare. Le risorse sono dinamiche nella loro interazione con i compiti e
possono variare nel tempo. Esistono inoltre differenze individuali nella quantità
e qualità delle risorse potenziali a disposizione: alcune persone possono
affrontare senza problemi molte sfide diverse e persino andarsele a cercare,
mentre altri si spaventano e stanno male se chiamati ad affrontare compiti che
appaiono di routine per la maggior parte della gente.
In sintesi: le proprietà di un compito determinano – insieme alle caratteristiche
situazionali – il tipo di qualità individuali che possono essere utilizzate come
risorse ed evidenziano se le richieste del compito superano queste risorse.
Pertanto si definiranno sfide i compiti che corrispondono esattamente o
eccedono di poco le risorse individuali; compiti di routine quelli meno
impegnativi; rischi i compiti più impegnativi.

Risorse potenziali e senso di sicurezza


Il senso di sicurezza è il segnale della presenza di un numero di risorse
sufficienti per affrontare le sfide, soltanto se si può contare su un livello
sufficiente di sicurezza l’individuo sceglie di affrontare nuove sfide. Se invece il
senso di sicurezza non esiste, egli cercherà di evitare nuove sfide. Questa è
una scelta intelligente perché l’ansia riduce il livello di competenza necessaria
alla maggior parte dei compiti. Proprio perché la quantità di risorse potenziali,
all’interno del patrimonio di risorse personali, cambiano ed interagiscono tra di
loro e con le sfide potenziali, la quantità di sicurezza ed ansia provata è molto
variabile, a seconda delle situazioni e durante il ciclo di vita.
Il sentimento di insicurezza si rivela ogniqualvolta il livello delle risorse a
disposizione diminuisce rispetto alle richieste del compito. Se invece il livello di
abilità dell’individuo è perfettamente equilibrato con il livello di sfida
rappresentato dal compito che ha obiettivi chiari e fornisce un feed-back
immediato, si può arrivare ad uno STATO DI “FLOW” (Csikszentmihalyi,
1975).
Le persone entrano in uno stato di Flow quando sono pienamente assorbite da
un’attività tanto da perderne il senso del tempo e provano sentimenti di grande
soddisfazione, si tratta di uno stato senza noia e senza ansia. Questa è
un’esperienza così gratificante che le persone investono grandi quantità di
tempo ed energia per raggiungerla e rimane in questo stato.
La sicurezza può essere considerata sia il punto di partenza che il risultato di
una serie di risorse che l’individuo ha a disposizione per affrontare le sfide. Più
risorse sono percepite, più aumenta il livello di sicurezza ed è più facile che un
individuo affronti una sfida e la porti a termine con successo, aggiungendo
quindi altre risorse al suo bagaglio personale. Questo grado di sicurezza
determinato da un bagaglio di risorse personali relativamente pieno, è
considerato una caratteristica di personalità variamente definita (coraggio,
vigore, persistenza, capacità di recupero) che richiamano presenza di qualità
collegate alla capacità di resistere agli stress.

Percezione della sicurezza e sviluppo

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Il senso di sicurezza, oppure la sua mancanza può avere cause diverse.
La sicurezza può essere influenzata da variabili biologiche, sociali, cognitive e
strutturali.
Per gli psicologi della personalità vi sono delle differenze presenti fin dalla
nascita nei livelli di ansia con cui le persone reagiscono al mondo che le
circonda:
• persone introverse sembrano maggiormente sensibili al condizionamento
di stimoli che generano paura;
• persone ansiogene si sentono meno sicure in qualsiasi situazione;
• mentre al contrario gli estroversi si sentono più a loro agio in situazioni
nuove e stimolanti, rispetto a tutti gli altri tipi di personalità.
A prescindere dalle disposizioni biologico-genetiche all’insicurezza, alla paura
o alla sicurezza, le reazioni possono anche essere facilmente apprese.
I comportamentisti hanno sperimentalmente dimostrato che:
• gli stimoli associati ad esempio a dolore e disagio hanno la capacità di
suscitare disagio in situazioni simili – diventano così “stimoli
condizionati alla paura”;
• gli stimoli associati a situazioni confortevoli, prive di ansia – diventano
stimoli condizionati alla sicurezza”
Il punto centrale nell’apprendimento di abilità è che i tentativi di chi apprende
abbiano successo. Se i compiti da svolgere sono troppo difficili, l’individuo deve
confrontarsi con il fallimento, che provoca sempre un senso di paura più o
meno elevato: ripetuti fallimenti portano ad un calo di motivazione e alla paura
del fallimento, generano una valutazione di scarsa self-efficacy e un
comportamento che tende ad evitare quel compito specifico o simili.
Ci sono due visioni nel fallimento in un compito:
• I comportamenti sostengono che l’incapacità di portare a termine un
compito generi ansia ed effetti nocivi che influiscono negativamente
sulla capacità di ulteriori apprendimenti;
• Psicologi d’orientamento psicodinamico vanno oltre sostenendo che
l’insuccesso nel risolvere i conflitti caratteristici di una fase, provoca
nevrosi ansiose che durano tutta la vita o che comunque hanno un
impatto negativo sul modo di affrontare le crisi di vita future. Maslow
ritiene che “il senso di sicurezza” sia uno dei bisogni di base che deve
essere soddisfatto perché possa esserci una realizzazione di sé.

QUANDO SI AFFRONTA UNA SFIDA CON SUCCESSO?

· Per sfida si intende qualsiasi nuovo compito che l’individuo affronta e che sia
pari o leggermente superiore alle sue risorse, presenti in quel momento.
· Per compito si intende un problema la cui soluzione può richiedere pochi
istanti, oppure uno più complesso, formato da diversi piccoli sotto-compiti,
paragonabili ad una serie di processi che richiedono diversi anni per essere
risolti. Può trattarsi di un compito completamente nuovo o di un compito di
routine da risolvere in condizioni diverse. Il compito può avere connotazioni
positive o può contenere elementi negativi ma che portano comunque ad una
crescita. In particolare fonti di stress che sconvolgono la continuità della vita
possono agire da catalizzatori al cambiamento. Pertanto una certa dose di
stress può anche essere considerata positiva dal punto di vista dello sviluppo,
perché può portare all’acquisizione di nuove abilità.

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È importante sottolineare che non è l’evento in sé ad essere positivo o negativo
ma il processo ed il risultato dell’interazione tra risorse individuali e compito,
questa interazione determina se il risultato sarà più orientato allo sviluppo o
porterà al deterioramento.

Soluzione riuscita di un problema


Facendo riferimento al concetto di coping riuscito – Gore e Eckenrode,
1996 – si ritiene che una sfida sia affrontata con successo quando il processo
per risolverla non esaurisce le risorse individuali anzi le arricchisce. Se al
contrario il compito esaurisce le risorse personali si corrono dei rischi. Lo
sviluppo di ferma e diventa deterioramento quando l’individuo che deve
misurarsi continuamente con delle sfide va incontro ad un esaurimento di
risorse, con la conseguenza che poi non sarà più in grado di affrontarle.
Anche scegliere di confrontarsi con un compito che si rivela troppo difficile e
che comporta un fallimento, può avere effetti negativi che si ripercuotono sulla
self-efficacy, nello stesso tempo questa condizione può avere degli effetti
positivi che si presentano con una maggiore capacità di valutare le proprie
abilità nello scegliere in futuro compiti della propria portata.
Fino a quando l’incontro con le sfide consente all’individuo di “accumulare
profitti”, quindi aggiungendo risorse potenziali, si può parlare di sviluppo. Si
ribadisce che un compito diventa “sfida” o “rischio” solo in relazione alle
caratteristiche individuali, cioè alle risorse potenziali. Nell’interagire con un
compito un individuo subisce una trasformazione che lo lascia con un aumento,
una perdita o con lo stesso numero di risorse precedenti a quella sfida.
In base al risultato del processo di trasformazione si potrà dire che l’individuo
è andato incontro ad uno sviluppo, un deterioramento oppure è rimasto
all’incirca lo stesso (stagnazione).
Se c’è stato un aumento di risorse, vi sarà anche la probabilità che sia possibile
risolvere nuovi compiti in futuro, avviando così un processo di accumulo di
vantaggi. Se invece c’è stato un prosciugamento di risorse, diminuiscono le
probabilità di affrontare con successo compiti futuri, si dà l’avvio ad un
processo di accumulo di svantaggi.

RICERCA DI SFIDE

L’insieme delle risorse potenziali che costituiscono il “bagaglio” dell’individuo


può esser riempito o prosciugato. Se questo bagaglio è relativamente pieno
l’individuo prova sentimenti di sicurezza e soddisfazione che però alla lunga
possono portare a sentimenti di noia, l’individuo non si sente sufficientemente
sfidato. Questa situazione può avere una spiegazione di tipo biologico: tutti gli
animali di ordine superiore sembrano annoiarsi se l’ambiente in cui vivono è
statico, questo dovrebbe indicare un impulso innato verso la stimolazione.
Un’altra spiegazione e che si tratti di un fenomeno socialmente condizionato,
tipico delle società occidentali, dove i desiderio di sperimentare nuove
esperienze è la ragione determinante per spiegare il successo raggiunto da
industrie quali quelle della moda e dello spettacolo. Uno stato di soddisfazione
e sicurezza che duri troppo a lungo, spinge l’individuo a cercare nuove sfide.
Più aumentano e migliorano le risorse potenziali, più l’individuo sperimenta un
senso di sicurezza in relazione a nuove sfide, pertanto è molto probabile che si
metta alla ricerca di nuovi compiti che se portati a termine con successo,
aggiungeranno nuove risorse al suo bagaglio personale.

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SVILUPPO – STAGNAZIONE – DETERIORAMENTO

1. Lo sviluppo avviene ogni volta che il bagaglio di risorse potenziali si


riempie e le risorse contenute si rinforzano. Consiste in una serie di
cambiamenti continui che avvengono nel corso del ciclo di vita, non in una
serie di transizioni attraverso determinati stadi.
Nell’adolescenza quello che determina il cambiamento non è il cambiamento
fisico, ma le sfide che questo cambiamento provoca all’individuo nei vari
ambiti: sociale, emotivo, cognitivo, fisico. Il modo in cui l’individuo affronta i
cambiamenti di maturazione, determina se la direzione della maturazione va
verso lo sviluppo (rafforzamento ed integrazione di risorse) o verso la
stagnazione o il deterioramento.
Concetto di multidirezionalità di Smith e Baltes - non importa se la
maturazione porta con sé i cambiamenti comunemente considerati di crescita
o di perdita: qualunque cambiamento è una sfida. Lo sviluppo progressivo
è come un’assicurazione sulla vita, tutela l’individuo dalle possibili prove che
potrebbero presentarsi.

2. Stagnazione
Concetto di stagnazione simile alla descrizione dei due stili di identità
adulta di Whitbourne, Sneed, Skultety (2001). È stato teorizzato che gli
identity assimilators posseggono identità forti all’esterno ma deboli
internamente. Quando si trovano a confrontarsi con esperienze che minacciano
la loro identità fanno affidamento sull’assimilazione di identità per distorcere
l’informazione così da non dover essere costretti a porre in discussione la loro
abilità o importanza per gli altri.
Gli identity accomodators hanno identità deboli ed instabili basate
fortemente sulla valutazione degli altri. Cambiano rapidamente di fronte alle
esperienze perché mancano di coerenza interna.
Secondo il modello di Whitbourne, Sneed, Skultety solo coloro in possesso di
una identità equilibrata sono in grado di alternarsi flessibilmente tra processi
di identità mantenendo uno stabile senso di sé, mentre nello stesso tempo
cambiano per reagire agli eventi che sfidano il loro senso di sé.
Il concetto di stagnazione è simile al pensiero di Maslow sulla motivazione di
mancanza un stato in cui gli individui sono impegnati esclusivamente nel
soddisfacimento dei loro bisogni primari e non possono impegnarsi in
un ulteriore sviluppo. Si tratta di una condizione opposta alla motivazione
di sviluppo in cui i bisogni primari sono soddisfatti e gli individui
posseggono risorse sufficienti per impegnarsi nella realizzazione di se
stessi.
È corretto precisare che non tutti gli stagnators sono in uno stato di
stagnazione involontaria ed insoddisfatta, a volte le persone possono decidere
di non affrontare nuove sfide perché sono soddisfatti delle risorse presenti e del
loro stile di vita.
La stagnazione è uno stato in cui non vi è aggiunta di nuove risorse.
Un modo per porsi al riparo da sfide è quello di evitarle, questo è sicuramente
possibile per un certo periodo di tempo, anche se secondo il modello della sfida
dello sviluppo, conduce a stagnazione. Questo accade anche per intere culture.
Gli individui e le nazioni che cercano di evitare qualunque cambiamento, sono
comunque a rischio semplicemente perché una vita senza cambiamenti e sfide
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non può portare allo sviluppo, si diventa vulnerabili ai cambiamenti indotti
dall’esterno.
Chi si trova in uno stato di stagnazione non appagante è costretto ad evitare i
compiti che non riesce ad affrontare, mentre chi si trova in uno stato di
stagnazione appagante non è interessato a ne3ssun compito che esula dal
contesto del gruppo ristretto di cui fa parte, diventando così specialista nello
svilupparsi solo in un numero ristretto di aree della vita.
Il concetto di specializzazione è analogo a quello di stagnazione perché
comporta il rischio di restringere le abilità individuali. Le risorse che
accumulano gli specialisti, pur continuando ad affrontare sfide, sono molto
spesso unilaterali e concentrate, per cui una perdita improvvisa può risultare
catastrofica per lo sviluppo complessivo dell’individuo.

3. Deterioramento.
Avviene quando l’individuo nel corso della vita affronta sfide che superano
sempre le sue risorse potenziali prosciugando continuamente il suo bagaglio.
Questo stadio può essere raggiunto in qualsiasi momento del ciclo della vita
come può non esserlo mai.
Le sfide che portano ad un miglior sviluppo sono quelle che si cercano in uno
stato di sicurezza perché si possiedono risorse sufficienti per affrontarle. Può
accadere che un ambito della vita di un individuo sia in uno stato di
stagnazione mentre in un altro continua a svilupparsi, ma se la stagnazione si
verifica in diversi ambiti il rischio si accumula, ed il bagaglio di risorse personali
si prosciuga in modo esponenziale. Le risorse individuali possono prosciugarsi
quasi completamente in un ambito della vita, essere appena sufficienti in altra
area e continuare a svilupparsi in un altro campo. Così è possibile che un’area
possa compensare parzialmente le altre aree in cui si è meno dotati. Il
meccanismo che si genera non è facile da capire, probabilmente avviene che il
successo in un’area generi sentimenti di autostima e di self efficacy nelle
persone che così acquistano più fiducia per affrontare le sfide che si
presentano in altri ambiti della vita. Probabilmente l’esperienza positiva del
successo è d’aiuto nel rinforzare quegli aspetti dell’opinione di sé – self concept
– che promuovono una capacità di ripresa (Rutter, 1996).
L’elemento cruciale per affrontare le sfide della vita è possedere il
potenziale per cambiare. Questo potenziale è raggiunto grazie alla capacità
di adattamento in un maggior numero di aree possibili, possedendo cioè molte
risorse in una varietà di aree. Se le risorse vengono continuamente prosciugate
perché si affrontano troppe sfide concomitanti o perché mancano le risorse
potenziali, la stagnazione può passare nel tempo alla fase di deterioramento.
C’è da evidenziare che anche il deterioramento non è irreversibile, i momenti di
svolta che portano un flusso di nuove risorse, possono ancora trasformare il
processo rendendolo nuovamente positivo. Nel flusso e riflusso della vita non è
mai troppo presto o tardi per rinnovare il bagaglio di risorse personali.

CONCLUSIONE

Principi-chiave del modello di sfida dello sviluppo nel ciclo di vita:


1. Esistono differenze individuali nelle risorse potenziali. Queste
risorse interagiscono sia quando si affrontano i problemi quotidiani sia di
fronte ad eventi importanti della vita. Lo sviluppo avviene ogni volta che

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le sfide della vita sono affrontate con successo e nuove risorse vengono
aggiunte a quello che definiamo “bagaglio di risorse personali”.
2. Uno stato di sicurezza dinamica viene raggiunto grazie ad un
bagaglio di risorse relativamente pieno. Questo stato provoca
nell’individuo inizialmente un senso di soddisfazione, successivamente
una sensazione di noia. Per superare questi sentimenti è necessario
affrontare nuove sfide che presentano difficoltà pari o leggermente
superiori alle competenze o risorse possedute dall’individuo. Il livello del
bagaglio di risorse personali e sempre in uno stato dinamico.
3. Una sfida è superata con successo quando il processo del suo
superamento non prosciuga le risorse personali ma le aumenta.
Nel caso contrario le risorse dell’individuo vengono impoverite e lo
sviluppo di ferma. Questo processo può trasformarsi in deterioramento
quando l’incontro con nuove sfide prosciuga sempre più le risorse,
l’individuo non è in grado di affrontarle ed il suo livello di competenza si
abbassa.
4. Evitare le sfide può portare ad una situazione di stagnazione o
perlomeno a limitare il potenziale di sviluppo. La stagnazione può
essere di due tipi: appagante (gli individui sono soddisfatti della loro
vita e non intendono misurarsi con nuove sfide) e non appagante (gli
individui non posseggono le risorse necessarie per affrontare nuove sfide
e quindi le evitano). Se lo sviluppo avviene solo in poche aree si ha una
specializzazione.
5. Se le nostre abilità non sono messe alla prova e quindi le nostre
risorse non vengono rinforzate, possiamo trovarci in uno stato di
stagnazione ed il nostro sviluppo può diventare deterioramento.
Anche questo processo non è irreversibile perché siamo in grado di
aggiungere risorse in qualunque momento della nostra vita. Lo sviluppo
è un processo dinamico che dura tutta la vita.
6. Il modello di sfida dello sviluppo è utile per capire il processo
dello sviluppo umano attraverso il ciclo di vita. Ed è anche rilevante
per un approccio interculturale allo studio dello sviluppo. I meccanismi
dello sviluppo sono gli stessi a prescindere dal tempo o luogo in cui si
verificano.

Capitolo 4
SFIDE ASSOCIATE A MUTAMENTI NORMATIVI E A MUTAMENTI NON
NORMATIVI

MUTAMENTI DELLO SVILUPPO

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Baltes, Reese e Lipsitt – 1980 – distinguono 3 forme di mutamenti dello
sviluppo:
• Quelle normative classificate per età
• Quelle storiche
• Le influenze sullo sviluppo non normative
Per evidenziare le differenze culturali si sono divisi i mutamenti classificati per
età in:
• Cambiamenti di maturazione
• Cambiamenti sociali normativi
Importante inoltre è considerare un'altra categoria costituita da eventi più o
meno prevedibili: Mutamenti quasi normativi.
Le influenze storiche sono considerate come una delle diverse forme di
mutamenti non normativi, visto che sono meno prevedibili delle normali
traiettorie di vita, rispetto ai mutamenti normativi.

Classificazione dei mutamenti nel corso della vita, collegati al modello di


sviluppo del ciclo di vita:

1) Mutamenti di maturazione
Sono rappresentati dai mutamenti biologici comuni a tutti gli individui sani, i
processi implicati e gli obiettivi biologici sono piuttosto simili per gli esseri
umani. Poiché non è possibile sottrarsi a questi mutamenti essi sono facilmente
prevedibili e questo permette a tutti gli individui di prepararsi ad affrontarli.
L’individuo che affronta questi cambiamenti può contare su un sostegno sociale
e su vari modelli di comportamento. I cambiamenti di maturazione hanno delle
implicazioni sociali che variano da cultura a cultura.
2) Mutamenti sociali normativi
Comuni alla maggior parte degli individui all’interno di certi contesti sociali e
culturali, spesso collegati all’età e ai mutamenti di maturazione. Si tratta di
eventi sociali regolati da leggi che influenzano l’individuo in vari modi, presenti
in ogni società nonostante i contenuti siano molto diversi tra culture diverse.
Inoltre perfino nello stesso paese possono esistere differenze tra gruppi sociali,
rispetto a quali eventi debbano essere considerati normativi e quali invece non
lo sono.
Elemento comune a tutti questi mutamenti normativi è la prevedibilità, visto
che i membri di un gruppo sociale sanno quando e come avvengono e pertanto
non li affrontano impreparati.
Questi mutamenti accadono a tutti i membri del gruppo nello stesso tempo, gli
individui possono pertanto contare su un sostegno sociale e possono basarsi su
precedenti esperienze degli anziani del gruppo. In culture diverse le esperienze
dello sviluppo dei membri appartenenti a certi gruppi socioculturali sono
piuttosto simili, regolando lo sviluppo in modo normativo per tutti i membri.
3) Mutamenti quasi normativi
Sono simili a quelli normativi, sono legati all’età, comuni alla maggior parte
degli individui appartenenti a gruppi sociali o culturali. A differenza di quelli
normativi, non sono regolati da leggi, anche se spesso sono regolati da norme
e regole non scritte. Pertanto all’interno di un gruppo sociale c’è sempre una
minoranza che non sperimenta questi mutamenti.
I mutamenti normativi e quasi normativi somigliano molto:
- ai compiti di sviluppo di Havighurst – 1972
- Alle crisi psicosociali di Erikson – 1959

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- Alle transizioni dello sviluppo di Levinson e coll. – 1978
Tutti questi mutamenti variano a seconda delle culture e delle coorti di età,
mentre i meccanismi per affrontare gli eventi normativi e quasi normativi
restano invariati. Questi cambiamenti contribuiscono a creare i cosidetti effetti
coorte: eventi considerati normativi per una generazione, smettono di esserlo
per la generazione successiva, con la conseguenza che i loro effetti sullo
sviluppo sono completamente diversi nelle due coorti di età.

4) mutamenti non normativi


Sono cambiamenti che vengono sperimentati in modi particolari o in
determinati periodi da un numero ristretto di persone e possono assumere
forme diverse.

Mutamenti fuori tempo – off/time. La sperimentazione di un mutamento


normale, in un momento del ciclo di vita nettamente diverso rispetto a quello in
cui viene sperimentato dalla maggior parte delle persone, attribuisce a questo
evento un carattere non normativo “fuori tempo”. Le conseguenze sono
numerose, l’individuo si distacca dalla media, è bollato dagli altri, si ritrova
isolato privo di modelli di comportamento su cui basarsi, in una posizione di
conflitto con le altre transizioni della vita.
Mutamenti storici. Sono influenze dello sviluppo derivanti da eventi che
producono un cambiamento all’interno del macrosistema. Possono essere
incidenti o mutamenti di natura temporanea (es. disastri economici, naturali,
guerre, ecc) o eventi imprevisti (es. invenzione pillola anticoncezionale, rapido
sviluppo computer, ecc.) che cambiano la vita degli individui nella società in
modo permanente. Questo genere di cambiamenti, giunge inaspettato, ed
inizialmente solo gruppi ristretti di persone si preparano a essi, però poiché
“tutti si trovano nella stessa barca” spesso possono contare su un solido
sostegno sociale. Gli individui affrontano queste sfide e cambiamenti in modi
diversi, per cui lo stesso mutamento storico può avere impatti diversi nel loro
ciclo di vita.
Mutamenti provocati dall’individuo. L’individuo spesso pianifica e sceglie i
suoi percorsi di vita compatibilmente con i suoi doveri sociali e storici. Elder
(1998) considera queste alterazioni pianificate dall’individuo al suo ciclo di vita
come strettamente collegate alle percezioni di self-efficacy. Per quanto questi
mutamenti provocati sembrino più facili da affrontare, rappresentano in ogni
caso una sfida e richiedono le risorse necessarie. Ogni decisione impegnerà
l’individuo in una molteplicità di compiti differenti, con ostacoli da superare che
prosciugheranno o aumenteranno le sue risorse.
Mutamenti particolari. Comprendono tutti gli eventi della vita che succedono
solo ad un numero limitato di persone e per questo l’individuo che le affronta si
sente non solo stigmatizzato, ma spesso si trova isolato senza il sostegno di
altre persone che hanno affrontato situazioni simili – es. handicap
sopraggiunto. Questi eventi avvengono generalmente in modo inaspettato e
sono le sfide della vita più difficili che si possano incontrare. Come i mutamenti
normativi i cambiamenti non normativi ed i cambiamenti particolari non
devono per forza avere un impatto negativo sulle risorse, anche eventi
percepiti positivamente – es. una promozione, una grossa vincita – richiedono
un adattamento poiché mettono comunque alla prova le nostre reazioni.
Non eventi. Sono eventi che accadono “quasi a tutti “ ma non a noi. Poiché
tutto quello che “fa deviare” dalle norme sociali comporta uno stigma anche i
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non eventi provocano questo perchè non ci consentono di condividere le stesse
esperienze degli altri. Gli “eventi desiderabili”, in particolare, che accadono
alla maggior parte delle persone ma non ad alcuni, possono rappresentare una
dura sfida da affrontare per coloro ai quali non accadono.

Tutti questi mutamenti possono rappresentare delle svolte dello sviluppo –


processi di svolta – e soprattutto se accadono presto nella vita, possono avere
conseguenze permanenti. Sono mutamenti di vita significativi perché
influiscono sulle transizioni successive, attraverso un processo cumulativo di
“vantaggi/svantaggi”. È importante tener presente che molte di queste
transizioni consistono in processi multifasici di lunga durata spesso formati da
una successione di diversi momenti di scelta e non da singoli eventi di breve
durata. Questi mutamenti presentano all’individuo molte sfide, che possono
essere affrontate ognuna in modo più o meno efficace.
Per questa ragione i singoli eventi che accadono nella vita dell’individuo non
sono sufficienti per fare delle previsioni sul suo benessere psicologico futuro,
mentre la quantità di “seccature quotidiane” e il grado di ostilità con cui
vengono percepite dall’individuo permettono di fare delle previsioni più
attendibili.

MUTAMENTI NORMATIVI E NON NORMATIVI – UN CONFRONTO

Se consideriamo il modo in cui i mutamenti normativi e non creano delle sfide


ed agiscono da stimolo per lo sviluppo, ci rendiamo contro che il loro tratto
comune è rappresentato dal fatto che avvengono in quasi tutti gli individui
appartenenti ad una società e all’interno di una certa fascia di età. Questo li
rende facilmente prevedibili facilitando il compito degli individui che si possono
preparare ad affrontarli. In alcuni paesi sono messi a punto programmi per
aiutare gruppi di persone ad adattarsi ai cambiamenti – es. per i bambini
l’accesso all’asilo – in altri contesti culturali questa preparazione avviene
all’interno della famiglia. Questi eventi organizzati forniscono una varietà di
modelli di comportamento ed un forte sostegno emotivo e sociale all’individuo
che li affronta per la prima volta non comportando alcuno stigma.
Si sottolinea che per quanto drammatici o interessanti possano apparire
all’individuo i mutamenti normativi questi non rappresentano una sfida
particolarmente impegnativa, infatti affrontare questi mutamenti è reso più
facile dalla loro prevedibilità e dal sostegno della rete di rapporti sociali e dai
vari sottosistemi della società.
Le sfide più difficili da affrontare sono quelle causate da eventi non normativi
perché sorprendono l’individuo che, non potendo contare su alcun sostegno,
diventa deviante delle norme della società. Questi mutamenti non normativi
contengono un potenziale di crescita più alto.

AFFRONTARE LE SFIDE

Imparare ad affrontare le sfide, in particolare quelle non normative, somiglia


notevolmente alla capacità di affrontare con successo le situazioni stressanti.
Questa capacità di coping è stata definita da Lazarus (1993) come “lo
sviluppo di sforzi cognitivi e comportamentali per far fronte a richieste

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specifiche interne e/o esterne che sembrano mettere a dura prova, o eccedono
le risorse di un individuo”.
Aldwin (1992) descrive lo stress nell’affrontare situazioni legate all’età:
1. Gli eventi stressanti formano il contesto in cui può verificarsi lo sviluppo
degli adulti;
2. L’esperienza di stress è universale anche se può variare da cultura a
cultura;
3. Affrontare e superare lo stress, sviluppando nuove capacità e abilità,
sviluppa la conoscenza pratica;
4. Non esiste una sequenza universale di sviluppo, le scelte che facciamo
quando si presenta un problema influenzano i nostri processi di
adattamento.
Aldwin sostiene che lo stress, dal punto di vista dello sviluppo, può essere
considerato un fattore positivo perché può portare all’apprendimento ed al
miglioramento di nuove abilità. Sempre secondo Aldwin si possono verificare
3 importanti tipi di sviluppo di traiettorie dopo aver affrontato uno stress:
• L’individuo può diventare più fragile;
• può ritornare ad una fase di omeostasi (Proprietà degli organismi viventi
di conservare relativamente costanti alcune caratteristiche interne, quali
la temperatura);
• può andare incontro ad un deterioramento, una stagnazione o uno
sviluppo.
Affrontare una qualsiasi sfida significa avere a che fare con gradi diversi di
stress, situazione che rappresenta una parte vitale del processo di sviluppo.
Il successo delle strategie di coping – secondo il modello di sfida dello sviluppo
– dipende dalla disponibilità di risorse individuali.
Ruth e Coleman (1997) sottolineano che per affrontare le sfide bisogna
avere una varietà di capacità personali e strutturali che definiscono:
• Maturità;
• Ottimismo;
• Coerenza;
• Locus of control;
• Strategie di coping;
• Sostegno sociale;
• Istruzione superiore;
• Alto status socioeconomico
Indipendentemente dal modo in cui si affronta una sfida, i cambiamenti che ne
derivano trasformano l’individuo in una persona “nuova”.
Secondo Rutter (2000) questo avviene quando si ha un impatto maggiore per
la combinazione di una serie di rischi dove gli effetti cronici dello stress
causano conseguenze di lunga durata, inoltre sono soprattutto le prime
esperienze ad influenzare fortemente quelle successive. L’esperienza di una
vita nell’affrontare stress sociali, si manifesta attraverso una certa competenza
nel far fronte ai problemi.
Rutter paragona queste esperienze non normative che hanno un grado di
difficoltà sufficiente a sfidare le risorse individuali, ma non impossibili da
fronteggiare, agli effetti di un vaccino per le difese immunitarie. Definisce
queste sfide esperienze che “rinforzano” che preparano l’individuo ad
affrontare le varie sfide più difficili che si troveranno in futuro.
È importante ribadire che molte sfide non sono costituite da singoli eventi, ma
da processi composti da una varietà di sfide diverse. Le sfide non sono solo
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formate da compiti diversi, ma sono il risultato di una serie di conseguenze
diverse.

CONCLUSIONE

1. Alcuni mutamenti normativi accadono agli individui in età diverse, alcuni


biologicamente determinati sono comuni a tutti le persone in buona
salute; altri socialmente determinati – spesso collegati all’età –
dipendono da leggi, regole e tradizioni di culture particolari ed in
determinati momenti storici.
2. i mutamenti normativi non rappresentano delle sfide eccezionali –
prevedibilità e sostegno sociale;
3. la capacità di affrontare le sfide ha molto in comune con le strategie
generali di coping;
4. la maggior marte delle sfide non sono rappresentate da eventi, ma da
processi costituiti da molte sfide diverse;
5. molte sfide diverse provocano una serie di conseguenze – positive o
negative – a breve e lunga scadenza nei vari ambiti di vita di un
individuo.
Capitolo 5
IN RICCHEZZA E IN POVERTÀ? DUE ESEMPI DI EVENTI NON NORMATIVI

Il numero dei possibili mutamenti non normativi che possono accadere è


infinito, si analizzano due esempi che mostrano l’impatto di questi mutamenti
sul bagaglio di risorse personali e sul microsistema a cui appartengono gli
individui.
• Il divorzio: si tratta di un evento particolare perché è considerato non
normativo e può avere ampie ripercussioni ed implicazioni su tutti i
membri delle famiglie coinvolte, oltre che sui protagonisti principali.
• Avvenimento storico negativo: per esempio una grave crisi
economica può mettere in evidenza gli eventuali fattori che favoriscono
una capacità di ripresa e la capacità di costruire nuove risorse nelle
persone che si trovano in una situazione molto svantaggiosa.

LE SFIDE DELLA SEPARAZIONE E DEL DIVORZIO

Il divorzio, all’interno di una cultura, è influenzato da più di un sistema


psicosociale, come altre sfide, è un processo e non un singolo evento. In
modello di sfida dello sviluppo mostra chiaramente la sua utilità per
descrivere e capire i diversi tipi di adattamenti delle persone che si trovano ad
affrontare una serie di sfide in un determinato momento del loro ciclo di vita.

Divorzio e macrosistema
Il divorzio è un evento non normativo perché non accade a tutti, le persone
hanno generalmente opinioni divergenti al riguardo visto che ritengono che
non possa questo evento accadere a loro.
Negli Usa ed in atri 6 paesi gli uomini disapprovano il divorzio più delle donne,
i religiosi praticanti sono più contrari dei non praticanti. In altre culture come
quella cinese il divorzio è considerato “anormale” e vi è un numero molto
basso di divorzi, questi risultati dimostrano che il significato dell’esperienza del
divorzio varia a seconda del genere e della cultura degli individui. Pertanto per

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alcuni il divorzio continua a rappresentare un mutamento non normativo,
mentre per altri è considerato quasi normativo. In linea generale si può
comunque affermare che il divorzio rappresenta una sfida variabile e
contrastante per gli individui coinvolti. Molte decisioni prese a livello individuale
nel microsistema sono fortemente influenzate dal macrosistema ed il divorzio
non fa eccezione. Vari studi hanno dimostrato che lo sviluppo socioeconomico,
la condizione sociale delle donne, la proporzione numerica uomini/donne nella
società, la presenza delle donne nel mondo del lavoro, la mobilità geografica, la
presenza e il numero di partner alternativi disponibili al matrimonio, sono tutti
fattori che influiscono sulla percentuale di divorzi.
I paesi industrializzati mostrano un forte incremento del tasso di divorzio negli
ultimi 30 anni. Il fatto che il divorzio sia piuttosto diffuso in occidente, significa
che le persone divorziate non sono eccessivamente stigmatizzate dalla società
e non restano prive di modelli di comportamento. I divorziati ritengono molto
importante avere amici che si trovano nella stessa condizione, infatti questi
rapporti offrono un sostegno emotivo, la possibilità di condividere esperienze e
la certezza di essere reciprocamente accettati.

Risorse potenziali e sfide supplementari nell’esperienza del divorzio


Si esaminano le varie risorse che consentono agli individui di superare con
successo le sfide provocate dal divorzio. Come altri eventi il divorzio non è un
evento separato ma è un processo che comincia molto prima dell’inizio del
divorzio effettivo e che non termina con la firma dei documenti legali.
Chiriboga (1991) dopo lunghi studi longitudinali afferma che separazione e
divorzio non sono la soluzione dei problemi ma rappresentano l’inizio della
soluzione per tutti gli individui coinvolti esso rappresenta un sfida per
ricostruirsi una vita. Si tratta dell’inizio di una transizione che termina
felicemente soltanto con la costruzione di una nuova vita soddisfacente.
Ricerche sviluppate in conformità al modello di sfida dello sviluppo mostrano
che alcuni fattori si presentano ripetutamente sotto forma di risorse importanti
necessarie per affrontare le sfide provocate dal divorzio:
• Maggiore autostima;
• Coesione familiare;
• Sostegno sociale;
• Buona situazione economica
Il modello di sfida dello sviluppo è in grado di prevedere che coloro che hanno
una impostazione di vita più flessibile affrontano la separazione in modo più
positivo rispetto ad individui stagnanti.
Divorziare comporta una certa quantità di stress che mette a dura prova la
capacità dell’individuo di affrontare la situazione, sia a causa dell’impatto
cumulativo, sia per il verificarsi di numerosi cambiamenti simultanei che
coinvolgono vari ambiti della vita dell’individuo:
• Condizioni di vita;
• Situazione economica;
• Routine familiari;
• Residenza;
• Eventuale custodia dei figli.
Ognuna di queste situazioni rappresenta una difficile sfida di per se. Negli Usa
nella maggior parte delle donne divorziate o vedove il rischio di finire in
povertà aumenta notevolmente, con incidenza maggiore per le vedove.

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La fine dei matrimoni più longevi comporta un maggior stress e difficoltà di
riadattamento. Queste copie hanno vissuto una maggiore situazione di
ristagno, senza la possibilità di apprendere modi di vivere alternativi. Chi
affronta il divorzio senza aver avuto prima il tempo per prepararsi al
cambiamento sperimenta una forte dose di stress. Le donne sembra vivano
una situazione di stress elevato prima di prendere la decisione, ma una volta
presa sembrano adattarsi meglio dopo il divorzio. Il partner che non ha scelto il
divorzio, che non ha percepito i segnali di avvertimento e pertanto sta
attraversando un mutamento non normativo particolare, sperimenta maggiori
conflitti che causano un deterioramento nel suo benessere mentale.

Tschann – Johnston – Wallerstein (1989) hanno elaborato un modello molto


simile a quello di sfida dello sviluppo nel ciclo di vita, si tratta del
modello del processo di divorzio. Questo modello analizza i fattori in grado
di prevedere le capacità di adattamento di fronte ad una crisi familiare,
mostrando gli effetti cumulativi dello stress e della tensione prima e dopo il
divorzio. Il modello indica i fattori che contribuiscono all’adattamento
dell’individuo sul punto di divorziare come risorse personali, familiari e sociali
o risorse sviluppate necessarie per affrontare la crisi e l’orientamento generale
della famiglia verso la situazione complessiva.
Le risorse necessarie ai partner che affrontano il divorzio comprendono:
• Fattori strutturali come istruzione ed occupazione;
• Qualità personali, caratteristiche psicologiche possedute prima della
separazione;
• Qualità sociali come le attività sociali, il sostegno sociale e la possibilità
di iniziare una nuova relazione sentimentale.
La mancanza di queste tre risorse rendere le persone più vulnerabili verso gli
stress tipici del divorzio, rende soprattutto difficile sviluppare ulteriormente le
risorse sociali che aumentano l’adattamento dei divorziati.
Hetherington – Law – O’Connor (1997) sostengono che le emozioni molto
negative provocate dal divorzio scompaiono dopo 2 anni. Ricerche però
dimostrano che madri divorziate dopo 3 anni mostrano ancora sintomi di stress
e depressione, la ragione potrebbe essere che sia lo stress delle madri a
causare ed accelerare la serie di eventi che affrettano il divorzio.

Influenza del divorzio sulle altre persone del microsistema


Punto di vista ecologico: nel processo di divorzio sono soprattutto i figli e i
suoceri ad essere coinvolti nel vortice di questo evento. Il modo in cui sono
influenzati dal divorzio dipende dal tipo di risorse a disposizione per affrontare
la situazione e dal numero di sfide diverse a cui devono far fronte. Si è
osservato che i bambini si adattano meglio in una famiglia che funziona bene
e composta da un solo genitore o da un genitore ed il suo nuovo compagno/a,
piuttosto che nella famiglia di origine dove sono presenti numerosi conflitti.
Hetherington (1989) completamente in linea con il modello di sfida dello
sviluppo afferma che i bambini alla lunga possono diventare dei sopravvissuti,
perdenti o vincenti del divorzio o del nuovo matrimonio dei genitori. Per i
genitori che divorziano i figli possono a loro volta rappresentare una risorsa, un
nuovo problema od entrambe le cose nel corso delle diverse fasi del processo.
Nella transizione verso la separazione anche i suoceri assumono un ruolo
decisivo, infatti chi divorzia trae enormi benefici dal sostegno dei propri genitori
in termini di aiuto emotivo e finanziario e da un alto grado di approvazione,

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contemporaneamente questo effetto positivo si estende anche ai figli/nipoti
soprattutto perché la loro madre ne trae beneficio.
I suoceri possono sentirsi stimolati a recuperare il loro vecchio ruolo di genitori
in tutti i sensi, fisicamente, psicologicamente, finanziariamente e per un
numero crescente di nonni questo ruolo può diventare anche quello di
surrogato genitore dei propri nipoti. Sotto un altro aspetto c’è da osservare che
il ruolo di “nonno custode” è un ruolo debole, privo di regole formali e senza la
possibilità di punti di riferimento, inoltre diversi studi indicano che i nonni che si
prendono cura dei nipoti corrono più rischi di avere problemi di salute sia fisici
che emotivi, di essere isolati socialmente, di affrontare conflitti familiari ed
ostacoli finanziari e legali.
Questi studi evidenziano anche un aspetto positivo, infatti i nonni possono
ricevere ricompense tangibili sul piano emotivo nel prendersi cura dei nipoti,
sperimentare un rinnovato senso di utilità derivante dalla consapevolezza di
contribuire all’educazione della nuova generazione.
Al pari degli altri mutamenti non normativi le varie sfide possono accumularsi
rendendo il compito più difficile da portare avanti, mentre l’accumulo di risorse
può facilitare il processo di risoluzione della sfida. Per i nonni americani questa
è una sfida assai ardua soprattutto per i pochi mezzi finanziari a disposizione,
inoltre la maggior parte dei loro conoscenti non ha più bambini in casa e spesso
non sono entusiasti dell’idea di condividere le attività dei bambini, pertanto
questa situazione può portare all’isolamento sociale.
Pertanto il processo del divorzio può creare il rischio che i nonni esauriscano le
loro risorse, inoltre rischio e tensione possono estendersi a differenti membri
dei microsistemi connessi, e questa sfida composta da aspetti differenti possa
prosciugare le risorse di più individui collegati.
Nel caso del divorzio, il successo nell’affrontare la sfida è legato anche a come
il macrosistema – quindi opinione pubblica e comunità di appartenenza –
reagisce all’assunzione dei nonni del ruolo di nonni custodi, questo avviene
soprattutto nelle comunità afroamericane dove il sostegno dei membri è
tangibile ed i nonni si sentono meno intrappolati nei loro ruoli.
Il ruolo di nonni-custodi può essere scelto, ma più spesso è richiesto o
addirittura dato per scontato dagli altri membri della famiglia. In molti casi i
nonni si trovano impreparati e impiegato tempo ad adattarsi al nuovo ruolo.
Capita spesso anche il caso di nonni esclusi dal divorzio dei loro figli che si
ritrovano separati dai nipoti, dal momento che i genitori possono impedire loro
di mantenere i contatti con essi. Questo ha spinto molti nonni americani a
richiedere assistenza legale per ottenere il diritto di visita.

Potenziali conseguenze psicosociali del divorzio


Riuscire a superare una sfida con successo provoca un senso di crescita
personale, soprattutto nelle donne. Esse interpretano il loro divorzio come il
passaggio da una situazione di dipendenza ad una di indipendenza, un segno di
crescita personale ed un nuovo inizio che porta a maggiore autonomia e libertà
(Chiriboga, 1991). Pertanto in molte occasioni ed a seconda di un certo numero
di fattori l’esperienza del divorzio può essere considerata più una conquista che
non un fallimento, più fonte di gioia e di emozioni positive che non di
disperazione: una sfida ben superata.
Fattori essenziali per il raggiungimento di questo risultato sono:
• Attitudini personali verso il divorzio;
• Personalità – età – sesso;
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• Livello di indipendenza raggiunto durante il matrimonio;
• Durata del periodo impiegato per raggiungere la decisione;
• Esistenza o meno di un rapporto con l’ex coniuge;
• Reddito e sostegno sociale.
Se il numero e il tipo di risorse di una persona corrisponde al numero e al tipo
di sfide provocate dal divorzio, si può verificare un processo di sviluppo riuscito.
Se al contrario il numero di risorse e l’adattamento sono insufficienti si può
verificare una esperienza contraddittoria e stressante.
Grazie al modello di sfida dello sviluppo è stato dimostrato che un processo
non normativo come il divorzio che visto dal di fuori può sembrare
un’esperienza negativa e dolorosa, può invece diventare un punto di svolta che
porta alla crescita individuale dei membri della coppia che si separa, oppure
alla condizione opposta.
I diversi fattori associati al divorzio come il legame tra i protagonisti e gli altri
membri del microsistema; le influenze derivanti dal macrosistema (opinione
pubblica e norme legali) – che entrano in azione ed interagiscono in modo
dinamico, determinano alla fine se questo evento porterà l’individuo verso lo
sviluppo, la stagnazione o il deterioramento.

ESEMPIO DI MUTAMENTO STORICO – LA CRISI ECONOMICA

Se per il divorzio è possibile capire che può trattarsi di un evento non


normativo che può portare a sviluppo e crescita, questo appare più difficile da
immaginare per un evento non normativo sfavorevole come una grave crisi
economica.
Elder e coll. (1974) hanno osservato nel corso degli anni diversi importanti
fattori emergenti dall’interazione tra un cambiamento economico esterno a
livello macrosociale e le esperienze familiari a livello micro sociale:
1. Le risorse materiali delle famiglie differiscono all’inizio di una crisi
economica così come varia il modo con cui ne sono influenzate. Per
alcune il reddito cala di poco per altre, il numero maggiore, i problemi
finanziari sono di grossa portata.
2. Per alcuni bambini vissuti nel periodo della Grande Depressione in
America, la crisi economica fu temprante, la salute mentale dei bambini
appartenenti alla classe media, che aveva subito pesanti diminuzioni del
reddito, si è rivelata migliore nel corso degli anni successivi rispetto a
quella di bambini dello stesso ceto sociale, le cui famiglie non avevano
subito ripercussioni importanti a causa della crisi. Questo indica che i
primi bambini avevano imparato ad affrontare le difficoltà e che questo
processo aveva rinforzato la loro determinazione. In generale la salute
mentale dei bambini di ceto medio si è rivelata migliore di quella dei
bambini di ceto più basso, per i quali la crisi economica si è rivelata
troppo difficile da superare a causa delle loro risorse già provate.
3. Non tutte le famiglie che soffrono di privazioni durante una crisi
economica reagiscono allo stesso modo, usano strategie di coping che
portano, nel lungo termine, a risultati diversi. Le strategie di
adattamento economico che implicano un elemento di perdita – come la
vendita di una proprietà – hanno un impatto psicologico più negativo
sulla famiglia, che non ad esempio organizzarsi per trovare un lavoro
part-time, fare dello straordinario, ecc.

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4. Il modo in cui la situazione è vissuta dai partecipanti, il fatto di percepire
un maggiore o minore controllo sulla propria vita, assume un ruolo
decisivo nell’affrontare la crisi con maggiore/minore competenza.
5. Il momento in cui avviene la crisi influisce sulla capacità di affrontarla.
Es. chi ha bambini piccoli ha più difficoltà di chi ha figli adolescenti che
possono in qualche modo contribuire con qualche lavoro allo stato
economico della famiglia.
6. Inoltre se la crisi economica di un paese è aggravata da una forte crisi
politica, la famiglia può trovarsi a dover affrontare anche dei “conflitti di
valori interni”.

Si sono analizzate le risposte del microsistema familiare alle sfide


macrosociali; però come sostiene il modello ecologico di Bronfenbrenner,
1979 – anche le interazioni a livello “meso” ed “eso” hanno un ruolo
importante.
Le difficoltà economiche della famiglia influiscono indirettamente sui figli
attraverso le reazioni dei genitori. Solitamente è il padre che reagisce alle
difficoltà economiche con un aumento di ostilità, comportandosi negativamente
verso la moglie, e questo atteggiamento – associato alle difficoltà economiche
– lo porta ad essere un genitore punitivo, arbitrario, ostile.
Gli atteggiamenti dei genitori possono aumentare il rischio i comportamento
aggressivo e provocare stati di depressione nei figli adolescenti. Al contrario se
il rapporto tra i genitori rimane invariato o si rafforza durante le crisi
economiche, questa spirale discendente non si verifica ed i figli non soffrono. Si
evidenzia inoltre che gli eventuali comportamenti dei figli possono influire in
modo ancora più negativo sul rapporto di coppia dei genitori e sull’economia
della famiglia.
Tutti questi esempi sono riferiti a paesi relativamente ricchi che hanno
attraversato un periodo limitato di crisi economica.

Il rischio di povertà cronica e le risorse di resilienza


La povertà cronica ha effetti ancora più negativi sulle persone perché prosciuga
progressivamente un numero sempre più alto di risorse e nega ai bambini la
possibilità di svilupparle.
La povertà nelle sue forme estreme non è certo rara nel mondo e può indicare:
• Malnutrizione;
• Deterioramento mentale:
• Lavoro minorile in condizioni dannose alla salute;
• Malattie;
• Mancanza di istruzione.
Queste condizioni prosciugano le risorse in modo permanente con la
conseguenza che anche compiti più piccoli diventano ostacoli insormontabili.
Un simile livello di povertà non può essere considerato una sfida, ma è un
rischio minaccioso che danneggia la maggior parte dello sviluppo.
Tuttavia, anche in condizioni così negative, alcuni individui riescono non solo a
sopravvivere ma addirittura ad utilizzare le risorse e svilupparsi.
Werner e Smith, 1982 – hanno osservato in uno studio longitudinale dalla
nascita all’adolescenza, una coorte di bambini hawaiani, scoprendo che un
numero sempre maggiore di bambini svantaggiati sotto diversi aspetti,
attraversava uno sviluppo relativamente normale.

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Nell’intento di individuare le caratteristiche che rendevano questi giovani
particolarmente resilienti rispetto ai potenziali effetti negativi delle condizioni
sfavorevoli, hanno scoperto che tutti avevano cercato attivamente ed ottenuto
aiuto rivolgendosi a fondi diverse. Lo sviluppo positivo era maggiore per chi
possedeva un numero superiore di risorse personali e strutturali. Questi fattori
di protezione comprendevano:
• Essere stati educati da madri di cultura elevata;
• Aver ricevuto una buona assistenza di chi se ne prendeva cura nel primo
anno di vita;
• Essere cresciuti in ambienti familiari composti da parenti di età diverse
compresi i nonni
• Possedere abilità percettivo-motorie, di comunicazione e di ragionamento
appropriate alle età.
I bambini che hanno dimostrato un grado maggiore di resilienza (resiliency)
hanno dimostrato di avere una quantità più bassa di stress supplementari
come quelli causati da:
• Difficoltà nei rapporti familiari;
• Salute mentale delle loro madri;
• Assenza del padre;
• Problemi economici;
• Malattie;
• Incidenti seri;
• Gravidanze nell’adolescenza o matrimoni contratti in giovane età.
Altre caratteristiche possedute da questi bambini sono:
• buon orientamento sociale;
• buona educazione nella prima infanzia;
• Una salutare androginia
I risultati di questo studio rispecchiano le biografie di molti poeti, scrittori che
nella loro vita hanno superato deprivazione, povertà e persecuzione nei primi
anni di vita. È importante rilevare la capacità di sopportazione della specie
umana che permette di superare le avversità, le famiglie studiate erano povere
secondo tutti gli standard, ma erano caratterizzate da un legame molto forte
tra il bambino e chi si prendeva cura di lui durante il primo anno di
vita. Il forte legame creatosi sembra aver formato una solida base per lo
sviluppo di avanzate capacità di autosufficienza, autonomia che sono state
osservate in questi bambini nel 2° anno di vita. Per controbilanciare i rischi, con
l’aumentare delle condizioni sfavorevoli, i bambini avevano bisogno di nuovi
fattori di protezione.

Werner e Smith, 1982 – hanno studiato i giovani di questa ricerca fino al


compimento del 30° anno di età ed hanno rilevato che un terzo del campione
ad alto rischio di povertà ha continuato il proprio percorso di sviluppo fino a
diventare adulti fiduciosi di sé, determinati che possedevano una visione
positiva del proprio ciclo di vita; sembra inoltre che perfino gli adolescenti a
rischio e chi aveva avuto problemi di salute mentale si siano in gran parte
adattati alla vita da adulto.
Chiaramente non tutti si erano adattati un quarto degli uomini ed un 10% delle
donne aveva precedenti penali, sembra esserci una tendenza per chi ha avuto
problemi di attività criminali nell’adolescenza ad avere più probabilità ad
essere coinvolto in età adulta.

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Uno dei risultati più importanti di questo studio longitudinale è che esiste un
effetto cumulativo nel risolvere le sfide nel corso della vita. Werner e
Smith ritengono che lo sviluppo avvenga attraverso vari fattori di
protezione, che diventano operativi nelle sequenze di sviluppo,
rendendo così possibile un adattamento soddisfacente nell’età adulta:
1. Nell’infanzia alcune caratteristiche precoci del bambino provocano
risposte positive in chi se ne prende cura, determinando lo sviluppo di
autonomie e competenze sociali nel bambino che muove i primi passi.
2. Ruolo essenziale rappresentato dalla competenza e dalle cure dei
genitori – in particolare dalla madre – ed il possesso di una solida rete di
sostegno sia per l’individuo che per la sua famiglia.
3. Un buon rendimento scolastico ed un buon comportamento a
scuola – come quello di tenersi fuori dai guai – sembrano essere la
chiave del progresso nella media infanzia;
4. Nella tarda adolescenza il sapersi porre degli obiettivi educativi e
professionali realistici permette di subire meno stress nell’età adulta.
Questi risultati suggeriscono che gli individui con buone capacità di resilienza
selezionano attivamente gli ambienti sociali in grado di rinforzare l’acquisizione
di competenze culturalmente appropriate. Passando da uno stato di crescita ad
uno di stasi nel corso del ciclo della vita, gli individui attraversano “svolte”
importanti che possono avviare un processo accumulativo di sviluppo, oppure
al contrario di deterioramento a seconda del tipo di strategie usate nel portare
avanti compiti o nell’affrontare sfide di sviluppo.
Una delle risorse più importanti che contribuisce ad affrontare i problemi con
successo anche in età adulta sembra essere la fiducia nelle proprie capacità di
affrontare con successo le sfide. Alcuni bambini sviluppano molto presto questa
qualità positiva, grazie agli adulti che si prendono cura di loro, però anche
adolescenti inquieti possono avere una seconda possibilità attraverso incontri
con persone che offrono nuove opportunità, agendo da mentori e dando
significato alla loro vita.

Concludendo si può affermare che:


• I primi eventi della vita non sono i soli ad influire sul successivo
adattamento nel mondo del lavoro, dei rapporti sociali e sulla condizione
di genitori;
• si può sempre compensare la mancanza di alcune risorse sostituendola
con altre;
• in determinati casi le risorse rimanenti possono trasformare situazioni
estremamente stressanti e svantaggiose, in contesti che promuovono
nuove sfide ed occasioni di crescita per l’individuo.

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Capitolo 6
PRIMI INCONTRI CON IL MONDO – LE SFIDE DELL’INFANZIA

Le abilità sociali rappresentano un altro esempio di coordinamento delle


modalità percettive, cognitive e motorie del bambino con riferimento ai
vari livelli dei sistemi sociali di Bronfenbrenner, 1979 – per mostrare
l’evoluzione dei primi apprendimenti.
Nella prima infanzia il microsistema della famiglia svolge un ruolo essenziale,
mentre in seguito acquistano importanza il gruppo dei pari, il sistema
scolastico, le altre istituzioni.
Nell’analisi di questo ciclo di vita si focalizzano 3 importanti cambiamenti di
maturazione e sfide sociali:
1. i cambiamenti di maturazione e l’apprendimento di abilità
psicomotorie
2. le abilità sociali coinvolte nelle relazioni verticali e orizzontali
3. il mutamento normativo che segna l’inizio dell’istruzione formale.

CAMBIAMENTI DI MATURAZIONE COME SFIDE PER L’APPRENDIMENTO


DI ABILITÀ PSICOMOTORIE

Le capacità apprese in seguito a cambiamenti fisici vengono definite abilità


motorie anche se sono molto più sofisticate. Infatti i movimenti corporei sono
parte di un sistema molto più complesso formato dall’interazione tra abilità
percettive, cognitive, emotive e/o sociali.
Per mettere in atto i suoi movimenti di gioco – es. suonare un sonaglio - il
bambino deve aver acquisito il controllo della testa e del busto, aver imparato
ad allungare le mani vs . oggetti lontani, senza considerare l’uso
dell’attenzione, della motivazione e della memoria. Abilità che richiedono
diversi mesi per esser apprese.
Se si usa la terminologia del modello di sfida dello sviluppo si dirà che:
1. Il desiderio di afferrare il sonaglio implica una sfida
2. Il modo di affrontarla comporta l’utilizzo interattivo di alcune componenti del
bagaglio di risorse personali, integrate a schemi di comportamento di diverse
categorie di abilità
3. Ogni acquisizione di nuove abilità – percettiva, motoria, sociale, cognitiva –
costituisce una nuova risorsa che può rivelarsi utile all’apprendimento di altre
abilità più complesse, che si aggiungono al bagaglio di risorse già esistenti.

La sfida del movimento


Il principale obiettivo di un bambino piccolo è quello di muoversi ed esplorare
l’ambiente, comportamento che lo conduce inevitabilmente vs. un ulteriore
sviluppo.
L’abilità di cambiare posizione nello spazio permette all’informazione percettiva
di arrivare fino al bambino da una varietà di punti dell’ambiente, aiutando così
l’apprendimento integrativo.

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I bambini piccoli che si muovono nell’ambiente hanno una maggiore capacità di
socializzazione rispetto a quelli che non si muovono o che lo fanno a pancia in
giù.
Si può affermare che i neonati mancano delle risorse iniziali per affrontare la
sfida del muoversi nell’ambiente fisico. Questo però non significa che i loro
movimenti siano perlopiù involontari, privi di scopo.
Van der Meer e coll., 1995 - in una serie di studi sperimentali hanno
dimostrato che se viene data la possibilità i neonati sono in grado di produrre
movimenti con le braccia molto complicati e precisi. Se riescono a vederle,
muovono di più le braccia, se lasciati in una stanza buia con un solo raggio di
luce in pochi minuti riescono a protendersi vs. la luce.
Questo dimostra che i bambini imparano molto presto e sono in grado di
combinare feed-backs visuali e cinetici per aiutare il loro apprendimento e per
ricordare schemi di movimento.
In movimento in un ambiente in trasformazione è una sfida molto diversa che
ha bisogno di nuovi apprendimenti, essi devono rivalutare lo stesso compito
percettivo motorio quando cominciano a camminare, essi “imparano ad
imparare” – da accomodare il loro equilibrio secondo la postura che assumono,
devono ripartire da zero ogni volta che si trovano a risolvere un compito che
prevede una postura diversa perché ogni attività prevede in coordinamento di
parti diverse del corpo e porta alla costruzione di uno schema cinestesico
generale.
Lo stepping - o marcia automatica - è un particolare tipo di riflesso che i primi
ricercatori erano convinti che il neonato possedesse, perché se mantenuti in
posizione eretta con i piedini a contatto con il suolo, mostravano dei movimenti
simili a quelli di quando si cammina, questo riflesso scompare per qualche
mese durante il primo anno di vita, ed i ricercatori ritenevano che fosse dovuto
ad una riorganizzazione del sistema nervoso che si verificava nel periodo in cui
il bambino imparava realmente a camminare.
Thelen (1983) ha fornito una interpretazione diversa per la “sparizione” di
questo fenomeno, infatti per un certo periodo i neonati aumentano molto di
peso da non avere la forza di mettere in atto il riflesso di stepping ma
recuperano questa abilità quando tornano ad avere proporzioni fisiche
appropriate.
Questo è stato provato da degli esperimenti dove artificialmente si rendevano
più leggeri o pesanti i neonati, si è potuto constatare che il riflesso di
stepping poteva essere provocato o rimosso semplicemente modificando le
proporzioni tra peso e corpo dei neonati.
Questi risultati mostrano che non è importante sono la maturazione ma anche
l’interazione tra il tipo di sfida che si presenta e le risorse – anche temporanee
– a disposizione del neonato.
Queste osservazioni valgono anche per:
- I bambini in crescita
- Gli adolescenti che si trovano ad affrontare una crescita improvvisa
- Una donna in gravidanza avanzata.
Tutte condizioni dove è necessario adattare le proprie abilità motorie per
superare le sfide provocate dal cambiamento di aspetto e di proporzioni del
corpo. Per poter avvenire, questi sviluppi hanno bisogno di una grande quantità
di apprendimento interattivo.
Il controllo della vescica che richiede dei muscoli molto specifici, è un altro
compito che le culture occidentali hanno considerato un mero processo di
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maturazione. L’atteggiamento generale è che non si dovrebbe insegnare al
bambino ad utilizzare troppo presto in vasetto per non frustrarlo, con la
conseguenza che l’età in cui i bambini smettono di usare i pannolini sta
aumentando sempre più. In risposta a questa tendenza i produttori di pannolini
hanno inondato il mercato di una scelta vastissima di prodotti ultra assorbenti
e di svariati modelli. Pertanto la sfida rappresentata dall’apprendimento
dell’abilità del controllo della vescica smette di essere necessaria con la
conseguenza che sia il bambino che i genitori non si sforzano di provare. È
questo un esempio di come i meccanismi del macrosistema riescano
ad influenzare persino un’abilità così personale come quella del
controllo degli sfinteri. Nelle società africane ed asiatiche il bambino impara
ad usare il vasetto molto prima che compia l’anno, ai bambini è richiesto il
controllo diurno e notturno, in queste culture si ritiene che i bambini debbano
superare i principali traguardi psicomotori – compreso il controllo della vescica
e l’uso cucchiaio molto presto nella vita. Il risultato è che i bambini nati in
queste culture hanno uno sviluppo psicomotorio più avanzato di quello dei
coetanei appartenenti alle società industrializzate. Anche lo sviluppo fisico sano
può essere definito interamente di maturazione infatti è pesantemente
influenzato dalle risorse acquisite come la forma del corpo, la formazione di
abilità, l’apprendimento.

Abilità psicomotorie come risorse per la comprensione del mondo


Contemporaneamente ai cambiamenti fisici ed alle relative acquisizioni
psicomotorie, si verifica un aumento dell’esplorazione e dell’apprendimento
dell’ambiente. Le cose sono viste, toccate, ordinate in schemi mentali
attraverso un processo cognitivo secondo il significato e la funzione pratica che
assumono per il bambino. Presto impara ad ignorare gli oggetti irrilevanti ed a
rispondere a quelli che hanno un potenziale d’azione come una sedia per
sedersi, una matita per colorare. Le categorizzazioni percettive passano
attraverso varie classificazioni come:
- Commestibile/non commestibile;
- Piacevole/spiacevole;
- Utile/inutile.
L’apprendimento delle differenze ad es. tra la voce della madre ed altre, sulla
base della rilevanza per la loro esperienza quotidiana, non è solo un compito
cognitivo, ma è collegato come tutti gli altri, alle abilità psicomotorie.

Thelen e Smith, 1998 – sostengono che il movimento in sé per sé, dovrebbe


essere considerato come un sistema percettivo, inoltre quello che rientra in
uno schema comporta ben poco apprendimento o sviluppo. Persino compiti
molto semplici come la percezione di un stimolo visivo, i contorni, il colori, sono
collegati dall’attivazione precisa e sincronica dei detectors – rivelatori - del
movimento degli occhi. Il movimento deve essere considerato il mezzo di
comunicazione primaria dello sviluppo cognitivo, può anche essere il parametro
del controllo dinamico nell’emergere delle prime abilità. Se il movimento
prodotto dal bambino ha una connotazione tipica, La formazione dinamica della
categoria- cioè l’organizzazione fondamentale del mondo del bambino - deve
essere misurata e limitata alla capacità di produrre e controllare il movimento.

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I bambini devono imparare la corrispondenza tra le loro capacità e le qualità
del mondo al cui interno viene sostenuta l’azione. Il significato assunto da
diversi concetti nella vita quotidiana della ns. cultura, ha un forte impatto su
ciò che apprenderemo, sul modo di agire e di pensare.
Si è ritenuto per lungo tempo che se alcuni membri appartenenti ad altre
culture fossero meno intelligenti perché ottenevano un punteggio più basso nei
test di intelligenza occidentali, si è in seguito rilevato che non è una questione
di maggiore o minore intelligenza, ma di differenti categorie di pensiero
derivanti da bisogni culturali differenti.
Infatti le esigenze ed i percorsi di vita quotidiana all’interno di distinte culture
formano concetti e modi di pensare diversi. Persino all’interno della stessa
cultura si trovano concetti e modi di pensare differenti. Questi contesti culturali
differenti influiscono sulla percezione e sul ragionamento.

PIAGET riteneva che i bambini piccoli pensassero in modo qualitativamente


diverso, quelli più grandi fossero invece incapaci di formare alcuni tipi di
concetti o di imparare certe nozioni come quelle di conservazione ed inclusione
in classi prima di una certa età. Ricerche recenti hanno mostrato che
l’incapacità dei bambini piccoli di risolvere alcuni dei compiti di Piaget
dipendeva principalmente da una mancanza di motivazione. I bambini sono in
grado di risolvere problemi in una età molto più precoce di quella indicata da
Piaget. Questo dimostra che:
la motivazione determina ciò che è ritenuto significativo e pertanto identifica
i concetti necessari.
1. L’apprendimento di concetti diversi
2. La loro sistemazione in categorie
3. La comprensione delle interazioni ed interconnessioni
Richiedono al bambino la capacità di risolvere una moltitudine di compiti. Essi
sin dalla prima infanzia sono in grado di usare ed allenare le abilità superiori –
meta skill – imitare, sperimentare, ripetere.
- Valutano criticamente ogni nuova informazione
- né sperimentano mentalmente le diverse conseguenze o le varie ipotesi,
- chiariscono i concetti
- ed usano il pensiero creativo ed il ragionamento logico nel cercare di risolvere
i problemi.

IMPARARE AD AUMENTARE LE RISORSE SOCIALI

Un’altra sfida vitale dello sviluppo del bambino in crescita, è la formazione di


diversi tipi di relazioni sociali. Il rapporto con gli adulti è necessario per la sua
sopravvivenza. Il neonato deve imparare ad interagire con un'altra persona
all’interno di una relazione gerarchica e verticale partendo da una posizione di
impotenza.
Per facilitare questo rapporto ha bisogno di sviluppare una varietà di abilità
sociali:
1. Fiducia ed attaccamento
2. Intimità
3. Comunicazione
4. Negoziazione
5. Obbedienza

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La qualità del legame affettivo ha un impatto rilevante sullo sviluppo di rapporti
sociali del bambino negli anni successivi ed influisce sulla decisione dei
scegliere la persona che si prende cura di lui, come modello di comportamento
a cui fare riferimento per apprendere abilità differenti e che diventerà
successivamente sua confidente quando entrerà nell’adolescenza.
La comunicazione ed il calore che il bambino suscita nei genitori (child
disclosure) sono considerati i migliori indicatori per prevedere un adattamento
positivo negli anni dell’adolescenza nelle società occidentali. A prima vista gli
adulti autorevoli che soddisfano le esigenze del bambino, trasmettono in senso
di fiducia sulla loro self efficacy e sulla loro capacità di controllare le situazioni
sociali, che rinforza e fortifica le loro capacità di autovalutazione.
Un feed-back positivo rende gratificante i rapporti con gli altri e stimola il
bambino a crearne dei nuovi, aggiungendo così nuove abilità sociali al bagaglio
di risorse personali.
La fiducia insieme all’assenza di tensioni sociali è la risorsa più importante
da conquistare nei primi anni dell’infanzia. Le differenze culturali portano tante
variazioni a questo rapporto che vengono apprese molte varietà di abilità:
1. I bambini crescono in nuclei familiari molto diversi all’interno di una stessa
società, pertanto la forma e lo schema delle abilità relazionali, il grado di
fiducia appreso saranno molto diversi a seconda delle condizioni sociali e
culturali esistenti.
2. Sistemi macrosociali diversi, contengono stili parentali differenti. Coloro che
si occupano dei bambini hanno metodi educativi diversi a seconda delle culture
di appartenenza. Di conseguenza la forma e lo schema delle abilità relazionali
ed il grado di fiducia appresi dai bambini saranno molto diversi a seconda delle
condizioni sociali e culturali esistenti.
Interazione con i coetanei
Una volta che il bambino ha imparato a gestire i rapporti partendo da una
posizione di scarso potere, è pronto ad interagire con i coetanei. Il rapporto tra
pari richiede lo sviluppo di abilità sociali diverse è quindi necessario
l’apprendimento di competenze quali:
1. Negoziare
2. Conversare a turno
3. Condividere
4. Provare empatia
5. Mantenere le promesse
6. Provare fiducia reciproca
Il bambino trascorre un po’ di tempo ad osservare gli altri ed a mettere in
pratica queste abilità orizzontali prima di affrontare la sfida cominciando a fare
nuove amicizie. Gli studi relativi allo studio delle sfide nello sviluppo ritengono
che i bambini si impegnino in giochi paralleli, giocando uno a fianco all’altro
senza interagire soltanto perché non hanno ancora sviluppato la capacità di
dare luogo ad una interazione, quindi non per una mancanza di interesse o per
un eccessivo coinvolgimento in quello che fanno. Già ad un anno i bambini si
servono di molti mezzi per comunicare non verbalmente, usando azioni basate
su significati condivisi. Una volta dimostrato di voler interagire con i coetanei i
bambini cominciano il nuovo processo di apprendimento delle abilità sociali,
all’interno delle stesse relazioni con i pari. Spesso devono imparare a loro
spese a concordare reciproci compromessi. Sembra infatti che i bambini che
non conseguono le abilità sociali necessarie ad instaurare una relazione tra
eguali quando sono molto piccoli, dovranno affrontare grosse difficoltà negli

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anni successivi per cercare di rimediare a questa mancanza. Un certo numero
di bambini definiti già all’asilo “antisociali” manterranno questa caratteristica
per tutta la vita.

Patterson, 1996 – spiega questo processo nel seguente modo: se i genitori


hanno un numero ristretto di risorse - a causa di condizioni sociali sfavorevoli,
per la mancanza di un partner, per l’incapacità di essere genitori adeguati, ecc
– i bambini diventano sia irritabili che irritanti ed influiscono negativamente sul
comportamento dei genitori, in questo modo i loro atteggiamenti aperti verso il
sociale non vengono rinforzati, finiranno con il mettere in atto comportamenti
aggressivi ed antisociali. In questo caso apprende solo comportamenti sociali
che provocano un rifiuto da parte degli altri – compresi i genitori che si irritano
sempre più pensando di avere un figlio difficile – il risultato sarà che il bambino
cercherà amici altrettanto asociali con i quali rinforzare reciprocamente il
comportamento antisociale, percorso che può portare a condotte
delinquenziali. Non essendo capaci di creare le risorse essenziali per affrontare
le sfide sociali questi bambini possono perdere l’occasione di acquisirne di
nuove attraverso i rapporti sociali come riuscire nello sport o altre attività
sociali. I bambini che mancano di abilità sociali sono impopolari, tendono ad
essere esclusi dalle attività vengono più criticati che aiutati dagli altri. I feed-
back che ricevono impediscono di aumentare il proprio senso di self-efficacy.
Partire con risorse insufficienti può determinare il prosciugamento delle risorse
individuali dando inizio ad una spirale di sviluppo discendente dalla quale è
difficile anche se non impossibile riprendersi. In condizioni ambientali ideali,
potendo contare sul sostegno degli adulti, i bambini apprendono un numero
molto vario di abilità sociali che li mette in guardia da comportamenti sgarbati
e scorretti di bambini più grandi.
Dopo alcuni anni questi bambini sono in grado di affrontare le sfide successive
che consistono nell’integrarsi con gruppi più grandi e vari, quali i compagni di
scuola con i quali formare dei rapporti all’interno della comunità locale,
intraprendendo attività organizzate per il tempo libero.
Diventando sempre più esperti in queste nuove forme di socializzazione
cominciano a sentirsi sempre più competenti e sicuri di sé e quindi a cercare
sempre meno il sostegno, la sicurezza, l’assistenza e l’organizzazione degli
adulti.
Nelle società occidentali i ragazzi e le ragazze fin dalla tenera età preferiscono
interagire e giocare con i compagni dello stesso sesso. Nelle società più
improntate alla collettività i maschi preferiscono risolvere i conflitti in modo
armonico piuttosto che ricorrere alle norme legali – secondo lo stile delle donne
occidentali, mentre nelle culture individualistiche si attribuisce più valore
all’obbedienza delle leggi che all’osservanza di norme morali o all’instaurarsi di
rapporti basati sull’armonia e l’amicizia.

L’APPRENDIMENTO A SCUOLA E NEL TEMPO LIBERO

Una importante sfida dello sviluppo è la scuola, oggi si tratta di una sfida
normativa mentre prima i bambini potevano apprendere tutto quello di cui
avevano bisogno a casa. Questa condizione permane ancora in alcune società
rurali dove le donne in particolare si preparano ai ruoli futuri aiutando le loro
madri in casa e nei campi. Con l’industrializzazione il livello di competenze
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richiesto ai lavoratori è diventato molto superiore a quello che si raggiungeva
lavorando come apprendisti presso artigiani adulti, la richiesta da parte delle
industrie di lavoratori sempre più specializzati ha reso necessaria ed
obbligatoria l’istruzione di massa che per alcuni si estende fino all’università.
Oggi quasi tutti i paesi posseggono un sistema scolastico formale le norme che
lo regolamentano sono molto diverse da una cultura all’altra a seconda anche
della struttura economica del paese.
✓ Nelle subculture, dove i genitori hanno bisogno dei figli per contribuire
all’economia familiare, i bambini non vengono mandati a scuola.
✓ Nelle culture tradizionali in cui i figli rappresentano per i genitori la
sicurezza per la vecchiaia, dove un alto livello di istruzione rappresenta
uno stipendio maggiore, i genitori sono più disposti ad investire
nell’istruzione dei figli.
✓ Nelle società moderne caratterizzate dal welfare che garantisce un
sostegno economico agli anziani, dove i genitori considerano i figli più in
termini di valore affettivo che economico, è il governo ad imporre
l’istruzione allo scopo di produrre un numero di lavoratori altamente
specializzati per concorrere sui mercati internazionali.
In base a queste evidenze è chiaro l’impatto che differenti macrosistemi hanno
sulla vita dei bambini.

Il curriculum scolastico in termini di sfida e di rischio.


La maggior parte delle scuole occidentali offre al bambino un curriculum
incentrato più sui bisogni del futuro datore di lavoro che sugli interessi del
bambino, questo si riflette anche sull’organizzazione sociale
dell’apprendimento il cosiddetto curriculum nascosto.
Il rilievo posto dagli insegnanti sulle capacità cognitive non tiene conto dei
diversi bisogni, abilità e risorse con i quali i bambini incominciano la scuola,
La formazione delle classi non avviene in base al livello di abilità acquisito dai
bambini ma sulla base delle età e non secondo il livello di abilità raggiunto dai
bambini.
I tentativi pedagogici di preparare programmi speciali per stimolare la
motivazione ad apprendere del bambino non hanno lo stesso effetto su tutti i
bambini.
Si può affermare che una sfida può portare sviluppo ad una persona piena di
risorse ma può ulteriormente prosciugare il bagaglio di risorse di una persona
che ne aveva già poche.
Il funzionamento del sistema scolastico attuale si basa su una conoscenza
cumulativa che – per coloro che non ne afferrano le basi – finisce con il
diventare una serie di svantaggi cumulativi. Infatti i bambini devono imparare
una serie di operazioni ma prima di essere in grado di afferrarne il concetto
sono spinti ad affrontare nuovi tipi di compiti che a loro volta non hanno la
possibilità di capire. Questo anziché aiutarli li porta ad aumentare le loro
debolezze iniziali classe dopo classe. Questo oltre a distruggere la loro
motivazione e non assicurare l’acquisizione delle abilità necessarie per il loro
avanzamento, determina una spirale discendente causata dall’accumularsi dei
fallimenti scolastici che prosciuga la loro autostima e le altre risorse del
bagaglio personale.
Per questa ragione il mutamento normativo costituito dall’istruzione formale è
un evento ad altro rischio per molti bambini. Utilizzando il modello di sfida
dello sviluppo è facile prevedere che alcuni bambini dovranno affrontare delle

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sfide molto superiori alle loro risorse che saranno ulteriormente prosciugate,
altri non saranno sufficientemente stimolati da queste sfide e si annoieranno
tanto da andare a cercarsene altre più stimolanti altrove.
Andersson ha osservato che la scuola è positiva per molti studenti ma
negativa per troppi altri. Nonostante tutte questi studi ed osservazioni la
maggior parte delle società ha deciso che i bambini devono affrontare questa
sfida tra i 4 ed i 7 anni, segnando così la transizione tra la prima e la media
infanzia. In questo processo i bambini affrontano molte sfide rappresentate
dall’apprendimento di:
1. una nuova forma di comunicazione – il linguaggio scritto;
2. concetti numerici e procedimenti matematici;
3. pensiero scientifico sotto forma di verifica di ipotesi e di ragionamento
logico;
4. sviluppo di interessi in potenziali attività di svago futuri – arte, musica, sport;
5. rispondere in modo appropriato al curriculum nascosto sotto forma di
disciplina, gestione del tempo e conformismo.
Attualmente nei sistemi scolastici occidentali gli insegnanti cercano di creare
situazioni di apprendimento dove si insegni l’indipendenza e la capacità
decisionale individuale attraverso pianificazioni dei programmi di
apprendimento, progetti di lavoro e selezione di corsi facoltativi.
Questi piccoli adattamenti non sono in grado di assicurare a più bambini
esperienze di apprendimento che corrispondono realisticamente alle loro
capacità, mettendoli in grado di risolvere le sfide educative e sociali in modo da
assicurarsi un aumento di risorse.
Inoltre non sempre i comportamenti sociali appresi in famiglia e nel tempo
libero corrispondono a quelli richiesti a scuola. Il rispetto agli insegnanti deve
da questi ultimi essere guadagnato e le motivazioni all’apprendimento devono
essere create e non imposte.
Questo porta a uno scontro tra scuole, valori giovanili e comportamenti di
opposizione, tra aspettative dei genitori e richieste dei datori di lavoro.
Tutto questo ha delle conseguenze per i giovani in quanto la maggior parte del
contenuto di base del loro bagaglio di risorse si determina nel corso degli anni
scolastici, tra le abilità importanti che dovrebbero essere apprese a scuola ci
sono le abilità superiori o meta-skills cioè le capacità di “imparare ad
imparare”. In questo caso la scuola può educare i bambini a diventare parte di
una società che privilegia come valori il conformismo e in minima parte
l’individualismo e non garantisce le risorse necessarie per affrontare il
cambiamento.
Curriculum e strategie di insegnamento aumentano le differenze tra individui
“convenzionali” e “avventurieri”oppure tra stagnators e developers
(sviluppatori).
I prodotti dell’istruzione formale vanno dai conformisti perfettamente adattati,
ai geni ribelli, ai perdenti. Si può nuovamente osservare come gli ordinamenti
macrosociali – rappresentati dai curriculum nazionali – interagiscono con le
diverse condizioni microsociali (atteggiamento insegnanti – genitori – coetanei)
e con le risorse individuali degli studenti. Tutti questi fattori si uniscono per
creare una serie di sfide che possono portare allo sviluppo, alla stagnazione o
al deterioramento

La sfida dello sviluppo e del tempo libero

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Nel tempo libero oltre che giocare si socializza con i coetanei e si possono
provare abilità sociali diverse:
• si può applicare il problem solving,
• si possono applicare le strategie di coping in situazioni di svago che non
rappresentano una minaccia
Negli ambienti sempre più artificiali delle società occidentali moderne i bambini
hanno sempre meno opportunità di fare nuove esperienze e di manipolare
l’ambiente naturale, infatti sono sempre più relegati in parchi giochi ideati dagli
adulti per proteggere i bambini dall’ambiente … oppure l’ambiente dai
bambini?

ZINNECKER, 1990 – Definisce questa situazione “fabbricazione


dell’ambiente” una condizione che aumenta la reclusione domestica dei
bambini limitando lo svolgimento della loro vita prevalentemente al chiuso. Per
i bambini di città crescere nelle aree urbane si tratta di un ambiente totalmente
diverso da quello in cui vivono i coetanei di campagna, con la conseguenza che
il modo e le abilità impiegate nel tempo libero variano e enormemente.
Per i bambini di città i giochi artificiali sostituiscono sempre più le esperienze
reali, mentre i loro coetanei di altre società aiutano realmente i fratelli minori
ed i genitori nei campi. Il fornire giochi artificiali significa comunque dare le
abilità necessarie per interagire un domani in un mondo ancora più
tecnologicamente artificiale.

BUCHNER, 1990 – Osserva che oggi i bambini compiono la transizione tra


infanzia ed età adulta molto prima di quello che avveniva nel ‘900. La ragione
può essere che:
• interagiscono molto presto con lo stile di vita degli adulti e con diverse
aree della vita;
• le industrie della moda, della musica e del marketing lo incoraggiano in
tal senso
• sono obbligati a diventare più indipendenti dagli adulti perché questi
vedono i figli come un ostacolo al loro sviluppo
• le esigenze dei genitori di avere “una vita propria” ha un impatto sui
bambini che hanno a disposizione sempre più aree di vita da gestire in
modo indipendente, questo può richiedere la capacità e la personalità di
decidere e di agire attivamente, dimostrando di avere gusti personali,
organizzando il proprio tempo libero, selezionando le attività di svago,
quale tipo di moda adottare e quale informazione seguire.
Un numero sempre più alto di bambini è mandato in centri organizzati per lo
svolgimento di attività ricreative, separati dal mondo degli adulti ma condotti
ed organizzati da adulti, i bambini devono rispettare orari predefiniti e devono
essere accompagnati da un posto all’altro.
Spesso i bambini che vivono in città non hanno vero tempo libero fin da quando
erano piccoli. La maggior indipendenza che si era raggiunta nello svolgimento
di attività extrafamiliari autonome è persa a causa del prevalere di attività
ricreative pianificate professionalmente. I contatti sociali aumentano
enormemente ma sono contatti superficiali e di breve durata simili alle relazioni
“usa e getta” degli adulti. In questo modo si preparano i bambini al possibile
schema di vita futura.
I genitori hanno delegato gran parte dei loro compiti educativi alle istituzioni
sociali dentro e fuori della scuola, queste ultime privano i bambini della

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possibilità di scegliere come impiegare il loro tempo libero. Questa situazione
descritta si riferisce ad un bambino occidentale benestante appartenente alle
culture industrializzate. Difficoltà economiche familiari costringono il bambino
a contribuire alle entrate ed ai lavori domestici impegnandoli in attività di vita
reale anziché in attività di giochi artificiali. I bambini in questo caso partecipano
alla vita quotidiana come membri della famiglia competenti e capaci,
condividono con gi adulti compiti e responsabilità, venendo spesso trattati da
adulti ma senza i diritti di questi.
Se in genere condannato, il lavoro minorile non ha sempre conseguenze
debilitanti, infatti aiuta il bambino ad:
• acquisire abilità molto utili
• rafforza la sua autostima impegnandolo in attività che hanno significato
e che rinforzano i legami sociali con la famiglia
• garantendogli a volte la condizione economica necessaria per andare a
scuola il lavoro minorile è deleterio sono se si svolge in condizioni
pericolose per la salute ed incorpora abuso per il bambino e gli impedisce
di accedere all’istruzione. In questo caso finisce per prosciugare più
risorse di quante nei crei. 120 milioni di bambini nel mondo in queste
condizioni.
Esempi di mutamenti normativi e quasi normativi nell’infanzia che
rappresentano una sfida per lo sviluppo di importanti risorse.
• Sviluppo delle abilità psicomotorie di base
• Comprensione dei concetti semplici e capacità di dividerli in categorie e
collegarli tra di loro
• Apprendimento della comunicazione – prima in forma orale e poi scritta
• Imparare a mettersi in relazione con gli adulti, fratelli sorelle, amici,
coetanei
• Affrontare le sfide rappresentate da scuola e tempo libero
• Sviluppare una responsabilità crescente della propria vita.

Capitolo 7
L’ADOLESCENZA E LA CONDIZIONE DELLA PRIMA ETÀ ADULTA

PUBERTÀ: IL CORPO DELL’ADOLESCENTE, IDILLIO ED IMMAGINI DELLA


SOCIETÀ

La pubertà rappresenta l’ingresso dell’individuo nell’adolescenza dove inizia la


transizione vs l’età adulta. Durante l’adolescenza i microsistemi, che
circondano l’individuo in crescita, espandono e modificano la loro struttura, i
rapporti interpersonali si trasformano da gerarchici in orizzontali. Si socializza
in modo diverso con genitori, amici, insegnanti anche se spesso questi rapporti
non sono sereni. Le interazioni tra i diversi sistemi sociali diventano più
complicati man mano che gli adolescenti interiorizzano e sperimentano le
norme ed i valori che fanno parte di quella particolare cultura della famiglia, dei
coetanei, della scuola e del tempo libero.
Una parte del processo di crescita comporta lo sviluppo di una identità sessuale
e collegata vi è la creazione di una immagine corporale personale. Sotto la
spinta dei mezzi di comunicazione che enfatizzano l’immagine ed i sacrifici fatti
soprattutto dalle modelle per rimanere snelle e leggere – per le ragazze sono
diventate modelli di comportamento tanto che si trovano davanti la sfida di
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plasmare il loro corpo e di crearsi un’immagine fisica soddisfacente cercando di
avvicinarsi agli ideali della società moderna.
Lo stesso vale anche per le giovani donne delle società tradizionali, anche se
l’aspetto fisico desiderabile è differente rispetto all’ideale occidentale, il
bisogno di rientrare in una normalità o di avvicinarsi a quell’ideale è sempre
rilevante.
Questo vale anche per i ragazzi. Ci sono 3 possibili ragioni per spiegare la
maggiore attenzione che gli uomini dedicano al proprio aspetto:
_ I locali notturni hanno lanciato stili di ballo e moda che mettono in mostra il
corpo che cosi è ammirato, personaggi del cinema che fanno sfoggia di muscoli
stimolano la competizione maschile e le immagini proposte da palestre di body
building mettono i ragazzi sotto pressione.
_ La preoccupazione sull’aspetto fisico però è ancora soprattutto femminile, e
questo figura tra le maggior preoccupazioni delle donne.
_ L’accento posto sull’aspetto fisico e sul significato sociale che assume per gli
adolescenti può essere fonte di seri rischi per alcuni di loro. La bulimia e
l’anoressia sono tra i pericoli maggiori.

L’esperienza della pubertà: differenza nei sessi


I maschi aspettano con ansia di diventare uomini perché per loro la pubertà
assume il significato di aumento della forza, della libertà e della considerazione
sociale.
Le ragazze hanno della pubertà un concetto ambivalente anzi negativo, esso è
collegato all’idea che la società possa chiedere loro di identificarsi con i modelli
femminili adulti e di accettare una condizione sociale inferiore a quella degli
uomini. Inoltre i genitori limitano la loro libertà per preservarle dai pericoli quali
molestie sessuali, gravidanza e violenza carnale.
L’immagine corporea che hanno le ragazze a 15 anni prevede il grado di
depressione che raggiungeranno intorno ai 18 anni. Durante la pubertà le
ragazze sviluppano una serie di sintomi depressivi, che prima erano allo stesso
grado di quello dei ragazzi, che aumentano in modo rilevante e restano allo
stesso livello per il resto della vita.
Lo sviluppo dell’identità sessuale diventa importante nel corso delle prime
relazioni sentimentali degli adolescenti, anche se questo processo ha inizio
nell’infanzia con l’interazione tra caratteristiche innate, simboli sociali,
apprendimenti dei ruoli sessuali in famiglia, a scuola nei giochi. Le identità
sessuali separati incominciano ad emergere dalle reazioni degli adulti nei
confronti dei bambini piccoli.
I cambiamenti ormonali e le alterazioni delle forme corporee nell’adolescenza
portano con sé le sfide rappresentate dalla sperimentazione sessuale e dalla
successiva instaurazione di una identità sessuale. Nella media adolescenza gli
appuntamenti amorosi diventano complementari alle attività svolte con gli
amici ed i partner sentimentali rappresentano una fonte fondamentale del
sostegno sociale. Come tutte le abilità anche quella di sapersi relazionare in
modo romantico ha bisogno di essere esercitata.

TEMPO LIBERO E RISCHI CHE SI CORRONO

HENDRY (1983/1998) ha evidenziato l’esistenza di una serie di “transizioni


ricreative” che i giovani occidentali si trovano ad attraversare:

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1. Inizio dell’adolescenza: affiliazione a varie organizzazioni gestite da adulti
dove imparano ad accettare valori e norme degli adulti, a stare in loro
compagnia. Col tempo essere perdono interesse.
2. Fase di svaghi informali: vissuta con i coetanei “bighellonando” per le
strade, i negozi, qua e là partecipando a feste con gli amici anche fino a tarda
notte. Emerge l’importante questione della fiducia e della riservatezza.
“Confidare informazioni personali e condividere segreti” è un rischio necessario
che però permette di consolidare i legami e le relazioni sociali. L’etica della
reciprocità è alla base dei rapporti improntati sulla fiducia.
Gli adulti sono presenti solo sullo sfondo. I giovani cominciano a discutere e
sperimentare comportamenti – strategie – abilità sociali necessari per essere
ammessi nei vari settori della società degli adulti.
Le transizioni ricreative incorporano idealmente 3 stadi di sviluppo dove
vengono apprese nuove abilità in contesto relativamente sicuro che
introducono i giovani nel mondo degli adulti.
a. 1° stadio. Preoccupazione di conformarsi allo stile di vita adulta e la
ricerca di un comportamento appropriato in loro presenza.
b. 2° stadio. Apparente rifiuto delle organizzazioni giovanili gestite da
adulti, apprendimento sociale nell’ambito dei coetanei.
c. 3° stadio. Le abilità sociali apprese sono sperimentate negli ambienti
adulti.

SHARP E LOWE – 1989 come anche PAPE E HAMMER – 1996 – e KLOEP e


coll. - 2001
Ritengono che cimentarsi in attività rischiose quali il bere alcolici, fumare
possano contenere elementi di sfida e di conseguenza una potenziale crescita.
Il desiderio di essere ammessi nella società degli adulti sembra essere alla
base di molti comportamenti criticati dagli adulti che sembrano non capire che
spesso si tratta di comportamenti i imitazione, dettati dal desiderio di
socializzare in modo convenzionale, affrontando la sfida rappresentata dal
mutamento normativo che segna il loro ingresso nel mondo degli adulti. I
giovani corrono rischi e valutano i divertimenti ed i vantaggi che traggono dalle
varie attività sociali e ricreative, in contrapposizione ai pericoli ed alle possibili
ricadute. Questo accertamento “dei costi-benefici-rischi” (Parker-Aldrige-
Measham) è un elaborato processo psicosociale in cui il giovane decide fino a
che punto sballarsi di droga o alcol. Questa valutazione del rischio è
un’importante abilità superiore generalizzabile – meta-skill - perché mette alla
prova il buon adattamento tra rischio e risorse cioè la capacità di stabilire quali
sfide si possono affrontare in relazione alle risorse di cui si dispone, e insegna
a decidere se una persona è in grado di far fronte ad una sfida permettendo
all’individuo di modificare le sue aspirazioni o di intensificare i suoi sforzi in
risposta ad un compito particolarmente impegnativo.
Questa capacità può diventare decisiva in alcune persone anziane quando la
selezione dei compiti, l’ottimizzazione degli sforzi, la compensazione delle
perdite è uno dei segreti per un invecchiamento sereno.

I rischi che si corrono nell’adolescenza


Correre rischi fa parte della crescita psicologica che caratterizza la giovinezza,
una ricerca di sensazioni forti nella transizione dello sviluppo oppure un gradino
necessario per l’acquisizione di comportamenti da adulto, abilità, autostima?

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Arnett (1998) ritiene che le culture occidentali debbano trovare un
compromesso tra l’importanza di incoraggiare l’individualismo e l’espressione
di sé, e la necessità di mantenere l’ordine sociale.
Hendry e Kloep (1996) indicano 3 categorie di rischi:
1. Comportamenti di ricerca di sensazioni forti. Comportamenti
esaltanti che stimolano e mettono alla prova i limiti delle capacità
dell’individuo. La valutazione dei rischi che fanno gli adolescenti può non
essere esatta, ed in questo consiste uno degli obiettivi del
comportamento a rischio, cioè quello di mettere alla prova i propri limiti,
imparare la quantità e l’estensione delle risorse individuali. La loro
valutazione può però non essere esatta – in questo consiste uno degli
obiettivi dei comportamenti a rischio – cioè quello di mettere alla prova i
propri limiti ed imparare la quantità e l’estensione delle risorse
individuali. In sostanza correndo dei rischi si possono acquisire le abilità
superiori necessarie per valutare il buon adattamento tra le abilità
individuali e le richieste della situazione.
2. Comportamenti a rischio regolati da terzi. Per essere accettati e per
trovare la propria posizione all’interno di un gruppo di coetanei – per
assicurarsi le risorse provenienti dalla sicurezza sociale – l’individuo deve
dimostrare di possedere alcune abilità e qualità.
3. Comportamenti a rischio semplicemente irresponsabili.
Comportamenti messi in atto nonostante i rischi che comportano per
raggiungere obiettivi desiderabili. Sono condotte irresponsabili e
dimostrano l’incapacità degli individui di vedere le conseguenze a lungo
termine o la loro incapacità di astenersi da quelle attività per non
rinunciare a vantaggi immediati. Si tratta di rischi che gli adolescenti
condividono con gli adulti, ma per la mancanza di capacità di valutazione
e di controllo entrano nelle zone a rischio più spesso degli adulti. Si può
osservare che nonostante le differenze culturali i meccanismi di sviluppo
e sfida non cambiano.

I SIMBOLI DELL’ETÀ ADULTA: IL TOCCO FINALE DELLA


SOCIALIZZAZIONE?
Il senso di sicurezza è un elemento necessario dell’abilità di affrontare le sfide
future. La sicurezza proviene anche dalla consapevolezza di appartener ed
essere accettati da un gruppo protettivo. Il prezzo per essere accettati è quello
di conformarsi alle regole e di interiorizzare i valori del gruppo in misura più o
meno grande.
Le culture tradizionali sono fonte di sicurezza per i giovani perché in grado di
prevedere con sicurezza il lavoro che faranno, i ruoli sociali che ricopriranno dal
momento che la loro vita futura è in una certa misura stabilita. Nelle società
occidentali a causa dei grossi cambiamenti sociali e tecnologici degli ultimi
anni, si stanno attraversando diversi mutamenti e questo spiega perché molte
norme sono transitorie o in trasformazione ed i ruoli sociali ed occupazionali
tendono a variare. Questi cambiamenti hanno portato ad una destabilizzazione
delle autorità istituzionali tradizionali - scuola, stato, famiglia - portando alla
nascita di nuove autorità incentrate sull’individuo. Gli adolescenti adottano i
valori condivisi dal gruppo di loro scelta e cercano di crearsi delle norme che li
aiutino ad affrontare l’incertezza sociale.

BOURDIEU – 1973 – TEORIA DEL CAPITALE

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Il concetto da lui inteso è come un insieme di risorse che dà l’opportunità a
certi gruppi di trarre profitto dall’istruzione, escludendone altri. Queste risorse
sono formate da un insieme di attitudini e di valori impliciti contenuti nel
curriculum scolastico.

COLEMAN (1988) considera questo capitale culturale un essenziale


completamento di quello finanziario, per aiutare i giovani ad avere successo
all’interno del sistema scolastico.

THORNTON (1997) estende questa idea fino ad includervi il “capitale


subculturale” definito come “la capacità di arrangiarsi” cioè un insieme di
abilità sociali che rende possibile ai giovani sopravvivere nelle moderne
subculture. Questo capitale subculturale rappresenta un mezzo di conoscenza
e controllo dei vari contesti sociali in cui vivono i giovani, che offrono
opportunità ma anche rischi. Il capitale subculturale è simile alle risorse con il
procedere dell’adolescenza la maggior parte dei giovani finisce per adottare
strategie più sicure che portano al conformismo ed alla convenzionalità.
Nelle società occidentali sotto un’apparenza di apertura e individualismo si
celano molti gruppi diversi, ognuno con i propri standard e le proprie norme
spesso in competizione. Il tentativo di far socializzare i giovani riflette il
desiderio degli adulti di preservarli dai rischi e minacce, desiderio che non ha
avuto mai una priorità così alta come nelle società industrializzate.
Infatti con l’aumentare dei cambiamenti, del senso di incertezza con strutture
normative poco affidabili queste società mostrano tendenze contradditorie:
· Le istituzioni sociali degli adulti compresi i genitori, tendono ad essere
iperprotettivi,
· Tutte le sfide rappresentate da attività non pianificate, sono minuziosamente
controllate ed organizzate da adulti che vogliono essere sicuri che nessuno si
faccia male con la conseguenza che i bambini si annoiano facilmente.
Questo modo di agire prosegue anche nell’adolescenza, dove giovani che
hanno un buon livello di sicurezza cercano delle sfide per combattere la noia –
comportamento che è in conflitto con le norme della società ed a volte anche
con le norme di legge.
Nel timore che lo smarrimento morale possa diffondersi le società adulte
mettono da parte “amore patriarcale” ed agiscono forti pressioni sociali che
spingono il giovane a conformarsi.

BECK (1992) TESI SULL’INDIVIDUAZIONE


Quanto detto è in contrasto con la tesi citata, Beck sostiene che le strutture
tradizionali sono diventate frammentarie (scuola-famiglia-ambiente lavorativo)
e ciò porta ad un offuscamento dei ruoli sociali. I giovani si trovano ad
affrontare una serie di scelte e rischi nei rapporti sociali dal momento che la
rete di sostegno tradizionale non garantisce più una guida sicura come nel
passato. Il rischio di stress ed incertezza che ne deriva supera le distinzioni di
classe, sesso e razza.
Comunque la tesi dell’individuazione presenta una serie di problemi:
· Le disuguaglianze strutturali – classe, razza, sesso – possono addirittura
aumentare
· L’accesso al mercato dei consumatori – che permette di raggiungere una
nuova indipendenza ed avere un numero maggiore di scelte – vale solo per i
giovani benestanti.
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I giovani oggi si trovano ad affrontare una rete di programmi scolastici, il
problema della disoccupazione, spesso accettare il lavoro nero che non gli
consente di superare il livello di sopravvivenza. I giovani si trovano spesso
perduti, impotenti emarginati dalla serie di provvedimenti nazionali ed
internazionali che affrontano i problemi strutturali del mercato di lavoro.

Il modello di sfida dello sviluppo e lo sviluppo dell’identità


dell’adolescente
Nell’ambito di questo modello si ritiene che l’obbedienza precoce e totale alle
norme della società adulta – che all’interno del mod. di sfida dello sviluppo può
essere un segno di stagnazione precoce o prematura – sia molto simile al
fenomeno del blocco di identità descritto da Marcia (1980) e cioè
l’adattamento precoce e privo di conflitti dell’identità in via di
formazione in base ai desideri degli altri.
MARCIA pur ritenendo che questo blocco non sia positivo per lo sviluppo
d’identità nelle società occidentali, lo considera un segno di adattamento
positivo nelle società più tradizionali che attribuiscono un valore più alto
all’affermazione di una identità collettiva.
Estendendo lo sviluppo d’identità all’intero ciclo della vita, gli orientamenti più
recenti si sono allineati al modello di sfida dello sviluppo. La struttura
dell’identità dell’adolescente, non è più ritenuta permanente, ma è considerata
iniziale e preliminare e sarà sfidata in seguito, nell’età adulta, da eventi che
possono creare un potenziale disequilibrio del ciclo di vita, vs. il quale
l’individuo può reagire sia in maniera costruttiva che limitativa.
La conquista dell’identità è l’unica condizione che stimola
contemporaneamente l’esplorazione e l’impegno promuovendo una
riorganizzazione ed una trasformazione continua dell’identità che può essere
definita: crescita personale continua.
Se esplorazione ed impegno si interrompono – l’adulto che ha raggiunto
l’acquisizione della propria identità può regredire ad una condizione
precedente.

Le implicazioni delle transizioni adolescenziali

Erikson (1968) descrive l’adolescenza come una moratoria psicosociale dove


è data la licenza di sperimentare, esplorare le varie sfaccettature della vita, di
mettere alla prova i limiti del comportamento accettabile. Poiché la maggior
parte delle società ha preparato un sistema di premi/punizioni, è ragionevole
aspettarsi che la maggior parte degli adolescenti, abbia imparato a conformarsi
alle regole sociali scritte e non scritte. Così anche le società in rapido
cambiamento si assicurano che sia osservato un certo livello di convenzionalità
e conformità.
Nel diventare adulti, molti adolescenti interiorizzano queste regole e valori e li
mantengono per il resto della vita, anche in presenza di cambiamenti a livello
macro.

Mead (1934) descrisse l’apprendimento dei valori sociali – conformismo alle


regole sociali - servendosi dell’idea “dell’altro generalizzato” riferendosi alle
concezioni individuali delle attitudini e dei valori generali posseduti dalle
persone con cui si interagisce all’interno della società. Questo ha un’influenza
vincolante sul comportamento individuale che affiora attraverso i feed-back

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che si riceve dagli altri, all’interno delle reti di rapporti micro-sociali, attraverso
l’interazione individuale e la sperimentazione dei diversi ruoli sociali, nel gioco
durante l’infanzia.
L’altro generalizzato è simili alla coscienza collettiva di DURKHEIM –
1893 - e riflette alcuni aspetti del macrosistema della teoria di
Bronfenbrenner – 1979.
Queste idee sono connesse al modello di sfida dello sviluppo. Si è
affermato che una delle sfide che si presenta negli anni dell’adolescenza è
costituita dalla risoluzione del conflitto tra l’accettazione immediata ed
indiscussa dei valori degli adulti ed il processo di formazione di un punto di
vista personale.
Questo processo di formazione dell’identità comporta delle sfide da
affrontare:
· L’esplorazione delle esperienze di vita
· La sperimentazione di stili di vita diversi
· La possibilità di commettere degli errori (apprendimento per tentativi ed
errori)
· L’occasione per mettere alla prova i limiti del proprio comportamento.

Alcune sfide normative e quasi normative dell’adolescenza


• Pubertà e cambiamenti fisici
• Sviluppo dei rapporti sentimentali
• Espansione e creazione di nuovi microsistemi
• Aumento dell’indipendenza dai genitori, scelta di andare a vivere da soli
• Aumento dei diritti legali
• Scelta della carriera scolastica e lavorativa
• Esplorazione dei percorsi che portano alla formazione dell’identità adulta.

LA TRANSIZIONE VERSO LA PRIMA ETÀ ADULTA

Prospettiva del modello di sfida dello sviluppo


I simboli e gli indicatori che caratterizzano l’avvicinarsi dell’età adulta analizzati
con il modello citato, nelle società occidentali sono contradditori e di difficile
interpretazione. I mutamenti normativi sono sempre meno legati all’età
cronologica. Sono più le trasformazioni a determinare il passaggio da una fase
all’altra. In seguito alla deregolamentazione del ciclo di vita, le decisioni, prese
vs. la fine dell’adolescenza, non costituiscono più scelte che durano tutta la
vita.
Questa instabilità è dovuta a fattori macrosociali:
• Cambiamento di abitudini ed usanze;
• Mercato del lavoro incerto e fluttuante;
• Richiesta di qualifiche più alte;
• Maggior bisogno di donne qualificate nel mondo del lavoro.
Inoltre lo STATO svolge diverse funzioni che prima erano proprie della famiglia.
In questa situazione di mutevolezza ci sono pochi se non vi sono per nulla,
mutamenti normativi richiesti ai giovani adulti. Il giovane adulto ha molte
scelte da compiere e gode di una relativa libertà di scelta su cosa fare nella
vita. Il vantaggio di poter scegliere in una vasta gamma di possibilità implica
una tensione poiché ogni scelta che si compie è scelta anche di qualcos’altro e
comporta il rischio che sia sbagliata con la possibilità di perdere altre
opportunità o di subire ripercussioni in stadi futuri del ciclo di vita. Nella prima
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età adulta le sfide sono numerosissime in tutti gli ambiti. Non c’è un
mutamento di maturazione da evidenziare ma ci sono pressioni normative che
possono dimostrare al giovane adulto di non avere ben capito le conseguenze
della deregolamentazione delle moderne traiettorie di vita. L’abilità di
svilupparsi nelle relazioni amorose, anziché impegnarsi per una scelta per la
vita, e quindi quella di sperimentare una crescita personale che diventa misura
di valutazione per il successo di formazione di un’identità. L’attaccamento ad
una causa che dura tutta la vita, è sostituito dalla capacità di un adattamento
flessibile a nuove richieste e all’esplorazione di nuove esperienze. La
realizzazione di sé alla cui affermazione contribuisce la relazione amorosa, è
valutato più dalla realizzazione personale caratterizzata dal donare
altruisticamente al partner.
La prima età adulta, classi sociali e differenze culturali
L’individualizzazione da una parte porta ad una maggiore autonomia, offre un
numero sempre più alto di opzioni di vita, dall’altra è legata ad un rischio più
alto di fallimento, stress e senso di insicurezza.
Jones e Wallace (1990) osservano che le scelte dei giovani adulti non sono
tutte individualizzate, ma dipendono ancora molto dell’appartenenza sociale e
dal sesso. Ancora oggi i giovani agiati hanno maggiori risorse che gli
consentono di fare delle scelte con più facilità, mentre gli altri – dei ceti inferiori
– hanno più difficoltà soprattutto per le scelte lavorative dove i rischi sono
maggiori a causa del mercato instabile e delle basse retribuzioni.
La tesi della moderna individualizzazione è applicabile più agli uomini che
alle donne, la cui autonomia è ancora limitata. Nelle culture tradizionali gli
eventi che caratterizzano la vita, identificandoli come markers di transizione
verso l’età adulta accadono prima, sono più facilmente prevedibili e sono
considerati mutamenti normativi.
Lo stadio individualistico dell’indipendenza adulta, come concepito nelle
società occidentali, non può mai essere raggiunto e neppure perseguito in
società di questo tipo in cui sono le norme sociali, l’autorità dei genitori a
determinare gran parte della vita futura e delle responsabilità dei giovani
adulti. Agli adolescenti in queste culture sono affidate in età precoce
responsabilità, ci si aspetta che contribuiscano alle entrate familiari in vari
modi prima dell’ingresso nell’età adulta, lavorando nell’impresa di famiglia o
accudendo bambini più piccoli. Essi restano legati alla famiglia di origine anche
dopo aver lasciato la casa dei genitori.
Le società tradizionali creano sfide che consentono ai giovani di raggiungere i
loro potenziali di sviluppo, hanno un maggior numero di mutamenti normativi
da attraversare ma anche più modelli di comportamento su cui basarsi e
possono contare su un maggior sostegno e guida familiare.
Un mutamento transizionale che comporta nuove sfide da superare è la
sperimentazione del conflitto di valori tra i propri ideali tradizionali e quelli
occidentali.

Capitolo 8
LA MEDIA ETÀ ADULTA: STILI DI VITA CONVENZIONALI O NUOVE SFIDE

LA VALUTAZIONE DELLA VITA DELL’INDIVIDUO E LA “CRISI DI MEZZA


ETÀ”
In questa fase della vita è già stato preso un certo numero di decisioni
essenziali e bisogna scegliere se cambiarle o portarle avanti. Generalmente

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non c’è niente che obblighi le persone a prendere ulteriori decisioni, inoltre la
società esercita in questa fase della vita una certa pressione sociale a vivere
una vita convenzionale. Molti reagiscono accettando un modello di vita
“comodo” e convenzionale non avendo interesse a produrre nuove sfide e
creando una stagnazione nella loro vita. Altri continuano a svilupparsi
modificando attivamente le aree della vita di cui non sono soddisfatti,
acquisendo nuove competenze e facendo nuove esperienze. Arrivati alla mezza
età bisogna decidere se orientarsi vs nuove sfide o vs il consolidamento. Non
tutti coloro che non sono soddisfatti del loro stile di vita possiedono le risorse
necessarie per cambiarlo: possono non avere le abilità, i soldi, la salute o il
coraggio di affrontarli entrambi.
La condizione di stagnazione non appagante può avvenire in un momento
qualsiasi della vita perché il bagaglio delle risorse personali può prosciugarsi.
Chi possiede risorse sufficienti e valuta in modo negativo la sua vita attuale, è
sfidato a valutare possibili cambiamenti. Ci sono persone che nonostante
l’avanzare dell’età non ristagnano mai.
Le società che incoraggiano e valorizzano la stabilità per assicurare una certa
continuità e ordine sociale, spesso reagiscono negativamente ai processi di
sviluppo, in queste culture esistono forti pressioni per chi ha deciso di cambiare
e per chi fa scelte nuove, diventa un capro espiatorio.
La crisi di mezza età un’invenzione sociale, è un esempio di come le società
occidentali cercano di mantenere i propri membri all’interno delle convenzioni
sociali, di creare ruoli ben definiti.

Stewart e Ostrove (1998) hanno riscontrato nel campione di donne studiato


che le qualità più comuni sono:
• Il senso di identità personale
• La fiducia nella propria self-efficacy che deriva dal successo ottenuto
nell’affrontare le difficoltà della vita.
Le sfide della media età adulta presentano le stesse opportunità e gli stessi
rischi che caratterizzano le sfide di qualsiasi altro momento della vita.

ESSERE GENITORI
Nelle società occidentali non c’è un’età normativa considerata appropriata per
diventare genitori. Il diventare genitore è un evento importante in qualunque
cultura.
Questo evento mette l’individuo in una condizione di potere all’interno di un
rapporto sociale gerarchico. Dopo la nascita di un bambino la riorganizzazione
dei ruoli familiari – quelli domestici in particolare - è molto importante. Tuttavia
la nascita di un figlio è ancora fortemente distinta da una divisione tradizionale
dei compiti. Le donne sentono di pagare maggiormente i “costi” personali
nell’avere un bambino, i nuovi padri tendono ad esigere le stesse priorità che
avevano prima della nascita del bambino, seppure in forma modificata, una
vita sociale intensa e la soddisfazione dei loro interessi personali. È difficile
prevedere in che modo la sfida di diventare genitori influirà sul rapporto
coniugale. Migliorerà la qualità del matrimonio di alcuni, indebolirà quello di
altri, lascerà invariati altri matrimoni.

Essere genitori di adolescenti

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Il rapporto con i figli cambia nel corso degli anni da uno di tipo verticale – in cui
i genitori hanno l’intera autorità – ad uno tra pari in cui l’adolescente in crescita
diventa partner quasi adulto all’interno della famiglia.
Hendry (1993) ha dimostrato che i dissidi tra genitori e figli adolescenti si
basano su questioni di vita quotidiana, disordine camera, orari uscite serali,
ecc.
Jackson, Cicognani, Charman (1993) in una ricerca più recente hanno
rilevato come i litigi più rilevanti riguardano:
• Questioni di rispetto reciproco e convivenza
• Quantità di indipendenza da concedere all’adolescente
• Responsabilità da esigere.

Sindrome del nido vuoto


Verso i 20 anni, prima che i genitori siano entrati nella tarda età adulta, molti
ragazzi lasciano la case dei genitori per andare all’università o per lavorare in
altra città. Questo mutamento è considerato quasi normativo nelle società
occidentali. Le potenziali reazioni depressive dei genitori causate dai figli che
vanno via sono state definite sindrome del nido vuoto
Chiriboga, 1991 – Afferma che la gamma delle reazioni delle madri va dal
senso di tristezza e di perdita iniziali alla percezione di aumentata opportunità
che sfocia in una riduzione della depressione e aumento del senso di orgoglio
e di benessere.
Nei padri non sono state riscontrate gli stessi cambiamenti. La sindrome del
nido vuoto sembra rappresentare Un effetto coorte per donne appartenenti a
generazioni precedenti, questo perché andare via di casa è diventato un
evento sempre più normativo negli ultimi 10 anni, sia perché le donne
occidentali non i identificano più il loro valore sociale e personale nel ruolo di
madre.
Se questa esperienza è aggravata da crisi concomitanti, quali un divorzio,
disoccupazione, ecc. è stato rilevato che uomini di mezza età sperimentano
stress a volte estremo. Altri studi hanno evidenziato che sei i figli adulti
giudicano superficiale e privo di intimità il rapporto con il padre, questi ne
soffre moltissimo sul piano psicologico.
Altro aspetto che caratterizza la transizione da nido vuoto è l’influenza
che può provocare sulla famiglia che corre il rischio di separarsi. Il
verificarsi del disaccordo dipende dalla durata del matrimonio, per unioni che
durano da più di 30 anni questo rischio decresce. Una spiegazione può essere
nella difficoltà dei genitori di affrontare le nuove e numerose sfide che questa
nuova condizione genera. Infatti devono trovarsi nuove attività con cui
impegnare la giornata, nuovi argomenti di cui parlare oltre il fatto che si
sentono in ansia per la sistemazione dei figli nella nuova vita indipendente
intrapresa. Bisogna inoltre vedere l’aspetto positivo che i figli andandosene,
danno l’opportunità ai genitori di cominciare una nuova vita, affrontare nuove
sfide dopo anni di attesa.

Essere genitori in culture non occidentali


Nelle società tradizionali si programmano più bambini perché sono considerati
un sostegno per la vecchiaia ed una risorsa per l’intera famiglia. La morte di un
bambino, considerata un evento non normativo nei paesi industrializzati,
diventa quasi normativo in quelli poveri. I cambiamenti che si stanno avendo
nelle culture tradizionali a causa della globalizzazione e delle forze di mercato,

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stanno cominciando a minare l’organizzazione del ciclo di vita, provocando
cambiamenti nelle famiglie allargate. Si stanno smuovendo le solide
fondamenta del modo di vivere tradizionale.
Con il modello di sfida dello sviluppo si può capire come schemi di vita
tradizionali possono frantumarsi di fronte ad mutamento assai rapido. Infatti
con l’aumento dell’acculturazione e dell’emancipazione un numero sempre
maggiore di giovani lascia la casa dei genitori con la conseguenza che le madri
devono affrontare un modo diverso di vivere soffrendo di solitudine, infatti il
loro desiderio era quello di trascorrerla vecchiaia circondata dai figli e nipoti e
questo oramai può non avverarsi.

Paternità e maternità con eventi non normativi


Complicazioni supplementari del diventare genitori possono derivare da eventi
non normativi come diventare genitori in età adolescenziale oppure in tarda
età.
La giovane madre adolescente deve affrontare le diverse reazioni negative
all’interno della società e secondo il modello di sfida dello sviluppo corre il
rischio di esser sopraffatta da più compiti di quanti ne possa affrontare con le
sue risorse. È la madre che deve affrontare il peso del genitore singolo con le
relative implicazioni sociali ed economiche. Studi recenti hanno evidenziato
come molte adolescenti affrontino la maternità in modo positivo spesso
nonostante le enormi difficoltà, in contraddizione con pregiudizi e stereotipi,
molte di queste madri trovano il sostegno della propria madre, spesso restano
a casa dei genitori durante tutta la gravidanza ed anche in seguito. In questa
situazione anche la nonna può trovarsi ad essere forzata ad assumere il ruolo
di genitore non normativo. Comunque nel complesso le madri adolescenti e le
loro madri giudicano l’esperienza in modo positivo. Ancora una volta si è
dimostrato come un evento non normativo, una sfida di vita, apparentemente
rischiosa e negativa possa trasformarsi in una opportunità di sviluppo e crescita
se ci sono le circostanze giuste e se la madre e gli altri membri del
microsistema coinvolti hanno le risorse necessarie per affrontarla. Lo
stesso principio è valido per un'altra forma di maternità non normativa: quella
di avere un figlio con una minorazione mentale. Inizialmente si hanno le
reazioni tipiche delle risposte ad altri eventi negativi, nel tempo si sviluppano
strategie di coping che permettono loro di affrontare le sfide associate ai
bisogni particolari del bambino e spesso questo processo migliora la coesione
familiare.
CARRIERA E DISOCCUPAZIONE
Altro aspetto importante della media età adulta è il valore attribuito al lavoro. Il
lavoro è ritenuto la fonte di maggior stress per gli uomini di questa età mentre
solo per un quinto delle donne che lavorano si ha questa risposta. I risultati di
uno studio interculturali che analizza studenti di scienze sociali mostrano che
più è alto il PIL di una nazione, più è facile che il successo professionale sia
ritenuto il fattore che contribuisce maggiormente alla formazione
dell’autostima, prima anche delle caratteristiche e della situazione familiare.
Però solo gli uomini danno questo tipo di valutazione.

BRONFENBRENNER – 1979
L’ambiente lavorativo, con le sfide, gli stress e le opportunità che comporta non
solo rappresenta un microsistema molto importante per l’individuo, ma è

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anche uno degli ecosistemi più importanti per i membri di quel
microsistema.
Il lavoro influisce sul coniuge, figli, amici sia con ripercussioni negative che
positive. Gli elementi del lavoro sono quelli che formano poi il contesto degli
altri settori della vita. Ne sono influenzati:
_ Il tempo libero
_ La quantità di energie che gli rimane da dedicare alla famiglia
_ Le energie per i rapporti sociali
_ Con il tempo anche il modo con cui sviluppa l’identità di sé.
Del resto un lavoro stimolante e soddisfacente si riflette positivamente in tutti
i campi citati.

KARASEK E THEORELL – 1990


Modello in grado di prevedere quale tipo di lavoro è più probabile che
produca tensioni e sintomi psicologici e fisici.
La combinazione di due caratteristiche influisce radicalmente sul benessere:
• Il controllo – cioè il livello di abilità e la libertà di decisione sul lavoro;
• Il grado di impegno richiesto dal lavoro.
I Lavori che richiedono molto impegno da parte di lavoratori molto qualificati,
portano all’apprendimento ed alla crescita cioè allo sviluppo
I Lavori meno impegnativi compiuti da persone qualificate – stagnazione
appagante ma non sviluppo
I Lavori che implicano un alto impegno – combinato ad una scarsa abilità
lavorativa e con poca autonomia portano ad un deterioramento (depressione,
esaurimento, abuso di farmaci, disturbi cardiaci ed insoddisfazione)
I Lavori passivi/poco impegnativi provocano un grado di atrofizzazione delle
abilità – stagnazione non appagante
Anche in questo caso è interessante notare come vi siano molte somiglianze
tra questo modello ed il modello di sfida dello sviluppo nel ciclo della
vita.

La sfida della disoccupazione


le società post-industrializzate hanno subito profonde trasformazioni del ciclo
produttivo passando dall’industria manifatturiera a quella dei servizi, è in atto
un forte calo della richiesta di lavoratori specializzati ed è fortemente
aumentata la competizione per la ricerca di un posto di lavoro. La
disoccupazione sta diventando un’esperienza normativa. Lo stigma di
anormalità associata alla condizione di disoccupato è fortemente diminuito,
soprattutto se i problemi economici sono alleggeriti dai sussidi di
disoccupazione e da una famiglia allargata.
Per le persone più anziane la condizione di disoccupato è sicuramente più
pesante psicologicamente in quanto l’identità di sé è strettamente legata al
ruolo professionale. Inoltre il rientro nel mondo del lavoro è molto più
problematico per persone di questa fascia di età.

HENDRY E RAYMOND – 1983 – INGHILTERRA


Hanno studiato i vari stili di vita dei disoccupati:
✓ chi non aveva esperienza lavorativa e non era orientato alla carriera
assimilava la condizione di disoccupato a quella dello studente, vivendo il
tempo libero come una vacanza e come una opportunità per vagliare le

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possibilità di scelta lavorativa, non si trattava comunque di sviluppatori
attivi – significato positivo
✓ altri giovani trascorrevano il tempo al chiuso guardando la televisione,
avevano rinunciato a qualunque tentativo per cambiare la situazione,
ritirati in una condizione di vita solitaria e passiva -in una condizione di
stagnazione non appagante sull’orlo del deterioramento
✓ invece gli intraprendenti gli sviluppatori avevano la volontà di servirsi
delle loro abilità sociali per trovare un lavoro, cercando tutte le
opportunità alternative.
Questa ricerca ha fatto venire alla luce la conseguenza nascosta della
disoccupazione e cioè un ritorno alla divisione tradizionale e stereotipata dei
sessi.
Come per altri compiti di sviluppo per capire realmente la disoccupazione
non si deve considerare solo il modo in cui i fattori agiscono, ma anche
misurare le capacità individuali di far fronte ad aspetti positivi e negativi del
processo. La realtà del processo di disoccupazione può essere vista come
una sequenza di questioni psicologiche e sociali diverse che colpiscono
l’individuo. La combinazione di questi fattori produce gli elementi entro i quali
si sviluppano le strategie di coping oppure porta ad uno stato crescente di
angoscia di fronte alla prospettiva di un periodo di disoccupazione prolungato.
Come altre sfide la disoccupazione offre all’individuo una serie di esperienze
tempranti provocando una varietà di risposte che possono essere interpretate
come sviluppo, stagnazione appagante, stagnazione non appagante a seconda
delle risorse potenziali presenti nel bagaglio dell’individuo.

LA MORATORIA DELLA MEZZA ETÀ – L’IMPORTANZA DEL TEMPO LIBERO


In questo momento del ciclo della vita c’è la possibilità di una moratoria che dà
all’individuo la possibilità di rifinire ed ampliare le sue abilità e di specializzarsi
in diversi settori.
Questo momento ha la stessa importanza della moratoria psicosociale
nell’adolescenza descritto da Erikson (1978). Generalmente in questa fase
della vita non ci sono nuove abilità che devono essere apprese, una fonte di
sviluppo è data dalle attività del tempo libero. Nelle culture tradizionali, che
non cambiano tanto rapidamente gli individui di mezza età possiedono tutte le
competenze per gestire la vita ed il lavoro quotidiano, senza sentire la
necessità di affrontare nuove sfide. È questo il caso in cui si può giungere ad
uno stato di stagnazione appagante.
Però in entrambe le culture c’è il rischio che l’individuo smetta di interessarsi
alle possibilità e vantaggi offerti dal cambiamento e di fronte a mutamenti
sociali importanti si trovi improvvisamente senza abilità, privo di sicurezze ed
a rischio di stagnazione non appagante.
Per Havighurst (1972) l’organizzazione di attività di svago significative
è uno dei compiti di sviluppo più importanti della mezza età.
Ci sono 3 funzioni importanti derivanti dalle attività di svago:
a. Attività di svago indipendenti attraverso le quali ci si dedica ad un
hobby solitario;
b. Attività di svago parallele che offrono di incontrare nuove persone
mentre si svolge il proprio programma – es. body building, ginnastica,
ecc;
c. Attività di svago di collaborazione nelle quali si gioca/esercita
insieme ad altri come in una squadra sportiva o attività di teatro.
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Queste 3 attività riflettono il concetto di sviluppo degli adulti perché
equilibrano le aspettative sociali ed i bisogni individuali, l’appartenenza e
l’autonomia. Gli svaghi svolgono la funzione della rappresentazione di sé.
Shaw (1994), descrive 3 aspetti diversi del tempo libero per le donne:
a. Caratterizza le restrizioni nella scelta delle attività;
b. Comprende le attività di svago vincolanti e limitative;
c. Quelle intraprese per resistere alle costrizioni
Queste 3 descrizioni corrispondono alla caratterizzazione dei tipi di
sviluppo forniti dal modello di sfida dello sviluppo nel ciclo di vita:
1. Chi ha una scelta limitata di attività nel tempo libero, è spesso una
persona a cui manca il denaro, il tempo, la capacità, salute o energia. Ha
poche possibilità di raggiungere una condizione di sviluppo nel tempo
libero – stagnazione non appagante
2. Ci sono persone che si impegnano in attività di svago vincolanti o
limitative che non offrono possibilità di sviluppo o cambiamento perché
rinforzano stereotipi sessuali, di classe o culturali. stagnazione non
appagante
3. Vi sono individui che possiedono sia le risorse che la volontà di
sperimentare nuove esperienze senza preoccuparsi dell’opinione degli
altri. Il tempo libero fornisce a queste persone un’ampia gamma di sfide
e di opportunità di crescita. Si definiscono sviluppatori queste persone.

Capitolo 9
LA TARDA ETÀ ADULTA – RITORNO AL FUTURO

Le sfide dell’età adulta sono:


· Di maturazione (cambiamenti fisici, menopausa);
· Quasi normativi (diventare nonni);
· Normativi (pensionamento).

I CAMBIAMENTI FISICI
Un aspetto importante che caratterizza i cambiamenti fisici e del metabolismo
nella tarda età adulta, è rappresentato dall’influenza negativa che la società
esercita sull’individuo di mezza età. Il mito della giovinezza è estremamente
diffuso nelle culture occidentali, caratterizzate anche da una minore
segregazione per età. Questi 2 fattori messi insieme costituiscono le principali
componenti del successo negli affari, nei rapporti interpersonali, esprimono
vitalità, salute aspetto fisico, giovinezza. Anche nelle culture non occidentali si
sta avendo questa influenza tanto che in Brasile si è coniato il concetto di
“adultescenza” cioè maturità adulta in un corpo giovane, molto popolare tra le
persone di mezza età. Questa situazione presenta 2 rischi:
a) Dal punto di vista sociale: trascurare le qualità di un individuo a causa
del fisico che invecchia significa perdere l’esperienza e la saggezza all’interno
di molti luoghi sociali: lavoro, org. Tempo libero, casa, comunità locali.
b) Dal punto di vista individuale: si può cercare di negare l’invecchiamento
ed andare avanti come prima con il rischio di prosciugare il bagaglio di risorse
personali, oppure si possono considerare sfide i cambiamenti fisici e sociali e
cercare con il problem solving di vedere gli aspetti positivi di questo
mutamento di maturazione.

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LA MENOPAUSA
Essa è un mutamento do fase di maturazione. Essa riveste un potente
simbolismo socio-culturale. essa è considerata in alcune culture occidentali un
mutamento non normativo una specie di malattia da trattare
farmacologicamente. È stato suggerito a questo punto, che la menopausa non
è un processo biologico ma un costrutto sociale. La menopausa può essere
vista come il marker di uno sviluppo più generale del ciclo di vita verso cui
reagire con dei cambiamenti nello stile, con la ricerca di nuovi significati.
KAISER, 1990 – Per le donne che vivono nelle società tradizionali la
menopausa le fa assistere ad un miglioramento della loro condizione, del
potere politico e del benessere psicologico che acquisiscono. Essa è
considerata una transizione naturale. Attribuzione di valori sociali positivi.
L’influenza dei macrosistemi ha un ruolo rilevante nel modo in cui le donne
affrontano le sfide legate alla menopausa. Essa è un processo di sfide diverse
che possono dare l’avvio ad un nuovo sviluppo. Una menopausa fuori tempo,
che avviene prima dei 40 anni rappresenta una sfida assai difficile e spesso
prosciuga un gran numero di risorse in particolare quelle legate all’autostima.

DIVENTARE NONNI
Altro mutamento quasi normativo la trasformazione in nonni.
Con la deregolamentazione del ciclo della vita questo può avvenire in una arco
di tempo dai 30 anni in su, ma sembra sia più facile affrontare questa sfida se
avviene in una età ritenuta appropriata dalla società e dalla sub-cultura di
appartenenza. Il diventare nonni può essere una sfida che occorre
contemporaneamente ad altre, inoltre ci possono essere discrepanze sui
bisogni dei neo genitori e dei nonni, soprattutto in materia di indipendenza
perché impegnate sui loro hobby, amici, interessi ed autonomia dai vincoli dei
figli e nipoti. Accettano di occuparsi di questi per un breve tempo e
volontariamente. I nonni di tutti i paesi ricoprono più ruoli, possono essere
guardiani, genitori surrogati, educatori. Svolgono anche il ruolo di storici che
raccontano storie del passato e che trasmettono cultura, mentori che
trasmettono le loro conoscenze, influenzano le idee dei bambini sulla vecchiaia
rappresentando dei modelli di comportamento. Sono anche dei compagni di
gioco avendo più tempo a disposizione da trascorrere con i bambini.
Diventare nonni è una sfida che spesso porta ad uno sviluppo ed a una
crescita, come sempre c’è però il rischio che affrontando la sfida si
prosciughino troppe risorse. Nella maggior parte dei casi i nonni affrontano con
successo la sfida del nuovo arrivo.

IL PENSIONAMENTO
Ultimo mutamento normativo che l’individuo deve affrontare è il
pensionamento con relativo impatto sullo stile di vita. Questo è considerato un
marker psicosociale se segna l’inizio effettivo della vecchiaia. Il limite fissato
per il pensionamento è legato all’età e non sul tipo di prestazione e sulle
capacità. Ci sono però pochi segnali che indicano che la maggior parte delle
persone desideri ritirarsi completamente dalla scena lavorativa.
HAVIGHURST, NEUGARTEN, TOBIN (1968) concludono che né la teoria
dell’attività né quella del disimpegno dell’invecchiamento ottimale sono
sufficienti a spiegare le conclusioni di questa ricerca, alle persone dispiace
abbandonare le loro attività, ma lo accettano ritenendola una conseguenza
inevitabile dell’invecchiamento, mantenendo il senso del loro valore e di
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soddisfazione. Praticamente con l’aumentare dell’età le persone vengono
forzate ad essere meno attive. I pensionati cercano di fissare i loro
obiettivi in modo realistico più che in conformità a scelte personali.
Una volta accettato questo le persone anziane possono considerare questi
riadattamenti nella loro vita come sfide e cercano un modo soddisfacente per
affrontarle.

Quali sono alcuni compiti del pensionamento?


I pensionati devono ristrutturare le loro giornate e trovare attività sostitutive
soddisfacenti, perdendo i contatti con gli ex colleghi bisogna trovare nuove
amicizie. Può anche essere difficile riorganizzare i ruoli sociali e domestici per
una coppia dove solo uno va in pensione e l’altro continua a lavorare. I risultati
però dipendono più dalla qualità del matrimonio che dall’evento del
pensionamento in se. La sofferenza della vecchiaia non è determinata dal
processo di invecchiamento ma da circostanze psicosociali spesso derivante da
atteggiamenti e valori del macrosistema di una certa cultura.

Capitolo 10
LA VECCHIAIA: LA SFIDA FINALE?

Oltre allo stigma attribuito all’invecchiamento dalle società occidentali, è


probabile che accettare i segni ben definiti del processo di invecchiamento sia
la sfida più difficile che deve affrontare l’individuo durante questa fase della
vita. La sfida di adattarsi al declino delle proprie abilità fisiche, ha
implicazioni a livello fisico e sociale, con l’aumentare dell’età cambia anche la
rete dei rapporti sociali dell’individuo, spesso a causa della morte di amici e
parenti. Il lutto diventa sempre più normativo con l’aumentare dell’età.

ACCETTARE IL PROCESSO D’INVECCHIAMENTO E AFFRONTARE LE


INTERPRETAZIONI SOCIALI DELLA VECCHIAIA

Hogg e Abrams, 1988 – Con la loro teoria dell’identità sociale elaborata


per spiegare il comportamento dei gruppi svantaggiati della società – es.
minoranze etniche – può essere applicata efficacemente per spiegare le
strategie di coping attuate dagli anziani per reagire alle minacce alla loro
autostima ed alla loro identità sociale – dovute al fatto che, in quanto anziani,
sono entrati a far parte di un gruppo sociale svantaggiato:
• Un individuo può mettere in discussione i meccanismi che definiscono il
gruppo oppure cercare di cambiare questi atteggiamenti pregiudizievoli
(strategia della “competizione sociale”);
• Un individuo può negare di appartenere al gruppo degli anziani;
• Un individuo può ammettere di appartenere al gruppo attribuendo un
valore speciale ad esso – es. i vecchi sono saggi e meritano rispetto;
• Un individuo può aumentare l’autostima “usando” un gruppo di
condizione inferiore ed evidenziandone la differenza – cambiamento
sociale – es. ai miei tempi tutto funzionava meglio!
Le ultime 3 strategie sono di dubbia efficacia ed in generale gli anziani non
hanno una percezione di appartenere ad un gruppo svantaggiato. La negazione
dell’invecchiamento non è così diffusa né efficace. Sembra che coloro che

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ammettono a se stessi di sentirsi esattamente gli anni che hanno abbiano più
soddisfazioni dalla vita, meno aspettative negative, meno paura di invecchiare
di coloro che mostrano discrepanza maggiore tra l’età reale e quella
soggettiva.

SFIDE NORMATIVE E QUASI NORMATIVE


Le costruzioni sociali sull’età, che hanno origine unicamente dai pregiudizi,
creano sfide normative per gli anziani. È un processo che tutti noi ci troveremo
a vivere e più negative sono le nostre aspettative sulla vecchiaia, più difficile
sarà affrontare le sfide quando si presenteranno.
La diffusione della discriminazione nei confronti degli anziani è una delle sfide
più dure da superare nel corso del processo di invecchiamento.
Levy, 1996 - In una serie di esperimenti ha dimostrato come l’esposizione
degli anziani a parole subliminali negative possa causare un effettivo
deterioramento delle prestazioni che si riflette nei punteggi ottenuti nei test
cognitivi. Si dimostra fino a che punto le prestazioni cognitive possano essere
danneggiate da immagini di sé negative derivanti dai generali stereotipi
sull’invecchiamento. Un modo per superare le sfide rappresentate dalla
discriminazione è l’adattamento di una strategia di competizione sociale che
consiste nel mettere in discussione i parametri che stabiliscono il livello sociale
di un gruppo, intervenendo sul piano politico per cercare di modificare gli
atteggiamenti in atto. Anche in questo caso la quantità e la qualità delle risorse
potenziali sono decisive per stabilire se le persone riusciranno a superare le
sfide con successo. Le risorse non sono egualmente distribuite tra tutti gli
individui.

CAMBIAMENTI NELLA RETE DI RAPPORTI SOCIALI


Il contesto sociale degli anziani è caratterizzato da un’alta densità di contatti
sociali con gli amici, che hanno un grande significato emotivo. Diminuisce sono
il n.ro dei contatti superficiali. Il sostegno sociale influisce positivamente sul
benessere dell’individuo. I fratelli e le sorelle hanno un ruolo speciale e
specifico nel sostegno e nel benessere dell’individuo. È la qualità del sostegno
ad aumentare le risorse nel bagaglio di risorse personali.

LUTTO
La morte di una persona cara diventa un evento sempre più normativo man
mano che avanzano gli anni. Il lutto è un processo a più dimensioni influisce
sulla persona psicologicamente, fisicamente, economicamente e
spiritualmente. Forse per il fatto che la morte diventa un evento più normativo
con il passare dell’età, i vedovi/e anziani si adattano meglio e soffrono meno di
depressione rispetto ai più giovani. Un evento triste come la perdita della
persona amata con il tempo può diventare tollerabile. La depressione ed i
problemi psicologici diminuiscono con il tempo (1 o 2 anni) fino a tornare
normali. Il dolore ed il senso di perdita invece hanno periodi di ripresa più
lunghi, in alcuni casi durano anche 15/20 anni.
Il lutto e la vedovanza, come gli altri eventi importanti della vita, pongono
l’individuo di fronte a una serie di sfide:
• Solitudine;
• Problemi quotidiani: per gli uomini attività domestiche, per le donne
riparazioni, questioni legali e finanziarie;

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• Difficoltà di riconciliare il nuovo modo di vivere con le aspettative degli
altri
È in simili momenti che diventa evidente la condizione di stagnazione
appagante o l”’aver messo tutte le uova in un solo paniere”.
Se il lutto porta ad un modo attivo di affrontare la situazione,
all’apprendimento di nuove abilità e al rinforzo delle risorse personali, esso può
portare ad una crescita e ad uno sviluppo, nonostante il dolore che rimane.

SALUTE
il peggioramento della salute a causa dell’età avanzata non rappresenta un
mutamento normativo, anche se con il progredire del ciclo di vita aumenta il
numero delle persone con problemi di salute. La capacità di ritornare in salute
dopo una malattia può risultare da altri fattori di compensazione non fisici
come un senso di utilità, la presenza di un partner, buone relazioni sociali,
buona autostima sono di aiuto per preservare lo stato di salute.

LA PERCEZIONE SOGGETTIVA DELLA SALUTE


È il modo in cui gli individui sani percepiscono se stessi ad avere un’influenza
maggiore sul modo di affrontare le sfide. Un alto livello di self-efficacy è
predittore della capacità di condurre nel migliore dei modi le attività della vita
quotidiana permettendo di raggiungere un livello di funzionamento fisico e
sociale più alto. Il ciclo di vita della maggior parte delle persone mantiene un
buon livello di salute regolare e soddisfacente per un buon numero di anni
prima della morte.

IL FUNZIONAMENTO COGNITIVO
Pregiudizio che le abilità cognitive di una persona calano con l’aumentare
dell’età. L’indebolimento della vista, dell’udito, del gusto e dell’olfatto, del
senso dell’equilibrio e del senso cinestetico non sono di per sé invalidanti e
possono essere ovviate con ausili esterni.
Ricerche recenti condotte sul deterioramento delle funzioni cerebrali indicano
che i cambiamenti strutturali variano da una persona all’altra in maniera
sensibile, esso inoltre è un processo molto specifico più che un deterioramento
globale.
Diminuiscono:
• l’attenzione selettiva e l’inibizione di informazioni non rilevanti;
• l’attenzione distribuita;
• l’attenzione sostenuta – concentrazione
Il decadimento interessa solo i processi controllati e non i processi
automatici.
Le facoltà che sembrano più colpite sono la velocità e l’accuratezza nel
processamento delle informazioni definite intelligenza fluida, mentre
l’intelligenza cristallizzata, riflessa nella conoscenza basata sulla cultura,
mostra uno schema stabile di sviluppo fino agli 80 anni di età.
Per quanto concerne il linguaggio:
• la memoria semantica non sembra risentire dell’età
• il lessico recettivo rimane inalterato;
• il lessico produttivo si riduce
• si può assistere alla difficoltà di recupero di una singola parola
• pianificazione in situazioni non automatiche

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• rallentamento nella decodifica in situazioni sintattiche che richiedono
molto carico di memoria.

ASPETTI DELLE SFIDE NELLA VECCHIAIA


Baltes e Baltes (1990) offrono un modello che include il concetto di
“ottimizzazione selettiva con compensazione”. All’interno del modello, il
successo è definito in termini di raggiungimento dell’obiettivo e
l’invecchiamento riuscito è quello rappresentato da un minimo di perdite e
da un massimo di conquiste. Le strategie per un invecchiamento riuscito sono:
a) Selezione: valutazione degli obiettivi che si sono posti ed abbandonarne
qualcuno a favore di quelli più importanti. Possono incanalare la loro energia in
pochi progetti e massimizzarli.
b) Ottimizzazione: comporta i mezzi per raggiungere gli obiettivi desiderati. Il
tempo e l’energia risparmiati selezionando un numero ristretto di obiettivi,
rendono liberi per concentrasi sui progetti rimanenti.
c) Compensazione: indica una risposta ad una perdita di risorse messa in atto
per mantenere gli obiettivi desiderati, controbilanciandoli con altre risorse.
Baltes e Baltes (1980) sostengono che un investimento di energie in troppe
aree diverse è associato ad un minore benessere soggettivo, pare sia meglio
concentrare l’energia in modo selettivo piuttosto che disperderle. Questi
studiosi spiegano inoltre che il modo in cui gli individui che invecchiano, e si
trovano di fronte ad una diminuzione di risorse ed un alto numero di sfide
(soprattutto il deterioramento della salute) devono utilizzare una serie di
strategie per riorganizzare in buon adattamento tra le sfide quotidiane e le
risorse da impegnare. Sulla base della terminologia del modello di sfida dello
sviluppo queste strategie includono soprattutto una riduzione intenzionale dei
compiti da svolgere, in modo da concentrare le risorse su quelli ritenuti più
importanti o necessari.

Brandtstadter e Wentura (1995), ripetono l’importanza dell’investimento


delle risorse fisiche e temporali in giusti fini, l’adattamento degli obiettivi
personali e delle ambizioni alle attuali circostanze vincolanti non può essere
evitato.
Essi distinguono 2 tipi di strategie:
• Strategie assimilative: sono quelle che alterano o modificano il corso
dello sviluppo personale a seconda delle aspirazioni dell’individuo;
• Strategie accomodanti: mirate ad adattare fini e mezzi di una persona
a circostanze realistiche ed alle limitazioni dello sviluppo.
Pertanto adattare gli obiettivi e riadattare le ambizioni possono essere tra
le più importanti strategie di coping per bilanciare le perdite delle funzioni della
vecchiaia.

Capitolo 11
TEMI EMERGENTI DELLO SVILUPPO NEL CICLO DI VITA

Lo sviluppo va inteso come una serie d’interazioni dinamiche tra l’individuo ed


i vari livelli di sistemi, istituzioni e contesti sociali. La prospettiva del ciclo di
vita quindi si collega a questioni che riguardano i rapporti tra evoluzione
culturale e sviluppo individuale e ha a che vedere con il ruolo che gli individui
giocano nel loro sviluppo e con la continuità e discontinuità del corso della vita
in relazione alle risorse, alle sfide e ai rischi. Oltre ai diversi sistemi sociali
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(micro – meso – eso – e macrosistemi), anche il momento e i cambiamenti
storici creano una differenza all’interno dei sistemi ecologici che influenzano lo
sviluppo individuale.

IL CICLO DI VITA COME PROCESSO DI SFIDE CONTINUE

Brandtstadter e Greve (1992), sostengono che le attività di


assimilazione caratterizzano soprattutto la media età adulta. Le strategie di
assimilazione sono usate finché ci sono risorse sufficienti per assicurare una
ragionevole possibilità di successo. Mentre i processi di accomodamento
sono messi in atto alla fine dell’età adulta e nella vecchiaia. Le strategie di
accomodamento subentrano soltanto quando è chiaro che le risorse individuali
sono inadeguate o insufficienti per raggiunger gli obiettivi desiderati.
_ La determinazione degli obiettivi allo scopo di ottenere un buon grado di
adattamento tra le risorse e le aspirazioni dell’individuo è una strategia
efficace per l’intera durata della vita.
_ Le strategie di ottimizzazione e compensazione – perdite o mancanza di
risorse – possono esser compensate dall’utilizzo di nuove risorse,
dall’applicazione di nuove strategie, dalla mobilitazione di altre risorse. Queste
strategie possono servire ad aumentare le possibilità di raggiungere gli
obiettivi prescelti.
Greve (2000) definisce alta flessibilità la capacità di percepire un guadagno
anche dalle perdite e quindi la possibilità di rielaborare e ricreare la realtà.

LE ABILITÀ SUPERIORI – RISORSE IMPORTANTI


All’interno del modello di sfida dello sviluppo (selezione, ottimizzazione,
compensazione), sarebbero considerate come risorse formate da abilità
superiori – meta-skills.
Si tratta di abilità generali che possono essere usate per gestire con successo
molteplici situazioni.

Altre abilità che appartengono a questo gruppo sono:


- l’apprendimento di strategie
- la valutazione di sè
- le azioni creative ed innovative
- le abilità di pianificazione
Tra le abilità superiori quella ritenuta più importante è la capacità di
imparare ad imparare. È quindi importante insegnare agli studenti le
strategie di apprendimento per metterli in condizione di imparare qualsiasi
nozione o abilità di cui abbiano bisogno.
Alcuni esempi di abilità superiori:
A. abilità dell’apprendimento
- valutazione di sè
- pianificazione dei compiti
- capacità di assumere una prospettiva
- versatilità nella ricerca di soluzioni
- capacità di valutare le soluzioni
- capacità di perfezionamento
- capacità di modificare
- capacità di trovare e selezionare informazioni, incluso l’accesso a fonti virtuali
- capacità di mind-mapping

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- capacità di memorizzare
- capacità di ripassare mentalmente
- cercare ambienti innovativi in cui mettere alla prova nuove abilità
- usare le abilità in una varietà di situazioni, per essere certi della loro
applicabilità generale
B. strategie per un approccio scientifico alla vita
- pensiero critico
- mettere alla prova ipotesi e supposizioni
- mettere in discussione le prove
- induzione e deduzione logica
- analisi e sintesi delle informazioni
C. capacità di pianificazione
- fissare gli obiettivi
- trovare percorsi per raggiungere gli obiettivi
- identificare e rimuovere ostacoli per raggiungere gli obiettivi
- aumentare attivamente la probabilità di successo mantenendo disponibili
diverse soluzioni
- avere persistenza e perseveranza

Vygotskij. Aveva definito “segni” i vari strumenti psicologici le strategie di cui


si servivano gli individui per aiutare il loro pensiero ed il loro comportamento,
affermando che non si può capire il pensiero umano senza esaminare i “diversi
segni” che ci forniscono le varie culture.
Rutter sostiene che è importante concentrarsi sui processi protettivi i quali
provocano cambiamenti di percorso nella vita che mettono al riparo dai rischi
gli individui più vulnerabili per indirizzarli verso l’adattamento e lo sviluppo. Tali
processi comprendono:
• Quelli che riducono l’impatto di rischio;
• Quelli che riducono la possibilità di una reazione a catena negativa
• Quelli che promuovono l’autostima e la self efficacy
• Quelli che aprono nuove opportunità.

Baltes e Staudinger (2000) descrivono una serie di abilità racchiuse nel


concetto di saggezza. Ritengono che le seguenti risorse siano essenziali per
“l’arte di vivere”:
1. Profonda conoscenza di fatti e procedure;
2. Contestualizzazione del ciclo di vita;
3. Relativismo di valori;
4. Riconoscimento e gestione dell’incertezza.
Altra importante abilità è la determinazione e la resistenza di fronte al
fallimento.
RUTTER sottolinea l’importanza delle esperienze tempranti per lo sviluppo
della resilienza nei momenti difficili.

CONSIDERAZIONI SUL MODELLO DI SFIDA DELLO SVILUPPO


il modello di sfida dello sviluppo è un modello ecologico dello sviluppo umano
e pertanto si devono tenere in considerazione gli ecosistemi e collegare le idee
al modello. I compiti che dobbiamo affrontare sono spesso determinati dai
macrosistemi (periodi storici in cui viviamo). Questi prescrivono le usanze, le
leggi i valori sociali che agiscono da filtro nei nostri processi decisionali. Il tipo
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tradizionale di macrosistema sembra creare sicurezza, stabilità ed uno stato di
stagnazione appagante, fino a che ci sono pochi mutamenti nella società. Nelle
società individualistiche i membri sono posti davanti ad un’ampia gamma di
sfide diverse, ampia gamma di esperienze, rapido mutamento sociale e
tecnologico, tutto questo determina una diminuzione del senso di sicurezza. Il
modello di sfida dello sviluppo riconosce che il processo di sviluppo nel ciclo di
vita è basato:
- sul passato – risorse precedenti, attuali, potenziali
- sul presente – sfide e rischi che affrontiamo – risorse attuali e potenziali
- sul futuro – nostro sviluppo – stagnazione o deterioramento.

MODELLO DI SFIDA DELLO SVILUPPO E L’ANALISI DELLO SVILUPPO

Si analizzano ora i valori del modello e lo sviluppo a livello micro e macro.

Analisi macroculturale - con il modello di sfida dello sviluppo e con la


teoria ecologica di Bronfenbrenner (1979)
Caso: campione di cultura indiana Chamula
1. il mantenimento delle tradizioni e l’appartenenza ad un gruppo creano un
senso di sicurezza, questa coesione, per un certo periodo, ha aiutato la
tribù a sopravvivere, nel momento di cambiamento con una molto
limitata attività agricola e la vendita di prodotti artigianali, non riescono
più a garantire la sopravvivenza dei membri, la loro situazione è
diventata stagnazione non appagante
2. le abilità imprenditoriali per trovare spazio nel mercato necessitano di un
bagaglio di risorse pieno, non hanno sufficienti risorse per reagire ad un
mercato inflazionato. Si ha una scelta di stagnazione piuttosto che
correre il rischio di cambiare.
3. Non avendo frequentato le scuole da bambini, la decisione di cercare
un’istruzione o un lavoro altrove rappresenta una sfida molto superiore
alle risorse della maggior parte dei membri della tribù. Un cambiamento
radicale potrebbe distruggere le sicurezze derivanti dalla tradizione,
senza obbligatoriamente sostituirle con scelte valide. Le vite sono così
collegate tra loro ed i microsistemi interconnessi che non si può applicare
dall’esterno neppure il provvedimento più semplice, senza sconvolgere
l’intero ecosistema.

Analisi microculturale – apprendimento di un compito psicomotorio.


Caso: bravo nuotatore che deve migliorare la bracciata
1. Essendo bravo questo ragazzo possiede le risorse sufficienti per
affrontare la sfida rappresentata da un singolo cambiamento dei
movimenti appresi
2. Non possiede la capacità necessaria per interiorizzare un certo numero di
istruzioni supplementari, compreso il sovraccarico di nuove istruzioni in
una sola volta
3. Le sequenze specializzate di movimenti, anche quelle già acquisite si
interrompono. Il nuotatore ricade negli schemi psicomotori precedenti,
rifugiandosi nella sicurezza di movimenti già conosciuti, che
appartengono all’epoca in cui non conosceva la tecnica della respirazione
e nuotava con la testa fuori dall’acqua. L’intero sistema dei suoi

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movimenti è disturbato tanto da renderlo incapace di continuare e da
dover interrompere l’allenamento.
4. Questa fase dura poco grazie al livello di abilità, all’esperienza, al senso
di autostima che ha riguardo alle proprie capacità di nuotare.
5. Una simile esperienza probabilmente avrebbe scoraggiato un principiante
per le insufficienti risorse possedute. Ogni richiesta che arriva in questa
fase sovraccarica il bagaglio di risorse personali e l’individuo non si sente
sicuro di riprovare. Un fallimento in questa fase può prosciugare la risorsa
“nuoto” al punto di portare ad una rinuncia.

BEE (1998) compatibilmente con il modello di sfida dello sviluppo, conclude


che:
1° concetto Lo sviluppo non avviene attraverso stadi ma in sequenza di
esperienze condivise da molti individui all’interno di un data cultura che
seguono percorsi simili ma diversi,
2° concetto Prevede periodi alterni di stabilità e transizione non collegati a
stadi di età universali spiegabili attraverso i concetti di sfide e di rischio del
ciclo di vita in cui il raggiungimento di un obiettivo desiderato può portare ad
un periodo di sicurezza dinamica, con il consolidamento delle abilità e lo
sviluppo di risorse.
Uno dei vantaggi del modello di sfida dello sviluppo è che evita di fare
supposizioni su stadi e sequenze, considera piuttosto le transizioni ed i percorsi
che avvengono nel corso della vita in relazione alle risorse potenziali
dell’individuo di fronte alle sfide che possono accadere in qualsiasi momento.
Questo modello inoltre descrive i meccanismi alla base dello sviluppo,
indicando metodologie applicabili a tutte le culture in qualunque momento
storico.
Questo modello intende lo sviluppo come un accumulo di abilità e di risorse
derivanti dal successo ottenuto nell’affrontare le sfide nel corso della vita. Nello
stesso tempo rende consapevoli della moltitudine di variabili che si possono
incontrare durante il ciclo della vita e che possono portare allo sviluppo, alla
stagnazione ed al deterioramento. Offre una struttura generale di analisi che
può essere adattata al ciclo della vita di ciascun individuo.
Esso può aiutare a rendere più forti gli individui:
• fornendo strategie di analisi dei meccanismi e dei processi di sfida e di
rischio attraverso il ciclo della vita;
• compiendo continui passi in avanti per rinforzare tutti i tipi di risorse;
• considerando l’influenza delle azioni degli individui sulla vita di persone
a loro collegate;
• incoraggiando l’azione per implementare i cambiamenti;
• aiutando a pianificare il ciclo di vita.

62

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DOPO L'INFANZIA E
L'ADOLESCENZA - Sestito,
Sica (Riassunto completo)
Psicologia Dello Sviluppo
Università degli Studi di Napoli Federico II
24 pag.

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DOPO L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA. Lo sviluppo psicologico negli anni della
transizione verso l’età adulta (Sestito - Sica)

La fascia d’età che va dai 20 ai 30 anni è stata oggetto di specifico interesse per numerosi
studiosi del cambiamento evolutivo. Oggi, infatti, marcatori demografici (come il protrarsi della
durata degli studi, il ritardo nell’acquisizione dell’indipendenza economica dai genitori e nella
transizione al matrimonio e alla genitorialità) hanno evidenziato il progressivo dei tempi di
acquisizione dei ruoli adulti. Ciò ha indotto alcuni studiosi a identificare una nuova fase del ciclo
di vita: l’emerging adulthood (da collocarsi tra la fine dell’adolescenza e l’età adulta).
In primo luogo, le peculiari caratteristiche dei giovani in questa fase sono state identificate nella
società americana.
Gli studiosi ritengono che il principale compito evolutivo di questo periodo sia la definizione e il
relativo consolidamento dell’identità personale e professionale.
La società contemporanea sollecita infatti scelte tra alternative sempre più numerose riguardo a
scuola, lavoro, relazioni in un contesto che scarseggia di modelli definiti.
Tali scelte implicano l’attivazione di risposte e risorse individualizzate, focalizzate sulla propria
autobiografia e svincolate da modelli di riferimento normativi.
Due sono i fili conduttori dell’intero volume:
a. il riferimento al life span developmental psychology che enfatizza costrutti quali a plasticità,
la multi-direzionalità, la non-linearità dei percorsi evolutivi;
b. la convinzione che il processo del cambiamento evolutivo costituisca un percorso
complesso, delicato, impegnativo e creativo di consolidamento del sé.

Capitolo primo.
L’assunto che il cambiamento evolutivo riguardi più propriamente tutto il corso della vita
piuttosto che gli anni dell’infanzia, ha ricevuto un peculiare slancio dai cambiamenti demografici
inerenti all’allungamento di vita media della popolazione e dal conseguente emergere di studi
specializzati sui precursori dell’invecchiamento.
Numerosi rilievi empirici hanno mostrato, ad esempio, che l’età adulta non è più
necessariamente caratterizzata da stabilità (come si riteneva un tempo) e può porre l’individuo
di fronte a esperienze che inducono rilevanti trasformazioni della persona e del suo modo di
rapportarsi al mondo.
Insieme, studi neurofiosologici hanno evidenziato la grande plasticità del cervello umano:
questo è capace di ristrutturazioni e nuove connessioni anche nella maturità e nella vecchiaia. Il
declino di alcune funzioni psichiche degli anziani è correlato a peculiari condizioni negative
personali, familiari, sociali e può essere prevenuto.
Chiariamo che la prospettiva life span developmental non costituisce un vero e proprio modello
teorico ma piuttosto un complesso di “convinzioni prototipiche” o proposizioni teoriche che, nel
loro insieme, caratterizzano in modo coerente la natura dei processi del cambiamento evolutivo.
Concezioni:
1. Life span development: lo sviluppo ontogenetico è un processo che dura tutta la vita.
Nessuna fase è più importante in termini di cambiamento. Durante lo sviluppo e in tutte le
fasi del ciclo di vita sono attivi sia processi continui (cumulativi) sia processi discontinui
(innovativi).
2. Multi-direzionalità: nei cambiamenti che costituiscono lo sviluppo ontogenetico si possono
rintracciare numerose direzioni anche nel medesimo ambito (ci può essere un incremento e
un decremento in ambiti appartenenti alla stessa categoria).
3. Lo sviluppo come sintesi di “guadagni e perdite”.

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4. Plasticità: il problema centrale è comprendere l’ampiezza di questa e i suoi limiti.
5. Integrazione tra sviluppo individuale e contesto storico: lo sviluppo può variare in modo
sostanziale in funzione del contesto storico-culturale.
6. Paradigma contestualista: il percorso dello sviluppo di ciascun individuo può essere
compreso come l’esito delle interazioni dialettiche tra 3 sistemi di fattori (il fattore legato
all’età, il livello dello sviluppo storico, il fattore non-normativo).
7. Lo sviluppo come ambito multidisciplinare.
In questa prospettiva si è riformulato il concetto di sviluppo: questo è un processo aperto,
multidimensionale, contraddistinto da percorsi pluridirezionali modellati dalla fusione di livelli di
organizzazione in interazione reciproca e dinamica.
Non è più un processo lineare, inteso nel senso della maturazione e dell’accrescimento.
Si è intrapreso quindi un processo di revisione critica delle cosiddette “teorie stadiali dello
sviluppo”, che postulano una traiettoria lineare, sostanzialmente identica per tutti in funzione di
una determinata età cronologica (es. la teoria dello s. cognitivo di Piaget).
A partire dagli anni 70, si è messa in luce l’esistenza di una grande variabilità interindividuale tra
soggetti della stessa età e appartenenti alla medesima coorte, oltre che il ruolo svolto da fattori
sociali e socio-culturali nel promuovere o inibire lo sviluppo.
Fattori individuali e contestuali agiscono e interagiscono in modo da rendere ciascuna persona
diversa da tutte le altre.
Per traiettorie evolutive, definite anche “percorsi di sviluppo” o “modelli del corso della vita”,
intendiamo i percorsi che le persone seguono nell’arco dello sviluppo e che comprendono gli
schemi di comportamento duraturi, i problemi incontrati e le modalità intraprese nell’affrontarli,
oltre che le implicazioni delle strade scelte hanno per l’adattamento a lungo termine. Questo
concetto pone l’accento sul fatto che lo sviluppo si configura come una serie di nessi tali per cui
esiste la probabilità (non la certezza) che le caratteristiche presenti in ciascuna fase siano
collegate con quelle della fase successiva.
La sovrapposizione della psicologia dello sviluppo con la psicologia dell’infanzia ha avuto
l’effetto di monopolizzare per molto tempo l’attenzione degli studiosi sulle prime fasi dello
sviluppo: l’approfondimento è stato fatto sull’infanzia (punto di partenza del percorso evolutivo)
e sull’età adulta (punto di arrivo).
L’impulso a esplorare le peculiari caratteristiche dell’adolescenza è da attribuirsi a Stanley Hall
(1904) il quale ha evidenziato come le radicali trasformazioni del tessuto sociale ed economico
del suo tempo (la scomparsa delle working families, il passaggio da una società agricola a una
industriale) avessero indotto rilevanti cambiamenti nella natura dello sviluppo umano e nel
passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Piaget ha visto l’adolescenza come il momento della conquista del pensiero operatorio formale,
espressione più matura e evoluto del funzionamento cognitivo.
Da pochi decenni, l’adolescenza ha cominciato a essere concepita come una fase distinta dello
sviluppo umano. Nel rapportarsi alla complessità del mondo contemporaneo, gli adolescenti si
trovano a dover affrontare e risolvere una molteplicità di compiti e situazioni problematiche che
Palmonari (1991) riconduce a 3 obiettivi:
a. Ridefinire l’immagine del proprio corpo, cambiato e sessuato, sia rispetto a sé sia rispetto
agli altri;
b. pervenire a una nuova identità relativamente stabile rispetto al passato e proiettata sul
futuro;
c. ridefinire le proprie relazioni con gli altri significativi alla luce dei cambiamenti.
Le strategie peculiari che ciascuno adotta segnano dei punti di svolta, dei turning points, delle
vere e proprie deviazioni/transizioni nella traiettoria di ciascuno.

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La gran parte dei giovani contemporanei delle società post-industriali intorno ai 20 anni è
ancora ben lontana dall’avere assolto i compiti evolutivi che articolano l’ingresso all’età adulta. È
vero che la gran parte delle caratteristiche degli adulti trova fondamento nei processi di
sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza (stili di attaccamento, caratteristiche di personalità,
interessi e strategie di coping), tuttavia lo sviluppo non è mai statico.
È stato rilevato come la transizione si caratterizzi per una sempre maggiore eterogeneità. Con la
fine della scuola secondaria sembra che la diversità dei percorsi di vita diventi più ampia. Ai
giovani vengono poste nuove e impegnative sfide e vengono offerte numerose opportunità tra
le quali scendere, impegnandosi in prima persona e mettendo in gioco le proprie risorse
interne.
La fine della scuola superiore può assumere, secondo molti, un vero e proprio turning point che
implica una cesura con il passato e impone una nova direzione di vita.
La transizione verso l’adultità non solo è cambiata, ma è un processo sempre più lungo. Il tema
del ritardo è connesso a vari fattori: il prolungamento della coabitazione dei giovani con la
famiglia d’origine è uno dei più importanti.
Il numero di giovani che vivono con i genitori (24-29 anni) è tre volte maggiore rispetto ai paesi
del nord Europa. Il cosiddetto “modello mediterraneo” sembra supportato da caratteristiche
psicosociali che riguardano il ruolo centrale della famiglia e l’idea secondo cui l’esperienza del
matrimonio è il motivo principale dell’allontanamento.
A questi fattori, poi, si aggiungono quelli di natura socio-economica.
Livi Bacci ha messo a fuoco una specifica delay syndrome italiana: le difficoltà economiche
possono solo in parte spiegare questo fenomeno, infatti sono molti i giovani che, pur avendo le
risorse, di fatto continuano a vivere a lungo in famiglia.
Gli altri fattori sono: il prolungamento degli studi, il differimento dell’ingresso nel mercato del
lavoro, elevati livelli di disoccupazione, il posticipo del matrimonio.
La percezione dello status adulto è un costrutto multidimensionale.
I marcatori della transizione all’età adulta configurano un insieme di criteri, qualità e
caratteristiche che compongono la rappresentazione dell’adultità condivisa all’interno di un dato
contesto storico e culturale.
Prima Arnett nel 2001 e poi Nelson e Berry nel 2005 hanno raggruppato i cosiddetti criteria for
adulthood:
1. Indipendenza: economica/emotiva dai genitori, fine della coabitazione, ecc
2. Interdipendenza: stabilire relazioni sentimentali a lungo termine, assumere impegni duraturi
rispetto ad altri, avere controllo sulle emozioni ecc
3. Role transitions: completare gli studi, sposarsi, avere almeno un figlio ecc
4. Obbedienza alle norme
5. Transizioni biologiche
6. Transizioni cronologiche (maggiore età)
7. Capacità familiari
Anche per quanto concerne tali marcatori, è stata sottolineata una grande variabilità: questi
riguardano soprattutto “transizioni di ruolo”, segnalando l’importanza del raggiungimento di 5
obiettivi: completamento della formazione professionale, conseguimento di un lavoro a tempo
pieno, l’uscita dalla casa dei genitori, il matrimonio e la genitorialità.
Le traiettorie evolutive sono state negli ultimi decenni “frantumate” dai mutamenti strutturali e
culturali della società. La de-standardizzazione si è tradotta in termini di individualizzazione
delle traiettorie del corso di vita per effetto:
a. dei più elevati livelli di instabilità della famiglia;
b. della diffusione di rappresentazioni culturali del lavoro.

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Arnett nel 2000 scrive: “Ho proposto una nuova teoria dello sviluppo che si focalizza sul periodo
tra i 18 e i 25 anni. La mia ipotesi è che questo periodo, definito emerging adulthood, non sia da
intendersi né come adolescenza né come giovane età adulta ma sia da distinguersi da
entrambi.”
“Postponing marriage and parenthood untile the late twenties makes this period a time of
exploration and instability.”
Arnett individua cinque caratteristiche che contraddistinguono e caratterizzano l’e.a.
1. È l’età dell’esplorazione dell’identità, del provare e riprovare diverse possibilità
specialmente nel campo sentimentale e lavorativo;
2. È l’età dell’instabilità.
3. È l’età della vita in cui si è più concentrati su se stessi.
4. È l’età di mezzo, di transizione, dove non si è né adolescenti né adulti.
5. È l’età delle possibilità, in cui fioriscono le speranze.
Arnett prende le mosse dall’idea della teoria dell’identità di Erikson, il quale ha fatto ricorso a
costrutti come “la moratoria psicosociale” per chiarire i processi di formazione di identità nei
giovani delle società industrializzate.
La novità è che Arnett suggerisce che sia l’e.a. piuttosto che l’adolescenza il periodo di
maggiore focalizzazione sul lavoro identitario.
Quali sono i problemi di questa definizione? Arnett a notare che la definizione di “giovane età
adulta” risulta inappropriata perché contiene l’assunto implicito che l’età adulta sia stata in
qualche misura raggiunta.
Inoltre, caratterizzare questi anni solo in funzione della transizionalità può indurre a focalizzare
l’attenzione sul futuro. Infine, il termine “transizione” fa implicitamente riferimento a un periodo
di tempo breve.
Negli ultimi anni sono emerse concettualizzazioni che interpretano il periodo della vita qui
considerato in termini di processo anziché in termini di stadio.
Hendry e Kloep mettono in discussione l’ipotesi che l’e.a. possa configurare una nuova fase
dello sviluppo, ma attribuiscono ad Arnett il merito di aver richiamato l’attenzione di molti su
un’area di ricerca per lungo tempo trascurate.
Per H. e K., questa transizione non può essere rappresentata come un percorso lineare ma
piuttosto come un dominio-specifico, caratterizzato da variabilità e reversibilità.
Un ruolo importante è attribuito ai processi di formazione dell’identità.
H. e K. hanno avuto modo di rilevare che le caratteristiche attribuite agli e.a. appartengono solo
a una piccola parte del campione (ceto medio): per tutti gli altri emergono, invece, traiettorie
orientate all’acquisizione dell’adultità diverse da quelle indicate da Arnett.
Secondo Schoon e Schuldenberg il modello di Arnett non tiene nella dovuta considerazione le
condizioni sociali ed economiche che inducono i giovani contemporanei ad accedere con
considerevole ritardo all’età adulta.
Secondo Coté e Bynner, Arnett avrebbe sbagliato nell’intendere come primaria anziché
secondaria la risposta dei giovani alle difficoltà inerenti al processo di individuazione.
Come dire che i meccanismi di coping, mediante i quali i giovani fanno fronte agli ostacoli
strutturali e all’anomia sociale, sono confusi con processi di scelta volti a ritardare l’ingresso
nell’età adulta.
Coté suggerisce che il passaggio all’età adulta possa essere più attivamente affrontato se i
giovani investono un capitale di risorse, tangibili e intangibili, per accedere ai nuovi ruoli e stati
sociali. Con riferimento alle risorse intangibili, Coté considera queste ultime come componenti
dell’identità che i giovani possono utilizzare per negoziare con successo la partecipazione a
ruoli e attività sociali. Tali risorse, definite capitale di identità, configurano qualità agentive quali

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self-esteem, internal locus of control, purpose in life e ego strength. In sostanza, il capitale di
identità rappresenta un fattore significativo di supporto nel fronteggiare le specifiche difficoltà
della transizione.
Per poter valutare questo capitale, Coté ha elaborato due specifici strumenti:
1. MAPS, valuta in quale misura i soggetti possiedono le qualità descritte
2. ISRI, valuta in quale misura i soggetti hanno accumulato il capitale di identità durante la
transizione.
Nella prospettiva di C., l’e.a. così come formulata da Arnett può rappresentare un dangerous
mith, in quanto può avere serie ripercussioni (sul piano emotivo ed economico) per quei giovani
che incontrano particolari difficoltà nella transizione all’età adulta.

Capitolo secondo.
Vi è ampio consenso tra gli studiosi sul fatto che il principale compito evolutivo negli anni della
transizione consista nella definizione dell’identità. Si tratta di un compito complesso, in quanto la
natura stessa dell’identità è complessa.
Per quel che corne più vicino il contesto italiano, recenti studenti hanno messo in evidenza, nei
giovani adulti, configurazioni identitarie caratterizzate da stati di diffusion, ritardo nell’assunzione
di ruoli adulti e scarsa capacità di orientamento al futuro.
Uno studio condotto su studenti universitari del Sud Italia ha mostrato come nei giovani italiani
la sindrome del ritardo influenzi in maniera più evidente i processi di costruzione dell’identità
professionale rispetto all’identità globale.
Nella prospettiva della developmental line span psychology anche la formazione dell’identità,
come ogni altro aspetto dello sviluppo, è intesa come processo dinamico che si svolge lungo
l’intero percorso dell’esistenza.
Lo stesso Erikson (1968) fin dalle sue prime formulazioni concorda con tale prospettiva e
considera l’identità come una componente importante di tutti gli stadi del ciclo di vita, come
una dimensione che entra in gioco in tutti i conflitti vitali che costituiscono - nel suo modello -
altrettanti momenti di “crisi”. (Vedi 8 stadi di sviluppo p.42)
Anche il termine crisi è adoperato da Erikson in senso evolutivo e sta a indicare un punto di
svolta per lo sviluppo, un momento ricco di potenzialità evolutive per l’individuo.
Definizione di sviluppo per Erikson: è un processo epigenetico che si svolge lungo diversi stadi
che coprono tutta l’esistenza, ciascuno dei quali corrisponde a un peculiare conflitto o crisi che il
soggetto deve risolvere per poter accedere allo stadio successivo.
Erikson sottolinea che è lo stadio dell’adolescenza quello in cui diventa cruciale un particolare
conflitto, quello tra identità e confusione di ruoli.
Lo studioso fa notare come gli adolescenti hanno ormai acquisito nuove capacità socio-
cognitive legate al pensiero formale e anche nuove capacità relazionali e sociali.
Anche Marcia rileva che, a partire dall’adolescenza, sono ormai presenti gli ingredienti
individuali e sociali considerati necessari per affrontare la crisi identitaria: 

“All’adolescente viene richiesto di rinunciare alla posizione “one-who-is-given-to” per passare ad
essere “one-who-is-to-give-to-others”. Insomma si tratta di un passaggio dall’essere “recipiente”
al produrre qualcosa”.
Pur prendendo le mosse da costrutti teorici di matrice psicoanalitica, Erikson colloca il suo
modello nell’ambito di un’interpretazione psicosociale dello sviluppo e sottolinea come
l’identità si esprima e si formi in due contesti:
a. Nel contesto di processi intra-individuali di auto-definizione;
b. Nel contesto degli scambi reciproci tra l’individuo e gli altri significativi.

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Per Erikson quindi l’identità è un costrutto sia dinamico che multidimensionale che contiene un
versante soggettivo (costituito dalla sensazione che ciascuno prova di essere sempre la
medesima persona nel corso del tempo e nei diversi contesti) e un versante oggetto (legato a
dimensioni più psicosociali).
Tuttavia riconosce che è soprattutto nella tarda adolescenza che i giovani sono impegnati nel
conflitto identity vs confusion, ribadendo che “identity formation is a lifelong developmental
process”. L’essenza stessa dell’identità è insieme consistency e continuity.
“La società offre all’individuo un periodo intermedio tra l’infanzia e l’età adulta, “moratoria
psicosociale”, durante il quale poter completare lo sviluppo dell’identità”.
Si è incrementato il numero di stili di vita e, con il passaggio della società da industriale a tardo-
moderna, si sono ristrutturati i sistemi sociali, si è accentuata la relatività dei valori e si sono
ulteriormente incrementati i processi di individualizzazione.
La moratoria, considerata da Erikson come normativa fino ai 24/25 anni, si è estesa anche agli
anni successivi, in particolare per i giovani appartenenti a famiglie agiate.
All’interno di tale moratoria i giovani hanno la licenza di sperimentare, se lo desiderano, ruoli
diversi senza dover ancora farsi carico di impegni e responsabilità adulte.
Solo 1/2 dei giovani contemporanei alla fine della tarda adolescenza ha definito la propria
identità, raggiungendo lo stato di “achievement” (come lo chiama Marcia). Anche questo stadio
in realtà può assumere configurazioni diverse e risultare flessibile a ulteriori cambiamenti.
L’identità, una volta definita, può ancora cambiare sia in intensità che rispetto al contenuto.
Esistono due tipi di cambiamento identitario:
1. evolutivo o a lungo termine, caratterizzato da relativa stabilità;
2. fluido e di breve durata, caratterizzato da fluttuazioni legate al contesto.
Il primo, quello a lungo termine, è ampiamente condiviso tra gli psicologi dello sviluppo:
credono insomma che l’identità, una volta definita, tenda a rimanere relativamente stabile.
L’approccio psicosociale invece focalizza le fluttuazioni dell’identità a breve termine, associate a
una molteplicità di fattori contestuali.
Erikson è il primo ad aver stabilito una tradizione di ricerca sul tema dell’identità orientata nel
senso della psicologia dello sviluppo. Le sue ipotesi rappresentano solo il punto di partenza di
numerose ricerche.
Il conflitto rappresenta una tensione all’interno di una medesima dimensione bipolare:
1. il polo ego-sintonico è rappresentato dalla “sintesi dell’identità”;
2. il polo ego-distonico è legato alla “confusione identitaria”.
Le due polarità sono concepite come forze contrapposte operanti in uno stesso individuo.
La sintesi emerge dalla rielaborazione e dall’integrazione delle identificazioni infantili; la
confusione coincide con l’incapacità di individuare e sviluppare tali ideali e obiettivi sui quali
basare la propria identità adulta.
EPSI: strumento self-report nel quale la crisi di ciascuno stato (E.) è valutato tramite 12 item.
L’identità è vista come un quadro coerente e unitario di ciò che ciascuno mostra a se stesso e al
mondo che lo circonda, un mosaico del quale fanno parte numerosi aspetti tra i quali scelte
lavorative e sentimentali, ideologie religiose, preferenze politiche. Quanto più il mosaico è
coerente e completo, tanto più il soggetto è vicino alla sintesi.
I processi fondamentali mediante i quali adolescenti e giovani adulti possono giungere alla
risoluzione della crisi sono due:
a. esplorazione, cioè ricerca attiva delle possibili alternative identitarie e valutazione di quelle
più adatte al proprio senso di sé;
b. assunzione di impegni, che implica la decisione di aderire a un certo insieme di obiettivi e
valori.

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Marcia definisce l’identità come
una “struttura mentale sottostante
a gruppi di risposte a soluzioni di
problemi, questi ultimi invece
osservabili”.
Il suo paradigma propone che
l’identità si sviluppi attraverso
quattro stati distinti che
costituiscono le possibili
combinazioni tra le due
dimensioni fondamentali
postulate da Erikson
(esplorazione e assunzione di
impegni).
Bosma ha individuato una
distinzione del commitment in due ulteriori articolazioni:
1. committment making, la misura in cui i giovani hanno compiuto scelte rilevanti per il proprio
sé;
2. identification with committment, cioè la misura in cui i giovani si identificano con le scelte
compiute e al grado in cui sentono che queste sono davvero importanti per loro.
Il paradigma di Marcia è stato validato e numerosi studi condotti, mediante la somministrazione
dell’Identity Status Interview da lui proposta, ne hanno confermato i pattern ipotizzati.
Si è dimostrato che il modello degli stati di identità non è adeguato per descrivere e spiegare lo
sviluppo; sembra piuttosto catturare una fotografia dello stato identitario nel quale il soggetto si
trova attualmente piuttosto che i processi attraverso i quali ciascuno forma la propria identità.
Lo sviluppo dell’identità è in realtà un processo più complesso, poiché al suo interno gli
individui possono muoversi “in and out of identity statuses” ipotizzati da Marcia.
Inoltre, questa identità può essere modificata senza che ciò comporti un cambiamento di status.
Lo sviluppo dell’identità è, in breve, il risultato di continue interazioni (o meglio, transizioni) tra la
persona e il contesto.
Sono emersi approcci che hanno rilevato diversi fenomeni:
1. Kerpelman, Pittman e Lamke ritengono che la formazione e lo sviluppo dell’identità
scaturiscono anche dalle valutazioni dell’identità di ciascuno da parte di altri significativi nel
corso delle interazioni quotidiane;
2. Coté si occupò delle risorse personali, tangibile e intangibili;
3. Berzonsky, nel suo approccio socio-cognitivo, ha elaborato il modello degli stili di identità,
evidenziando come ciascun soggetto possa adoperare differenti strategie socio-cognitive.
Queste caratterizzano il suo peculiare modo di assumere ed elaborare informazioni rilevanti
per il Sé, di prendere decisioni e negoziare.
Berzonsky individua tre differenti “orientamenti personali” che corrispondono a diversi stili:
a. orientato all’informazione: tipico dei soggetti che svolgono un ruolo attivo nella costruzione
della propria identità e nella ricerca e valutazione delle informazioni utili ad assumere
decisioni. Questi soggetti hanno livelli più elevati di complessità cognitiva e strategie di
coping focalizzate sul problema. Inoltre, sono aperti alle nuove informazioni.
b. normativo: i soggetti orientati verso questo stile fanno soprattutto riferimento alle
aspettative e alle prescrizioni degli altri significativi (genitori ad esempio). Sono in genere
chiusi alle nuove informazioni, soprattutto qualora possano costituire una minaccia per il Sé.

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c. diffuso-evitante: questi individui tendono a tenere lontani i conflitti e i problemi inerenti alla
definizione dell’identità, procrastinando l’assunzione di impegni. Sono più propensi ad
adattare il proprio comportamento valutando soprattutto le conseguenze che ne
potrebbero derivare.
B. ha definito gli stili come “modalità che caratterizzano il maniera relativamente stabile
l’orientamento di ciascuno”, ma in realtà alcuni autori recenti ritengono che si possano
individuare, negli stili, anche elementi di cambiamento evolutivo (oltre che di stabilità).
Kunnen fornisce dati che confermano che gli stili di identità possano cambiare nel corso del
tempo in funzione di differenti tipi di traiettorie di sviluppo dell’identità: nei momenti di crisi
(vedi transizione all’università) i soggetti che sperimentano periodi di elevata esplorazione
manifestano un decremento dei livelli di stile diffuso-evitante (e viceversa).
[p.52-54]
Qualora il soggetto abbia assunto degli impegni, questi ultimi possono essere sottoposti a un
nuovo processo di valutazione. L’adolescente, così come il giovane adulto, non può essere
considerato come una tabula rasa su cui nessun impegno sia stato inscritto prima
dell’esplorazione individuale. In questa prospettiva, Meeus e colleghi hanno elaborato un
modello tridimensionale del processo di formazione dell’identità, definito anche
“parsimonioso”, che interpreta la dinamica processuale come fondata su tre dimensioni:
a. assunzione di impegni: riguarda il processo di scelta compiuto negli ambiti rilevanti per
l’identità e la misura in cui gli individui si identificano con le scelte fatte -> indicatore di
sviluppo positivo;
b. esplorazione in profondità, rappresenta un modo attivo d’interpretare l’impegno assunto
(es. riflettendo su di esso, cercando nuove info, valutando l’efficacia) -> dimensione adattiva;
c. riconsiderazione degli impegni assunti, si riferisce ai tentativi dell’individuo di confrontare i
propri impegni con altre alternative disponibili e, eventualmente di modificarli -> crisi.
Secondo Luyckx e colleghi vi era la possibilità di integrare i modelli proposti da Bosma e Meuus
grazie alla loro complementarietà. La proposta di un contributo sulla formazione dell’identità
che tenesse conto di quattro dimensioni è nata dal tentativo di integrare e superare i limiti della
proposta da Marcia, basata su due dimensioni: l’esplorazione e l’impegno.
Le quattro dimensioni sono:
a. commitment making (assunzione dell’impegno);
b. identification with commitment (identificazione con l’impegno);
c. exploration in depth (esplorazione in profondità);
d. exploration in breadth (esplorazione ampia).
Nel dettaglio, la prima e l’ultima si riferiscono ai processi che riguardano la formazione vera e
propria dell’identità. I processi che attendono, invece, il processo di valutazione dell’identità
sono gli altri due. L’obiettivo principale del contributo di Luyckx è stato quello di identificare le
dimensioni generali per ottenere un framework di riferimento dello sviluppo dell’identità che
tenesse conto dei differenti domini: il modello risulta relato a variabili intra-individuali e
contestuali.
L’espansione dell’approccio degli stati d’identità proposta da Meeus e Luyckx ha consentito di
sviluppare una serie di indagini empiriche che hanno individuato stati d’identità aggiuntivi.
Luyckx ha definito due nuovi tipi di diffusion:
1. troubled diffusion: quando un giovane si sforza di esplorare le alternative identitarie ma
elementi di ansia e preoccupazione prendono il sopravvento;
2. carefree diffusion: quando un giovane si mostra del tutto indifferente ai compiti inerenti
all’identità.
Meeus ha individuato due tipi di moratorium:

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1. il primo somiglia alla forma classica: è caratterizzato da esplorazione e assenza di impegni,
associandolo a elementi di ansia e bassi livelli di benessere;
2. searching moratorium: quando un giovane prende in esami nuovi impegni identitari senza
aver ancora abbandonato quelli attuali.
Queste ultime formazioni implementano l’originaria formulazione di Erikson e sottolineano
come l’identità sia soggetta a cambiamenti sia endogeni (dovuti a caratteristiche interne) sia
esogeni (dovuti al contesto).
Poche le ricerche che mettono al centro la relazione tra adultità e identità. Un esempio è lo
studio condotto su giovani americani tra i 18 e i 25 anni da Nelson e Barry (2005) che esplorano
la percezione di adultità allo scopo di cogliere eventuali differenze tra giovani che si
percepiscono come adulti e quelli che non.
Nell’insieme emerge un quadro complessivo di vulnerabilità che mostra come i rischi evolutivi
(tradizionalmente ascritti all’adolescenza) possano intendersi come estesi anche agli anni
successivi.
Una ricerca del 2011 (Sestito, Sica, Ragozini) si proponeva come ipotesi di fondo che gli studenti
universitari attraversino un periodo caratterizzato dalla sperimentazione di nuove forme di
crescita intellettuale ed emotiva ma siano, al contempo, indotti a eludere i compiti relativi a una
progettualità a lungo termini e all’assunzione di impegni stabili. La permanenza in uno stato di
indefinitezza li renderebbe particolarmente vulnerabili allo stress. I risultati emersi confermano
la complessa valenza dei processi di esplorazione dell’identità nella fase di passaggio tra la
tarda adolescenza e la prima età adulta. Solo una piccola parte di studenti universitari manifesta
caratteristiche di identità raggiunta o preclusa: la maggior parte si riconoscono negli altri due
profili: identità diffusa e moratoria.
[Altre ricerche p.61-65]

Capitolo terzo.
Tra gli approcci proposti per la valutazione del cambiamento identitario nel periodo di
transizione all’età adulta, uno dei più promettenti è l’approccio narrativo all’identità.
Il racconto della propria vita è un processo attivo di costruzione, qui e ora, della propria identità
attraverso un testo (la storia) il cui soggetto è il proprio Sé (Bruner). In tal senso, la narrazione
non pre-esiste ma viene creata nel corso delle interazioni, all’intero dello scambio comunicativo
nel quale l’individuo negozia con l’altro i significati da attribuire alla propria esperienza.
La narrazione autobiografica può considerarsi come un racconto interiorizzato e in evoluzione
del Sé che incorpora il passato ricostruito, il presente percepito e il futuro anticipato: il narratore
deve condurre il protagonista del passato al presente in modo tale che possano fondersi
entrambi e diventare la stessa persona con una comune consapevolezza.
La narrative identity consente di mettere a fuoco il prodotto del processo di formazione
dell’identità. Per molto tempo i due principali approcci all’identità (identity status model e
narrative identity) hanno proceduto separatamente laddove potrebbero implementarsi.
I due differenti approcci infatti approfondiscono sia il processo che il contenuto della
formazione identitaria.
Un tentativo di integrazione è stato proposto da McLean e Syed: il loro punto di partenza è la
teoria di Erikson, in particolare l’ipotesi secondo la quale lo sviluppo dell’identità implica
l’impegno dell’individuo a tre livelli diversi:
1. l’ego identity: focalizza il senso di continuità personale che ciascuno realizza quando riesce a
integrare le proprie convinzioni e a definire la propria identità nel tempo. Trova la sua
modalità di espressione privilegiata nella riflessione che ciascun soggetto fa su di sé.

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2. personal identity: mette a fuoco più propriamente l’individuazione di obiettivi e convinzioni
personali che emergono dalla negoziazione dei propri ruoli con il contesto sociale.
3. social identity: considera non solo gli aspetti individuali del sé ma anche quelli condivisi col
proprio gruppo sociale e culturale.
L’identity sinthesys, intesa come rielaborazione delle identificazioni infantili all’interno di una
rappresentazione del sé attuale, coerente attraverso il tempo e i contesti di riferimento,
scaturisce da processi che riguardano tutti e tre i livelli presi in esame.
L’approccio narrativo:
Lo strumento che l’individuo utilizza per creare la propria autobiografia è il ragionamento
autobiografico, inteso da Habermas e Bluck (2000) come “riflessione attiva sul proprio passato
per individuare i collegamenti significativi tra passati e presente”. Questo tipo di ragionamento
evidenzia quindi un’attività di esplorazione. La narrazione può mostrare in che misura ciascuno…
a. senta di aver conseguito un nuovo insight su di sé e sul mondo circostante;
b. abbia realizzato collegamenti espliciti tra sé e gli eventi passati.
Una delle principali caratteristiche della narrazione consiste dunque nella ricerca di significato.
L’approccio della narrative identity trova solido fondamento in una tradizione di ricerca che fa
capo alla psicologia narrativa, per la quale la produzione narrativa rappresenta un punto di
osservazione privilegiato per lo studio dell’individualità. Tale orientamento si basa sul
presupposto che le persone siano naturalmente orientate a dare significato e coerenza alla vita.
Narrazione e memoria autobiografica, secondo Smorti, interagiscono e si influenzano a vicenda.
Anche McAdams elabora la sua ipotesi sulla narrative identity ispirandosi alle prime
formulazioni eriksoniane. Secondo lo studioso, le autobiografie sono costruzioni in continuo
mutamento (lifelong process) che inseriscono la vita in un determinato contesto (hic et nunc).
Si è formulata quindi l’ipotesi che gli individui siano naturalmente orientati a organizzare le
proprie esperienze e i propri ricordi sotto forma di narrazioni.
Per far ciò, utilizzano il pensiero narrativo che consente di interconnettere quello che Bruner
definisce “scenario dell’azione” con lo “scenario della coscienza”.
Il pensiero narrativo, secondo Bruner (1986), è quello che presiede alla creazione narrativa della
realtà (è diverso dal pensiero paradigmatico). Tende a fornire interpretazioni basate sulla
soggettività, sull’intenzionalità, sulla sensibilità al contesto.
Le caratteristiche del pensiero narrativo sono: a) sequenzialità, b) riferimento a stati intenzionali,
persone ed eventi specifici, c) prevedere sviluppi imprevisti; d) composizione pentadica; e)
interconnessione tra eventi.
La narrazione autobiografica è, pertanto, in grado di coordinare tre diverse esigenze:
1) coerenza (mettere d’accordo le diverse voci e dare continuità alla storia)
2) plausibilità (rendere la storia comprensibile in quanto canonica e normativa)
3) eccezionalità (rendere la storia in quanto specifica, idiosincratica e discordante dalla
canonicità).
La narrazione autobiografica ha come oggetto privilegiato la spiegazione delle deviazioni. In
questo processo assumono uno specifico rilievo i “turning point”, ossia i punti di svolta,
liberamente collocati da ciascuno in momenti percepiti come strategici. In questi momenti è
come se la vita di ciascuno assumesse una prospettiva unica, originale, che gli permette di
uscire dalla banalità di un percorso convenzionale.
Smorti considera la narrazione autobiografica come uno specchio attraverso il quale l’individuo
possa riflettere sulla propria vita.
Brockmeier (2004) dice che ogni storia nasce da un’organizzazione temporale degli eventi che
attinge a tre tipi di memorie: autobiografica, episodica e semantica.
La dimensione temporale diviene dunque centrale nella costruzione dell’identità narrativa.

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Secondo Williams, Conway e Cohen (2008), tre sono le funzioni della memoria autobiografica:
a) Direttiva: usare la memoria degli eventi passati per guidare i comportamenti futuri;
b) Sociale: condividere la memoria di eventi passati per facilitare l’interazione sociale;
c) Identitaria: gli eventi personali ricordati rappresentano il database attraverso cui il soggetto
costruisce il proprio sé.
Da qui si sviluppa il cosiddetto mental time travel, ossia il senso di sé soggettivo che perdura
nel tempo. Si tratta della consapevolezza di una personale cronologia in cui collocare gli eventi.
Il risultato della sintesi tra passato, presente e futuro costituisce il “tempo autobiografico”, cioè la
ricostruzione temporale della storia di vita di ciascuno. Gli eventi infatti non sono mai raccontati
nell’ordine in cui sono avvenuti naturalmente, ma vengono ricostruiti in funzione della
valutazione presente (“coniugati al congiuntivo”, come dice Bruner).
Le dimensioni temporali seguono due movimenti: della narrazione vera e propria e della
riorganizzazione narrativa (teleologia retrospettiva, ossia il ricostruire a partire dalla fine).
Brockmeider ha individuato inoltre sei principali modelli temporali: lineare, ciclico, circolare, a
spirale, statico e frammentario. I primi quattro sono definiti “modelli evolutivi” poiché descrivono
la vita come un processo, un movimento, mentre gli ultimi due mancano di una traiettoria di
sviluppo e sembrano “senza tempo”.
Nonostante che il pensiero narrativo compaia fin dalla prima infanzia, la capacità di costruire una
storia coerente inizia solo nella tarda adolescenza. La produzione di storia comincia a emergere
in coincidenza dello sviluppo delle operazioni formali (pensiero logico-formale, Piaget), della
maturità fisiologica e dall’esigenza di dare senso alla propria vita.
Habermas e Bluck (2000) dicono che a partire dall’adolescenza si aggiunge, alla coerenza di
tipo tematico (quali sono le traiettorie intorno alle quali organizzare la propria storia?), una
coerenza di tipo causale (come gli eventi passati influenzano gli altri eventi e aspetti di sé?).
Nell’ambito di un’interpretazione che si rifà a Vygotskij, McLean, Papupathi e Pals (2007)
propongono un modello socioculturale di sviluppo dell’identità narrativa: gli individui
costruiscono lentamente la propria identità narrativa man mano che raccontano storie sulle
proprie esperienze per gli altri e con gli altri. Si sottolinea il ruolo delle nuove capacità sociali e
relazionali acquisite dall’adolescenza in poi.
Sembra inoltre che quando i genitori utilizzano stili di conversazione elaborati (concentrandosi
su cause ed emozioni), questo determini una più elevata competenza narrativa nei propri figli.
Nell’ambito delle indagini empiriche sulla narrative identity, numerosi ricercatori hanno
sviluppato un ampio range di sistemi volti a esplorare e valutare le sotire di vita.
I dispositivi sperimentali utilizzati per la raccolta delle produzioni narrative fanno tutti riferimento
a una “domanda generativa”, volta ad attivare l’autoriflessione e a favorire il processo di
produzione narrativa su eventi o episodi della propria vita. I ricercatori hanno elaborato una
serie di proposte di interpretazione e codifica degli account narrativi così ottenuti.
McAdams e McLean (2013) hanno elencato alcuni dei costrutti teorici più salienti, utilizzati ai fini
della codifica degli account narrativi:
1. Agency: la capacità di influenzare il corso della propria e altrui vita;
2. Communion: la capacità di sperimentare relazioni interpersonali, dialogare con gli altri ecc;
3. Redemption: storie di in cui lo stato negativo iniziale si capovolge in positivo;
4. Contamination: gli effetti negativi schiacciano, distruggono e cancellano gli effetti positivi;
5. Meaning making: la capacità di imparare qualcosa da un evento (punteggi da 0 a 1);
6. Exploratory narrative processing: la capacità di esplorazione del sé;
7. Coherent positive resolution: la capacità di risolvere le tensioni per giungere a una
conclusione positiva.

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Si è ipotizzato che gli account narrativi possano essere letti in funzione dei temi di sviluppo e di
crescita personale che ciascuno sente di aver raggiunto. La narrazione sottolinea i contenuti cui
ciascuno dà maggiore importanza. Sono stati distinti diversi temi:
1. intrinsechi (dimensione socio-emotiva, abilità di adattamento alle richieste emotivo-affettive)
2. integrativi (dimensione socio-cognitiva, comprensione del sé)
3. agentivi (individualità)
4. di communion (inter-soggettività)
[Altre ricerche p.82-88]

Capitolo quarto.
Il rapporto tra individuo e contesto potrebbe essere illustrato attraverso una delle leggi
percettive della gestalt: il principio del contrasto (o figura/sfondo).
Soltanto dalla loro comparazione e dall’attenzione selettiva che si pone è possibile
comprendere la forma dell’uno o dell’altro. Individuo e contesto sono, dunque, elementi di un
unico sistema che possono essere descritti solo se considerati in continua interazione.
Ripercorrendo cronologicamente lo sviluppo individuale, sappiamo che l’evoluzione dei
contesti di riferimento può procedere per accrescimento o sostituzione.
Durante l’infanzia, il principale contesto di riferimento è quello familiare. Nel corso degli anni, si
amplia e ingloba parti sempre più ampie (scuola, gruppo dei pari, ambiente lavorativo).
Durante l’adolescenza, il ruolo del contesto diventa ancora più importante: questo diventa uno
stimolo continuo per la persona che, in esso, trova nuovi modelli da seguire.
Nel transizione all’età adulta, tre sono i sistemi di relazione fondamentale:
1. La famiglia d’origine;
2. I partner sentimentali e/o sessuali;
3. Gli ambienti virtuali (social network).
Famiglia d’origine. Durante l’adolescenza, l’individuo diventa sempre più autonomo. Per
raggiungere completamente questo traguardo, il giovane deve compiere continue transazioni
tra bisogno di indipendenza e bisogno di protezione. Il rapporto con le figure genitoriali diviene
perciò più conflittuale.
Il modello a quattro fattori di Beyers e colleghi (2003) prova a spiegare cos’è l’autonomia.
Gli autori partono dalla revisione critica delle principali teorie sullo sviluppo dell’autonomia, che
focalizzano due costrutti:
a. Separazione: in questo senso, il processo di acquisizione di autonomia è visto come un
progressivo percorso di distanziamento e distacco dai genitori,
b. Agency: fa riferimento alla capacità individuale di prendere decisioni da soli.
Secondo Beyers e colleghi, invece, sono quattro i fattori da considerare:
a. Connectedness: un tipo di relazione basato su empatia, fiducia, comunicazione;
b. Separazione: l’esperienza di allontanamento dai genitori, accompagnata dalla progressiva
comprensione dei genitori come individui a sé;
c. Detachment: distanziamento negativo dai genitori, accompagnato da alienazione e sfiducia;
d. Agency: la capacità di delineare un personale progetto di vita.
Tale modello è applicabile anche agli emerging adults, ovvero ai giovani adulti americani.
Uno studio in contesto italiano mostra che il significato e le funzioni dell’autonomia sono diverse
per adolescenti e giovani adulti. Per questi ultimi, la capacità di pensare e sentire in maniera
autonoma è associata al bisogno di stabilire relazioni simmetriche e positive con gli altri.
In un recente studio del 2014 (Sestito, Sica) abbiamo cercato di comprendere le complesse
modalità relazionali genitori-figli quasi adulti, identificando due tipologie.

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La prima è chiamata “co-residenza adattiva e confortevole”, la quale descrive un modello di
relazione basato su una paritaria e serena co-abitazione. I giovani adulti mostrano di aver
raggiunto la propria identità, di percepire la relazione con i genitori come supportiva e
modificata negli ultimi tempi.
La seconda è detta “co-abitazione conflittuale” e descrive, invece, giovani adulti che non
percepiscono un supporto all’autonomia da parte dei genitori e loro stessi mostrano di non aver
ancora compiuto il loro lavoro di definizione identitaria.
Il conflitto coi genitori diminuisce dopo i 20 anni, soprattutto se i figli abbandonano il “nido”.
Costruzione di sé e comprensione dell’altro sembrano procedere nella medesima direzione di
riconoscimento e accettazione della complessità e unicità individuali.
Il rapporto tra fratelli costituisce un elemento di mezzo tra il rapporto con i genitori e quello con
i pari esterni alla famiglia. La presenza di fratelli può costituire al tempo stesso un fattore di
facilitazione o d’inibizione. [p.97]
Relazioni sessuali e sentimentali. Già Erikson nel 1968 implicava nella sua sesta fase dello
sviluppo (prima età adulta, 20-30 anni) una focalizzazione dello sviluppo individuale sul conflitto
psico-sociale tra intimità e isolamento.
I giovani adulti contemporanei sembrano caratterizzati dal procrastinare il timing del matrimonio
e dalla genitorialità: questo è stato una delle evidenze che hanno condotto alcuni studiosi a
postulare una fase di ponte tra adolescenza ed età adulta.
Negli ultimi decenni, c’è stato un chiaro mutamento nella gestione delle relazioni sentimentali.
Le tipologie di rapporti dei giovani adulti odierni risultano sempre più variegate e complesse:
a. Casual sexual relationships and experiences (CRSEs). La caratteristica più evidente
risulta essere quella dell’instabilità relazionale. Una gran parte di giovani adulti dichiara
di non essere coinvolta in una relazione unica e stabile, ma in relazioni transitorie e prive
di impegno. Sotto questa definizione, Claxton e van Dulmen includono la più ampia
gamma di comportamenti o esperienze sessuali. Abbiamo ad esempio: hookups (avere
rapporti sessuali senza alcuna forma di relazione sentimentale), one-night stand, friends
with benefits, booty calls (stabilire appuntamenti sessuali via smartphone). Tali relazioni
sembrano poter apportare sensazioni di gioia, piacevolezza ed eccitazione, producendo
anche un aumento di autostima. Ma la ricerca evidenzia come conseguenze sentimenti
di vergogna, colpa, sensazione di essere usati e ansia (esiste il rischio depressione). Può
accadere che la differente percezione porti ad una sopravvalutazione della piacevolezza
dell’esperienza da parte di entrambi i partner.
b. Convivenza e stay over relationships. I giovani adulti si stabilizzano anche in relazioni a
lungo termine con un partner stabile che implicano la convivenza senza contemplare il
matrimonio. Può essere un percorso graduale (avere case separate ma vivere insieme).
c. Relazioni stabili tradizionali. Convivenze stabili e durature sembrano avere le medesime
caratteristiche di un rapporto matrimoniale, eppure non si trasformano in esso. Esistono,
secondo una ricerca americana, tre paradigmi riguardo alle relazioni matrimoniali.
I giovani entusiast hanno una concezione idealizzata del matrimonio e un’idea precoce del suo
timing. I giovani delayers attribuiscono poca importanza all’istituzione matrimoniale, non la
considerano fondamentale per la qualità del loro rapporto di coppia e tendono ad evitarla o
posticiparla del tutto. La maggior parte dei giovani invece possiede un paradigma esitante.
Shulman e Connolly (2013) hanno ipotizzato il motivo di questo cambiamento nelle relazioni.
Secondo gli autori, in un contesto come quello odierno caratterizzato da instabiltà e incertezza
economica/lavorativa, amore e lavoro risultano compiti separati, non affrontabili insieme e
spesso opposti. Ci si focalizza su istanze di auto-realizzazione professionale, si aspetta di aver
raggiunto questi obiettivi prima di avanzare verso la stabilizzazione dei rapporti sentimentali.

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Pertanto, la differenziazione delle relazioni sentimentali dei nostri giovani adulti potrebbe essere
interpretata come una strategia adattiva di fronteggiamento del contesto culturale. Ad oggi,
nella formazione identitaria, giocano un ruolo i marcatori interni (non più quelli esterni).
Contesti virtuali. I giovani adulti di
oggi corrispondono a quelli che
Riva ha definito “nativi digitali” di
2° e 3° tipologia (generazione web
e generazione social network).
Studi recenti in ambito
internazionale hanno evidenziato
come l’utilizzo di strumenti in
modalità digitale influisca
direttamente sullo sviluppo
cognitivo, affettivo e relazionale
dell’individuo fin dalle prime fasi
di vita.
La tecnologia digitale è attualmente utilizzata per elaborare alcuni dei compiti di sviluppo tipici
dell’adolescenza e della prima età adulta, in particolare nella formazione dell’identità,
nell’interazione con i pari e nello scambio di sostegno emotivo. Intendiamo con:
a. Media, ogni strumento utilizzato per apprendere o comunicare (dal libro alla tv)
b. New media, gli strumenti che consentono, attraverso l’utilizzo di internet, la costruzione di
un mondo virtuale interconnesso aldilà di luoghi e attori fisici.
Kaveri e Smahel (2011) hanno identificato sei caratteristiche degli ambienti digitali:
1. Disembodiment: la comunicazione avviene attraverso uno schermo, rendendo così gli utenti
disincarnati. Le informazioni mancanti rappresentano sia un’opportunità che un rischio;
2. Anonimato: legato alla self-disclosure;
3. Comunicazione testuale: la chat si colloca a metà strada tra la lingua scritta e parlata;
4. Self-disclosure: le persone assumono su internet un comportamento disinibito e sono
propense a rivelare molto di sé;
5. Uso di emoticon: gli adolescenti hanno creato una specifica modalità per esprimere
emozioni;
6. Multitasking: si riferisce all’uso simultaneo di differenti applicazioni e finestre.
Secondo Nardi e colleghi, le persone usano i social network come una forma vera e propria di
rete di relazioni sociali. Tale nuovo contesto presenta un aspetto particolare: esso non è
costituito da attori specifici diversi dai contesti tradizionali, ma è definito da uno spazio diverso.
Se i contesti tradizionali (famiglia, università, lavoro) sono abitati da attori spesso non
sovrapponibili tra contesto e contesto (è raro che ci sia un legame tra famiglia e lavoro), i
contesti virtuali sono spesso popolati proprio da una mescolanza di personaggi appartenenti a
contesti reali. L’ambiente virtuale va inteso come nuovo luogo, complementare agli altri contesti.
Gli ambienti digitali sono spazi culturali dove le norme si creano, si condividono e si trasmettono
agli altri utenti. Pertanto, la cultura digitale non è statica, ma è un’entità dinamica e ciclica nella
quale gli utenti costantemente generano o trasmettono nuove norme.
I giovani portano nei loro contesti compiti di sviluppo quali sessualità, identità, relazioni. Spesso,
si avvalgono della tecnologia per negoziare e presentare alcuni aspetti del sé.
Turkle ha suggerito che su internet i giovani non creano identità alternative, ma esplorano e
sperimentano la propria identità reale. A tal proposito, Smahel distingue tra:
a. Virtual identity: identificazione e auto-presentazione su internet;
b. Online identity: insieme di idee, convinzioni che si attribuiscono al proprio sé online.

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Per gli adolescenti l’esplorazione dell’identità avviene congiuntamente online e offline.
L’anonimato consente all’individuo di selezionare e scegliere quali elementi presentare.
In termini di risorsa, la creazione di numerose identità online può aiutare a superare alcune
difficoltà della vita reale. In termini di rischio, può favorire una frammentazione identitaria che
non consente l’integrazione.
Uno studio del 2011 (Sica) su 25 studenti italiani ha identificato 4 profili dell’identità virtuale:
1. Curiosità ed esplorazione (il mio avatar mi rispecchia)
2. Bisogno di appartenenza e dissimulazione delle emozioni (se non hai una persona di fronte,
puoi esprimerti al meglio senza la paura del confronto)
3. Sé potenziali (il social è continuazione della vita reale)
4. Effetto maschera (il mio avatar è il mio opposto)
I giovani di oggi fanno parte di una generazione “we”: la crisi socio-economica che si trovano a
vivere li induce da una parte a cercare se stessi, ma dall’altra a cercare fortemente l’altro

Capitolo quinto.
Soltanto a partire dalle ricerche di Arnett (2000) l’attenzione della psicologia dello sviluppo si è
rivolta con maggiore sistematicità alla fase post-adolescenziale. Oltre che a livello relazionale,
lavorativo, sociale ecc. anche a livello cognitivo avvengono significativi cambiamenti. Lo
sviluppo cognitivo non si arresta con il raggiungimento del pensiero formale piagetiano.
I maggiori cambiamenti che caratterizzano l’inizio delll’adultità sono:
1. quelli che riguardano le relazioni;
2. lo sviluppo del pensiero post-formale;
3. la formazione di un progetto o di un’identità professionale (vocazionale).
L’emersione del pensiero post-formale. Detto anche pensiero “dialettico”, si tratta della capacità
della persona di comprendere e coordinare molteplici prospettive e applicarle in modo
adeguato. Kramer (1983) lo ha detto come caratterizzato da tre competenze:
a. la consapevolezza che la conoscenza e l’informazione sono illimitate ma relative;
b. l’accettazione di credenze paradossali;
c. l’integrazione di punti di vista contrastanti in un insieme di convinzioni personali.
Con “pensiero operatorio-formale” Piaget definiva la capacità dell’adolescente di ragionale (fare
operazioni” in maniera astratta. Col “pensiero post-formale” i giovani adulti sanno che alcune
domande non hanno risposte o che queste, in base al contesto, possono variare.
Il giovane comprende anche che argomentazioni diverse dalla propria hanno una loro validità
interna: è possibile ora confrontarle e integrarle su un medesimo piano, senza che una abbia la
meglio. Da qui al pensiero dialettico il passo è breve.
Un’altra caratteristica dello sviluppo cognitivo della prima età adulta è la capacità di sintesi.
Questo tipo di pensiero meglio si adatta alla comprensione della realtà che contiene in sé
risposte complesse.
Lamport, Commons e Ross ritengono che questo tipo di pensiero sia strettamente legato alla
società occidentale. Questi autori individuano quattro fasi del pensiero post-formali:
1. Stadio sistematico: si può coordinare più di una variabile di input
2. Stadio meta-sistematico: si possono comparare sistemi e prospettive sistematicamente
3. Stadio paradigmatico: si possono sintetizzare insieme più sistemi
4. Stadio cross-paradigmatico: si possono mettere insieme paradigmi per formare nuovi campi
Labouvie-Vief (2006) definisce il pensiero pragmatico come la “disponibilità al compromesso,
l’accettazione della realtà così com’è, la consapevolezza della complessità del mondo”.
I giovani adulti comprendono che i contenuti emotivi e affettivi sono più complessi di come
sembra. Tale capacità deriva a sua volta dall’emergenza di quello che Dewey aveva definito

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pensiero riflessivo cioè la “considerazione attiva, persistente e attenta per qualsiasi forma di
conoscenza alla luce delle motivazioni che la sostengono”.
La capacità di pensiero riflessivo è dinamica e mostra ampia variabilità tra individui.
Come per l’area di sviluppo potenziale (Vygotskij), anche per lo sviluppo del pensiero riflessivo
esiste un livello base dato dall'età (livello funzionale) e un livello raggiungibile attraverso il
supporto dell’esperienza (livello ottimale).
Pensiero post-formale, pensiero pragmatico e pensiero riflessivo costituiscono tre caratteristiche
fondamentali dello sviluppo cognitivo dei giovani adulti che li aiutano nel fronteggiare i
cambiamenti di vita che avvengono tra i 20 e i 30 anni. È il contesto sociale in cui il giovane è
immerso a costituire un elemento fondamentale per lo sviluppo cognitivo.
Purpose in life e funzioni identitarie. Diventa fondamentale la capacità del giovane adulto di
esplorare la sua identità proiettandosi in una dimensione futura in cui le aspettative, i desideri e i
timori per il proprio progetto di vita vengono sottoposti al vaglio della realtà.
La capacità di spostarsi cognitivamente su diversi livelli temporali è definita come “mental time
travel” e descrive la duplice possibilità di ricordare eventi passati e muoversi verso eventi futuri.
La possibilità di immaginare progetti e proiettarsi nel domani consente ai giovani di costruire un
percorso personale, consapevole e selezionato. Ha, cioè, un forte valore costruttivo e funzionale.
Il giovane adulto può scegliere tra vari Sé possibili (Markus e Nurius).
Quanto questo sia significativo sul piano identitario, è dimostrato anche dal cosiddetto
“reminishing bump”: durante le più avanzate fasi dell’adultità, quando gli individui riflettono sul
proprio percorso e sulla propria identità, fanno riferimento in maniera preponderante a episodi
avvenuti proprio durante la prima adultità. Si parla di bump autobiografico perché è il periodo
più denso di cambiamenti, esperienze e scelte.
Il modello delle funzioni dell’identità (Adams, Marshall, succ. Serafini) spiega quali capacità
entrano in gioco nell’orientamento al futuro. Secondo gli autori, due sono quelle fondamentali:
1. obiettivi (dare significato e direzione a se stessi attraverso impegni, valori e obiettivi)
2. orientamento al futuro (la capacità di distinguere le potenzialità e convertirle in forma di
possibilità future)
Serafini ne aggiunge successivamente altre tre:
3. struttura (fornire la struttura per comprendere chi si è)
4. armonia (raggiungere una coerenza e armonia tra valori, convinzioni e impegni)
5. controllo (fornire un senso di controllo personale e di libero arbitrio)
Rielaborazioni più recenti delle funzioni di obiettivi e orientamento al futuro hanno condotto alla
formazione di un unico costrutto: con futuring (Sica) si intende la capacità di immaginare,
considerare e fare progetti per l’avvenire. Due sono le componenti fondamentali: capacità di
credere in se stessi e capacità di immaginarsi e proiettarsi nel futuro, consapevole delle risorse e
dei limiti del sé presente.
Accanto ai sé possibili, il giovane adulto utilizza ora dei parametri più realistici di valutazione.
L’importanza del progetto lavorativo. Lavorare significa applicare una parte di sé a uno
specifico aspetto della propria vita. Il lavoro è una parte importante del senso di noi stessi.
È durante la prima età adulta che ognuno definisce la propria identità occupazionale o
vocazionale, ovvero “la consapevolezza di sé stessi come lavoratori” (Skorikov, Vondraceck).
Comprende due assunti:
a. la percezione soggettiva di interessi, abilità, obiettivi e valori inerenti la nostra occupazione;
b. la consapevolezza della propria identità occupazionale come a una complessa struttura di
significati, in cui l’individuo coniuga motivazioni e ruoli sociali

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Questo secondo assunto tiene insieme dimensioni individuali e sociali, introducendo il concetto
di motivazione. Con questo termine si intendono le ragioni per le quali un individuo
intraprende un determinato comportamento e può essere intrinseca o estrinseca.
Il contesto attuale non offre più traiettorie lavorative predicibili e stabili. Questa modificazione
del mercato lavorativo ha indotto i giovani a rendersi conto di dover costruire un proprio
personale progetto di carriera. Meijers rileva che l’adulto debba compiere un continuo processo
di ricerca di significato da attribuire alle proprie esperienze lavorative. Nel suo modello sulla
career identity, infatti, Meijers individua i processi alla base dell’identità occupazionale (external
dialogue, internal dialogue, esperienze, considerazioni degli altri significativi).
Skorikov e Vondracek, per definire il significato di identità occupazionale, partono da:
1. i processi descritti da Meijers (1985)
2. la “Person-environment fit theory” di Holland (1985)
3. l’approccio eriksoniano all’identità
Secondo Holland, la formazione dell’identità vocazionale ha una matrice evolutiva e si sviluppa a
partire dall’infanzia, man mano selezionando attitudini, preferenze e aspirazioni.
Anche Super si basa su questa teoria per formulare il modello “life-span, life-space” (1996): in
questo modello, l’autore sistematizza 5 fasi dello sviluppo di carriera. In ognuna di queste fasi,
sono integrate due dimensioni: lo sviluppo dell’individuo (life-span) e i possibili ruoli sociali che
può impersonale (life-spaces). Le fasi sono:
a. Fase di crescita
b. Fase di esplorazione (fino ai 25 anni, le sotto-fasi sono: provvisoria, transizione, prova)
c. Fase di stabilizzazione e progresso (fino ai 45 anni)
d. Fase di mantenimento (fino alla pensione)
e. Fase di declino
Così come è stato fatto per l’identità personale, anche quella occupazionale è stata classificata in
stati. Due sono le formulazioni teoriche che hanno avuto maggiore successo.
-> Il modello della vocational identity (Porfeli) fonde il modello di Luyckk e quello di Crocetti e
Meeus. Partendo dalla centralità del dominio vocazionale nella vita dei giovani adulti, ritiene che
siano tre i processi coinvolti in questa dinamica: commitment, exploration, reconsideration.
L’articolazione dei processi di costruzione dell’identità vocazionale risulta composta da:
1. Career exploration, cioè l’esplorazione delle possibili alternative identitarie in due modalità:
in ampiezza (in-breadth) e in profondità (in-depth)
2. Career committment, cioè la scelta di alcune alternative e impegno su di esse a due livelli:
commitment making (assunzione di scelta) e identification with commitment (identificazione
con gli impegni assunti)
3. Career reconsideration, ossia la rivalutazione degli impegni acquisiti e apertura al
cambiamento
Porfeli e colleghi hanno identificato sei stati d’identità vocazionale: achieved, searching
moratorium, moratorium, foreclosed, diffused, undifferentiated. [p.137]
-> L’occupational identity status model (Skorikov, Vondraceck) considera gli impegni come
assunti/non assunti e l’esplorazione come limitata/attiva/completa.
Di particolare interesse è l’introduzione di due tipologie di achievement: dinamico o statico.
In questo modo si tiene conto che aver raggiunto una configurazione identitaria definita può
non essere un processo concluso. Questo modello è stato approfondito alla luce della
prospettiva evolutiva contestualista. L’identità vocazione è particolarmente sensibile a fattori
esterni, sia in termini di offerta del micro-sistema, sia in termini di eco-sistema.
I fattori intervenienti. Il lavoro costituisce un punto d’intersezione tra le proprie attitudini e i
modelli culturali e sociali in cui è immerso.

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Brown, Kirpal e Rauner nel 2007 hanno individuato alcune caratteristiche delle identità
occupazionali in Europa. Tali caratteristiche sono:
a. l’identità occupazionale è caratterizzata sia da continuità che da cambiamento;
b. è formata attraverso dinamiche interpersonali;
c. è co-costruita da strutture e processi socio-economici;
d. esiste una notevole variabilità nell’incidenza dei fattori che la costituiscono.
Con job perpective intendiamo una prospettiva occupazionale caratterizzata dalla mancanza di
una visione a lungo termine, accompagnata dall’accettazione acritica di ruoli lavorativi assunti
con scarsa motivazione e scarso senso di unicità personale.
Con career perspective intendiamo una prospettiva in cui il giovane costruisce attivamente la
propria identità occupazionale, focalizzandosi su una prospettiva temporale a lungo termine.
La debolezza del mercato di lavoro giovani appare problematica se si considera che il lavoro,
oltre alle sue funzioni primarie, svolge un ruolo decisivo nei processi di sviluppo individuale.
La formazione di un’identità lavorativa stabile è un fattore-chiave per il conseguimento del
benessere personale.
Ricerche recenti (Sica, Sestito) mostrano che i giovani adulti italiani compiono una sorta di
separazioni dei domini identitari (relazionale/lavorativo). In effetti, la discrepanza tra speranze e
possibilità concrete va gestita in qualche modo da parte dei giovani: il non definire la propria
identità vocazionale consente ai giovani di rispondere in maniera adattiva alle caratteristiche del
contesto economico italiano. Si tratta insomma di una strategia funzionale al mantenimento del
benessere, resa possibile dalla capacità di relativismo, flessibilità e pensiero riflessivo.
La narrazione, intesa come momento in cui l’individuo può sospendere la sua vita quotidiana
per distanziarsi e riflettere su se stesso, diventa uno strumento utilissimo per dare corpo al
progetto della propria vita.
Secondo Pennebaker, la tecnica dell’expressive writing provoca reali modificazioni nei vissuti
relativi alle esperienze descritte, attivando processi di comprensione del significato. Tali
modificazioni sembrano avere effetti positivi sul benessere individuale.
Sica e Sestito hanno proposto l’intervento “Raccontarsi ogni giorno” che ha permesso la
concettualizzazione del modello SIOT (esplorazione, narrazione, definizione). [p.147]

Capitolo sesto.
È impossibile dare una definizione di felicità, ma di certo è l’obiettivo a cui ogni individuo mira.
Nella filosofia quale troviamo tre principali concezioni di felicità…
-> Felicità edonica: parte dalla concezione socratica di “bene” come elemento in grado di
fornire piacere, fino ad identificare proprio il bene con il piacere. Aristippo conduce il bene al
piacere che l’uomo gode momento in momento, perché non c’è certezza che ne possa usufruire
nel futuro. Cercare il bene futuro implica incertezza e affanno. Il segreto del raggiungimento
della felicità è vivere una vita all’insegna dei desideri più semplici, non sconvolta da grandi
passioni ma improntata alla serenità. La felicità è assenza di dolore e imperturbabilità (atarassia).
Diener e Lucas hanno sintetizzano le caratteristiche dell’edonia in ambito psicologico in 4 punti:
• Conseguimento della felicità
• Presenza di sentimenti positivi
• Evitare sentimenti negativi
• Il provare soddisfazione per la propria vita.
L’approccio edonico è stato interpretato per questo come “subjective well-being”. La felicità è
intesa così come percezione individuale di soddisfacimento legata alla sensazione del piacere e
del benessere, maggiormente orientati a presente, con la conseguente sensazione di star
vivendo pienamente la propria vita.

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-> Eudaimonia: fa coincidere la felicità con il bene. L’eudaimonia è intesa come un modo di
vivere, un’ organizzazione dell’esistenza individuale in funzione di un’unica attività, di un fine
ultimo. La psicologia ha mostrato molto interesse per questo costrutto, focalizzandosi sul
concetto di daimon, cioè “Vero Sé”. Per poter giungere al vero sé occorre percorrere un
processo di scoperta. La possibilità di giungere alla scoperta del proprio vero sé e investire su di
esso come “migliore identità possibile” conduce alla felicità eudaimonica.
Secondo Waterman, l’eudaimonia si struttura attraverso due processi che coinvolgono:
1. Elementi oggettivi: le azioni di self-realization che si attuano per scoprire e mettere alla
prova il proprio vero Sé (daimon)
2. Elementi soggettivi: elementi di feeling personal expressiveness che forniscono
all’individuo quella sensazione di benessere che accompagna le azioni concrete nelle quali
l’individuo sperimenta il suo vero Sé.
Questo costrutto implica (rispetto a quello edonistico) un laborioso processo cognitivo, in cui
scoperta, scelta e decisione si uniscono alla motivazione intrinseca e all’impegno identitario per
giungere alla completa esperienza individuale.
-> Esperienziale (self costruction): questa concezione non è esplicitamente definita, ma si
desume dalla concettualizzazione di costruzione del Sé, opponendosi alla prospettiva
eudaimonica. Secondo questo approccio, il compimento del sé è un processo di costruzione
continua di qualcosa che non esiste in precedenza ma che si forma attraverso un continuo
lavoro di scelte tra le alternative possibili (c’è libertà).
Secondo la concettualizzazione psicologica della self-determination theory (sulla scia di questo
assunto) il Sé rappresenta la tendenza evolutiva a crescere ed evolvere verso livelli sempre
maggiori di integrazione e organizzazione, costituendo quel processo di costruzione di sé che
coincide con la soddisfazione e la felicità. Secondo Baumaister e Leary per compiere questa
integrazione è necessario ricevere l’energia dal soddisfacimento dei bisogni di base, cioè
competenza, autonomia e relazione. Il soddisfacimento di questi favorisce il processo di
integrazione del sé (quindi il benessere individuale), che include tre dinamiche:
1. la motivazione intrinseca,
2. l’internalizzazione di norme sociali in categorie individuali;
3. l’adozione di valori che promuovono la crescita individuale.
Questo processo, dato che si sviluppa lungo tutto l’arco della vita, presuppone flessibilità,
cambiamento e fluidità.
Berzonsky, sulle basi della self- costruction, propone il suo contributo concettualizzando i diversi
stili di identità, evidenziando come ciascun individuo può adoperare differenti strategie socio-
cognitive. I tre differenti “orientamenti personali” (cioè i tre stili) sono:
1. Orientato all’informazione;
2. Normativo;
3. Diffuso evitante.
Questi possono subire delle variazioni nel corso della vita, cioè la dinamica identitaria di
Berzonsky può esprimere un processo di self-costruction costante nel corso della vita ma anche
flessibile.
È chiaro quindi come il processo di ricerca della felicità e quello di definizione del sé sono
strettamente collegati e non possono essere trattati in maniera disgiunta. Non si possono
definire dall’esterno sentieri precisi da percorrere , ma si può fare un lavoro al contrario; cioè si
possono individuare quali percorsi i giovani adulti utilizzino più frequentemente. Le ricerche su
individui tra 20 e i 30 anni hanno individuato: percorsi di successo, percorsi non riusciti e
percorsi in bilico.

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Percorsi di successo. Una delle concettualizzazioni maggiormente indagate si rifà alla rispettiva
eudaimonica e individua nel raggiungimento dell’identità ottimale il suo obiettivo finale.
Secondo la teorizzazione di Waterman, il processo di raggiungimento dell’identità e il
benessere eudaimonico coincidono nella loro sostanza per tre processi:
1. Scoprire e sviluppare le proprie potenzialità (cioè il self-discovery della teoria eudaimonica)
2. Individuare i propri obiettivi di vita;
3. Trovare le opportunità per implementare potenzialità e obiettivi.
Secondo Waterman, il raggiungimento dell’identità acquisisce il carattere di benessere e
soddisfazione, poiché comprende quelle dimensioni di scoperta delle proprie potenzialità e di
orientamento al futuro che definiscono la felicità eudaimonica.
Waterman e Schwartz hanno poi definito l’eudaimonic identity come “raggiungimento
dell’identità che comporta una percezione di benessere attraverso la scoperta del proprio
nucleo identitario (vero Sé) e l’identificazione di obiettivi e scopi nella vita.”
Per il conseguimento dell’eudaimonic well-being e l’achievement identitario gli studi hanno
rivelato che una caratteristica individuale predittiva è l’agency.
James Coté sosteneva la necessità di studiare lo sviluppo individuale in una matrice
interdisciplinare, dato che l’individuo e il contesto non possono essere scissi. I livelli da tener
presenti sono: macro-livello (struttura sociale), micro-livello (l’interazione tra le due parti) e il
livello psicologico (attiene a fattori interni e di personalità).
Coté analizzando la società occidentale odierna individua tre periodi storico culturali che hanno
danno avuto specifici influssi sugli sviluppi individuali: premoderno, moderno e postmoderno.
I primi due sono ormai lontani dalle attuali condizioni di vita, ma quello postmoderno è quello
che coinvolge i giovani di oggi.
La transizione all’età adulta costituisce tradizionalmente il momento di sintesi tra le istanze
individuali e quelle sociali e normative. Il periodo post-moderno risulta essere poco supportivo
per i giovani perché non li accompagna nell’assunzione di ruoli adulti standardizzati e offre loro
poche opportunità di crescita. Le difficoltà poste per l’acquisizione dell’identità consentono due
possibili risposte:
o Passiva: lasciare che gli eventi esterni conducano il gioco su un percorso di adultità non
scelto, non cercato.
o Attiva: attivazione di risorse agentive. I giovani che seguono la risposta attiva utilizzano il
“capitale d’identità”, ossia quella somma di risorse personali di vario carattere e tipologie che
riescono a riconoscere e utilizzare nel contesto in cui crescono. Queste risorse possono esser
tangibili (titolo di studio, disponibilità economica) e intangibili (rappresentate dall’agency).
Nel modello di Coté, l’agency rappresenta il senso di responsabilità individuale per il corso della
propria vita, la convinzione che l’individuo prenda da solo le proprie decisione e sia
responsabile delle conseguenze, la convinzione che sia in grado di superare tutti gli ostacoli del
proprio percorso di vita. Essa comprende quattro costrutti psicologici:
a. internal locus of control,
b. autostima,
c. ego-strenght,
d. purpose in life.
L’agency quindi una via individuale per il raggiungimento della felicità eudaimonica, che
comprende tutte le caratteristiche che son direttamente collegate con la creatività.
Bruner interpreta la creatività come qualsiasi atto che generi una “sorpresa produttiva”.
Wertheimer interpreta la creatività come manifestazione del pensiero produttivo, caratterizzato
dalla capacità della mente di trovare da sola soluzioni non ancora acquisiti ai problemi posti

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dalla realtà circostante. Guildfors distingue il pensiero convergente dal pensiero divergente,
tipico degli individui che propongono soluzioni originali.
La fluidità (ricchezza del flusso di idee), la flessibilità (la facilità con cui il pensiero passa da un
concetto all’altro), l’originalità rappresentano le dimensioni fondamentali del pensiero creativo.
De Bono poi distingue il pensiero verticale (della logica formale) da quello laterale (che
permette di affrontare i problemi a partire da presupposti differenti).
La creatività può essere intesa come la combinazione di numerosi fattori di tipo cognitivo ed
emozionale. Williams individua 8 fattori della creatività, di cui 4 riferiti alle componenti cognitivo-
divergenti (pensiero fluido, pensiero flessibile, pensiero originale e pensiero elaborativo) e 4
emotivo-divergenti:
1. Disponibilità ad assumersi rischi: coraggio di esporsi al fallimento e alle critiche, tentare
soluzioni nuove;
2. Complessità: orientamento a cercare numerose alternative, vedere il divario della realtà
tra com’è e come potrebbe essere, portare l’ordine nel caos;
3. Curiosità: essere aperti a situazioni sconcertanti, aver voglia di indagare;
4. Immaginazione: avere il potere di visualizzare e costruire immagini mentali di cose mai
accadute.
La letteratura sullo sviluppo della creatività concorda nell’indicare la prima adolescenza come
una fase d’incremento della creatività, ma sono scarsi gli studi che analizzano il legame tra
creatività ed identità. Soltanto Dollinger e colleghi affrontano questo tema, dimostrando che i
giovani creativi sembrano essere quei giovani che hanno uno stile d’identità di tipo informativo
(cioè che cercano informazioni su di sé, che posseggono una modalità di gestione della realtà
che fa stretto riferimento alla flessibilità, capacità di trovare soluzione e assumere rischi).
Fronteggiamenti non riusciti. Ci sono un gran numero di traiettorie che si allontanano dalla
felicità eudaimonica e si caratterizzano o come soddisfazione edonica o hanno esito negativo
legato a sentimenti di malessere e comportamenti disadattivi (addictions). L’esito più negativo è
il trasformarsi dei comportamenti a rischio intrapresi in fase adolescenziale in dipendenze.
Durante l’adolescenza il coinvolgimento in comportamenti a rischio ha un picco. Per poter
appartenere al gruppo di riferimento si sperimentano le proprie possibilità. I giovani adulti
vivono una fase che consente di avere ancora maggiori libertà, cioè devono gestire
comportamenti e decisioni in maniera autonoma.
La difficoltà di fronteggiamento delle nuove esperienze e l’impossibilità di definire la propria
identità, provocano vissuti di malessere: per identity distrerss si intende un vissuto legato al
protrarsi di stati di incertezza e indefinizione. La difficile transizione all’età adulta nella società
contemporanea diventa così un transitional stressor.
Nel contesto italiano i risultati di una ricerca hanno condotto alla definizione di 5 strategie di
fronteggiamento (identity coping strategies).
Vengono identificate tre modalità che mostrano un certo adattamento al contesto e due
strategie con esito negativo.
Una soltanto delle prime tre (identity problem solving) descrive individui che hanno consolidato
la propria identità che si percepiscono adulti e mostrano correlati positivi.
La terza strategia (developmental diffusion) e la quarta (cultural adaptive diffusion) vedono
giovani adulti utilizzare strategie di adattamento al contesto che li lasciano in uno stato
identitario diffuso. Born ha evidenziato come il “non definire la propria identità e lasciare
possibilità di sviluppo aperta” sono modalità di definizione del sé (soprattutto in ambito
lavorativo) più adatte alla società contemporanea.
Le due strategie che mostrano la loro inefficacia sono la seconda (negazione dei problemi legati
al contesto sociale e evitamento del coinvolgimento in un approfondito lavoro di conoscenza

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del sé) e la quinta (fallimento nel fronteggiamento di difficoltà e compiti di sviluppo, non c’è
scelta identitaria, nessun progetto perché non ci si sente adulti, si avvertono solo e distrerss).
Esplorare senza impegno o senza sperimentazione è la strategia di peggior esito perché non
consente alcun cambiamento evolutivo e lascia il giovane in uno stato di blocco e malessere.
A metà tra il riuscirci e no. Nei giovani potrebbero esserci esiti incerti e i processi psicologici che
conducono a questi sono:
> La percezione di invulnerabilità: le nuove conquiste cognitive possono indurre nel giovane il
così definito “egocentrismo intellettuale” (il credere che i pensieri e gli interessi sui quali ci si
focalizza siano anche quelli sui quali si focalizzano gli altri), la cui diretta conseguenza sono la
“favola personale” e il “pubblico immaginario” (Elking). Queste ultime sono distorsioni del
ragionamento sociale, tendono ad essere equilibrate e poi scomparire con l’adultità. L’emergere
della favola personale e del pubblico immaginario è congruente con le capacità di social
understanding acquisite nel livello 3 di Selman, in cui l’adolescente diventa capace di utilizzare
un punto di vista terzo rispetto alla relazione sé-altro, cioè un “io osservante”, con conseguente
percezione di poter controllare le situazioni e anticipare le reazioni altrui. La favola personale,
inoltre, consente all’adolescente di avere la capacità di gestire i sentimenti negativi del
distanziamento dai genitori e di avere fiducia in se stesso. Il declino della favola personale e del
pubblico immaginario dovrebbe avvenire durante la prima età adulta. Ma studi recenti
mostrano che il senso di invulnerabilità raggiunge l’apice in questa fase.
La percezione di invulnerabilità si sostanzia di due componenti:
• Una negativa, danger invulnerability: si riferisce alla dimensione comportamentale del
giovane. Si espone a rischi che sottovaluta, potenzialmente dannosi per la sua vita.
• Una positiva, psychological invulnerability: caratteristiche di concentrazioni su di sé, autostima
e resilienza, flessibilità e adattamento al contesto. Hanno effetto di contrasto per la
depressione, per la bassa autostima e per problemi interpersonali.
> Il sensation seeking: ovvero la ricerca della felicità di tipo edonico, data dalla maggiore
autonomia dei giovani adulti e la centrazione sulla sperimentazione di sé. Due dimensioni:
• La novelty: grado di novità dell’esperienza intrapresa, associata alla percezione di benessere;
• L’intensity: intensità del coinvolgimento, associata a comportamenti a rischio.
Nella ricerca di Ravert e Gomez-Sott hanno evidenziato come gran parte dei giovani adulti
partecipanti ha cominciato proprio in questa fase di vita a fare uso di sostanze e in generale,
intraprendere comportamenti spericolati. Ci possono essere due spiegazioni principali:
1. Bad risk behavior, il versante pericoloso del comportamento.
2. Good behavior, il versante positivo. I soggetti hanno dichiarato di intraprendere
comportamenti spericolati perché immediatamente appaganti o perché percepivano
che potevano perdere l’occasione di metterli in atto successivamente, ma anche per
sperimentare la loro capacità di fare scelte autonome e assumere rischi/responsabilità.
Questi comportamenti hanno anche una dimensione di self-actualization, perché si basano sulla
scelta individuale e sul farsi carico delle conseguenze.
Quindi invulnerabilità, sensation seeking e comportamenti a rischio sono tentativi di ricerca
della felicità, ma il loro utilizzo porta sempre con sé un aspetto negativo, con esiti
comportamentali pericolosi.
Arrivati a questo punto è implicito il riferimento alla capacità di ognuno di gestire il
consolidamento della propria identità come un processo che utilizza una teologia retrospettiva:
ristrutturare decisioni e comportamenti pregressi, sospendere l’azione e ricostruire la storia
autobiografica, riandando al passato per proiettarsi nel futuro. Questo movimento in avanti e
indietro nel tempo dà forma all’identità di ciascuno.

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In particolare, Brockmeier ha individuato dei modelli temporali prevalenti attraverso i quali si
organizza l’identità narrativa:
1. Lineare: racconto come una linea continua, marcata cronologicamente. La realtà come
sequenza di eventi nel tempo concepito come lineare. Tali autobiografie hanno
caratteristiche narrative: vuoti, salti, intersezioni, anacronismi, sovrapposizioni;
2. Circolare: la storia di vita emerge in funzione del presente. Esprime a pieno il concetto di
teologia retrospettiva. Si scelgono solo episodi rilevanti anche appartenenti ad un passato
molto remoto;
3. Ciclico: la narrazione è intrisa di strutture ripetitive per raccontare la vita senza una ripetizione
identica degli eventi. Caratteristiche narrative: ripetizioni retoriche;
4. A spirale: visione della vita a spirale che sviluppa in avanti;
5. Statico: visione immutabile di una vita centrata su un solo evento, di solito catastrofico.
Caratteristiche narrative: genere tragico, metafore stagnanti;
6. Frammentario (modello postmoderno): l’identità è vista come qualcosa di discontinuo,
mutevole e policentrico. I racconti promuovono la discontinuità, sottolineando la natura
imprevedibile della vita. Caratteristiche narrative: narrazione aperta, decentrata e
frammentaria, discorso dialogico, identità mosaico, nessun riferimento alla costruzione
temporale o logica.
I primi quattro modelli sono considerati come modelli evoluti, perché descrivono la vita come
un processo, l’autobiografia può essere letta come un luogo di organizzazione. Questi quattro
modelli temporali costituiscono dei veri e propri percorsi di cambiamento evolutivo.
Gli altri due modelli sembrano non contenere al loro interno dinamiche di cambiamento, sono
senza tempo.
In uno studio su studenti universitari italiano, è stato chiesto loro di rispondere ad una serie di
strumenti self-report che indagano: le dimensioni della creatività, le dimensioni processuali
dell’identità, i comportamenti esternalizzati e internalizzanti, l’autostima e la percezione di
sostegno sociale da parte di coetanei e genitori.
Sono state identificate tre tipologie di giovani adulti:
• Giovani adulti a rischio e non creativi (13.4%). Alti punteggi su comportamenti esternalizzanti,
sulla riconsiderazione dell’identità sia relazionale che professionale, sull’autostima. Bassi
punteggi su creatività e supporto percepito dai coetanei. Comportamenti esternalizzati non
creativi o esplorativi, che sembrano assorbiti dalla loro alta autostima. Non c’è per loro
bisogno di ripensarsi né di ridefinirsi, esplorare le condizioni di vita per adattarsi ad esse,
quindi non utilizzano flessibilità e limitano al minimo qualsiasi tipo di riconsiderazione interna
per aderire consapevolmente la propria vita.
• Giovani adulte esplorative e creative (44.6%, quasi tutte donne). Bassi punteggi su autostima,
su comportamenti esternalizzanti e medio-alti su quelli internalizzanti, alti su creatività,
esplorazione dei domini identitari e sul supporto da genitori e coetanei. Sembrano più attente
a riflettere prima di imbattersi in nuove esperienze.
• Conservativi ma creativi (33.7%, 77.1% degli uomini). Bassi punteggi sui comportamenti sia
esternalizzanti che internalizzanti, sull’autostima, alti punteggi sulla creatività, sul commitment
relazionale , sulla riconsiderazione professionale e supporto dei coetanei. Avvertono
disorientamento del Sé, al punto da ricreare supporto nei coetanei.
Spesso comportamenti a rischio e trasgressivi sono stati considerati come condotta che
contiene germi di creatività. L’uscire dagli schemi, dalle esperienze quotidiane sono alla base
della tendenza all’innovazione e al cambiamento. Creatività e rischio possono nascere dallo
stesso bisogno di creare se stessi in modo autonomo, cercare la propria strada alla felicità, ma
producono due effetti differenti: uno positivo (self-actualization), l’altro a tratti negativo. Sembra

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che questi abbiano una presenza complementare: quando vi sono comportamenti creativi,
allora l’altra modalità di espressione non trova posto (per questo è importante ampliare gli
interventi preventivi che forzano le dimensioni psicologiche della creatività).
L’agentività e la creatività vengono intesi come potenziali risorse psicologiche intangibili a
disposizione dei giovani adulti per fronteggiare il passaggio all'adultità. Esse interagiscono con
fattori di invulnerabilità e la ricerca di sensazioni forti: il risultato è la formazione di differenti
modalità di esplorazione, che a loro volta interagiscono con le modalità di identity coping.
L’esito di queste interazioni può portare esiti positivi (eudaimonic identity) e esiti negativi
(identity distrerss o addiction) che si inseriscono nel contesto sociale, economico, relazionale.
Il modello descrive la maggioranza ma le strade restano del tutto individuali e flessibili.

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invecchiamento positivo -
Manuela Zambianchi, Pio
Enrico Ricci Bitti
Psicologia Dello Sviluppo
Università degli Studi di Napoli Federico II
17 pag.

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Invecchiamento positivo – Zambianchi, Ricci Bitti.

CAPITOLO UNO – LE PRINCIPALI TEORIE SULL’INVECCHIAMENTO POSITIVO.

MODELLO DI ROEW E KHAN:

Rowe e Khan sono tra i primi a proporre una distinzione tra invecchiamento normale e invecchiamento di
successo (intesi come condizioni non patologiche). In opposizione alle teorie della gerontologia degli anni
50/60 che affermava che l’età anziana fosse una fase di disimpegno progressivo dalla vita attiva e di
preparazione premorte, questi due studiosi sostengono che quando si affronta il tema dell’invecchiamento
bisogna considerare 3 possibili esiti:

• Invecchiamento patologico: insorgenza di veri quadri di malattia acuta o cronica che


compromettono la globalità della persona (Parkinson, Alzheimer ecc)
• Invecchiamento usuale: declini modesti in termini fisici e cognitivi (perdite di memoria comuni) ma
che non compromettono la funzionalità della persona, anche se la rendono vulnerabile
• Invecchiamento di successo: bassi rischi ed elevata funzionalità

L’ipotesi da cui partono per descrivere l’ultimo tipo è definita ‘’sistematica’’, in quanto ritengono cogliere le
interrelazioni tra i diversi sistemi di funzionamento individuale (fisico, motorio, intellettivo, personalità,
comportamentale) per poter spiegare le ragioni per cui questi anziani raggiungono questo traguardo e gli
altri no. Dunque, si può parlare di invecchiamento di successo quando sono presenti queste 3 componenti:

• Bassa probabilità di sviluppare malattie e disabilità


• Elevate capacità fisiche e cognitive
• Coinvolgimento nella vita attiva

Tali componenti sono intrecciate e possiedono una struttura gerarchica, nel senso che alcune sono
prerequisiti essenziali per altre. Invecchiare con successo è molto di più di evitare di ammalarsi, le prime
due componenti sono rilevanti per invecchiare bene, ma devono convergere con la terza. La capacità
cognitiva e fisica esprimono le potenzialità, cosa persona x è in grado di fare in potenza, ma tali potenzialità
devono essere espresse nell’impegno attivo sul piano delle relazioni e sul piano dell’attività produttiva.
Evitare le malattie e disabilità è possibile grazie ad uno stile di vita sano, poiché col tempo si profilano
fattori di rischio sconosciuti come l’aumento di produzione di zuccheri (che può portare a diabete),
colesterolo, ipertensione. Quindi includere esercizio e una dieta equilibrata gioca un ruolo fondamentale
(inoltre sembra che quando l’esercizio è collegato a buona capacità respiratorie, ciò influenza
positivamente le capacità cognitive, confermando i legami tra sistemi funzionali).

La seconda componente è rappresentata dal mantenimento di capacità cognitive, ossia ‘’funzioni


intellettive superiori’’ come i sistemi di memoria, capacità di problem solving, capacità di apprendimento.
Studio Mac Arthur: circa 1000 anziani tra i 70 e 79 anni sono stati rivalutati nel tempo per capire quali
fattori proteggessero le capacità cognitive dal declino. Ha evidenziato che l’istruzione, l’attività fisica
costante e la capacità respiratorio rappresentano fattori che mantengono le capacità intellettuali ad un
elevato livello funzionale. Tra i fattori psicologici che aiutano a mantenerle troviamo l’autoefficacia
percepita (credenza di poter cambiare attivamente la realtà e gli eventi in modo da renderli più favorevoli
alle proprie aspettative). Questo è uno dei primi studi a confermare che la funzionalità del sistema
cognitivo può essere mantenuta e migliorata attraverso date attività.

L’aspetto cruciale dell’invecchiamento positivo è il coinvolgimento nella vita sociale (relazioni sociali
gratificanti e impegno in attività produttive remunerate o di volontariato). Le relazioni hanno un effetto di
protezione anti -isolamento, considerato un fattore di rischio per la salute, e creano la percezione di poter
fruire di un eventuale supporto sociale. Sentirsi inseriti non richiede solo la presenza di una buona rete di

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supporto, ma è necessario che vi sia impegno nella attività. Secondo Kauffman le persone anziane non sono
considerato anziane dai familiari e nemmeno loro si percepiscono come tali finchè rimangono attive e
produttive. 3 fattori promuovono nel tempo un coinvolgimento elevato nella vita attiva:

1. Capacità funzionali (poiché quando si è in possesso di buona funzionalità fisica e intellettiva si ha


più probabilità di essere coinvolti in attività)
2. Livello di scolarizzazione (le risorse culturali consentono il mantenimento di varie attività nelle
istituzioni)
3. Elevata autoefficacia (essa si contrappone ai due fattori di rischio fondamentali: fatalismo, cioè la
credenza che gli eventi siano totalmente al di fuori del proprio controllo, e la vulnerabilità, ossia
una fragilità nascosta che emerge solo in eventi critici come l’insorgere di una patologia).

MODELLO DI BALTES:

Baltes è considerato uno degli studiosi che ha contribuito a modificare la prospettiva della psicologia
dell’età evoluta, che ha proposto una visione dello sviluppo in cui gli stadi sono legati ai primi 2 decenni di
vita. Egli sostiene la necessità di vedere lo sviluppo come un processo che va dalla nascita alla morte. La
psicologia dello sviluppo dell’arco di vita studia la costanza e i cambiamenti che caratterizzano l’intera
storia della persona, e focalizza la sua attenzione sullo studio di principi e leggi che governano l’evoluzione
durante tutte le fasi di vita. Sono due i fattori che per lui hanno contribuito a questo cambio di prospettiva:

• I cambiamenti di composizione della popolazione a livello planetario per fasce d’età, che porta a
rivoluzione demografica con relativo aumento di speranze di vita (più anziani, meno bambini a
causa dell’abbassamento di fecondità femminile). Questo cambiamento impone l’avvio di studi
dediti a comprendere le caratteristiche le specificità del funzionamento psicologico delle persone
anziane.
• Cambiamenti sociologici del 900 su piano economico, sociale, tecnologico che hanno prodotto
conseguente sui processi che incidono sull’evoluzione dell’individuo. Ogni età storica produce
modelli e risorse diversi per invecchiamento.

Uno dei principi che muove lo sviluppo dell’uomo è quello della dialettica ‘’guadagni perdite’’ (c’è un
riquadro fatto bene a pagina 19 che racchiude tutti i concetti chiave sinteticamente nel caso studiando si
voglia dare uno sguardo veloce, che ora spiego): i processi di sviluppo consistono nella presenza attiva
contemporanea di sviluppo di abilità, competenze (guadagni) e declini (perdite), entrambi evidenti fin dalla
nascita. In età evolutiva i guadagni sovrastano le perdite, mentre in età anziana questo processo si inverte,
ma nonostante ciò anche in età anziana è possibile riscontrare dei guadagni (Baltes cita come esempio lo
sviluppo dell’intelligenza nell’intero arco di vita presente nel cap. 5). Gli studi sullo sviluppo dell’intelligenza
mostrano presenza di 2 forme diverse di intelligenza: fluida e cristallizzata. La saggezza secondo Baltes è
legata a quella cristallizzata e proprio per questo si manifesta maggiormente in età avanzata. Secondo la
teoria guadagni-perdite ognuno conserva le capacità di rispondere in modo competente alle richieste
dell’ambiente, in quanto conserva la capacità di cambiare schemi di pensiero, abilità e competenze. Questa
capacità adattiva è definita plasticità da Baltes, e si mantiene anche in tarda età permettendo di
fronteggiare i declini. La plasticità richiama 2 concetti fondamentali:

• Risorse (fisiche, cognitive, di personalità): essenziali per invecchiare bene, tendono a integrarsi tra
loro in modo stretto quando si raggiunge l’anzianità. Ci sono veri e propri sistemi di risorse in età
anziana, una novità rispetto alle fasi precedenti. L’intreccio che si viene a creare tra sistemi di
risorse ha importanti conseguenze per la prevenzione dei declini della loro età e per la promozione
di un’elevata qualità di vita. Se per esempio il sistema sensoriale è in declino ciò costituisce un
fattore di rischio anche per le facoltà cognitive, e se non viene compensata può esserci un processo

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a cascata che conduce all’isolamento progressivo e alla perdita di funzioni cognitive superiori come
la memoria o la capacità di problem solving.
• Riserve: risorse, capacità, competenze accumulate nel tempo e mai sfruttate, che possono rivelarsi
un aiuto in età anziana. Rispondere alle richieste dell’ambiente, riorganizzare la propria vita in vista
di nuovi obiettivi, richiede la presenza di elevate capacità personali.

Fare in modo che in vita vengano favoriti sviluppo e potenziamento delle capacità richiede l’impiego di
determinate strategie, che Baltes e Baltes definiscono di selezione, ottimizzazione, compensazione.
Attraverso queste si riesce a ridurre perdite e declini e massimizzare guadagni.

TEORIA DI CARSTENSEN

Carstensen alle fine degli anni 90 propone la teoria della selezione socioemozionale: in questa teoria il
tempo riveste un ruolo centrale nella formazione di legami e nella loro funzione. Le relazioni sono uno dei
fattori fondamentali per il benessere dalla nascita (si pensi al legame con i genitori) alle ultime fasi della vita
quando il sostegno sociale diviene una forma di sicurezza e aiuto che può compensare i declini dovuti alle
malattie. La relazione sociale è fondamentale alla sopravvivenza, poiché grazie ai legami l’uomo è riuscito a
sopravvivere nel corso dei millenni, lasciano intendere una predisposizione a ricercare legami, interazione e
amicizia. L’uomo però formula piani e obiettivi, guidato da intenzioni precise nelle scelte e nei
comportamenti, ed anche sul piano sociale egli sceglie relazioni in base ai suoi obiettivi. È fondamentale
una accurata selezione e costruzione di una scala di priorità tra obiettivi affinchè questi possano realizzarsi.
Secondo l’autore, la percezione del tempo futuro influenza i processi di selezione di obiettivi e le
caratteristiche dei legami. In gioventù prevale la percezione che il futuro sia ampio e aperto, e quindi si
tendono a privilegiare legami che permettano di sviluppare conoscenza, esperienza nel mondo,
competenza professionale. Infatti secondo le sue ricerche i giovani universitari privilegiano la costruzione di
rapporti con persone che sono portatrici di valori, visioni e stili di vita diversi dai propri, accettando anche il
conflitto visto come inevitabile, ma al contempo stimolante per la maturità. In età anziana, il tempo è
percepito come limitato, dunque ciò porta l’individuo a valorizzare obiettivi diversi, come il consolidamento
delle relazioni intime, con i parenti o con amici ben conosciuti, dove è minimo il conflitto e dove è più
probabile trovare armonia basata sulla conferma di sé. Le emozioni negativo sono se possibile evitate,
poiché l’anziano seleziona con cura il proprio microcosmo sociale. Il progressivo restringersi del suo mondo
sociale porta con sé un cambiamento nel vissuto emozionale: cerca di ottimizzare le esperienze sociali che
facilitano l’esperienza di sentimenti positivi, e cerca assolutamente di evitare il conflitto. Ciò porta con sé
un’altra conseguenza: l’anziano taglia via via le relazioni periferiche e superficiali che non danno
soddisfazione, e rende centrali quelle del cuore del suo microcosmo affettivo. I partner sociali più intimi
tendono a rimanere stabili nella vita dell’anziano, svolgendo una funzione protettiva e di soddisfazione del
bisogno di sicurezza che aumenta nel corso della terza e quarta età, specialmente se presente una malattia.
Carstensen per parlare di questo taglio, paragona questo processo alla potatura dei rami periferici di un
albero. Questo è un processo che prende avvio già in età adulta e si consolida man mano. Non sarebbero
tanto le perdite affettive il motore di questo cambiamento, ma la vera causa della riduzione sta nel
cambiamento nella priorità degli obiettivi. Nella gioventù prevalgono obiettivi di espansione del sé, mentre
in età anziano di conferma del sé e di aumento del benessere emozionale. Dunque le fondamenta che
stanno alla base dell’invecchiamento positivo per Carstensen stanno nell’essere in possesso di una rete
sociale positiva, assieme alla regolazione delle proprie emozioni con la ricerca attiva di occasioni che
permettano di vivere emozioni positive. Richiamando la teoria di Baltes e Baltes sui guadagni e perdite, la
teoria della selezione socioemozionale riconduce ai processi di selezione attiva degli obiettivi sociali e al
loro mutamento la causa della modificazione delle reti sociali. La prospettiva temporale ha il ruolo di
motore motivazionale in questo processo e di fattore che consente di concentrare l’energia motivazionale
verso obiettivi prioritari. Anche persone giovani con gravi patologie possono modificare sostanzialmente la
priorità dei propri legami.
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TEORIA DI STEVERNIK

La teoria sulle funzioni della produzione sociale sostiene che le persone raggiungono un elevato livello di
benessere attraverso la soddisfazione di 2 bisogni universali presenti in tutte le culture:

• Benessere fisico: raggiunto quando si ha la possibilità di bilanciare attività che garantiscono


stimolazione sul piano fisico e cognitivo (es: lettura) e attività che producono sensazione di comfort
(es: vivere in un ambiente confortevole o assenza di dolore cronico)
• Benessere sociale: raggiunto attraverso la soddisfazione di 3 bisogni: bisogno di affetto
(soddisfatto con relazioni che offrono sensazione di sentirsi amati, accettati e compresi per quel
che si è), bisogno di conferma del proprio comportamento (soddisfatto da relazioni che
restituiscono la sensazione di fare la cosa giusta, cosa che avviene in gruppi sociali frequentati da
lungo tempo o che comunque donano forte senso di appartenenza, la conferma si lega alla
valutazione della congruenza tra le azioni fatte e i valori di riferimento dei gruppi di appartenenza),
il bisogno di status (soddisfatto da relazioni che ci fanno sentire rispettati e considerati per
competenze, talenti e conoscenze dimostrate; lo status include l’essere percepiti come
indipendenti e autonomi, persone di cui servirsi per un consiglio). La realizzazione di sé attraverso
soddisfazione e integrazione dei bisogni universali è il requisito essenziale per sperimentare elevato
benessere. Durante l’arco di vita ognuno cerca di soddisfare questi bisogni usando le proprie risorse
(esempio: cercare una relazione di amicizia con cui fare attività sportiva permette di raggiungere
due obiettivi, uno legato allo stimolo fisico e l’altro all’affetto). I bisogni sociali e di benessere fisico
riescono a essere soddisfatti nel corso di vita. Durante l’età anziana però, secondo Stevernik e
Lindenberg, la possibilità di soddisfare tutti i bisogni tende a restringersi, in particolare il bisogno di
status. Il pensionamento comporta non solo una ristrutturazione della propria vita, ma anche il
venir meno ai ruoli apprezzati. Mentre i primi due bisogni possono essere soddisfatti dalla rete
familiare e di amicizie, il bisogno di status rappresenta la dimensione più critica del benessere
sociale, in quanto la società non prevede un ruolo sociale valorizzato e riconosciuto per la terza e
quarta età. E’ possibile dunque compensare la perdita della soddisfazione di questo bisogno con la
soddisfazione degli altri due? È possibile, gli studi condotti sul rapporto tra soddisfazione dei 3
bisogni e il benessere percepito confermano che gli anziani provano alti livelli di soddisfazione per i
primi due, mentre per l’ultimo più bassi. Emerge inoltre che ognuno di questi bisogna influenza in
modo specifico gli aspetti del benessere psicologico. La soddisfazione per la vita è influenzata ad
esempio dal possesso di buone relazioni intime e dal sentirsi confermare il proprio modo di fare.
Per poter provare emozioni positive sono indispensabili buoni livelli di conferma e di status. Ciò
richiede a parere di questi due autori una duplice riflessione: una da parte delle istituzioni sociali e
politiche affinchè vengano ripensati i ruoli sociali che possano valorizzare gli anziani, dall’altra parte
una riflessione sulle risorse di cui l’anziano si può avvalere per soddisfare questi bisogni, poiché con
l’avanzare dell’età le risorse tendono a diminuire (assieme alle probabilità di invecchiamento con
successo). La presenza di risorse esterne (supporto istituzionale e sociale) e interne (abilità) sono
fattori chiave per assicurarsi una buona vita in età anziana.

MODELLO DI KAHANA E KAHANA

Questo modello prende le mosse dalla constatazione che la maggior parte delle teorie recenti
sull’invecchiamento positivo pongono l’accento sulla compensazione dei deficit e dei declini anziché
approfondire fattori di promozione attiva del benessere. Raramente si è considerato l’invecchiamento
positivo come l’esito dell’intervento di fattori storico-culturali, nonché sociali, intrecciati con risorse e
caratteristiche individuali. I modelli tradizioni hanno adottato una visione passiva dell’anziano, concepito
come dipendente dal contesto. Questo modello adotta una visione agentiva e proattiva dell’individuo che
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tende a mantenersi tale. Con i termini agentività e proattività si intende l’adozione di uno stile attivo di
intervento sulla realtà con lo scopo di cambiare attivamente le opportunità o le risorse e i vincoli, o di
evitare eventi critici. Gli autori dunque risaltano la capacità dell’individuo di scegliere e modificare il proprio
contesto per poter raggiungere il benessere. È fondamentale l’adozione di 2 comportamenti o strategie:

• Comportamenti di proattività preventiva: con lo scopo di evitare che le patologie o eventi critici
accadano grazie all’azione anticipata (come l’adottare uno stile di vita sano) o all’intervento quando
il problema è piccolo e risolvibile.
• Comportamenti di proattività correttiva: con lo scopo di minimizzare le conseguenze o danni
derivanti da condizioni critiche già in atto (come nel caso di terapie riabilitative).

Vengono evidenziate 2 dimensioni fondamentali nel definire il corso di vita di ognuno:

• Fattori storico-culturali: essere stati protagonisti di un dato periodo storico può aver portato ad
incontrare eventi critici o condizioni direttamente collegate a essi, come la WW2. Aver vissuto la
maggior parte della vita in contesti ricchi di risorse o viceversa poveri ha influenzato sicuramente la
vita dell’anziano sul piano delle sue possibilità di sviluppo e degli scopi.
• Esposizione ad eventi stressanti: lo stress cumulativo può essere il risultato sia di esperienze che
producono conseguenze a lungo termine (divorzio o malattia cronica), sia di eventi recenti (lutto o
perdita di un’amicizia storica), o di una problematica integrazione tra le caratteristiche individuali e
le richieste ambientali (persona di talento, contesto povero).

Ci sono 2 tipi di risorse che permettono agli anziani di ridurre l’impatto delle crisi e degli eventi stressanti,
o evitare che succedano:

• Risorse interne: avere alta autostima, essere speranzosi, essere aperti verso i progetti futuri, essere
disponibili ad aiutare gli altri e usare strategie utili per affrontare gli eventi di vita costituiscono
l’insieme di risorse interne che facilitano la scelta di utilizzare adattamenti proattivi. Gli studi
confermano che il riuscire a investire sul tempo futuro energie e motivazioni porta l’anziano a
mantenere uno stile di vita sano attraverso le attività fisiche e sportive.
• Risorse esterne: risorse economiche e sociali fungono da valore protettivo nei confronti delle
criticità della vita (es: poter accedere a spese mediche adatte, avere una valida rete di sostegno).
Sono rilevanti le risorse emergenti, come l’accesso alle nuove tecnologie informatiche e l’accesso
attivo al sistema sanitario e di cura, che possono aiutare l’anziano a cercare autonomamente
informazioni, creare reti sociali e mantenere relazioni.

Gli adattamenti proattivi costituiscono il cuore del modello dell’invecchiamento positivo, si articolano in:

• Adattamenti tradizionali a scopo preventivo: con scopo di evitare le condizioni che possono
peggiorare la qualità di vita. Sono 3 i gruppi di comportamento possibili, ciascuno rivolto ad un
ambito di funzionamento dell’anziano: promozione della salute attraverso attività fisica (non
competitiva), evitamento di comportamenti nocivi, uso eccessivo di alcol e dieta equilibrata;
aiutare gli altri arreca molti benefici e aiuta a prevenire la solitudine, oltre a incoraggiare i ruoli
valorizzati a livello sociale; capacità di pianificare il futuro, è essenziale pianificare le proprie risorse
economiche e le modificazioni da fare alla casa per poterla abitare autonomamente.
• Adattamenti tradizionali a scopo correttivo: necessari quando si vogliono apportare delle
modifiche nella vita della persona anziana. La ricerca di un buon supporto sociale si rende
necessaria quando si aggravano i problemi di mobilità. Con il pensionamento si deve pensare a
sostituire il ruolo lavorativo con altri ruoli valorizzati, e ciò è facilitato dalle relazioni; la
partecipazione civica e il volontariato possono costituire un modo di revisionare la propria identità
sociale a favore di nuovi ruoli.
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• Adattamenti emergenti: sono emergenti gli adattamenti che appartengono ad una specifica epoca,
come le tecnologie informatiche, lo sviluppo delle organizzazioni sociosanitarie, nuovi modelli di
relazione medico-paziente e lo sviluppo delle proprie capacità. L’uso proattivo delle nuove
tecnologie informatiche rappresenta una importante sorgente di conoscenza: con internet è
possibile ottenere info, mantenere indipendenza. La relazione medico-paziente negli ultimi tempi
ha subito dei cambiamenti profondi in quanto da che si ascoltavano silenziosamente le direttive del
medico si è passato a una relazione più paritaria in cui si discute per la soluzione adatta.

CAPITOLO 2 - DALLA PREVENZIONE DEL DANNO ALLA PROMOZIONE DELLA SALUTE

Il tema della salute e della malattia è stato affrontato per decenni da un punto di vista biologico e medico.
Nell’800 la visione generale sulla malattia e sul concetto di salute era: la malattia è un mal funzionamento
di un organo; la salute è semplicemente assenza di malattia. Intorno agli anni 50 del 900, grazie alla
scoperta degli antibiotici, si rafforzò il concetto di salute umana come una semplice assenza di patologia,
patologia che veniva combattuta con l’uso di farmaci. Intorno agli anni 70, i modelli precedenti furono
considerati riduttivi, troppo semplicistici. Non erano solo i farmaci a restituire la salute, ma la salute stessa
era promossa grazie a un profondo cambiamento in positivo di aspetti come l’alimentazione e i sistemi
igienici. La salute e la malattia saranno comprese a pieno solo alla fine degli anni ’70: entra in scena una
visione più articolata e complessa, definita bio-psico-sociale (Engel). Questa nuova concezione porta a
nuove terapie, diviene un obiettivo cruciale prevenire il danno anziché curarlo (Antonovsky).

La salute, di conseguenza, non è più necessariamente legata all'assenza di patologia: si può funzionare
bene, sentirsi "sani" anche in presenza di patologie, se si può fruire di risorse psicologiche e sociali. Gli
anziani stessi hanno una concezione articolata e complessa della salute, che includono persino le capacità
di fare progetti nella vita e si mantiene anche in presenza di patologie.

È importante comprendere che vi sono sia fattori che promuovono la salute, sia fattori di rischio.

2.2 I fattori di rischio per la salute


I fattori di rischio possono provocare un deterioramento dello stato di salute o del funzionamento globale
fino alla comparsa di patologie e alla compromissione della propria capacità di vivere una vita
soddisfacente. Definiamo fattori di rischio tutti quegli elementi o comportamenti che aumentano la
probabilità di perdere o compromettere la salute. I fattori di rischio tendono a far sentire i loro effetti a
medio o lungo termine: vari studi confermano che la persistenza dei comportamenti di rischio nel corso
dell'età giovanile e adulta ha effetti importanti sullo stato di salute nella terza e nella quarta età. (Ad
esempio, fumo di sigaretta o un’alimentazione troppo ricca di grassi.)
Accanto ai fattori di rischio per la salute consideriamo anche i rischi psicosociali: l'assenza di reti di amicizia
o di relazioni significative costituisce un fattore di rischio psicosociale in quanto può portare nel tempo a un
accresciuto di senso di isolamento che può sfociare in un vero e proprio quadro depressivo, mentre la
mancanza di interessi culturali identifica un fattore di rischio per l'efficienza cognitiva generale
(compromette la memoria, le capacità di problem solving).

2.3 I fattori protettivi della salute


I fattori protettivi possiamo definirli come l'insieme di condizioni o fattori che contrastano l'azione dei fattori
di rischio e ne riducono gli effetti deleteri. Possono essere di natura individuale (come la capacità di
pianificazione rivolta ad obiettivi futuri) o di natura sociale (come le caratteristiche di gruppi sociali che
generano senso di appartenenza). I meccanismi dei fattori protettivi sono legati sia alla riduzione
dell'esposizione al rischio, sia al minore coinvolgimento nei comportamenti nocivi per la salute attraverso
l'esposizione ad ambienti poco inclini a metterli in pratica.

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Ad esempio, per poter raggiungere l'obiettivo di cessare l'abitudine del fumo, oltre alla riduzione del
numero di sigarette, è altrettanto rilevante l'integrazione dei nuovi comportamenti acquisiti entro uno stile
di vita rinnovato, anche attraverso la frequentazione di contesti sociali dove il fumo non è comportamento
frequente o diffuso e l'alimentazione sana costituisce una componente fondamentale.
Inserire nuovi comportamenti salutari in un più ampio stile di vita aumenta la possibilità che essi vengano
mantenuti nel tempo, divenendo parte integrante delle abitudini alimentari, come sostenuto da Prochaska
e DiClemente. Secondo questi autori è fondamentale avere un piano di azione ben articolato per
raggiungere l’obiettivo di cessare l’abitudine del fumo.

Possiamo parlare di fattori protettivi anche rispetto ai rischi di natura psicologica e sociale. Rowe e Khan
(1997) sostengono che l'autoefficacia sia una componente di personalità che contribuisce alla
partecipazione attiva alla vita sociale e rappresenta un fattore di protezione nei confronti dei declini
psicologici, cognitivi e contrasta l'isolamento sociale.

2.4 La vulnerabilità
La vulnerabilità rappresenta una condizione di fragilità invisibile, silente che potrebbe però portare l'anziano
verso un rapido declino della funzionalità generale. Gli anziani nel tempo hanno accumulato diversi fattori
di rischio (fisici, psicologici, sociali, economici) e per questo sono caratterizzati da una crescente difficoltà a
ripristinare un equilibrio di vita in caso di eventi critici, specialmente se questi si presentano all'improvviso.
Si tratta di persone estremamente sensibili ai cambiamenti improvvisi di vita per i quali non hanno risorse
adeguate. Una persona anziana con l'artrosi e disturbi di memoria, se si verifica una frattura, avrebbe
poche risorse cui fare appello per ritornare a buoni livelli di funzionamento. La vulnerabilità è caratterizzata
da una "globale diminuzione delle riserve disponibili" il cui esito può essere la severa compromissione del
funzionamento complessivo della persona.

Si diventa vulnerabili quando si riduce la capacità di individuare strategie efficaci per risolvere i problemi
quotidiani, indizio di un progressivo deterioramento delle capacità cognitive generali. È fortunatamente un
costrutto dinamico, molto mutevole. Tra i fattori di prevenzione o riduzione della fragilità troviamo il
supporto nutrizionale con adeguate calorie e vitamine, il controllo costante della pressione sanguigna, la
prevenzione dell'arteriosclerosi, l'evitamento dell'isolamento sociale attraverso reti di sostegno, il
trattamento della depressione e il controllo di eventuali forme di dolore cronico, l’impegno di attività fisica,
la forza muscolare, la flessibilità e il senso di controllo personale.

2.5 La resilienza
Resilienza è un termine usato per descrivere un processo attraverso il quale le persone possono raggiungere
un buon funzionamento e sviluppare le proprie potenzialità in contesti di vita in cui sono presenti forti
avversità. Perché si possa parlare di resilienza, è necessario che vi sia stata l'esposizione a eventi
particolarmente gravi, intensi e acuti o che ci si trovi a vivere in contesti con significativi fattori di rischio e
che si sia raggiunto un livello di funzionamento particolarmente elevato e non prevedibile in base alle
sfavorevoli condizioni di partenza.

I ricercatori si sono focalizzati nelle ricerche sui primi 20 anni del corso di vita per individuare i fattori che
innescano questa capacità di crescere favorevolmente nonostante le forti avversità. È facilitata se sono
presenti buona capacità comunicativa, atteggiamento positivo verso gli altri, possesso di buone doti
intellettive, il poter contare sulla presenza di un adulto sensibile ai bisogni del bambino o dell'adolescente.

E invece in tarda età come si definisce la resilienza? Dalle poche ricerche emergono due condizioni: la
presenza di un esito particolarmente positivo e favorevole (che possiamo accostare al concetto stesso di
invecchiamento di successo) e la presenza di "capacità di gestione costruttiva degli eventi critici" della vita
da parte dell'anziano. Secondo Staudiger e collaboratori, la resilienza in età anziana è la capacità di
mantenere un'elevata soddisfazione di vita nonostante l'aumento dei rischi legati alle perdite, alla
comparsa di malattie, assieme alla capacità di evitare forti vissuti depressivi.
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Secondo Hardy e collaboratori, la resilienza in età anziana deve essere definita come:
-la capacità di fare esperienza di pochi vissuti depressivi;
-essere in grado di riprendersi prontamente dopo un evento o una situazione negativa;
-riacquistare una propria stabilità di vita dopo un evento destabilizzante (come un ricovero o una perdita
importante);
-sviluppare nuove forme di progettualità o di attività a seguito di tali esperienze critiche.
Chi possiede un’elevata resilienza probabilmente appartiene alla terza età, sono uomini, hanno una buona
cultura e buone risorse economiche, sono indipendenti nella vita di tutti i giorni, svolgono attività fisica
regolare, modificano attivamente le situazioni ritenute non adeguate.
Inoltre, la capacità di darsi degli obiettivi di vita e saper utilizzare l'umorismo come strategia di confronto
con gli eventi di vita rappresentano due abilità che vengono associate anch'esse alla resilienza.
Un ultimo fattore è vedere dinanzi a sé ancora un futuro, che è legato anche all'importanza di disporre di
risorse economiche adeguate.

CAPITOLO 3: MANTENERE E MIGLIORARE LA SALUTE E IL BENESSERE NELL’ARCO DELLA VITA

3.1 ‘’Progettare’’ la salute e il benessere per il futuro

Nel 1920 Lewis Terman fece uno studio su 1500 bambini per seguire la loro evoluzione intellettuale, di
personalità, sociale e professionale nell'arco della vita. Da questa ricerca emergono i fattori responsabili di
una vita lunga e soddisfacente:

-le caratteristiche di personalità giocano un ruolo importante nell'adozione di stili di vita a rischio (uso
eccessivo di alcool o fumo) o salutari (attività fisica e non fumare);

-l'adozione precoce di stili di vita sani e una vita sociale ricca e partecipata esercitavano un'influenza sulla
qualità dell'invecchiamento e anche sulla longevità. Una vita sana portava a ‘’guadagnare anni’’ rispetto a
coloro che avevano scelto abitudini di vita meno sane.

Lo studio di Terman mostra che la "progettazione" della salute e del benessere più è precoce nel tempo, più
fa sentire i suoi effetti benefici a distanza di anni.

Rutter e Rutter (1995), per spiegare la persistenza dei comportamenti di rischio o salutari e gli effetti che
producono a lungo termine, introducono il concetto di catene longitudinali di eventi, definendoli come
processi che vengono messi in moto attraverso situazioni in cui l'individuo si viene a trovare e che sono
situate in un momento della vita passata. La maggioranza dei processi di rischio implica una serie di reazioni
a catena che possono estendersi per periodi molto lunghi. Catene longitudinali positive sono quelle che
portano all'avvio di una spirale di positività (ad esempio, un individuo che frequenta corsi culturali
all’università durante la terza età; ciò avrà un impatto positivo su aspetti come la memoria, le capacità
cognitive, la creatività, i rapporti sociali). Parliamo di catene longitudinali negative quando invece le scelte
fatte portano all'innesco di una spirale nociva (una persona che si isola in casa mette in moto una cascata di
effetti negativi come la solitudine, un forte disinteresse verso l’attività sociale e declino delle capacità
intellettive).

Lo sviluppo umano e l'invecchiamento, secondo Elder Jr (1999), rappresentano processi che attraversano la
vita intera e le decisioni, le azioni, le risorse che noi sapremo produrre, ci porteranno a diminuire o
aumentare il rischio di problemi o malattie legate al funzionamento generale (dal sociale al biologico).
Centrale è la comprensione di ciò che accade nelle fasi precoci della vita, in quanto gli eventi, le situazioni
storiche, sociali ed economiche fanno sentire i loro effetti sull’intero arco di vita. Le scelte durante la prima
età adulta, o nella fase di transizione tra la gioventù e l'età adulta, fanno sentire i propri effetti sull'intero
arco di vita, comprese l'età del pensionamento e le successive terza e quarta età.
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Come già visto, Terman ha dimostrato che alcune caratteristiche di personalità giocano un ruolo a favore
della salute; una di queste è la capacità di pianificare a medio e a lungo termine le azioni, i comportamenti.
Regolare il nostro comportamento su qualcosa che vorremmo raggiungere aumenta la nostra motivazione,
ci aiuta a non valutare troppo i costi immediati legati alla scelta (ad esempio, non si pretende che i benefici
di una dieta sana si facciano subito sentire) e a concentrare le energie sui benefici futuri. Come hanno
dimostrato Ziegelmann, Pippke e Schwarzer in uno studio sulle terapie riabilitative a seguito di fratture
ossee, coloro che guardano al futuro svolgono più assiduamente le terapie, anche se non sono di certo
definibili gratificanti.

3.2 Fattori di rischio e di protezione nel tempo


Adottare comportamenti che compromettono la salute aumenta la possibilità di sviluppare nel tempo
malattie acute o croniche. L'adozione di uno stile di vita che promuova la salute dà l'avvio a una spirale
positiva che riduce il rischio di ammalarsi o di incontrare seri problemi a livello di mobilità. Ciò fa risaltare
l’importanza di un cambiamento delle abitudini nocive il prima possibile per amplificare gli effetti sulla
condizione di salute.
Rimanere in salute da una parte è il risultato di comportamenti positivi ma dall’altra parte è anche la
condizione di base per conservare una buona qualità di vita in età anziana. Ad esempio, l'esercizio fisico
praticato con costanza aiuta a mantenere la massa e la densità ossea a livello ottimale prevenendo
l'osteoporosi, anche se i processi che portano alla sua manifestazione sono attivi prima della terza età. Ciò
porta anche a effetti positivi sul piano sociale, poiché una buona efficienza fisica e motoria si trascina la
possibilità di avere più contatti e opportunità.
La ricerca di Kahana e Kahana ha dimostrato i benefici a lungo termine dell’adozione di uno stile di vita che
include l’attività fisica regolare su un lasso di tempo di otto anni. Nonostante l’elevata età dei partecipanti
(quasi ottant’anni), dopo otto anni coloro che investivano continuamente sulla propria salute fisica avevano
pochi problemi di disabilità, pochi ricoveri ospedalieri e dichiaravano di aver raggiunto gli scopi prefissati
nella vita; inoltre, avevano pochi vissuti depressivi, confermando il legame tra le condizioni di salute e il
livello di benessere percepito.

3.3 La conservazione delle risorse


Il mantenimento di un'elevata qualità della vita in età anziana è legato in modo sostanziale allo sviluppo e
all'accumulo di risorse nell'arco della vita.
Secondo Hobfoll, il livello di stress che la persona percepirà nel caso si trovi ad affrontare un evento critico
dipenderà dall'ammontare delle risorse a sua disposizione. Identifica un'ampia classe di risorse: alcune di
natura personale (autoefficacia, autostima), di natura materiale ed economica (stabilità abitativa e reddito),
infine risorse familiari e sociali (buona relazione intima e una rete di amici). La perdita di quelle che
l'individuo considera risorse cruciali ha un impatto rilevante, tanto da compromettere il buon
funzionamento dell'individuo anche a lungo termine. Coloro che hanno sperimentato la perdita di risorse
ritenute importanti tendono a percepire un'intensa emozionalità negativa protratta molto a lungo nel
tempo, mentre non accade l'inverso, ossia la presenza di una forte e duratura emozionalità positiva a
seguito di risorse acquisite. Hobfoll parla di "effetto caravan", riferendosi al fatto che generalmente le
risorse tendono a presentarsi in modo aggregato e non isolato, come diversi caravan che viaggiano insieme.
Coloro che possiedono ad esempio elevate risorse personali, è molto probabile dispongono anche di reti
sociali. Le risorse quindi tendono a influenzarsi e rinforzarsi reciprocamente.

La mancanza di risorse disponibili invece conduce a un’accresciuta vulnerabilità nei confronti di ulteriori
perdite, dal momento che si dovranno mobilitare intensamente le poche risorse possedute, con il rischio
del loro esaurimento. È il caso del fenomeno del deterioramento del supporto sociale (Norris e Kaniasty,
1996). Queste risorse tendono a esaurirsi nel tempo, proprio per le richieste troppo elevate. Coloro che
possiedono un numero maggiore di risorse, tendono anche a una loro "capitalizzazione" nel tempo (ad es.
le risorse culturali possono portare a frequentare ambienti ricchi di stimoli, generando una "spirale

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virtuosa" in quanto si autorinforzano con l'apprendimento, mantenendo efficaci le risorse cognitive
attraverso l'allenamento a memorizzare ed elaborare nuove informazioni e le risorse sociali attraverso le
nuove conoscenze).
La conservazione delle risorse si evidenzia nell’età anziana come un obiettivo fondamentale ed essenziale
per contrastare i declini delle diverse sfere di funzionamento, da quello fisico a quello cognitivo e per poter
disporre di un più ampio margine di intervento.

3.4 Sistemi integrati di risorse e invecchiamento di successo


Baltes (1997) adotta un approccio di tipo olistico, integrato, dove le caratteristiche e le risorse possedute
da ogni individuo vengono viste come parte integrante del suo funzionamento globale. Per comprendere le
traiettorie di vita delle persone, è necessario studiare come le risorse possedute vengono ad armonizzarsi
insieme e concorrono a determinare migliori o peggiori livelli di funzionamento e di benessere. Partendo
dal presupposto che per invecchiare bene è richiesta la disponibilità di numerose risorse fisico-biologiche,
psicologiche e sociali, Baltes e Lang (1997) hanno identificato quattro classi di risorse: sensorio-motorie
(funzionamento dell'udito e della vista; buona autonomia e capacità fisica), cognitive (legate all'efficienza
intellettiva generale), di personalità (comprendenti i tratti di personalità e l'investimento in obiettivi di
vita), sociali (presenza di buone reti di supporto sociale e disponibilità di molti ruoli sociali). La ricerca ha
evidenziato che le risorse possedute dall'anziano diminuiscono nel corso del tempo e più è elevato il
declino di quelle sensorio-motorie e cognitive, meno forte invece è il declino di quelle personali e ancor
meno di quelle sociali.

Gli anziani possono essere suddivisi in 4 gruppi: ricchi di risorse in tutte e quattro le aree, quelli ricchi di
risorse sensorio-motorie, coloro che sono ricchi di risorse sociali e personali, infine gli anziani globalmente
poveri di risorse. Gli anziani globalmente ricchi di risorse sono coinvolti in molteplici ruoli sociali. Coloro che
posseggono elevate risorse in tutto mostrano un declino più lento rispetto ai meno dotati di risorse.

La conservazione delle risorse è un obiettivo fondamentale ed essenziale, proprio per contrastare e


rallentare i declini nelle diverse sfere di funzionamento, da quello fisico a quello cognitivo, e per poter
disporre di un più ampio margine di intervento, con grande beneficio per la propria autostima e la
percezione di autoefficacia e controllo sulla propria vita. Diviene essenziale, ai fini di un invecchiamento
positivo, saper individuare queste risorse nel contesto di vita e a livello personale e allo stesso tempo
individuare e applicare strategie efficaci che consentano il loro reperimento, il loro mantenimento e la
riduzione del rischio di una loro perdita, cercando di attivare tali strategie durante la terza e la quarta età.

CAPITOLO QUATTRO – LE RISORSE FISICHE

4.1 I mutamenti fisici legati all’invecchiamento


In età anziana si evidenziano progressivi declini nell’efficienza dei vari apparati dell’organismo. L’ampiezza e
la velocità con cui si verificano questi processi dipendono da diversi fattori, tra i quali costituzione genetica
e stili di vita. Le principali teorie contemporanee sull’invecchiamento biologico si rifanno alla rilevanza di
suddetti fattori, che sono rispettivamente ereditari e legati all’ambiente.
Secondo le teorie che privilegiano i fattori genetici, il processo di invecchiamento è caratterizzato da due
processi che avvengono simultaneamente:
• un progressivo accumulo di danni ai tessuti cellulari del corpo che non vengono riparati fino ad
arrivare nel corso degli anni a lesioni e danni che progressivamente non si riesce a riparare del
tutto.
• un progressivo adattamento a livello biologico che il corpo mette in atto per neutralizzare gli effetti
nocivi di questo accumulo di danni cellulari, dei tessuti e degli organi.
Secondo questa prospettiva di rimodellamento genetico il processo di invecchiamento è quindi
caratterizzato da un contemporaneo accumulo di danni e di reazioni ad esso. L’invecchiamento di successo,
secondo questa prospettiva, sarebbe il risultato di un minore o più lento accumulo di danni, accompagnato
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anche da una migliore capacità di adattamento. La “genetica della longevità” ritiene che una parte
fondamentale nei processi di deterioramento fisico sia da ricondurre ai meccanismi che governano il
sistema immunitario. Quest’ultimo rappresenta l’insieme delle difese dell’organismo: una sua riduzione
porterebbe a condizioni infiammatorie croniche non gravi, ma che nel tempo potrebbero favorire processi
di degenerazione cellulare e malattie tipiche dell’anzianità (come l’Alzheimer). Una strategia fondamentale
in questo caso è innanzitutto la prevenzione, poi la stimolazione del sistema immunitario con conseguente
aumento di capacità riparative e l’attività fisica costante che è in grado di aumentare la resistenza
dell’organismo. Anche i cambiamenti ormonali possono determinare non poche conseguenze: la
menopausa, consistente nella cessazione del ciclo ovarico riproduttivo e nella conseguente riduzione di
estrogeni in circolo, comporta una maggiore difficoltà di fissazione del calcio nelle ossa, il che aumenta, con
l’avanzare dell’età, il rischio di fratture. L’integrazione di calcio tramite alimentazione e l’esercizio fisico
rappresentano due fattori di protezione dalla fragilità osteoarticolare. Con il progredire dell’età ne
risentono anche i sistemi sensoriali, che in seguito alla riduzione di efficacia del sistema muscolo-
scheletrico, vanno in contro a progressive diminuzioni delle capacità (es. il cambiamento della struttura
ossea dell’orecchio, la coclea, è alla base di una riduzione di capacità uditive; la rigidità
nell’accomodamento del cristallino porta ad una riduzione delle capacità visive). Il metabolismo del nostro
corpo (che trasforma il cibo in energia per le cellule) riduce le sue capacità di trasformazione e
trasferimento delle vitamine, proteine, minerali ecc. alle cellule e questo ha delle conseguenze importanti
sul funzionamento biologico, ad esempio il rischio di ammalarsi di diabete. I processi di invecchiamento
sono strettamente interconnessi tra loro: il concetto di fragilità va inteso come un declino globale dello
stato di efficienza e di salute che coinvolge tutti i sistemi dell’organismo, mettendo in crisi l’equilibrio tra
danni e loro riparazione. I fattori protettivi sono molteplici: un’alimentazione sana, controlli periodici,
attività fisica, ecc..

4.2 Stile alimentare e invecchiamento positivo


Molte patologie che insorgono nell’età anziana sono in parte attribuibili all’effetto di uno stile alimentare
scorretto. L’adozione di una dieta sana può svolgere un ruolo fondamentale nella riduzione dei fattori di
rischio per la salute. Studi condotti recentemente hanno messo a confronto gli effetti benefici e protettivi di
alcune diete e ne è risultato che la dieta mediterranea caratterizzata dalla predominanza di cereali,
verdure, pesce e olio di oliva, riduce il rischio di insorgenza dei tumori, patologie cardio-vascolari e
neurodegenerative. In generale, l’adozione di un’alimentazione corretta ed equilibrata sembra associarsi ad
una maggiore longevità. Poulain ha proposto il concetto di “modelli alimentari”: l’insieme di regole sociali e
culturali che governano lo spazio sociale alimentare. Essi sono l’esito di processi di adattamento
all’ambiente geografico (il clima, il suolo..) e di adattamento sociale (norme culturali, rappresentazioni
simboliche degli alimenti..). Nel corso dello sviluppo l’individuo interiorizza le norme che regolano il
comportamento alimentare nella sua cultura di appartenenza integrandole nel suo stile alimentare.
Alcune ricerche che hanno esaminato l’importanza data all’alimentazione, ai farmaci, al movimento fisico
da parte di giovani, adulti e anziani hanno mostrato che gli anziani sembrano essere molto più attenti,
rispetto ai giovani e agli adulti, alla propria salute e più selettivi nella scelta di ciò che mangiano, e
attribuiscono molta importanza allo sport e ai farmaci.
La teoria del comportamento pianificato proposta da Ajzen è una delle teorie più utilizzate per l’analisi dei
fattori di natura psicologica individuale e psicosociale che incidono sull’adozione di uno stile alimentare
sano nelle diverse fasi della vita. Secondo questo modello, il comportamento effettivo (in questo caso lo
stile alimentare) è predetto dall’intenzione di adottare davvero lo stile che si ritiene salutare. L’intenzione
di seguire un’alimentazione sana è a sua volta il risultato di numerosi fattori. Anzitutto le cosiddette
credenze personali sull’efficacia di questa dieta e la prevalenza dei benefici rispetto ai costi.
In secondo luogo, le norme soggettive possono esercitare una forte influenza sull’intenzione di adottare
una dieta sana: che cosa pensa il medico, che cosa è ritenuto giusto fare da familiari, amici, etc; se però le
norme soggettive sono in contrasto con le credenze personali allora l’individuo si troverà in conflitto e
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questo ridurrà ogni influenza su di lui. Un fattore altrettanto importante è la percezione di controllo, ossia
quanto la persona crede di poter suscitare un controllo diretto sulla propria intenzione e sul proprio
comportamento. La credenza di controllo sulle intenzioni è vicina all’autoefficacia, ritenuta da Bandura uno
dei fattori più rilevanti per la modificazione di un comportamento. Anche il comporta comportamento
alimentare passato è un buon predittore del comportamento che si intende adottare.

4.3 Attività fisica e benessere globale in età anziana


Nei paesi industrializzati almeno il 50% delle persone oltre i 65 anni è sedentaria. Lo stile di vita che tende
ad instaurarsi al sopraggiungere del pensionamento contribuisce al declino delle funzionalità fisiche
dell’anziano. Secondo recenti studi l’esercizio fisico costante oltre a giocare un ruolo essenziale nel
mantenimento di un’elevata capacità fisica generale, sta dimostrando di avere valore protettivo anche nei
confronti dell’efficienza cognitiva, se praticato in modo continuo. L’aumento della capacità respiratoria
incrementa la circolazione sanguigna cerebrale, assieme all’aumento dell’ossigeno e del glucosio in circolo
nel tessuto cerebrale. Miglioramenti nella circolazione a loro volta aumentano la quantità di enzimi
antiossidanti che svolgono una funzione anti-invecchiamento delle cellule cerebrali. Svolgere attività fisica
favorisce la produzione di “fattori neurotrofici” in grado di incrementare le connessioni tra le cellule
nervose, essenziali affinché le funzioni cerebrali superiori possano mantenersi efficienti. Inoltre ’attività
fisica sembra svolgere una funzione di stimolo e di incremento delle riserve cognitive, che vengono
accumulate nel tempo tramite apprendimento, attività sociali, elaborazioni di esperienze, e diventano
particolarmente strategiche in età avanzata, quando i processi funzionali subiscono un declino consistente.
L’attività sportiva, ma anche semplicemente passeggiare, influisce positivamente sul benessere psicologico:
migliora il tono dell’umore, la sensazione di essere attivi, etc.
La riduzione del rischio di declino funzionale generale è legata al fatto che l’esercizio fisico aumenta la
flessibilità, l’equilibrio, la forza muscolare e la resistenza alla fatica e allo sforzo.

4.4 I fattori che favoriscono l’attività fisica e lo sport


Possedere un orientamento temporale centrato sul futuro può essere considerato un’importante risorsa
interna che favorisce la costruzione di progetti e attività tese a raggiungere un obiettivo ritenuto altamente
motivante. Sappiamo che la motivazione dell’uomo è legata, per intensità e persistenza, al tempo futuro e
in diversi studi si è visto che gli anziani che possiedono un orientamento temporale centrato sul futuro
mostrano un minore declino nell’intensità e nella frequenza con cui si dedicano all’attività fisica. I processi
di agenticità individuale e le credenze di autoefficacia sono ulteriori fattori che contribuiscono a orientare,
modificare e sostenere i nostri comportamenti. Le credenze di autoefficacia ci consentono di organizzare,
pianificare ed eseguire le azioni necessarie per produrre determinati risultati e influenzano la scelta delle
azioni da intraprendere, la quantità di impegno investita in certe imprese e idee, la perseveranza di fronte a
ostacoli e insuccessi, la resistenza di fronte alle avversità. L’autoefficacia è diversa dall’autostima:
l’autostima riguarda il proprio giudizio sul valore personale, l’autoefficacia riguarda la valutazione sulla
capacità di agire concretamente sull’ambiente in modo congruente con le proprie inclinazioni e desideri.
Bandura ritiene che per riuscire in qualcosa sia necessario possedere la convinzione di essere in grado di
farlo; senza di essa l’individuo non si motiva all’impegno necessario. Spesso gli anziani vengono
rappresentate come persone inefficaci il che avvalora gli stereotipi esistenti; a quanto pare, invece, gli
anziani con forti convinzioni di efficacia mostrano di saper gestire bene le loro capacità anche in circostanze
scomode. In relazione all’attività fisica essi si dimostrano in grado di sormontare gli ostacoli e i vincoli. La
scelta di una vita attiva è favorita anche da fattori di natura sociale. Il sostegno sociale e il confronto con gli
stili di vita attivi di familiari danno un contributo positivo all’autoefficacia (se ci riescono loro, ci riesco
anch’io). Inoltre, svolgere attività fisica in compagnia porta benefici a livello emozionale, e provare
emozioni positive durante l’attività rinforza le convinzioni di autoefficacia personale e di gruppo.

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CAPITOLO 5 - RISORSE COGNITIVE

L’efficienza cognitiva generale


L'efficienza cognitiva, o intelligenza, comprende un insieme di abilità, come il possesso di una disposizione
ad apprendere e memorizzare, risolvere nuovi problemi e saper riconoscere i cambiamenti, nonché
l'elasticità nell'uso degli schemi mentali posseduti per affrontarli, valutare in modo approfondito una
questione morale o un dilemma etico; queste abilità diverse implicano azione di processi diversi, legati a
differenti domini di funzionamento dell’intelligenza. Per esempio, adattare il proprio pensiero e la propria
condotta a situazioni nuove implica la capacità di riconoscere sia le novità, sia le differenze rispetto a
condizioni che non sono più quelle di prima e modificare il rapporto con quella realtà.
Parlare di efficienza cognitiva nell'età anziana implica comprendere quali sono i cambiamenti che
avvengono con il passare del tempo e la direzione in cui essi vanno (possono esserci declini lievi, marcati o
acquisizione di competenze). Tradizionalmente si riteneva che lo sviluppo cognitivo si fermasse con la fine
dell’adolescenza e che l’età adulta e la vecchiaia segnassero una “decadenza” cognitiva generale.
L’approccio dell’arco di vita ha rivisto questa concezione e ha considerato lo sviluppo come un continuo
equilibrio tra nuove acquisizioni e perdita di alcune abilità.

Sistemi di memoria
La memoria non è un sistema unitario ma un insieme di grandi sistemi e sottosistemi che hanno diverse
base neurofisiologiche che generalmente funzionano insieme ma posso anche funzionare in modo
separato: memoria di lavoro (a breve termine), memoria a lungo termine.
I sottoinsiemi della memoria a breve termine ci consentono di pianificare, monitorare le nostre azioni e
non sembrano influenzati dai processi di invecchiamento, mentre le funzioni esecutive vengono
compromesse con il passare degli anni. Le persone anziane incontrano notevoli difficoltà a prestare
attenzione sia selettiva che sostenuta a due attività contemporaneamente.
La memoria a lungo termine a sua volta può essere suddivisa in diverse sottocategorie:
-memoria procedurale: non è sensibile all’invecchiamento a meno che non ci siano malattia
neurodegenerative (i vecchietti sanno fare il caffè, accendere la tv);
- memoria semantica: ha il compito di contenere le informazioni sul mondo, i fatti, i
concetti, il linguaggio etc. è particolarmente legata all'intelligenza cristallizzata e al
fenomeno della "saggezza" e rimane sostanzialmente intatta;
- memoria episodica: (sistema a cui appartiene memoria autobiografica) eventi vissuti personalmente, le
relazioni temporali vengono spesso perse nell’anziano. Questo tipo di memoria che è molto importante per
l’identità individuale può essere mantenuta efficiente nell’età anziana fornendo materiali che suscitino
ricordi (foto, immagini) BISOGNA TENERE IL CERVELLO ALLENATO per evitare atrofia delle abilità di
memoria;
- memoria prospettica: fa riferimento al fatto di "ricordare di ricordarsi" qualcosa al momento appropriato
ed è connessa alla capacità di formulare dei piani di azione da compiere nel futuro. Essa è essenziale per
continuare a gestire in modo indipendente la propria vita e per poter realizzare attività e progetti, ed
implica l’integrazione di molti processi cognitivi per poter lavorare efficacemente. Con l'età anziana la
memoria prospettica tende a divenire meno efficiente.
La conservazione dell’efficienza dei sistemi di memoria è fondamentale per poter svolgere le proprie
attività, compiere scelte, progettare il futuro, agire in modo autonomo. Molti sono i training di
potenziamento delle capacità di memoria; partendo dalla constatazione che la plasticità cognitiva
(modificare attraverso esperienza l’efficienza del sistema cognitivo) appartiene anche all’età anziana, sono
state progettate diverse strategie per apprendere e migliorare e conservare i sistemi di memoria: nei
training si insegna a utilizzare strategie o tecniche. È necessario agire anche sulla motivazione dell’anziano e
sulla metacognizione (il modo in cui si rappresentano in generale e in riferimento a sé stesse). Oltre la
motivazione, anche stimoli emotivi influiscono: stimoli da ricordare se associati ad emozioni positive
vengono acquisiti in memoria senza difficoltà -> è motivata a ricordare.

Intelligenza fluida e cristallizzata

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Due forme fondamentali di intelligenza da definire sono intelligenza fluida e intelligenza cristallizzata.
L'intelligenza fluida è legata all'elaborazione delle informazioni e alla capacità di risolvere i problemi
indipendentemente dalla conoscenza acquisita e dall'esperienza maturata. Essa è legata all'abilità di
ricercare nuove interpretazioni, strategie, nuovi modi per approcciare un problema, la velocità con cui si
apprendono nuove nozioni. L'intelligenza fluida viene definita anche "pensiero divergente" (DT) in quanto
è attraverso essa che attiviamo dei processi di associazione innovativa tra le informazioni (es: formulazione
di una nuova teoria o un'opera d'arte). Questo tipo di intelligenza è strettamente legata alla creatività, ed è
una componente necessaria all'invecchiamento di successo (maggior indipendenza nella vita quotidiana,
apertura a nuove esperienze e conoscenze).
L'intelligenza cristallizzata è legata all'elaborazione dei concetti e delle conoscenze apprese e accumulate
nel tempo. Permette di utilizzare correttamente schemi, concetti ed esperienze per compiere valutazioni,
formulare giudizi e scegliere azioni appropriate al contesto. È profondamente legata al bagaglio culturale
posseduto dall'individuo.
A differenza dell'intelligenza fluida che tende a declinare con il trascorrere dell'età, l'intelligenza
cristallizzata raggiunge il suo picco nella terza età ed è legato alla saggezza.
Baltes definisce la saggezza come una conoscenza acquisita con l'esperienza, ma a un livello più profondo e
relativa ai problemi più importanti della vita. Perché si possa parlare di saggezza e non expertise, è
necessario che il soggetto possegga:
- Conoscenza delle pragmatiche fondamentali della vita (come agire in situazioni complesse)
- Conoscenza strategica o procedurale di esse
- Contestualizzazione di informazioni nella storia del suo tempo e dei cambiamenti sociali
- Relativismo di tali conoscenze (considerare conoscenze come frutto della propria cultura)
- Convinzione che non esiste una conoscenza perfetta e che il futuro è imprevedibile e incerto.
Per intelligenza creativa si intende la capacità di immaginare un'alternativa non banale nella perfezione e
successiva soluzione di un problema nella spiegazione di un fenomeno i nell'uso di qualcosa. L'intelligenza
creativa si concretizza in un'innovazione del comportamento, che si oppone alla tendenza ben radicata nel
nostro pensiero ad affrontare i problemi nuovi utilizzando in modo automatico gli schemi utilizzati in
passato. Gli studi hanno dimostrato che l’intelligenza fluida declina già dall’età giovanile, però ci sono
persone come Picasso, G. Galilei, che fanno propendere per una conservazione della creatività anche nelle
età più avanzate. In una ricerca è stato evidenziato come in situazioni dal tempo limitato le performance
migliori sono dei giovani nel rispondere a un test, mentre senza limiti di tempo giovani e anziani
raggiungevano stesse prestazioni. Dunque, agli anziani non mancano le capacità di attivare il pensiero
creativo e divergente purché il tempo disponibile sia adeguato. In una ricerca Fisher evidenzia come
l’attività creativa contribuisce a invecchiare con successo attraverso la costruzione di un senso di
competenza, propositi e crescita personale. Favorisce lo sviluppo delle abilità di problem solving, della
motivazione e della percezione che tali abilità artistiche possano essere trasferite alle attività quotidiane.

Le strategie per invecchiare bene


Secondo Baltes, le persone gestiscono e indirizzano il corso della loro vita attraverso l’utilizzo congiunto di
3 strategie: la selezione, l’ottimizzazione e la compensazione (SOC). Attraverso l’utilizzo delle strategie SOC
è possibile sia dirigere il corso della propria vita verso mete e obiettivi desiderati, sia minimizzare le perdite
e massimizzare i guadagni.
La selezione attiva aiuta a dirigere la propria vita verso progetti, obiettivi, ambienti sociali compatibili con le
proprie caratteristiche e aspirazioni (es. lutto o malattia devo reindirizzare le energie); l’ottimizzazione
riguarda l’acquisizione di risorse e l’investimento in obiettivi particolarmente significativi, richiede impegno
ma anche un ambiente sociale stimolante (es. non suono più il pianoforte come prima mi esercito su meno
brani e miglioro quelli che faccio meglio); la compensazione è la capacità di individuare alternative per
mantenere un certo livello di funzionamento (apparecchio acustico).

Il coping proattivo
Coping: termine designato per strategie volontarie che gli indivui metton in atto quando si trovano a dover
far fronte a una difficoltà, a eventi critici o stressanti; secondo studi degli anni ’90 le principali strategie di

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coping possono essere comprese in 4 categorie: a) strategie attive di risoluzione del problema, b) strategie
del supporto sociale, c) strategie centrate sulle emozioni, d) strategie di evitamento (altamente inefficaci sul
lungo periodo). Queste strategie hanno come elemento in comune il fatto che vengono attivate quando
l’evento critico è già avvenuto.
Le strategie che vengono messe in atto al fine di prevenire un evento critico o ridurne la portata negativa
sono definite "strategie di coping proattivo".
Affinché possano essere usate con successo tali strategie richiedono l'accumulo di risorse nel tempo e
l'acquisizione di competenze generali volte a gestire qualcosa spostato nel tempo futuro che potrebbe non
accadere. La possibilità di attivare le strategie di coping proattivo ha numerosi benefici: minimizza lo stress
nel caso in cui l'evento critico avviene, permette di mantenere più risorse a disposizione che possono
essere usate per altri obiettivi. Coloro che fanno utilizzo delle strategie proattive di coping tendono ad
avere numerosi progetti nei vari ambiti della vita.
Il coping proattivo è un processo che si articola in cinque fasi:
- Riconoscimento del problema: richiede l'abilità di saperlo intravedere e dipende dalle capacità valutative
dell'individuo degli indizi negativi o preoccupanti esterni o interni.
- Valutazione iniziale del problema: inizia col porsi delle domande: di cosa si tratta? Che cosa potrebbe
accadere? Queste valutazioni portano l'attenzione sul potenziale evento stressante o negativo, e dalla
risposta che viene data prendono avvio o meno gli sforzi per evitarlo o minimizzarne l'impatto. Tale
processo richiede un alto livello di attenzione che convoglia molte delle risorse a scapito di altre. È
importante in questa fase saper collegare gli indizi e le possibili conseguenze (es. auto vecchia si rompe
spesso, mi conviene comprarne una nuova invece di spendere soldi per aggiustare quella vecchia?)
- Sforzi iniziali di gestione del potenziale evento critico: se la valutazione degli indizi ha generato un senso
di preoccupazione e di allarme, allora possono iniziare i primi tentativi per neutralizzare l'evento prima che
si verifichi. Diversi fattori possono incidere sulla decisione di passare all'azione o meno (autoefficacia, locus
of control interno)
- Valutazione degli effetti delle azioni ed eventuale loro modifica: dopo aver scelto la strategia che
riteniamo più efficace, cominciamo a vederne gli effetti. Potrebbe essere utile richiedere valutazioni di
esperti o conoscenti, pertanto è importante avere una buona rete di supporto sociale
- Accumulo iniziale e conservazione successiva delle risorse: per poter attivare strategie proattive è
necessario disporre di risorse di varia natura: sociale, economica cognitiva e temporale.

CAPITOLO 6 - LE RISORSE SOCIALI

Il supporto sociale
La componente socio-relazionale del benessere (molto importante nei modelli teorici sull’invecchiamento
positivo, l’isolamento non è un bene) può essere articolata in due differenti indicatori: il sostegno/supporto
sociale e il benessere sociale.
Il supporto sociale può essere definito come l'informazione proveniente dagli altri di essere oggetto
d'amore e di cure, stimato e apprezzato da amici, familiari etc. e di fare parte di una rete di comunicazione
e obbligo reciproco; il supporto sociale può essere a sua volta definito attraverso due prospetti: quello della
rete sociale (relazioni interpersonali) e funzionale. Per quanto riguarda il supporto funzionale ne abbiamo
due tipologie:
- Supporto strumentale: permette di soddisfare bisogni di natura concreta come l'aiuto domestico,
economico o legato ai trasporti
- Supporto emozionale: legato alla possibilità di ricevere ascolto, alla condivisione emotiva di problemi,
ansie, difficoltà e preoccupazioni ed è associato ad un forte senso di appartenenza o intimità.
I due tipi di supporto in questione sono entrambi centrali per la moderazione dello stress.
La percezione di poter contare su di una rete di supporto favorisce la lettura e la valutazione degli eventi
difficili o di crisi come meno minacciosi e più affrontabili.
La valutazione degli eventi come difficili, dolorosi ma sostanzialmente affrontabili porta ad una minore
attivazione del sistema neuroendocrino e del sistema immunitario, con sostanziali benefici per la salute, dal
momento che l’individuo è meno esposto a patologie come le malattie infettive o i disturbi coronarici.

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Secondo Cohen, il supporto sociale produce effetti benefici quando vi è concordanza tra richiesta specifica
e disponibilità di quel tipo di supporto sociale.
Un fattore psicosociale molto rilevante durante la terza, e ancor di più, la quarta età è dato dalla solitudine
percepita, ovvero il risultato tra incongruenza tra la rete sociale disponibile e ciò che invece si aspirerebbe a
possedere. Persone con maggiori competenze sociali e una buona estroversione hanno maggiore
probabilità di sviluppare, nel tempo, solide reti di sostegno. L’isolamento sociale rappresenta invece una
condizione oggettiva di solitudine, dovuta all’esperienza di sentirsi “separati” dalla realtà (es. malattie che
non ti permettono di uscire di casa).
La possibilità di compiere esperienze positive a livello relazionale durante le fasi precoci dell’esistenza
potrebbe portare a interiorizzare un certo modello delle relazioni e a vedere gli altri come benevoli e
disponibili ad aiutare in caso di bisogno.
Il non avere figli, di per sé, non rappresenta un fattore di rischio, ma può diventarlo quando viene a
coincidere con altri fattori critici come la vedovanza.

Benessere sociale e partecipazione alla vita sociale


Oggi si ha una visione dell'età anziana come una fase della vita in cui permane un forte coinvolgimento
nelle attività sociali e una ricerca di ruoli socialmente apprezzati (NON più, come si pensava negli anni ’60,
quando si pensava che l’età anziana era la fase in cui si attuava un progressivo distacco dalla vita sociale.
Secondo Keyes il benessere sociale si definisce come la qualità delle relazioni sociali dell'individuo
nell'ambito della propria comunità e società e del proprio funzionamento al loro interno. Il benessere
sociale comprende cinque dimensioni:
- Integrazione sociale: qualità della propria relazione con la società e integrazione nella comunità
- Contributo sociale: credenza di essere un membro vitale della società, quanto l'individuo crede di poter
dare un contributo significativo attraverso la propria attività
- Accettazione sociale: valutazione degli altri come degni di fiducia e disponibili ad aiutare
- Attualizzazione sociale: valutazione del potenziale e delle traiettorie future della società
- Coerenza sociale: interesse nel conoscere le funzionalità della società, le sue regole e i suoi valori,
apertura a nuove culture.
Ogni dimensione del benessere sociale varia in rapporto all'età: le prime quattro mostrano un incremento
nel passaggio dalla gioventù all'età adulta, mentre la coerenza sociale tende a diminuire con l'età,
raggiungendo valori bassi proprio nelle ultime fasi di vita, segnalando probabilmente le difficoltà
dell'anziano a comprendere un mondo sentito come troppo complesso ed estranei ai valori culturali nei
quali è cresciuto. Il livello di scolarità influisce positivamente sul benessere sociale, come l'attivazione di
strategie di coping proattivo, nonché riduce la differenza di genere per cui donne poco scolarizzate tendono
a sperimentare un livello di benessere sociale generalmente inferiore rispetto agli uomini con lo stesso
grado di scolarizzazione.
Il senso di connessione alla comunità rappresenta una dimensione importante del funzionamento positivo
dell’individuo e coglie la qualità della relazione con il contesto sociale attraverso il livello di integrazione
percepita e il senso di appartenenza. Il senso di comunità è articolato i 4 dimensioni:
- Senso di appartenenza: corrisponde al sentimento di far parte di una comunità
- Influenza: indica la possibilità dell’individuo di partecipare e dare un contributo alla vita di comunità
- Integrazione e soddisfazione dei bisogni: individuo può soddisfare alcuni suoi bisogni in ragione
dell’appartenenza al gruppo o alla comunità
- Connessione emotiva condivisa: è definita dalla qualità dei legami e alla condivisione di una storia
comune.
Il senso di comunità rappresenta un fattore protettivo nei confronti della solitudine e dell’isolamento in età
anziana, grazie alla possibilità di percepire il sostegno sociale del vicinato e del contesto sociale locale, di
poter sperimentare una condivisione di interessi comuni e una buona quantità di legami sociali.
Recentemente degli studi hanno iniziato a focalizzarsi sugli aspetti benefici delle tecnologie, in particolar
modo nell'ambito della comunicazione come mezzo per contrastare la solitudine e incentivare un forte
senso di comunità. Internet può offrire una opportunità per migliorare o potenziare il senso di
appartenenza alla comunità attraverso la costruzione di nuove relazioni o l’irrobustirsi di quelle

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preesistenti. Un nuovo costrutto è il senso di comunità online: definito come la possibilità costruire
relazioni sociali nuove con cui condividere interessi comuni. L’utilizzo di internet è associato ad una
maggiore soddisfazione per la propria salute, una maggiore frequenza di contatti con familiari e amici e
quindi un livello elevato di felicità. Inoltre, una maggiore scolarità favorisce l’apertura a nuove forme di
conoscenza e quindi nuove modalità di relazione con il mondo sociale. L’utilizzo di internet permette di
espandere la comunicazione interpersonale e migliorare il senso di integrazione alla comunità, soprattutto
per gli anziani che vivono isolati.
Secondo Hagerstrand gli individui vengono influenzati nella scelta degli obiettivi e dei progetti in cui
coinvolgersi, da tre tipi di vincoli: i vincoli legati alle proprie capacità, i vincoli legati alla presenza sul
territorio di risorse culturali e sociali, i vincoli di natura legislativa, ideologico-culturale ed economica (leggi,
ruoli sociali e barriere economiche di una cultura).

STUDIO ESAW (European Study of Adulta Well-being), 2006


In ogni paese europeo il progredire dell’età comporta la diminuzione progressiva delle attività centrate
sulla comunità e sull’individuo, mentre tendono ad aumentare le attività centrate sull’ambiente domestico
(progressivo ridursi delle risorse fisiche); però notevoli divergenze sono riconducibili alla cultura di
appartenenza e ai modelli sociali che essa veicola. → Per es. in Italia le donne sono meno attive nella
partecipazione civica ma più focalizzate su attività domestiche, volontariato di natura assistenziale e
associazionismo parrocchiale; nei Paesi Bassi c’è un alto livello di coinvolgimento in attività civico-sociali e
sportive in entrambi i sessi mentre in Svezia c’è un tardivo coinvolgimento data la tarda uscita dal mondo
del lavoro che si colloca intorno ai 70 anni, lasciando il cittadino ampia libertà e autonomia sulla decisione
di quando lasciare il mondo del lavoro.

STUDIO DEGLI AUTORI DEL LIBRO sulla realtà italiana


Gli uomini tendono a formulare più progetti centrati sulla partecipazione alle attività politiche e civiche
rispetto alle donne, dato riconducibile ai differenti modelli educativi e ai ruoli sociali “previsti” in base
all’identità di genere della società italiana cui gli anziani sono stati socializzati nell’arco della loro vita.
Coloro che utilizzano di frequente strategie di coping proattivo tendono a sviluppare un numero più elevato
di progetti, a conferma della capacità del coping proattivo di favorire l’accumulo e il mantenimento di
risorse che possono essere convogliate e dirette verso obiettivi di vita altamente motivanti. Un ‘altra
differenza legata al genere è gli uomini sono quelli che percepiscono un livello più elevato di benessere
sociale e che fanno un uso maggiore di strategie di coping proattivo.

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a.a. 2019/2020 – Aurora Parlati, Naomi Cipolla, Federica Tarsino 

PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO: FATTORI DI PROTEZIONE E DI RISCHIO


prof.ssa Luigia Simona Sica

1° LIBRO: LO SVILUPPO DEL CICLO DI VITA – HENDRY, KLOEP

1. Rapporto tra sfida e rischio nel modello nel ciclo di vita di Hendry e Kloep; Risorse,
sviluppo, stagnazione appagante e non appagante, deterioramento.

Il modello di sfida dello sviluppo nel ciclo di vita di Leo B. Hendry e Marion Kloep è un
modello integrato che parte dalle varie teorie dello sviluppo dei principali studiosi come
Freud, Piaget, Levinson, Erikson, Vygotskij, Skinner, Bronfenbrenner, Elder e Baltes per
evidenziarne le idee in comune. Quasi tutte queste teorie contengono un elemento di sfida
che si manifesta nel momento in cui l’individuo cerca di far fronte alle esigenze della vita;
lo sviluppo avviene se la sfida è superata con successo. Non è sufficiente considerare e
spiegare lo sviluppo riferendosi ai primi venti anni della vita di un individuo (infanzia e
adolescenza), ma bisogna considerare lo sviluppo come un processo che abbraccia l’intera
vita umana, dalla nascita alla morte. Lo sviluppo, per essere stimolato, ha sempre bisogno
di una sfida e gli individui, possiedono quantità diverse di risorse da impiegare per
risolvere le sfide, attraverso un processo dialettico, d’interazione, che provoca cambiamenti
nell’ambiente, nell’individuo o in entrambi, e di conseguenza, stimola lo sviluppo.
Fin dalla nascita, il bambino dispone di un bagaglio di risorse potenziali per affrontare le
sfide della vita, molte delle quali sono innate, altre vengono apprese, altre ancora sono
determinate strutturalmente: disposizioni biologiche (genetica, salute, personalità, talenti
naturali, aspetto fisico), risorse sociali (competenze sociali e relazionali, disponibilità di una
rete sociale), abilità in ambiti diversi (abilità motorie, artistiche e cognitive, di
apprendimento, capacità di specializzarsi), self-efficacy (convinzione dell’individuo di essere
in grado di affrontare sfide e risolverle attivamente con le proprie risorse, autostima), risorse
strutturali (risorse che derivano dall’ambiente culturale: nazionalità, classe sociale, razza,
genere, status personale o pubblico). Oltre ad essere ecologicamente intrecciate tra loro, le
risorse sono altamente dinamiche: possono essere, perse, conquistate o cambiate, nel corso
di tutto il ciclo di vita. I compiti che gli individui si trovano a risolvere stabiliscono se una
risorsa potenziale possa diventare una risorsa effettiva. Una sfida è un qualsiasi nuovo
compito che l’individuo affronta, pari o leggermente superiore alle sue risorse presenti;
dunque la quantità e il tipo di risorse potenziali presenti nel bagaglio di risorse personali di
un individuo determinano se il compito che l’individuo deve affrontare si rivela una sfida
(come li definisce Bandura, compiti “realisticamente impegnativi”), una semplice faccenda
di routine (compiti meno impegnativi) o un rischio (compiti più impegnativi). Il buon
adattamento (goodness of fit) tra risorse potenziali e difficoltà del compito viene determinato
anche dalle caratteristiche situazionali (stanchezza, scarsa motivazione, momento in cui si
presenta un certo compito da affrontare, numero di sfide da affrontare


 
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contemporaneamente). La sensazione soggettiva di avere un bagaglio di risorse personali


relativamente pieno ed una varietà sufficiente di risorse per affrontare quasi tutti i compiti
e le sfide che si presentano nella vita quotidiana provoca un senso di sicurezza.
Un compito può essere un problema la cui soluzione richiede pochi istanti o uno più
complesso da risolvere in diversi anni; può avere delle connotazioni positive o può
contenere elementi negativi, ma in ogni caso può condurre ad una crescita: fonti di stress
che sconvolgono la continuità della vita possono agire da “catalizzatori verso il
cambiamento”. Nell’interagire con il compito, l’individuo subisce una trasformazione che
lo lascia, alla fine, con un aumento, una perdita o con lo stesso numero di risorse. A seconda
del risultato di questo processo di trasformazione, l’individuo va incontro ad uno sviluppo
e una sfida viene affrontata con successo (quando il processo per risolverla non prosciuga o
consuma le risorse individuali, bensì le arricchisce, o come direbbe Baltes, ottimizza i
guadagni e minimizza le perdite), ad un deterioramento (se il compito provoca
l’esaurimento del bagaglio di risorse personali e lo sviluppo si arresta) o stagnazione (se il
bagaglio di risorse rimane relativamente lo stesso). La stagnazione può dirsi inoltre
appagante, se gli individui decidono di non affrontare nuove sfide perché sono soddisfatti
delle risorse presenti nel loro bagaglio e del loro stile di vita, oppure può dirsi non
appagante, se non conduce ad una qualità di vita soddisfacente e l’individuo si trova in
questa situazione non per scelta volontaria, ma perché percepisce che non ci sono
alternative. L’elemento cruciale per affrontare le sfide della vita è possedere il potenziale
per cambiare. In un mondo che sta cambiando sempre più rapidamente, questo potenziale
viene raggiunto grazie alla capacità di adattamento in un maggior numero di aree possibile,
possedendo cioè mole risorse in una varietà di aree. Nel flusso e riflusso della vita non è mai
troppo presto e raramente troppo tardi, per rinnovare il bagaglio di risorse personali e per
sostituire una spirale discendente con una ascendente.

2. Sfide associate a mutamenti normativi e non normativi

Qualunque cambiamento è una sfida e quelli di caratura maggiore vengono definiti da Elder
“momenti di svolta dello sviluppo”. Alcuni di questi compiti devono essere affrontati da
tutti, altri solo da membri di alcuni gruppi, culture e società, mentre un numero esiguo di
compiti di sviluppo viene affrontato solo da gruppi di persone molto ristretti. Inoltre, alcuni
di questi saranno voluti e cercati dai singoli individui, altri si presenteranno da soli.
Baltes e collaboratori distinguono tre forme di mutamenti dello sviluppo: normative
classificate per età (di maturazione e ambientali), storiche e non normative. In realtà questa
classificazione è insufficiente per spiegare in modo esauriente i cambiamenti del ciclo di
vita, quindi Hendry e Kloep, propongono una classificazione di mutamenti nel corso della
vita collegata al modello di sviluppo del ciclo della vita:
a) Mutamenti di maturazione: sono rappresentati da cambiamenti biologici comuni a tutti
gli individui in buona salute, simili per tutti gli esseri umani. L’impossibilità di sottrarsi
a questi mutamenti li rende facilmente prevedibili e ciò permette agli individui di
prepararsi ad affrontarli, contando su un sostegno sociale e su vari modelli di
comportamenti.


 
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b) Mutamenti sociali normativi: sono comuni alla maggior parte degli individui
all’interno di certi contesti sociali e culturali, sono spesso collegati all’età e ai mutamenti
di maturazione, sono regolati da leggi e sono presenti in ogni società (nonostante i loro
contenuti varino in modo considerevole nelle diverse culture). Sono caratterizzati da
prevedibilità (i membri di un particolare gruppo sociale sanno quando e come
avvengono e non li affrontano impreparati) e gli individui possono contare su un
sostegno sociale e su precedenti esperienze dei membri più anziani.
c) Mutamenti quasi normativi: sono eventi legati all’età, non sono regolati da leggi scritte,
ma spesso da norme e regole non scritte. Di conseguenza c’è sempre, all’interno di un
groppo socioculturale, una minoranza che non sperimenta questi mutamenti.
d) Mutamenti non normativi: sono cambiamenti che vengono sperimentati in modi
particolari o in determinati periodi da un numero relativamente ristretto di persone, e
possono assumere forme diverse. Il fatto che un evento sia non normativo può dipendere
dal momento, dal luogo o dalla natura dell’evento.
 Mutamenti fuori tempo: sperimentazione di un mutamento normale in un momento
del ciclo di vita nettamente diverso da quello in cui viene sperimento dalla maggior
parte delle presone;
 Mutamenti storici: sono derivanti da eventi di natura temporanea o imprevisti che
producono un cambiamento all’interno del macrosistema (crisi economiche, dissesti
politici, guerre e disastri naturali) e cambiano la vita degli individui nella società.
Influiscono su tutti i membri di un gruppo culturale, giungono spesso inaspettati, ma
poiché le persone che devono affrontare questi eventi si trovano “tutte nella stessa
barca”, possono contare su un solido sostegno sociale;
 Mutamenti provocati dall’individuo: eventi scelti e pianificati in modo attivo dal
singolo individuo. Per quanto questi mutamenti provocati sembrino più facili da
affrontare, rappresentano in ogni caso una sfida e richiedono le risorse necessarie;
 Mutamenti particolari: comprendono tutti gli eventi della vita che accadono soltanto
ad un gruppo ristretto di persone e, proprio per questo, l’individuo che li affronta
non solo si sente stigmatizzato, ma spesso si trova anche isolato. Avvengono spesso
in modo inaspettato e sono le sfide di vita più difficili che si possono incontrare;
 Non eventi: eventi che accadono quasi a tutti ma non a determinati individui, che
vengono stigmatizzati e non possono condividere le stesso esperienze degli altri.
I mutamenti non normativi, pur essendo le sfide più difficili da affrontare, sono quelle che
contengono un potenziale di crescita più alto (catalizzatori verso il cambiamento).
Imparare ad affrontare queste sfide, assomiglia molto alla capacità di affrontare con
successo le situazioni stressanti. Questa capacità di coping è stata definita da Lazarus come
lo sviluppo di sforzi cognitivi e comportamentali per far fronte a richiesta specifiche interne
e/ o esterne che sembrano mettere a dura prova le risorse di una persona. Lo stress, come
sottolinea Aldwin, può essere considerato un fattore positivo dal punto di vista dello
sviluppo, poiché può condurre all’apprendimento e al miglioramento di nuove abilità.
Secondo Aldwin si possono verificare tre importati tipi di traiettorie di sviluppo dopo aver
affrontato uno stress: l’individuo può diventare più fragile, può ritornare ad una fase di

 
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omeostasi o può sviluppare un aumento di risorse (quelle che Hendry e Kloep definiscono
deterioramento, una stagnazione o uno sviluppo).
Sono soprattutto le prime esperienze di vita ad influire profondamente su quelle successive.
Rutter paragona queste esperienze non normative, che possiedono un grado di difficoltà
sufficiente a sfidare le risorse individuali ma non impossibile da fronteggiare, agli effetti di
un vaccino sulle difese immunitarie. Attraverso la vaccinazione, vengono iniettate piccole
dosi di sostanze nocive per creare anticorpi e rinforzare il sistema immunitario contro
infezioni e malattie future. Per analogia, egli definisce queste sfide esperienze che
rinforzano, piccole iniezioni di coraggio che preparano l’individuo ad affrontare le varie
sfide che si presenteranno in futuro.
Anche i mutamenti non normativi più difficili come divorzio o crisi economica, possono
trasformarsi in positivi processi di adattamento che permettono all’individuo di realizzare
successi futuri e di creare ulteriori risorse, soprattutto se gli individui possono contare su
diversi tipi di risorse iniziali (maturità, ottimismo, coerenza, locus of control, strategie di
coping, sostegno sociale, educazione).

3. Nuove sfide della media età adulta, della tarda età adulta e della vecchiaia

Ogni età deve fronteggiare particolari tipi di sfide:


a. Nell’infanzia i compiti di sviluppo prevedono l’apprendimento di abilità psicomotorie
e di competenze relazionali (rapportarsi agli adulti e ai coetanei, affrontare l’ingresso a
scuola, apprendere abilità superiori);
b. L’adolescenza è un periodo caratterizzato da molte transizioni sociali e di maturazioni
che conducono all’inizio dell’età adulta e il principale compito di sviluppo (come
afferma Erikson) è legato alla definizione dell’Identità sociale, sessuale e professionale,
in contrasto con lo sperimentare una confusione di ruoli;
c. La media età adulta si occupa di questioni come il significato di essere genitori (e poi
genitori di figli adolescenti), i figli cresciuti che vanno via di casa (sindrome del nido
vuoto), il lavoro, la carriera e le sfide rappresentate dalla disoccupazione e dal ruolo
del tempo libero. La maggior parte degli individui di mezza età è sistemata, perché ha
già preso le decisioni più importanti della vita e difficilmente si trova di fronte a
momenti di svolta provocati da eventi non normativi (perdita del lavoro, morte del
partner). In genere, a differenza dei primi anni di vita, in cui le sfide si presentano
spontaneamente all’individuo, le persone di mezza età devono procurarsi da soli le
scelte da compiere e cercare attivamente di cambiare la loro vita, se lo desiderano. La
media età adulta è il momento ideale per guardare, come Giano bifronte, sia indietro sia
avanti nel ciclo di vita, per valutare ciò che si è raggiunto fino a quel momento e stabilire
quello che si vuole ancora raggiungere. La società esercita in questa fase della vita una
certa pressione sociale a vivere una vita convenzionale, per assicurare stabilità,
continuità e ordine sociale (invenzione sociale della “crisi di mezza età”). In questo
momento del ciclo di vita c’è la possibilità di una moratoria, uno spazio per respirare,
dovuto al fatto che non ci sono particolari mutamenti normativi all’orizzonte. La
moratoria dà all’individuo l’opportunità di rifinire e ampliare le sue abilità e di
specializzarsi in diversi settori o per fare nuove esperienze, coltivare hobby, abilità, aree

 
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di conoscenza. Ai fini di una preparazione per le fasi di vita futura, questo momento ha
la stessa importanza per il ciclo di vita della moratoria psicosociale nell’adolescenza
descritta da Erikson. Secondo Havighurst, l’organizzazione di attività di svago
significative è uno dei compiti di sviluppo più importanti di questa fase della vita.
d. La tarda età adulta è caratterizzata da quattro sfide: due mutamenti normativi di
maturazione (cambiamenti fisici e segni dell’invecchiamento, menopausa), un
mutamento normativo sociale (pensionamento) ed un mutamento quasi-normativo
(esperienza di diventare nonni). I cambiamenti fisici che cominciano a manifestarsi
dopo l’inizio dell’età adulta sono ulteriormente accentuati dalla vita sedentaria tipica
delle culture occidentali, in cui è anche molto diffuso il “mito della giovinezza”; per
tale ragione si avverte una forte influenza negativa che la società esercita sull’individuo
adulto, attraverso le immagini divulgate dalla stampa e dagli altri mezzi di
comunicazione (concetto di adultescenza di maturità adulta in un corpo giovane
particolarmente popolare tra le persone di mezza età). Alcuni provano a rallentare il
processo facendo regolare esercizio fisico, o interventi più drastici facendo ricorso
all’industria dei prodotti cosmetici o alla chirurgia estetica. La menopausa può essere
considerata un momento di crisi ma carico di opportunità per realizzare se stesse e
raggiungere una maggiore autonomia (grande differenza tra le diverse culture). Anche
diventare nonni è una sfida che porta spesso ad uno sviluppo e ad una crescita; tuttavia,
come per altri eventi della vita, c’è il rischio che per affrontare la sfida si prosciughino
troppe risorse. Nonostante le sostanziali differenze socio-culturali, i nonni di tutti i paesi
ricoprono una molteplicità di ruoli: possono essere guardiani, genitori surrogati,
educatori, “storici”, trasmettitori di cultura, mentori, modelli di comportamento,
compagni di gioco. È fondamentale però partecipare senza interferire troppo nella
“nuova famiglia” e garantirsi il tempo libero per intraprendere altre attività e mantenere
i contatti sociali. L’ultimo mutamento di questa fase è il pensionamento, considerato il
marker sociale che segna l’inizio della vecchiaia. Secondo la teoria del disimpegno tutte
le persone di una certa età desiderano liberarsi dagli impegni sociali e dal lavoro
produttivo e retribuito per vivere la vecchiaia serenamente e in pace. Questa idea è
ancora attuale, pur essendo stata contraddetta da diversi studi. Andare in pensione
significa adattarsi a giornate in cui non ci si reca più sul posto di lavoro e bisogna
ristrutturare le proprie giornate, trovando attività sostitutive soddisfacenti.
e. La vecchiaia è messa davanti alle sfide rappresentate dai lutti, dai cambiamenti nei
rapporti sociali e dal declino delle abilità fisiche. Accettare i segni ben definiti del
processo di invecchiamento è la sfida più difficile che deve affrontare l’individuo in
questa fase di vita. Il lutto, considerato un evento non normativo in tutte le precedenti
fasi della vita, diventa sempre più normativo con l’aumentare dell’età. La Teoria
dell’identità sociale di Hogg e Abrams, elaborata per spiegare il comportamento dei
gruppi svantaggiati della società, può essere applicata per illustrare le strategie di
coping messe in atto dagli anziani per reagire alle minacce alla propria autostima:
cercare di cambiare gli atteggiamenti pregiudizievoli della società, negare di
appartenere al gruppo di anziani, attribuire un valore speciale al proprio gruppo di età,
può paragonarsi ad un gruppo in condizioni inferiori. Le società industriali, i cui valori
sono legati alla produzione, continuano a dipingere un quadro negativo della vecchiaia,

 
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ma in realtà le persone anziane, hanno un atteggiamento positivo verso


l’invecchiamento e non ritengono di appartenere ad un gruppo isolato o svantaggiato.
Come accade per le altre sfide della vita, la presenza di varie risorse ed una vita attiva e
varia aiutano gli individui ad affrontare i problemi di salute e le altre sfide: la presenza
di un partner, un numero elevato di rapporti sociali intimi, la capacità di affrontare un
problema, la consapevolezza della propria competenza, l’autostima, la fermezza di
fronte alle avversità. Baltes e Baltes offrono un modello che include il concetto di
“ottimizzazione selettiva con compensazione”. Il successo è definito in termini di
raggiungimento dell’obiettivo e l’invecchiamento riuscito è quello rappresentato da un
minimo di perdite e il massimo delle conquiste. Le strategie per un invecchiamento
riuscito sono: Selezione (incanalando le energie in pochi progetti e massimizzarli
abbandonando quelli meno importanti e focalizzandosi su quelli più importanti),
Ottimizzazione (tempo ed energia risparmiati selezionando un numero ristretto di
progetti rende liberi di concentrarsi sui progetti rimanenti) e Compensazione (risposta
ad una perdita di risorse per mantenere gli obiettivi desiderati controbilanciandoli con
altre risorse).

2° LIBRO: DOPO L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA… LO SVILUPPO PSICOLOGICO


NEGLI ANNI DELLA TRANSIZIONE VERSO L’ETÀ ADULTA – SESTITO E SICA

4. Condizioni socio-economiche degli ultimi anni e transizione verso l’età adulta

Diventare adulti è da sempre un percorso lungo e faticoso, che vede i giovani confrontarsi
con diverse sfide e attraversare numerosi cambiamenti. Oggi, si diventa adulti in tempi e
modi differenti rispetto al passato, quando il percorso di transizione verso l’età adulta
(adultità) era chiaramente definito da marcatori di passaggio/transizione o criteria for
adulthood (uscita di casa, lavoro, matrimonio e figli) che scandivano la successione di eventi
e consentivano sia al giovane che all’adulto di riconoscere abbastanza chiaramente quando
ci si poteva considerare adulti. Oggi, le transizioni di ruolo possono essere presenti o
assenti, possono avvenire in tempi ravvicinati o essere dilazionate nel tempo, possono non
essere per sempre (ci si può ritrovare a vivere di nuovo con i genitori o perdere il lavoro)
per cui si assiste al dilatarsi nel tempo di questa fase di transizione. In Italia uno degli
elementi è il prolungarsi della residenza dei giovani in famiglia (due generazioni adulte
che vivono sotto lo stesso tetto, l’inversione del fenomeno del “nido vuoto”). Il termine
“giovane adulto” è un ossimoro, scelto per sottolineare come questa fase di vita sia
caratterizzata da aspetti propri dell’età adulta e allo stesso tempo da caratteristiche della
giovinezza. Questo dilatarsi pare sia un fenomeno trasversale ai diversi contesti socio-
culturali. Il tempo lungo pare essere necessario e funzionale per consentire ai giovani di
esplorare le diverse possibilità e di costruirsi un modello personale di transizione all’età
adulta. Le condizioni socio-economiche degli ultimi 20 anni, l’assenza di sistemi di
protezione sociale, gli alti tassi di disoccupazione, le caratteristiche del mercato del lavoro,
sono certamente tra i fattori che hanno contribuito fortemente al rallentamento del percorso
rendendo meno sicuro e stabile il loro percorso e il loro futuro (contesto caratterizzato da


 
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incertezza di risorse e possibilità future, ma moltitudini di opportunità e possibilità).


Anche la Permanenza nel sistema formativo contribuisce al dilatarsi dei tempi di co-
residenza; nel “modello mediterraneo” l’esperienza del matrimonio sembra il motivo
principale dell’uscita dei figli dalla casa dei genitori (si parla di delay syndrome italiana). In
questa fase di esplorazione e progettazione, gli adulti assumono un ruolo fondamentale per
sostenere il percorso di transizione (sostegno economico, strumentale, affettivo, emotivo).

5. Life span developmental psychology; Marcatori di adultità di Arnett

L’orientamento prevalente nella psicologia dello sviluppo è quello che affronta le questioni
dell’ontogenesi e del cambiamento evolutivo nella prospettiva della life span
developmental psychology, quindi che riguarda l’intero ciclo della vita umana, dal
concepimento alla morte, e non soltanto gli anni dell’infanzia, come si pensava un tempo.
Lo sviluppo ontogenetico è quindi un processo che dura tutta la vita e nessuna fase dello
sviluppo è più importante delle altre nel regolare i processi di cambiamento. Lo sviluppo
è visto come processo aperto, multidimensionale, contraddistinto da percorsi
pluridirezionali modellati dalla fusione di livelli di organizzazione in interazione reciproca
e dinamica, piuttosto che come un semplice processo di crescita lineare (maturazione e
progressivo accrescimento). Lo sviluppo può variare in funzione delle circostanze esterne e
delle esperienze individuali (plasticità), può indirizzarsi in più direzioni (multi-
direzionalità), può variare in funzione del contesto storico-culturale, è in funzione
dell’interazione tra diversi fattori (età, sviluppo storico e fattori non-normativi) e va
interpretato in un contesto multidisciplinare (antropologia, biologia, sociologia).
Si sono abbandonate interpretazioni ispirate a modelli unilineari (teorie stadiali) che
prevedono una traiettoria di sviluppo lineare, sostanzialmente identica per tutti gli
individui. I percorsi seguono traiettorie evolutive (sostituiscono gli stadi), percorsi di
sviluppo che le persone seguono nell’arco della vita, nelle quali è possibile individuare sia
elementi comuni a tutti gli individui, sia elementi di differenziazione e individualizzazione.
In questa fase si concentrano inoltre numerose transizioni concomitanti (ruoli sociali,
residenza, lavoro) che talora possono occorrere simultaneamente, anche in un arco
temporale breve. La fine della scuola rappresenta un turning point, un punto di svolta, un
punto di deviazione/transizione nella traiettoria evolutiva di ciascun individuo.
I marcatori della transizione all’età adulta configurano un insieme di criteri, inerenti
qualità e caratteristiche che compongono la rappresentazione dell’adultità condivisa
all’interno di un dato contesto storico e socio-culturale, percepiti come requisiti
indispensabili per delimitare i confini cronologici della transizione e l’avvenuto accesso
all’età adulta. Jeffrey Arnett ha proposto un ampio spettro di marcatori di adultità
raggruppandoli in sette diverse categorie, poi ampliati e modificati in nuove versioni (e che
sono caratterizzati da grande variabilità a seconda dei diversi contesti socio-culturali):
1. Indipendenza fisica, economica e psicologica: fine della coabitazione con i genitori,
capacità di avere valori e opinioni personali, accettare responsabilità delle conseguenze
delle proprie azioni, stabilire relazioni paritarie con i genitori;


 
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2. Interdipendenza: stabilire relazioni sentimentali a lungo termine, assumere impegni


duraturi, controllare le proprie emozioni, considerare gli altri, essere meno orientati su
di sé;
3. Role transitions: perseguimento di 5 obiettivi: completare la formazione
scolastica/professionale, matrimonio, genitorialità, inserirsi in un’attività lavorativa
duratura, uscire dalla casa dei genitori/comprare casa;
4. Obbedienza alle norme: conformarsi alle regole, evitare abuso di alcol e droghe, non
avere più di un partner sessuale, guidare in modo sicuro, evitare linguaggio osceno, etc.
5. Transizioni biologiche: raggiungere statura definitiva, diventare capaci di procreare, …
6. Transazioni cronologiche: prendere la patente di guida, compiere 18 o 21 anni;
7. Capacità familiari: diventare capace di creare, sostenere e supportare una famiglia, di
farsi carico dei figli, di prendersi cura della salute della famiglia;
Tradizionalmente i marcatori considerati di maggior importanza sono stati quelli che
riguardavano le transizioni di ruolo, Arnett invece ha sottolineato soprattutto l’importanza
dell’acquisizione di capacità individuali come “prendere decisioni autonome”, “assumersi
responsabilità”, “diventare indipendente”. Shanahan, Porfeli, Mortimer ed Erickson
hanno proposto un modello integrativo, che suggerisce di considerare entrambe le tipologie
di marcatori come salienti. Alcuni autori inoltre enfatizzano il ruolo dei fattori contestuali e
istituzionali. Tra i fattori strutturali si è richiamata la de-standardizzazione delle traiettorie
di transizione dall’adolescenza all’età adulta, associate alla modernizzazione, ai processi di
globalizzazione, alle politiche orientate al mercato, agli stili di vita basati sul consumo e
sulla produzione. Ai giovani contemporanei è richiesto di costruire da sé i propri percorsi
di sviluppo; la de-standardizzazione si è tradotta in processi di individualizzazione delle
traiettorie del corso della vita per effetto dell’indebolimento dei legami tra infanzia e
adultità, istruzione e status occupazionale, dating e mating, dei più elevati livelli di instabilità
e della diffusione di rappresentazioni culturali del lavoro e dell’amore che enfatizzano
flessibilità, scelta e temporaneità. I giovani in questa epoca sono più liberi rispetto ai vincoli
di famiglia e contesto e possono esercitare più ampi livelli di agency e questo è liberatorio e
al contempo gravoso a seconda delle Risorse a disposizione di ciascuno.

6. E. A. e principali critiche.

Il dilatarsi dei tempi di acquisizione della piena maturità e di ruoli adulti ha portato a
identificare una nuova fase del ciclo di vita definita da Jeffrey Arnett per la prima volta
emerging adulthood (EA) e che si colloca tra la fine dell’adolescenza e l’età adulta (dai 20
ai 30 anni). Il principale compito di sviluppo di questa fase di transizione è la definizione
e il relativo consolidamento dell’identità personale e professionale.
Si tratta secondo Arnett di un nuovo stadio del ciclo di vita, qualitativamente diverso sia
dalla fase adolescenziale che lo precede (i giovani dai 20 ai 30 anni sono diversi e vivono
esperienze completamente diverse rispetto ai ragazzi che frequentano ancora la scuola
secondaria), sia da una più stabile fase di giovane età adulta che lo segue, ma anche diverso
da un’eventuale fase di transizione all’età adulta (è un arco temporale troppo lungo per
essere solo una fase di transizione). Il principale fattore per cui l’EA è diventata una fase
evolutiva distinta dalle altre fasi del ciclo di vita, è da ricercarsi per Arnett, nella progressiva

 
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trasformazione dell’economia da industriale a una basata sulla società dell’informazione.


Arnett individua cinque caratteristiche che contraddistinguono e caratterizzano l’EA:
1. L’EA è l’età dell’esplorazione dell’identità, del provare e riprovare diverse possibilità,
specialmente in campo sentimentale e lavorativo;
2. L’EA è l’età dell’instabilità: a causa di continue revisioni delle alternative e frequenti
mutamenti (cambio di università, di residenza, di lavori);
3. L’EA è l’età della vita in cui, più che nelle altre, si è concentrati su se stessi;
4. L’EA è l’età in cui ci si sente “in mezzo” (in between), in transizione, liberi dalle restrizioni
degli adolescenti e le responsabilità degli adulti;
5. L’EA è l’età delle possibilità, in cui fioriscono le speranze e si è in contatto con
l’opportunità di trasformare la propria vita

La teoria di Arnett ha avuto molto seguito, stimolando studiosi appartenenti anche a


contesti teorici e ambiti disciplinari diversi; tuttavia, tra gli studiosi, si è parallelamente
sollevata un’articolata critica, tendente a disconfermare l’ipotesi centrale di Arnett. Negli
ultimi anni, sono emerse in particolari concettualizzazioni che interpretano il periodo della
vita in esame in termini di processo anziché di stadio.
Hendry e Kloep, contestando l’interpretazione stadiale del cambiamento evolutivo,
mettono in discussione l’ipotesi che l’EA possa configurare una nuova fase di sviluppo
qualitativamente diversa dalle altre e ritengono piuttosto che gli anni dai 20 ai 30 vadano
considerati da un punto di vista processuale. Per Hendry e Kloep quindi, la transizione
dall’adolescenza all’età adulta non può essere rappresentata come un percorso lineare ma
come un processo dominio-specifico, come uno “stato di fluttuazione dinamica”
caratterizzato da variabilità, plasticità e reversibilità. Un ulteriore elemento di critica
riguarda la presunta universalità dell’EA: difatti solo una piccola parte del campione
analizzato da Hendry e Kloep (giovani di ceto medio che proseguono la loro formazione
dopo la scuola superiore e supportati da famiglie in favorevoli condizioni economiche)
avevano le caratteristiche dell’EA individuate da Arnett (soprattutto esplorazione
dell’identità e instabilità), sottolineando quanto la transizione verso l’età adulta sia
caratterizzata da un’eterogeneità di percorsi in associazione con specifiche
opportunità/ostacoli.
Sulla stessa lunghezza d’onda sono le obiezioni recentemente formulate da Schoon e
Schulenberg, secondo cui il modello di Arnett non tiene nella dovuta considerazione le
condizioni socio-economiche che inducono i giovani contemporanei ad accedere con
considerevole ritardo all’età adulta e sembra suggerire un’interpretazione secondo la quale
il rinvio degli impegni sia frutto di una libera scelta.
Anche Côté e Bynner respingono l’ipotesi della “libera scelta” e individuano nei
cambiamenti economici e strutturali, in particolare nei processi di esclusione dai circuiti
formativi e dal mercato del lavoro dei giovani, i fattori responsabili di quella che viene
indicata come una specie di interruzione o intervallo nel corso della vita.
Côté suggerisce che il passaggio all’età adulta possa essere attivamente affrontato se i
giovani investono un capitale di risorse, tangibili e intangibili per accedere a nuovi ruoli e
stati sociali. Tali risorse, soprattutto quelle intangibili, sono componenti dell’identità
costituite da un insieme di competenze specifiche, credenze e atteggiamenti e definite

 
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capitale di identità nel suo ICM Model (modello del capitale di identità); esse configurano
qualità agentive quali self-esteem, internal locus of control, purpose in life e ego strenght, che
l’autore giudica fondamentali nei processi di sviluppo associati alla transizione all’età
adulta. Per poter valutare empiricamente il capitale di identità, Côté ha elaborato due
specifici strumenti, dei quali il primo, il MAPS valuta in quale misura i soggetti possiedono
le qualità agentiche descritte, ed il secondo, l’ISRI, valuta in quale misura i soggetti hanno
accumulato il capitale di identità durante la transizione. Nella prospettiva di Côté quindi,
l’EA può essere accettata come una formulazione neutrale, come una metafora della
prolungata transizione all’età adulta nella società contemporanea o come un semplice
descrittore di un periodo della vita, a patto che questo periodo sia chiaramente inteso come
sinonimo di tarda adolescenza o prima età adulta e non come nuovo stadio dello sviluppo
umano. Egli si spinge fino a evidenziare come tale formulazione possa rappresentare un
dangerous mith, in quanto può avere serie ripercussioni sul piano economico ed emotivo
per quei giovani che incontrano particolari difficoltà nella loro transizione all’età adulta.

7. Definizione dell’identità: il principale compito evolutivo degli EA. Erikson. Marcia.


Modello degli stili di identità di Berzonsky. Modello di Luyckx. Modello
tridimensionale del processo di formazione dell’identità di Meeus. Modello della
diffusion di Born.

Il principale compito evolutivo negli anni della transizione dall’adolescenza all’età adulta
consiste nella definizione dell’identità. Il ritardo dell’acquisizione di ruoli sociali adulti
associato alle caratteristiche della società tardo-moderna, ha un forte impatto anche sui
processi di formazione e consolidamento dell’identità. Nei Paesi del Sud Europa, in
particolare nel contesto italiano, sono state rilevate nei giovani adulti, configurazioni
identitarie caratterizzate da stati di diffusion, ritardo nell’assunzione di ruoli adulti e scarsa
capacità di orientamento al futuro.
Nella prospettiva della developmental life span psychology, anche la formazione dell’identità è
intesa come processo dinamico che si svolge lungo l’intero percorso dell’esistenza.
Lo stesso Erik Erikson (1902 -1994) considera l’identità come una componente importante
di tutti gli stadi del ciclo di vita, che entra in gioco in tutti i conflitti vitali che, nel suo modello
teorico, costituiscono altrettanti momenti di “crisi”. Il termine crisi è adoperato da Erikson
in senso evolutivo, ad indicare un punto di svolta, un momento cruciale dello sviluppo,
caratterizzato da maggiore vulnerabilità, ma anche più ricco di potenzialità evolutive. Lo
sviluppo per Erikson è concepito come un processo epigenetico che si svolge lungo diversi
stadi (8: prima infanzia, seconda infanzia, età del gioco, età scolastica, adolescenza, giovane
età adulta, media età adulta, tarda età adulta) che coprono l’intera esistenza, ciascuno dei
quali corrisponde a un peculiare conflitto o crisi, che il soggetto deve risolvere per poter
accedere allo stadio successivo. Erikson sottolinea che è lo stadio dell’adolescenza quello in
cui diventa cruciale il conflitto tra identità e confusione di ruoli, superato grazie
all’acquisizione di nuove capacità socio-cognitive, del pensiero formale e di nuove capacità
relazionali e sociali. Anche James Marcia rileva che, a partire dell’adolescenza, sono ormai
presenti gli “ingredienti” individuali e sociali necessari per affrontare la crisi identitaria.

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L’ipotesi di una crisi identitaria normativa è supportata anche dalla natura tripartita
dell’identità, costituita cioè da un insieme di elementi inerenti allo sviluppo biologico,
psicologico e sociale che giungono a maturazione e, interagendo tra loro, inducono
cambiamenti simultanei in tutte queste aree. Erikson colloca il suo modello nell’ambito di
un’interpretazione psicosociale dello sviluppo, sottolineando che l’identità è un costrutto,
oltre che dinamico, anche multidimensionale, che contiene un versante soggettivo
(sensazione che ciascuno prova di essere sempre la medesima persona nel corso del tempo
e nei diversi contesti) e un versante oggettivo (legato a dimensioni psicosociali, che
riguardano la possibilità di sentirsi riconosciuti nei diversi contesti di riferimento). Con il
passaggio dalla società industriale alla società tardo-moderna, la moratoria psicosociale
(sospensione, dilazione) si è estesa anche agli anni successivi all’adolescenza (soprattutto
per i giovani appartenenti alle famiglie agiate inseriti in lunghi percorsi di formazione post-
secondaria) e soltanto una metà dei giovani contemporanei alla fine della tarda adolescenza
ha definito la propria identità raggiungendo quello che nel modello di Marcia è considerato
lo stato di achievement. Questo conferma che l’identità, anche quando già definita, può
ancora cambiare nel corso del tempo, sia in intensità che contenuto e può realizzarsi
attraverso dimensioni processuali differenti: l’esplorazione nelle fasi in cui si devono fare
delle scelte e l’assimilazione, quando ci si trova a dover confermare un’idea coerente di sé.
Erikson è stato il primo ad aver avviato ricerche sul tema dell’identità nella psicologia dello
sviluppo, ma il suo lavoro rappresenta solo il punto di partenza di numerose ricerche e
teorizzazioni successive. Il conflitto da lui ipotizzato rappresenta una tensione all’interno
di una medesima dimensione bipolare che va da un polo ego-sintonico di identity
synthesis a un polo ego-distonico di identity confusion e queste due polarità sono concepite
come forze contrapposte operanti in uno stesso individuo, che spesso coesistono e si
collocano lungo un continuum.
I processi fondamentali attraverso cui adolescenti e giovani adulti possono giungere alla
risoluzione della crisi sono due:
1. Esplorazione: ricerca attiva delle possibili alternative identitarie e la valutazione di
quelle più adatte al proprio senso di sé;
2. Assunzione di impegni: decisione di aderire e fare propri obiettivi, valori e credenze.
Secondo la rielaborazione di Marcia, nel suo paradigma degli stati di identità, l’identità si
sviluppa attraverso 4 diversi stati: achievement, foreclosure, moratorium e diffusion, che
costituiscono le possibili combinazioni tra le due dimensioni fondamentali postulate da
Erikson (exploration e commitment). In questo modello:
1) Stato di achievement: rappresenta l’assunzione di impegni identitari che fa seguito a
processi di esplorazione e da questi scaturisce;
2) Stato di foreclosure: rappresenta l’assunzione di impegni identitari senza che siano stati
in precedenza realizzati processi di esplorazione;
3) Stato di moratorium: rappresenta un processo di esplorazione continuo e non concluso
senza assunzione di impegni;
4) Stato di diffusion: rappresenta la mancanza sia di processi di esplorazione sia di
assunzione di impegni.
Il paradigma di Marcia è stato empiricamente validato, tuttavia presenta delle criticità: gli
stati non possono coincidere con gli stadi e il modello non è adatto per descrivere e spiegare
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lo sviluppo, quanto per catturare una fotografia dello stato in cui il soggetto si trova. Ad
ogni modo si è raggiunto un certo consenso nel considerare l’achievement corrispondente
all’identity synthesis indicata da Erikson e la diffusion corrispondente all’identity confusion.
Michael Berzonsky ha elaborato il modello degli stili di identità, evidenziando come
ciascun soggetto può adoperare differenti strategie socio-cognitive per prendere decisioni e
negoziare con il proprio contesto le questioni inerenti all’identità. Egli individua tre
differenti orientamenti personali, che corrispondono ad altrettanti stili:
1) Stile informativo: tipico di quei soggetti che svolgono un ruolo attivo nella costruzione
della propria identità e nella ricerca e valutazione delle informazioni utili ad assumere
decisioni e impegni;
2) Stile normativo: tipico di quei soggetti che fanno soprattutto riferimento alle aspettative
e alle prescrizioni degli altri significativi (genitori, autorità);
3) Stile diffuso-evitante: tipico di quei soggetti che tendono a tenere lontani i conflitti e i
problemi inerenti alla definizione dell’identità e a procrastinare l’assunzione di impegni.
Ad ogni modo Kunnen rileva che gli stili di identità possono cambiare nel corso del tempo
in funzione di differenti tipi di traiettorie di sviluppo.
Successivamente sono state elaborate concettualizzazioni più recenti che hanno messo in
luce la natura multidimensionale e l’articolazione interna degli stati di identità.
Nel modello di Luyckx, scomponendo le dimensioni originarie dell’exploration e del
commitment, è stata proposta un’articolazione più ampia di ciascuna e sono stati individuati
da una parte, aspetti più propriamente inerenti al processo di formazione vera e propria
dell’identità (assunzione di impegni e esplorazione ampia) e, dall’altra, aspetti che
riguardano più da vicino il processo di valutazione dell’identità (esplorazione in
profondità e identificazione con gli impegni assunti). Inoltre Luyckx e colleghi hanno
suggerito un’ulteriore dimensione del processo di esplorazione, la ruminative exploration,
caratterizzata da esitazione, indecisione e elevata incapacità di prendere decisioni.
Meeus e colleghi hanno elaborato un modello tridimensionale del processo di formazione
dell’identità definito anche “parsimonioso”, che interpreta la dinamica processuale come
fondata principalmente su tre dimensioni:
 Assunzione di impegni: riguarda il processo di scelta e mette a fuoco la misura in cui
gli individui si identificano con le scelte fatte;
 Esplorazione in profondità: rappresenta un modo attivo d’interpretare l’impegno
assunto, ad esempio riflettendo su di esso, cercando nuove informazioni, etc.;
 Riconsiderazione degli impegni assunti: si riferisce ai tentativi degli individui di
confrontare i propri impegni con altre alternative disponibili e di modificare gli impegni
assunti se non più soddisfacenti.
I modelli di Luyckx e Meeus hanno individuato stati di identità aggiuntivi rispetto a quelli
originariamente proposti da Marcia. Luyckx e collaboratori hanno trovato due tipi di
diffusion: troubled diffusion (quando un giovane si sforza di esplorare le alternative
identitarie ma ansia e preoccupazione prendono il sopravvento impedendoglielo) e carefree
diffusion (quando un giovane si mostra del tutto indifferente ai compiti inerenti all’identità).
Meeus e collaboratori hanno trovato due tipi di moratorium: il primo, somigliante alla forma
classica di moratoria, caratterizzato da esplorazione e assenza di impegni, associato ad
ansia e bassi livelli di benessere e il secondo, searching moratorium, presente nei giovani
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che prendono in esame nuovi potenziali impegni identitari senza aver ancora abbandonato
quelli attuali. Entrambi questi modelli sottolineano comunque come l’identità abbia una
natura mutevole e sia soggetta a cambiamenti continui sia per effetto di caratteristiche
interne all’individuo (cambiamenti endogeni) sia di cambiamenti che avvengono nei
contesti dello sviluppo, modificando le relazioni tra la persona e il suo ambiente
(cambiamenti esogeni).
Qualora l’esplorazione si configuri come un processo, che va nella direzione della
definizione e del consolidamento identitario, allora assume una valenza positiva; laddove
si configura come un processo di esplorazione ampia, non finalizzata o fine a se stessa
(esplorazione ruminativa) e non va nella direzione dell’acquisizione dell’identità e
dell’adultità, assume una valenza negativa e risulta associata con il distress.
Born ha elaborato un modello della diffusion articolata in quattro differenti dimensioni:
1) Disturbed Diffusion: è una configurazione caratterizzata da scarse risorse e scarsa
competenza sociale. Ha correlazioni negative con self-efficacy, self-esteem e weel-being;
2) Carefree Diffusion: è una configurazione caratterizzata da reazioni di tipo edonistico alle
pressioni esterne. Correlazioni negative con self-efficacy, positive con self-esteem e weel-
being;
3) Developmental Diffusion: è una configurazione caratterizzata da esplorazione e da un
avvicinamento al commitment in assenza di una vera e propria crisi, come nel caso della
moratoria. Prevalgono correlazioni positive con self-efficacy, self-esteem e weel-being;
4) Culturally Adaptive Diffusion: è una configurazione caratterizzata da potenzialità di
adattamento alle condizioni del momento, in modo autodeterminato e in assenza del
conflitto. Presenta correlazioni positive con self-efficacy, self-esteem e weel-being.
Un altro tema è quello inerente alla indeciveness di carriera, secondo cui possono
individuarsi dimensioni differenti di indecisioni:
1. Developmental indecision: difficoltà transitoria del processo di decision making,
fisiologicamente associata alla dimensione dell’esplorazione delle diverse alternative di
carriera, tra le quali è sempre più difficile orientarsi;
2. Chronic career indecision: fa riferimento a caratteristiche e tratti personali pervasivi e
persistenti, non necessariamente associati alla scelta della carriera.
In una prospettiva del tutto diversa, numerosi studi suggeriscono una visione
prevalentemente positiva degli anni della transizione all’età adulta, evidenziando aspetti,
atteggiamenti e comportamenti dei giovani che sembrano riflettere un adattamento
positivo e un senso di “crescita fiorente” in contrasto con quelle prospettive che, al
contrario, ne sottolineano le dimensioni di difficoltà: fluorishing vs floundering.
Nelson e Padilla-Walker mettono in luce come questa età di transizione sia caratterizzata
dall’esplorazione attiva, l’internalizzazione di nuove credenze e valori, la partecipazione
attiva a movimenti sociali e politici e l’uso costruttivo dei media.

8. Narrative identity nella transizione.

Tra gli approcci via via messi a fuoco per valutare le peculiarità del cambiamento identitario
nel periodo della transizione all’età adulta, uno dei più promettenti è l’approccio narrativo
all’identità. Tale approccio si basa sul presupposto che, accanto a un Sé che può essere
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direttamente osservato e conosciuto tramite strumenti di tipo self-report, c’è un altro Sé che
può essere meglio conosciuto tramite le produzioni autobiografiche che ciascuno
spontaneamente elabora in momenti e circostanze precise nella sua vita (Bruner). In questa
prospettiva si ritiene che l’Identità possa essere costruita attraverso la riflessione
dell’individuo su di sé, nell’hic et nunc dell’atto del narrare, nel corso delle sue interazioni
e nel contesto dei suoi abituali comportamenti sociali, discorsivi e comunicativi (situated
story). Infatti, il racconto della propria storia, da parte di ciascuno, non è solo l’insieme delle
esperienze che ha vissuto, bensì un processo attivo di costruzione qui e ora della propria
identità attraverso un testo (la storia) il cui soggetto è il proprio Sé. La narrazione non
preesiste ma viene creata nel corso delle interazioni, all’interno dello scambio comunicativo
nel quale l’individuo negozia con l’altro i significati da attribuire alla propria esperienza.
La narrazione autobiografica può considerarsi pertanto come un racconto interiorizzato e in
evoluzione del Sé che incorpora il passato ricostruito, il presente percepito e il futuro
anticipato; la narrative identity consente di mettere a fuoco in modo più specifico il
prodotto, in termini narrativi, del processo di formazione dell’identità.
I due principali approcci, quello dell’identity status model e quello della narrative identity,
potrebbero implementarsi l’un con l’altro, per fornire un più ampio contribuito
all’approfondimento dell’originaria formulazione di Erikson.
Anche per McLean e Syed, il punto di partenza è la teoria di Erikson e la sua ipotesi
multidimensionale secondo la quale lo sviluppo dell’identità implica l’impegno
dell’individuo a tra differenti livelli:
1. Livello dell’ego identity: che focalizza il senso di continuità personale che ciascuno
realizza quando riesce a integrare le proprie convinzioni più importanti e a definire la
propria identità nel tempo, trova la sua modalità di espressione privilegiata nella
riflessione che ciascun soggetto fa su di sé, per dare senso alla propria vita, e quindi,
nella narrazione che da questa scaturisce. Questo livello è meglio indagato da quegli
approcci che focalizzano i processi di costruzione narrativa della storia personale;
2. Livello della personal identity: mette a fuoco l’individuazione di obiettivi e convinzioni
personali che emergono dalla negoziazione dei propri ruoli con il contesto sociale.
Questo livello è esplorato in modo più appropriato attraverso l’approccio degli stati di
identità.
3. Livello della social identity: che pone l’accento sui legami con più ampi gruppi di
appartenenza, considera non solo gli aspetti individuali del Sé, ma anche quelli condivisi
con il proprio gruppo sociale e culturale.
I giovani, per prepararsi ai compiti dell’età adulta e raggiungere una piena e salutare
risoluzione della crisi identitaria, devono impegnarsi a tutti e tre i livelli dell’identità, in
un’Identity synthesis, intesa come rielaborazione delle identificazioni infantili all’interno di
una rappresentazione del Sé attuale, coerente attraverso il tempo e i differenti contesti.
Nella prospettiva della narrative identity, la continuità personale, che nel modello degli
stati viene raggiunta mediante l’assunzione dei commitments, è conseguita mediante la
creazione di una storia che metta in luce come le esperienze passate abbiano influito sul Sé
attuale. Lo strumento che l’individuo utilizza per creare questo tipo di storia personale
(autobiografia) è il ragionamento autobiografico, come riflessione attiva sul proprio
passato per individuare i collegamenti significativi tra passato e presente.
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Le narrazioni possono mostrare in che misura ciascuno senta di avere conseguito un nuovo
insight su di sé e sul mondo che lo circonda o di aver realizzato collegamenti espliciti tra
sé e gli eventi passati. Una delle principali caratteristiche della narrazione della storia
personale consiste nella “ricerca di significato” e nell’integrazione delle proprie diverse
esperienze e quindi del Sé. Questo processo è stato di volta in volta definito dagli studiosi
come meaning making (processo di attribuzione di senso), memoria integrativa, integrazione,
processo di esplorazione narrativa e adattamento. Mediante il racconto della storia
personale e di alcuni eventi del proprio passato, ciascuno può attribuire a questi un
significato e giungere così a imparare qualcosa di se stesso o della propria vita e a valutare
il proprio cambiamento nel corso del tempo.
Anche McAdams elabora la sua ipotesi sulla narrative identity ispirandosi alle prime
formulazioni teoriche di Erikson, soprattutto alla sua interpretazione dell’identità sia come
sfida che come sintesi e integrazione delle molteplici esperienze di ciascuno. I giovani
possono affrontare tale sfida costruendo integrative narratives. I giovani diventano in
questo modo capaci di comprendere e rappresentare la loro identità attraverso la
costruzione di storie, che conferiscono alla loro vita coerenza, unità e direzione. Si tratta di
costruzioni in continuo mutamento, life-long processes che forniscono la chiave per una
comprensione dinamica dell’intera persona. In questi processi di costruzione dell’identità
personale c’è una stretta relazione tra esperienza, memoria e rielaborazione narrativa. Il Sé
narrativo dà “formato narrativo” al mondo interno ed esterno e lo fa grazie all’utilizzo del
pensiero narrativo che, meno conosciuto e legittimato di quello paradigmatico, presiede
alla creazione narrativa della realtà. Grazie alle peculiari caratteristiche del pensiero
narrativo, la narrazione autobiografica è in grado di coordinare tre diverse esigenze:
1. La coerenza: consiste nel mettere d’accordo le diverse voci e nello stabilire una
continuità tra i diversi momenti della storia;
2. La plausibilità: consiste nel rendere la storia comprensibile, canonica e normativa;
3. L’eccezionalità: consiste nel rendere la storia interessante, specifica, idiosincratica e
discordante dalla canonicità.
Smorti considera la narrazione autobiografica come uno specchio attraverso il quale
l’individuo riflette sulla propria vita alla ricerca di un equilibrio tra il bisogno di essere
ascoltati e il bisogno di essere creduti: il narratore racconta la propria vita agli altri
rendendola allo stesso tempo interessante e credibile.
Come sottolineato da Brockmeier, ogni storia nasce da un’organizzazione temporale degli
eventi narrati che attinge alla memoria episodica, semantica e soprattutto autobiografica,
dove si depositano le tracce delle esperienze vissute che hanno rivestito significati
particolari, e si passa da una verità storica a una verità narrativa. Le dimensioni temporali
seguono due movimenti: quello della narrazione vera e propria degli eventi nel loro
succedersi e quello della riorganizzazione narrativa, definita teleologia retrospettiva:
ricostruire la propria storia di vita a partire dal presente o, come dice Sartre, “a partire dalla
fine”. L’identità stessa può essere vista come una Gestalt nel tempo poiché uno dei fattori
che concorre alla formazione dell’identità è l’aspetto temporale della narrazione, che
rimarca il suo rapporto interattivo e trasformativo con la memoria.
Brockmeier ha individuato sei principali modelli temporali attraverso cui il narrante può
organizzare l’identità narrativa: lineare, ciclico, circolare, a spirale, statico, frammentario.
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Nonostante il pensiero narrativo compaia nella prima infanzia, la capacità di costruire una
storia coerente inizia solo nella tarda adolescenza, in coincidenza dello sviluppo di nuove
capacità cognitive, delle operazioni formali, della maturità fisiologica e dell’esigenza di
dare senso alla propria vita sulla base delle pressioni esercitate sui giovani dal contesto
familiare, scolastico, lavorativo.
Habermas e Bluck fanno riferimento a una coerenza di tipo causale, mediante la quale è
possibile spiegare come gli eventi passati influenzano altri eventi e aspetti del Sé, e a una
coerenza di tipo tematico, mediante cui è possibile individuare traiettorie intorno a cui
ciascuno può organizzare la propria storia di vita.
McLean, Pasupathi e Pals propongono inoltre un modello socioculturale di sviluppo
dell’identità narrativa secondo cui gli individui costruiscono lentamente la propria identità
narrativa man mano che raccontano storie sulle proprie esperienze per gli altri e con gli altri.
Risulta di particolare rilievo quindi il ruolo delle nuove capacità sociali e relazionali
acquisite dall’adolescenza in poi. Le competenze narrative si sviluppano nel corso del
tempo e mediante le interazioni con gli altri.

9. Rapporto figura sfondo; Genitori e giovani nella transizione; Famiglia d’origine,


partner sentimentali/sessuali, ambienti virtuali; tesi della generazione me e we

Il rapporto tra individuo e contesto, tra giovane e adulto, può essere illustrato da una delle
leggi percettive della Gestalt: il principio del contrasto o rapporto figura/sfondo, secondo
cui la forma si stacca dallo sfondo come entità individuabile, perché tende all’unitarietà e
alla chiusura. Individuo e contesto sono elementi di un’unica immagine che non possono
essere osservati, compresi e descritti se non in una loro continua relazione.
Come esplicitato da Brofenbrenner con il suo modello crono-sistemico dello sviluppo,
bisogna tentare di comprendere le influenze derivanti dai molteplici setting di cui gli
individui fanno esperienza e studiare l’interazione tra queste influenze e l’individuo nel
corso della sua vita. Quindi si deve provare a mettere il giovane adulto in figura, con sullo
sfondo il contesto relazionale e il quadro subisce variazioni proprio in base allo sfondo che
si immagina. Il giovane adulto manterrà elementi di riconoscibilità individuale, ma
assumerà anche aspetti peculiari e omogenei allo sfondo in cui è inserito. Durante l’infanzia
il principale contesto di riferimento è quello familiare, nel corso degli anni esso si amplia
inglobando altre parti dell’ambiente sociale. Con l’adolescenza il contesto diventa uno
stimolo continuo per la persona che in esso trova nuovi modelli da seguire, altri con cui
identificarsi, amici, coetanei con cui interagire, anche attraverso una nuova forma di
contesto sociale: i social media.
I principali contesti/sfondi per i giovani in transizione verso l’età adulta sono tre:
1. La famiglia di origine: durante l’adolescenza l’individuo va verso l’autonomia
compiendo continue transazioni tra bisogno di autodeterminazione, indipendenza
psicologica e strumentale (economica e materiale) e bisogno di protezione e connessione
con i genitori. Il processo che conduce all’autonomia passa per esplorazione del mondo
extra-familiare che è strettamente connessa al compito di costruzione dell’identità, alla
scoperta, alla costruzione e alla definizione di sé. Il rapporto con le figure genitoriali
diviene più conflittuale o si modifica per lasciare spazio a nuove figure, gli “altri
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significativi”, che fungono da nuovi modelli e riferimenti, di confronto per la


comprensione del sé. Il costrutto di autonomia dai genitori è stato variamente
interpretato; il modello più articolato è quello a quattro fattori di Beyers, Goossens,
Vansant e Moors, secondo cui esistono quattro fattori in grado di spiegare il processo di
raggiungimento dell’autonomia in adolescenza e tardo-adolescenza:
a. Connectedness: tipo di relazione basato su empatia, fiducia, disponibilità a
comunicare reciprocamente tra genitori e figli;
b. Separation: esperienza di allontanamento dai genitori, basata sulla progressiva
comprensione che questi sono individui anche al di là del loro ruolo genitoriale,
grazie ad una nuova visione realistica ed equilibrata dei genitori, accompagnata
dall’assunzione di responsabilità da parte dei figli;
c. Detachment: distanziamento negativo dai genitori, accompagnato da vissuti di
alienazione, sfiducia e alti livelli di conflitto;
d. Agency: abilità di prendere decisioni in termini di auto-determinazione e di auto-
governance, capacità di determinare un personale progetto di vita e di indirizzare le
proprie azioni verso obiettivi rilevanti per il sé.
Lamborn e Groh hanno dimostrato che tale modello è applicabile anche a EA, poiché i
processi che regolano la conquista dell’autonomia perdurano nel corso della transizione
all’età adulta e restano i medesimi anche nelle fasi più avanzate dello sviluppo.
Nel contesto italiano l’impossibilità di trovare un’indipendenza economica, il
prolungamento degli studi e la situazione di incertezza socio-economica hanno impedito
a molti giovani in transizione verso l’adultità di lasciare la casa dei genitori per
intraprendere un percorso di vita autonomo e sono state definite due tipologie di
modalità relazionali: la prima descrive un modello di relazione genitori-figli basato su
una paritaria e serena co-abitazione adattiva e confortevole. In questo caso, i giovani
adulti mostrano di aver raggiunto la propria identità, relazione con i genitori paritaria e
orizzontale. La seconda tipologia di co-abitazione conflittuale descrive giovani adulti
per i quali la relazione con i genitori è fortemente conflittuale, non percepiscono un
supporto all’autonomia da parte dei genitori e non hanno raggiunto una definizione
identitaria. Importante è anche il rapporto con i frateli/sorelle, un elemento di mezzo
tra il rapporto con i genitori e quello con i coetanei all’esterno della famiglia e che varia
in funzione della numerosità dei fratelli e della posizione nella fratria.
2. I partner sentimentali/sessuali: durante l’adolescenza le relazioni amicali e sentimentali
si stabilizzano, diventano esclusive e sono caratterizzate da un incremento sia nei livelli
di impegno nella relazione stessa, sia in quelli di intimità con l’altro. Tuttavia, i giovani
adulti contemporanei, soprattutto nella società occidentale, procrastinano il timing del
matrimonio e della genitorialità. Le tipologie di rapporti sentimentali dei giovani adulti
odierni sono molto più variegate e complesse rispetto al passato e possono essere
classificate in tre tipologie:
a. Instabilità relazionale/Casual sexual relationships and experiences (CSREs):
coinvolgimento in varie tipologie di relazioni per lo più transitorie e prive di
impegno, che vedono la sessualità come aspetto preponderante di rapporto con
l’altro. Claxton e van Dulmen sotto la definizione di CSREs includono vari
comportamenti e varie forme di relazioni: il primo fenomeno, l’hookups consiste
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nell’avere rapporti sessuali senza stabilire alcuna forma di relazione sentimentale;


l’one-night stand consiste in rapporti sessuali di una sola notte, preferibilmente con
sconosciuti; nel friend with benefits si hanno normali rapporti amicali che prevedono
però anche rapporti occasionali sessuali senza legami sentimentali (Mongeau e
colleghi hanno identificate sette tipologie di FWB: veri amici, solo sesso, rete di
occasioni, trasformazione in relazione romantica riuscita, trasformazione in relazione
romantica fallita, trasformazione in relazione romantica non intenzionale e uscita
dalla relazione); le booty calls, che consistono in contatti con un partner con lo scopo
di fissare appuntamenti sessuali attraverso l’uso di cellulari e social network. Per tutti
i tipi di CSREs sono stai evidenziati sia fattori di rischio che di benessere: tali relazioni
sembrano apportare sensazioni di gioia, desiderabilità, benessere, eccitazione, ma
anche sentimenti di vergogna, colpa, sensazione di essere usati, ansia; tutte queste
relazioni inoltre possono essere vissute in maniera diversa da uomini e donne.
b. Convivenza e stay over relationships: relazioni a lungo tempo con un partner stabile
che implicano convivenza ma non contemplano il matrimonio, in modo da testare la
relazione senza assumere un impegno formale. Essa assume varie forme, dalla
convivenza stabile consensualmente decisa al procedere verso di essa attraverso un
processo lento e graduale, passando dalla forma ibrida di stay over relationship, in cui
i partner passano insieme da 3-7 notti alla settimana continuando a vivere in case
separate;
c. Relazioni stabili tradizionali: relazioni a lungo termine di tipo familiare. I giovani
possono seguire tre diversi paradigmi riguardo alle relazioni matrimoniali: i
giovani entusiasts mostrano una concezione idealizzata del matrimonio e un’idea
precoce del suo timing; i giovani delayers attribuiscono poca importanza
all’istituzione matrimoniale, tendono a posticiparla o evitarla; i giovani ambiguous o
con paradigma esitante mostrano una generale ambiguità nella concezione e nella
valutazione del matrimonio, poiché tendono a ritenerlo un passo importante, ma al
tempo stesso, non sono affatto convinti che potrà durare a lungo, per cui tendono a
posticiparne la realizzazione.
3. Gli ambienti virtuali (social network): i giovani adulti dei nostri giorni corrispondono a
quelli che Riva ha definito nativi digitali di seconda e terza tipologia per via
dell’avvento delle nuove tecnologie (generazione text, web, social media e touch).
L’utilizzo di strumenti digitali fa ormai parte della consuetudine dei giovani e influisce
direttamente sullo sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale dell’individuo; essa viene
utilizzata anche per elaborare alcuni dei compiti di sviluppo tipici di questa età, come la
formazione dell’identità, l’interazione tra pari e lo scambio di sostegno emotivo. È
considerato media ogni strumento che utilizziamo per apprendere o comunicare (dal
libro alla tv), ma quelli di seconda generazione, i new media, consentono attraverso l’uso
di internet la costruzione e la frequentazione di un mondo virtuale, digitale,
interconnesso al di là di luoghi e attori fisici. Uno dei maggiori utilizzi da parte degli EA
è quello degli ambienti virtuali di comunicazione, o social network.
Subrahmanyam, Kaveri e Smahel hanno identificato 6 caratteristiche degli ambienti
di comunicazione digitale che li rendono differenti dai contesti face-to face:

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a. Disembodiment: la comunicazione avviene attraverso uno schermo, rendendo così


gli utenti “disincarnati”, a discapito di segnali di comunicazione come sguardo, gesti,
linguaggio del corpo;
b. Anonimato: l’user può scegliere di modificare/abbellire/nascondere aspetti della
propria identità reale;
c. Comunicazione testuale: la comunicazione digitale si basa su caratteri alfanumerici,
icone, immagini, frasi brevi, incomplete, poco pianificate, grammaticalmente
semplici, talvolta scorrette;
d. Self-disclosure: le persone assumono su internet spesso un comportamento disinibito
e sono propense a rivelare molto di sé, soprattutto nei casi di anonimato visivo;
e. Uso di emoticons: caratteristiche illustrate della comunicazione online per
trasmettere, esprimere, condividere emozioni e stati d’animo;
f. Multitasking e media-multitasking: utilizzo contemporaneo di differenti media, di
diverse applicazioni scatenando molteplici focus attentivi. I membri della Net
Generation (nati dopo il 1978) sono più multitasking di quelli di altre generazioni.
Accanto ai gruppi formali (scuola, scout, etc.) e informali (gruppi di amici, aggregazioni
spontanee intorno a un interesse, etc.) si devono aggiungere i gruppi virtuali (rete di
amicizie che si creano tramite social network e che non sempre trovano corrispondenza
nella rete reale di relazioni), che rappresentano un nuovo contesto di crescita e sviluppo
dell’individuo, che consente di scambiare informazioni, sperimentare parti di sé e
ricevere/fornire feedback. L’ambiente virtuale va inteso come nuovo luogo, trasversale
agli altri, non opponente, ma complementare ai contesti reali. I giovani agiscono come
co-costruttori dei loro contesti digitali; realtà e mondo virtuale si intrecciano e hanno
relazioni reciproche e bidirezionali, anche se più che di mondo fisico o digitale, sarebbe
meglio parlare di mondo off line o on line. Fin dalla nascita di Internet esiste la possibilità
di abbandonare la propria identità e di creare nuovi Sé virtuali, assumere molteplici Sé,
o dare informazioni inerenti alcune parti di sé in funzione di ciò che desiderano che gli
altri pensino di loro. I giovani possono anche utilizzare i contesti on line per esplorare e
sperimentare la propria identità reale. Vita on line e off line sono sempre più connesse e i
luoghi virtuali stanno sempre più ampliando il loro bacino di utenza. Smahel distingue
tra Virtual Identity (identificazione e auto-presentazione su internet) e On line Identity
(insieme di idee, convinzioni, pensieri che si attribuiscono al proprio Sé on line). In
termini di risorsa, la creazione di numerose identità on line può aiutare a superare
difficoltà della vita reale e favorisce la formazione di aspetti relazionali dell’identità; in
termini di rischi, la creazione di varie identità on line può favorire una frammentazione
identitaria che non consenta l’integrazione del Sé e la scelta di commitments stabili,
determinando il procrastinarsi di uno stato di moratoria e diffusione.
Sono state delineate quattro modalità di costruzione identitaria on line basate su:
a. Curiosità ed esplorazione: tipologia di giovani adulti che mantengono una
congruenza identitaria e che costruiscono ed esplorano la propria identità on line con
curiosità, considerando il contesto virtuale un contesto aggiuntivo per la
sperimentazione di sé;

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b. Bisogno di appartenenza e mascheramento delle emozioni: tipologia di giovani che


utilizzano i contesti virtuali per compensare un bisogno di appartenenza e
condivisione che per loro è più facile esprimere in un ambiente virtuale;
c. Il Sé potenziale: si tratta di una modalità che descrive un utilizzo dei social media
come continuazione della vita reale, per via di un continuo scambio tra Sé reale e
virtuale e la speranza che la loro vita virtuale possa avere un impatto positivo sulla
loro vita reale, intervenendo sui processi di consolidamento dell’identità;
d. L’effetto maschera: come nella prima modalità, anche in quest’ultime si assiste ad
una discrepanza tra vita reale e virtuale, ma sono presenti elementi di rischio
psicosociale, poiché l’identità virtuale è percepita, descritta e utilizzata come opposta
all’identità reale, che è vissuta come insoddisfacente, frustrante e umiliante.
Ovviamente quindi non è il mezzo in sé ad avere effetti positivi/negativi
sull’individuo, ma sono le modalità, le motivazioni e le funzioni con le quali lo si
utilizza a orientarne potenzialità e vincoli.
Nelle nuove generazioni si assiste quindi al bisogno di costruzione da zero di strade
nuove, ad un profondo percorso di costruzione di un’identità individuale corrispondente
il più possibile al Vero Sé; questi giovani non sembrano paragonabili ai loro genitori e
non sembra che si possano confrontare in termini di maggiore egoismo o maggiore
focalizzazione su di sé (tesi della generazione me). Sembrano più simili invece auna
particolare generazione we (sorta di me and you), in cui la crisi socio-economica e culturale
che si trovano a vivere li induce da una parte a cercare fortemente se stessi, e dall’altra a
cercare fortemente l’altro in maniera possibilmente paritaria e non invischiante.

10. Pensiero post-formale, pragmatico e riflessivo. Mental time travel. Orientamento al


futuro. Purpose in life. Futuring.

Lo sviluppo cognitivo non si arresta con il raggiungimento del pensiero formale piagetiano.
Nel passaggio dall’adolescenza all’adultità, anche a livello cognitivo intervengono
significativi cambiamenti. Due dei maggiori cambiamenti che caratterizzano l’inizio
dell’adultità (oltre a quelli relazionali) riguardano lo sviluppo del pensiero post-formale e
dialettico (comprensione dell’importanza della sintesi, del ruolo fondamentale della
capacità di simbolizzare e connettere piani diversi di comprensione e percezione, la
possibilità di adattare l’interpretazione di un percetto in funzione di altri parametri) e la
formazione di un progetto o di un’identità professionale o vocazionale (definire quale
sarà la propria identità vocazionale, quale lavoro sarà più adatto a sé, implica
necessariamente capacità di ragionamento astratto e critico, nonché la capacità di fare
previsioni, di avere aspettative e immaginare progetti per il futuro).
Il pensiero post-formale è la capacità della persona di comprendere e coordinare molteplici
prospettive e applicarle in modo adeguato. Kramer ha descritto il pensiero post-formale
come caratterizzato da tre competenze:
1. La consapevolezza che la conoscenza e l’informazione sono illimitate ma relative;
2. L’accettazione di credenze paradossali;
3. L’integrazione di punti di vista contrastanti di un insieme di convinzioni personali.

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Con il pensiero operatorio-formale, Inhelder e Piaget definivano la capacità


dell’adolescente di ragionare in modo astratto, che porta l’adolescente a ritenere che tutta
la conoscenza è raggiungibile in un certo tempo, impiegando determinate risorse. Con il
pensiero post-formale, emerge una nuova consapevolezza e fa sì che i giovani adulti
abbiano coscienza che alcune domande non hanno risposte e che anche le risposte sono
suscettibili dell’interpretazioni del contesto in cui si trovano e possono quindi variare.
Nella fase adolescenziale le risposte alle domande che l’individuo si pone assumono le
caratteristiche di immodificabilità e di non discussione, con la prima adultità una più
profonda forma di relativismo sorge e rende l’individuo capace di integrare la complessità
derivante da varie verità. Per giungere a tale consapevolezza, il giovane ha anche una nuova
capacità: comprendere che anche argomentazioni diverse dalla propria hanno una loro
consistenza interna. Quindi, diverse argomentazioni possono essere confrontate, integrate
su uno stesso piano, senza che una di esse appaia come quella corretta e senza che le altre
vengano percepite come errate. Quindi, un’altra caratteristica dello sviluppo cognitivo della
prima età adulta è la sintesi, che nasce dalla confluenza tra tesi e antitesi.
Il pensiero post-formale si adatta meglio alla comprensione della realtà.
Lamport, Commons e Ross hanno evidenziato come il pensiero post-formale sia
strettamente connesso alle nostre società dove complessità, fluidità e globalizzazione vanno
comprese per integrazione, comparazione, accettazione del paradosso e capacità di creare
connessioni e visioni di insieme. Gli autori individuano 4 fasi del pensiero post-formale,
ognuna di maggiore complessità e di minore diffusione e uso tra gli individui rispetto alle
precedenti:
1. Stadio delle operazioni sistematiche;
2. Stadio delle operazioni meta-sistematiche;
3. Stadio paradigmatico;
4. Stadio cross-paradigmatico.
Il pensiero pragmatico è un’altra acquisizione che avviene dopo i 20 anni e consiste nella
disponibilità al compromesso, all’accettazione della realtà così com’è e come
consapevolezza della complessità del mondo emotivo-affettivo; non più vedere in bianco e
nero, ma su scala di grigi, con la compresenza di elementi positivi e negativi.
Tale capacità di adesione alla realtà e di comprensione della variabilità delle risposte umane,
deriva a sua volta dall’emergenza di quello che John Dewey definiva pensiero riflessivo,
la considerazione attiva, persistente e attenta per ogni forma di conoscenza alla luce delle
motivazioni che la sostengono e per le ulteriori conclusioni cui essa conduce. Il pensiero
riflessivo è connesso sia al pensiero astratto, sia all’esperienza individuale.
La capacità di pensiero riflessivo è dinamica e mostra ampia variabilità tra individui; come
per l’area di sviluppo potenziale ideata da Vigotskij, anche per lo sviluppo del pensiero
riflessivo, si ha un livello raggiungibile a un dato momento dal giovane adulto (livello
funzionale: livello normativo come si utilizza nella vita di ogni giorno) e un livello
raggiungibile attraverso il supporto dell’esperienza (livello ottimale: livello massimo
raggiungibile qualora il giovane adulto sia inserito in un contesto supportivo e facilitante).
Anche il pensiero riflessivo come quello post-formale e pragmatico, emerge solo a partire
dalla prima adultità, poiché per la sua comparsa necessita dello sviluppo del pensiero
astratto che viene raggiunto in adolescenza ed è connesso a fattori maturazionali
neurofisiologici. Il ruolo delle esperienze individuali costituisce un elemento di forte
variabilità tra individuo e individuo creando i presupposti per traiettorie evolutive diverse.

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Un altro elemento fondamentale nella prima adultità riguarda la progettualità e la scelta,


cioè trasformare le possibilità in scelte o il restringere la gamma dei pensieri astratti in
opportunità concrete da progettare e su cui impegnarsi, per perseguire degli obiettivi.
Uno stimolo forte dall’ambiente circostante viene fornito sicuramente ai giovani verso i 20
anni, con la fine delle scuole superiori e l’inizio o degli studi universitari o dell’inserimento
nel mondo lavorativo. Con la prima età adulta, e con l’innesto del pensiero pragmatico, le
scelte dell’adolescenza vengono soppesate, sperimentate, sottoposte a vaglio, modificate,
confermate o rimpiazzare con nuove. Diventa fondamentale la capacità del giovane adulto
di esplorare la sua identità proiettandosi in una dimensione futura in cui le aspettative, i
desideri e i timori per il proprio progetto di vita e per sé, vengono non solo immaginati ed
esplorati, ma anche sottoposti al vaglio della realtà, bilanciati, confrontati tra loro e tradotti
in obiettivi da perseguire. Tutto questo costituisce il processo decisionale in base al quale il
giovane adulto direziona la propria identità e il dominio professionale, cioè l’identità
vocazionale.
La capacità di integrare e creare relazioni tra dimensioni diverse, a livelli concettuali sempre
più ampi e astratti, può essere applicata anche a diverse dimensioni e piani temporali. In
questo modo, i giovani possono pensarsi sia guardando a se stessi nell’oggi sia guardando
all’indietro, sia proiettandosi nel futuro. Questa capacità di spostarsi cognitivamente su
diversi livelli temporali è definita come mental time travel e descrive la duplice possibilità
di ricordare eventi passati e muoversi verso eventi futuri.
La possibilità infatti di anticipare gli eventi futuri, di immaginare progetti, di proiettarsi in
una dimensione temporale che tenga conto del domani, consente ai giovani soprattutto di
costruire un percorso personale, individuale, consapevole e selezionato di vita. Ha cioè un
forte valore costruttivo e funzionale allo sviluppo.
Questo interscambio consente all’individuo di operare nel presente scelte armoniose, non
casuali, giustificate e orientate ad un obiettivo ed è alla base dei processi di costruzione
dell’identità e costituisce un importante fattore per la definizione di scelte importanti che
guidano le traiettorie di vita. I giovani adulti cominciano a basare le proprie decisioni
proprio su acquisizioni che derivano loro dalla capacità di usare il pensiero post-formale
per cogliere relazioni tra le cose, dopo aver vagliato alternative possibili, anche
contraddittorie tra loro.
Ma il vaglio avviene in funzione di un obiettivo per il futuro (purpose in life) che fornisce
una direzione e un significato ai comportamenti quotidiani del giovane adulto, che si trova
a vivere un momento tra i più significativi della sua vita in termini di progettualità e di
costruzione delle basi solide per l’età adulta piena e per la maturità.
La prima età adulta è il periodo normativamente più denso di cambiamenti, esperienze,
scelte, decisioni che avranno poi un impatto significativo per l’intero ciclo di vita e che
quindi saranno significativamente più degni di essere ricordate (reminishing bump).
Durante le prime fasi dell’adultità infatti, l’acquisizione di un’identità stabile e di un ruolo
sociale riconosciuto si intrecciano con la progettualità e la costruzione del futuro. La
progettualità fornisce al soggetto un senso di continuità tra sé passato e proiezioni di sé al
futuro. Durante la prima età adulta, inoltre sembra che proprio la capacità di mental time
travel e l’orientamento al futuro, piuttosto che una focalizzazione statica sul presente,
consentano maggiori livelli di benessere e si intrecciano strettamente con le dimensioni
processuali dell’identità.
Il costrutto dell’orientamento al futuro è stato variamente indagato dalla letteratura
psicologica. Importante è il modello delle funzioni d’identità proposto da Adams e
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Marshall e ampliato da Serafini e Adams. In questo modello, l’orientamento al futuro è una


delle funzioni dell’identità. Definendo degli obiettivi per il futuro i giovani adulti,
esplorando diverse alternative identitarie e impegnandosi in specifiche traiettorie di vita,
possono indirizzare il loro sviluppo nel mondo sociale e proseguire nella transizione alla
piena adultità. Secondo Adams e Marshall due sono le principali abilità che entrano in
gioco nell’identità: gli obiettivi e l’orientamento al futuro. Successivamente queste
vengono ri-concettualizzate da Serafini e diventano 4 funzioni dell’identità:
- Struttura: fornire la struttura per comprendere chi si è;
- Obiettivi: fornire significato e direzione a sé stessi attraverso impegni, valori e obiettivi;
- Controllo: fornire un senso di controllo personale e di libero arbitrio;
- Armonia: fornire consistenza, coerenza e armonia tra valori, convinzioni e impegni;
- Orientamento al futuro: fornire la capacità di distinguere le potenzialità e convertirle in
forma di possibilità future e scelte alternative.
Rielaborazioni più recenti delle funzioni di obiettivi e orientamento al futuro hanno
condotto alla formulazione di un unico costrutto che contiene entrambe: Futuring, la
capacità di immaginare, considerare e fare progetti concreti per l’avvenire. La prima
componente di questo processo si basa sulla capacità di credere in sé stessi e nel fatto che il
raggiungimento degli obiettivi che ci si è posti avrà il supporto e la conferma del contesto
sociale. La seconda funzione identitaria richiede una maggiore complessità cognitiva,
poiché implica la capacità di immaginarsi e proiettarsi nel futuro. Tutto questo richiede
un’elevata capacità di pensiero riflessivo e post-formale.
Si passa da un piano adolescenziale più spostato sulla proiezione di sé e verso una visione
idealizzata, egocentrica e onnipotente, a una valutazione delle prospettive future calibrata
da fattori individuali, contestuali e sociali insieme. Ciò avviene perché nella prima fase
dell’adultità (l’âge de raison di Sartre), il compito di definizione dell’identità assorbe il
giovane in modo importante, soprattutto negli ambiti lavorativi e professionali.

11. Identità occupazionale. Motivazione. Quali sono i processi coinvolti nel modello
dell’identità vocazionale di Porfeli? Occupational identity status model di Skorikov e
Vondraceck. Life designing theory. Modello SIOT.

Il lavoro ha un enorme peso nella vita di un individuo, non solo in termini concreti
(sussistenza, stanchezza, soddisfazione), ma anche in termini psicologici e identitari. Infatti,
lavorare significare applicare una parte di sé a uno specifico aspetto della propria vita,
metterci passione o fastidio, sentirsi parte di quel che si fa o meno, provare soddisfazione a
fine giornata o senso di estraniamento. Fin da piccoli si hanno sogni, aspettative e desideri
su cosa si vuole fare da grandi. Questi sogni vengono poi convertiti in speranze
nell’adolescenza e queste speranze diventeranno poi possibilità e impegno oppure possono
essere convertite in delusione e in frustrazioni. Il lavoro costituisce quindi una parte
importante del senso di se stessi. Durante la prima età adulta in particolare, in quanto è in
questa fase che ognuno definisce la propria identità occupazione e vocazionale.
Identità globale e identità vocazionale sono elementi interrelati e quella vocazionale
costituisce la maggior componente dell’identità nel suo complesso proprio durante la
transizione all’età adulta e nelle prime fasi dell’adultità.
Con identità occupazionale si definisce la consapevolezza di sé stessi come lavoratori
(workers). Questa definizione comprende due assunti: questa consapevolezza è vista come
percezione soggettiva di interessi, abilità, obiettivi e valori inerenti l’aspetto occupazionale
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di ognuno; l’altro assunto fa riferimento alla consapevolezza della propria identità


occupazionale come a una complessa struttura di significati, dove l’individuo coniuga le
sue motivazioni e competenze con aspettative e ruoli sociali. Ciò introduce un concetto
legato alla questione della scelta dei propri obiettivi lavorativi e personali, cioè la
motivazione. Con motivazione si intendono le ragioni per cui un individuo intraprende un
determinato comportamento. Vi sono due tipi di motivazioni:
- Estrinseca: tutte quelle circostanze esterne alla volontà dell’individuo, di carattere sociale,
economico, concreto che spingono l’individuo a intraprendere un certo comportamento;
- Intrinseca: curiosità, interesse personale, passione, volontà di riuscita.
Ogni individuo può avere la tendenza a usare l’una piuttosto che l’altra nella sua vita per
prendere decisioni. Le teorie psicologiche che hanno studiato la motivazione hanno subito
cambiamenti nel corso del tempo. Un esempio è costituito dalla teoria dei bisogni
fondamentali di Maslow che identifica 6 fasi di crescita, successive e consecutive, tutte
incentrate su bisogni, dal più semplice al più complesso:
- Bisogni fisiologici: idratazione, alimentazione, minzione, defecazione, igiene;
- Bisogni di sicurezza: ricerca di contatto e protezione;
- Bisogni di appartenenza: famiglia, gruppo amicale;
- Bisogni di stima;
- Bisogni di indipendenza: esigenza di autonomia e realizzazione;
- Bisogno di auto-realizzazione.
Una teorizzazione complessa sulla motivazione intrinseca è quella fornita da Decy e Ryan
sulla Self-determination Theory, che è strettamente legata ai processi di costruzione
dell’identità professionale, alla costruzione del capitale di identità, cioè alle risorse agentive
individuali, ai processi di apprendimento.
Da un punto di vista più sociale, Lewin e Atkinson hanno fornito contributi significativi per
la motivazione al successo. Lewin ha sottolineato il ruolo del contesto sociale e psicologico
di riferimento nel promuovere la motivazione individuale verso un determinato
comportamento e a porne le condizioni perché essa possa compiersi.
Atkinson ha sviluppato una teoria volta a sottolineare le differenze individuali nella
motivazione. Egli infatti ipotizza che la motivazione rappresenti un tratto stabile della
personalità, individualizzato pertanto e non invariante tra le persone. Il comportamento
volto al successo è da lui interpretato come la risultante di un conflitto tra due opposte
tendenze: quella a impegnarsi nella riuscita e quella a evitare il fallimento.
Nell’ottica di Meijers, l’identità occupazionale (carrer identity), nei tempi moderni è una
necessità derivata dal cambiamento dell’offerta lavorativa. Il contesto attuale non offre più
traiettorie lavorative predicibili, stabili e normative. Questa modificazione ha indotto i
giovani a rendersi conto di dover costruire un proprio personale progetto di carriera. Il
processo di costruzione della career identity si basa su un dinamico dialogo interno ed
esterno che il giovane compie per comprendere se stesso e la sua collocazione lavorativa,
per fare progetti congruenti con le varie istanze in gioco.
Su questi concetti si basa la definizione di identità occupazionale proposta da Skorikov e
Vondracek, che partono da due principali teorizzazioni:
1. La teorizzazione di Holland (Person-environment fit theory): secondo cui la formazione
dell’identità vocazionale ha una matrice evolutiva e subisce un progressivo sviluppo a
partire dall’infanzia fino alla prima età adulta, caratterizzato a una progressiva selezione
e individuazione di attitudini, preferenze, capacità, aspirazioni. Si basa su questa
teorizzazione anche il modello della Life-Span Life-Space (Teoria dello spazio e del
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corso della vita) di Super, che si avvale di una rappresentazione grafica esemplificata
del life-career rainbow, che integra le due dimensioni principali su cui si fonda il suo
discorso: lo sviluppo dell’individuo e i possibili ruoli sociali che egli può impersonare.
Ognuno di questi ruoli (life spaces) è diffusamente presente nelle varie fasi dello sviluppo
e si contraddistinguono per il diverso peso e la diversa proporzione che assumono,
portando alla sistematizzazione di stadi di sviluppo le seguenti fasi (life stages) che si
declinano nell’arco della vita (life span) dette fasi dello sviluppo di carriera:
a. La fase di crescita, che va dalla nascita fino ai 14 anni, in cui il concetto di sé del
giovane si va integrano grazie all’apporto di modelli esterni, come la famiglia e la
società;
b. La fase di esplorazione che si conclude con l’inizio dell’età adulta (25 anni) e vede
il giovane impegnato nel mettersi alla prova e saggiare i propri limiti e le
opportunità professionali che l’ambiente esterno offre. Questa fase a sua volta è
suddivisa in tre sottofasi: 1. La sottofase provvisoria, caratterizzata dalla
cristallizzazione di una preferenza orientativa verso un generico ambito lavorativo;
2. La sottofase di transizione, in cui dalla scelta generica si procede alla
specificazione di una preferenza più precisa e meno vaga; 3. La sottofase di prova,
che vede l’attivazione della preferenza precedentemente elaborata con il probabile
ingresso nel mondo del lavoro;
c. La fase di stabilizzazione e progresso, che si conclude intorno ai 45 anni e
comprende il periodo in cui l’individuo può esprimere tutte le sue potenzialità in
un ambito professionale che si è fatto più equilibrato e sicuro, anche questa fase è
suddivisibile in due sottofasi: 1. La sottofase di apprendistato, con la conseguente
stabilizzazione della scelta di carriera; 2. La sottofase di consolidamento, in cui si
raggiunge l’assestamento del proprio status lavorativo;
d. La fase di mantenimento, che si conclude con l’ingresso nell’età pensionabile e vede
la sostanziale staticità della condizione che è stata acquisita;
e. La fase di declino, che si caratterizza per il cambiamento del ruolo sociale del
soggetto in conseguenza del pensionamento.
È evidente come questa successione di fasi tenga conto di un clima economico e
contestuale e di un mercato del lavoro totalmente diversi da quelli odierni. La teoria di
Super resta pertanto una teoria storica, non applicabile nella sua interezza al complesso
sviluppo dell’identità occupazionale dei giovani di oggi.
2. Il secondo approccio fa riferimento alla teorizzazione eriksoniana dell’identità e alla
concettualizzazione degli stati proposti da Marcia per individuare tipologia e modelli
di identità occupazionali. Anche per l’identità occupazionale è stata proposta una
classificazione in stati. I processi sottostanti la formazione identitaria (esplorazione e
commitment) infatti, rimangono gli stessi anche quando si focalizza l’attenzione sul
dominio occupazionale nello specifico. Due sono le formulazioni teoriche che hanno
maggiore seguito: il modello della vocational identity formulato da Porfeli nel 2011 e
l’occupational identity status model di Skorikov e Vondraceck.

Il modello della vocational identity di Porfeli fonde i due modelli di Luyckx e di Meeus in
un unico modello relativo all’identità vocazionale. I processi coinvolti nella dinamica di
costruzione e consolidamento dell’identità vocazionale sono quindi:

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- Careeer exploration: esplorazione delle possibili alternative identitarie in due modalità: in-
breadth (ampiezza, sperimentando il maggior numero possibile di alternative) o in-depth (in
profondità, analizzando tutti gli aspetti sia positivi che negativi);
- Career commitment: scelta di alcune alternative e impegno su di esse a due livelli:
commitment making (scelta per motivazione intrinseca che estrinseca) e identification with
commitment (identificazione con gli impegni assunti).
- Career reconsideration: rivalutazione degli impegni acquisiti sia in termini di possibilità e
apertura al cambiamento (career flexibility) sia come messa in discussione più profonda della
propria identità vocazionale (career self-doubt).
A partire da queste dimensioni processuali coinvolte, Porfeli e colleghi hanno identificato 6
stati d’identità vocazionale:
- Achieved: giovani che hanno acquisito la loro identità vocazionale dopo un intenso
processo di esplorazione;
- Searching moratorium: giovani che stanno esplorando in profondità la loro identità
vocazionale, in modo attivo e approfondito, assumendo impegni temporanei, con lo scopo
di acquisire impegni stabili;
- Moratorium: giovani che sono in una fase di stallo che compiono esplorazione ma con
pochi impegni;
- Foreclosed: giovani che hanno compiuto delle scelte vocazionali, ma senza aver né
compiuto un’adeguata esplorazione precedente né una messa in discussione dei
commitments acriticamente assunti;
- Diffused: studenti che sono in continua esplorazione in ampiezza che non li conduce alla
determinazione di scelte ma li lascia in uno stato allargato di sperimentazione incessante;
- Undifferentiated: giovani che riportano punteggi medi in tutte le dimensioni, che si
trovano cioè coinvolti nel processo di definizione della loro identità vocazionale, ma che
non attuano in modo precipuo nessuno dei processi identitari.

Occupational identity status model


Sempre partendo dalle teorizzazioni di Erikson e Marcia, anche Skorikov e Vondraceck
hanno proposto un modello di stati di identità, definita come occupazionale. I processi
coinvolti secondo gli autori sono occupational committment e occupational self-
exploration, ma graduati non in base ai livelli in termini quantitativi raggiunti dai giovani
in ogni dimensione, ma in base al processo in corso. Gli impegni quindi vengono considerati
come assunti o non assunti e l’esplorazione viene interpretata come limitata, attiva o
completata. L’intersezione di questi livelli conduce ad una tassonomia degli stati
dell’occupational identity. Di particolare interesse rispetto alle precedenti teorie vi è
l’introduzione di due tipologie di achievement: dinamico e statico. Si tiene conto che aver
raggiunto una configurazione identitaria definita, infatti può non essere un processo
concluso. Inoltre, si sottolinea il ruolo attivo del contesto socio-economico nei processi di
formazione dell’identità in tutti i suoi domini.
Secondo Skorikov e Vondracek in Europa, inoltre, c’è da fare anche una differenziazione
nelle tipologie di identità occupazionali tra:
- Job perspective: prospettiva occupazionale caratterizzata dalla mancanza di una visione a
lungo termine, accompagnata dall’accettazione acritica e passiva, di ruoli lavorativi assunti
con scarsa motivazione e scarso senso di unicità personale;

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- Career perspective: prospettiva in cui il giovane costruisce attivamente la propria identità


occupazionale, focalizzandosi su una prospettiva temporale a lungo termine e su un
progetto vocazionale individualizzato (achievement dinamico).
Questo doppio percorso trova riscontro anche nel contesto italiano e mostra come i giovani
adulti non seguono traiettorie comuni e standardizzate. La specificità dell’offerta lavorativa
reale del contesto in cui il giovane vive ha un ruolo fondamentale nella definizione
dell’identità occupazione. Secondo Aleni Sestito e colleghi, il non definire la propria identità
vocazionale consente ai giovani di rispondere in modo adattivo alle caratteristiche del
contesto economico italiano, che al momento non consente ai giovani di tracciare progetti e
percorsi per il proprio futuro lavorativo che possono poi non essere smentiti dalla realtà.

È stato elaborato un modello di interpretazione dell’identità occupazionale e di intervento


per supportarne la formazione definito come Life degning (Savickas). Questo modello prova
a superare i modelli tradizionali di orientamento, proponendo un approccio che considera
l’individuo e il suo conteso come un unico ecosistema dinamico, in cui assumono specifico
rilievo le traiettorie di vita individualizzate, in cui ognuno progressivamente progetta e
costruisce insieme la propria vita e la propria carriera lavorativa. L’epistemologia della life
designing theory valorizza inoltre, i processi di costruzione di significato con cui ogni
individuo può pervenire ad una visione di sé stesso, delle proprie priorità, dei propri piani
futuri. Gli autori fondano il paradigma su 5 presupposti:
1- Dai tratti e dagli stati al contesto: tiene conto dell’inscindibile unità di individuo e
ambiente (sistema) in cui è immerso, che influisce continuamente sui progetti occupazionali
attraverso le esperienze e il significato che l’individuo attribuisce ad esse;
2- Dalla prescrizione al processo: si basa sulla mutevolezza dell’offerta lavorativa attuale.
I giovani si troveranno a cambiare lavoro molto spesso, non avranno davanti una traiettoria
stabile e prestabilita e quindi il counselling dovrà tener conto di questo;
3- Dalla causalità lineare alle dinamiche non lineari: bisogno di valutare la complessità
delle identità e delle traiettorie di vita individuali e di allontanarsi da paradigmi di causa-
effetto non più applicabili alla realtà odierna;
4- Dai fatti scientifici alle realtà narrative: un ruolo importante è rivestito dalle esperienze
che il giovane compie, che vanno comprese e interpretate, cioè narrate e inserite nell’intero
percorso-progetto di vita;
5- Dalla descrizione al modeling: gli interventi di counselling diventano quindi un
momento di supporto e sostegno alla definizione identitaria del giovane, che ha bisogno di
tutte le capacità riflessive e auto-riflessive per costruire un progetto di vita, che include
l’ambito lavorativo, in cui egli stesso attribuisca significati alle esperienze, valuti i suoi sé
possibili, si orienti nel futuro a partire dall’esperienza autobiografica passata e presente. In
questa modalità la narrazione, intesa come momento in cui l’individuo può sospendere la
sua vita quotidiana, cioè il suo agire, per distanziarsi e riflettere su sé stesso, diventa uno
strumento utile per dare corpo alla pianificazione e al disegno del proprio progetto di vita.
Un esempio applicativo di tale modello è l’expressive writing, una tecnica proposta da
Pennebaker, secondo cui raccontare, soprattutto in forma narrativa scritta, esperienze,
vissuti, difficoltà ed emozioni in modo ripetuto e per un protratto periodo di tempo, provoca
modificazioni nei vissuti relativi alle esperienze descritte, attiva processi di comprensione
del significato e attribuzione di senso che hanno effetti positivi sul benessere individuale,
sia fisico che psicologico.

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Una proposta di modello di intervento è il modello SIOT: il modello di Sostegno


all’Identità Occupazionale in Transizione. Con l’obiettivo di fornire uno specifico sostegno
ai processi di costruzione e ridefinizione dell’identità occupazionale dei giovani adulti che
si trovano o alle prime fasi del percorso universitario o alle prime esperienze lavorative, il
modello SIOT si fonda su presupposti teorici, tra cui: la teoria dell’identità vocazionale di
Porfeli, il concetto di futuring (Sica), la focalizzazione sul meaning making (Bruner), il
paradigma di life designing di Savickas. L’assunto è che l’identità occupazionale vada
sostenuta attraverso un processo complessivo di sostegno al sé in transizione. Tale processo
si traduce operativamente in un intervento in itinere per i giovani universitari che prevede
fasi successive che vanno dall’esplorazione delle proprie proiezioni identitarie nell’ambito
occupazionale identitario (sé possibili) e dei propri interessi e attitudini occupazionali, per
la definizione di un progetto complesso di traiettorie occupazionali, passando attraverso
un’esplorazione in profondità dell’identità vocazionale con un approccio narrativo e
un’esplorazione delle possibilità e opportunità concrete del contesto socio-economico
lavorativo di riferimento.

12. Questioni di felicità: fattori di protezione, benessere, malessere, rischio. Self-


determination theory (SDT)

Vi sono diversi percorsi che si costruiscono per raggiungere benessere psicologico,


soddisfazione, felicità ed espressioni di sé. La tradizione filosofica, propone tre principali
concezioni di felicità, che sono state successivamente rielaborate dalla psicologia:
a. Concezione edonica, viene dal greco edonè = piacere: ha il suo precursore in Aristippo,
allievo di Socrate e approda all’identificazione del piacere con il bene, piacere che l’uomo
può godere momento per momento. A partire dalla filosofia di Aristippo, la dottrina
epicurea in particolare, ne ha approfondito il significato. Per Epicuro, la ricerca della
felicità è al centro della dottrina filosofica: vivere una vita all’insegna dei desideri più
semplici, non sconvolta da grandi passioni, ma improntata alla serenità e all’amicizia. La
felicità è innanzitutto, assenza d dolore e imperturbabilità (atarassia). Dianer e Lucas
hanno sintetizzato le caratteristiche dell’edonia in ambito psicologico in 4 punti: il
conseguimento della felicità, la presenza di sentimenti positivi, l’evitare sentimenti
negativi e il provare soddisfazione per la propria vita. Si può quindi interpretare
l’approccio edonico come “subjective well-being”, cioè come percezione individuale e
soggettiva di benessere e soddisfazione personale. Ne risulta una felicità intesa come
orientata al presente, con una visione della vita strettamente connessa al fluire delle
esperienze, che vengono armonizzate dall’autobiografia di ognuno. Il piacere ha matrice
istintiva, percorsi e presupposti strettamente individuali e una temporalità frammentata,
relativa alle percezioni nel qui ed ora.
b. Concezione eudaimonica, dal greco eudaimonia = avere un buon demone: nasce
nell’ambito della tradizione aristotelica e identifica la felicità con il “bene”. L’eudaimonia
è intesa come un modo di vivere, una sorta di organizzazione complessiva dell’esistenza
individuale in funzione di un’unica attività, di un fine ultimo. La psicologia ha mostrato
particolare interesse per il costrutto di eudaimonia, con Waterman (2011), per quanto
riguarda in particolare il concetto di daimon, il vero Sé. Per poter giungere infatti, al
daimon, occorre percorrere un percorso di scoperta (self-discovery) delle proprie migliori
caratteristiche individuali. Questa concettualizzazione implica una visione della
costruzione dell’individualità che si basa su un nucleo preesistente n ognuno, che va solo
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scoperto, riconosciuto e usato, in questo senso, la possibilità di giungere alla scoperta del
proprio vero Sé e investire su di esso come “migliore identità possibile” conduce alla
felicità eudaimonica. Secondo la prospettiva psicologica di Waterman, l’eudaimonia si
struttura attraverso due percorsi: le azioni di self-realization che si attuano per scoprire e
mettere alla prova il proprio daimon/vero Sé e gli elementi soggettivi di feeling personal
expressiveness che forniscono all’individuo quella sensazione di benessere ed espressione
di sé che accompagna le azioni concrete, in cui l’individuo esprime e sperimenta il suo
vero Sé. A differenza della felicità edonica, quindi, questo costrutto implica un percorso
cognitivamente più accentuato, in cui scoperta, scelta e decisione si uniscono alla
motivazione intrinseca per giungere alla completezza dell’esperienza individuale.
c. Concezione esistenzialista (self-construction): si desume dalla concettualizzazione di
costruzione del Sé, di matrice esistenziale, e si oppone soprattutto alla prospettiva
eudaimonica. Infatti, mentre per la prospettiva eudaimonica, il processo di
raggiungimento di sé passa necessariamente attraverso la scoperta di una dimensione
individuale già preesistente, per la prospettiva della self-construction il compimento del
Sé è un processo di costruzione continua di qualcosa che non esiste in precedenza, ma
che si forma attraverso un continuo lavoro di scelta tra le alternative possibili. Questa
concezione si fonda sull’assunto sartriano della libertà come condizione ineliminabile
dell’uomo. Per libertà si intende la possibilità e il dovere, allo stesso tempo di compiere
continuamente scelte per dare direzione al proprio comportamento e procedere alla
costruzione della propria identità.

Sulla scia di questo assunto è la concettualizzazione psicologica della Self Determination


Theory (SDT). Per la teoria dell’auto-determinazione, il Sé rappresenta la tendenza
evolutiva a crescere ed evolvere verso livelli sempre maggiori di integrazione e
organizzazione. Questa tendenza e la sua realizzazione costituiscono quel processo di
costruzione di sé che coincide con la soddisfazione e la felicità.
In questa prospettiva, per compiere tale integrazione è necessario ricevere l’energia dal
soddisfacimento dei bisogni di base: competenza, autonomia e relazione. Ciò favorisce il
processo di integrazione del Sé e pone le basi per il benessere individuale, che proprio
nell’integrazione trova il suo compimento. L’integrazione del Sé, secondo questa
prospettiva, conduce alla felicità e al benessere, include tre dinamiche:
- la motivazione intrinseca;
- l’internalizzazione di norme sociali in categorie individuali;
- l’adozione di valori che promuovono lo sviluppo/crescita individuale.
Questo processo ha una natura non chiusa, ma continua, in quanto si sviluppa durante tutto
il corso di vita. Anche la concettualizzazione degli stili di identità di Berzonsky (orientato
all’informazione, normativo, diffuso-evitante) nasce sulle basi della self-construction.
Il processo di ricerca della felicità e il processo di definizione di sé sono strettamente legati.
In tutte e tre le concettualizzazioni filosofiche e psicologiche di felicità si fa un implicito
riferimento al lavoro individuale di ricerca della propria strada, delle modalità di vita più
soddisfacente, nonché del percorso di ognuno per comprendere e affermare se stesso in una
vita vissuta appieno, fino a condurre a percorsi di successo, percorsi non riusciti e percorsi
in bilico tra riuscirci e no.

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13. Eudaimonic identity di Waterman. Capitale di identità di Côté. L’agency. La creatività.

Secondo la teorizzazione di Waterman dell’eudaimonic identity l’obiettivo da raggiungere


è l’eudaimonia e l’acquisizione dell’identità. L’eudaimonic identity è quel raggiungimento
dell’identità che comporta una percezione di benessere e felicità, attraverso la scoperta del
proprio nucleo identitario. I giovani che usano le capacità agentive (agency) sembrano
maggiormente condotti alla felicità.
James Côté ha studiato lo sviluppo individuale in una matrice interdisciplinare, data
l’impossibilità di scindere individuo e contesto. I livelli da considerare secondo l’autore
sono tre:
- Macro-livello: rappresenta la struttura sociale in cui l’individuo è inserito;
- Micro-livello: rappresenta l’interazione tra l’individuo e la struttura sociale;
- Livello psicologico: attiene a fattori interni e specificamente a fattori di personalità.
Côté parte dall’esame sociologico del contesto della società occidentale e individua tre
periodi storico-culturali che hanno influenzato lo sviluppo individuale: premoderno,
moderno e postmoderno (che coinvolge i giovani di oggi e che risulta essere poco
supportivo). Le difficoltà poste dalla società postmoderna consentono due possibili
risposte di fronteggiamento individuale: una attiva e una passiva: mentre quella passiva si
riferisce ad un lasciare che gli eventi esterni conducano il giovane su un percorso di adultità
non scelto, non cercato né elaborato, quella attiva fa riferimento all’attivazione di risorse
agentive, usando il capitale d’identità, quella somma di risorse personali di vario carattere
e tipologie che riescono non solo a riconoscere di avere ma anche a usare nel contesto sociale
in cui crescono. Queste sono sia tangibili (di carattere sociologico) sia intangibili (di carattere
psicologico). Già Erikson aveva fatto riferimento all’agency come ad una risorsa attiva
individuale che consente il raggiungimento dell’identità. Nel modello di Còtè, l’agency
rappresenta il senso di responsabilità individuale per il corso della propria vita, la
convinzione che l’individuo prenda da solo le proprie decisioni e sia responsabile per le loro
conseguenze, la convinzione di essere in grado di fronteggiare le difficoltà e superare gli
ostacoli sul proprio percorso progettato di vita. Essa comprende 4 costrutti psicologici:
- Internal locus of control: attribuzione a se stessi del controllo delle proprie azioni e della
responsabilità per quanto accade;
- Autostima;
- Ego strength: la forza del Sé nel controllo cognitivo ed emozionale delle proprie azioni;
- Purpose in life: obbiettivi e significato che forniscono una direzione e uno scopo nella vita.
Un’altra caratteristica che pare essere legata alla capacità di fronteggiare le difficoltà del
contesto e costruire una traiettoria personale è la creatività.
La creatività può essere intesa come la combinazione di numerosi fattori di tipo cognitivo
ed emozionale. Il modello di Williams individua otto fattori di creatività: quattro riferite
soprattutto alle dimensioni cognitivo-divergenti (pensiero fluido, pensiero flessibile,
pensiero originale e pensiero elaborativo) e quattro riferiti alle dimensioni emotivo-
divergenti (disponibilità ad assumersi rischi, complessità, curiosità e immaginazione).
Queste dimensioni nel loro insieme rappresentano risorse individuali che possono
consentire un migliore adattamento a contesti esperienziali e socio-culturali. Creatività e
comportamenti a rischio sono complementari e alternativi: quando vi sono comportamenti
creativi, instabilità e incertezza non trovano posto né collocazione. Bisogna quindi ampliare
gli interventi preventivi che permettono di esprimere le dimensioni psicologiche della
creatività come alternative dei comportamenti a rischio.
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3° LIBRO: INVECCHIAMENTO POSITIVO – ZAMBIANCHI E RICCI BITTI

14. Successful aging. Invecchiamento normale e patologico. Modello di Rowe e Khan.


Modello di Baltes. Socio-emotional Selectivity Theory (SST) di Cartensen. Teoria di
Stevernik. Modello di Kahna e Kahna.

L’invecchiamento oggi assume una connotazione completamente differente da quella


passata, che vede l’individuo non più come una persona in un progressivo declino nei vari
aspetti della vita, bensì come un soggetto attivo e capace di mantenere una buona qualità
della vita, essere produttivo e proseguire nel suo percorso di sviluppo e crescita personale.
Tale visione dell’invecchiamento, definito “positivo”, è stata proposta da diversi autori, che
con i rispettivi modelli, hanno contribuito a formare quella che oggi è una prospettiva più
completa dell’età anziana nell’attuale contesto socio-culturale.
Modello di Rowe e Khan
Rowe e khan furono tra i primi studiosi a proporre una distinzione tra “invecchiamento
normale” e “invecchiamento di successo”, intesi entrambi come condizioni non patologiche.
Essi ritengono che i processi di invecchiamento possono avere tre esiti diversi:
- Invecchiamento patologico: insorgono veri e propri quadri di malattia acuta o cronica
(es: Alzheimer, patologie che compromettono le funzionalità di una persona);
- Invecchiamento usuale: sono presenti modesti declini sul piano dell’efficienza fisica e
cognitiva (in particolare la memoria) ma che non compromettono le funzionalità della
persona anziana, anche se la pongono in una posizione di rischio e/o vulnerabilità;
- Invecchiamento di successo: caratterizzato da bassi rischi ed elevata funzionalità a
livello generale.
Essi ritengono essenziale cogliere le profonde interrelazioni tra i diversi sistemi di
funzionamento dell’individuo per poter spiegare le ragioni per cui alcuni anziani riescono
a raggiungere questo traguardo e altri no. Si può parlare di invecchiamento di successo
quando sono presenti contemporaneamente tre componenti, strettamente intrecciate tra
loro e che entro un certo limite possiedono una struttura gerarchica (alcune di esse sono dei
prerequisiti essenziali per la presenza di altre):
- Bassa probabilità di malattie e disabilità associata alle malattie (es: l’osteoporosi fa
aumentare il rischio di fratture ossee, con conseguenti periodi di degenza e
riabilitazione): per soddisfare questa componente, bisogna adottare un stile di vita
salutare e ridurre i fattori di rischio specifici di questa fase della vita, aumentando i
fattori protettivi. L’esercizio fisico costante e una dieta equilibrata giocano un ruolo
protettivo fondamentale nei confronti di patologie tipiche della terza età (es:
iperglicemia, alto colesterolo, ipertensione).
- Elevate capacità fisiche e cognitive: mantenimento di buone “funzioni intellettuali
superiori” come i diversi sistemi di memoria, problem solving (nell’ambito della vita
quotidiana), la capacità di apprendere nuove competenze e conoscenze. Il livello di
istruzione scolastica, l’attività fisica costante e una buona capacità respiratoria
influenzano positivamente le capacità cognitive. Sul piano psicologico, un alto livello di
autoefficacia (credenza di poter intervenire attivamente nella realtà al fine di renderla

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più favorevole ai propri bisogni) è risultata predire nel tempo il mantenimento di buone
capacità cognitive;
- Coinvolgimento nella vita attiva: in ogni caso, per poter parlare di invecchiamento di
successo non è sufficiente la mera assenza di malattie, bensì è necessario che tali
potenzialità vengano tradotte concretamente nell’impegno attivo, sia a livello sociale,
nelle relazioni interpersonali, sia sul piano dell’attività produttiva.
Modello di Baltes
Baltes è considerato uno degli studiosi che ha maggiormente contribuito a sradicare l’idea
dello sviluppo umano come un evento a tappe limitato ai primi due decenni di vita. Egli
sostiene che lo sviluppo dell’essere umano è un processo che si snoda durante l’intero arco
della vita. Uno dei principi che guidano lo sviluppo umano è quello del rapporto
“guadagni-perdite” secondo cui i processi di sviluppo consistono nella contemporanea
presenza attiva di sviluppo di abilità, competenze (guadagni) e declini (perdite). Nell’età
anziana vi è una predominanza delle perdite. Il soggetto preserva sempre la capacità di
adattarsi in modo costruttivo al contesto, ovvero la sua “plasticità”. Tale concetto richiama
ad altre due ulteriori nozioni, quello di risorsa e riserva. Le risorse sono di natura fisica,
cognitiva e di personalità. È essenziale che tali risorse si integrino tra di loro per poter
invecchiare bene. Le riserve fanno riferimento a risorse, capacità, competenze che la persona
anziana ha accumulato nel tempo e che non ha mai sfruttato, ma che possono rivelarsi utili
in questa fase della vita.
Teoria di Cartensen
Le relazioni sociali sono fondamentali per il benessere e per la sopravvivenza. Laura L.
Cartensen e collaboratori propongono una teoria definita della “selezione socio-
emozionale” (Socio-emotional selectivity Theory, SST) in cui la percezione del tempo riveste
un ruolo centrale nella formazione dei legami sociali e nella funzione che essi ricoprono
nell’individuo. La teoria sostiene che, quando gli orizzonti temporali si restringono, come
avviene in genere con l’avanzare dell’età, le persone diventano sempre più selettive,
investendo maggiori risorse in obiettivi, attività e relazioni emotivamente significative.
L’essere umano formula piani e obiettivi, è guidato da intenzioni ben precise, pertanto le
relazioni sociali avverranno in base agli obiettivi che si desidera raggiungere.
La percezione del tempo futuro pertanto influenza i processi di selezione degli obiettivi e
le caratteristiche dei legami che vanno a comporre la rete sociale che circonda ogni
individuo: la gioventù, dalla quale il tempo viene percepito come ampio e aperto, cerca
relazioni sociali volte al fine di espansione del sé (conoscenze e competenze), viceversa gli
anziani, che percepiscono il tempo come limitato, preferiscono la compagnia di persone che
portano ad un senso di conferma del sé o che siano emotivamente significative. Inoltre la
maggiore consapevolezza del limitato tempo a disposizione e il bagaglio di esperienze
personali, motivano l’anziano a dare priorità alla ricerca di emozioni positive e significati
positivi da attribuire agli avvenimenti passati e presenti (“effetto positività” cui sono
coinvolte attenzione e memoria).
Teoria di Stevernik
La teoria sulle funzioni della produzione sociale sostiene che le persone raggiungono un
elevato livello di benessere psicologico attraverso il soddisfacimento di due bisogni umani
universali: il benessere fisico e il benessere sociale.
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Il benessere fisico si afferma al raggiungimento di un equilibrio tra stimolazione sul piano


fisico e cognitivo e attività che invece producono una buona sensazione di comfort.
Il benessere sociale viene raggiunto attraverso la soddisfazione di tre bisogni fondamentali:
il bisogno di affetto, il bisogno di conferma e il bisogno di status.
L’integrazione e la soddisfazione dei differenti bisogni universali è il requisito per poter
sperimentare un elevato benessere nella vita.
Modello di Kahana e Kahana
Kahana e Kahana adottano una visione agentica e proattiva dell’individuo che tende a
mantenersi anche in tarda età. Fondamentale è l’adozione di due diversi comportamenti o
strategie. I primi, comportamenti di proattività preventiva, hanno lo scopo di evitare che le
patologie o gli eventi critici accadano grazie all’azione anticipata. I secondi, comportamenti
di proattività correttiva, hanno lo scopo di minimizzare le conseguenze o i danni derivanti
da condizioni critiche già in atto. Ci sono due tipo di risorse che permettono agli anziani di
ridurre l’impatto delle crisi e degli eventi stressanti:
- risorse interne: possedere un’elevata autostima, speranza e prospettiva per il futuro
come tempo aperto.
- risorse esterne: risorse economiche e sociali. Di particolare rilevanza sono le risorse
emergenti, quali accesso alle nuove tecnologie informatiche e l’accesso attivo al sistema
sanitario di cura.

15. I mutamenti fisici legati all’invecchiamento

In età anziana si evidenziano progressivi declini e cambiamenti nell’efficienza dei vari


apparati dell’organismo. La velocità e l’ampiezza con cui si verificano questi processi
dipendono da una molteplicità di fattori, tra i quali la costituzione genetica e gli stili di vita
che le persone hanno adottato nel corso della vita.
Secondo le teorie che privilegiano i fattori genetici, il processo di invecchiamento è
caratterizzato da due processi che avvengono simultaneamente:
- un progressivo accumulo di danni ai tessuti cellulari del corpo.
- un progressivo adattamento, sempre a livello biologico, che il corpo mette in atto per
neutralizzare gli effetti nocivi di questo accumulo di danni cellulari.
La "genetica della longevità" ritiene che parte fondamentale nei processi di deterioramento
fisico sia da ricondurre ai meccanismi che governano l'invecchiamento del sistema
immunitario. La possibilità di prevenire o contenere i danni cellulari attraverso la
stimolazione del sistema immunitario e l'aumento della capacità riparativa dell'organismo
rappresenta una strategia fondamentale per mantenere una buona salute fisica in età
anziana. I processi di invecchiamento sono inoltre collegati a un profondo cambiamento
ormonale, pertanto la reintegrazione degli ormoni non più prodotti e l'esercizio fisico
costituiscono due sicuri fattori di protezione. Durante l'invecchiamento avviene un
progressivo deterioramento del sistema muscolo-scheletrico, della capacità uditiva e della
vista. Il declino di tali funzionamenti va a costituire una vera e propria "disabilità invisibile"
che porta sia alla rarefazione delle relazioni sociali sia ad un declino delle funzioni cognitive
superiori. L'invecchiamento positivo è il risultato perciò da un lato dalla presenza di

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condizioni biologiche e genetiche favorevoli, e dall'altro dalla messa in atto di azioni e


strategia tese a ridurre l'impatto dei fattori di rischio e ad aumentare quelli protettivi.
I fattori protettivi, che vanno a definire un vero e proprio stile di vita sono molteplici.
Possono spaziare dall’adozione di una dieta più sana, che può molto efficacemente ridurre
i fattori di rischio per la salute, alla costante attività fisica, dimostratasi fondamentale al fine
di mantenere un’elevata capacità fisica, cognitiva e un aumento degli obiettivi posseduti. È
importante quindi trasformare l’attività fisica in un vero e proprio stile di vita.

16. Mutamenti cognitivi nell’invecchiamento. Intelligenza fluida e cristallizzata cosa


sono? Si modificano durante l’invecchiamento? Se si, come?

L'efficienza cognitiva, o intelligenza, comprende un insieme di abilità, come il possesso di


una disposizione ad apprendere e memorizzare, risolvere nuovi problemi e saper
riconoscere i cambiamenti, nonché l'elasticità nell'uso degli schemi mentali posseduti.
Parlare di efficienza cognitiva nell'età anziana implica comprendere quali sono i
cambiamenti che avvengono con il passare del tempo e la direzione in cui essi vanno.
Sistemi di memoria
I sottoinsiemi di memoria a breve termine non sembrano influenzati dai processi di
invecchiamento, mentre le funzioni esecutive vengono compromesse con il passare degli
anni. Le persone anziane incontrano notevoli difficoltà a prestare attenzione sia selettiva che
sostenuta a due attività contemporaneamente.
La memoria a lungo termine a sua volta può essere suddivisa in diverse sottocategorie:
- memoria semantica: ha il compito di contenere le informazioni sul mondo, i fatti, i
concetti, il linguaggio etc. è particolarmente legata all'intelligenza cristallizzata e al
fenomeno della "saggezza".
- memoria episodica: eventi vissuti personalmente, le relazioni temporali vengono spesso
perse nell’anziano.
- memoria prospettica: fa riferimento al fatto di "ricordare di ricordarsi" qualcosa al
momento appropriato ed è connessa alla capacità di formulare dei piani di azione da
compiere nel futuro. Essa è essenziale per continuare a gestire in modo indipendente la
propria vita e per poter realizzare attività e progetti, ed implica l’integrazione di molti
processi cognitivi per poter lavorare efficacemente. Con l'età anziana la memoria
prospettica tende a divenire meno efficiente.
Intelligenza fluida e cristallizzata
Sono presenti due forme fondamentali di intelligenza definire intelligenza fluida e
intelligenza cristallizzata.
L'intelligenza fluida è legata all'elaborazione delle informazioni e alla capacità di risolvere
i problemi indipendentemente dalla conoscenza acquisita e dall'esperienza maturata. Essa
è legata all'abilità di ricercare nuove interpretazioni, strategie, nuovi modi per approcciare
un problema, la velocità con cui si apprendono nuove nozioni. L'intelligenza fluida viene
definita anche "pensiero divergente" (DT) in quanto è attraverso essa che attiviamo dei
processi di associazione innovativa tra le informazioni (es: formulazione di una nuova teoria
o un'opera d'arte). Questo tipo di intelligenza è strettamente legata alla creatività, ed è una

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componente necessaria all'invecchiamento di successo (maggior indipendenza nella vita


quotidiana, apertura a nuove esperienze e conoscenze).
L'intelligenza cristallizzata è legata all'elaborazione dei concetti e delle conoscenze apprese
e accumulate nel tempo. Permette di utilizzare correttamente schemi, concetti ed esperienze
per compiere valutazioni, formulare giudizi e scegliere azioni appropriate al contesto. È
profondamente legata al bagaglio culturale posseduto dall'individuo.
A differenza dell'intelligenza fluida che tende a declinare con il trascorrere dell'età,
l'intelligenza cristallizzata raggiunge il suo picco nella terza età ed è legato alla saggezza.
Baltes definisce la saggezza come una conoscenza acquisita con l'esperienza, ma a un livello
più profondo e relativa ai problemi più importanti della vita. Perché si possa parlare di
saggezza e non expertise, è necessario che il soggetto possegga:
- Conoscenza delle pragmatiche fondamentali della vita
- Conoscenza strategica o procedurale di esse
- Contestualizzazione di informazioni nella storia del suo tempo e dei cambiamenti sociali
- Relativismo di tali conoscenze
- Convinzione che non esiste una conoscenza perfetta e che il futuro è imprevedibile e
incerto.
Per intelligenza creativa si intende la capacità di immaginare un'alternativa non banale
nella perfezione e successiva soluzione di un problema nella spiegazione di un fenomeno i
nell'uso di qualcosa. L'intelligenza creativa si concretizza in un'innovazione del
comportamento, che si oppone alla tendenza ben radicata nel nostro pensiero ad affrontare
i problemi nuovi utilizzando in modo automatico gli schemi utilizzati in passato.
La creatività contribuisce all'invecchiamento positivo attraverso la costruzione di un senso
di competenza, propositi di vita e crescita personale e facilita lo sviluppo di abilità di problem
solving.

17. Cambiamenti sociali nell’invecchiamento

La componente socio-relazionale del benessere può essere articolata in due differenti


dimensioni: il sostegno/supporto sociale e il benessere sociale.
Il supporto sociale può essere definito come l'informazione proveniente dagli altri di essere
oggetto d'amore e di cure, stimato e apprezzato da amici, familiari etc. e di fare parte di una
rete di comunicazione e obbligo reciproco.
- Supporto strumentale: permette di soddisfare bisogni di natura concreta come l'aiuto
domestico, economico o legato ai trasporti
- Supporto emozionale: legato alla possibilità di ricevere ascolto, alla condivisione
emotiva di problemi, ansie, difficoltà e preoccupazioni ed è associato ad un forte senso
di appartenenza. È centrale per la moderazione dello stress.
La percezione di poter contare su di una rete di supporto favorisce la lettura e la valutazione
degli eventi difficili o di crisi come meno minacciosi e più affrontabili.
Oggi si ha una visione dell'età anziana come una fase della vita in cui permane un forte
coinvolgimento nelle attività sociali e una ricerca di ruoli socialmente apprezzati.

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Domande e risposte Psicologia dello sviluppo: fattori di protezione e di rischio – prof.ssa Sica 
a.a. 2019/2020 – Aurora Parlati, Naomi Cipolla, Federica Tarsino 

Secondo Keyes il benessere sociale si definisce come la qualità delle relazioni sociali
dell'individuo nell'ambito della propria comunità e società e del proprio funzionamento al
loro interno. Il benessere sociale comprende cinque dimensioni:
- Integrazione sociale: qualità della propria relazione con la società
- Contributo sociale: credenza di essere un membro vitale della società, quanto
l'individuo crede di poter dare un contributo significativo attraverso la propria attività
- Accettazione sociale: valutazione degli altri come degni di fiducia e disponibili ad
aiutare
- Attualizzazione sociale: valutazione del potenziale e delle traiettorie future della società
- Coerenza sociale: interesse nel conoscere le funzionalità della società, le sue regole e i
suoi valori
Ogni dimensione del benessere sociale varia in rapporto all'età: le prime quattro mostrano
un incremento nel passaggio dalla gioventù all'età adulta, mentre la coerenza sociale tende
a diminuire con l'età, raggiungendo valori bassi proprio nelle ultime fasi di vita, segnalando
probabilmente le difficoltà dell'anziano a comprendere un mondo sentito come troppo
complesso ed estranei ai valori culturali nei quali è cresciuto. Il livello di scolarità influisce
positivamente sul benessere sociale, come l'attivazione di strategie di coping proattivo.
Recentemente degli studi hanno iniziato a focalizzarsi sugli aspetti benefici delle tecnologie,
in particolar modo nell'ambito della comunicazione come mezzo per contrastare la
solitudine e incentivare un forte senso di comunità.

18. Cambiamenti affettivi, emotivi e motivazionali nell’invecchiamento

19. Coping proattivo

Le strategie che vengono messe in atto al fine di prevenire un evento critico o ridurne la
portata negativa sono definite "strategie di coping proattivo". Affinché possano essere usate
con successo tali strategie richiedono l'accumulo di risorse nel tempo e l'acquisizione di
competenze generali volte a gestire qualcosa spostato nel tempo futuro che potrebbe non
accadere. La possibilità di attivare le strategie di coping proattivo ha numerosi benefici:
minimizza lo stress nel caso in cui l'evento critico avviene, permette di mantenere più risorse
a disposizione che possono essere usate per altri obiettivi. Coloro che fanno utilizzo delle
strategie proattive di coping tendono ad avere numerosi progetti nei vari ambiti della vita.
Il coping proattivo è un processo che si articola in cinque fasi:
- Riconoscimento del problema: richiede l'abilità di saperlo intravedere e dipende dalle
capacità valutative dell'individuo degli indizi negativi o preoccupanti.
- Valutazione iniziale del problema: inizia col porsi delle domande: di cosa si tratta? Che
cosa potrebbe accadere? Queste valutazioni portano l'attenzione sul potenziale evento
stressante o negativo, e dalla risposta viene data prendono avvio o meno gli sforzi per
evitarlo o minimizzarne l'impatto. Tale processo richiede un alto livello di attenzione che
con voglia molte delle risorse a scapito di altre. È importante in questa fase saper
collegare gli indizi e le possibili conseguenze.

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- Sforzi iniziali di gestione del potenziale evento critico: se la valutazione degli indizi
ha generato un senso di preoccupazione e di allarme, allora possono iniziare i primi
tentativi per neutralizzare l'evento prima che si verifichi. Diversi fattori possono incidere
sulla decisione di passare all'azione o meno (autoefficacia, locus of control interno)
- Valutazione degli effetti delle azioni ed eventuale loro modifica: dopo aver scelto la
strategia che riteniamo più efficace, cominciamo a vederne gli effetti. Potrebbe essere
utile richiedere valutazioni di esperti o conoscenti, pertanto è importante avere una
buona rete di supporto sociale
- Accumulo iniziale e conservazione successiva delle risorse: per poter attivare strategia
proattive è necessario disporre di risorse di varia natura: sociale, economica cognitiva e
temporale.

4° LIBRO: THE CREATIVE SELF – KARWOWSKY E KAUFMAN

20. Identità e creatività

Gli studiosi sono concordi nel definire la creatività come la “creazione di oggetti che sono
giudicati originali e utili”. Essa può essere intesa come un pensiero divergente, e si possono
utilizzare questionari per misurare il potenziale creativo. L’identità è, invece, costituita da
caratteristiche fisiche e psicologiche non condivise completamente con gli altri. Il termine
identità può riferirsi a molti aspetti: identità di sé, di genere, sociale, culturale.

21. Creative personal identity.

La creative personal identity è quella componente identitaria con cui gli adolescenti si
riferiscono quando danno importanza alla creatività nella definizione del sé. Tale
importanza è dovuta a esperienze e opportunità di espressione della propria creatività,
finalizzate al mantenimento di un’immagine positiva di sé.

22. Baptiste Barbot e lo sviluppo di identità

Durante l’adolescenza, molte risorse importanti per lo sviluppo sia dell’identità che della
creatività sono soggette a riorganizzazione, quindi, secondo Barbot, vi sono molteplici
aspetti nei quali tali processi si possono sovrapporre.
Ad esempio, gli intensi cambiamenti biologici, cognitivi e psicosociali che avvengono in
adolescenza hanno un impatto profondo sullo sviluppo sia della creatività che dell’identità,
in particolare conduce a una riorganizzazione della rappresentazione di sé.
Sul percorso per il raggiungimento dell’identità, gli adolescenti spesso sperimentano una
fase di moratoria, ovvero uno stato d’identità caratterizzato dall’impossibilità di
cristallizzare stabilmente un qualsiasi impegno (in accordo col pensiero di Marcia ed
Erikson). La moratoria si associa al Pensiero Divergente (DT, divergent thinking), centrale
nella creatività. Marcia descrive due altre configurazioni identitarie: il blocco di identità e
l’identità diffusa-evitante, che mostrano legami significativi con lo sviluppo della creatività.
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Ogni configurazione, infatti, si associa ad un insieme di caratteristiche cognitive che sono


diversamente correlate alla creatività. Lo sviluppo della creatività in adolescenza è
caratterizzato da “picchi e crolli”; questa fase è certamente caratterizzata dallo sviluppo del
funzionamento cognitivo, quindi anche del DT, che è una componente critica del potenziale
creativo. Con la parola “creatività” definiamo “l’abilità di produrre qualcosa di originale
entro un dominio specifico”. Metaforicamente, la formazione dell’identità potrebbe essere
vista come, appunto, un “lavoro originale”.
C’è una similarità, quindi, tra i processi di pensiero coinvolti nella formazione dell’identità
e quelli coinvolti nella creatività. Due processi di pensiero coinvolti nella creatività sono:
- pensiero divergente-di esplorazione (capacità di fornire soluzioni creative ai problemi)
- pensiero convergente-integrativo (combinare gli elementi in modi nuovi e originali)
Questi sono utilizzati nelle situazioni in cui l’individuo deve risolvere dei problemi in modo
creativo.
La formazione dell’identità può essere vista quindi come un processo creativo in cui
l’adolescente deve esplorare diverse alternative riguardo al proprio Sé e poi sintetizzare
elementi eterogenei al fine di elaborare un “prodotto integrato”, che sia da una parte nuovo
e dall’altra adattato al mondo sociale. Questa analogia ci aiuta a capire come alcuni processi
di pensiero possano essere sottostanti sia alla creatività che alla formazione identitaria.

23. Creative life design (il sé nel counseling psicologico)

Con “progetto” si intende uno stato-obiettivo per il Sé, che include intenzioni, la definizione
di un obiettivo e un riferimento ai mezzi per raggiungerlo.
Il progetto di vita è una luce-guida che organizza la traiettoria desiderata dall’individuo;
abbraccia diversi sotto-progetti, che possono essere più o meno coerenti e sviluppati o
frammentati. La definizione del proprio progetto, la risoluzione delle difficoltà incontrate
per raggiungerlo e una sua eventuale ridefinizione, possono essere considerate il principale
compito di problem solving in termini di sviluppo identitario di ognuno. Prima di dedicarsi
ai progetti, c’è un periodo in cui nell’infanzia si sviluppa la propria immaginazione, e la so
utilizza per figurarsi in alcuni ruoli, lavori o possibili sé. Si tratta di un periodo in cui le
rappresentazioni di sé si sviluppano senza alcuna fattibilità pratica: il progetto è esperito
come un gioco. Nella costruzione del progetto, si possono individuare 2 stadi:
1. L’esplorazione, in cui l’individuo crea un range di possibilità;
2. La decisione, dove alcune possibilità sono selezionate e ordinate per priorità;
Bisogna, però, aggiungere anche una terza fase:
3. Adattamento, in cui l’individuo adatta il proprio progetto in base ai feedback dell’ambiente
sociale.
Counseling relativo alla carriera
La globalizzazione e il processo tecnologico hanno cambiato drasticamente l’economia e le
relazioni; i percorsi di formazione e si carriera, sono ora più aperti e complessi. Alcuni dei
modelli usati nel counseling psicologico dal XX secolo, erano basati sull’adattamento
persona-ambiente; tale relazione implica un’interazione dinamica. Il legame tra individui
ed occupazione è stato studiato nell’ambito della Psicologia Differenziale, che si basa sulla
premessa per cui esiste una certa stabilità nelle personalità individuali. Essa prende in
considerazione le abilità, gli interessi e i valori.

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Domande e risposte Psicologia dello sviluppo: fattori di protezione e di rischio – prof.ssa Sica 
a.a. 2019/2020 – Aurora Parlati, Naomi Cipolla, Federica Tarsino 

Analizzando il legame tra occupazione e personalità, Holland ha proposto il modello


RIASEC, che si basa su due idee:
1. La scelta professionale è un’espressione della personalità globale
2. Il grado di accordo tra individuo e ambiente professionale ha implicazioni per il successo,
la stabilità e la soddisfazione di carriera

24. Articolo a scelta.

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Levinson -> Stagioni di transizione e stabilità
Havighurst -> Compiti di sviluppo
Elder -> Contesto storico nello sviluppo
Thomas e Chess -> Tratti temperamentali a 9 dimensioni
Rothbart -> Temperamento in 3 dimensioni
Hendry e Kloep -> Life Span Developmental Psychology
Baltes -> Life Span
Ford e Lerner -> Teoria dei sistemi dinamici/ contestualismo evolutivo
Bronfenbrenner -> Teoria dei sistemi
Valsiner -> Psicologia culturale
Schaffer -> Sè sociale
Marcia -> Stati identitari
Lyuck e Meeus ->
Stanley Hall -> Storm and Stress
Arnett -> Emerging Adulthood
Scherer -> Differenze nel mercato del lavoro

Baltes -> Ipotesi della causa comune


Perls -> Resistenza cognitiva all’invecchiamento dei centenari
Kliegel, Zimprich e Rott -> Modello della longevità cognitiva
Cattell -> Modello bifattoriale dell’intelligenza
Cornoldi -> Abilità di base influenzate da metacognizione, esperienza, cultura
Craik e Lockhart -> Teoria dei livelli di elaborazione
Jennings e Jacoby -> Teoria dei processi controllati e automatici
Piaget - teoria dello sviluppo cognitivo
Stanley Hall - trasformazione tessuto sociale ed economico (caratt. adolescenza)
Piaget - pensiero operatorio formale
Palmonari - 3 obiettivi adolescenza (corpo, identità, relazioni)
Livia Bacci - delay sindrome italiana
Arnett/Nelson e Berry - criteria for adulthood
Arnett - emerging adulthood
Erikson - moratoria psicosociale
Coté - capitale di identità
Coté - MAPS e ISRI
Marcia - passaggio da “one-who-is-given-to” a “one-who-is-given-to”
Marcia - modello dei quattro stati di identità
Bosma - commitment making e identification with commitment
Marcia - Identity Status Interview
Berzonsky - modello degli stili di identità (orient. all’informazione, normativo, diffuso
evitante)
Meeus e colleghi - modello tridimensionale del processo di formazione dell’identità
Luyckx - troubled diffusion e carefree diffusion
Meeus - due tipi di moratorium
Bruner - approccio narrativo
McLean e Syed - ego, personal e social identity (identity synthesis)
Habermas e Bluck - ragionamento autobiografico
Williams, Conway e Cohen - 3 funzioni della memoria autobiografica
Brockmeider - sei modelli temporali
McLean, Papupathi e Pals - modello socioculturale di sviluppo dell’identità narrativa
McAdams e McLean - Agency, Communion, Redemption, Contamination, Meaning
making, Exploratory narrative processing, Coherent positive resolution
Beyers - modello a 4 fattori (autonomia)
Sestito, Sica - due modalità relazionali genitori/figli adulti
Riva - le quattro generazioni dei nativi digitali
Kaveri e Smahel - le sei caratteristiche degli ambienti digitali
Smhael - virtual e online identity
Sica - quattro profili dell’identità virtuale
Kramer - pensiero post formale
Lamport, Commons e Ross - quattro fasi del pensiero post formale
Labouvie-Vief - pensiero paradigmatico
Dewey - pensiero riflessivo
Vygotskij - sviluppo potenziale
Markus e Nurius - sè possibili
Adams, Marshall, succ. Serafini - modello delle funzioni di identità
Sica - futuring
Meijers - identità vocazionale
Holland - Person-environment fit theory
Super - modello ‘’life span-life space’’; 5 fasi dello sviluppo di carriera
Porfeli - modello della vocational identity
Skorikov, Vondraceck - occupational identity status model
Brown, Kirpal e Rauner - caratteristiche delle identità occupazionali in Europa
Pennebaker - expressive writing
Sica e Sestito - SIOC
Coté - agency (internal locus of control, autostima, ego-strenght, purpose in life)
Williams - 8 fattori della creatività
Guildfors - pensiero convergente e divergente
De Bono - pensiero verticale e laterale

Gottlieb - La prospettiva epigenetica


Ford; Sameroff - Transazione individuo/con testo
Lerner - Interazione dinamica
Valsiner - quattro tipi di cambiamenti (interazione dinamica)
Baltes; Reese; Nesselroade; Lerner- Life-Span Development
Baltes; Reese - Prospettiva teorica sul concetto di età evolutiva
Smith: Baltes - Influenze contestuali sullo sviluppo
Hendry; Kloep - Modello delle sfide per lo sviluppo
Costa; McCrae - Tratti personalità Big Five- apertura alle esperienze
Kloep- Self-efficacy
Csikszentmihalyi - Flow
Fiske; Chiriboga - stress quotidianità e catalizzatori verso cambiamenti
Aldwin- stress e acquisizione di nuove abilità
Csikszentmihalyi - Cheating caos (eventi negativi trasformazione)
Elder- momenti di svolta dello sviluppo
Baltes; Reese, Lipsitt - mutamenti dello sviluppo (normative per età; storiche, non
normative)
Baltes - Ipotesi della dedifferenziazione
Craik; Lockhart - Teoria dei livelli di elaborazione
Jennings; Jacoby - Teoria dei processi automatici e controllati
Rabbit - Attenzione selettiva diminuisce
McDowd, Birren- Attenzione distribuita meno efficiente
Stokes - Funzione di vigilanza
Reyna - Teorie della doppia elaborazione
Abraham Maslow - Psicologia umanistica
Carl Rogers - Psicologia umanistica
Martin Seligman - PERMA
Savickas- Life-design Counselling
Sica; aleni Sestito- Counselling identitario
Savickas - Career construction
Cumming, Henry - teoria del disimpegno
Huvighurst - teoria dell’attività
Atchley - teoria della continuità
Rabbit - Attenzione selettiva diminuisce
McDowd, Birren - Attenzione distribuita è meno efficiente
Stokes - Funzione di vigilanza
Lawton - Vulnerabilità ambientale
Carstensen - teoria della selettività socioemozionale
Rosenthal, Gurney, Moore - EPSI Identity Scale
Berzonsky, Bosma, Meeus - Modelli processuali
Kegan - Approccio evolutivo costruttivista: la formazione dell’identità come ricerca di
senso
Bosma e Kunnen - Variabili e processi coinvolti nello sviluppo dell’identità
Grotevant - La centralità dell’esplorazione nel processo di formazione dell’identità
Luyckx - DIDS (strumento self report) Spacchettament o delle dimensioni originarie (4
fattori)
Meeus & Crocetti - UMICS (strumento selfreport) Modello parsimonioso trifattoriale
Luyckx - Stati Identitari
Schwartz, Coté, Arnett - Identity and agency

Piaget→ Sviluppo= processo di costruzione attivo e dialettico → Conflitto Cognitivo=


Assimilazione (aggiungo a strutture esistenti) Accomodamento (modifico strutture)
Equilibrazione
0-2 stadio sensomotorio
0-7 stadio preoperatorio (simbolo, linguaggio,ego)
7-11 delle operazioni concrete (deduzione)
11+ delle operazioni formali (problem solving)

Montessori→ quattro fasi fluide teoria stadiale


0-6 autocontrollo, interazione
6-12 piano cosmico
12-18 autonomia e coscienza di sé
18-24 obbiettivi personali in sociali

Levinson→ stagioni nella vita di un uomo: lunga fase di stabilità, periodo di transizione→
periodi ciclici

Havighurst→ compito di sviluppo: maturazione fisica, valori personali, richieste sociali→ 18,
prima età adulta 18-25, mezza età 35-60, 60

Bronfenbrenner→ Modello ecologico, Ecosistema= comunità biologica e il suo ambiente


fisico circostante (micro, meso, eso, macro)

Valsiner→ psicologia culturale dello sviluppo: filogenesi, genesi della cultura, ontogenesi,
microgenesi→ Ambiente: zona di libero movimento, di promozione dell'attività, di sviluppo
prossimale

Edler→ tempo storico e luogo, timing, vite collegate, agentività umana

Baltes→ life span developmental psychology, SOC


Teoria dei sistemi dinamici→ Kunnen, Thelen, Smith e Lerner. Sistema= insieme di
elementi interagenti tra loro e con gli altri ogni componente e sia un sistema in sé che un
elemento più grande. Autorganizzazione
Sviluppo: microgenetico (qui e ora), ontogenetico, filogenetico. Attrattore: abitudine, valore,
emozione, tratto… Effetto coorte

Lifespan model of developmental change: Henry e Kloep→ cambiamenti maturazionali,


sociali normativi e non normativi, sistema di risorse, sfida, rischio (sfide troppo estreme)
equilibrio tra sicurezza e noia: Stagnazione

Kagan: Temperamento= insieme di caratteristiche individuali innate derivati da l'eredità


biologica associate a processi neurofisiologici
Modello fisiologico unico: eccitabilità dell'amigdala (inibiti/disinibiti)

Chess e Thomas→ bambini: facili- difficili- di lenta attivazione→ Dimensioni: Livello di


attività, regolarità/ritmicità, avvicinamento/evitamento, adattabilità, soglia sensoriale,
intensità delle relazioni, qualità dell'umore, distraibilità,durata dell'attenzione.

Buss e Plomin→ eredità biologica: emotività, attività, socievolezza

Rothbart e Baltes→ 3 principali dimensioni del temperamento {risposte emotive,


orientamento attentivo, attività motoria, inibizione di fronte agli eventi/pers sconosciute}

Rothbart→ estroversione - affettività neg- capacità di controllo (autoregolazione)

Schaffer→ Genesi dell'identità: hp interazione con l'altro: da sé presibiotico o emergente

James: sé soggettivo, sé che conosce- sé oggettivo, ogg di conoscenza

Selman: autoriconoscersi, essere consapevole di sé, autovalutarsi→ immagine di sé


sempre + differenziata e concreta (differenziazione)

Natura Multidirezionale del sé→ consapevolezza di sé, concetto di sé, stima di sé (Harter:
global self worth)

Kountari e Hurry→ I giovani non raggiungono lo stesso status identitario in tutti i domini
dell'identità: globale, politica, religiosa, è professionale

Hall→ 2 volumi Adolescence


Csikzen e Larson→ metodo di campionamento dell'esperienza
Kloep e Hendry→ diverse categorie di assunzione del rischio: ricerca del brivido, ottenere
consenso da altri, Comp irresponsabili, perseguire obiettivo (rischio calcolato)
Steinberg→ risonanza magnetica: cervello adolescenti diverso adulti

Baumrid: stili genitoriali (autoritaria, permissiva, autorevole)


Negligente (Maccoby e Martin)
Effetto alone→ 1 caratteristica può influenzare pos il modo di percepire le altre
Golombok e Fivush: modelli di amicizia differenziati in base al genere
Kiva: programma evidence-based Vs bullismo
Ita: normativizzazione dell'apprendimento II°

Levinson→ forte tensione nell'avere 20 anni


Llod: EA nn chiarisce diff intraindividuali e interculturali
Piumatti e Rabaglietti: pos ma dipende te, pessimista e indip, fiducioso e indip
Sica: closed keepers/resolved, Travelers, Uninvolved, On the way, Big babies
Dariwale: schemi di convivenza: stile romantico consolidato, esplorativo
Offenhauer e Buchalter: violenza rel sentimentali tra adolescenti (10-40% cm adulti)

Coleman e Hendry→ più facile adattarsi se si affronta un problema alla volta


Masfield e Voda: mezza età bisogno di sessualità più sfumata
Brunt: siti di incontro
Programmi x insegnare la risoluzione dei conflitti (Hahlung e Richter)
Genitori: capacità genitoriali + felicità matrimonio
Cox→ sfide post nascita 1° figlio
Bures→ no figli - depressione
Stalin: stili genitoriali= risultato di interazioni
Lady: figli
Generazione sandwich: tra figli e genitori anziani
Carr: riflessione proprie aspirazioni > soddisfazione x chi li ha raggiunti

Genet: sistemi di assistenza domiciliare


Ageismo: pregiudizio età cronologica
Kloep e Hendry→ Individui attivi, Rifiutano il pensionamento, Non del tutto adattati,
Problemi
Bates: nonni e figli coinvolgimento e responsabilità= soddisfazione
Solitudine: fattori Socio-demografici, Circostanze materiali, Risorse sanitarie, Risorse
sociali, Eventi della vita
OMS: la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale non
semplicemente l'assenza di malattia o infermità.
Fiske e Chiriboga→ transizioni normative ambivalenti o positive, imprevisti=
sconvolgimento= cambiamento
Teorici sist dinamici→ Rothermud e Brandtstadter: 2 strategie o loro combinazione x
transizioni: Assimilazione o Accomodamento
Risorse per lo sviluppo: Apprendimento permanente (life-long learning) Autoefficacia,
Percezione soggettiva di salute, Supporto sociale
Chambers: 7 vizi capitali ricerca psicologica→ Distorsione, Manipolazione dati, Studi cn
scarsa rilevanza, Riluttanza a condividere, Frodi, Accesso chiuso, Osserv per criteri
Lerner→ scienza dello sviluppo applicata

Dall’Infanzia all’adolescenza.
Cap 1.
Life span developmental psychology: lo sviluppo ontogenetico è un processo che dura tutta la vita.
Stanley Hall: primo ad esplorare l’adolescenza
Piaget: pensiero operatorio formale->adolescenti; Pensiero post-formale->giovani adulti
Palmonari: 3 obiettivi che devono affrontare gli adolescenti-> ridefinire l’immagine del proprio corpo, pervenire a
una nuova identità, ridefinire le proprie relazioni
Livi Bacci: Mette a fuoco la delay sindrome italiana
Arnett e successivamente Nelson e Barry: raggruppano i Criteria for adolthood-> Indipendenza economica,
Interdipendenza, role transition, obbedienza alle norme, transizioni biologiche, transizioni cronologiche, capacità
familiari. Arnett aggiungerà anche i marcatori interni.
Strumento per valutare l’emerging adulthood: IDEA
Hendry e Kloepp: si oppongono all’ E.A. Arnett considera solo i mutamenti sociali ritengono che gli anni dai 20
ai 30 debbano essere considerati da un punto di vista processuale
Cote, Heinz, Marshall e Bynner: sottolineano che l’E.A. non rappresenti una risposta adeguata alle numerose
criticità.
Schoon e Schuldenberg: il modello di Arnett non tiene nella dovuta considerazione le condizioni sociali ed
economiche
Coté e Bynner: respingono l’ipotesi della libera scelta nel ritardo della transizione all’età adulta.
Coté: suggerisce che il passaggio all’età adulta possa essere affrontato più attivamente se i giovani investono un
capitale di risorse tangibili e intangibili, definite “capitale d’identità”.
Valutazione capitale d’identità: ISRI, MAPS

Cap 2.
Definizione di sviluppo per Erikson: è un processo epigenetico che si svolge lungo diversi stadi che coprono
tutta l’esistenza, ciascuno dei quali corrisponde a un peculiare conflitto o crisi che il soggetto deve risolvere per
poter accedere allo stadio successivo.
due tipi di cambiamento identitario: 1. evolutivo o a lungo termine; 2. fluido e di breve durata.
EPSI: strumento self-report nel quale la crisi di ciascuno stato (E.) è valutato tramite 12 item.
due dimensioni fondamentali postulate da Erikson: esplorazione e assunzione di impegni.
Bosma distinzione del commitment in due ulteriori articolazioni: 1. committment making, la misura in cui i
giovani hanno compiuto scelte rilevanti per il proprio sé; 2. identification with committment,
Kerpelman, Pittman e Lamke: la formazione e lo sviluppo dell’identità scaturiscono anche dalle valutazioni
dell’identità di ciascuno da parte di altri significativi nel corso delle interazioni quotidiane.
Berzonsky, modello degli stili di identità: evidenziando come ciascun soggetto possa adoperare differenti
strategie socio-cognitive. individua tre differenti “orientamenti personali” a. orientato all’informazione, b.
normativo, c. diffuso-evitante.
Kunnen: gli stili di identità possano cambiare nel corso del tempo
Meeus e colleghi modello tridimensionale del processo di formazione dell’identità, definito anche
“parsimonioso”: interpreta la dinamica processuale come fondata su tre dimensioni: a. assunzione di impegni,
b. esplorazione in profondità, c. riconsiderazione degli impegni assunti.
formazione dell’identità Marcia: basata su due dimensioni: l’esplorazione e l’impegno.
Luyckx e colleghi vi era la possibilità di integrare i modelli proposti da Bosma e Meuus.
Luyckx ha definito due nuovi tipi di diffusion: 1. troubled diffusion, 2. carefree diffusion.
Meeus ha individuato due tipi di moratorium: 1. il primo somiglia alla forma classica: è caratterizzato da
esplorazione e assenza di impegni, associandolo a elementi di ansia e bassi livelli di benessere; 2. searching
moratorium: nuovi impegni identitari senza aver ancora abbandonato quelli attuali
integrare e superare i limiti della proposta da Marcia: a. commitment making (assunzione dell’impegno); b.
identification with commitment (identificazione con l’impegno); c. exploration in depth (esplorazione in profondità);
d. exploration in breadth (esplorazione ampia).
Nelson e Barry: i rischi evolutivi (tradizionalmente ascritti all’adolescenza) possano intendersi come estesi
anche agli anni successivi.
Sestito, Sica, Ragozini: Solo una piccola parte di studenti universitari manifesta caratteristiche di identità
raggiunta o preclusa: la maggior parte si riconoscono negli altri due profili: identità diffusa e moratoria.

Cap 3.
Bruner: La narrazione autobiografica può considerarsi come un racconto interiorizzato e in evoluzione del Sé
che incorpora il passato ricostruito, il presente percepito e il futuro anticipato:
McLean e Syed: ego, personal e social identity (identity synthesis) rielaborazione delle identificazioni infantili
all’interno di una rappresentazione del sé attuale
ragionamento autobiografico, Habermas e Bluck: come “riflessione attiva sul proprio passato per individuare i
collegamenti significativi tra passati e presente”.
Williams, Conway e Cohen: 3 funzioni della memoria autobiografica a) Direttiva b) Sociale c) Identitaria:
mental time travel: il senso di sé soggettivo che perdura nel tempo.
Il risultato della sintesi tra passato, presente e futuro costituisce il “tempo autobiografico”
Brockmeider: sei modelli temporali lineare, ciclico, circolare, a spirale, statico e frammentario.
McAdams ipotesi sulla narrative identity: le autobiografie sono costruzioni in continuo mutamento (lifelong
process) che inseriscono la vita in un determinato contesto (hic et nunc).
il pensiero narrativo che consente di interconnettere quello che Bruner definisce: “scenario dell’azione”
con lo “scenario della coscienza”
Brockmeider: ogni storia nasce da un’organizzazione temporale degli eventi che attinge a tre tipi di memorie:
autobiografica, episodica e semantica.
McLean, Papupathi e Pals: modello socioculturale di sviluppo dell’identità narrativa
McAdams e McLean alcuni dei costrutti teorici più salienti, utilizzati ai fini della codifica degli account
narrativi: 1. Agency 2. Communion 3. Redemption 4. Contamination 5. Meaning making 6. Exploratory narrative
processing 7. Coherent positive resolution

Cap 4.
Beyers - modello a 4 fattori (autonomia): a. Connectedness; b. Separazione; c. Detachment; d. Agency:
modalità relazionali genitori-figli quasi adulti: “co-residenza adattiva e confortevole”, “co-abitazione
conflittuale”
a. Casual sexual relationships and experiences (CRSEs): Claxton e van Dulmen ->hookups, one-night stand,
friends with benefits, booty calls
b. Convivenza e stay over relationships.: relazioni a lungo termine con un partner stabile che implicano la
convivenza senza contemplare il matrimonio.
c. Relazioni stabili tradizionali: entusiast, delayers
Shulman e Connolly hanno ipotizzato il motivo di questo cambiamento nelle relazioni: instabiltà e
incertezza economica/lavorativa, amore e lavoro risultano compiti separati, non affrontabili insieme e spesso
opposti.
Riva: le quattro generazioni dei nativi digitali
Kaveri e Smahel - le sei caratteristiche degli ambienti digitali: 1. Disembodiment: 2. Anonimato: 3.
Comunicazione testuale 4. Self-disclosure 5. Uso di emoticon 6. Multitasking.
Smahel distingue tra: a. Virtual identity: identificazione e auto-presentazione su internet;
b. Online identity: insieme di idee, convinzioni che si attribuiscono al proprio sé online.
Sica - quattro profili dell’identità virtuale: 1. Curiosità ed esplorazione 2. Bisogno di appartenenza 3. Sé
potenziali 4. Effetto maschera

Cap 5.
pensiero post-formale: Detto anche pensiero “dialettico, si tratta della capacità della persona di comprendere e
coordinare molteplici prospettive e applicarle in modo adeguato.
Kramer, pensiero post-formale tre competenze:
a. la consapevolezza che la conoscenza e l’informazione sono illimitate ma relative;
b. l’accettazione di credenze paradossali;
c. l’integrazione di punti di vista contrastanti in un insieme di convinzioni personali.
Col “pensiero post-formale”: i giovani adulti sanno che alcune domande non hanno risposte o che queste, in
base al contesto, possono variare.
Lamport, Commons e Ross: strettamente legato alla società occidentale. individuano quattro fasi del pensiero
post-formale: 1. Stadio sistematico 2. Stadio meta-sistematico 3. Stadio paradigmatico 4. Stadio
cross-paradigmatico
Labouvie-Vief pensiero pragmatico: “disponibilità al compromesso, l’accettazione della realtà così
com’è, la consapevolezza della complessità del mondo”.
sviluppo potenziale e pensiero riflessivo: Come per l’area di sviluppo potenziale (Vygotskij), anche per lo
sviluppo del pensiero riflessivo esiste un livello base dato dall'età (livello funzionale) e un livello
raggiungibile attraverso il supporto dell’esperienza (livello ottimale).
“mental time travel”: La capacità di spostarsi cognitivamente su diversi livelli temporali
Markus e Nurius: sè possibili
“reminishing bump”: fenomeno che vede un “boom” di ricordi del periodo adolescenziale
Il modello delle funzioni dell’identità (Adams, Marshall, succ. Serafini): capacità che entrano in gioco
nell’orientamento al futuro. due sono quelle fondamentali:
1. obiettivi; 2. orientamento al futuro Serafini ne aggiunge successivamente altre tre:
3. struttura; 4. armonia; 5. controllo.
futuring (Sica): capacità di immaginare, considerare e fare progetti per l’avvenire. Due sono le componenti
fondamentali: 1.capacità di credere in se stessi; 2capacità di immaginarsi e proiettarsi nel futuro.
“la consapevolezza di sé stessi come lavoratori” (Skorikov, Vondraceck): Comprende due assunti: a. la
percezione soggettiva di interessi, abilità, obiettivi e valori inerenti la nostra occupazione; b. la consapevolezza
della propria identità occupazionale come a una complessa struttura di significati, in cui l’individuo coniuga
motivazioni e ruoli sociali.
career identity, Meijers: individua i processi alla base dell’identità occupazionale (external dialogue, internal
dialogue, esperienze, considerazioni degli altri significativi).
Holland - Person-environment fit theory: la formazione dell’identità vocazionale ha una matrice evolutiva e si
sviluppa a partire dall’infanzia,
Super - modello ‘’life span-life space’’; 5 fasi dello sviluppo di carriera: a. Fase di crescita; b. Fase di
esplorazione (fino ai 25 anni, le sotto-fasi sono: provvisoria, transizione, prova); c. Fase di stabilizzazione e
progresso (fino ai 45 anni); d. Fase di mantenimento (fino alla pensione); e. Fase di declino
Porfeli - modello della vocational identity: ritiene che siano tre i processi coinvolti in questa dinamica:
commitment, exploration, reconsideration.
Porfeli e colleghi hanno identificato sei stati d’identità vocazionale: achieved, searching moratorium,
moratorium, foreclosed, diffused, undifferentiated.
L’occupational identity status model (Skorikov, Vondraceck): considera gli impegni come assunti/non assunti
e l’esplorazione come limitata/attiva/completa. Di particolare interesse è l’introduzione di due tipologie di
achievement: dinamico o statico.
Brown, Kirpal e Rauner: job perspective: prospettiva occupazionale caratterizzata dalla mancanza di una
visione a lungo termine, career perspective: prospettiva in cui il giovane costruisce attivamente alla propria
identità occupazionale
(Sica, Sestito) mostrano che i giovani adulti italiani compiono una sorta di separazioni dei domini identitari
(relazionale/lavorativo).
Brown, Kirpal e Rauner: caratteristiche delle identità occupazionali in Europa
Pennebaker: expressive writing
Sica e Sestito: SIOC

Cap 6.
Felicità edonica: parte dalla concezione socratica di “bene” come elemento in grado di fornire piacere, fino a
identificare proprio il bene con il piacere.
Diener e Lucas dell’edonia: • Conseguimento della felicità; • Presenza di sentimenti positivi; • Evitare
sentimenti negativi; • Il provare soddisfazione per la propria vita.
Eudaimonia: fa coincidere la felicità con il bene. L’eudaimonia è intesa come un modo di vivere,
un’organizzazione dell’esistenza individuale in funzione di un’unica attività, di un fine ultimo.
Waterman, l’eudaimonia si struttura attraverso due processi che coinvolgono: 1. Elementi oggettivi: le
azioni di self-realization che si attuano per scoprire e mettere alla prova il proprio vero Sé (daimon) 2. Elementi
soggettivi: elementi di feeling personal expressiveness
Esperienziale (self costruction): il compimento del sé è un processo di costruzione continua di qualcosa che
non esiste in precedenza ma che si forma attraverso un continuo lavoro di scelte tra le alternative possibili
self-determination theory: il Sé rappresenta la tendenza evolutiva a crescere ed evolvere verso livelli sempre
maggiori di integrazione e organizzazione, costituendo quel processo di costruzione di sé che coincide con la
soddisfazione e la felicità.
Baumaister e Leary per compiere questa integrazione: è necessario ricevere l’energia dal soddisfacimento
dei bisogni di base, cioè competenza, autonomia e relazione.
sempre secondo B e L il processo di integrazione del sé: (quindi il benessere individuale), che include tre
dinamiche: 1. la motivazione intrinseca,; 2. l’internalizzazione di norme sociali in categorie individuali; 3.
l’adozione di valori che promuovono la crescita individuale
Waterman, il processo di raggiungimento dell’identità e il benessere eudaimonico coincidono in tre
processi: 1. Scoprire e sviluppare le proprie potenzialità (cioè il self-discovery della teoria eudaimonica); 2.
Individuare i propri obiettivi di vita;
3. Trovare le opportunità per implementare potenzialità e obiettivi.
Guildfors distingue il pensiero convergente dal pensiero divergente: tipico degli individui che propongono
soluzioni originali. La fluidità (ricchezza del flusso di idee), la flessibilità (la facilità con cui il pensiero passa da
un concetto all’altro), l’originalità
De Bono distingue: il pensiero verticale (della logica formale) da quello laterale (creativo)
Williams individua 8 fattori della creatività: di cui 4 riferiti alle componenti cognitivodivergenti (pensiero fluido,
pensiero flessibile, pensiero originale e pensiero elaborativo) e 4 emotivo-divergenti: 1. Disponibilità ad
assumersi rischi; 2. Complessità;
3. Curiosità; 4. Immaginazione:
Dollinger: giovani creativi sembrano essere quei giovani che hanno uno stile d’identità di tipo informativo
identity distrerss: si intende un vissuto legato al protrarsi di stati di incertezza e indefinizione.
5 strategie di fronteggiamento (identity coping strategies): Vengono identificate tre modalità che mostrano un
certo adattamento-> (identity problem solving), (developmental diffusion), (cultural adaptive diffusion) Le
due strategie che mostrano la loro inefficacia sono (negazione dei problemi), (fallimento nel fronteggiamento
di difficoltà e compiti di sviluppo, non c’è scelta identitaria).

Psicologia dell’invecchiamento e della longevità.

Cap 1.
l’età biologica: il numero di anni che una persona si aspetta di vivere in relazione alla funzionalità dei suoi
organi vitali;
L'età psicologica: l'età soggettiva che ognuno sente di avere e si riferisce a quanto bene una persona riesce a
utilizzare le proprie abilità cognitive, personali o sociali;
L'età sociale: è determinata dalla posizione sociale raggiunta a una data età rispetto alla media;
L’età funzionale: fa riferimento alle competenze che la persona mostra di avere mentre svolge specifici compiti.
classificazioni: giovani anziani 64-74 anni, anziani 75-85 anni, grandi vecchi 85-99 e centenari.

Cap 2.
Baltes e Lindenberg Ipotesi della causa comune: il legame tra processi sensoriali e cognizione diventa più
importante nell'età adulta avanzata compromettendo l'elaborazione e la codifica delle informazioni.
Cattell e Horn hanno distinto: 1. Le componenti fluide: ragionamento memoria pensiero astratto sono sensibili
all'età. 2. Le componenti cristallizzate: abilità legate alle esperienze accumulate che si mantengono alquanto
stabili con l'età.
Le variabili emotivo-motivazionali: giocherebbero un effetto protettivo sul declino cognitivo.
Casucci break down sessuale: l'anziano percepisce sé stesso come persona non sessuata con il rischio di
sviluppare problemi di autostima e insicurezza.
Blackswan: Il fenomeno dei centenari
Franceschi distingue tra: centenari di classe A (autonomi); di Classe C (non autonomi),
B (intermedia).
Gondo distingue: Centenari eccezionali; Centenari normali; Deboli ; Fragili
Evert: 1. centenari sopravvissuti (survivors) ai quali vengono diagnosticati una demenza o deficit cognitivi prima
degli 80, 2. ritardatari (delayers): deficit diagnosticati all'età di 80 o dopo, 3. fuggitivi (escapers): anziani che
hanno compiuto cent'anni sfuggendo alle trappole dell'invecchiamento senza diagnosi di demenza o disturbi
cognitivi alcuni.
Perls ipotizza: che centenari fuggitivi rappresentino un caso di resistenza cognitiva all'invecchiamento e ai tipici
disturbi che lo accompagnano.
Kliger, Zimprich e Rott modello di longevità cognitiva: livello di scolarità, attività intellettive pre e post 80,
variabili di personalità ed emotivo-motivazionali.

Cap 6.
Matrici progressive di Raven: Un test di intelligenza spesso utilizzato negli studi sull'invecchiamento è quello
delle
l QI verbale: restava stabile fino ai 70 anni
il QI di prestazione:(prove prevalentemente di intelligenza visuo-spaziale) diminuiva a partire dai 45 anni.
modello bifattoriale dell'intelligenza di Cattell [1963]: Il deterioramento differenziato delle abilità intellettive
intelligenza fluida (Gf):Tenderebbe a declinare con l'età.
intelligenza cristallizzata (Gc):rimane stabile con l'età
Baltes [1987]: parla di operazioni mentali di base legate alla biologia (mechanics of cognition) e di aspetti relati
alla cultura (pragmatics of cognition).
Le abilità che si fondano sulle operazioni mentali di base (componenti biologiche): subiscono un declino
precoce e rapido.
Le abilità che fanno riferimento alla componente pragmatica (componenti legate all’esperienza):il loro
declino comincerebbe in età molto avanzata.
Cornoldi modello di intelligenza: in cui le abilità di base sono gerarchicamente organizzate e influenzate da tre
ordini di fattori: metacognizione, esperienza e cultura.
Tulving e Schacter:
Memoria a breve temine Levi modificazioni
Memoria di lavoro attiva Chiara compromissione

Procedurale Non sensibile


Dichiarativa Chiara compromissione
Episodica semantica Lievi modificazioni

Autobiografica Lievi modificazioni


Prospettica Chiara compromissione

Le prove di priming sono di due tipi: priming percettivo (completamento di parole, identificazione di parole),
che si basano sull'analisi percettiva degli stimoli studiati.
priming concettuale o di produzione (associazione di parole), relate principalmente all'analisi del significato
dell'informazione target.
le prove di memoria implicita: meno sensibili all'età ma c’è una leggera differenza tra le due, sono state
riscontrate più compromissioni per il priming concettuale
Differenze di età molto più pronunciate: sono state evidenziate in prove di apprendimento associativo.
La memoria procedurale: misurata con prove di apprendimento procedurale e priming ripetitivo che non
richiedano un accesso consapevole delle informazioni, rimane invece sostanzialmente indenne all'avanzare
dell'età.
leopardismo o sensibilità alla memoria (memory sensitivity): La propensione a tenere vivi i propri ricordi .
misinformation effect [Loftus, Miller e Burns]: nel recupero dei ricordi legati a un evento, la presentazione di
un'informazione fuorviante interferisca in modo drastico sul ricordo dei dettagli legati all'evento stesso,
producendo delle cospicue distorsioni.
La memoria prospettica Gli studi distinguono tra: memoria prospettica basata sul tempo e quella basata sugli
eventi
Contenuti emotivamente salienti: sono ricordati meglio, limitando le difficoltà riscontrate dagli anziani in
memoria prospettica, persino in compiti di laboratorio.
«Paradosso dell'età in memoria prospettica>>: per indicare come l'artificiosità dei compiti utilizzati nel setting
sperimentale e la rilevanza dei contenuti possano agire aumentando o diminuendo la distanza tra il livello di
prestazione di giovani e anziani.
Waters e Caplan: trovarono che il livello di comprensione degli anziani era inferiore a quello dei giovani
all'aumentare della complessità sintattica.
La metacognizione: si riferisce ai processi che riflettono sull'attività cognitiva (si parla anche di conoscenza
metacognitiva) e ai processi che la controllano.
meno collegata ai meccanismi biologici la metacognizione: può risentire meno del calo cognitivo ed essere
comunque modificata, con la conseguenza di apportare notevoli benefici cognitivi.
La teoria dei livelli di elaborazione Craik e Lockhart: ipotizza che il mantenimento a lungo termine della
traccia mnestica sia in funzione della profondità dell'elaborazione
Teoria dell'elaborazione autoiniziata Craik: I processi autoiniziati comprendono attività di codifica finalizzate a
facilitare il recupero
Teoria dei processi automatici e controllati: Jennings e Jacoby [1993] suggerirono che la diminuzione
nell'invecchiamento nella prestazione cognitiva in compiti di memoria fosse legata a un deficit specifico di
processi controllati
procedura dissociativa dei processi (PDP)² : processi di recupero automatici e controllati che congiuntamente
e in maniera indipendente determinano la prestazione in ogni prova di memoria.
La distinzione fra processi automatici e controllati: si applica anche al momento della codifica
dell'informazione [Hasher e Zacks].
<<minaccia dello stereotipo»: l'anziano si sente minacciato quando è in gioco la sua memoria, del cui calo
sente parlare continuamente.
Laura Carstensen (Socioemotional Selectivity Theory): Negli anziani la prospettiva temporale è limitata e
quindi induce il passaggio da una motivazione a raccogliere più informazioni possibili a una volta a raggiungere
emozioni soddisfacenti.
L'approccio locale Kausler [1991]: cerca di identificare quali componenti dell'elaborazione delle informazioni
siano danneggiate dall'invecchiamento e come esse influiscano sulla prestazione.
L'approccio globale-macro Salthouse [1991a]: considerare l'invecchiamento il risultato di una modificazione
nelle risorse mentali a disposizione per elaborare le informazioni e non un'alterazione di processi cognitivi
specifici.
(processing speed): rapidità con cui vengono iniziate e condotte operazioni cognitive elementari.
Useful Field of View (UFOV): è l'area visiva entro la quale gli stimoli possono essere riconosciuti e localizzati
senza che la persona muova gli occhi o la testa.
Salthouse [1996]: propone due meccanismi che potrebbero spiegare la relazione tra velocità e cognizione: il
meccanismo del tempo limitato; il meccanismo di simultaneità.
Rogers [2000]: fornisce una classica distinzione fra tipi diversi di attenzione e ne illustra la diversa sensibilità
all'invecchiamento.

Tipo di attenzione Sensibilità


Selettiva (richiesta nello scegliere e fissarsi sull'informazione appropriata) Dipende dai compiti

Focalizzata (impegnata quando ci si concentra su una determinata attività) Bassa

Divisa tra due compiti (prestare attenzione concomitantemente a due cose diverse) Dipende dai compiti

Mantenuta (si mantiene a lungo la concentrazione su un’attività) Bassa

Switching (si deve spostare rapidamente l'attenzione da un’informazione a un'altra) Dipende dai compiti

Fenomeno del mind wandering: spostamento dell'attenzione dall'ambiente esterno a sensazioni interne o
rappresentazioni mentali associate.
La teoria del controllo vede il mind wandering come causato dalla mancata inibizione di stimoli interni ed esterni
generati in modo automatico e continuo che vanno a sovraccaricare la memoria di lavoro portando a un
peggioramento della prestazione.Non è stato evidenziato un aumento del mind wandering nell'invecchiamento.
L'inibizione è un processo che consente di mantenere l'attenzione su stimoli specifici, resistendo all'interferenza
provocata da distrattori endogeni o esogeni. Il ruolo dell'inibizione è soprattutto legato al controllo esercitato sui
contenuti temporanei della memoria di lavoro
Il controllo secondo Bjorklund e Harnisheger [1995]: avverrebbe «sopprimendo contenuti precedentemente
attivati, eliminando azioni irrilevanti, e resistendo all'interferenza di processi che potenzialmente possono
catturare l'attenzione»>.
La funzione dell'attenzione, secondo Baddeley [1986], non è dissociabile dalla funzione della memoria di
lavoro, in quanto implica, nella gestione di informazioni mantenute in un sistema temporaneo di memoria,
resistenza alla distrazione e all'interferenza.
La teoria dell'inibizione nell'invecchiamento cognitivo: la prestazione cognitiva degli anziani sarebbe
influenzata da una maggiore difficoltà a selezionare le rappresentazioni appropriate per i fini dell'attività da
svolgere e a inibire le rappresentazioni percettive, mnestiche e le risposte non pertinenti dell'attività.

Hasher e Zacks attribuiscono al controllo inibitorio tre funzioni: Accesso: inibizione del distrattore al
momento della codifica, compito: Negative priming. Soppressione: soppressione di informazioni
precedentemente pertinenti per il compito ma che non lo sono più. Per misurarla i compiti prevedono un Oblio
diretto e un’Interferenza proattiva Restrizione: controllo dell'interferenza causata da stimoli in competizione che
richiedono l'inibizione di informazioni dominanti attraverso i compiti di Stroop colore e Hayling test o
completamento di frasi. Riguarda anche l'inibizione comportamentale, quindi la soppressione controllata di una
risposta motoria automatica pronta per essere eseguita esaminabile attraverso i compiti Go/no go. Infine riguarda
l'inibizione oculo-motoria quindi l'inibizione controllata di un movimento di riflesso il compito per valutarla e
l’Antisaccade.
Robert e colleghi [2009] hanno confrontato i diversi tipi di errori di intrusione: che possono essere fatti
distinguendoli in: intrusioni di liste precedenti (parole ricordate-target o non target-di liste precedenti), intrusioni
non finali (parole non finali dello stesso trial) invenzioni (parole non presenti nella prova).
Robert e colleghi [2009] hanno confrontato i diversi tipi di errori di intrusione che possono essere fatti
distinguendoli in:
intrusioni di liste precedenti (parole ricordate-target o non target-di liste precedenti),
intrusioni non finali (parole non finali dello stesso trial)
invenzioni (parole non presenti nella prova).
Friedman e Miyake [2004], : gli anziani siano più suscettibili alle informazioni irrilevanti, ma che non abbiano
meccanismi inibitori meno efficienti.
Borella, Carretti e De Beni [2008] adottando la prospettiva dell'arco di vita. L'andamento dell'inibizione nell'arco
della vita è emerso non essere lineare ma quadratico: l'efficacia dell'inibizione non ha un declino lineare in
quanto rimane stabile dai 20 ai 60 anni per poi subire una diminuzione, che appare più pronunciata per il gruppo
di età con più di 70 anni.
Hasher e Zacks [1988] propongono l'ipotesi del declino dell'inibizione nell'invecchiamento come fattore
responsabile della bassa prestazione che gli anziani ottengono in varie prove cognitive.
Il costrutto di memoria di lavoro (MdL), sistematizzato da Baddeley e Hitch [1974], si riferisce alle
operazioni utilizzate per immagazzinare temporaneamente le informazioni anche al fine di elaborarle per
l'esecuzione di altri compiti.
Per Engle, Kane e Tuholski riguarda l'abilità di utilizzare una componente attentiva/esecutiva: che
mantiene attive in memoria solo le informazioni rilevanti per raggiungere un obiettivo, sopprimendo quelle
irrilevanti e/o interferenti
Nel modello di Baddeley è composta dai seguenti sistemi: il loop fonologico il taccuino visuo-spaziale il
buffer episodico, l'esecutivo centrale,
Miyake e Shah [1999], sintetizzando le differenti prospettive di memoria di lavoro: La capacità della MdL è di
natura limitata e tali limiti sono influenzati, dalla quantità di risorse disponibili, dal decadimento della traccia
mnestica, dalla suscettibilità all'interferenza e dalla velocità di elaborazione.
Baltes, alcuni dei cambiamenti che si verificano con l'età possono anche avere una valenza adattativa.

CAP 8
EMOZIONI, MOTIVAZIONI E PERSONALITÀ NELL'INVECCHIAMENTO ATTIVO
I processi di elaborazione emotiva non subiscano un declino e possano persino migliorare
«paradosso dell'invecchiamento»

1.1. Approcci teorici allo studio dell'elaborazione emotiva


Nella letteratura sull'elaborazione emotiva nell'invecchiamento sono stati proposti tre grandi
approcci teorici.
L'approccio delle emozioni differenziali (Differential Emotions Theory, DET) sostiene che
le emozioni diventano sempre più complesse in età avanzata a causa di un maggior numero
di rielaborazioni cognitive che mettono in relazione le diverse emozioni tra di loro.
L'approccio dell'integrazione dinamica (Dynamic Integration Theory, DIT) afferma che la
capacità di integrare aspetti cognitivi con le esperienze affettive aumenta con l'età.
L'approccio teorico più influente sullo sviluppo emotivo nell'invecchiamento è quello della
teoria della selettività socioemotiva (Socioemotional Selectivity Theory, SST). Questo
approccio sostiene che gli anziani danno priorità agli obiettivi emotivi in misura maggiore
rispetto ai giovani, con implicazioni importanti anche nei compiti cognitivi.
La teoria della selettività socioemotiva (Socioemotional Selectivity Theory, SST) di
Carstensen [1992] prevede una selettività nelle scelte e nelle relazioni sociali all'aumentare
dell'età finalizzata alla soddisfazione emotiva. I punti principali sono tre.
Gli obiettivi che guidano le nostre azioni, e il nostro comportamento in generale,
possono essere classificati in due grandi gruppi.
Gli obiettivi conoscitivi: si basano sull'osservazione, l'esplorazione, la ricerca
e l'acquisizione di informazioni, definiti «di apprendimento» o “di
preparazione”, in quanto spingono ad acquisire nuove conoscenze per
preparsi al futuro. Le relazioni sociali vengono considerate il mezzo principale
di acquisizione di nuove conoscenze
Gli obiettivi emotivi (o di soddisfazione emotiva): si riferiscono alla capacità di

regolare i propri stati emotivi nel presente. La percezione del tempo influenza
la natura degli obiettivi che perseguiamo.
Essendo più orientati al presente e meno preoccupati per il futuro, la
focalizzazione sugli aspetti emotivi rappresenta per gli anziani una certezza.
Questa forma di controllo emotivo viene definita «regolazione emotiva
focalizzata sull'antecedente», e si riferisce alla capacità di evitare
proattivamente gli stati emotivi negativi attraverso la regolazione delle
relazioni sociali.
Un'altra modalità per regolare gli stati emotivi è quella della “riduzione dell'anticipazione
della negatività”

1.2. L'effetto positività: dai dati comportamentali a quelli di neuroimmagine


All'aumentare dell'età assistiamo a uno spostamento di interesse verso gli aspetti positivi di
un evento; Il dato è stato definito effetto positività [Carstensen e Mikels 2005] Non tutti gli
anziani palesano l'effetto positività (es: studio di Mammarella).
Modello di regolazione delle emozioni elaborato da Mather e Knight [2005]evidenzia
come con l'avanzare dell'età aumentino pure gli obiettivi emozionali degli anziani e
soprattutto quelli positivi, anche se questo processo di regolazione necessità di grandi
risorse cognitive.
Il controllo cognitivo è cruciale per la generazione dell'effetto positività: solo gli anziani che
ottengono prestazioni elevate nei compiti di controllo cognitivo (per esempio inibire le
informazioni negative) sono in grado di soddisfare meglio i propri obiettivi di regolazione
delle emozioni e mostrano quindi un effetto positività in memoria più marcato. L'impatto delle
emozioni positive sui processi cognitivi dipende da un processo di modulazione
neurofisiologica operata dall'amigdala. Secondo questa ipotesi gli eventi emotivi in generale,
e quelli positivi in particolare, vengono ricordati meglio in quanto i processi di formazione e
recupero di un ricordo (ippocampo e corteccia prefrontale) vengono modulati dall'attività
dell'amigdala che è meno soggetta al processo di invecchiamento.
Gli studi recenti di psicologia delle emozioni nell'invecchiamento evidenziano come gli
anziani rielaborino i loro eventi dando una via preferenziale alle emozioni.

2. ASPETTI MOTIVAZIONALI NELL'INVECCHIAMENTO


Ci sono pensieri e ambienti che inducono demotivazione, ovvero portano a rinunciare, a
evitare, a non cimentarsi, anziché a essere propositivi, attivi, pronti ad agire.

2.1. È perché sono vecchio


Quotidianamente viviamo successi e insuccessi e con altrettanta frequenza ci chiediamo la
ragione. Questo tipo di riflessione conduce allo stile attributivo, ovvero ad attribuire i nostri
e gli altrui risultati all'una o all'altra causa. L'impotenza appresa [Abramson, Seligman e
Teasdale]: si impara a essere impotenti, a non poterci fare nulla, per effetto di insuccessi
ripetuti nel tempo, ma soprattutto attribuiti alla mancanza di abilità e.
comunque a cause interne (dipende da me) e stabili (sarà sempre così).
Studi condotti per confrontare lo stile attributivo di giovani e di anziani hanno dimostrato che
gli anziani tendono più dei giovani ad attribuire a cause stabili (non sono portato, i compiti e
le

situazioni sono troppo difficili per me...). Uno di questi riguarda i compiti di memoria per cui
si ritiene (e l'anziano crede) che ogni dimenticanza sia da imputare all'età: «dimentico
perché sono vecchio»>.
Ryan e Deci risulta efficace e motivante agire attraverso modalità supportive dell'autonomia,
che fanno sentire cared (mi interesso di te, ci tengo che tu riesca, confido che ce la farai),
competente (ti faccio provare mostrandoti che puoi riuscire) e autonomo (ti consento di
scegliere nell'ambito dei compiti in cui ti sei sentito competente). Gli ambienti supportivi
dell'autonomia sostengono pensieri motivanti.
2.2. Chi me lo fa fare?
Secondo il modello motivazionale di Eccles [1983] la motivazione è il prodotto di due fattori:
le aspettative e i valori. Le aspettative riguardano il credere di riuscire, i valori il voler
riuscire. A definire il valore vi sono quattro distinti aspetti, tre addittivi e uno sottrattivo.
gli obiettivi a lungo termine,
le emozioni anticipate
la percezione di utilità
L'elemento sottrattivo è il costo: il gioco vale la candela?
Hess engagement (coinvolgimento o impegno), ha rilevato come nell'anziano il costo inteso
come fatica fisica e dispendio energetico sia maggiore che nel giovane e come, di
conseguenza, il bilancio costo/beneficio porti con maggiore probabilità a rinunciare.
2.3. Gli ambienti demotivanti
I pensieri possono demotivare, ma anche l'ambiente gioca un ruolo determinante andando a
incidere sulle attribuzioni, sulla soddisfazione dei principali bisogni e sui valori.

2.3.1. La minaccia dello stereotipo


La <<minaccia>> dello stereotipo: si teme di dimostrarsi come gli altri credono, e mossi da
questo timore si rischia davvero di fare peggio.
Pensare a sé stessi come <<vecchi» e convincersi che con l'età c'è un inevitabile declino
diventa una profezia che si autoavvera.

2.3.2. Sostituirsi
Il sostituirsi in taluni casi è mosso dal confronto con gli altri, di solito con persone più
competenti o più giovani, e quindi dal riferimento a standard normativi, anziché a obiettivi
personali, calibrati sulle capacità già possedute e da eventualmente migliorare. Fra le
condizioni ambientali potenzialmente demotivanti vi sono i feedback, ovvero quei messaggi
che volutamente o a volte anche spontaneamente vengono a rafforzare un risultato o un
impegno. Fra questi Dweck [2000] ha distinto quelli sulla persona e quelli sul compito. I
feedback sulla persona, del tipo <<sei bravo»>favoriscono la motivazione e riducono la
tendenza a evitare compiti e situazioni.

3. MOTIVARSI E MOTIVARE
3.1. La percezione di controllo
Un aspetto importante è la percezione di controllo, ovvero il sentire che si sta
padroneggiando la situazione e si è protagonisti.

Quindi anche se l'anziano vive in un ambiente per molti aspetti controllato da altri, il fatto di
poter esercitare il controllo anche su un singolo aspetto favorisce il benessere, perché fa
sentire «utili» e «con uno scopo»>.
Il benessere e la soddisfazione sembrano dipendere non tanto da quanto controllo è
oggettivamente possibile esercitare, ma dal rapporto fra attesa di controllo esercitabile e
controllo effettivamente esercitato da sé.
Heckhausen teoria definita «ottimizzazione del controllo»>, secondo la quale gli anziani,
con il passare del tempo, selezionano le attività in cui dispiegare i loro sforzi, indirizzandosi
verso ambiti in cui il successo è più probabile, ovvero che percepiscono come controllabili,
sentendosi capaci di affrontare la situazione.

3.2. L'esercizio del controllo


Sostenere l'autoefficacia l'autoefficacia consiste nel credere, posti davanti a un compito o
una situazione, di riuscire [Bandura]. vedere altri con cui ci si identifica che riescono (tecnica
del modeling), convincersi di riuscire e, infine, gestire le eventuali emozioni negative che
insorgono nell'eseguire il compito, in particolare l'ansia che, in molte situazioni, incide
negativamente sui processi e sui risultati.
I risultati hanno mostrato che anche dopo una sola singola esperienza di successo in un
compito cognitivo simile a quello proposto, i partecipanti ricordavano di più e dichiaravano di
essere meno ansiosi.
Un'altra modalità pratica e facilmente spendibile per sostenere l'autoefficacia si riferisce allo
stabilire degli obiettivi, che, scelti da sé e portati avanti da sé, consentono l'esercizio del
controllo e quindi dell'autoefficacia.

3.2.2. Contrastare gli stereotipi


Gli stereotipi costituiscono una minaccia: tendono a demotivare al compito e contribuiscono
a una riduzione
della prestazione. Esistono però delle strategie per contrastarli.
distanziarsi, sentirsi diversi dal gruppo degli anziani: l'effetto «io non sono come quei
vecchi là».
autoaffermarsi, richiamare qualità positive di sé e ricordarsi della propria competenza
in certi ambiti in cui si riesce bene per poi affrontare il compito oggetto di stereotipo
negativo con maggiore fiducia in sé.

3.2.3. Scegliere e percepire le possibilità di scelta come opportunità


L'ambiente che sostiene e promuove l'autonomia è motivante. Conta però che questo
sostegno all'autonomia venga percepito dall'anziano. Se è così, si innesca un processo che
porta a un aumento della motivazione autodeterminata e al benessere.

4. LA PERSONALITÀ NELL'INVECCHIAMENTO
Personalità = complesso insieme dei sistemi psicologici che contribuiscono all'unità e alla
continuità della condotta e dell'esperienza individuali, sia come viene espresso sia come
viene percepito dall'individuo e dagli altri. È un costrutto complesso, che analizza come

vediamo gli altri, come gli altri vedono noi stessi e come noi vediamo noi stessi.

4.1. Com'è misurata la personalità


Da una parte si possono confrontare le dimensioni della personalità tra gruppi di individui
(approccio nomotetico) con l'obiettivo di analizzare le caratteristiche valide per tutti gli
individui; dall'altra si possono analizzare le dimensioni caratteristiche di un determinato
individuo (approccio idiografico) con l'obiettivo di individuare l'unicità della persona e della
sua esperienza [De Beni].
Gli strumenti maggiormente utilizzati sono le interviste o gli inventari di personalità,
questionari autovalutativi che richiedono alla persona di indicare il suo grado di accordo con
una serie di affermazioni che descrivono caratteristiche individuali. Possono essere utilizzate
anche misure proiettive o l'osservazione del comportamento. Nell'ambito dello studio della
personalità possono essere utilizzati sia studi trasversali che studi longitudinali

4.2. Lo studio della personalità nell'invecchiamento


La ricerca nel campo della personalità e dell'invecchiamento si è sviluppata a partire dalla
concettualizzazione di stadio, la quale sottolineava come ogni fase della vita avesse un
cambiamento di personalità caratteristico. Successivamente, la ricerca ha posto l'accento
sulla stabilità della personalità nel tempo, attraverso l'individuazione e la misurazione dei
tratti di personalità a diverse età. Recentemente le prospettive di ricerca cercano di
individuare gli aspetti di continuità nella personalità attraverso basi teoriche
supportate da evidenze empiriche.

4.2.1. I modelli a stadi


I modelli a stadi suddividono il ciclo di vita in periodi tipici nei quali la personalità si sviluppa
e cambia. A ogni stadio, alcuni tratti e alcune caratteristiche saranno predominanti per quel
periodo di vita.

Jung allievo di Freud e psichiatra svizzero, nella sua teoria degli stadi, ha proposto che lo
sviluppo della personalità continuasse anche nell'età adulta, dove alle persone è richiesto di
bilanciare i vari aspetti del Sé in base sia alle richieste dell'ambiente sia ai propri bisogni. I
bisogni sono diversi a seconda delle diverse età della vita: nella prima metà del ciclo di vita
sono di tipo biologico e sociale, mentre nella seconda parte sono culturali e spirituali. Jung
propose che lo sviluppo della personalità fosse collegato a due dimensioni:
l'estroversione/introversione con il passare dell'età si osserva il passaggio dall'estroversione,
tipica dei giovani, all'introversione, tipica degli anziani.
la mascolinità/femminilità nella giovane età, la differenza tra mascolinità e femminilità è
molto marcata, mentre nell'invecchiamento la pressione a comportarsi come definito dal
ruolo di genere diminuisce.
Robert Peck [1956] descrisse gli stadi della personalità nell'età anziana individuando tre
aggiustamenti che devono essere compiuti per raggiungere l’integrità dell'Io.
differenziazione dell'Io vs. preoccupazione per il proprio ruolo lavorativo

avendo un insieme variegato di ruoli, non sarà strettamente dipendente dal ruolo
lavorativo, che in questo periodo di vita, con il pensionamento, necessita di essere
ridefinito.
trascendenza vs. preoccupazione per il corpo è richiesto all'anziano di
apprezzare la propria vita, indipendentemente dalle minori capacità fisiche e dalle
maggiori imperfezioni estetiche, senza dare importanza all'apparenza del corpo.
trascendenza vs. preoccupazione per sé stessi l'adattamento richiesto è quello
di raggiungere la consapevolezza che la vita non è infinita e che il focus deve essere
spostato dai propri bisogni a quelli delle generazioni successive.
Gli anziani che raggiungono l'integrità dell'Io potrebbero beneficiare di un migliore
benessere, avendo raggiunto la consapevolezza che la vita non è infinita e accettando la
propria vita per quella che è. Gli interventi di reminescenza (life review), inizialmente
scoraggiati nell'invecchiamento [Butler], si sono dimostrati di grande aiuto per un
invecchiamento di successo [Haight, Michel e Hendrix].
Dimensioni e tratti di personalità
Grazie a uno studio longitudinale (The Baltimore Longitudinal Study) cominciato negli
anni Sessanta, si è potuto seguire un grande numero di persone nel tempo, esaminandone
la personalità.
Costa e McCrae [1992a; 1992b], facenti parte del progetto, analizzarono le risposte a due
inventari di personalità compilati da persone dai 20 agli 80 anni, il Cattell 16PF e il
questionario Guilford-Zimmerman sul temperamento. Grazie a questi dati proposero il
modello dei cinque fattori di personalità:
il nevroticismo,
l'estroversione,
l'apertura mentale,
l'amabilità
la coscienziosità (Big Five).
A partire da questo modello, svilupparono un questionario autovalutativo formato da 240
item volti a indagare sei diversi tratti all'interno di ognuno dei cinque fattori. Grazie alle
raccolte dati successive dello studio longitudinale, si è visto che i cinque fattori di personalità
si mantenevano consistenti nel tempo.
Per quanto riguarda l'analisi degli altri Big Five nell'invecchiamento, Mroczek, Spiro e Griffin
[2006] trovarono che a una bassa coscienziosità è associata una mortalità precoce.

4.3. Le attuali ricerche in psicologia della personalità e invecchiamento


Le ricerche sui tratti di personalità nell'invecchiamento si concentravano, sulla stabilità della
personalità nel tempo. Negli ultimi decenni si è preferito adottare un approccio meno rigido,
parlando di continuità della personalità, per la quale la personalità è capace di mantenere
determinate caratteristiche nel tempo pur essendo in grado di svilupparsi e modificarsi.
Roberts, Helson e Klohnen [2002], usando dati raccolti in trent'anni grazie al Mills
Longitudinal Study condotto su sole donne, hanno dimostrato un decremento
dell'impulsività e un incremento della tolleranza per le diversità e per i fallimenti, nel

passaggio ai cinquant'anni. In uno studio successivo hanno osservato inoltre un


cambiamento anche nell'emozionalità e nelle difese in questa fase della vita.
Small e colleghi [2003], con i dati del Victoria Longitudinal Study, hanno seguito
cinquantenni e anziani per un periodo di sei anni. Usando il modello dei Big Five hanno
documentato una struttura fattoriale invariante nel tempo, ma hanno anche dimostrato
differenze significative interindividuali nel cambiamento della personalità.
Con l'età, infatti, sono risultati aumentare alcuni aspetti dell'estroversione, come la
dominanza sociale, la coscienziosità e la stabilità emotiva, mentre la vitalità, che è un altro
aspetto dell'estroversione, e l'apertura mentale decrementano con l'invecchiamento. Questi
risultati descrivono un cambiamento normativo, che coinvolge cioè la maggior parte delle
persone in uno specifico periodo del corso di vita.

5. IL «COPING» NELL'INVECCHIAMENTO
Secondo Aldwin e colleghi [1996] in tarda età si assiste al passaggio da uno stress di tipo
episodico, più tipico dell'età adulta, a stress cronici che possono influenzare i processi di
coping, ossia la capacità di risolvere i problemi.
Diehl, Coyle e Labouvie-Vief [1996] hanno trovato che gli anziani usano una combinazione
di strategie di «coping» focalizzate sulla regolazione delle emozioni e sulla maggiore
accettazione del proprio stato, come controllo e soluzione degli eventi stressanti, naturale
conseguenza dell'avanzare dell'età. In questa diversa
modalità di affrontare lo stress la persona anziana si mostra più resiliente, con maggiori
capacità di adattamento alle situazioni di avversità.
Secondo Rotter [1966] il locus of control è definito su un continuum che va da interno a
esterno.
Gatz e Karel [1993] dimostrarono che non c'è evidenza di un declino del locus of contol
interno all'avanzare dell'età, ma sono i giovani che credono che gli anziani abbiano un
maggiore locus of control, percezione che non corrisponde alle sensazioni riportate dagli
anziani stessi.

CAP 9
INVECCHIAMENTO DI SUCCESSO, VIVERE A LUNGO, VIVERE BENE
È possibile «invecchiare bene» (succesful aging), individuando e utilizzando in modo
flessibile il potenziale personale costituito dalle riserve cognitive, emotive, fisiche, personali
e di relazione nelle molteplici circostanze della quotidianità.
Nella sua metateoria dello sviluppo Baltes definisce e spiega tre componenti fondamentali
che influiscono in modo determinante nella crescita individuale:
Selezione scelta dell'individuo di definire obiettivi per raggiungere un alto livello di
funzionamento, nei limiti imposti dalle risorse biologiche e ambientali disponibili.
Ottimizzazione le risorse personali e sociali disponibili vengono adoperate in modo ottimale,
per elaborare e perfezionare i mezzi a disposizione al fine di raggiungere gli obiettivi
proposti. Con l'avanzare dell'età, infatti, è possibile ottimizzare le proprie risorse ricorrendo
ad ausili e adeguate strategie di supporto.
Compensazione lo sviluppo di adeguate strategie in grado di sopperire alle perdite,

utilizzando risorse residue, personali, cognitive, affettive o sociali.


Il SOC (selezione, compensazione e ottimizzazione) permette il mantenimento di adeguati
livelli di funzionamento
Von Faber considera l'invecchiare con successo un continuum di adattamenti a molteplici
situazioni.
All’interno di un modello di riferimento qualitativo l'invecchiamento di successo non può
essere scisso dal benessere; la chiave di congiunzione risiede nell'adattamento che le
persone attuano nei confronti dei cambiamenti, e che diviene motore principale per una
costruzione positiva dell'invecchiamento stesso.

2. BENESSERE E INVECCHIAMENTO
Lo studio del benessere psicologico è piuttosto recente. Esso trova spazio solo a partire
dagli anni Novanta, con l'emergere della psicologia positiva. Anni 60 le opere di Maslow,
Rogers, Allport e degli altri psicologi umanisti gettano le fondamenta per la nascita della
psicologia positiva, spostando l'attenzione su aspetti quali
la salute degli individui e i loro bisogni,
caratteristiche positive della personalità.
Anni 80 con le opere di Seligman (padre della psicologia positiva) che diventano oggetto di
studio le forze e le virtù degli individui, le loro qualità positive, la felicità e il benessere
psicologico.
Seligman e Csikszentmihalyi prima degli anni Ottanta gli psicologi poco sapevano rispetto
a come gli individui si comportano in circostanze di vita benevole e come sia possibile
«costruire» qualità positive personali. La psicologia positiva è invece maggiormente
interessata a come è possibile «amplificare» e «nutrire» quegli aspetti che ci permettono di
essere più forti dinanzi alle tempeste della vita e che possono spingerci a cambiare in
meglio.
In psicologia positiva si distinguono:
benessere soggettivo (subjective well-being)[Kahneman, Diener e Schwarz; Eid e Larsen]
o edonico. il bene è identificabile con il piacere, dal greco edoné, su quest'ultimo, inteso
come godimento di tutti i beni della vita, si basa la definizione di benessere soggettivo
benessere psicologico (psychological well-being)[Ryan e Deci; Ryff; e Keyes] o
eudaimonico. L'eudemonismo può essere definito come dottrina morale che ripone il bene
nella felicità. Il benessere psicologico abbraccia la soddisfazione personale e un percorso di
sviluppo verso l'integrazione dell'individuo con il mondo circostante [Nussbaum].
Seppure storicamente studiati come aspetti separati, benessere edonico ed eudaimonico,
possono essere integrati: Kashdan, Biswas-Diener e King [2008], per esempio, parlano di
due distinte linee di ricerca sull'argomento ma non di due tipi di benessere.

Gallagher, Lopez e Preacher [2009], modello di benessere psicologico a 14 componenti,


aggregabili nei 3 fattori suddetti.

Il modello multicomponenziale di Carol Ryff identifica, nell'accezione eudaimonica del


benessere psicologico, 6 fattori principali che concorrono a determinarlo. Questi sono:

autoaccettazione: riconoscere e accettare le proprie qualità sia positive sia negative


e avere sentimenti positivi per la vita;
crescita personale: vedere sé stessi in continuo sviluppo, avere apertura nei confronti
delle esperienze, sentire di realizzare le proprie potenzialità;
relazioni positive con gli altri: avere relazioni interpersonali soddisfacenti e
caratterizzate da fiducia reciproca;
autonomia, autodeterminazione e indipendenza: capacità di resistere alle pressioni
sociali, capacità di valutare sé stessi mediante standard personali;
dominio sull'ambiente: senso di padronanza e competenza nel gestire l'ambiente,
capacità di controllare, scegliere e utilizzare contesti adeguati per i bisogni e i valori
personali;
scopo di vita: avere un senso di direzionalità, sensazione che la propria vita passata
e presente abbia un significato.
Ryff e Keyes 1995 basandosi su tali dimensioni, proposero anche uno strumento per
valutare il benessere, la Scala del benessere psicologico (Psycological well-being Scale)
con 84 item.
Complessivamente, da studi trasversali e longitudinali emerge come vi sia un declino nella
percezione del benessere eudaimonico nell'invecchiamento, aspetto quest'ultimo influenzato
dal contesto culturale e da quello socioeconomico.
Keyes [2005] estende il modello multidimensionale di Ryff all'ambito sociale identificando
5 fattori che contribuiscono a determinare il benessere sociale:
integrazione: valutazione della qualità del proprio rapporto con la società in cui si
vive, sentimento di appartenenza a una cerchia più grande rispetto alla sola realtà
familiare;
coerenza: percezione della qualità dell'organizzazione sociale;
contributo: valutazione del proprio valore sociale e del contributo apportato;
realizzazione: valutazione del proprio potenziale e di quello della società in cui si
vive, sentimento di poter cambiare in meglio attraverso modifiche nella società di
appartenenza;
accettazione: sentimento di fiducia nei confronti degli altri e atteggiamenti positivi.
Questi 5 fattori, considerati congiuntamente, indicano se e quanto un individuo funziona
bene nel contesto sociale. Parimenti al modello della Ryff, da cui questo nasce, è possibile
identificare per ogni fattore spunti di
intervento e di potenziamento delle abilità dell'individuo.

Cummins e Cahill [2000] propongono una definizione di benessere psicologico come


risultato dalla combinazione di processi cognitivi - valutazione della propria storia di vita e
delle proprie risorse in diversi ambiti - e processi affettivi (equilibrio tra affettività negativa e
positiva).
Per altri autori, il benessere psicologico può essere definito anche come cluster di «sintomi
di funzionamento positivo» [Keyes 2002] che si collocano lungo un continuum che va dal:
languishing polo negativo è caratterizzato dalla sensazione di «essere in trappola» o
in una fase di stagnazione, di svuotamento delle proprie energie fisiche e psichiche
al flourishing. l'esperienza ottimale (dal verbo «fiorire»), permette all'individuo di

essere produttivo e di accrescere le proprie potenzialità, in un adattamento ideale


con l'ambiente in cui vive.
Per Keyes [2007; 2010] gli individui «affetti da flourishing» sono contraddistinti da maggiore
senso di speranza, sono maggiormente in grado di stringere rapporti significativi con gli altri
e più stabili dinanzi alle circostanze avverse. Questo senso di stabilità viene definito
resilienza stato motivazionale positivo che dà luogo a tenacia e determinazione [De Beni].
I quattro pilastri della moderna psicologia positiva, definita anche <<psicologia positiva 2.0»
[Wong 2011
La resilienza,
la virtù,
gli scopi di vita
Il benessere psicologico

Molte ricerche si sono occupate della percezione di benessere negli anziani, evidenziando
come tale percezione sia piuttosto stabile nell'invecchiamento; anche le fasce più longeve,
come i centenari, riportano infatti alti livelli di benessere percepito, nonostante la presenza di
un evidente declino a livello della funzionalità cognitiva e fisica.
Diener e Suh [1998] mostrarono come la soddisfazione di vita aumentasse lievemente
passando dai 20 agli 80 anni,

Kunzmann, Little e Smith [2000] evidenziarono come l'età fosse negativamente correlata
all'affettività positiva ma non associata all'affettività negativa.
Charles, Reynolds e Gatz [2001] evidenziarono che l'affettività positiva rimaneva stabile
dalla giovinezza alla mezza età, per poi declinare costantemente a partire dai 65 anni.
La discrepanza in questi risultati potrebbe derivare dal tipo di emozione considerata:
sarebbe cioè presente un declino età-relato solo nelle emozioni associate a un elevato livello
di arousal, mentre quelle legate a una bassa attivazione fisiologica rimarrebbero stabili nel
corso della vita. Non vi sarebbe differenza nella qualità di emozioni nel corso della vita e
nella loro frequenza, piuttosto nell'intensità con cui queste vengono
esperite.
Livingstone e colleghi [2008] si sono spinti a indagare i predittori di un invecchiamento di
successo, inteso come raggiungimento di benessere nelle avversità, in un gruppo di pazienti
con patologia d'Alzheimer (AD). I risultati emersi hanno evidenziato che la valutazione del
benessere nelle avversità resta stabile; inoltre tale valutazione risulta direttamente predetta
dalla salute mentale e dalle relazioni sociali, piuttosto che dalla salute generale o dal grado
di demenza dei partecipanti.
Vivere in istituto ha indubbiamente un'influenza sulla percezione di benessere; gli anziani
istituzionalizzati, rispetto ai loro coetanei che vivono autonomamente, pur percependo livelli
inferiori di benessere, sono comunque ugualmente in grado di trovare le risorse necessarie
per valutarsi in modo positivo [Nava 2004].
L'alta percezione del benessere, vissuta, è nota in letteratura come il <<paradosso del
benessere nell'invecchiamento». Esso viene spiegato riferendosi ai seguenti fattori
psicologici: maggior senso di controllo, maggior creatività nell'anziano, ma soprattutto
maggiore capacità di adattamento ai cambiamenti che caratterizzano l'invecchiamento
stesso.
Con l'avanzare dell'età si passa infatti dall'utilizzo di strategie di «coping» rivolte alla
soluzione dei problemi a strategie più focalizzate sulle emozioni;
Il benessere psicologico percepito è il frutto di un lungo e profondo percorso individuale fatto
di esperienza e saggezza.
Il modello SAVI (Strength and Vulne rability Integration; Charles [2010]) Spiega come i
processi regolativi delle emozioni si affinino nell'invecchiamento grazie a mutamenti che
interessano sia processi di elaborazione immediati - mediati da processi bottom-up quali
quelli attentivi - sia di elaborazione più profonda (meccanismi top-down). Tali cambiamenti
sembrerebbero volti a minimizzare l'impatto delle esperienze negative e a massimizzare
quelle positive, attraverso un'attenzione maggiore verso stimoli emotivi positivi e la selezione
di obiettivi salienti in termini relazionali ed emotivi nonché attraverso cambiamenti nelle
strategie di coping.
Questo modello è stato formulato a partire dalla Teoria della selettività socioemotiva
[Carstensen, Isaacowitz e Charles], che viene incorporata al suo interno. In accordo con
essa, i cambiamenti nella regolazione emotiva avverrebbero sotto la spinta del mutamento
nell'orizzonte temporale degli individui anziani: quando il tempo che si ha ancora a
disposizione è percepito come limitato divengono prioritari obiettivi e informazioni emotive.
L'anziano diventa maggiormente orientato al presente piuttosto che al raggiungimento di
obiettivi futuri.

3. UNA MISURA DEL BENESSERE NELL'INVECCHIAMENTO:

IL BEN-SSC
è stato standardizzato dal Lab-I¹ uno strumento di valutazione-comprensione del benessere
psicologico percepito.
Il Questionario del benessere percepito, Ben-SSC [De Beni], nasce come sfida positiva
alternativa alla valutazione della depressione misurata, con la Geriatric Depression Scale
[Yesavage et al. 1983]. A differenza di quest'ultimo, l'ottica positiva con cui è stato creato il
Ben-SSC ha visto la scelta e la formulazione di item interamente posti al positivo per evitare
di descrivere in un'ottica negativa il proprio stato².
Il Ben-SSC, come evidenziato da analisi fattoriale confermativa, permette di esaminare i
seguenti aspetti:
Soddisfazione personale; soddisfazione relativa alla propria vita passata, a ciò che si
è realizzato, includendo anche difficoltà e dispiaceri incontrati e alla propria vita
attuale, relativa al «piacersi»>, all'essere soddisfatti della stessa e alla possibilità
della propria vita futura.
Strategie di «coping»: affrontare piccoli o grandi problemi quotidiani, la percezione di
sapere di saper fare, percezione positiva della propria autoefficacia, il senso di
autonomia e di indipendenza, non solo fisica ma anche nella capacità di gestire i
propri pensieri.
Competenze emotive: riconoscere e comprendere le emozioni proprie e altrui e la
soddisfazione di avere e gestire soddisfacenti relazioni sociali.
L'importanza di valutare il benessere psicologico percepito con un tale strumento permette di

cogliere anche la complessità e la globalità di tutti i processi che caratterizzano la persona


che invecchia: processi <<freddi»>, includono il ragionamento e la memoria, e processi
«caldi» che raccontano la persona nel suo percorso.
il WHOQL [De Girolamo et al. 2001], strumento che valuta la qualità della vita intesa come
salute fisica, stato psicologico, rapporti personali e credenze.

4. INTERVENTI DI POTENZIAMENTO DEL BENESSERE PSICOLOGICO


NELL'INVECCHIAMENTO: L'ESEMPIO DEL <LAB-I "EMPOWERMENT"
EMOTIVO-MOTIVAZIONALE>>
All'interno della psicologia positiva nascono interventi di potenziamento definiti Positive
Psychological Intervention (PPIs) [Sin e Lyubomirsky] o Well Being Therapy [Fava e
Tomba].
Tali interventi sono accomunati dal focalizzarsi sul potenziamento di talune componenti,
come adeguate competenze emotive, la soddisfazione di vita, il flourishing, la resilienza e la
pratica di un pensiero ottimista.
Lyubomirsky e Layous [2013] hanno proposto un modello teorico per esaminare come tali
interventi, basati spesso su semplici attività quali esprimere gratitudine [Boehm, Lyubomirsky
e Sheldon; Seligman] o praticare la gentilezza e comportamenti prosociali verso gli altri
possano apportare ampi benefici: queste attività sarebbero in grado di elicitare pensieri ed
emozioni positive in grado di innescare altri comportamenti positivi e la soddisfazione
derivante dagli stessi. L'efficacia degli interventi di potenziamento del benessere psicologico
e delle attività in essi proposte sembrerebbe modulata dalle caratteristiche delle attività di
per sé e da quelle individuali: occorrerebbe cioè che le caratteristiche della persona
combaciassero, con le caratteristiche delle attività proposte.
Approcci multi-componenziali e l'utilizzo delle competenze apprese alla vita quotidiana
possono sortire migliori risultati. Infine, vi sono evidenze che i benefici degli interventi PPIs
correlino con l'età, a indicare che
per individui anziani essi potrebbero costituire un approccio preferenziale.
Alla luce di tali evidenze positive presenti in letteratura, De Beni e colleghi hanno proposto
un di potenziamento del benessere - Lab.-I Empowerment Emotivo.
Il Lab-I Empowerment Emotivo-Motivazionale si colloca all'interno del Progetto Cornaro,
che si propone di fornire strumenti di valutazione e di miglioramento in un'ottica
multidimensionale e multifattoriale. Propone un percorso di potenziamento del benessere
psicologico trattando gli aspetti più caldi della cognizione, quali la percezione di sé,
l'autoefficacia, la fiducia nelle proprie capacità e competenze, l'utilizzo di strategie nella
risoluzione dei problemi quotidiani, la riscoperta e la valorizzazione degli aspetti emotivi,
legati anche alla propria storia e ai propri ricordi, attraverso attività sia individuali sia di
gruppo [ibidem]. Dai risultati ottenuti con tale intervento è emerso un effettivo incremento
nella percezione di benessere per i partecipanti, e un effetto indiretto di miglioramento anche
in misure cognitive di memoria quali la memoria di lavoro. Tali risultati sono stati confermati
anche mediante un lavoro più recente in cui si è valutata l'efficacia dell'intervento con
individui con bassi livelli di benessere psicologico percepito. Tali individui, confrontati con
partecipanti con alti livelli di benessere prima dell'intervento, sembrano migliorare
sensibilmente a seguito del percorso di potenziamento, ottenendo un incremento delle

prestazioni anche in compiti cognitivi di memoria.


Potenziare gli aspetti emotivi ha quindi un'importante influenza anche sugli aspetti cognitivi.
Tra gli interventi di terza generazione per la promozione del benessere psicologico, è da
prendere in considerazione l'uso delle pratiche di mindfulness. Sebbene gli studi siano
ancora all'inizio, tale tipo di intervento dimostra la sua efficacia anche nell'invecchiamento,
intervenendo, al contempo, su aspetti cognitivi psicologici ed emotivi.

Approccio delle emozioni differenziali (DET): le emozioni diventano sempre più


complesse a causa di un maggior numero di elaborazioni cognitive che le mettono in
relazione tra loro
L'approccio dell'integrazione dinamica(DIT): la capacità di integrare aspetti cognitivi con
esperienze affettive
Teoria della selettività socioemotiva (SST) gli anziani danno priorità agli obiettivi emotivi
con implicazioni importanti nei compiti cognitivi.
Castensen: Obiettivi conoscitivi di apprendimento, Obiettivi emotivi/soddisfazione
emotiva: regolazione emotiva focalizzata sulla antecedente (capacità di evitare
proattivamente gli stati emotivi negativi attraverso la regolazione delle relazioni
sociali) e la riduzione dell'anticipazione della negatività.
Modello di regolazione delle emozioni Mather e Knight→ con l'età aumentano gli obiettivi
emozionali positivi, ciò richiede grandi risorse cognitive (processo di modulazione fisiologica
dell'amigdala - soggetta a invecchiamento)
Stile attributivo→ impotenza appresa VS ambiente supportivo (Ryan e Deci)
Modello Motivazionale Eccles→ motivazione prodotto di valori{ obiettivi a lungo termine-
emozioni anticipate- percezione di utilità- costo} e aspettative
Engagement Hess→ coinvolgimento/impegno
Minaccia dello stereotipo: sì teme di mostrarsi come gli altri credono e mossi da questo
timore si rischia di fare peggio
Profezia che si autoavvera: pensare a se stessi come vecchi e convincersi che con l'età
c'è un inevitabile declino
Dweck: feedback sulla persona/sul compito
Heckhausen→ ottimizzazione del controllo: gli anziani selezionano le attività in cui di
spiegano i loro sforzi indirizzandosi verso ambiti in cui il successo è più probabile
Tecnica del modeling Bandura: vedere gli altri con cui ci si identifica che riescono (autoeff)
Strategie VS stereotipi→ distanziarsi o autoaffermarsi
Jung→ teoria degli stadi: lo sviluppo della personalità continua anche nell'età→
estroversione/introversione e mascolinità/femminilità
Peck: stadi della personalità anziana→ Differenziazione dell'io VS preoccupazione per il
proprio ruolo lavorativo- Trascendenza VS preoccupazione per il corpo- Trascendenza VS
preoccupazione per sé stessi→ integrità dell'io
Costa e McCrae: Big5 (nevroticismo- estroversione - apertura mentale - amabilità
coscienziosità) → Small (Victoria Longitudinal Study): struttura fattoriale invariante nel tempo
ma differenze significative interindividuali nel cambiamento della personalità [aspetti
estroversione]
Adwin: stress cronici Vs episodici(adulti)

Metateoria dello sviluppo Baltes: SOC


90: Psicologia positiva
Modello multicomponenziale Carol Ruff: Autoaccettazione - Crescita personale - Relazioni
positive con gli altri - Autonomia, autodeterminazione e indipendenza - Dominio
sull'ambiente - Scopo di vita
Ryff e Keyes: Psychological well-being Scale: 84 item→ 5 fattori benessere sociale =
integrazione - coerenza - contributo - realizzazione - accettazione
Cummins e Cahill: benessere= processi cognitivi + affettivi
Keyes: Sintomi di funzionamento positivo: Languishing ---- Flourishing = Resilienza
Wong: psicologia positiva 2.0: resilienza, virtù, scopi di vita, benessere psicologico
Declino emozioni? Intensità no quantità
Paradosso dell'invecchiamento→ maggior senso di controllo, creatività, capacità di
adattamento ai cambiamenti
Modello SAVI Charles: processi regolativi emozioni meccanismi top-down e bottom-up→
massimizzare + minimizzare -
Questionario del benessere percepito Ben-SSC VS Geriatric Depression Scale:
soddisfazione personale, strategie di coping, competenze emotive
Positive Psychological Intervention PPIs
Capitolo 1

Fidati di quello che hai sottolineato e ripeti, scem!!

Sviluppo: implica processi incrementali e di trasformazione che, attraverso il flusso di interazioni tra gli
aspetti attuali delle persone e i contesti, producono una successione di cambiamenti relativamente
duraturi e tali da rendere più complessa l'articolazione dei tratti strutturali e funzionali della persona e
anche i paradigmi delle sue interazioni con l'ambiente mantenendo un'organizzazione coerente e
un'unità strutturale e funzionale come un tratto inscindibile.

Tratti strutturali --> le componenti di un qualcosa, relativamente statico ed organizzativo (es: la lavatrice
fatta di plastica);

Tratti funzionali --> lo scopo e il fine di un qualcosa, riguarda il fare (es: la lavatrice lava i vestiti)

Questi due si articolano e sono fortemente connessi.

Il cambiameto si stabilisce tramite dei parametri: identificazione delle differenze, variabilità e durata,
cambiamento e durata. Il cambiamento non può essere né momentaneo né circostanziale. Ne esistono
di diversi tipi: concomitante (cambiamenti che avvengono nello stesso momento), contestuale
(cambiamenti diversi in contesti diversi), circostanziale (cambiamenti diversi in tempi e contesti diversi)
e di Stato (cambiamento sistematizzato e completo, avviene un passaggio da uno stato all'altro). Le
differenze interindividuali servono per specificare quanto tutti siano diversi, le differenze
intraindividuali evidenziano le peculiarità personali che stabiliscono se un individuo è in cambiamento
realmente.

Il cambiamento evolutivo, oltre a ripresentarsi nel tempo, deve anche essere: sistematico (i diversi
cambiamenti devono essere connessi tra loro e non casuali), progressivo (deve intensificarsi nel corso
del tempo), adattivo (ex-attivo), effetto traccia (ciò che avviene nel passato deve avere un effetto sul
futuro), sequenziale (ogni nuovo stato* deve emergere dal precedente) e collocato nel qui ed ora.
*ogni termine stato si intende il “modo” in cui un individuo si trova in un dato momento ed anche se
uno stato nuovo emerge da uno precedente non è detto che siano in un rapporto di causa effetto o che
siano consecutivi, concatenati.

Quando si parla di cambiamento adattivo si intende una modifica dell'individuo richiesta dall'ambiente
circostante in modo tale che si possa raggiungere un equilibrio ed uno stato di benessere e adeguatezza,
mentre un cambiamento ex-attativo ha come fine ultimo quello di garantire un traguardo nuovo
applicando dei comportamenti precedenti (es: tornare a seguire in presenza, ha richiesto che i ragazzi
tornassero a prendere i mezzi).

I cambiamenti prodotti possono creare un conflitto, nel senso che rompono un equilibrio, e possono
essere sia positivi che negativi (non loro stessi, poichè senza uno stato di conflitto non avverrebbe
nessun cambiamento dinamico). Quindi si parla positivi in termini di relazione conflittuale tra
componenti di un sistema che porta ad uno stato di sviluppo nuovo, mentre si parla di negativi per
intendere un contrasto che porta alla distruzione reciproca e all'annullamento del sistema.

Capitolo 2
Nel capitolo precedente sono presentate sono presentate alcune teorie stadiali dello sviluppo umano (es
Piaget, Freud, Erikson...) tuttavia queste hanno il limite di essere sostanzialmente descrittive limitando
quindi le possibilità di capire come e perché le persone cambiano passando da uno stadio all'altro. Ecco
quindi alcune nuove teorie per spiegare lo sviluppo umano:

- Bronfenbrenner --> particolarmente contrario agli approcci sperimentali in quanto i risultati di


ricerca ottenuti tramite l'osservazione di un comportamento in ambiente di laboratorio non
riflette ciò che accade nella realtà; egli è fortemente convinto del fatto che lo sviluppo andasse
studiato nei contesti reali. Il suo modello prende il nome di ecology of human development.
Con il termine ecosistema si intende una comunità biologica e il rispettivo ambiente fisico
circostante, si intendono così le varie interazioni degli organismi viventi con il proprio ambiente
e data la forte interdipendenza di tutti gli elementi anche il minimo cambiamento può condurre
ad una modifica o alla distruzione dell'intero ecosistema. L'uomo cresce e si sviluppa in
condizioni simili a quelle di un ecosistema: ciascun individuo è immerso in numerosissime
relazioni in numerosissime relazioni le quali non soltanto influenzano lui, ma è anche gli ad
influenzare le relazioni stesse.

Vengono definiti livelli diversi di relazione:

 Il Microsistema è il livello centrale, entro il quale le unità interpersonali minime costituite da


diadi (es. madre-bambino) si rapportano al loro interno e con altre diadi. Un microsistema è
dunque un pattern organizzato di relazioni interpersonali, attività condivise, ruoli e regole, che si
svolgono perlopiù entro luoghi definiti. La famiglia, la rete della parentela più estesa, la scuola,
sono esempi di microsistemi.
 Il Mesosistema è un sistema di microsistemi: si riferisce a due o più contesti cui il soggetto
partecipa direttamente in modo attivo ed alle loro interconnessioni.
 L'Esosistema è costituito dall'interconnessione tra due o più contesti sociali, almeno uno dei
quali è esterno all'azione diretta del soggetto. Un esempio di esosistema è costituito dal
rapporto tra la vita familiare e il lavoro dei genitori.
 Il Macrosistema comprende le istituzioni politiche ed economiche, i valori della società, la sua
cultura.

La chiave ecologica di questa teoria è che i diversi ambienti suddivisi in sistemi non sono
separati bensì avvengono tra loro delle influenze interattive multidirezionali poiché lo sviluppo
non riguarda soltanto l'individuo ma è un processo interattivo e dinamico che coinvolge tutti i
livelli di una società.

- Valsiner con la teoria “psicologia culturale dello sviluppo” esamina come le diverse culture
diversi contesti sociali di riferimento conducono a percorsi di sviluppo diversi. Precisamente vi
sono quattro livelli di sviluppo: 1. filogenesi inteso come lo sviluppo dell’intera specie umana; 2
genesi della cultura inteso come lo sviluppo di regole, tradizioni, costumi scritti e non scritti di
un'intera società; 3 ontogenesi ovvero la storia personale di un singolo individuo che conduce ai
comportamenti specifici; 4 microgenesi il dove e quando (qui ed ora) delle interazioni di un
individuo. Individua 4 tipi di cambiamento: prodotto dall'azione dell'individuo, prodotto dalle
persone che circondano l'individuo, tradotto da gruppi sociali ad un livello più alto ed infine
causato da eventi incontrollabili.

Inoltre l'ambiente pone dei vincoli (interni o esterni) sulla gamma di comportamenti possibili
che un individuo può mettere in atto, perché l'ambiente fornisce la struttura in cui avviene lo
sviluppo individuale. Questo è il principio della natura strutturata dell’ambiente secondo il quale
l'ambiente è strutturato in tre modi: zona di libero movimento, zona di promozione dell'attività
e zona di sviluppo prossimale. VEDI PAG. 39-40!!!!

Un punto di vista tipico della sociologia richiama in causa quello che era il macrosistema di
Bronfenbrenner e illustra come un medesimo evento sociale può innescare effetti completamente
diversi sulle persone che lo vivono. Elder formula una teoria al riguardo indicando quattro principi
fondamentale: il principio del tempo storico e del luogo: lo stesso evento può avere conseguenze
completamente diverse per un dato individuo a seconda di quando e dove accade; il principio delle vite
collegate: le influenze sociali e storiche vengono espresse attraverso la rete di relazioni condivise
secondo la quale ciò che ci accade o ciò che facciamo ha un effetto sugli altri in modo indiretto
nonostante non lo sappiamo; il principio dell’agentività umana: gli individui costruiscono il proprio
percorso di vita attraverso delle scelte e delle azioni personali tra tutti i vincoli imposti dalla storia e
dalle circostanze sociali, ciò significa che gli esseri umani non sono un prodotto passivo dell'ambiente
circostante, ma che anche loro compiendo delle scelte modificano l’ambiente. Vi è lo stesso concetto di
interdipendenza delle vite all'interno dei diversi microsistemi.

Baltes&co promuovono il lifespan developmental psycology.

Lo sviluppo si estende per tutto il corso della vita e in esso sono coinvolti dei processi adattivi, i processi
di sviluppo si verificano sia in maniera lenta e continua (cambiamenti cumulativi) sia in maniera
improvvisa e discontinua (cambiamenti innovativi) --> queste sono le basi per conciliare sia gli approcci
teorici stadia sai quelli non stadiali, mettendo in luce come entrambi siano possibili. Lo sviluppo è
inserito in contesti storici e culturali più ampi e vi sono 3 influenze contestuali: le influenze normative
basate sull’età, influenze normative basate sui processi storici e le influenze non-normative. Lo stesso
evento può avere esiti diversi (multidirezionalità) ed esperienze molto diverse nella vita di una persona
possono portare a esiti simili (multifinalità).

Inoltre il processo di sviluppo comporta sia perdite che guadagni: talvolta i guadagni in un dato dominio
sono accompagnati da perdite in un altro e proprio le perdite o le carenze sono viste come dei veri e
propri catalizzatori di cambiamenti positivi, in quanto possono promuovere una risposta adattiva
potenziando risorse di un individuo che lo aiutino ad adattarsi al cambiamento. Al contrario lo sviluppo
di successo è definito come massimizzazione dei guadagni e minimizzazione delle perdite.

PLASTICITA’ --> differenza tra ciò che una persona è in grado di fare (capacità di riserva di base) e ciò che
potrebbe essere in grado di fare e se supportata (capacità di riserva di sviluppo). Le risorse che un
individuo possiede sono distribuite in modo diverso lungo il ciclo di vita e svolgono funzioni ben diverse;
in particolar modo nell’infanzia sono destinati a funzioni associate alla crescita, durante l'età adulta sono
dirette al mantenimento e in tarda età sono destinati alla gestione delle perdite, qualora non sia più
possibile ricorrere a mantenimento o recupero. Pertanto definiscono le seguenti strategie per un
invecchiamento di successo (successufull ageing): selezione per individuare gli obiettivi importanti ed
eliminare quelli meno significativi trovandosi difronte ad una scarsità di risorse; ottimizzazione delle
risorse utili a raggiungere tali obiettivi e compensazione ad una risposta di perdita di un obiettivo
desiderato attraverso il controbilanciamento. VEDI FINE PAG. 45!!

La teoria dei sistemi dinamici non nasce dalle scienze sociali ma si sviluppa a partire dalla fisica e della
matematica applicata. Un sistema è un insieme di elementi interagenti tra di loro e con altri. In questa
teoria i sistemi sono considerati composti da molti più elementi e su molti più livelli, tutti questi sistemi
sono interdipendenti tra di loro ed ogni componente è sia un sistema a sé stante che l'elemento di un
sistema più grande. Di conseguenza anche il cambiamento e lo sviluppo e sono prodotti da molti
elementi diversi. In particolar modo secondo questa teoria tutti i cambiamenti umani avvengono
seguendo alcune regole fondamentali e alcuni meccanismi: il principio dell'autorganizzazione ovvero il
modo in cui un sistema è strutturato e il modo in cui suoi elementi sono messi in relazione tra di loro
non è il risultato di programmi maturazionali innati o di una pressione dell'ambiente esterno, ma deriva
dall’interazione tra i suoi stessi elementi. Il processo di autorganizzazione si verifica un livello
microscopico. L'organizzazione e la struttura di un sistema crescono con il gruppo a partire
dall'interazioni dei suoi stessi membri, così si raggiungerà una stabilità che perdura fin quando un
qualche elemento dall'esterno non apporterà un cambiamento. Anche lo sviluppo individuale è un
processo dinamico all'interno del quale sono coinvolti molti elementi, all'inizio questi interagiscono tra
di loro in modo caotico fin quando non trovano una sorta di struttura che definirà la stabilità e questa
fase di evoluzione viene chiamata come punto di attrazione poiché gli elementi interagiscono tra di loro
limitando reciprocamente i rispettivi gradi di libertà d’azione.

Attrattore --> abitudine, relativamente stabile fino a quando uno o più elementi non cambiano.

Ciò a cui si è interessato questo approccio è lo studio dei processi e dei meccanismi che producono il
cambiamento (piuttosto che i loro effetti), e ne è venuto fuori che non è possibile identificare stadi con
caratteristiche statiche bensì periodi di relativa stabilità nel ciclo di vita di ciascun individuo. Ciò che però
differenzia i teorici dei sistemi dinamici dai teorici stadiali e la convinzione che non possano esserci delle
fasce d’età che indicano precisi stadi di sviluppo, perché esistono una miriade di microcambiamenti che
avvengono continuamente e danno forma a un percorso irripetibile e personale di sviluppo.

Cascading constraints --> i cambiamenti avvengono nel qui ed ora lungo il corso della vita e in tutta
l'umanità influenzandosi reciprocamente (filogenesi e ontogenesi). Ovviamente i percorsi di sviluppo
sono estremamente diversi a seconda della cultura, della classe sociale e del tempo.

Hendry e Kloep con il lifespan model of developmental change

Si pongono la domanda del come sia possibile che i percorsi di sviluppo appaiano così simili e differenti,
hanno dunque identificato delle differenze e delle similarità. Il primo sono i cambiamenti maturazionali
di matrice biologica che coinvolgono tutti e definiscono delle somiglianze e i cambiamenti non normativi
che si verificano per tutti ma diversi per ciascun individuo, questi si presentano sotto forme di sfide e
per essere affrontati e superati sono necessarie delle risorse (alcune risorse sono innate come rifletti,
altre si sviluppano grazie all'apprendimento ed il sistema di risorse è la gamma di risorse cui ciascun
individuo può attingere, precisamente una potenziale risorsa diventa risorsa reale solo quando
interagisce con il tipo di compito o di sfida che deve affrontare); una sfida che sia un'esperienza positiva
o negativa porterà comunque allo sviluppo (affrontare una sfida può aumentare le risorse delle persone
e portare ad un ulteriore sviluppo tuttavia può anche prosciugare le risorse e quindi rendere più difficile
affrontare le sfide future, quando non si possiedono le risorse per affrontare una potenziale sfida poiché
situazione che l'individuo deve affrontare viene definita rischio). Infine la bontà di adattamento tra
risorse e sfide può essere il numero di sfide diverse che l'individuo deve affrontare
contemporaneamente. VEDI PAG 56!!

Capitolo 3

Il contestualismo evolutivo valorizza l'importanza, non solo della famiglia, ma anche dei più ampi sistemi
all'interno dei quali l'individuo entra a far parte. Appena nato il bambino interagisce prevalentemente
con la madre o con chi si prende cura di lui costruendo così un ristretto microsistema, tuttavia tramite
altre figure presenti all'interno dell'habitat familiare l'individuo entra in contatto con sistemi
progressivamente più ampi e complessi di relazioni sociali. I diversi contesti di riferimento e le relazioni
che ne derivano, così come i diversi momenti storici, collocazioni geografiche, risorse economiche ed
eventi sociopolitici forgiano diversi percorsi di sviluppo e crescita di ciascun individuo. Tale molteplicità e
differenziazione di percorsi mette in guardia dal rischio di generalizzazioni e semplificazioni, accanto alle
numerose somiglianze per quanto concerne i tempi, i ritmi e le modalità che caratterizzano lo sviluppo
degli esseri umani è fondamentale individuare quelle che sono le peculiarità e le risorse specifiche di
ciascun individuo. Le diverse componenti dello sviluppo (cognitive, emotive e sociali) non sono più
considerate separatamente e i fattori interni ed i fattori esterni non sono esaminati come entità
separate o forze contrapposte bensì sono considerati alla luce della loro interazione dinamica con
l'ambiente circostante. Il bambino si sviluppa all'interno di un ambiente ed insieme formano un sistema
integrato e dinamico di cui sono entrambi elementi inseparabili che si influenzano vicendevolmente. Lo
sviluppo è dunque l'esito del progressivo adattamento tra organismo che cresce e ambiente ecologico
circostante. Ecco perché lo sviluppo è considerato un campo aperto di opportunità.
Nonostante apparentemente i neonati ci appaiano tutti simili, fin dai primi giorni di vita ciascuno di loro
esibisce dei tratti temperamentali e caratteristiche peculiari che fanno di loro degli individui unici. Vi è
un insieme di tratti temperamentali, un patrimonio di risorse personali, che saranno relativamente
stabili nel corso della vita e in situazioni diverse possono trasformarsi nel tempo mediante le interazioni
reciproche con l'ambiente. Sul piano psicologico i primi ad emergere sono i tratti temperamentali che
costituiscono la base dell'individualità (es: livello di attività, qualità dell'umore, capacità di controllo). I
tratti temperamentali sono un complesso di caratteristiche individuali, tendenze o disposizioni innate
persistenti, che differenziano una persona dall'altra nello stile e nelle modalità di comportamento che si
adoperano nel rispondere alle diverse circostante; i tratti temperamentali sono relativamente stabili. La
persistenza e la stabilità comportano una certa continuità nel tempo in quanto uno stesso tratto
continua col progredire nell'età adulta nonostante possa manifestarsi in modi differenti per effetto dello
sviluppo e dei cambiamenti che intervengono (sembrerebbe che un bambino è in grado di acquisire con
il tempo modalità diverse di manifestare un medesimo tratto temperamentale).
La maggior parte degli studiosi ritiene che il temperamento sia costituito da un insieme di caratteristiche
individuali innate derivanti dall'eredità biologica, tuttavia va sottolineandosi il ruolo dell'interazione fra
fattori biologici e fattori esterni, legati al contesto e all'interazione con gli altri. Più precisamente le
influenze sono reciproche e bidirezionali nel senso che il contesto influenza lo sviluppo dei tratti
temperamentali, ma anche le caratteristiche temperamentali di ciascuno individuo possono influenzare i
loro atteggiamenti e comportamenti sintonizzati con le scelte che si compiono nelle relazioni. Quindi
accanto alla relativa stabilità e continuità nel tempo va evidenziato un altro fattore importante che è
quello della dipendenza dal contesto. Infine un'altra caratteristica temperamentale che ha attirato
l'attenzione degli studiosi è l'inibizione di fronte agli eventi o alle persone sconosciute intesa come la
tendenza ad accogliere o evitare le novità.

Chess&Thomas tramite uno studio longitudinale hanno individuato 9 dimensioni dalle quali
combinazioni portano a delineare diverse categorie: bambini definiti “facili” cioè che mostrano
prevalentemente umore positivo e sono capaci di accettare le frustrazioni, bambini definiti “difficili”
poco adattabili e con stati d'animo prevalentemente negativi, infine i bambini “a lenta attivazione” cioè
inizialmente cauti ma capaci di risposte positive dopo un certo periodo di adattamento.

Buss&Plomin danno origine invece ad un differente modello di classificazione dei tratti temperamentali
fondato sulle categorie di emotività, attività e socievolezza. l'emotività è intesa come la tendenza a
provare paura o collera, l'attività è invece il ritmo più o meno sostenuto del comportamento e la
socievolezza e la tendenza a ricercare gratificazioni dalle relazioni con gli altri. I due considerano le
caratteristiche del temperamento come “dei tratti precoci della personalità emergente”.

Rothbart&Bates si rifanno a tre principali dimensioni del temperamento, ampie e a loro volta suddivise
in sottocategorie più specifiche inerenti alle risposte emotive (qualità generali dell’umore), inerenti
all'orientamento attentivo (distraibilità nello svolgere un compito) e inerenti all'attività motoria
(frequenza e intensità dell’attività infantile). Più precisamente ha elaborato una nuova classificazione
comprendente tre ampie dimensioni del temperamento: estroversione/ disinibizione, affettività
negativa e capacità di controllo. La prima include quei bambini che possono essere associati ai disinibiti
di Kagan, la seconda invece include i bambini inibiti. Non a caso questo modello è valutato come un
punto di equilibrio tra le diverse interpretazioni precedentemente elaborate.

Kagan idealizza un modello fisiologico unico legato all' eccitabilità dell'amigdala e distingue due gruppi di
bambini: gli “inibiti” e tendono essere timidi cauti e controllati, i “disinibiti” ovviamente estroversi e
aperti alle novità. Gli studi dimostrano una significativa stabilità nel tempo di queste due classi.

Un'ulteriore caratteristica individuale correlata ad un insieme di tratti temperamentali è il grado di


vulnerabilità alle avversità e allo stress, più precisamente si tratta di differenti modalità di risposta di
fronte ad esperienze di frustrazione, deprivazione, stress o addirittura abbandono. Alcuni bambini
sembrano far fronte a tali eventi in maniera attiva e adattiva, mentre altri ne riportano gravi
conseguenze in termini di disadattamento. Le differenti risposte allo stress si collocano lungo un
continuum che va da un estremo che rappresenta la vulnerabilità all'altro estremo che consiste nella
resilienza.
L'autoregolazione considerata un tratto che se presente sin dai primi anni di vita può contribuire a
sviluppare le funzioni esecutive. Infatti la struttura di personalità è un'organizzazione ben più complessa
di un insieme di tratti temperamentali e sarà soggetta a innumerevoli e significativi cambiamenti indotti
dall'esperienza e dalle interazioni sociali. Quando il bambino comincia ad essere in grado di avvertire se
stesso come separato e distinto dagli altri comincia a sviluppare quello che gli studiosi definiscono la
rappresentazione di sé o senso del sé.

Schaffer affronta la questione della genesi dell'individualità e come questa emerga e si sviluppi grazie a
un'interazione attiva del soggetto con l'ambiente, è questa la natura intrinsecamente relazionale e
sociale del sé. Si parla di sé emergente o sè pre-simbolico in quegli anni immediatamente successivi alla
nascita ove il bambino interagisce con la madre e già qui si capisce che lo sviluppo del sé è un'impresa
congiunta tra più partner. James ebbe poi il merito di introdurre la distinzione tra io e me, Cooley ha
elaborato la nozione di “sé come specchio” sottolineando il ruolo dell'esperienza sociale nella
formazione del sé individuale, Winnicott condivide l'ipotesi di un'origine sociale del sé e pone l'accento
sul processo di relazione del bambino con la madre, infine poi un'ulteriore elaborazione di questa
interpretazione quella sviluppata dai teorici dell'attaccamento (Bowlby). In conclusione lo sviluppo del
sé procede di pari passo con l'inserimento del bambino nella propria comunità di appartenenza e
rappresenta l'effetto di processi di relazione tra il bambino e le figure significative.

Nel corso dei primi due anni vi è l'acquisizione della capacità di autoriconoscersi, successivamente di
essere consapevoli di sé e quindi di autovalutarsi. Dai due anni in poi, in seguito all'interazione con
contesti relazionali sempre più ampi e articolati si delinea una distinzione tra gli aspetti del sé privato e
gli aspetti del sé pubblico. Il sé quindi in forma grazie ad un processo di individuazione inteso come
differenziazione tra sé e l’altro che implica la possibilità di riconoscere le proprie caratteristiche peculiari
e distinguerle rispetto a tutto ciò che è altro. Il sé rappresenta l'istanza che consente la mediazione tra
mondo interno e mondo esterno alla quale il bambino fa riferimento per interpretare la realtà,
organizzarla e rispondervi. Il sé individuale è concepito come un sistema costruito da fattori diversi ma
interrelati, il tutto organizzato in una struttura gerarchica a più livelli; la consapevolezza di sé è la prima
componente a emergere a manifestarsi (si intende la comprensione e la consapevolezza di essere
un'entità distinta e separata, capacità di riconoscimento e assegnarsi degli attributi [nei primi due anni]),
dai due anni in poi si passa dal costruire un'immagine del sé sempre più somigliante a un concetto di sé
(in seguito allo sviluppo delle abilità di perspective taking il bambino diventa coerente e comprende la
stabilità del sé, inoltre se prima si concentrava soprattutto sulle caratteristiche fisiche inizia ad adesso a
focalizzarsi anche su quelle interiori di natura psicologica), la terza dimensione è poi la stima di sé (il
grado in cui una persona si ritiene apprezzabile e/o meritevole). Harter considera la stima di sé come il
valore che ciascuno attribuisce alla propria persona, il quale però influenzato dal supporto degli altri;
accanto ad un global self-worth ci sono anche però valutazioni di sé in ambiti specifici che nel loro
insieme possono contribuire all' autostima complessiva.

Lo sviluppo dell' individualità è un processo di definizione e ricorrente ridefinizione dell'identità.

VEDI PARAGRAFO 3 SULL’ESPLORAZIONE E APPRENDIMENTO!!

Capitolo 4
Fino al ventunesimo secolo il concetto di adolescenza non esisteva e tuttora è difficile affermare con
certezza quando e essa inizi e quando finisca, dal punto di vista fisico l'inizio coinciderebbe con inizio
della pubertà però questo è un processo complesso che coinvolge vari elementi non considerando che
l'inizio della pubertà sembra essersi anticipato di un mese in ciascuno degli ultimi decenni.
Generalmente si associano le prime mestruazioni per le ragazze e l'emergere dei peli pubici nei ragazzi
come i fattori di inizio della pubertà, sebbene i cambiamenti puberali che riguardano ovaie e testicoli
rilascino a loro volta una vasta gamma di ormoni che stimolano altri cambiamenti del corpo, infatti oltre
ai cambiamenti del sistema riproduttivo si presentano anche dei cambiamenti che riguardano il
funzionamento del sistema cardiovascolare e muscolare. Ragazzi e ragazze vivono la pubertà in modo
diverso: i ragazzi sono particolarmente impazienti di diventare uomini, mentre le ragazze vivono una
condizione di ambivalenza giacchè alle donne viene associato uno status subalterno. Per questa e per
altre ragioni connesse alle preoccupazioni per l'aspetto fisico, le giovani ragazze sviluppano sintomi
depressivi. Un'ulteriore differenza di genere sta nel fatto che una pubertà precoce è associata a stati
depressivi per le ragazze e un ingresso tardivo può invece essere causa di depressioni nei ragazzi.

VEDI ERIKSON E MARCIA PER LA CENTESIMA VOLTA PAG.80!!

I ricercatori ancora non si sono accordati sul se l'identità sia un costrutto generale oppure composto da
un insieme di più domini specifici, a tal proposito quindi (rifacendoci anche agli stati di Marcia),
potrebbe darsi che un tale individuo si trovi in una condizione di moratoria riguardo un determinato
dominio piuttosto che una condizione di diffusione in un altro dominio.

Riguardo alla teoria di Marcia, egli aveva presupposto avesse una validità globale, ma così non è poiché
varia ad un livello cross-culturale (es: quei paesi orientali dove i ragazzi non arrivano allo stato di identità
raggiunta, al contrario assumono impegni precoci baciati sulla tradizione anziché sull’esplorazione
andando incontro ad uno stato di preclusione). A primo acchito, i quattro stati di identità erano
concepiti come diversi gradi di maturità (la diffusione rappresentava il grado più basso e il
raggiungimento quello più alto), tuttavia ricerche empiriche hanno dimostrato che non tutti gli individui
seguono lo stesso ordine e percorrano le stesse tappe di sviluppo dell'identità. I quattro stati quindi non
possono essere considerati in base a un continuum evolutivo.

La pubertà è anche il momento in cui si ricerca una propria identità di genere. Fino a non molto tempo
fa si riteneva che il genere fosse determinato dalle caratteristiche fisiche o dalla struttura del cervello, al
contrario evidenze scientifiche hanno dimostrato che tra il cervello maschile e quello femminile alla
nascita non vi è alcuna differenza. Infatti l'identità di genere si raggiunge attraverso l'identificazione con
i ruoli di genere e anche le norme sociali hanno una forte influenza su quest'ultima. (disforia di genere e
comig-out pag.84) Come tutti gli altri processi di sviluppo, anche la costruzione dell'identità di genere
non è un processo lineare e non dà un risultato definitivo, è piuttosto un fenomeno multifattoriale.

Secondo lo psicologo Hall l’adolescenza è un periodo caratterizzato da impeto (storm) e stress come
conseguenza di una lotta interna tra l’egocentrismo infantile e l’adulto emergente. Questa convinzione
però non è sempre ben accetta da molti ricercatori e le ricerche non sempre confermano!

Hendry&Kloep raccolgono i diversi comportamenti a rischio in categorie diverse: ricerca del brivido,
assunzione del rischio per ottenere consenso dagli altri e comportamenti irresponsabili, solo poi verrà
aggiunta la categoria del rischio per perseguire un obiettivo futuro (rischio calcolato).
PAG. 88-93 per ripetere le cose di sviluppo 2 sulla devianza e l’uso di droghe

Tuttavia un incremento del comportamento esplorativo e di assunzione del rischio ricopre un ruolo
importante per lo sviluppo individuale poiché permette ai giovani in particolare di conoscere il proprio
ambiente circostante e diventare indipendenti rispetto ai genitori, ma questa non è una caratteristica
solo degli adolescenti, sono strategie funzionali anche per le persone di altre fasce d’età. Infatti non
esistono evidenze empiriche del fatto che in adolescenza aumenti l’assunzione di comportamenti a
rischio.

Infine alcuni ricercatori hanno provato a giustificare i comportamenti rischiosi degli adolescenti sulla
base dello sviluppo del cervello. Tra le cellule cerebrali si sviluppano dei percorsi neurologici che si
rafforzano o decadono sulla base della frequenza con la quale vengono attivati e replicati. Le aree nelle
quali si sono stabilite poche connessioni sono dette “materia grigia”, al contrario quelle con tante
connessioni sono composte da “materia bianca”. Adesso alcuni ritengono che il cervello dell’adolescente
sia ancora immaturo perché l’aumento della materia bianca nella parte anteriore del cervello (corteccia
prefrontale, coinvolta nei processi decisionali ecc...) inizia non prima della tarda adolescenza. Tuttavia la
ricerca riguardo queto tema è ancora agli albori e non vi sono abbastanza correlazioni che confermano.

Capitolo 5

Per molto tempo i ricercatori hanno creduto che il controllo genitoriale fosse un'importante variabile
per prevedere l'adattamento dei giovani, ovvero il modo in cui i genitori scelgono di tenere controllato il
comportamento dei propri figli influenza notevolmente quella che sarà poi la condotta che andranno ad
intraprendere. Tuttavia non è tanto il se i genitori controllano i figli, bensì come lo fanno: genitori
invasivi che interrogano e spiano i loro figli si ritroveranno ad avere adolescenti molto meno socievoli e
diligenti, al contrario le relazioni genitore-figlio solide garantiranno una maggiore adesione ai consigli e
alle regole. Il modo in cui genitori interagiscono con i propri figli ha un forte impatto sul
comportamento, il successo e sul benessere degli adolescenti anche in età avanzata.
Baumrid individua tre principali stili genitoriali: autoritario, caratterizzato da un alto livello di controllo e
scarso calore; autorevole che bilancia calore e controllo: permissiva, dove assente il controllo ma vi è
una forte caratterizzazione di calore. In seguito Maccoby&Martin aggiungono una genitorialità
negligente priva sia di calore che di controllo. Numerose evidenze scientifiche hanno evidenziato che
diversi si genitoriali comportano diversi effetti sullo sviluppo dei figli, in particolar modo lo stile
autorevole e maggiormente associato al benessere. Bisogna però evidenziare che il significato e
l'acquisizione di uno specifico stile genitoriale è fortemente influenzato dalla cultura e dal tempo, ma
non solo, perché bisogna ricordarsi che la relazione non è unidirezionale e che quindi anche i
comportamenti del figlio forgeranno lo stile che i genitori andranno ad assumere.

Anche le relazioni con i coetanei e gli amici ricoprono un ruolo fondamentale, nell'ambito dell'amicizia i
giovani possono apprendere abilità sociali diverse da quelle che esercitano nel contesto familiare: ci
sono più probabilità che un amico non critichi un comportamento, bensì supporti e condivida gli
interessi. Attenzione però: le relazioni con i genitori e quelle con i coetanei non si escludono a vicenda
bensì si rafforzano!! Può capitare che è un ragazzo incontri delle difficoltà nel creare o nell'inserirsi in un
gruppo di coetanei, così come può succedere che un ragazzo ricopra il ruolo di leadership (legata allo
status o all’essere benvoluti) all'interno di un gruppo esercitando un ascendente sugli altri. In ogni caso e
qualunque sia il ruolo che si ricopre all'interno di un gruppo, è importante sottolineare che ciascun
individuo influenza ed è influenzato dagli altri. Ci sono significative differenze di genere nelle relazioni
tra coetanei: i ragazzi imparano a negoziare e a cooperare all'interno di un gruppo, anche a competere;
mentre le ragazze imparano a comunicare, ascoltare e conservare una relazione. Ciò che nessuno dei
due impara e comunicare indipendentemente dalle differenze di genere. Questi diversi modi di fare
amicizia comportano anche diversi modelli di amicizia stessa.

Effetto alone: la percezione positiva di una certa caratteristica di un individuo può influenzare
positivamente il modo di percepire anche altre caratteristiche. È tipico di quei ragazzi di bell'aspetto che
si deduce abbiano anche una spiccata personalità o siano anche simpatici. L'aspetto negativo di questo
fenomeno sta però nel fatto che tali individui ricevono difficilmente assegno dai coetanei in quanto
considerati autonomi e autosufficienti.

I cambiamenti biologici e psicologici che avvengono durante il periodo della pubertà possono
influenzare e agevolare la costruzione di relazioni interpersonali, in particolar modo le capacità
empatiche e di comprensione del punto di vista dell'altro ne facilitano il funzionamento. Soprattutto di
recente è stata sopravvalutata l'influenza che la pressione dei coetanei può esercitare sul
comportamento di un individuo, in primo luogo perché abbiamo visto che in una relazione entrambi i
membri si influenzano vicendevolmente (quindi ci sono pari possibilità che l'uno prenda le mosse
dell'altro) e poi perché si sottovaluta l’agentività di ciascun individuo. VEDI COSA SONO I CROWDS
PAG.106!!

L'avvento di internet ha sicuramente cambiato il modo di comunicare e relazionarsi dei giovani,


soprattutto perché gli adulti non sono in grado di monitorare in che modo questo strumento viene
utilizzato. Alcuni ricercatori ritengono che la comunicazione sui social tolga tempo ai contatti sociali
faccia a faccia, altri invece avvertono che Internet sia la causa di numerosi problemi sociali riguardo la
privacy, la sicurezza, la pornografia ecc... infatti i primi studi volti all'uso di Internet hanno presentato dei
risultati contraddittori, perché non era chiaro cosa si intendesse con “utilizzo di internet”; emerso poi
che i giovani utilizzano le piattaforme per comunicare in modo diretto ed istantaneo con altri coetanei.
Questo e un indicatore dell'incremento del benessere, perché rafforza le amicizie garantendo una
confidenza maggiore. Al contrario invece chattare con estranei viene associato ad una diminuzione del
senso di benessere. Internet non supporta soltanto le relazioni sociali, permette anche di esplorare
tramite blog nuove conoscenze che possono ridefinire o permettere di esprimere la propria identità;
sebbene alcuni elementi, come l'anonimato, possono consentire lo sviluppo di molestie online e
cyberbullismo. Un ulteriore problema che potrebbe emergere dall'uso di Internet e la pressione
esercitata dal dover essere sempre disponibili, generando così una sorta di dipendenza e il bisogno di
mantenere delle aspettative.

Comportamenti aggressivi e di valenza negativa nei confronti dei coetanei però esistono anche al di fuori
di internet, parliamo di bullismo. Questo fenomeno è associato a diverse figure e ruoli: il bullo, la
vittima, il complice, lo spettatore e il difensore. Esistono due tipi di bulli: uno con scarsa capacità sociale
che ha difficoltà a mantenere normali amicizie e sfoga la frustrazione, e uno con elevata competenza
sociale che utilizza questo vantaggio per manipolare gli altri. I ragazzi sono maggiormente coinvolti nel
bullismo fisico e le ragazze nel bullismo verbale e relazionale.
Il tempo libero nella vita degli adolescenti è un contesto prezioso per l'apprendimento di abilità,
strategie sociali e competenze relazionali in varietà di forme. Tuttavia di recente sono diventati
consumatori “casalinghi” di prodotti multimediali come giochi online. In generale si può osservare una
serie di transazioni e trasformazioni delle modalità di uso del tempo libero degli adolescenti negli ultimi
anni: negli anni della prima adolescenza i giovani si organizzano e partecipano ad attività guidate da
adulti, con l'evolversi dello sviluppo apprendono abilità personali come imparare a fissare degli obiettivi
e gestire il loro tempo in maniera autonoma. Scherzare ridere può sembrare un'attività senza scopo e
inutile per gli adulti, ma in realtà è per i giovani un passatempo appagante. Al contrario poi le ricerche
hanno evidenziato un forte calo di interesse per la politica tra i giovani e un generale disimpegno
politico, anche se all'inizio del millennio il numero di giovani politicamente attivi è fortemente in
aumento. Il tutto dipende dal modo in cui i giovani scelgono di impegnarsi e in quale ambito scelgono di
farlo, poichè la politica non è soltanto appartenenza a partiti e partecipazione al voto.

Capitolo 6

Nel capitolo precedente abbiamo visto quali sono più o meno indicatori dai quali è possibile capire
l'inizio dell'età adolescenziale, questi sono per lo più dei mutamenti di tipo bio-fisiologico, quando però
si tratta di età adulta estremamente difficile stabilire da quando parta. I sociologi parlano di de-
standardizzazione del ciclo di vita: fenomeno per il quale è difficile avere aspettative chiare sul quando
e sul se gli individui debbano fare determinate cose in specifici momenti della loro vita, i confini tra le
varie fasi del ciclo di vita sono diventati labili. In passato i percorsi di transizione verso l'età adulta erano
prevedibili e caratterizzati per genere e classe sociale, oggi invece le possibilità e le opzioni sono molto
più ampie e che la società moderna offre ai giovani maggiore flessibilità e varietà.

Arnett introduce il concetto di emerging adulthood come nuova fase dello sviluppo posta tra
l'adolescenza e l'età adulta, emersa in seguito ai cambiamenti della società. Anche altri autori come
Erikson e Levinson avevano individuato la natura transitoria dei primi anni dell'età adulta rispetto
all'adolescenza, tuttavia secondo Arnett e solo in epoca post moderna che gli anni tra i 18 e 29
assumono caratteristiche specifiche dell’emerging adulthood. Questo periodo ha delle peculiarità ben
distinte sia dall'età adulta che dall'adolescenza, I principi che contraddistinguono questo periodo:

 feeling in between: i giovani non sono in grado di identificare se si ritengono adulti o meno,
significa che anche il processo di formazione dell'identità non si è concluso e il giovane deve
ancora sperimentare alcuni eventi fondamentali;
 non si sa chi si è e chi si diventerà: si tratta di una fase di self focus dedicata all'introspezione alla
riflessione;
 È il periodo delle possibilità dove tutte le scelte sono reversibili, ottica piuttosto in contrasto con
le teorie stadiali precedenti secondo le quali ciascuno stadio e uniforme per tutti gli individui;
 È anche il tempo dell'insicurezza perché la vastità di possibilità può essere sia liberatoria che
spaventosa, quindi può avvenire una perdita di sicurezza.

Alcuni studiosi ritengono che non si possa spiegare il cambiamento sociale, e quindi il cambiamento
della prospettiva di vita degli individui, aggiungendo semplicemente un nuovo stadio di sviluppo.
Sostengono che l'emerging adulhood non è universale, nel senso che non si verifica per tutti i giovani e
in tutte le culture poiché appunto lo sviluppo dipende fortemente dai contesti culturali.
Per spiegare una serie di differenze intraindividuali e interculturali sono state mosse delle ricerche e
sono stati delineati tre diversi percorsi di transizione:

1. coloro che vivono ancora con i genitori permettendosi di esplorare continuamente nuove
opportunità e procrastinare scelte lavorative, godere di diversi vantaggi mantenendo comunque
uno stato di felicità, questi sono più simili alla descrizione proposta da Arnett;
2. coloro che invece appartengono alla descrizione degli adulti emergenti poiché vivono ancora
con i genitori, ma mantengono un saltuario impegno lavorativo perché costretti da mancanza di
opportunità, si potrebbe dire che si trovano in uno stato di prevented adulthood caratterizzato
da una mancanza di possibilità!
3. Infine coloro che hanno raggiunto l'adultità in tempi precoci essendo cresciuti grazie ad
esperienze significative, il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro rappresenta un turning
point nella transizione all'età adulta.

Piumatti e Rabaglietti hanno condotto la stessa ricerca su un gruppo di studenti universitari italiani e
hanno identificato più o meno le stesse tre classi: positivi ma dipendenti, pessimisti e dipendenti,
fiduciosi e indipendenti.

Uno dei compiti più importanti nel percorso verso l'età adulta e la conquista dell'indipendenza dei propri
genitori. Capita che forti legami nel microsistema rendano inutile il supporto sociale del macrosistema,
mentre al contrario la mancanza aiuti pubblici rende il sostegno familiare indispensabile (questo è il
modello dominante in Italia). I fattori socioeconomici hanno una forte influenza sui modelli familiari,
ecco perché non esiste un tempo o un luogo in cui si può stabilire con certezza rete aggiusta per
abbandonare la casa dei genitori. Inoltre c'è un fenomeno in crescita che è quello dei ragazzi
boomerang: coloro che abbandona non nido per poi ritornarvici in seguito a degli sfortunati eventi della
vita. Diventare indipendenti dei genitori è un processo che richiede una serie di dimensioni come il
raggiungimento dell'autonomia emotiva o dell'autonomia comportamentale, legata a voi alla possibilità
di ottenere indipendenza economica. I conflitti relazionali sono fondamentali per l'emergere di queste
dimensioni. Un tempo si aspettava che il processo di individuazione e la conseguente costruzione
dell'identità personale avvenisse lungo l'adolescenza, oggi però si tende a posticiparlo fino alla prima età
adulta soprattutto perché abitare a lungo con i genitori ritarda il processo di individuazione. Alcuni studi
recenti hanno dimostrato che gli stili genitoriali che promuovono l'autonomia facilitano il processo di
individuazione nei giovani, vivere troppo a lungo con i genitori sembra avere un effetto negativo sullo
sviluppo e sul grado di benessere individuale. Uno studio quantitativo svolto in Belgio ha dimostrato che
i genitori utilizzano strategie diverse nell'affrontare il bisogno di autonomia dei figli: alcuni incoraggiano
attivamente questo bisogno di indipendenza, altri invece soprattutto quando non condividono le scelte
effettuate dal figlio tendono a essere restii concretizzandosi in comportamenti manipolativi volti ad una
protezione eccessiva che sfocia nella minaccia di privare il figlio della propria libertà.

L’individuazione, come tutti gli altri processi di sviluppo, è un percorso co-costruito tra genitori e figli.

Un altro aspetto importante per raggiungere l'autonomia è la costruzione di un nuovo nucleo affettivo,
sebbene il matrimonio nella società moderna sia procrastinato. La ricerca di un partner inizia negli anni
dell'adolescenza secondo due schemi di convivenza diversi: lo stile romantico consolidato caratterizzato
dall'impegno nella formazione di relazioni stabili e lo stile esplorativo caratterizzato dalla
sperimentazione con diversi partner. Non sono due stili netti e divisi, perché nella maggior parte dei casi
un po' tutti i giovani oscillano tra l'uno e l'altro. Le ricerche longitudinali hanno dimostrato che il
comportamento sentimentale in adolescenza influenza la qualità delle relazioni future: adolescenti che
hanno vissuto delle relazioni solide avranno appreso alcune importanti abilità relazionali come la
risoluzione dei conflitti e il bilanciamento dei bisogni. Inoltre, e soliti replicare modelli relazionali
preesistenti. Infine solo di recente ci si è focalizzati sulla violenza nell'ambito delle relazioni sentimentali
e sessuali tra gli adolescenti, in particolar modo l'utilizzo di social network ha influito sull'aumento della
violenza sebbene sia un fenomeno così complesso da richiedere il coinvolgimento di più fattori.

Il lavoro è il fattore più determinante nei processi di sviluppo perché influenza, direttamente o
indirettamente, tutti gli aspetti della nostra vita (salute, persone con cui ci si relaziona, risorse
economiche, competenze che si sviluppano ecc...). Da più punti di vista, uno dei principali indicatori
dello status adulto è costituito dall'indipendenza economica e da un lavoro retribuito, non è quindi un
caso che si considerino gli obiettivi legati al lavoro come i più salienti della vita. È stata individuata una
specifica single ritardo nella transizione all'età adulta rispetto all' ambito lavorativo, associata però ad
una serie di indicatori demografici (prolungata convivenza con i genitori o del periodo di studio). La
scelta professionale è vista come un processo continuo che inizia nell'infanzia ed evolve nell'adolescenza
tramite diverse esperienze, per questo motivo i fattori e motivazionali (abilità, doti, sostegno ecc...)
giocano un ruolo fondamentale nel modellare le traiettorie professionali. Infatti i processi che portano
allo sviluppo di capacità di facilitazione della carriera si costruiscono nell'infanzia, quando alcuni
comportamenti portano al successo e alla soddisfazione mentre altri si connotano come spiacevoli. È
inoltre importante sottolineare che anche gli stereotipi di genere influenzano le prestazioni scolastiche
le successive transizioni dalla scuola al mondo del lavoro. Infine bisogna considerare che i tipi di lavoro
cambiano costantemente, un flusso irrefrenabile di innovazioni; un tempo le competenze lavorative non
si modificavano nel corso degli anni e consentivano l'accumularsi di esperienza e competenza
professionale. Da alcuni decenni si possono identificare tre ampie tipologie di percorsi di carriera:
getting on, getting by e getting nowhere. L'appartenenza a questi gruppi è basata sulla classe sociale ed
è strettamente correlata al livello di istruzione raggiunto.

In conclusione il modo più efficace per studiare lo sviluppo umano è l'analisi delle transizioni e dei
cambiamenti individuali che avvengono durante il fronteggiamento delle sfide per l'inserimento nel
mondo adulto.

Capitolo 7

Definire la mezza età è difficile tanto quanto concettualizzare l'adolescenza o la prima età adulta, perché
non vi sono dei confini ben delimitati. Man mano che si progredisce lungo il corso della vita anche gli
adulti affrontano sempre nuove e difficili sfide. Nelle prime fasi del passaggio alla mezza età le persone
si trovano in uno stato di vitalità ed entusiasmo, in seguito le numerose aspettative nella sfera lavorativa
o relazionale li indirizzano verso uno stile di vita più convenzionale; ciononostante anche in
quest'ambito esistono traiettorie di vita estremamente individualizzate.

Per alcuni la mezza età inizia con la diminuzione del numero delle scelte possibili e con l'impossibilità di
considerare reversibili alcune scelte compiute (concetti ben diversi da quella che era la teorizzazione
dell’ emerging adulthood come momento ricco di possibilità e reversibilità).
Uno dei cambiamenti più ovvi, seppur non evidente agli occhi dei diretti interessati, è quello di natura
corporea. Molti di loro ne sono inconsapevoli perché questi cambiamenti si verificano durante un
periodo relativamente lungo di anni. Alcuni si considerano ancora prestanti e forti e non danno
importanza ai cambiamenti fisici, altri invece (soprattutto le donne) avvertono il peso di dover
mantenere alto lo standard. Quest'ansia deriva anche dal culto della bellezza: i mass media associano il
successo negli affari e nelle relazioni personali ad un’immagine giovane ed attrattiva. Un importante
cambiamento fisico che riguarda le donne, tendenzialmente tra i 40 e i 50 anni, è l’avvento della
menopausa. Consiste in un cambiamento nel sistema endocrino per effetto del quale le ovaie smettono
gradualmente di produrre gli ormoni che controllano il ciclo portando ad una cessazione delle
mestruazioni. Questo fenomeno è associato a tutta una serie di cambiamenti fisici e psichici perché le
donne lo affrontano in modi diversi: alcune di loro lo considerano una cosa positiva nel senso di
autostima e indipendenza, godere di uno status elevato perché dopo aver adempiuto al dovere sociale
di generare figli viene loro accordata una maggiore autorità decisionale; al contrario altre si sentono
smarrite e angosciate, sconvolgimento sociale e perdita dell’identità.

Anche dal punto di vista delle relazioni sentimentali, avanzando la mezza età, vanno stabilizzandosi le
condizioni delle persone. Oggi giorno si concede molto più tempo e spazio alla coltivazione dei propri
interessi e il matrimonio non è più considerato un marcatore sociale per il passaggio all’età adulta.
Soprattutto perché è in aumento la tendenza alla convivenza, maggiormente nel centro/nord in Italia,
mentre al sud comunque il matrimonio è ancora largamente diffuso. La convivenza viene considerata
una fase preliminare, per approfondire la conoscenza del partner prima del matrimonio, o una scelta
personale e duratura. L'intimità ha una forte influenza sulla qualità delle relazioni interpersonali, questa
include: fiducia, interessi condivisi, rispetto e onestà, ma soprattutto anche una condivisione della vita
sessuale. Ricerche hanno dimostrato che le persone hanno maggiore bisogno di condividere gli aspetti
più sfumati della sessualità (come baci e abbracci), ma comunque sia l’attività sessuale ha un riscontro
positivo anche sulla salute psicologica. Tuttavia man mano che si va avanti con l’età, le possibilità di
trovare un partner si fanno sempre più limitate, ed è il motivo per il quale molte persone si riversano
nella ricerca di partner su internet. Questo fenomeno richiede un alto grado di fiducia e prudenza. Può
capitare che in seguito a delle incongruenze e dei momenti critici nel corso del ciclo di vita le coppie
giungano ad una fase di rottura. La gestione economica e i ruoli genitoriali incompatibili possono essere
elementi di rischio, ma il disaccordo non è di per sé un fattore di rischio, lo è piuttosto il modo in cui il
disaccordo viene gestito soprattutto a lungo termine. Le interazioni negative tra cui l’ostilità e la
conflittualità riducono la soddisfazione coniugale predicando il divorzio. Divorzio e separazione sono una
sfida importante nello sviluppo ed hanno delle serie ripercussioni sui figli ed anche sul modo in cui i due
partner riprenderanno in mano la loro vita (potrebbero considerarlo un nuovo inizio se è vissuto in
modo pacifico, oppure demoralizzarsi se il processo è conflittuale).

L'arrivo di un figlio mina a quello che è il benessere e la felicità della coppia. In primo luogo si è visto
come sempre più adulti scelgono di procreare in tarda età (e questo può essere un fattore di rischio), poi
numerosi studi hanno analizzato sotto quali punti di vista l'arrivo di un figlio cambi lo stile di vita. Il
rapporto tra fratelli, le preferenze genitoriali e molti altri fattori sono degli indicatori fondamentali di
quello che è il benessere del nucleo familiare. Sia i genitori sia i figli influenzano gli stili genitoriali, anche
se i modelli relazionali all'interno di una famiglia diventano stabili non rimangono tuttavia statici
invariati. Allo stesso tempo però le reazioni potenzialmente depressive dei genitori alla vita senza i figli
sono state definite la sindrome del nido vuoto, quindi non sono solo i figli che escono dal nucleo
familiare a vivere un momento di turning point, ma anche i genitori stessi. Gli individui di mezza età
possono essere considerati una generazione Sandwich poiché devono farsi carico sia di un figlio che di
un genitore anziano. Secondo alcuni autori, la qualitò delle relazioni genitori-figlio durante la prima
infanzia è un fattore determinante per stabilire se i figli si prenderanno cura dei genitori anzi8ani.

Un'altra dimensione fondamentale dell'età adulta e la sfera del lavoro: questo gioca un ruolo
significativo nella formazione dell'identità e nella sua espressione esistenziale. La mezza età è spesso
vista come un periodo in cui si comincia a riflettere sulla realizzazione delle proprie aspirazioni.
Ultimamente è in rialzo il fenomeno della disoccupazione, i giovani meno istruiti e competenti rischiano
in misura maggiore di non trovare lavoro e la perdita del lavoro, per individui di mezza età, è
psicologicamente più difficile di quanto non sia per i giovani la ricerca di un lavoro nuovo. Così come
qualunque fenomeno sopraccitato, anche la disoccupazione con i suoi effetti variano da individuo a
individuo a seconda delle circostanze.

In quanto preparazione al futuro la mezza età è importante tanto quanto lo è la moratoria


nell'adolescenza, perché ci sono poche abilità del tutto nuove che richiedono di essere apprese ma nelle
società moderne la velocità del progresso tecnologico richiede che gli individui siano al passo. C'è il
rischio che nella mezza età le persone smettono di considerare le opportunità e le peculiarità del
cambiamento, e quando poi i cambiamenti sociali avvengono e diventano parte del tessuto stesso
sociale, l'individuo può ritrovarsi dequalificato e smarrito. Gestire al meglio il proprio tempo libero può
preparare l'individuo alle sfide da fronteggiare dopo il pensionamento e contribuire a creare una rete di
sostegno sociale.

In conclusione si potrebbe dire che fare il bilancio della propria vita non è un'attività esclusiva della
mezza età, però in questa fase acquisisce una particolare importanza perché c'è ancora tempo per
riconsiderare le proprie scelte e intraprenderne di nuove. Ovviamente le opportunità di sviluppo che
scaturiscono dal fare bilanci sulla propria vita sono correlate alle risorse alle sfide disponibili. Bisogna
infine precisare che l'essere felici o infelici non ha nulla a che fare con l’età, bensì riguarda gli eventi
succedutisi nell'arco della propria vita e le risorse di coping, il modo in cui gli eventi sono collegati ad
altre esperienze. Dunque il concetto di “crisi di mezza età” è errato dal momento in cui la probabilità di
una crisi esiste indipendentemente dal momento del corso della vita.

Capitolo 8

L'invecchiamento è un processo comune a tutti anche se ancora non ne sono chiare Le motivazioni. Un
argomento contro questa ipotesi è che ciascuna specie conta solo pochi membri che riescono a
raggiungere un'età avanzata a causa delle condizioni di vita avverse, quindi l'estrema longevità o
addirittura l'immortalità non si sono verificate in nessuna specie. Diversi Processi a livello cellulare
sembrano essere responsabili delle manifestazioni del processo di invecchiamento: le cellule del corpo
sono in grado di rinnovarsi per duplicazione, tuttavia il numero di volte che possono duplicarsi è finito e
quando hanno raggiunto il numero massimo, muoiono. Capita poi che a volte si duplichino in modo
errato e dopo qualche tempo emerga una serie di cellule di DNA danneggiate, quindi ci sono molti
processi che interagiscono nel causare il processo di invecchiamento ma la scienza non ha ancora
espresso l'ultima parola per spiegarne le cause.
Il deterioramento dell'età è ritardato di almeno un decennio e le persone raggiungono la vecchiaia in
condizioni di salute migliore, si sostiene che allungandosi la durata della vita ci sono più possibilità che
aumenti la demenza, in particolar modo il morbo di Alzheimer. Tuttavia Il declino cognitivo è
ampiamente sovrastimato e spesso e anche confuso con i sintomi di specifiche malattie, infatti non
esistono risultati solidi di ricerca che definiscano tale declino come parte naturale dell'invecchiamento.
A parte quindi le malattie legate al deterioramento cognitivo, le condizioni della vecchiaia sono in
miglioramento. Vi possono essere ancora casi di depressione, più precisamente depressione reattiva a
causa di una crescente paura della morte. Si aggiunge poi il fatto che i normali processi di
invecchiamento portino a una riduzione delle funzioni del sistema corporeo che colpisce i polmoni, il
cuore ecc... rendendo la persona anziana più incline alle malattie cardiovascolari, alcuni disturbi possono
essere prevenuti o alleviati da fattori legati allo stile di vita. La salute le aspettative di vita, però, variano
a seconda delle diverse regioni geografiche e dello status socio-economico che predice l'aspettativa di
vita anche dopo il pensionamento; un Elemento ancora più significativo è la percezione soggettiva del
proprio stato di salute come predittore della lunghezza di vita. La percezione positiva è fortemente
associata a sentimenti di benessere e la convinzione di avere uno scopo nella vita è un potente
elemento di benessere, ovviamente familiari e amici ricoprono una grande influenza sul senso di
benessere e sulla salute, ecco perché la percezione del proprio status di salute è più importante delle
effettive condizioni mediche di questo.

Con l'avanzare dell'età, le persone richiedono maggiori cure e attenzioni; di solito i paesi che hanno una
forte tradizione di coesione familiare si aspettano che la famiglia si assuma la responsabilità degli anziani
a causa dello scarso supporto derivante dalle politiche sociali, al contrario però accade per quei paesi
dove le sovvenzioni e i servizi rendono questa attività di cura una vera e propria responsabilità collettiva.
Le malattie croniche rendono difficile svolgere anche le attività quotidiane e quindi coloro che vivono in
casa propria mostrano un livello di benessere soggettivo inferiore rispetto a coloro che vivono in una
casa di cura, tuttavia le persone con disabilità cognitiva percepiscono una migliore qualità della vita
fintanto che possono rimanere nel loro ambiente domestico. Sono numerosi i fattori che interagiscono
nel determinare se una persona anziana tragga maggiore beneficio dall'assistenza di tipo domiciliare o
meno, eppure la quantità totale di aiuto ricevuto dalle persone anziane è maggiore negli Stati con una
forte infrastruttura di servizi territoriali perché il supporto familiare e quello statale si sommano
offrendo una vasta gamma di scelte e una discreta dose di benessere.

Per quanto riguarda la tematica dell'amore delle relazioni sentimentali: le donne tendono ad affrontare
la vedovanza meglio rispetto agli uomini, vi sono delle differenze di genere riguardo la ricerca di un
partner dopo la morte del coniuge. Le donne cercano amicizia e compagnia senza gli inconvenienti del
matrimonio, gli uomini invece cercano qualcuno che gli accudisca. Per quanto concerne la sessualità in
età avanzata, soprattutto negli ultrasessantenni, ci sono state poche ricerche.

I processi di socializzazione in cui i pregiudizi dominanti della società vengono presentati all'individuo
durante il suo sviluppo e poi progressivamente interiorizzati, presentano un quadro pessimistico della
vita dopo il pensionamento come se questa perdesse di significato. Nasce una visione stereotipata della
vecchiaia associata al declino, alla debolezza e alla dipendenza. L’agesim sono i pregiudizi
sull'invecchiamento che hanno un grave effetto sulla salute delle persone anziane e riducono
l'aspettativa di vita.
Il pensionamento era considerato come il marcatore psico sociale dell'ingresso nella vecchiaia, un cut-
off basato esclusivamente sull'età cronologica e non sulle prestazioni individuali. Oggi però l’età del
pensionamento varia a seconda dei diversi tipi di occupazione e dei differenti paesi, anche se è in rialzo
il pensionamento anticipato sicuramente associato a motivi di salute. L’avvento di questo fenomeno
richiede di affrontare una serie di sfide legate a: trovare una nuova routine quotidiana, perdere le
relazioni con gli ex colleghi e dover costruire un nuovo network sociale, affrontare una nuova situazione
economica e delle nuove implicazioni nei rapporti coniugali. Difatti proprio per quanto riguarda questo
aspetto, in Giappone è stata evidenziata una sindrome del marito in pensione che caratterizza le donne
provenienti da famiglie tradizionali le quali in concomitanza con il pensionamento del marito, ampliano i
loro rapporti di amicizia così da dover trascorrere tutto il tempo in casa. Alcuni studi hanno raccolto una
serie di dati che permettono di dividere gli individui in quattro gruppi:

1. individui attivi --> la pensione rappresenta un'esperienza di crescita, il lavoro era piacevole ma
sono pronti a rinunciarvici per avere tempo da dedicare alle altre attività;
2. individui che rifiutano il pensionamento --> presentano grossi problemi di adattamento e la loro
identità subisce una crisi in quanto costruita intorno al lavoro;
3. individui che non si sono del tutto adattati --> in pensione da poco, lamentano la perdita di uno
status, ma sono in cerca di una svolta per procedere nel loro percorso di sviluppo;
4. Individui (la minoranza) che presentano una serie di problemi concomitanti.

Vedi pag. 182 per la solitudine familiare, il lutto (come evento normativo) e il ruolo di nonni!!

Le considerazioni finora tenute delineano un quadro particolarmente pessimistico di quella che è la


condizione dell'invecchiamento, tuttavia la perdita tutore dell'autonomia e il rischio
dell'istituzionalizzazione si concretizza solo per una piccola percentuale di persone molto anziane in
quanto i cambiamenti sia culturali che sociali hanno garantito una prospettiva di supporto all'
invecchiamento riaccendendo il concetto di invecchiamento di successo. La definizione stessa di salute
fornita dall’OMS porta 1/3 delle persone di età superiore ai 65 anni a rientrare nella classificazione di
invecchiamento di successo. Soprattutto le autoattribuzioni e le autovalutazioni di benessere soggettivo
riportano sempre più individui nel range di successo. La chiave per un invecchiamento di successo è
ottimizzare ciò che è ancora possibile, goderselo e vivere nel qui ed ora, sottolineando l'importanza degli
interventi e dell’impegno sociale. Va però sottolineato che questa condizione è il risultato di un processo
di sviluppo continuo che inizia nel passato.

Capitolo 9

Lo sviluppo è una risposta alle sfide che si incontrano nel corso della vita, l'adattamento è più facile
quando le sfide sono relativamente prevedibili (quindi nel caso di cambiamenti normativi) poiché gli
individui sono preparati ad affrontarle. Alcuni cambiamenti, poiché comuni a più individui e attesi,
consentono alle persone di arrivare già preparate ed avere un modello di comportamento di
riferimento. Le sfide più difficili sono i cambiamenti non normativi che colpiscono inaspettatamente.
Che siano normativi o non normativi, i cambiamenti portano tutti a un punto di svolta; le transazioni
possono richiedere del tempo per essere realizzate e portate a termine e sono solitamente innescate da
cambiamenti nell'ambiente o individuali. Le transazioni richiedono adattamenti ed il risultato di questo
processo è una trasformazione. Le transazioni possono apparire come radicalmente differenti, ma i
processi sottostanti rimangono i medesimi per ciascun individuo. È Impossibile formulare una
descrizione normativa del corso della vita, poiché, sebbene i contesti e le sfide varino, le forze che
muovono la transizione ed i processi rimangono sempre gli stessi.

Brandtsadter e Rothermund Suggeriscono che durante la transizione gli individui possano utilizzare due
strategie. Una è l'assimilazione: quando ci si accorge che un obiettivo è ostacolato nelle circostanze
attuali, si può provare a modificare la situazione. A seconda di quale sia l'ostacolo e l'obiettivo, si
potrebbe: rimuovere l'ostacolo, intensificare gli sforzi, chiedere aiuto per raggiungere l'obiettivo o
modificarlo. L'altra opzione è l’accomodamento: Rinunciare agli obiettivi originari e riorientare le
proprie ambizioni. La scelta dell'una o dell'altra strategia dipende dalle capacità dell'individuo di auto
valutare correttamente le proprie capacità e dalla forza di perseguire l'obiettivo, prima di stabilire quale
delle due applicare, durante il periodo di valutazione, la maggior parte degli individui sperimenta un
momento di incertezza; ma la crisi è una componente essenziale del cambiamento evolutivo. Può
capitare inoltre che si scelga una combinazione delle due strategie.

Lo sviluppo consiste sempre sia in guadagni sia in perdite: le perdite sono inevitabili ma aprono anche
potenziali opportunità di guadagno e di cambiamento. In passato l'accento veniva posto maggiormente
sugli aspetti problematici dello sviluppo e forse è giunto il momento di dare maggiore importanza anche
gli aspetti positivi (la maggior parte delle persone sta bene, normatività). Infatti una prospettiva più
ottimistica del cambiamento evolutivo potrebbe considerare tutti gli eventi della vita come potenziali
sfide e fattori in grado di attivare lo sviluppo e la crescita, nonostante i rischi che le accompagnano.
Seligman suggerisce una psicologia positiva (metamodello) per definire la ricerca scientifica che si
occupa del funzionamento umano ottimale, focalizzandosi soprattutto sui punti di forza e le qualità di
ciascun individuo. L’idea di base è quella che molteplici qualità umane, come il coraggio, l'ottimismo,
l'onestà e la perseveranza, possano fungere da ammortizzatori cruciali; ed è possibile promuovere un
lavoro di prevenzione che consista nel creare una scienza della resilienza. Il migliore antidoto contro
l'impotenza personale è acquisire precoci esperienze di controllo. Vi sono alcune risorse idonee a
facilitare lo sviluppo degli individui:

 l'apprendimento permanente (life-long learning): corrisponde ad un alto livello di istruzione che


migliora la qualità della vita, aumenta il benessere e le capacità cognitive. L’apprendimento
permanente fornisce molte abilità importanti utili per affrontare le sfide quotidiane superare le
transazioni, le persone hanno maggiore probabilità di avere il controllo sulle proprie finanze e
sulla propria vita sociale. Oltre a fornire qualifiche professionali i programmi di apprendimento
riescono a conferire l'autoefficacia e la convinzione per poter raggiungere i propri obiettivi.
L'autoefficacia è un potente fattore predittivo e protettivo.
 percezione soggettiva di salute: legata inevitabilmente al l'autoefficacia che permette di
associare le proprie capacità di cambiamento al proprio stile di vita per migliorare la salute.
 supporto sociale: l'aiuto emotivo, informativo e strumentale fornito dagli altri migliora il
benessere personale. L’esistenza di una rete di familiari e amici dipende in larga misura dalle
abilità sociali dell'individuo nell'acquisire e nel mantenere le relazioni sociali, tuttavia anche
qualora scarseggino, le abilità sociali possono essere apprese, educate e migliorate.

Le macro caratteristiche delle persone con un'altro livello di benessere sono:

P --> emozioni positive


E --> impegno

R --> relazioni positive

M --> obiettivi

A --> guadagno, raggiungimento

Tutto si basa sugli stati soggettivi positivi: emozioni positive, felicità, confidenza, ottimismo e speranza,
soddisfazione di vita. Il benessere NON è assenza di presupposti negativi, alcuni elementi di benessere
possono essere più individuali: positive individual traits caratterizzano le persone con alti tratti di
gentilezza, coraggio, giustizia ecc... ovviamente anche i contesti di riferimento possono o meno garantire
il benessere. È importante individuale e studiare possibili fattori di rischio per poi applicare Un'ottica di
prevenzione e protezione, infatti il campo di applicazione della psicologia positiva è proprio la
prevenzione piuttosto che il trattamento di situazioni già compromesse. La psicologia positiva è una
psicologia umanistica.

Inoltre Rutter aveva sottolineato l'importanza delle esperienze e della partecipazione sociale per lo
sviluppo dell’adolescente, facendo così riferimento al contesto e ai modelli sistemici come quello di
Bronfenbrenner e la dynamic system theory. Esaminando però le ricerche pubblicate e ascoltando le
presentazioni nei convegni, di si rende conto di una certa ripetitività nelle tematiche, nella metodologia
e nei risultati congiunti ad un'assenza di solide basi teoriche riguardo alle ricerche in ambito psicologico.
Tutto e iniziato con un cambiamento del macrosistema, alcuni autori hanno sottolineato come i
ricercatori producano una quantità di lavori ridondanti, banali e incoerenti fingendo di avere testato una
teoria, mentre hanno sfruttato i loro dati per ottenere risultati statisticamente significativi e poi hanno
inventato a posteriori una teoria plausibile fingendo che quest'ultima abbia guidato la raccolta dei dati.
La psicologia positiva ha un approccio concreto perché parte dall'osservazione e non da forme teoriche
prestabilite, infatti l'assunto fondamentale è quello di far combaciare la ricerca in ambito accademico
con la dimensione di intervento applicativa. L’uso impreciso della scienza psicologica, conduce a un
riciclaggio ad uso e consumo del pubblico che porta delle conseguenze a lungo termine come la perdita
di fiducia negli scienziati. Infatti Lerner affermato che la ricerca in laboratorio è di scarso valore se si
vogliono comprendere i cambiamenti che si verificano nella vita reale ed ha quindi proposto il concetto
di scienza dello sviluppo applicata per un nuovo approccio alla ricerca che consista in interventi diretti
nei contesti di vita quotidiana, si tratta di un coinvolgimento multidisciplinare. Però per introdurre
questo approccio innovativo è necessario introdurre anche nuovi metodi di ricerca, nonostante si sappia
quanto risulti difficile abbandonare e cambiare le vecchie tradizioni di ricerca.

La specifica è la psicologia positiva in ambito di sviluppo: si focalizza sempre con degli interventi di
protezione precisamente per quanto riguarda i momenti di presa decisionale e di significativo
cambiamento (momenti di una possibile biforcazione).

Vedi pag. 205 per l’ultimo paragrafetto conclusivo. In bocca al lupo Alessia del futuro <3
CAP 1
L’invecchiamento
L'aumento della speranza di vita ha incrementato lo studio dell'invecchiamento, distinguendo da una parte
le discipline che studiano l'invecchiamento patologico e dall'altra quelle che si focalizzano sull'
invecchiamento normale. La geriatria è la branca della medicina che ha come oggetto di studio gli aspetti
legati alle patologie che caratterizzano l'invecchiamento. La gerontologia è una branca della psicologia che
studia i processi di invecchiamento non patologico. Recentemente lo studio della stabilità dei cambiamenti
psicologici della persona che invecchia caratterizza la psicologia dell'invecchiamento. 3 modelli hanno
guidato le attività di ricerca all'interno di questa disciplina.
1. Il principale oggetto di studio è stata la persona anziana e la vecchiaia. Con la psicologia della
vecchiaia (Psychology of the Aged) Si descrivono le caratteristiche e le problematiche di natura
biologica, sociale e psicologica di questo stadio della vita.
2. L'interesse si è spostato verso l'analisi delle differenze tra gruppi diversi per età che caratterizza la
psicologia delle differenze di età (Psychology of Age). L'obiettivo di tali ricerche è individuare,
mediante studi trasversali le cause e le conseguenze dei meccanismi e dei processi alla base delle
differenze legate all'età.
3. La psicologia dell'invecchiamento (Psychology of Aging) studia i cambiamenti comportamentali che
avvengono con l'avanzare dell'età in una prospettiva di arco di vita.
I primi studi e le prime ricerche sull'invecchiamento si collocano nel 1920: Botkin pubblicò uno studio
condotto su 3000 anziani di San Pietroburgo che fornì i primi dati sulle differenze tra invecchiamento
normale e invecchiamento patologico.
Uno dei primi studi di laboratorio sull'invecchiamento venne condotto in ambito etologico da Pavlov
che notò come gli animali più anziani mostrassero maggiori capacità di apprendimento rispetto a quelli
più giovani.
Nel 1922 Hall pubblicò Il primo libro sugli aspetti psicologici e sociali dell'invecchiamento negli USA.
Solo a partire dal 1950, dopo la nascita della società di gerontologia in America nel 1945 si assiste a
maggiori pubblicazioni sull'invecchiamento.
A partire dai primi anni del 900 e ancora oggi, migliori condizioni di vita e minori tassi di mortalità hanno
comportato un aumento esponenziale della speranza di vita e, di conseguenza, l'invecchiamento della
popolazione. Sempre più persone raggiungono con successo la vecchiaia. La versione dell'invecchiamento
come inesorabile declino fisico e cognitivo è stata messa in discussione considerata troppo semplicistica per
la ricerca contemporanea. L'invecchiamento è un fenomeno complesso, lo sviluppo della persona continua
lungo tutto l'arco della vita.
Carbone in una ricerca dimostra come ogni anno vengano pubblicati migliaia di studi che trattano di
invecchiamento ed età adulta avanzata. L'interesse è stato rivolto allo studio dei processi cognitivi
(memoria, attenzione, linguaggio), sensoriali, dei loro correlati neurali oltre che a processi psicologici
(motivazione, emozioni e personalità). Un numero considerevole di pubblicazioni viene rilevato per il 2012-
13 poiché in questi anni sono apparse numerose riviste scientifiche di psicologia dell'invecchiamento come
Psychology&Aging.
Nasce formalmente una nuova figura di psicologo: il geropsicologo. Vengono formati professionisti
specializzati nella pratica clinica con questa particolare fascia di popolazione consapevoli dei processi che
caratterizzano l'invecchiamento normale e quello patologico, pronti a fornire adeguati interventi volti a
soddisfare i bisogni specifici della persona anziana e della sua famiglia. Le linee guida proposte
dall’American Psychological Association per la pratica psicologica con gli anziani comprendono:
1. competenze e atteggiamento nel lavoro con l'anziano viene sottolineato come gli stereotipi dell’
invecchiamento possono risultare bias negativi non solo per l'anziano ma anche per il
geropsicologo stesso che deve sviluppare una percezione il più realistica possibile dei punti di forza
e della debolezza della persona anziana.
2. Conoscenze generali sullo sviluppo dell'adulto, sull'invecchiamento e sugli anzianila prospettiva
adottata è quella dello sviluppo lungo l'arco di vita che definisce l'invecchiamento come un
processo continuo di adattamento caratterizzato da guadagni e perdite.
3. Problematiche cliniche valutazione delineare un profilo funzionale esaustivo dell’anziano
4. Intervento, counseling e altri servizi  è importante che l’intervento sia adatto
5. Formazione continua sia a livello teorico che clinico.
L'aumento della popolazione anziana rappresenta un'importante sfida per i servizi socio sanitari. Per
quanto riguarda l'opinione pubblica vengono prodotti sempre più film e serie televisive che hanno per
protagonisti gli anziani e che affrontano vari temi legati all'invecchiamento.
Nei primi anni cinquanta si iniziarono ad applicare anche in Italia al mondo anziano i reattivi mentali
disponibili ad opera di Padre Gemelli e del suo allievo Cesa-bianchi. Nonostante i pregiudizi nei confronti
delle discipline psicologiche fossero ancora molto diffusi, in Italia un primo punto di svolta poteva essere
rappresentato da un’autonomizzazione accademica della psicologia.

Come si spiega l’invecchiamento? Gli approcci teorici


Teorie Oggetto di studio e caratteristiche Autori
(anni 40-70 periodo classico)
Personalità Conflitti emotivi e processi inconsci è applicata nelle 1936 Freud
Teoria psicodinamica maggiori transizioni della vita.
Teoria psicosociale dello Estende la teoria all’intero arco della vita. Propone 8 stadi 1950 Erikson
sviluppo della personalità dello sviluppo ciascuno caratterizzato da crisi che si
originano dal conflitto di 2 tendenze di sviluppo opposte.
I temi più importanti riguardano l’intimità, la produttività,
l’integrità.
Teoria della personalità Eventi di vita inaspettati che possono avere conseguenze 1968 Neugarten
nell’invecchiamento negative per lo sviluppo. L’adattamento è la chiave di un
buon processo di invecchiamento che può essere distinto
in 8 tipologie
Teoria cognitiva della La percezione che la persona ha di sè o di un evento di 1970 Thomae
personalità vita insieme alla capacità di mantenere in equilibrio i
nell’invecchiamento sistemi cognitivi e motivazionali, favoriscono
l'adattamento della persona ai cambiamenti età-relati.
Psicosociale lo sviluppo mette la persona di fronte a compiti/attività Havighrust 1948
Teoria dell’attività sfidanti che se vengono risolti con successo favoriscono
un buon processo di sviluppo biologico, sociale e
culturale.
Teoria del disimpegno l'invecchiamento comporta un allontanamento Cummit e Henry
progressivo dalle attività sociali, un minor coinvolgimento 1961
nelle relazioni con gli altri è una maggiore
preoccupazione per il proprio benessere.
Teoria della controparte strutture comportamentali latenti sono state selezionate 1960 Binner
grazie a esperienze passate e permettono di soddisfare i
propri bisogni e adattarsi ai cambiamenti.

Anni 70-80 periodo moderno


Personalità vengono identificati diversi stadi di sviluppo lungo Levinson 1978
Personalità e l'arco della vita.
invecchiamento
Teoria umanistica la personalità viene studiata in termini di tratti, Consta e McCrae
evidenziando come questi rimangano stabili e non 1988
cambino nell'invecchiamento. Maslow 1968
la persona viene considerata ed esaminata nel suo
insieme, per predire come si comporterà. Particolare
importanza viene data alla motivazione.
Psicosociale il ruolo delle influenze normative sui processi Batles e Carstensen
psicologici, particolare attenzione viene data alle 1996
Teoria della selettività teorie di controllo primario e secondario di copying e Whitbourne 1987
socioemotiva agli stili attributivi.
Selettività nelle scelte e nelle relazioni sociali
all'aumentare dell'età finalizzata alla soddisfazione
emotiva. Gli obiettivi emotivi diventano prioritari con
implicazioni importanti anche nei compiti cognitivi.
Apprendimento sociale le determinanti ambientali del comportamento e dei Bandura e
cambiamenti comportamenti, in particolare sulle Seligman 77 e 81
punizioni e sulle ricompense che la persona riceve dal
proprio ambiente.
Dialettico i cambiamenti che caratterizzano tutto l'arco di vita in Baltes e Baltes
Teoria dello sviluppo cui si assiste a un'interazione continua tra guadagni e 1980
lungo l’arco di vita perdite, tra influenze biologiche, storiche ecc. modello
SOC (selezione, ottimizzazione e compensazione)
Psicobiologico il declino nella funzionalità degli organi, funzionalità Plomin e McLean
Genetica neurologica con aumenta aumento di rischio di 90
comportamentale e sviluppo di varie malattie e patologie. intervengono Pedersen 96
invecchiamento fattori genetici e ambientali il cui ruolo cambia con
l'età.

Psicologia delle l'uso di test psicologici di intelligenza e di personalità. Cattel 87


differenze individuali
Intelligenza e
invecchiamento
Riduzione delle risorse l'elaborazione delle informazioni sulla cognizione Salthouse e Schaie
cognitive memoria e attenzione e come questa influenza la 85 e 96
nostra vita.
Anni 80-90 periodo contemporaneo
Gerotrascendenza vengono integrati la teoria dell'attività, la teoria del disimpegno e alcuni Tornstam
concetti introdotti da Erickson definendo tre livelli di sviluppo 94
ontologico età-relati della persona. Gli anziani centenari ricorderebbero
un maggior numero di eventi neutri poiché durante gli ultimi anni di
vita si sentirebbero più contemplativi, in comunione con l'universo e
più vicini a un'altra vita.
Gerodinamica concetti di caos ed equilibrio per definire il continuo processo di Schroots
riorganizzazione del se con l'avanzare dell'età. Ogni momento di 95
trasformazione e cambiamento può portare allo sviluppo di strutture o
processi di alto/basso livello

Cosa vuol dire invecchiare?


Si stima che nell'antichità la speranza di vita forse intorno ai 20 anni circa. In epoca romana c'era chi
considerava la vecchiaia di per sé malattia.
L'invecchiare deve essere distinto dalla malattia. Invecchiare porta con sé cambiamenti universali e non
reversibili, ma non necessariamente invalidanti. La malattia può essere curata, alleviata o ritardata nel suo
insorgere e colpisce solo una parte della popolazione. A livello biologico l'invecchiamento è un processo
non volontario che opera in modo cumulativo con il passare del tempo comportando modificazioni cellulari
dovute a infezioni, incidenti o intossicazioni ambientali. La teoria biologica dei radicali liberi: dei metaboliti
reattivi all'ossigeno causano danni all'organismo. La teoria ormonale afferma che alti livelli di ormoni
steroidi provocano un declino nel sistema immunitario.
L'età biologica o età del corpo è un indicatore dinamico dello stato di salute e di funzionamento
dell'organismo. Viene definita attraverso il numero di anni che una persona si aspetta di vivere in relazione
alla funzionalità dei suoi organi vitali. Un indicatore importante utilizzato per definire l'età biologica è
l'aspetto fisico, come la persona appare esteriormente rispetto ai coetanei di pari età cronologica.
L'età psicologica può definirsi come l'età soggettiva che ognuno sente di avere e si riferisce a quanto bene
una persona riesce a utilizzare le proprie abilità cognitive, personali o sociali per sperimentare nuove
attività e vivere nuove esperienze, oltre che adattarsi ed essere resiliente di fronte a condizioni nuove e o
non usuali.
L'età sociale è determinata dalla posizione sociale raggiunta a una data età rispetto alla media.
L’età funzionale fa riferimento alle competenze che la persona mostra di avere mentre svolge specifici
compiti.
Secondo il rapporto Istat del 2014 in Italia gli anziani con più di 65 anni sono circa 12 milioni. Il record della
longevità è passato dai 112 anni nel 1980 ai 122 nel 1997. Oggi si assiste al fenomeno del nonno bum
espressione che si contrappone a quella dei baby boom che segnò il periodo successivo alla seconda guerra
mondiale.

Il ruolo dell’età cronologica


Alcune persone adulte possono apparire più giovani rispetto alla loro età cronologica, causando una sorta
di non corrispondenza tra età dimostrata ed età cronologica effettiva. Monicelli a 93 anni affermava “c'è
una sola cosa da fare divertirsi”. Quindi non ci sono regole che stabiliscono quando una persona è
considerata vecchia. A partire dal 1919 con l’istituzionalizzazione del sistema di previdenza sociale italiana
(che ha il ruolo di stabilire un compenso monetario mensile da erogare ai lavoratori che escono dal mondo
del lavoro) che si è radicata l'idea che l'età anziana corrisponde al compimento del sessantacinquesimo
anno di età. Per mettere in risalto la variabilità che caratterizza l'età adulta sono proposte categorie
basandosi sull’età cronologica: giovani anziani 64 74 anni, anziani 75 85 anni, grandi vecchi 85-99 e
centenari. L'età anziana dei centenari è caratterizzata maggiormente da differenze che omogeneità.
Si diventa vecchi quando gli altri ci considerano tali (etero attribuzione) e quando ci si sente vecchi (auto
attribuzione), quando si inizia a pensare al qui e ora vista la ridotta prospettiva temporale davanti a sé e si
affrontano le cose in maniera più dettagliata e concreta. Si assiste a un declino cognitivo cognitivo
pronunciato ed evidente 5 anni prima di morire.
“A life plan for a life-span” è un documento pubblicato dalla commissione sull'invecchiamento dell’APA che
sensibilizza l'opinione pubblica sul tema della prevenzione e promozione di un invecchiamento attivo.
Affinché venga efficacemente proposta la cultura della buona longevità dovrà essere scardinato lo
stereotipo per cui contro l'invecchiamento nulla è possibile. La qualità della vecchiaia dipende anche dallo
stile di vita che la persona adottata fin dalla giovinezza. Il questionario sulla longevità tradotto da Schulz e
Salthouse nel 1999 permette di comprendere quali sono i fattori da cui dipende la nostra aspettativa di vita
e di rispondere alla domanda quanto a lungo vivrai?

CAP 2
TEMI, PROBLEMI E ASPETTATIVE DELLA PSICOLOGIA DELL’INVECCHIAMENTO E DELLA LONGEVITA.
L'invecchiamento può essere definito come processo o insieme di processi che hanno luogo in un
organismo vivente e che con il passare del tempo ne diminuiscono la probabilità di sopravvivenza. Gli esseri
umani hanno cercato da sempre di combattere l’invecchiamento tentando di allungare la vita alla ricerca
dell'eterna giovinezza. Per evitare i segni del tempo si fanno diete, si utilizzano sostanze chimiche e
integratori.
cambiamenti fisici esterni:
Pelle e viso: comparsa di rughe sulla fronte verso i 30 anni e ulteriori segni del tempo tra i 30 e i 50. Dopo i
50 si ha un aumento importante delle rughe a causa della diminuzione del collagene che rende la pelle
meno elastica, della fragilità capillare, dell'assottigliamento dei tessuti epidermici. Verso i 70 la pelle
diventa ruvida, assume un colore non uniforme con la presenza di macchie generalmente scure che
diventano particolarmente evidenti. A causa dell'accumulo di cartilagine il naso si allunga e si assottiglia, si
ingrandiscono i lobi delle orecchie che aumentano di dimensione. La circonferenza della testa aumenta in
quanto lo scalpo diventa più spesso
Capelli: comparsa dei capelli bianchi a partire dai 40 anni. A partire dai 65 anni i capelli diventano sempre
più fini e crescono più lentamente ed è più frequente la calvizie. Aumento della pelosità in alcune parti del
corpo naso orecchie schiena sopracciglia
Altezza: dai 30 ai 50 anni vi è una diminuzione di circa un centimetro. Tra i 50 e i 70 la diminuzione è di 2 cm
a causa della gravità che provoca un indebolimento nei muscoli, un deterioramento è una compressione
delle ossa della spina dorsale.
Peso: aumento del peso e diminuzione del metabolismo basale che rallenta del 3% ogni 10 anni a partire
dai 20.
Voce: le corde vocali diventano molto più acute si irrigidiscono e vibrano a una maggiore frequenza. La voce
può cominciare a tremolare.
cambiamenti fisici interni:
Muscoli e ossa: i muscoli raggiungono la loro massima forza dai 20 ai 30 anni per poi subire un declino
soprattutto dopo i 60 anni. Diminuzione della forza muscolare del 30-40% dai 30 agli 80 anni. Il declino
della massa muscolare causa perdita di forza e contribuisce alla perdita di densità ossea e del tessuto osseo
causando osteoporosi e della progressiva degenerazione delle strutture ossee che causano l'artrosi.
Propriocezione: declino della consapevolezza della posizione del proprio corpo e dei propri arti nello spazio
che dipende sia dalla funzionalità degli organi di senso che dai processi percettivi superiori. A livello
neuromotorio vi è una diminuzione dei tempi di reazione e della coordinazione
Sistema cardiovascolare: invecchiando il muscolo del cuore si deteriora e diminuisce l'efficienza con cui il
sangue viene trasportato al resto del corpo. Le arterie diventano meno sensibili e più strette. Il battito
cardiaco subisce un rallentamento
Sistema polmonare: diminuisce la sua efficienza
Digestione: i muscoli digestivi funzionano più lentamente e si riduce la produzione di acidi
Temperatura: cambia l'abilità di adattarsi a temperature fredde mantenendo il corpo caldo e a temperature
calde mantenendo il corpo fresco

Baltes e Lindenberg: Ipotesi della causa comune il legame tra processi sensoriali e cognizione diventa più
importante nell'età adulta avanzata compromettendo l'elaborazione e la codifica delle informazioni.
Le principali cause di disabilità dopo i 65 sono dovute a disturbi visivi, perdita dell'udito malattie
degenerative e osteoartrite.
Vista: con l'avanzare dell'età si verificano cambiamenti a carico del sistema visivo che possono rendere più
difficoltoso lo svolgimento di attività quotidiane. Dai 50 anni in poi gli stimoli visivi vengono elaborati in
modo più lento e con minor qualità. Dopo i 60 aumenta la lacrimazione, la stanchezza degli occhi e vi è una
maggiore vulnerabilità a sviluppare patologie e condizioni mediche. Diviene più difficile discriminare gli
oggetti e spostare lo sguardo rapidamente tra oggetti vicini e lontani ed è necessaria una maggiore
illuminazione nell'ambiente. Diminuisce la capacità di elaborare le informazioni di contrasto spaziale.
o si modifica la trasparenza e la curvatura della cornea che possono rendere necessario l'utilizzo di
lenti correttive
o i canali che contengono l'umor acqueo possono essere parzialmente ostruiti e questo comporta
una maggior pressione sanguigna intraoculare o al glaucoma
o il diametro della pupilla tende a diminuire per questo è necessaria una maggiore illuminazione
o la lente diminuisce di flessibilità e aumenta di spessore: presbiopia o cataratta
o degenerazione fisiologica degli assoni e delle cellule gangliari che compongono i nervi ottici:
degenerazione maculare oppure retinopatia diabetica
Udito: circa il 30% degli anziani con più di 65 anni manifesta un notevole deficit dell'udito con gravi
conseguenze psicofisiche. Le problematiche possono essere ricondotte a problematiche anatomo-
fisiologiche delle strutture che compongono l'orecchio. La difficoltà maggiore riguarda la comprensione del
discorso (attività complessa che richiede un'elaborazione attiva e simultanea di più informazioni). Con l'età
si perde la capacità di discriminare suoni ad alta frequenza, si è meno sensibili a rumori forti e acuti. Oggi è
possibile ricorrere ad apparecchi acustici impiantati su uno o entrambi gli orecchi affinché possano essere
amplificati i suoni in base alla necessità della persona.
 modificazioni all'interno del canale uditivo possono essere dovute a un accumulo di cerume che
attutisce intensità dei suoni. Il timpano diviene rigido e meno sensibile alle diverse intensità di
suono
 staffa incudine e martello possono calcificarsi e perdere mobilità
 degenerazione fisiologica delle cellule che compongono la membrana basilare nella regione basale
(cellule preposte alla discriminazione di suoni ad alta frequenza): presbiacusia
Gusto e olfatto: la perdita nella sensibilità dell'odore e del gusto inizia intorno ai 60 anni e tende ad
aumentare con l'avanzare dell'età. Schiffman sostiene l’olfatto possa servire come segnale adattivo di
avvenimento di un evento pericoloso, di conseguenza la sua perdita può divenire rischiosa. La perdita di
sensibilità agli odori deriva da cambiamenti anatomo-fisiologici ma potrebbe anche essere causata dal
fumo, uso di farmaci, alta congestione nasale, danni cumulativi all’epitelio olfattivo, danni da inquinamento
ambientale o da tipologie virali. A livello neurofisiologico può essere presente un danno neuronale a livello
del bulbo olfattivo. Può anche essere segno precoce di una malattia neurodegenerativa. La perdita del
gusto è associata più alle terapie farmacologiche e alle condizioni mediche. Quando sono presenti
cambiamenti nella sensibilità al gusto questi possono influenzare l'appetito dell'anziano e la conseguente
motivazione a mangiare provocando disturbi alimentari.

Invecchiamento e malattia
L'epidemiologia geriatrica studia lo stato di salute, la funzionalità, la qualità della vita e la mortalità nella
popolazione anziana con l'obiettivo di definire interventi per migliorarne la vita.
Tra le principali cause di morte nell'invecchiamento vi sono: problemi cardiovascolari, ictus e cancro la cui
insorgenza raggiunge il picco di esso i 70.
Tra le più comuni malattie croniche (inizio lento e lunga durata) vi sono: l'artrite e l'artrite reumatoide (che
causano l'infiammazione dei legamenti) l'osteoporosi, l'ipertensione e il diabete.
Tra le malattie neurodegenerative croniche troviamo: la demenza, Il morbo di Alzheimer e il morbo di
Parkinson. I quadri più frequenti sono: demenza di Alzheimer, demenza vascolare, demenza dei corpi di
Levy e demenza fronto-temporale. Queste malattie croniche (anche se non sempre invalidanti) influiscono
sulla funzionalità e il generale benessere dell'anziano.
Incidenti e fratture sono frequenti. La fragilità è definita come una riduzione delle riserve di cui l'individuo
dispone è che lo rende più vulnerabile all'ambiente e meno idoneo a gestire alcuni compiti della
quotidianità i principali fattori che determinerebbero la fragilità sono: età superiore ai 75 cut-off, carenza o
assenza di rete primaria e secondaria di supporto, recente ospedalizzazione, presenza di eventi sentinella,
presenza di disabilità cognitiva o demenza, presenza di segnali di depressione, presenza di polipatologie,
basso livello economico. Due o più fattori di rischio sono sufficienti per far emergere una situazione di
fragilità.
In Italia la percezione percentuale di anziani sopra i 65 con disabilità è alquanto basta 7,5%. Alcuni fattori
psicologici, sociali e comportamentali favoriscono un buon invecchiamento e allungano la speranza di vita.
Tra questi: astensione attiva e passiva dal fumo, diete bilanciate e non essere sovrappeso, esposizione al
sole moderata, esercizio fisico costante che favorisce anche un buon tono dell'umore, consumo moderato
di alcol, check-up regolari, presenza di momenti di svago. Un numero adeguato di ore di sonno 7-8, un
atteggiamento positivo verso la vita, presenza di relazioni sociali e ruolo socialmente attivo nella propria
comunità, ambiente domestico sicuro.

Le tecnologie assistenziali
Le tecnologie assistenziali si sono sviluppate per far fronte agli eventuali problemi che possono causare dei
limiti nella funzionalità fisica, motoria, sensoriale e cognitiva ledendo la buona qualità di vita dell'anziano.
Uno dei limiti della tecnologia assistenziale è legato al costo che essa comporta, è alla minore familiarità
che l'anziano ha nell’utilizzarla. La sensibilità da parte dei comuni per rendere la città a misura di anziano
incomincia ad essere presente.
In Italia le norme generali sulla tutela della Salute sono di competenza statale, mentre l'assistenza e
l'organizzazione sanitaria spettano alle singole regioni. Si fa riferimento al concetto di rete di servizi che a
partire dagli anni novanta ha sostituito quello di lista dei servizi. Il motore della rete è l'unità centrale, unico
punto di accesso per il cittadino alla rete di servizi, basata sul lavoro multiprofessionale e multidisciplinare.
Le principali funzioni dell'Unità centrale sono: recepire la domanda, valutare il modo multidimensionale e
pluriprofessionale il bisogno espresso, elaborare un progetto assistenziale, predisporre e controllare lo
sviluppo operativo del progetto, verificare i risultati raggiunti. La valutazione multidimensionale permette
di delineare un profilo di autonomia per ogni individuo costituito dalle combinazioni possibili tra i suoi
differenti livelli nelle dimensioni della Salute presi in considerazione. L'approfondimento riguarda cinque
aspetti della Salute:
1. aspetti cognitivi,
2. aspetti sanitari (stato di salute patologie prevalenti aspetti sensoriali)
3. aspetti motori (livello di autonomia nella abilità nel salire le scale, uso di protesi,
4. abilità nella vita quotidiana (livello di autonomia nelle attività domestiche e extra-domestiche,
5. aspetti sociali (valutazione nella rete sociale primaria e secondaria, abitazione, condizione
economica).
Telemedicina: trasmissione elettronica delle informazioni del paziente al medico attraverso un sito remoto
permette di assistere al paziente a distanza mediante l'invio di dati o videoconferenze.

Cambiamento o stabilità
Le ricerche sullo invecchiamento cognitivo di Cattell, Horn e Cattell hanno distinto 2 comportamenti tra
loro in relazione:
1. Le componenti fluide: ragionamento memoria pensiero astratto sono sensibili all'età.
2. Le componenti cristallizzate: abilità legate alle esperienze accumulate che si mantengono alquanto
stabili con l'età.
Studi recenti hanno dimostrato come le crestallizzate possono persino migliorare all'aumentare dell'età. Tra
queste anche le emozioni. Le variabili emotivo-motivazionali giocherebbero un effetto protettivo sul
declino cognitivo. L'invecchiamento è un fenomeno multidimensionale e multidirezionale dove diverse
dimensioni seguono andamenti differenziati. Multidimensionalità e multidirezionalità si riscontrano anche a
livello neurologico dove solo alcune aree mostrano sensibilità con l'avanzare dell'età, per esempio la
corteccia prefrontale. Grazie alla plasticità del cervello durante l'invecchiamento si assiste a una
riorganizzazione funzionale che permette all'anziano di mantenere adeguati se non ha alti livelli di
prestazione nonostante il declino biologico.

La sessualità nell’invecchiamento
A dispetto dei notevoli progressi raggiunti dalla ricerca sul benessere psicofisico, permane ancora un'ampia
fascia di atteggiamenti pregiudiziali intorno alla sessualità delle persone anziane considerata disdicevole o
patologica. Una ricerca del si è CENSIS in cui sono stati intervistati 1298 anziani italiani ha rilevato come
molti di essi siano soddisfatti della qualità della loro sessualità. Circa il 73,4% degli italiani tra i 61 e i 70 e il
39,1% degli ultrasettantenni affermano di essere ancora sessualmente attivi. Nelle donne una minor
frequenza dell'attività sessuale è dovuta alla vedovanza. Per gli anziani in coppia il sesso continua a essere
una componente importante della relazione e del benessere. Chi riferisce un'alta frequenza di attività
sessuale da giovane mostra un minor declino sessuale da vecchio. Orgasmi sia in uomini che in donne sono
stati osservati anche dopo il compimento del novantesimo anno d'età.
Dal punto di vista fisico l'attività sessuale può essere ostacolata o limitata da alcune malattie croniche o da
patologie che causano dolore e interferiscono con i meccanismi di desiderio eccitazione erezione o
lubrificazione. Dal punto di vista psicosociale rivestono un ruolo importante anche altri fattori: la
disponibilità di un partner, la qualità della relazione di coppia, l'interesse pregresso per attività sessuali,
l'aderenza a stereotipi che hanno un effetto inibitorio e repressivo.
Casuccibreak down sessuale: l'anziano interiorizza atteggiamenti sociali negativi, percepisce sé stesso
come persona non sessuata con il rischio di sviluppare problemi di autostima e insicurezza. L'assenza di
relazioni intime porta più facilmente a solitudine e depressione, le persone sole sono più esposte a
problemi psicofisici.
Negli Stati Uniti e nel mondo occidentale di recente è stato sottolineato il fenomeno dei gaydivoroce: i
divorzi all'epoca dei capelli bianchi la cui percentuale è in costante aumento. La maggior aspettativa di vita
fa sì che le persone si domandino concretamente se valga la pena portare avanti un matrimonio che non
funziona.
DeLamateur e Sill hanno condotto una ricerca per valutare quali potessero essere le fonti di influenza nelle
diverse fasi di vita adulta. I dati indicano che nelle donne le principali fonti che influenzano il desiderio
sembrano essere l’età, l'importanza attribuita al sesso e la disponibilità di un partner, mentre per gli uomini
sarebbero l'età, l'importanza attribuita al sesso e l'istruzione. Anche altre ricerche confermano che nelle
persone anziane i principali predittori di attività sessuale sono l'essere “giovani-anziani”, avere un partner,
il livello di istruzione, essere sessualmente attivi e godere di buona salute mentale (Matthias). Le relazioni
intime sono il luogo privilegiato per il contatto fisico non necessariamente di tipo genitale, forniscono senso
di conforto gratificazione e sicurezza emotiva.
Le sensazioni sessuali sono tra gli ultimi processi biologici a deteriorarsi e costituiscono una fonte di
gratificazione nel momento in cui i piaceri della vita risultano ridotti drasticamente. Pertanto quando si
invecchia è più probabile che in un contesto maggiormente caratterizzato da perdite di vario tipo il bisogno
di contatto fisico aumenti anziché diminuire. Lo stesso discorso vale anche per gli individui deteriorati
cognitivamente poiché il contatto fisico può rappresentare un canale privilegiato di comunicazione e
raffigurazione (Tenenbaum).
La sfida che si pone negli istituti è prevalentemente di tipo etico . Ciò che sembra mancare è una maggiore
sensibilità da parte del personale sanitario nel considerare il desiderio di intimità e contatto fisico come
espressioni naturali dell'intero ciclo di vita. Un ulteriore aspetto ancora trascurato riguarda la popolazione
anziana omosessuale bisessuale o transessuale. Queste persone rischiano di essere discriminate sotto
molteplici aspetti.

Gli anziani che vogliono restare attivi: i “life long learning”


Gli anziani manifestano in modo sempre maggiore la voglia e la determinazione di restare attivi. Il diritto a
una vita piena e ricca a livello relazionale, sociale e lavorativo è proprio di ogni età. Questo tema richiede
attenzione della psicologia e delle politiche sociali. Molte persone dopo il pensionamento esprimono il
desiderio di continuare a lavorare o di continuare ad apprendere. L’85% degli americani nati tra il 1946 e 64
vuole continuare a lavorare oltre l'età del pensionamento, non per necessità economica ma per evitare
l'emarginazione sociale. Grazie cambiamenti di ordine sanitario economico e sociale le persone
raggiungono frequentemente la terza età in condizioni di buona salute.
Artisti come Picasso, Buonarroti e Rubinstein crearono le loro opere più importanti in tarda età. Gli anziani
sono in grado di apprendere anche abilità complesse. I lavoratori anziani sono generalmente più
competenti e hanno un atteggiamento più positivo, più esperienza e un minor tasso di assenteismo.
Vi sono comunque persone che desiderano andare in pensione per coltivare hobby, viaggiare e realizzare
progetti che per lungo tempo hanno trascurato. Coloro che prima della pensione hanno avuto lavori a
paganti, ben retribuiti e un matrimonio felice accettano meglio il pensionamento e lo vivono come
momento positivo. Le persone con basso reddito, cattiva salute e matrimoni infelici vivono il
pensionamento in modo negativo. Non è il pensionamento di per sé ad avere connotazioni negative quanto
lo stile di vita assunto prima della pensione stessa.
Il punto di partenza della life long learning è quello di considerare che ogni generazione e portatrice di
distinti saperi e abilità che se comunicati e condivisi portano a una crescita delle competenze individuali
dando valore aggiunto alle persone stesse, alle organizzazioni e alla società. L’Unione Europea sta avviando
iniziative lavorative per la diffusione e lo sviluppo del life long learning come il progetto di Cross Ages per
una partecipazione attiva delle persone anziane attraverso la definizione di un modello integrato di
apprendimento basato sul sostegno e la valorizzazione dello scambio intergenerazionale.

Invecchiamento e longevità: il caso dei centenari


Negli ultimi anni si è assistito a un grande fiorire di studi sugli anziani centenari. Questo è avvenuto
soprattutto perché il numero di persone anziane che raggiungono il secolo di vita è aumentato molto
rapidamente. L'Italia insieme a Stati Uniti Spagna e Giappone è tra i paesi con il maggior numero di
centenari. Al censimento Istat 2011 risultavano in Italia circa 15.000 .
Il fenomeno dei centenari viene chiamato Blackswan (cigno nero) poiché è un fenomeno di forte impatto,
difficile da predire e rappresenta una sfida importante per gli studiosi dell'invecchiamento.
Si cerca di capire se è possibile generalizzare agli individui più longevi una serie di conoscenze relative alla
fascia di età 65 e 85. Alshire e Crimmins 2015 attraverso uno studio hanno evidenziato come gli anni
precedenti alla centenaria età siano cruciali per determinare la possibilità di arrivare ai 100 anni. Dagli studi
si evince come la possibilità di arrivare a quest'età sia il risultato dell'integrazione complessa di numerose
variabili: genetiche e psicologiche.
Franceschi 2000 distingue tra:
 centenari di classe A, anziani autonomi in grado di camminare leggere e mantenere una vita
sociale attiva
 centenari di Classe C non autonomi che mostrano uno stato di salute mentale e fisica molto
povero.
 B riguarda i centenari che si trovano in una condizione intermedia.
Gondo ha proposto una differenziazione dei centenari a quattro vie distinguendo tra:
1. Centenari eccezionali presentano ottime condizioni fisiche e cognitive
2. Centenari normalihanno avuto la diagnosi di una o più patologie tra gli 80 e 90 anni,
3. Deboli presentano dei deficit fisici o cognitivi
4. Fragilipresentano deficit sia fisici che cognitivi.
Evert: distinzione operata in termini di presenza o assenza di patologie legate all'età:
 centenari sopravvissuti (survivors) ai quali vengono diagnosticati una demenza o deficit cognitivi
prima degli 80,
 ritardatari (delayers): deficit diagnosticati all'età di 80 o dopo,
 fuggitivi (escapers): anziani che hanno compiuto cent'anni sfuggendo alle trappole
dell'invecchiamento senza diagnosi di demenza o disturbi cognitivi alcuni.
La categoria dei fuggitivi denominati anche centenari d'elite offre spunti interessanti per la ricerca.
Perls ipotizza che centenari fuggitivi rappresentino un caso di resistenza cognitiva all'invecchiamento e ai
tipici disturbi che lo accompagnano. La fuga può derivare dall'utilizzo di processi cognitivi di riserva che
operano nonostante i cambiamenti neuropatologici. I centenari d'elite rappresentano una percentuale
molto bassa 15 20%. I processi cognitivi dei centenari fuggitivi maschi sono più efficienti di quelli della loro
controparte femminile per questo vengono chiamati ageing superstars. Nonostante le donne abbiano una
prospettiva di vita più lunga quando gli uomini riescono a raggiungere il secolo mostrano condizioni di
salute ottime. Terry una risposta alla differenza di genere risiede nel concetto di morbilità (la presenza
simultanea di più disturbi) e nel concetto di disabilità (la perdita specifica delle funzioni fisiche e mentali). Si
osservano con maggiore frequenza condizioni di morbilità nelle donne e di disabilità negli uomini.

Einstein 2012 dal punto di vista genetico gli studi sui centenari evidenziano come la componente familiare
della centenarietà sia molto forte. I loro genitori, fratelli, nonni e bisnonni sono individui che hanno vissuto
circa il doppio allo span medio di aspettativa. Motta riporta come i nonni dei centenari che avevano alla
nascita un'aspettativa di vita di 35 anni abbiano raggiunto i 70 anni e oltre. L'ipotesi è che esista un pool di
geni condivisi all'interno della stessa famiglia cruciali nel garantire la longevità è nel assicurare un
invecchiamento non soggetto alle patologie dell'età adulta avanzata. I correlati genetici da soli non sono
sufficienti, concordano solo sul 30% della spiegazione.
Dal punto di vista psicologico i centenari sono individui estroversi, energetici, dinamici con un
atteggiamento positivo verso la vita (Kato). Al Big Five portano punteggi bassi sulla scala del nevroticismo e
punteggi alti sulle scale di estroversione, apertura, amicalità e coscienziosità. Sono individui molto attivi e
loquaci. Gli studi sui processi cognitivi non sono molto numerosi, uno dei principali problemi riguarda la
difficoltà di somministrare test specifici che valutino le singole funzioni cognitive.
Uno studio sulle abilità cognitive dei centenari di Luczywek ha testato un gruppo di dieci centenari fuggitivi
rispetto a un gruppo di controllo di sessantacinquenni. I risultati hanno evidenziato differenze significative
per quanto riguarda gli aspetti verbali ma una performance simile sui test di natura viso spaziale, inoltre
sono stati più lenti nell'esecuzione delle prove.
Fromholth era interessato a esaminare il ricordo di eventi personali, la memoria autobiografica. Gli anziani
furono selezionati sulla base di brevi test di memoria. Sono stati rilevati l'amnesia infantile (pochi ricordi
provenienti dall'età dell'infanzia), il balzo del ricordo (per cui riportano ricordi nelle prime fasi dell'età
adulta e un balzo della tendenza a ricordare gli ultimi eventi nella loro vita). Essere longevi dipende da un
insieme di fattori: quelli genetici e ambientali giocano un ruolo fondamentale. Non si muore per
invecchiamento ma per le malattie e i disturbi che l'invecchiamento porta con sé. Conosciamo meno che
cosa determini la longevità dei processi cognitivi e perché alcuni dei centenari fuggitivi mostrino abilità
cognitive intatte. L'esercizio e la pratica giocano un ruolo importante. I centenari fuggitivi sono soggetti che
decidono di imparare a suonare uno strumento, tenere un diario, scrivere romanzi e dipingere o continuare
attività iniziate. Mantenere attivi i processi cognitivi, dedicarsi ad attività intellettive consente di
proteggersi dai deficit tipici dell'età avanzata. Uno studio di Hannson e Hagberg ha evidenziato come in un
gruppo di centenari la personalità, l'essere autonomi le abitudini divisa fossero in relazione con il
funzionamento dell'abilità di memoria.
Kliger, Zimprich e Rott modello di longevità cognitiva: livello di scolarità, attività intellettive pre e post 80,
variabili di personalità ed emotivo-motivazionali.

CAP 6
INTELLIGENZA E MEMORIA NELL’INVECCHIAMENTO COGNITIVO
L'interesse per i cambiamenti che subentrano nell'organizzazione e nella struttura delle abilità mentali età
correlate è alla base della psicologia dell'invecchiamento e si inscrive nella tradizione psicometrica. Tale
tradizione ha permesso di mettere in evidenza come lo sviluppo, inteso nel suo senso più ampio, sia
multidirezionale e multidimensionale. Ciò ha portato alcuni autori a distinguere fra operazioni/ meccanismi
mentali di base (o abilità fluide), biologicamente determinate, e abilità cristallizzate, culturalmente
determinate, che seguono traiettorie ben distinte con l'avanzare dell'età.
Un limite dell'approccio psicometrico (basato sull'uso dei test) è quello di de scrivere le abilità intellettive e
la loro evoluzione con l'età senza preoccuparsi di spiegarle. Per comprendere l'invecchiamento cognitivo
diventa necessario considerare l'efficienza dell'anziano in compiti che riguardano diverse abilità, capire
come queste abilità si integrino nell'organizzazione della mente e quali processi siano implicati.
L’approccio life-span (arco della vita), ha portato a considerare i cambiamenti lungo tutto l'arco di vita della
persona, sostenendo una visione secondo cui lo sviluppo, inteso come un continuo riequilibrio tra nuove
acquisizioni e la perdita di alcune abilità, caratterizza ogni fase dell'esistenza.

2. L'INTELLIGENZA E LE ABILITÀ DELL'ANZIANO


2.1. L'intelligenza
Un test di intelligenza spesso utilizzato negli studi sull'invecchiamento è quello delle Matrici progressive di
Raven (nelle sue varie versioni), in cui si presentano delle figure con una parte mancante e i partecipanti
devono individuare, per ognuna di queste, quale tra diversi frammenti le completi correttamente. In questa
prova i giovani ottengono un punteggio significativamente superiore a quello dei giovani-anziani e hanno
una prestazione superiore a quella dei grandi-vecchi. Nella recente standardizzazione [Belacchi] della
versione Colore delle Matrici progressive di Raven, che è quella più adatta per valutare l'intelligenza delle
persone anziane, si è potuto vedere come la prestazione di un anziano di 60-65 anni sia comparabile a
quella di un bambino di 10 anni, quella di un anziano di età compresa fra i 65 ei 70 anni a quella di un
bambino di 9 anni e 3 mesi e quella di anziani di 80 anni sia invece comparabile a quella di un bambino di 6
anni. I dati ottenuti con misure globali (un'unica misura) di intelligenza mostrano, dunque, un declino
generale con l'avanzare dell'età, non permettendo però, come altri test, di evidenziare il declino
differenziale delle abilità intellettive nell'invecchiamento.
1956 Wechsler test per la valutazione dell'intelligenza e la stima del QI. Si pose il problema di come
misurare l'intelligenza nell'adulto anziano. Si rendeva conto che, portando l'invecchiamento a una perdita
differenziata delle abilità cognitive, una misura globale dell'intelligenza non poteva fornire una valutazione
affidabile delle abilità mentali di individui di età diversa. Distinse pertanto, all'interno della scala WAIS,
Wechsler Adult Intelligence Scale, prove che «resistono all'invecchiamento» e altre che «non resistono
all'invecchiamento».
Grégoire [1993] propose la WAIS a un campione di mille individui di età compresa tra i 25 e 179 anni.
risultati mostrarono che, nonostante l'avanzare dell'età si caratterizzasse per un declino generale
nell'intelligenza, l'andamento del QI verbale era molto diverso da quello del QI di prestazione (riferito a
prove non verbali, prevalentemente di intelligenza visuo-spaziale): mentre il QI verbale restava stabile fino
ai 70 anni, il QI di prestazione diminuiva a partire dai 45 anni.
Il deterioramento differenziato delle abilità intellettive è stato analizzato nel contesto del modello
bifattoriale dell'intelligenza di Cattell [1963]. Secondo Cattell, la natura dell'intelligenza non può essere
colta e studiata se non considerando sia abilità legate alla comprensione di nuovi dati e alla costruzione di
inferenze, sia abilità legate all'esperienza, alle conoscenze (anche scolastiche). Questi due tipi di intelligenza
furono chiamati
- intelligenza fluida (Gf) -> permette di adattarsi a situazioni nuove, a nuovi problemi, ed è valutata
con prove che si basano sul ragionamento e sulla scoperta di leggi/regole partendo da casi ben
definiti e sulla comprensione di relazioni tra dati nuovi di tipo spaziale o verbale. Dipende da fattori
di ordine biologico e fisiologico, può essere paragonata all'hardware dell'intelligenza. Misurata con
prove di ragionamento, tenderebbe a declinare con l'età.
- intelligenza cristallizzata (Gc) -> si basa sulle conoscenze e le capacità acquisite con l'esperienza,
legate alla cultura, software. Misurata tipicamente con prove di vocabolario, rimane stabile con
l'età, e in alcuni casi migliora con l'età stessa
I due tipi di intelligenza nell'arco della vita seguono traiettorie ben distinte.
Tale modello è stato messo in dubbio da vari autori, che ritenevano necessario ricorrere a un numero più
elevato di fattori per descrivere l'architettura dell'intelligenza [McGhee]. Ciononostante esso già mostrava
come l'invecchiamento debba essere considerato un fenomeno multidimensionale e multidirezionale, in
quanto vi sono diversi tipi di abilità che seguono traiettorie di sviluppo diverse.
Baltes [1987]: parla di operazioni mentali di base legate alla biologia (mechanics of cognition) e di aspetti
relati alla cultura (pragmatics of cognition).
- Le abilità che si fondano sulle operazioni mentali di base: il ragionamento, la memoria,
l'orientamento spaziale e la velocità percettiva, subiscono un declino precoce e rapido.
- Le abilità che fanno riferimento alla componente pragmatica: le abilità verbali e numeriche, restano
stabili e/o aumentano fino ai 60-70 anni; il loro declino comincerebbe in età molto avanzata. La
stabilità di tale componente permetterebbe inoltre di compensare, in alcune situazioni, i deficit
nelle operazioni mentali di base.
Nella persona anziana gli effetti osservati nelle abilità legate all'intelligenza fluida, o operazioni mentali di
base, rifletterebbero cambiamenti di natura neurofisiologica. Al contrario, i cambiamenti con l'età
nell'intelligenza cristallizzata, o componente pragmatica dell'intelligenza, rifletterebbero l'effetto
dell'accumularsi dell'esperienza. L'interazione tra i meccanismi di base e gli aspetti pragmatici
dipenderebbe dai benefici della selezione a livello evoluzionista (lo sviluppo biologico), dal bisogno di
cultura (apprendimento relato all'esperienza) e dall'efficacia della cultura (abilità di decisione e azione).
Mentre i benefici biologici legati all'evoluzione e l'efficacia della cultura hanno una correlazione negativa
con l'età, implicando una perdita del potenziale biologico nell'invecchiamento, il bisogno di ricorrere alle
risorse culturali, intese come risorse psicologiche, sociali, materiali e simboliche, è correlato positivamente
con l'età. Con l'aumentare dell'età, infatti, a causa di un indebolimento del potenziale biologico, vi può
essere un maggior bisogno di mantenere un alto (o adeguato) livello di funzionamento sia della cultura che
dell'esperienza.
Il declino di tutte le componenti dell'intelligenza avviene in tarda età, quando i fattori biologici diventano
molto influenti e preponderanti, riflettendo così anche un «invecchiamento» fisiologico del cervello; questo
causerebbe una diminuzione dell'efficacia delle risorse culturali nel compensare le perdite delle abilità
fluide.
Cornoldi [2007] ha proposto un modello di intelligenza in cui le abilità di base sono gerarchicamente
organizzate e influenzate da tre ordini di fattori: metacognizione, esperienza e cultura. All'interno di questo
modello, si può pensare che l'intelligenza dell'anziano sia maggiormente compromessa nelle parti
gerarchicamente più centrali delle abilità di base che sono anche quelle meno sensibili alla cultura e, in
parte, in quelle più periferiche che sono influenzate dalla esperienza sensoriale, meno recettiva
nell'invecchiamento.

2.2. Le abilità intellettive fondamentali


Con l'avanzare dell'età, in corrispondenza con un calo generalizzato delle prestazioni cognitive nella
persona molto anziana, si assisterebbe a un importante aumento delle correlazioni tra ambiti cognitivi
diversi, correlazioni non presenti (o presenti in maniera meno accentuata) nei più giovani. Questo ha
portato molti ricercatori a supporre che la struttura intellettiva degli anziani sia meno differenziata (ipotesi
di de-differenziazione) di quella dei giovani o degli adulti. La dedifferenziazione è stata documentata sul
piano dell'analisi statistica che individua forti correlazioni entro e tra ambiti cognitivi diversi (memoria,
ragionamento, vocabolario, velocità percettiva, con un cambiamento nella struttura fattoriale
dell'intelligenza: nelle persone molto anziane tutte le principali abilità sarebbero spiegate da un fattore
generale, a differenza di quanto accade nell'età adulta dove le abilità sarebbero differenziate o distinte.
Con l'avanzare dell'età si assisterebbe a un aumento dell'influenza dei meccanismi di base dell'intelligenza
sulle abilità pragmatiche, indice del forte impatto degli aspetti biologici sul funzionamento cognitivo
dell'anziano.

2.3. Il decadimento differenziato delle abilità intellettive fondamentali


Attualmente sembra che otto/dieci fattori possano costituire una sintesi abbastanza soddisfacente delle
diverse abilità intellettive.
McGhee [1993] ha condotto una ricerca con soggetti dai 55 ai 76 anni a cui ha somministrato 29 prove. Il
modello più adeguato è risultato comportare nove fattori che spiegano l'81% della varianza totale e per i
quali l'effetto dell'età è variabile a seconda del fattore considerato.
Fattore Definizione Effetto età
Conoscenze qualitative la capacità di comprendere concetti le loro relazioni Debole
Comprensione, conoscenza profondità e ampiezza delle conoscenza Non sensibile
Sistema temporaneo di lavoro Capacità di mantenere a livello di coscienza informazioni Sensibile
(memoria di lavoro) utili per essere utilizzate nei secondi successivi
Memoria a lungo termine Capacità di immagazzinare le informazioni e di Sensibile
recuperarle dopo un intervallo temporale
Processi uditivi Capacità di sintetizzare e analizzare gli stimoli uditivi Sensibile
Processi visivi Capacità di sintetizzare e analizzare gli stimoli visivi Sensibile
Velocità di decisione corretta Di rispondere velocemente alle domande Molto sensibile
Ragionamento fluido Di ragionare, costruire e risolvere dei problemi in nuovi Molto sensibile
contesti
Rapidità di elaborare le Di effettuare rapidamente delle prove cognitive in tempi Molto sensibile
informazioni ristretti e di mantenere l’attenzione

Gli anziani presentano con l'età un indebolimento di tutte le loro capacità sensoriali, a partire dalla vista e
dall'udito. Poiché le abilità sensoriali si ancorano direttamente alle basi biologiche dell'individuo, questo
risultato può essere messo in relazione all'ipotesi di Baltes e colleghi per cui i meccanismi di base
avrebbero, con il passare degli anni, un'influenza crescente sul funzionamento intellettivo.
Ciò ha portato Baltes e Lindenberger a formulare l'ipotesi della causa comune (common cause hypothesis):
postula che la stretta relazione tra le misure sensoriali e cognitive sia dovuta a una dipendenza di tali abilità
e funzioni da un'unica e comune architettura fisiologica del sistema nervoso centrale, evidenziando uno
stretto legame tra le caratteristiche del cervello, da cui dipendono le funzioni sensoriali, e le abilità
cognitive. Con l'avanzare dell'età il peso dei fattori biologici e genetici sarebbe sempre più importante nel
determinare il funzionamento cognitivo e ridurrebbe il ruolo delle competenze legate all'intelligenza
pragmatica nel compensare il declino cognitivo. Il rapporto tra efficienza sensoriale ed efficienza cognitiva
può essere più dettagliatamente documentato con riferimento a specifiche debolezze sensoriali
dell'anziano.
La debolezza nelle abilità di ragionamento fa riferimento soprattutto a operazioni di ragionamento fluido,
legate a situazioni e procedure nuove, per le quali l'anziano incontra severe difficoltà. Queste difficoltà non
sono però di carattere generale. La gamma delle situazioni di ragionamento va infatti dalla scoperta di
regole al problem-solving, ai processi induttivi e deduttivi, alla scelta e decisione, al ragionamento
probabilistico. I paradigini sperimentali, che introducono situazioni meno consuete e più astratte,
penalizzano maggiormente gli anziani di quanto poi si possa riscontrare nella vita di tutti i giorni. Tuttavia
maggiori cautela, lentezza e semplificazione, possono essere svantaggiose in situazioni testistiche che
richiedono la massima consequenzialità e completezza.

2.4. La memoria nell'invecchiamento


La memoria non è un sistema unitario ma vi sono diverse forme e multipli sistemi di memoria.
I vari tipi di memoria possono essere distinti a seconda delle caratteristiche temporali dell'elaborazione
richiesta al momento della codifica e del recupero (memoria sensoriale, memoria a breve termine, memoria
a lungo termine), della natura del test e del tipo di stimolo da elaborare (verbale o visuo-spaziale).
Tulving e Schacter [1990] hanno tuttavia suggerito di distinguere alcuni sistemi fondamentali di memoria,
che offrono una sintesi indicativa, ma non esaustiva, del funzionamento mnestico dell'anziano e,
soprattutto, non prendono in considerazione i processi sottostanti che possono avere un ruolo critico.
Sistemi di memoria Ruolo nell’invecchiamento
Sistema temporaneo di memoria Memoria a breve temine Levi modificazioni
Memoria di lavoro attiva Chiara compromissione
Memoria a lungo temine Proccedurale Non sensibile
Dichiarativa Chiara compromissione
Episodica semantica Lievi modificazioni
Aspetti specifici Autobiografica Lievi modificazioni
Prospettica Chiara compromissione

Metanalisi di Bopp e Verhaeghen [2005] ha mostrato che le differenze d'età sono minime in prove verbali
che richiedono il semplice mantenimento delle informazioni e diventano molto più importanti quando
invece la prova implica processi di elaborazione più complessi. Prove classiche di memoria a breve termine
sono lo span di cifre o parole in cui si devono ripetere cifre o parole appena ascoltate nello stesso ordine in
cui queste sono state sentite o lette dal partecipante.
In psicologia dell'invecchiamento si fa una distinzione tra prove che richiedono solo l'immagazzinamento
delle informazioni, come il classico span a breve termine, span di cifre in avanti, e quelle che richiedono di
riorganizzare il materiale ascoltato, come lo span all'indietro, in cui le cifre devono essere ripetute
dall'ultima ascoltata alla prima.
Le differenze d'età sono meno importanti per le prove di span a breve termine che per quelle di memoria
lavoro, e come lo span all'indietro sia più sensibile all'età dello span in avanti ma meno dello span di
memoria di lavoro. Le differenze tra giovani e anziani negli span in avanti e indietro emergono quando le
caratteristiche specifiche della prova proposta producono nei giovani punteggi elevati, per esempio
maggiori di 6, mentre in tutti gli altri casi i due gruppi sembrano avere prestazioni simili.
All'interno della memoria a lungo termine si distingue tra:
- memoria dichiarativa: conserva sia le informazioni riguardo fatti e concetti sia le informazioni
specifiche episodiche, a sua volta distinta in
o memoria semantica (che riguarda conoscenze consolidate per le quali si è perso il ricordo
degli episodi in cui sono state acquisite)
o memoria episodica.
- memoria procedurale (talora associata alla memoria implicita, per il fatto di poter produrre ricordo
senza averne consapevolezza), che conserva informazioni e conoscenze relative a procedure in
larga parte automatizzate.

Gli effetti dell'età sono più importanti per la memoria dichiarativa episodica, che implica un accesso
consapevole o controllato alle informazioni (ciò si evidenzia in parti colare nel recupero di eventi o fatti
specifici misurati con prove di ricordo o riconoscimento). Prove di memoria episodica sono rappresentate
da quasi tutti i test di memoria esistenti.
Quando le persone non cercano di ricordare in modo volontario le tracce mnestiche possono influenzare la
prestazione degli anziani quanto quella dei giovani. Tale cambiamento nel comportamento permette di
indagare la memoria implicita. Una prova tipica di memoria implicita è quella in cui si presentano dei
suggerimenti (cues) ai partecipanti e si avanza una richiesta che non fa riferimento alla memoria, ma ad
altri aspetti, per esempio al linguaggio. Un test di memoria implicita largamente usato è la prova di
completamento di parole, ove si presenta la radice di una parola (PES--) o un suo frammento (P-S-)
invitando il soggetto a completare con la prima parola che gli viene in mente. Senza che egli lo sappia alcuni
item possono essere completati utilizzando item precedentemente studiati e ora apparentemente
dimenticati. Il risultato più comune è quello per cui il soggetto è influenzato dal ricordo inconsapevole della
parola studiata-PESCA-e non produce un'altra parola che pure sarebbe plausibile (PESCE, PESCO, PESTO,
PASTA ecc.). L'influenza che gli item studiati hanno sulla prestazione è un esempio di pre-attivazione
(priming). Le prove di priming sono di due tipi:
1. priming percettivo (completamento di parole, identificazione di parole), che si basano sull'analisi
percettiva degli stimoli studiati,
2. priming concettuale o di produzione (associazione di parole), relate principalmente all'analisi del
significato dell'informazione target.
Nonostante le prove di memoria implicita siano meno sensibili all'età rispetto a quelle esplicite, una
recente metanalisi ha mostrato come anche in questo caso si possano trovare effetti dell'età che sono più
marcati per le prove di memoria con priming concettuale rispetto a quelle di priming percettivo [Light].
Inoltre cadute nelle prove di priming negli anziani e nei pazienti con sindrome di Alzheimer (AD) compaiono
se sono implicate richieste di produzione, presumibilmente a causa del ridotto controllo attentivo legato
all'età [Geraci] che non permetterebbe la selezione di quegli item critici studiati e quindi primed, e allo
stesso tempo l'inibizione di quegli item, competitori, che non sono stati studiati. La memoria procedurale,
misurata con prove di apprendimento procedurale e priming ripetitivo che non richiedano un accesso
consapevole delle informazioni, rimane invece sostanzialmente indenne all'avanzare dell'età, anche in
presenza di patologie cognitive degenerative, in particolare se la prova non richiede la produzione di una
risposta, ma si basa sulla semplice identificazione dello stimolo.
Gli effetti negativi dell'invecchiamento sulla prestazione della memoria episodica sembrano essere mediati
dalla quantità di supporto fornito durante la fase di ricordo: le differenze d'età sono meno pronunciate in
prove di riconoscimento, o quando sono forniti dei suggerimenti (cues), rispetto a prove più costose in
termini di risorse cognitive come la rievocazione libera (free recall).
Differenze di età molto più pronunciate sono state evidenziate in prove di apprendimento associativo, in cui
si devono creare e recuperare legami associativi tra le unità che non erano precedentemente relate, o in
prove di memoria della fonte, in cui ai partecipanti è chiesto di ricordare la fonte originaria
dell'informazione e non il suo contenuto.
Vari studi della Johnson mostrano come gli anziani non riescano per esempio a ricordare la voce con cui
delle informazioni sono state loro presentate e nemmeno se queste erano state effettivamente presentate
o da loro semplicemente immaginate, ma si ricordano perfettamente cosa è stato detto e presentato.
Similmente gli anziani si trovano meglio nel ricordare una sola informazione, quindi un solo aspetto legato
al contesto, piuttosto che più informazioni associate che necessitano di essere legate tra loro (nome e viso
di una persona, un'informazione e il suo contesto: avrebbero infatti maggiori difficoltà rispetto ai giovani
nel legare (binding) tra loro parti di un episodio in una unità coesa.
Un aspetto particolare ma non del tutto sovrapponibile alla memoria episodica, è rappresentato dalla
memoria autobiografica. Se il ricordo riguarda episodi recenti, la prestazione dell'anziano risulta indebolita,
soprattutto per i dettagli dell'evento, come accade nel caso di ricordi episodici meno personali. Se invece il
ricordo riguarda episodi acquisiti quando la memoria era più efficiente, nella misura in cui non si tiene
conto delle difficoltà di controllare la veridicità del ricordo e dei vantaggi dovuti alla ripetuta narrazione del
ricordo si può concludere che la prestazione non sembra subire modificazioni significative con l'età. Gli
anziani riescono a recuperare senza particolari difficoltà i ricordi del proprio passato, in particolare quelli
relativi al periodo della loro giovinezza. Il frequente fenomeno di ricordare con più facilità episodi accaduti
tra i 10 e i 30 anni viene chiamato reminiscence bump ed è attribuibile all'ottima capacità di memorizzare
che si aveva quando si è stati esposti all'evento, ma anche al fatto che la giovinezza e l'età adulta si
caratterizzano per la presenza degli eventi più significativi e positivi in termini di sviluppo sociale,
relazionale e lavorativo favorendone la codifica. Se gli episodi più significativi riguardano un altro periodo
della vita il bump può spostarsi. Uno dei problemi nel valutare la memoria autobiografica e gli effetti
dell'età è la difficoltà nel verificare l'accuratezza dei ricordi evocati. In generale sembra che il reminiscence
bump si collochi nella seconda decade di vita. La propensione a tenere vivi i propri ricordi è influenzata da
una particolare caratteristica dell'individuo, chiamata leopardismo (per ricordare l'amore che il poeta
Leopardi aveva per il ritorno al passato) o sensibilità alla memoria (memory sensitivity). A una maggiore
sensibilità alla memoria si associa anche una migliore memoria autobiografica e che gli anziani, sia di sesso
maschile sia di sesso femminile, hanno una elevata sensibilità, ovvero apprezzano, molto più degli adulti,
l'importanza dei ricordi e delle azioni volte a conservarli, e questa propensione li facilita in compiti di
memoria. È anche interessante osservare che le differenze nella sensibilità alla memoria fra uomini e
donne, largamente presenti in età adulta, tenderebbero a scomparire nell'anziano.
Un altro filone di ricerca sulla memoria episodica si è interessato agli errori di memoria che le persone
commettono, distorcendo l'evento (distorsioni) o addirittura pensando si sia verificato qualcosa che invece
non è mai successo (false memorie).
Con il paradigma del misinformation effect [Loftus, Miller e Burns] si evidenzia come, nel recupero dei
ricordi legati a un evento, la presentazione di un'informazione fuorviante interferisca in modo drastico sul
ricordo dei dettagli legati all'evento stesso, producendo delle cospicue distorsioni. Una rassegna ha messo
in evidenza come gli anziani abbiano un'accresciuta tendenza a incorporare materiale e informazioni nuovi
(non originali) nel ricordo o nella traccia di memoria originale e a essere sicuri dell'accuratezza di tali ricordi.
È stato mostrato che gli anziani producono molti più falsi ricordi dei giovani, ricordando, dopo la
presentazione di una lista di parole semanticamente o foneticamente associate con una parola
ingannévoles (critical lure). Distorsioni e falsi ricordi possono essere generati internamente o
esternamente. Una delle spiega zioni di questi effetti sembra essere quella relativa alla difficoltà degli
anziani a collegare il contenuto delle informazioni con il loro contesto, causando maggiore difficoltà nel
ricordare se un item familiare è stato generato internamente o presentato esternamente.
La memoria prospettica: il ricordare di ricordare che permette di programmare le azioni future e di
rievocarle nel momento in cui devono essere compiute (prendere una medicina alle ore 20). Gli studi
distinguono tra:
- memoria prospettica basata sul tempo (devo ricordarmi di prendere la medicina alle ore 20)
- quella basata sugli eventi (quando suona la sveglia devo prendere la medicina).
Le differenze d'età tra giovani e anziani sembrano essere più importanti per i compiti di memoria
prospettica basati sul tempo maggiormente legati a meccanismi di controllo interno [Einstein et al. 1995].
Nel determinare le differenze tra giovani e anziani in prove di memoria prospettica possono intervenire vari
fattori quali la tipologia dei compiti considerati, il contenuto dell'informazione da ricordare e la salienza
degli stimoli utilizzati [Henry]. Sembra che gli anziani siano avvantaggiati in compiti realistici (ricordarsi
recarsi ad un appuntamento), ottenendo prestazioni simili o addirittura superiori ai giovani, piuttosto che in
compiti classici di laboratorio. Sembra, inoltre, che le prestazioni degli anziani migliorino quando a essere
considerate sono attività con una rilevanza sociale. Contenuti emotivamente salienti sono ricordati meglio,
limitando le difficoltà riscontrate dagli anziani in memoria prospettica, persino in compiti di laboratorio.
Questi aspetti hanno spinto gli studiosi di memoria a parlare di «Paradosso dell'età in memoria
prospettica>>, per indicare come l'artificiosità dei compiti utilizzati nel setting sperimentale e la rilevanza
dei contenuti possano agire aumentando o diminuendo la distanza tra il livello di prestazione di giovani e
anziani.
Il declino specifico di alcuni sistemi di memoria sembra essere dovuto a difficoltà sia nel codificare le nuove
informazioni profondamente, a causa di una difficoltà nel controllo attentivo e nella selezione delle
strategie, sia nel recuperare le informazioni.
La memoria semantica (sistema con cui non solo immagazziniamo e recuperiamo le conoscenze generali
che sono organizzate concettualmente, ma anche manteniamo le informazioni linguistiche). In questo
senso la buona efficienza di memoria semantica dell'anziano riflette la generale competenza in prove di
intelligenza verbale e/o cristallizzata.
Nei giovani-anziani (età inferiore ai 74 anni) la prestazione in prove di memoria semantica, come il
vocabolario, può addirittura aumentare con l'avanzare dell'età.
Nonostante in generale la memoria semantica sia preservata dall'invecchiamento, questo non significa che
non ci siano cambiamenti dovuti all'età: pensiamo per esempio alla maggior frequenza nell'anziano del
fenomeno «<sulla punta della lingua», ossia alla difficoltà a ricordare una parola pur avendo il sentimento
di conoscere perfettamente tale parola, così come la maggior difficoltà degli anziani a sillabare
correttamente le parole. Questi fenomeni sarebbero legati alla memoria semantica, in particolare a un
deficit a livello del recupero completo dell'informazione fonologica della parola che causerebbe un
recupero parziale dell'informazione fonologica, mentre secondo altri sarebbero dovuti a un problema nella
trasmissione dell'attivazione.
2.5. Comprensione del testo
Tra le abilità intellettive (legate al linguaggio) di particolare interesse è la comprensione del testo. L'abilità
di comprensione di un testo è il risultato finale di un insieme di processi e di molteplici livelli di
elaborazione delle informazioni in esso contenute: dalla corretta identificazione e decodifica delle lettere
e/o delle parole, alle frasi e all'estrazione di unità di significato semplici, sino alla rappresentazione mentale
del significato del testo. Il lettore solo sincronizzando tra loro i diversi tipi di informazioni - lessicali,
sintattiche e semantiche - tenendole temporaneamente in memoria e, integrandole con le conoscenze, con
il sapere linguistico e concettuale che possiede, riesce a comprendere ciò che sta leggendo.
La comprensione del testo (orale o scritto) costituisce un esempio di abilità linguistica, per la quale c'è da
aspettarsi un buon mantenimento nell'anziano, ma costituisce anche un caso di cognizione complessa,
sostenuta da meccanismi di base per i quali invece si assisterebbe a un deterioramento senile.
Per poter creare una rappresentazione globale e coerente del testo è infatti necessario che il lettore sia in
grado di mantenere attive in memoria le informazioni lette, integrandole tra loro, aggiornando le
informazioni rilevanti e sopprimendo quelle irrilevanti mano a mano che procede nella lettura.
Un recente studio, utilizzando modelli in equazione strutturale, ha dimostrato come la memoria di lavoro
spieghi l'influenza dell'età sulla comprensione del testo, mentre la varianza legata all'età nella memoria di
lavoro sia spiegata dall'inibizione cognitiva e dalla velocità di elaborazione. Pertanto, potremmo aspettarci
la presenza di difficoltà nella comprensione del testo nell'invecchia mento. È stato evidenziato, come gli
anziani, a causa dei cambiamenti cognitivi nella gestione delle risorse attentive, incontrino alcune difficoltà
in prove di comprensione del testo. Allo stesso tempo vi sono però vari studi che hanno messo in evidenza
come tale declino non sia ineluttabile e come, in talune situazioni, tale abilità sia invece conservata. Infatti, i
lavori che si sono interessati alla comprensione del testo «per sé», all'analisi della capacità di costruire una
rappresentazione coerente del contenuto del testo [De Beni, Borella e Carretti], hanno mostrato differenze
tra giovani e anziani meno pronunciate o persino assenti [Borella, De Beni e de Ribaupierre]. Gli anziani
riuscirebbero tanto efficacemente quanto i giovani a utilizzare e ad aggiornare i modelli situazionali estratti
dal testo. Somministrando prove di comprensione più ecologiche, più vicine alla quotidianità, in cui il
lettore ha a disposizione il testo durante la fase di risposta alle domande, hanno trovato che gli anziani
sono in grado di raggiungere un livello sufficiente di comprensione, avvalorando l'ipotesi che queste abilità
restino adeguate alle richieste della vita quotidiana.
In situazioni di comprensione «troppo costose», il testo viene elaborato dagli anziani solo a livello
superficiale, impedendo la formazione di una rappresentazione globale e coerente del testo stesso.
Borella [2007] dimostra quindi l'importanza di distinguere tra comprensione e ricordo del testo letto, prima
di trarre conclusioni a favore o meno di un deficit di comprensione nell'invecchiamento. Per la valutazione
clinica del livello di comprensione del testo nell'anziano, è opportuno utilizzare strumenti che misurino le
abilità di comprensione (prove standardizzate COMP della batteria BAC [De Beni]) e non quelle di memoria
per il testo.
Waters e Caplan [2001] trovarono che il livello di comprensione degli anziani era inferiore a quello dei
giovani all'aumentare della complessità sintattica, se misurata attraverso i tempi di risposta o l'accuratezza
delle risposte alla lettura del testo. Al contrario, notarono che le differenze d'età dovute alla complessità
sintattica venivano annullate nel caso in cui la comprensione fosse valutata attraverso misure definite on
line -ossia durante il processo di comprensione- in cui si chiedeva di giudicare la veridicità di alcune frasi
rispetto al contenuto.
Un altro fattore relativo alla comprensione consiste nel genere letterario di appartenenza del testo. Mentre
lo scopo dei brani narrativi è quello di raccontare una storia con personaggi e una struttura temporale e
causale facilmente rintracciabili, i brani espositivi informano il lettore, riportando degli eventi o delle
informazioni, senza avere una struttura temporale e causale definite. Il declino della comprensione dei testi
espositivi, relato all'età, dipenderebbe dal contenuto meno familiare e più ricco di informazioni che richiede
un maggior impiego di risorse cognitive rispetto a testi narrativi.

3. I PROCESSI DI MEMORIA
Il ricordo può essere visto come un insieme di operazioni o processi mentali che includono l'acquisizione o
codifica delle informazioni e il loro successivo recupero. Le differenze d'età nella memoria possono essere
attribuite all'inefficienza di uno o più di quei processi responsabili del ricordo. Per quanto riguarda la
codifica, processi di codifica efficienti implicano che l'informazione sia elaborata profondamente, che
vengano create associazioni, che si organizzino tra loro gli item e che questi vengano integrati con le nostre
conoscenze. Processi di recupero efficienti implicano la ricerca di suggerimenti (cues) e piste rilevanti
nonché il monitoraggio dell'output di memoria. Tali processi richiedono risorse e processi controllati e
quindi sono costosi per l'anziano che non ha sufficienti risorse a disposizione.
I risultati sull'efficienza della codifica nell'invecchiamento offrono indicazioni in parte discordanti. Gli
anziani, pur codificando spesso con successo simile a quello dei giovani il materiale in maniera incidentale,
hanno difficoltà quando devono apprendere intenzionalmente delle informazioni. Tale dato ha portato
alcuni studiosi a identificare un problema a livello delle strategie, per cui durante la fase di codifica gli
anziani non userebbero strategie adeguate [De Beni]. La difficoltà degli anziani nei compiti di memoria
episodica è spiegata però secondo varie altre ipotesi che fanno riferimento sia alla codifica, sia ai processi di
recupero. Un'altra ipotesi fa riferimento alla distinzione fra processi controllati e automatici che permette
di spiegare la distinzione tra processi di ricordo vero e proprio (recollection), con recupero di dettagli
contestuali di un episodio, ed esperienza di familiarità, ossia il sentimento di aver esperito
precedentemente un evento senza ricordare nessuno specifico dettaglio contestuale. Vi sono tuttavia
teorie che hanno messo l'accento sul ruolo delle strategie metacognitive o della motivazione sulla
prestazione in prove di memoria.

3.1. Il ruolo della metacognizione


La metacognizione si riferisce ai processi che riflettono sull'attività cognitiva (si parla anche di conoscenza
metacognitiva) e ai processi che la controllano. Secondo le teorie metacognitive «deboli» i vari processi
metacognitivi sono indipendenti e in parte una semplice conseguenza delle competenze cognitive stesse.
Secondo le teorie metacognitive «forti», invece, la conoscenza metacognitiva influenza la maniera con cui
l'individuo controlla la propria mente e decide di utilizzare specifiche strategie cognitive, e a loro volta
questi processi di controllo e strategie influenzano la prestazione.
Un'analisi metacognitiva può essere applicata a qualsiasi ambito dell'attività cognitiva. Nel caso dell'anziano
è stata studiata soprattutto la metacognizione relativa all'ambito della memoria, detta metamemoria, ed è
stato osservato [Comoldi e De Beni] che conoscenza metacognitiva e processi di controllo possono non
essere del tutto adeguati. Gli anziani hanno concezioni fatalistiche della dimenticanza e una visione
pessimistica delle proprie capacità mnestiche, queste concezioni distorte sembrano avere conseguenze
sulla modesta o inadeguata attivazione di strategie e quindi sulla prestazione mnestica. Proprio perché
meno collegata ai meccanismi biologici, la metacognizione può risentire meno del calo cognitivo ed essere
comunque modificata, con la conseguenza di apportare notevoli benefici cognitivi.

3.2. Teoria dei livelli di elaborazione


La teoria dei livelli di elaborazione, proposta da Craik e Lockhart [1972], ipotizza che il mantenimento a
lungo termine della traccia mnestica sia in funzione della profondità dell'elaborazione: più profondo è il
livello di elaborazione dell'informazione, più elaborata, duratura e stabile sarà la traccia mnestica. La teoria
della profondità della codifica distingue tre livelli di elaborazione:
1. strutturale ed estremamente superficiale, come accade nell'analisi delle caratteristiche formali di
uno stimolo significativo;
2. strutturale, ma meno superficiale, come avviene nell'analisi fonetica di materiale linguistico;
3. profonda, come avviene nell'analisi semantica.
Un'elaborazione profonda richiede anche un'elaborazione di tipo sensoriale che interesserà la percezione e
la codifica dello stimolo: dunque la memoria è anche un prodotto dell'analisi percettiva. L'elaborazione più
profonda è quella che garantisce un miglior ricordo, ma richiede il supporto anche dell'elaborazione meno
profonda. Aspetti percettivi e cognitivi non possono essere considerati moduli separati. Le tracce mnestiche
sono un prodotto dell'analisi percettiva, e il mantenimento di tale traccia è in funzione della profondità con
cui lo stimolo è stato analizzato. Segue che:
1. i cambiamenti legati all'età nel funzionamento sensoriale possono spiegare i cambiamenti cognitivi
nell'invecchiamento;
2. la minor disponibilità di risorse causerebbe il declino nella prestazione percettiva e/o cognitiva;
3. il declino legato all'età nelle funzioni sensoriali può causare cambiamenti nella quantità di risorse
che possono essere utilizzate per una elaborazione più profonda o per l'elaborazione richiesta da
quel particolare compito.

3.3. Teoria dell'elaborazione autoiniziata


Craik, ha messo in luce come anche altre variabili possano essere critiche per avviare processi efficaci di
memoria. Ha proposto l'ipotesi dell'elaborazione autoiniziata nella fase di codifica e di recupero, che
medierebbe gli effetti dell'età sulla memoria e sulla cognizione. Processi autoiniziati sono necessari quando
la persona non ha alcuna facilitazione e deve trovare il modo per memorizzare e recuperare delle
informazioni.
Il concetto di elaborazione autoiniziata descrive la necessità di avviare ed eseguire una serie di operazioni,
per elaborare il materiale, che richiedono controllo attentivo e dipendono dall'energia mentale di ogni
individuo. I processi autoiniziati comprendono attività di codifica finalizzate a facilitare il recupero (come
formare nuove associazioni efficaci tra gli stimoli). A seconda del compito di memoria, tali processi possono
essere più o meno implicati e quindi richedere un diverso grado di sforzo e di risorse cognitive; e questo
spiegherebbe la presenza o meno di differenze d'età tra giovani e anziani nelle prove di memoria episodica.
Più una prova gode di un supporto ambientale, meno sono implicati i processi autoiniziati e minori sono le
differenze d'età tra giovani e anziani. Più il supporto ambientale è alto, meno è necessario basarsi sui
processi autoiniziati e minori sono le differenze d'età.

3.4. Teoria dei processi automatici e controllati


Jennings e Jacoby [1993] suggerirono che la diminuzione nell'invecchiamento nella prestazione cognitiva in
compiti di memoria fosse legata a un deficit specifico di processi controllati, da distinguere da quelli
automatici che sono risparmiati dall'invecchiamento. In questo modo riprendevano la classica distinzione
fra processi automatici e controllati.
I processi automatici sono innati o superappresi, rapidi, legati allo stimolo e non all'intenzione (processo
bottom-up), si basano sulla familiarità e sul contesto, non lasciano memoria della loro effettuazione e una
volta appresi difficilmente possono essere disappresi o inibiti; quelli controllati sono coscienti, necessitano
di un uso controllato dell'attenzione e della memoria, richiedono un utilizzo volontario delle risorse in
quanto implicano sforzo.
Gli anziani hanno prestazioni basse (sia pur in misura decrescente) in compiti di rievocazione libera,
rievocazione guidata o prove di riconoscimento che implicano che il soggetto recuperi un episodio specifico
legato all'apprendimento. Tale evidenza ha portato Jacoby [1991] a postulare l'esistenza di processi di
recupero automatici e controllati che congiuntamente e in maniera indipendente determinano la
prestazione in ogni prova di memoria.
Jacoby per distinguerli procedura dissociativa dei processi (PDP)² la distinzione fra processi di recupero
associati all'impressione di familiarità e processi di recupero associati al ricordo consapevole e
contestualizzato dell'evento (recollection) è stata successivamente ripresa in vari studi, mostrando come
nell'anziano vi sia una caduta specifica nei secondi che è in relazione con la differenziale perdita delle
corrispondenti funzioni cerebrali. La distinzione fra processi automatici e controllati si applica anche al
momento della codifica dell'informazione [Hasher e Zacks].
Molti errori di memoria, secondo Jacoby, avrebbero luogo quando in una prova predominano i processi
automatici, legati alla familiarità, rispetto a quelli controllati, legati alla recollection. L’impressione di
familiarità, senza un effettivo ricordo, potrebbe essere in relazione col fatto che gli anziani hanno una
codifica meno efficace dell'informazione, ma anche col fatto che essi sono meno capaci di binding, ovvero
di legare l'informazione al suo contesto.

3.5. Teoria motivazionale


La forte influenza delle neuroscienze nello studio dell'invecchiamento cognitivo ha orientato la ricerca
verso meccanismi di base, talora trascurando il ruolo delle componenti motivazionali, emotive, culturali e
sociali che, secondo numerosi autori, sarebbe centrale nello spiegare le difficoltà degli anziani in prove di
memoria. È stato sostenuto che l'anziano non possieda minori risorse o minore capacità di attivare processi
controllati, ma sia semplicemente meno motivato a farlo. Questa posizione appare eccessivamente
radicale, ma ha sicuramente un grosso fondamento, come è dimostrato dalle forti differenze di prestazioni
cognitive fra anziani motivati a impegnarsi in compiti complessi e anziani che non lo sono. La prestazione
cognitiva in processi controllati sia danneggiata dalla presenza di stati emotivi: preoccupazioni, stress,
tensioni possono ridurre la capacità di lavoro della mente. Questo pericolo vale in misura maggiore per
l'anziano, a causa delle minori risorse disponibili. Per l'anziano è quindi importante imparare a gestire i
propri stati emotivi. La ricerca ha dimostrato che le marcate differenze d'età presenti nella situazione
<<Ricorda>> scomparivano nella condizione «<Impara». Questo risultato può essere interpretato all'interno
della ipotesi della <<minaccia dello stereotipo» per cui l'anziano si sente minacciato quando è in gioco la
sua memoria, del cui calo sente parlare continuamente.
Gli aspetti emotivo-motivazionali sono critici nei processi cognitivi nell'anziano perché non sono soggetti a
decadimento, possono pesare nell'anziano tanto e forse ancora di più che nel giovane.
Laura Carstensen [2006] ha proposto una teorizzazione (Socioemotional Selectivity Theory) che tiene
conto del ruolo della prospettiva temporale. Negli anziani la prospettiva temporale è limitata (si pensa che
la vita davanti non sarà infinita) e quindi induce il passaggio da una motivazione a raccogliere più
informazioni possibili a una volta a raggiungere emozioni soddisfacenti, investendo nelle cose sicure,
approfondendo gli elementi posseduti e assaporando gli aspetti positivi della vita.
È possibile che la risposta emotiva positiva richieda nell'anziano minori costi cognitivi e quindi possa essere
agevolmente attivata e utilizzata nella prestazione cognitiva. È anche possibile che l'anziano, se
effettivamente interessato e motivato al ricordo di determinato materiale, riveli capacità insospettate di
memoria.

CAP 7
1. I MECCANISMI DI BASE DELLA COGNIZIONE
Come si studia l'invecchiamento cognitivo?
1. L'approccio locale, che trova esemplificazione nella pubblicazione di Experimental Psychology,
Cognition and Human Aging di D.H. Kausler [1991], cerca di identificare quali componenti
dell'elaborazione delle informazioni siano danneggiate dall'invecchiamento e come esse influiscano
sulla prestazione. Nell'ambito della memoria, per esempio, si è cercato di identificare se
l'invecchiamento colpisca in modo selettivo un processo (codifica, mantenimento o recupero
dell'informazione), piuttosto che un sistema di memoria. Il metodo utilizzato è quello sperimentale
in cui si confronta la prestazione ottenuta da giovani e anziani in due versioni di uno stesso
paradigma: una versione baseline e una in cui vengono manipolati i processi di interesse. Si cerca di
riprodurre gli effetti dell'età osservati in un determinato compito modificando il minor numero di
parametri del modello cognitivo teorico generale. Ci permette di individuare a livello analitico-
micro-i meccanismi, i processi e i sistemi cognitivi influenzati dall'età, ma non consente di capire
come e perché questi si verifichino. Uno dei limiti è non fare riferimento a una teoria integrata del
cambiamento cognitivo che spieghi perché tale componente risente dell'età. Le differenze
dipendenti dall'età tra giovani e anziani potrebbero dipendere da un deficit generale, e non da un
deficit specifico di una componente del trattamento. Poiché il nostro sistema cognitivo è un
sistema interattivo, è difficile pensare che un deficit in uno specifico processo di memoria non
abbia un'influenza diretta, o indiretta, su altri processi, o che non sia legato a un deficit più
generale non identificato. L'approccio locale rischia di non esaminare in maniera esaustiva tutte le
componenti legate al trattamento delle informazioni e di non controllare se «manipolando»> una
determinata variabile questa non abbia un effetto anche su componenti che non volevamo
esaminare.
2. L'approccio globale-macro utilizza modelli integrativi in cui si ipotizza un numero limitato di
meccanismi che permettano di interpretare le differenze dipendenti dall'età, nelle componenti
specifiche di trattamento, a partire da parametri generali, fornendo consequenzialmente una
visione globale e unitaria dell'invecchiamento. Viene esemplificato dal libro Theoretical Perspective
on Cognitive Aging di Salthouse [1991a], in cui l'autore presenta e descrive l'approccio globale o
macro. Il metodo utilizzato è quello correlazionale, basato sulle differenze individuali, in cui un
insieme di variabili viene utilizzato per predire le differenze dipendenti dall'età (se lo studio è
trasversale) o i cambiamenti con l'età (se lo studio è longitudinale) in determinati aspetti della
cognizione. Il postulato base tipico di tale approccio è quello di considerare l'invecchiamento il
risultato di una modificazione nelle risorse mentali a disposizione per elaborare le informazioni e
non un'alterazione di processi cognitivi specifici. Le risorse sono concepite come energia mentale,
grazie alla quale si elaborano le informazioni, e come spazio mentale in cui hanno luogo tali
elaborazioni. Il concetto di risorse mentali implica dei meccanismi attivatori che permettono di
elaborare un numero limitato di informazioni. Con l'avanzare dell'età diminuirebbero tali risorse e
questo spiegherebbe la differenza nella prestazione. Da un punto di vista operazionale, il concetto
di risorsa mentale in psicologia è alquanto vago e non è ancora chiaro come le risorse mentali si
trasformino in un meccanismo o in un processo per elaborare le informazioni. Spesso identificate
con: velocità di elaborazione delle informazioni, capacità della memoria di lavoro e capacità
attentive o di inibizione. Più avanti delineeremo meglio le tre posizioni.
Tenendo conto della complessità del nostro sistema cognitivo, la diminuzione delle risorse cognitive
risulterebbe maggiormente spiegata dall'interazione dinamica tra più fattori generali.

2. VELOCITÀ DI ELABORAZIONE
La velocità con cui si elaborano le informazioni (processing speed) viene definita in termini di rapidità con
cui vengono iniziate e condotte operazioni cognitive elementari. Essa è considerata uno dei fattori principali
che spiegano le differenze che l'avanzare dell'età genera nella cognizione in tutto il corso della vita;
Salthouse [1996].
Gli studi sul ruolo della velocità nello sviluppo e nell'invecchiamento hanno cercato di dimostrare che i
cambiamenti evolutivi non erano legati a cambiamenti di competenza nell'effettuazione di specifici compiti,
ma valevano in misura simile per molti compiti differenti.
Cerella e Hale [1994] hanno mostrato, per esempio, come il tempo richiesto alla mente per lavorare sia
rappresentato da una funzione a U: nell'infanzia il tempo richiesto è maggiore, ma con lo sviluppo la
velocità di elaborazione incrementa; seguono poi una fase di plateau, ovvero di mantenimento di tempi
bassi di elaborazione durante tutta la gioventù e la prima età adulta, e un graduale declino della stessa
nell'età adulta matura e nell'invecchiamento. Non è difficile ritrovare a livello neurobiologico a livello di
trasmissione dell'impulso nervoso, dei cambiamenti che potrebbero spiegare la variazione nella velocità di
elaborazione dell'informazione. Tale declino viene attribuito a cambiamenti nel peso del cervello, nella
struttura dendritica, nella mielizzazione delle fibre nervose e nell'efficacia dei recettori dopaminergici che
porterebbero a un rallentamento nelle operazioni cognitive e a una diminuzione della prestazione
osservata. Alcuni studi hanno rilevato come anche le modificazioni, legate all'avanzare dell'età, nel sistema
visivo possano influire sulla velocità con cui l'anziano elabora le informazioni.

Useful Field of View (UFOV) è l'area visiva entro la quale gli stimoli possono essere riconosciuti e localizzati
senza che la persona muova gli occhi o la testa. UFOV misura la quantità di informazioni che può essere
elaborata con un solo breve sguardo. È indice di integrità del sistema visivo, ed è correlata con la velocità di
elaborazione, il livello di scolarità, il funzionamento mentale e il benessere percepito [Edwards].
Nell'invecchiamento UFOV si riduce, e questa diminuzione influisce soprattutto sulla velocità di
elaborazione degli stimoli visivi. La velocità di elaborazione è generalmente testata attraverso prove in cui
viene chiesto di dare una risposta il più velocemente possibile o di dare il maggior numero di risposte entro
un determinato limite di tempo:
- Prove di velocità percettiva, come per esempio quelle il cui compito richiesto è di confrontare il più
velocemente possibile una serie di segni o di sequenze di lettere [Salthouse e Babcock] o la prova
Codice (digit symbol) della WAIS-R che richiede di tracciare velocemente i simboli appropriati sotto
le cifre corrispondenti [Wechsler].
- Prove sui tempi di reazione semplici, per esempio schiacciare velocemente un pulsante ogni volta
che sullo schermo appare una X.
- Prove sui tempi di reazione complessi, per esempio schiacciare rapidamente uno fra diversi pulsanti
a seconda dello stimolo comparso.

I risultati delle varie ricerche condotte mostrano in modo costante e inequivocabile che gli anziani hanno
tempi di esecuzione molto più lenti rispetto ai giovani. La riduzione della velocità di elaborazione con l'età
viene a imporsi nella letteratura sull'invecchiamento cognitivo come uno dei dati più robusti a sostegno dei
cambiamenti dovuti all'età.
Gli studi sulla velocità di elaborazione, principalmente condotti dal gruppo di Salthouse hanno anche
permesso di mettere in evidenza come questo meccanismo sia un mediatore affidabile della relazione tra
età e costrutti cognitivi più complessi, quali la memoria di lavoro, il ragionamento e la memoria episodica;
in partico lare la velocità spiegherebbe il 79% della varianza in prove di ragionamento, il 72% in prove
spaziali e il 70% in prove di memoria episodica. Vari studi mostrano anche come, tenendo conto della
velocità di elaborazione, le differenze dipendenti dall'età nelle prestazioni cognitive si riducano
notevolmente. Il declino della velocità è stato confermato anche dai pochi studi condotti che hanno
adottato una metodologia longitudinale.
Salthouse [1996] propone due meccanismi che potrebbero spiegare la relazione tra velocità e cognizione:
1. il meccanismo del tempo limitato: le operazioni cognitive necessarie per riuscire in un'attività non
possono essere attuate se le prime operazioni cognitive richieste dal compito vengono eseguite
troppo lentamente, non lasciando altro tempo sufficiente per eseguire le successive operazioni,
rischiando di conseguenza che queste ultime vengano realizzate in modo meno preciso
2. il meccanismo di simultaneità: un processamento lento riduce anche la profondità con cui le
informa zioni vengono elaborate; le informazioni precedentemente elaborate diventano meno
precise e accurate, a mano a mano che il tempo.
Tenuto conto del ruolo della velocità nella prestazione cognitiva e come mediatore degli effetti dell'età,
diventa necessario controllare tale variabile nello studio dell'invecchiamento cognitivo. Il non controllare le
differenze nella velocità tra giovani e anziani potrebbe indurre a errate attribuzioni relativamente ai
meccanismi responsabili dei cambiamenti nelle prestazioni degli anziani. Tuttavia, la velocità di
elaborazione non sembra spiegare in maniera soddisfacente né le variazioni che si riscontrano negli studi
longitudinali, né le differenze intraindividuali; questo ci porta a dover considerare e identificare altri fattori
specifici sottostanti ai cambiamenti cognitivi.

3 ATTENZIONE E INIBIZIONE
Anche il concetto di attenzione si riferisce a diversi aspetti e usi. Rogers [2000] fornisce una classica
distinzione fra tipi diversi di attenzione e ne illustra la diversa sensibilità all'invecchiamento
Tipo di attenzione Sensibilità
Selettiva (richiesta nello scegliere e fissarsi sull'informazione appropriata) Dipende dai compiti
Focalizzata (impegnata quando ci si concentra su una determinata attività) Bassa
Divisa tra due compiti (prestare attenzione concomitantemente a due cose diverse) Dipende dai compiti
Mantenuta (si mantiene a lungo la concentrazione su un’attività) Bassa
Swiching (si deve spostare rapidamente l'attenzione da un’informazione a un'altra) Dipende dai compiti
Fenomeno del mind wandering: spostamento dell'attenzione dall'ambiente esterno a sensazioni interne o
rappresentazioni mentali associate. Nonostante sia molto comune, caratterizza il 25 50% della nostra
giornata, ci sono circostanze in cui può essere controproducente. Es: situazioni in cui il compito richiede
gran parte delle risorse ma la persona non è in grado di bloccare i pensieri intrusivi o non riesce a
controllare fenomeni rimuginamento. La teoria del controllo evidenzia la centralità delle funzioni esecutive
nel determinarlo e vede il mind wandering come causato dalla mancata inibizione di stimoli interni ed
esterni generati in modo automatico e continuo che vanno a sovraccaricare la memoria di lavoro portando
a un peggioramento della prestazione. Solo le persone con elevate capacità di memoria di lavoro sono in
grado di sopprimere i pensieri intrusivi e orientare le proprie risorse al compito primario in modo
proporzionale alla sua complessità. Non è stato evidenziato un amento del mind wandering
nell'invecchiamento. Dato che è una causa interna è stabile, può condurre a un abbassamento
dell'autostima, al ritiro dei compiti cognitivi ed è correlata positivamente all'ansia e a un basso benessere.

Nel caso dei compiti attentivi, è stata avanzata l'ipotesi che la maggiore difficoltà incontrata dall'anziano
riguardi un aspetto particolare del controllo e cioè la capacità inibitoria.
L'inibizione è un processo che consente di mantenere l'attenzione su stimoli specifici, resistendo
all'interferenza provocata da distrattori endogeni o esogeni. Birren, già nel 1959, aveva presentato alcuni
risultati, ottenuti da più studi sia psicologici sia fisiologici, in cui emergeva che all'aumentare dell'età
compariva un crescente deficit inibitorio. L'inibizione è generalmente vista come un meccanismo attentivo
implicato in attività sia semplici (prove percettive) sia complesse (memoria di lavoro). Essa opera tanto
nella codifica quanto nel recupero delle informazioni immagazzinate, controllando che non vengano attivati
distrattori irrilevanti e che la persona non sia distratta da questi. Il ruolo dell'inibizione è soprattutto legato
al controllo esercitato sui contenuti temporanei della memoria di lavoro: questo controllo è cruciale se si
considera che la memoria di lavoro ha una capacità limitata. Il controllo secondo Bjorklund e Harnisheger
[1995], avverrebbe «sopprimendo contenuti precedentemente attivati, eliminando azioni irrilevanti, e
resistendo all'interferenza di processi che potenzialmente possono catturare l'attenzione»>.
La funzione dell'attenzione, secondo Baddeley [1986], non è dissociabile dalla funzione della memoria di
lavoro, in quanto implica, nella gestione di informazioni mantenute in un sistema temporaneo di memoria,
resistenza alla distrazione e all'interferenza. Una scarsa inibizione può danneggiare la presta zione cognitiva
permettendo a informazioni irrilevanti di consumare la capacità di immagazzinamento e consentendo
altresì che le risorse cognitive siano utilizzate per materiali irrilevanti.
La teoria dell'inibizione nell'invecchiamento cognitivo: la prestazione cognitiva degli anziani sarebbe
influenzata da una maggiore difficoltà a selezionare le rappresentazioni appropriate per i fini dell'attività da
svolgere e a inibire le rappresentazioni percettive, mnestiche e le risposte non pertinenti dell'attività.
Tale ipotesi porta con sé è che vi sia una sorta di saturazione della capacità di elaborazione a causa della
presenza di troppe informazioni che l'anziano non riesce a gestire.
Hasher e Zacks attribuiscono al controllo inibitorio tre funzioni:
 Accesso: inibizione del distrattore al momento della codifica, compito: Negative priming
 Soppressione: soppressione di informazioni precedentemente pertinenti per il compito ma che non
lo sono più. Per misurarla i compiti prevedono un Oblio diretto e un’Interferenza proattiva
 Restrizione: controllo dell'interferenza causata da stimoli in competizione che richiedono
l'inibizione di informazioni dominanti attraverso i compiti di Stroop colore e Hayling test o
completamento di frasi. Riguarda anche l'inibizione comportamentale, quindi la soppressione
controllata di una risposta motoria automatica pronta per essere eseguita esaminabile attraverso i
compiti Go/no go. Infine riguarda l'inibizione oculo-motoria quindi l'inibizione controllata di un
movimento di riflesso il compito per valutarla e l’Antisaccade.

Un'altra misura dell'efficienza dell'inibizione sono gli errori di intrusione. De Beni e colleghi, in vari studi
sulle differenze dipendenti dall'età nella memoria di lavoro verbale, hanno notato come gli anziani in prove
di memoria di lavoro ricordino molte informazioni che erano state effettivamente presentate ma non erano
da ricordare, commettendo gli errori di memoria o di intrusione. Tali evidenze hanno portato gli autori a
ipotizzare che la bassa prestazione degli anziani in prove di memoria di lavoro sia dovuta alla difficoltà di
sopprimere item precedentemente attivati, per eseguire la prova, ma non rilevanti per gli obiettivi del
compito. Analizzando gli errori di intrusione, in uno studio è risultato che gli anziani facevano più errori di
intrusione di item appartenenti alla lista di stimoli che avevano appena elaborato, quindi più attivati,
rispetto a stimoli di liste precedenti, meno attivati.
Robert e colleghi [2009] hanno confrontato i diversi tipi di errori di intrusione che possono essere fatti
distinguendoli in
- intrusioni di liste precedenti (parole ricordate-target o non target-di liste precedenti),
- intrusioni non finali (parole non finali dello stesso trial)
- invenzioni (parole non presenti nella prova).
I risultati di questo studio hanno mostrato differenze dipendenti dall'età tra giovani, giovani anziani e
grandi-vecchi solo per gli errori di intrusioni non finali.
Cornoldi e colleghi [2006] hanno mostrato che l'effetto compare anche in un compito di memoria di lavoro
visuo-spaziale in cui i vuoti di memoria potrebbero essere colmati sia da informazioni già presentate, sia da
informazioni nuove. Questi risultati confermano la diminuzione dell'efficacia dell'inibizione legata all'età, e
la maggior sensibilità degli anziani a sopprimere informazioni recentemente attivate rispetto a informazioni
meno attivate.
Si è visto che gli anziani non solo producono un maggior numero di intrusioni, in un compito sperimentale
di memoria di lavoro, ma si caratterizzano anche per una maggior frequenza di pensieri intrusivi in
situazioni della quotidianità [Borella).
Critiche all'ipotesi inibitoria:
Verhaeghen e De Meersman [1998b], prima di interpretare i risultati in termini di declino dell'inibizione con
l'invecchiamento, è necessario considerare altri fattori come la velocità di elaborazione. La metanalisi da
loro condotta mostra come la differenza dipendente dall'età tra giovani e anziani in alcune prove di
inibizione, come lo Stroop colore o il negative priming, si annulli quando si tiene conto (controlla per) della
velocità di elaborazione. Altri aspetti da considerare sono le caratteristiche psicometriche delle prove di
inibizione utilizzate (affidabilità) e della popolazione esaminata.
Sempre più studi mostrano come le correlazioni tra le diverse misure di inibizione siano spesso molto basse
se non nulle. Questo implica che probabilmente esistono specifici processi di inibizione che sono sollecitati
a seconda delle richieste del compito e della situazione sperimentale.
Friedman e Miyake [2004], sulla base della somministrazione di diverse prove di inibizione a un campione
di soli giovani, confermano la specificità di queste funzioni e concludono dicendo che «<le teorie che
concepiscono l'inibizione come un meccanismo unitario sono probabilmente troppo ambiziose».
Sembrerebbe infine che gli anziani siano più suscettibili alle informazioni irrilevanti, ma che non abbiano
meccanismi inibitori meno efficienti.
Borella, Carretti e De Beni [2008] adottando la prospettiva dell'arco di vita. A partecipanti di età compresa
tra i 20 e gli 86 anni, divisi per decadi, sono state somministrate più prove di inibizione e di memoria di
lavoro. Le prove di inibizione erano volte a valutare sia l'abilità a resistere a informazioni dominanti ma non
rilevanti (Hayling Test), sia la capacità di sopprimere informazioni non più rilevanti (errori di intrusione).
Inoltre è stata raccolta una misura soggettiva, relativa alla autopercezione e alla frequenza dei fallimenti
cognitivi nella quotidianità, utilizzando un questionario sui fallimenti cognitivi (QFC). L'andamento
dell'inibizione nell'arco della vita è emerso non essere lineare ma quadratico: l'efficacia dell'inibizione non
ha un declino lineare in quanto rimane stabile dai 20 ai 60 anni per poi subire una diminuzione, che appare
più pronunciata per il gruppo di età con più di 70 anni. È quindi probabile che l'impatto, più importante, dei
fattori biologici dopo i 70 anni porti a un declino cognitivo maggiore e a una conseguente riduzione di
questo meccanismo base della cognizione. La ricerca ha evidenziato modeste correlazioni tra le varie
misure di inibizione, dato che risulta quindi a favore della multidimensionalità di tale meccanismo e a
sfavore della sua generalità.
L'inibizione è uno dei fattori proposti che spiegherebbe la diminuzione delle risorse nell'invecchiamento
normale. Hasher e Zacks [1988] propongono l'ipotesi del declino dell'inibizione nell'invecchiamento come
fattore responsabile della bassa prestazione che gli anziani ottengono in varie prove cognitive.

4 LA MEMORIA DI LAVORO
Il costrutto di memoria di lavoro (MdL), sistematizzato da Baddeley e Hitch [1974], si riferisce alle
operazioni utilizzate per immagazzinare temporaneamente le informazioni anche al fine di elaborarle per
l'esecuzione di altri compiti.
La definizione strutturale e funzionale della MdL varia notevolmente a seconda dell'approccio teorico.
1. La memoria di lavoro è un sistema unitario che può implicare l'attivazione temporanea di
sottocomponenti della memoria a lungo termine per mantenere ed elaborare le informazioni
attraverso l'attenzione controllata o esecutiva. Per Engle, Kane e Tuholski riguarda l'abilità di
utilizzare una componente attentiva/esecutiva che mantiene attive in memoria solo le in
formazioni rilevanti per raggiungere un obiettivo, sopprimendo quelle irrilevanti e/o interferenti.
L'attenzione controllata/esecutiva è una risorsa cognitiva generale che non dipende dalla natura
del materiale e determina la differenza fra la memoria a breve termine (ove essa non è presente in
maniera significativa) e la memoria di lavoro vera e propria. Le differenze individuali relative alla
memoria di lavoro sono legate alle capacità attentive: più queste sono efficienti, maggiore è il
numero di elementi che possono essere mantenuti attivi in memoria determinando il successo in
prove di MdL o che la implicano.
2. Visione frazionata: la memoria di lavoro è scomponibile in sottosistemi, alcuni dei quali vengono
definiti dalla natura del materiale da ricordare. Nel modello di Baddeley è composta dai seguenti
sistemi:
a. il loop fonologico: responsabile di mantenimento ed elaborazione delle informazioni di
natura acustica e verbale, coinvolto nella comprensione del linguaggio;
b. il taccuino visuo-spaziale (memoria di lavoro visuo-spaziale) deputato a mantenere le
informazioni spaziali-visive e implicato in prove di immaginazione ecc.;
c. il buffer episodico, introdotto recentemente, legato al recupero delle informazioni dalla
memoria a lungo termine e all'associazione delle informazioni tra loro per formare episodi
integrati;
d. l'esecutivo centrale, sistema di controllo attentivo che svolge gran parte delle operazioni
ascritte alle già citate funzioni esecutive. Ha la funzione di supervisionare i sistemi
periferici, selezionando le strategie e coordinando le attività in modo da elaborare gli
stimoli immagazzinati dai due servosistemi. Le differenze individuali sarebbero legate ai
processi esecutivi che implicano la coordinazione dei due sistemi o la gestione delle risorse
attentive che varia da individuo a individuo.
Miyake e Shah [1999], sintetizzando le differenti prospettive di memoria di lavoro:
1. La capacità della MdL è di natura limitata e tali limiti sono influenzati, dalla quantità di risorse
disponibili, dal de cadimento della traccia mnestica, dalla suscettibilità all'interferenza e dalla
velocità di elaborazione.
2. La gestione delle risorse attentive è una caratteristica centrale della MdL, che permette di spiegare
il ruolo della MdL nella cognizione complessa nell'intelligenza fluida.
3. Le conoscenze in memoria a lungo termine hanno un ruolo importante in prove di memoria di
lavoro, anche se il loro ruolo non è ancora chiaro.
4. La MdL non deve essere concepita come una entità specifica strutturalmente distinta dal sistema
cognitivo.
5. Il controllo e la regolazione della MdL dipendono dal monitoraggio e dall'aggiornamento del
contenuto della memoria di lavoro, dalla pianificazione e dall'inibizione attiva delle informazioni.
6. La MdL non è completamente unitaria, in quanto fattori specifici (strategie, tipi di materiali e
operazioni implicati, conoscenze specifiche nella memoria di lavoro) possono determinare la
prestazione in compiti diversi di memoria di lavoro.

Tutte le prove di MdL, sebbene si differenzino a livello di materiale utilizzato richiedono di mantenere delle
informazioni da rievocare, dopo aver completato processi attentivi di ela borazione sullo stesso materiale
proposto. Il mantenimento e l'elaborazione attiva delle informazioni richiesti differenziano tali prove da
quelle di memoria a breve termine.
La distinzione tra MdL e memoria a breve termine è stata empiricamente confermata da numerosi studi
che hanno mostrato come i punteggi siano differenziabili, si possano riscontrare deficit specifici
differenziati e i processi implicati siano diversi. Ricerche che hanno utilizzato tecniche di visualizzazione
cerebrale hanno mostrato come vi siano attivazioni di aree cerebrali diverse in compiti di MdL e in compiti
di memoria a breve termine. A differenza delle prove di span semplice, i compiti di MdL predicono la
prestazione in compiti cognitivi complessi come la comprensione del testo, l'intelligenza fluida ecc.
L'ipotesi che i cambiamenti nella memoria di lavoro spieghino i cambiamenti cognitivi nell'infanzia e nell'età
adulta avanzata è sostenuta dalla ricerca sullo sviluppo e sull'invecchiamento, Le prove di MdL sono inoltre
molto più sen sibili all'età rispetto alle prove di span semplice.
Vi è dibattito sul fatto che tale declino sia più accentuato in prove visuo-spaziali rispetto a prove verbali.
Secondo altri studi le differenze dipendenti dall'età nella MdL sono comparabili indipendentemente dalla
natura della prova e la supposta maggiore debolezza nelle prove visuo-spaziali sarebbe da imputare alla
minore familiarità dell'anziano con il materiale da ricordare. Manipolando la presentazione degli item delle
prove di MdL, iniziando i test con i set più lunghi - modalità discendente -(e non con i più corti come nelle
versioni classiche: modalità ascendente), la prestazione degli anziani (sia giovani-anziani sia grandi-vecchi)
non risulti più così deficitaria [Carretti, Mammarella e Borella 2012]. L'utilizzo di versioni di scendenti
ridurrebbe l'interferenza proattiva sulla prestazione in compiti di MdL, indipendentemente dalla natura del
materiale.

5. LA COMPLESSITÀ E LO STUDIO DEI MECCANISMI DI BASE


Quando determinate prove nel setting sono proposte in un contesto ecologico, le differenze dipendenti
dall'età tra giovani e anziani sono molto meno accentuate rispetto a quelle che emergono sperimentale.
Come spesso evidenziato dalla prospettiva dell'arco di vita di Baltes, alcuni dei cambiamenti che si
verificano con l'età possono anche avere una valenza adattativa: sembrerebbe che le varie prestazioni che
si registrano alle prove cognitive nelle differenti età siano anche imputabili a diversi obiettivi che gli anziani
si pongono rispetto ai giovani. Nel caso della comprensione del testo, i lettori maturi sviluppano una
modalità di elaborazione delle informazioni che privilegia il significato generale, in quanto, con minori
risorse cognitive a disposizione, ciò risulta più adattativo rispetto al ricordo di dettagli o alla
memorizzazione.
Altre variabili legate alle emozioni, alla personalità e allo stato di salute, oltre a quelle prettamente
cognitive, possono influire sulla prestazione dell'anziano. La comprensione dei cambiamenti che avvengono
con l'età e del perché avvengano deve contare su un'ottica multidimensionale e multidirezionale.
Alcune prove sono più sensibili all'età di altre: prove di span semplice sono spesso utilizzate, in ambito
clinico, per la loro velocità di somministrazione nella valutazione; tuttavia la loro applicazione con persone
anziane non si dimostra tanto sensibile quanto invece quella di prove di memoria di lavoro che implicano
una vera manipolazione attiva degli item, oltre al mantenimento dell'informazione.
Il Laboratorio di Psicologia dell'invecchiamento dell'Università di Padova (Lab-I) è già impegnato da parecchi
anni nella costruzione di strumenti multidimensionali e in programmi di riattivazione cognitiva ed emotivo-
motivazionale.
Tra i numerosi aspetti importanti nella comprensione delle differenze legate all’età, è stato dimostrato
come i ritmi circadiani, cicli di ventiquattro ore, subiscano delle fluttuazioni nello sviluppo. L'orologio
biologico sembra essere fissato nel tardo pomeriggio per i giovani, ma al mattino per gli anziani. Si
assisterebbe a uno spostamento dell'efficienza fisica e delle attività mentali dal pomeriggio al mattino. Gli
anziani riferiscono di essere <<mattinieri», mentre i giovani si dichiarano più «serali»; ciò è riscontrabile
anche a livello dello stile di vita differente: mentre gli anziani concentrano le loro attività al mattino, i
giovani concentrano le loro attività sociali e di divertimento nel pomeriggio o alla sera. Le differenze
individuali e dipendenti dall'età nei ritmi circadiani contribuiscono ai diversi pattern di comportamento, e
influenzano anche l'efficienza dei processi cognitivi, in particolare i processi che implicano controllo
attentivo.
Non considerare il momento della giornata in cui si valuta la prestazione degli anziani per fini clinici o di
ricerca può portare a conclusioni non oggettive [Hasher, Lustig e Zacks], in quanto le differenze dipendenti
dall'età tra giovani e anziani nella prestazione cognitiva rischiano di essere sovrastimate, a favore dei primi,
se le prove vengono somministrate al pomeriggio, momento della giornata non favorevole anziani, e
all'opposto sottostimate nel caso di valutazione mattina.

CAP 8
EMOZIONI, MOTIVAZIONI E PERSONALITÀ NELL'INVECCHIAMENTO ATTIVO
Rispetto ai giovani, gli anziani sono più proiettati verso gli affetti, assegnano una via preferenziale alle
emozioni, ricercano relazioni e affetti stabili come la famiglia, i nipoti ecc. e danno più importanza alla
connotazione emotiva di un evento. I processi di elaborazione emotiva non subiscano un declino e possano
persino migliorare «paradosso dell'invecchiamento»

1.1. Approcci teorici allo studio dell'elaborazione emotiva


Nella letteratura sull'elaborazione emotiva nell'invecchiamento sono stati proposti tre grandi approcci
teorici. Al di là delle singole peculiarità dei vari approcci, ciascuno evidenzia come lo studio delle emozioni
in età adulta avanzata rappresenti un campo di indagine fondamentale se vogliamo comprendere in
maniera più completa il ruolo delle variabili psicologiche nel processo di invecchiamento. Tutti gli approcci
si pongono interrogativi importanti sulle diverse traiettorie di sviluppo dei processi cognitivi e di quelli
emotivi e sul tipo di interazione tra cognizione ed emozione all'aumentare dell'età.
1. L'approccio delle emozioni differenziali (Differential Emotions Theory, DET) sostiene che le emozioni
diventano sempre più complesse in età avanzata a causa di un maggior numero di rielaborazioni
cognitive che mettono in relazione le diverse emozioni tra di loro.
2. L'approccio dell'integrazione dinamica (Dynamic Integration Theory, DIT) afferma che la capacità di
integrare aspetti cognitivi con le esperienze affettive aumenta con l'età.
3. L'approccio teorico più influente sullo sviluppo emotivo nell'invecchiamento è quello della teoria
della selettività socioemotiva (Socioemotional Selectivity Theory, SST). Questo approccio sostiene
che gli anziani danno priorità agli obiettivi emotivi in misura maggiore rispetto ai giovani, con
implicazioni importanti anche nei compiti cognitivi.

1. L'approccio delle emozioni differenziali (Differential Emotions Theory, DET) sostiene che all'aumentare
dell'età le emozioni diventano sempre più complesse a causa di un maggior numero di rielaborazioni
cognitive che legano le diverse emozioni tra loro [Magai]. In particolare c'è un numero limitato di emozioni
umane di base o fondamentali, molte delle quali non cambiano per tutto l'arco di vita. Per esempio,
indipendentemente dall'età, la vergogna viene sempre vissuta come una maggior consapevolezza del sé e il
desiderio di nascondersi. Tuttavia, il sistema emotivo nel suo complesso è considerato plastico e si modifica
in risposta alle nostre capacità cognitive e alle richieste ambientali. Per questo possiamo assistere a un
miglioramento nella capacità di anticipare e gestire le risposte emotive proprie e altrui con l'avanzare
dell'età. Gli anziani diventano più bravi nella regolazione sociale delle proprie emozioni rispetto ai giovani.
Ciò avviene perché il non essere in grado di controllare le emozioni può mettere in pericolo le relazioni
intime, quelle relazioni sociali che vengono considerate fondamentali da un anziano. Dall'altra parte, il
cambiamento a carico delle funzioni esecutive, della pianificazione, dell'inibizione ecc. può rendere
l'inibizione delle espressioni emotive più difficoltosa per gli anziani e può portare all'utilizzo di strategie di
regolazione diverse rispetto a quelle utilizzate dai giovani. Si possono osservare, in età adulta avanzata, dei
cambiamenti negli aspetti dell'esperienza emotiva, nell'espressione e nella regolazione delle emozioni a
causa dell'interazione con le richieste sociali e le modificazioni a carico dei processi cognitivi, che rendono il
sistema emotivo più complesso.

2.L'approccio dell'integrazione dinamica (Dynamic Integration Theory, DIT [Labouvie-Vief). Come il DET
sostiene che con l'aumentare dell'elaborazione cognitiva, aumenta la complessità delle emozioni. Secondo
la DIT, durante tutto l'arco di vita gli individui possono evidenziare due percorsi di sviluppo emotivo:
- L'ottimizzazione: meccanismo di natura automatica, implicita, non richiede grandi risorse cognitive.
Spinge gli individui verso un numero maggiore di stati emotivi positivi e un numero minore di stati
emotivi negativi
- La differenziazione degli stati emotivi è un meccanismo che prevede maggior elaborazione
consapevole delle emozioni e maggiori risorse cognitive. Spinge verso la complessità cognitivo-
affettiva (tendenza a rielaborare, analizzare e comprendere maggiormente le proprie e altrui
emozioni).
Durante l'arco di vita, lo sviluppo emotivo avviene grazie a una continua integrazione dinamica e flessibile
di questi due meccanismi. Con l'aumentare dell'età, gli anziani evidenziano fanno affidamento soprattutto
su meccanismi di ottimizzazione per compensare la perdita della complessità cognitivo-affettiva.

3.La teoria della selettività socioemotiva (Socioemotional Selectivity Theory, SST) di Carstensen [1992]
prevede una selettività nelle scelte e nelle relazioni sociali all'aumentare dell'età finalizzata alla
soddisfazione emotiva. I punti principali sono tre.
I. Gli obiettivi che guidano le nostre azioni, e il nostro comportamento in generale, possono essere
classificati in due grandi gruppi.
a. Gli obiettivi conoscitivi: si basano sull'osservazione, l'esplorazione, la ricerca e l'acquisizione
di informazioni, definiti «di apprendimento» o “di preparazione”, in quanto spingono ad
acquisire nuove conoscenze per preparsi al futuro. Le relazioni sociali vengono considerate
il mezzo principale di acquisizione di nuove conoscenze
b. Gli obiettivi emotivi (o di soddisfazione emotiva): si riferiscono alla capacità di regolare i
propri stati emotivi nel presente. Rientrano in questi obiettivi il tentativo di evitare stati
emotivi negativi a vantaggio di quelli positivi, il desiderio di dare un significato alla propria
esistenza, la soddisfazione emotiva e il coltivare delle relazioni stabili e le più intime
possibili. Il contatto con gli altri viene ridotto e considerato lo strumento principale di
regolazione delle proprie emozioni (la qualità delle relazioni fa la differenza).
II. La percezione del tempo influenza la natura degli obiettivi che perseguiamo. Quando il tempo viene
percepito come illimitato, gli individui sono proiettati verso il futuro e prevalgono gli obiettivi
conoscitivi. Quando si percepisce il tempo come limitato, gli individui sono orientati al presente e
gli obiettivi conoscitivi lasciano spazio a quelli emotivi. Quando la preoccupazione per il futuro
lascia spazio alla preoccupazione per il presente, gli aspetti emotivi diventano l'obiettivo principale
e gli anziani tendono a essere più selettivi nella costruzione e nel mantenimento di relazioni sociali.
Verranno mantenute soprattutto quelle relazioni sociali familiari, conosciute da tempo, e che
generano sicurezza e tranquillità. Secondo Carstensen la percezione del tempo influenza anche in
modo inconsapevole il comportamento di un anziano attraverso degli eventi o marker temporali
che spingono verso una direzione piuttosto che un'altra.
III. Essendo più orientati al presente e meno preoccupati per il futuro, la focalizzazione sugli aspetti
emotivi rappresenta per gli anziani una certezza. Questa forma di controllo emotivo viene definita
«regolazione emotiva focalizzata sull'antecedente», e si riferisce alla capacità di evitare
proattivamente gli stati emotivi negativi attraverso la regolazione delle relazioni sociali. Gli anziani
organizzano il loro mondo sociale prima che l'emozione emerga allo scopo di ottimizzare le
esperienze emotive gratificanti e significative ed evitare esperienze potenzialmente negative.
Interagiscono con un numero ridotto di persone, con le persone che conoscono bene, come vecchi
amici e membri della famiglia. Un numero ridotto e controllabile di interazioni di vecchia data
permette di provare più emozioni positive, e di dare un significato emotivo più profondo alla loro
vita. Si focalizzano di più sulla qualità emotiva degli scambi sociali. La sensazione che «questa
potrebbe essere l'ultima volta» spinge le reazioni emotive verso il polo della positività.
Un'altra modalità per regolare gli stati emotivi è quella della <<riduzione dell'anticipazione della
negatività», la tendenza a pensare meno alle conseguenze negative delle decisioni e, dunque, a sostenere
che le decisioni prese giungano, nella maggior parte dei casi, a buon esito.

1.2. L'effetto positività: dai dati comportamentali a quelli di neuroimmagine


Una serie di studi ha evidenziato che, oltre ad avere una diversa prospettiva temporale e quindi diversi
obiettivi, giovani e anziani prediligono esperienze emotive diverse. Un evento negativo viene riesaminato e
rielaborato più a lungo da un giovane, le impressioni negative sono più difficili da scardinare e, in generale,
le emozioni negative (per esempio fallimenti scolastici) hanno un impatto molto forte e danno origine a
ricordi difficili da dimenticare. All'aumentare dell'età assistiamo a uno spostamento di interesse verso gli
aspetti positivi di un evento; gli anziani, cioè, assegnano una via preferenziale agli aspetti positivi di un
evento rispetto a quelli negativi [Mather e Carstensen]. Il dato è stato definito effetto positività [Carstensen
e Mikels 2005] proprio per spiegare la tendenza degli anziani a prediligere ricordi positivi ai fini del loro
benessere o a rielaborare vicende negative del loro passato in chiave positiva. In uno studio di memoria
autobiografica.
Kennedy, Mather e Carstensen [2004] hanno testato nel 2001 circa 300 suore tra i 47 e 102 anni. Le suore
completavano un questionario nel quale veniva chiesto loro di ricordare le risposte a un questionario che
avevano completato 14 anni prima (nel 1987) circa le pratiche di salute e la loro storia medica. Gli anziani
(range di età: 79-102 anni) hanno mostrato un bias positivo nel ricordare le loro pratiche di salute e le
malattie, ovvero hanno sostenuto che il loro stato di salute non era poi così malandato a differenza del
gruppo di mezza età che, invece, ha mostrato un bias negativo. Data la peculiarità di questo risultato e di
quelli di molti altri studi successivi, alcuni ricercatori si sono interrogati sulla robustezza di questo effetto.
Uno degli studi più recenti a riguardo è quello di Reed, Chan e Mikels [2014] che basandosi su una
metanalisi su 100 studi sull'effetto positività, sono arrivati alla conclusione che l'effetto sia attendibile nei
lavori che hanno utilizzato approcci metodologici che non vincolano la naturale tendenza degli anziani a
prestare attenzione ed elaborare gli aspetti positivi di un evento (per esempio studi con movimenti oculari)
e in studi dove sono state confrontate ampie fasce di età (dai giovani adulti ai grandi anziani).
Fernandes e colleghi [2008] hanno portato in rassegna una serie di studi evidenziando dei dati discordanti
sull'effetto positività nel ricordo degli anziani. Se da una parte ci sono studi che evidenziano come gli
anziani ricordino meglio gli aspetti positivi rispetto a quelli negativi, dall'altra ci sono studi che non hanno
riscontrato alcun effetto positività.
Non tutti gli anziani palesano l'effetto positività (es: studio di Mammarella).
Modello di regolazione delle emozioni elaborato da Mather e Knight [2005]evidenzia come con
l'avanzare dell'età aumentino pure gli obiettivi emozionali degli anziani e soprattutto quelli positivi, anche
se questo processo di regolazione necessità di grandi risorse cognitive.
Il controllo cognitivo è cruciale per la generazione dell'effetto positività: solo gli anziani che ottengono
prestazioni elevate nei compiti di controllo cognitivo (per esempio inibire le informazioni negative) sono in
grado di soddisfare meglio i propri obiettivi di regolazione delle emozioni e mostrano quindi un effetto
positività in memoria più marcato. L'effetto positività nel ricordo degli anziani è il risultato di
un'elaborazione strategica e controllata mirata alla regolazione delle proprie emozioni. Quando il controllo
cognitivo viene meno, come nel caso della demenza di Alzheimer, si osserva un effetto negatività o nessun
effetto delle emozioni sui ricordi.
Gli studi sui correlati neurofisiologici delle emozioni spiegano la preferenza per gli aspetti emotivi
nell'invecchiamento e l'effetto positività come dovuti all'interazione tra diverse aree e strutture cerebrali.
Le regioni tipicamente associate ai processi emotivi sono relativamente ben preservate negli anziani.
L'amigdala mostra un deterioramento ridotto rispetto ad altre regioni cerebrali. È stata individuata
un'attivazione maggiore per gli stimoli emotivi positivi rispetto a quelli negativi solo negli anziani [Mather].
Ci sono anche dei dati che indicano come le regioni orbitofrontali associate con il controllo emotivo nella
corteccia prefrontale siano meno soggette all'invecchiamento. L'impatto delle emozioni positive sui
processi cognitivi dipende da un processo di modulazione neurofisiologica operata dall'amigdala. Secondo
questa ipotesi gli eventi emotivi in generale, e quelli positivi in particolare, vengono ricordati meglio in
quanto i processi di formazione e recupero di un ricordo (ippocampo e corteccia prefrontale) vengono
modulati dall'attività dell'amigdala che è meno soggetta al processo di invecchiamento.
Gli studi recenti di psicologia delle emozioni nell'invecchiamento evidenziano come gli anziani rielaborino i
loro eventi dando una via preferenziale alle emozioni.

2. ASPETTI MOTIVAZIONALI NELL'INVECCHIAMENTO


Ci sono pensieri e ambienti che inducono demotivazione, ovvero portano a rinunciare, a evitare, a non
cimentarsi, anziché a essere propositivi, attivi, pronti ad agire.

2.1. È perché sono vecchio


Quotidianamente viviamo successi e insuccessi e con altrettanta frequenza ci chiediamo la ragione. Questo
tipo di riflessione conduce allo stile attributivo, ovvero ad attribuire i nostri e gli altrui risultati all'una o
all'altra causa. C'è chi tendenzialmente riconosce l'impegno o la mancanza di impegno, chi le capacità o la
loro carenza, chi fattori esterni: caratteristiche del compito, sostegno da parte di altri, fattori casuali.
L'importanza dello stile attributivo per la motivazione e il benessere è notevole.
L'impotenza appresa [Abramson, Seligman e Teasdale]: si impara a essere impotenti, a non poterci fare
nulla, per effetto di insuccessi ripetuti nel tempo, ma soprattutto attribuiti alla mancanza di abilità e
comunque a cause interne (dipende da me) e stabili (sarà sempre così).
Diverso è il caso di chi, invece, attribuisce l'insuccesso all'impegno carente o al fatto di non avere le
strategie più efficaci o comunque a cause interne, ma controllabili. In tale situazione vi saranno il desiderio
di recuperare, di riprendere in mano il compito o la situa zione e un'aspettativa di successo futuro.
Entrambi sono fattori motivanti che vanno a incidere sulla percezione di benessere perché alimentano il
senso di controllabilità: «dipende da me riuscire» e «ce la posso fare!>>.
Studi condotti per confrontare lo stile attributivo di giovani e di anziani hanno dimostrato che gli anziani
tendono più dei giovani ad attribuire a cause stabili (non sono portato, i compiti e le situazioni sono troppo
difficili per me...). Uno di questi riguarda i compiti di memoria per cui si ritiene (e l'anziano crede) che ogni
dimenticanza sia da imputare all'età: «dimentico perché sono vecchio»>. Pensieri di questo tipo conducono
spesso al ritiro dal compito, al disimpegno, a non cimentarsi nemmeno, ragion per cui il risultato è che
davvero si dimentica, oppure che non ci si prova nemmeno più a esercitare la memoria. Viene così a
instaurarsi un circolo vizioso che vede i pensieri demotivanti alimentare i comportamenti demotivanti che, a
loro volta sostengono ulteriormente i pensieri disfunzionali per la motivazione e il benessere. L'impotenza
appresa, ovvero la tendenza a riconoscersi incapaci di fronte ai compiti, è infatti un predittore della
depressione, dello stato di salute (è più longevo chi non adotta questa modalità di attribuzione) e
dell'apprendimento.
Zanardo, De Beni e Moè  Quanto più le persone significative (i figli o i caregivers) pensano che i successi o
gli insuccessi dell'anziano dipendano da cause controllabili (l'impegno) o incontrollabili (la mancanza di
abilità), tanto più l'anziano sarà portato a pensare alla stessa maniera e a interpretare i propri risultati come
ci si aspetta. Saper ricordare bene è fonte di orgoglio, mentre le dimenticanze, il non ricordare nomi, date,
scadenze... sono fonte di imbarazzo, ancor più marcato nel caso della memoria, visto che l'ambito è
stereotipizzato in senso negativo per cui si è portati a credere che la memoria subisca inevitabilmente un
declino con l'età. Viene a definirsi un pensiero del tipo «Ho dimenticato, oppure ho difficoltà a ricordare,
adesso dimostro che sono vecchio», che porta a preoccuparsi, sentirsi in ansia, vergognarsi e quindi ritirarsi
dal compito generando una profezia che si auto-avvera. Lo stile attribuivo quindi nasce nell'ambiente,
all'interno del quale si mantiene o si modifica.
Far svolgere i compiti direttamente all'anziano, suggerendo strategie efficaci in modo da fargli scoprire di
poter riuscire, che l'impegno fa la differenza e che «non è vero che c'è chi è portato e chi no»>. Semmai c'è
chi crede di non essere portato e così rinuncia a priori alla sfida che il compito o la situazione pone e di
conseguenza anche alla gratificazione e alla soddisfazione conseguenti a un successo frutto dei propri
impegni.
Ryan e Deci risulta efficace e motivante agire attraverso modalità sup portive dell'autonomia, che fanno
sentire cared (mi interesso di te, ci tengo che tu riesca, confido che ce la farai), competente (ti faccio
provare mostrandoti che puoi riuscire) e autonomo (ti consento di scegliere nell'ambito dei compiti in cui ti
sei sentito competente). Gli ambienti supportivi dell'autonomia sostengono pensieri motivanti (faccio
perché è importante per me, perché mi piace, provo soddisfazione e senso di realizzazione...).
Mentre gli ambienti controllanti favoriscono forme di autoregolazione della motivazione coercitive (faccio
per timore della punizione, per compiacere, per non sentirmi in colpa, per mostrami adeguato).

2.2. Chi me lo fa fare?


Sentirsi capaci, attribuire all'impegno personale i propri successi, poter scegliere, essere sostenuti in questi
processi è certamente motivante poiché incide sui giudizi di «fattibilità». Accanto a questi vi sono anche
quelli di «opportunità»: ha senso, ha valore, a che serve?
Secondo il modello motivazionale di Eccles [1983] la motivazione è il prodotto di due fattori: le aspettative
e i valori. Le aspettative riguardano il credere di riuscire, i valori il voler riuscire. Sono due elementi distinti:
un conto è pensare di potercela fare, magari perché si attribuisce la riuscita all'impegno e ci si sente
competenti, altro è voler riuscire in quel compito, trovare un significato. Possono interagire: spesso ciò che
ci riesce bene viene valutato meglio, mentre tendiamo a svalutare ciò in cui non ci percepiamo molto
capaci. Ciononostante, percepirsi capaci non è sufficiente a dare valore a un compito o a una situazione.
Possiamo credere di riuscire, ma ritenere che in fondo non ne valga la pena. A definire il valore vi sono
quattro distinti aspetti, tre addittivi e uno sottrattivo.
1. gli obiettivi a lungo termine,
2. le emozioni anticipate
3. la percezione di utilità
4. L'elemento sottrattivo è il costo: il gioco vale la candela?
Hess engagement (coinvolgimento o impegno), ha rilevato come nell'anziano il costo inteso come fatica
fisica e dispendio energetico sia maggiore che nel giovane e come, di conseguenza, il bilancio
costo/beneficio porti con maggiore probabilità a rinunciare, a desistere, a non intraprendere compiti e
attività dando maggiore valore alle attività meno costose oppure, in un'ottica di risparmio, a conservare le
proprie energie per attività cui si dà maggiore valore.

2.3. Gli ambienti demotivanti


I pensieri possono demotivare, ma anche l'ambiente gioca un ruolo determinante andando a incidere sulle
attribuzioni, sulla soddisfazione dei principali bisogni e sui valori.

2.3.1. La minaccia dello stereotipo


Definiti come immagini rigide, stabili, socialmente condivise e applicabili indistintamente a tutti i membri di
un certo gruppo. Gli stereotipi inducono i soggetti a comportarsi in conformità alle attese. Uno stereotipo
comune è che l'anziano ha poca memoria. Consapevole di questo stereotipo qualsiasi anziano si sente
minacciato e teme con il proprio comportamento di dimostrare che dimentica le cose. Preoccupato di ciò, si
lascia prendere dall'ansia, alimenta pensieri distraenti e preoccupazioni che sottraggono risorse portando
spesso a una dimostrazione della veridicità dell'assunta fragilità dell'anziano in compiti di memoria.
La <<minaccia>> dello stereotipo: si teme di dimostrarsi come gli altri credono, e mossi da questo timore si
rischia davvero di fare peggio.
Pensare a sé stessi come <<vecchi» e convincersi che con l'età c'è un inevitabile declino diventa una
profezia che si autoavvera.

2.3.2. Sostituirsi
Ogni persona esprime il bisogno di sentirsi competente in diversi ambiti e situazioni. L'eventuale
frustrazione di tale bisogno genera demotivazione e riduce la percezione di benessere.
A creare apprensione non è tanto l'insuccesso o la difficoltà, quanto la reazione. Fa la differenza se il
risultato è attribuito a un impegno precario che quindi può migliorare o a caratteristiche stabili che
spingono a credere di non poter riuscire mai. Il sostituirsi in taluni casi è mosso dal confronto con gli altri, di
solito con persone più competenti o più giovani, e quindi dal riferimento a standard normativi, anziché a
obiettivi personali, calibrati sulle capacità già possedute e da eventualmente migliorare. Ci si percepisce
competenti nell'affrontare compiti che rientrano nell'ambito della sfida ottimale, cioè che sono
leggermente più difficili di quelli già affrontati in precedenza (e quindi capaci di sfidare le proprie abilità).
Fra le condizioni ambientali potenzialmente demotivanti vi sono i feedback, ovvero quei messaggi che
volutamente o a volte anche spontaneamente vengono a rafforzare un risultato o un impegno. Fra questi
Dweck [2000] ha distinto quelli sulla persona e quelli sul compito. I feedback sulla persona, del tipo <<sei
bravo»> oppure <<sei negato: lascia stare», «<ormai sei vecchio: non hai più l'età», tendono a demotivare,
mentre i feedback sul compito, del tipo «ci stai riuscendo»>, <<va molto meglio»>, <<ancora un piccolo
sforzo e ci siamo»>, favoriscono la motivazione e riducono la tendenza a evitare compiti e situazioni.
Perché i caregivers sono a volte indotti a utilizzare i feedback meno efficaci? Perché nutrono una visione
entitaria delle abilità piuttosto che incrementale cui corrispondono rispettivamente obiettivi alla
dimostrazione o alla padronanza. A distinguere i due tipi di obiettivi non è il contenuto, ma l'orientamento:
per chi lo faccio.
Per sostenere la motivazione nell'anziano è im ortante prestare attenzione ai feedback, come anche
intervenire nel caso in cui si riscontrasse una tendenza a dare una lettura entitaria delle proprie abilità e
quindi a prediligere obiettivi di dimostrazione.

3. MOTIVARSI E MOTIVARE
Strategie Modalità
Diminuire il costo Rendere i compiti affrontabili suddividendoli in piccoli step o suggerendo
strategie
Aumentare il beneficio percepito Sostenere valori e obiettivi personali per eseguire l’attività
Valorizzare un ambiente supportivo Rispettare i tempi, accogliere il vissuto emotivo, rifiuto e rabbia, non
dell’autonomia giudicare
Sostenere una visione incremetale Promuovere una visione delle abilità come modificabili, migliorabili o che si
possono mantenere
Ridurre il confronto sociale e il Sviluppare la tendenza a pensare alla propria unicità e capacità personale
ricorso a stereotipi
Promuovere l’autoefficacia Mantenere e accrescere la percazione di farcela, di riuscire ed essere
capaci
Favorire la scelta Proporre o ricercare occasioni per esercitare la scelta e vivere compiti e
situazioni come proprie

3.1. La percezione di controllo


Un aspetto importante è la percezione di controllo, ovvero il sentire che si sta padroneggiando la situazione
e si è protagonisti.
Schulz un gruppo di anziani istituzionalizzati riceveva la visita di un gruppo di giovani. Metà di loro poteva
scegliere la frequenza e la durata delle visite (situazione di esercizio di controllo), l'altra metà non poteva
scegliere (situazione controllata dall'esterno). Indipendentemente dall'effettiva frequenza e durata delle
visite, nella situazione di esercizio di controllo gli anziani dichiaravano di esperire maggiore benessere.
Langer e Rodin  un gruppo di anziani riceveva in regalo una pianta in vaso con l'indicazione di
prendersene cura (situazione di esercizio di controllo) o che il personale avrebbe provveduto a innaffiare,
verificare che crescesse bene, che fosse collocata nella giusta posizione... (situazione controllata
dall'esterno). Anche in questo caso chi poteva esercitare il controllo manifestava livelli superiori di
benessere e partecipava di più ad attività proposte all'interno della struttura, mostrando quindi di essere
più all'erta, più vivo. Quindi anche se l'anziano vive in un ambiente per molti aspetti controllato da altri, il
fatto di poter esercitare il controllo anche su un singolo aspetto favorisce il benessere, perché fa sentire
«utili» e «con uno scopo»>.
Il benessere e la soddisfazione sembrano dipendere non tanto da quanto controllo è oggettivamente
possibile esercitare, ma dal rapporto fra attesa di controllo esercitabile e controllo effettivamente
esercitato da sé.
Heckhausenteoria definita «ottimizzazione del controllo»>, secondo la quale gli anziani, con il passare del
tempo, selezionano le attività in cui dispiegare i loro sforzi, indirizzandoli verso ambiti in cui il successo è
più probabile, ovvero che percepiscono come controllabili, sentendosi capaci di affrontare la situazione.
L'esercizio del controllo appare fondamentale poiché rende l'anziano più pronto a prendersi carico di sé, a
modificare il proprio stile di vita, a reagire positivamente agli eventi stressanti, a individuare ambiti e
situazioni in cui sentirsi realizzato e utile.

3.2. L'esercizio del controllo


È possibile sentirsi artefici della propria vita e in crescita a qualsiasi età.
Sostenere l'autoefficacia l'autoefficacia consiste nel credere, posti davanti a un compito o una situazione, di
riuscire [Bandura]. Per sostenerla si tratta di affrontare il compito (con successo), vedere altri con cui ci si
identifica che riescono (tecnica del modeling), convincersi di riuscire e, infine, gestire le eventuali emozioni
negative che insorgono nell'eseguire il compito, in particolare l'ansia che, in molte situazioni, incide
negativamente sui processi e sui risultati.
Geraci e Miller  ad un gruppo di anziani è stato proposto un compito di memoria (ricordare 30 parole) in
tre diverse condizioni: dopo avere sperimentato un successo in un compito cognitivo (risolvere
anagrammi), dopo avere sperimentato un fallimento nello stesso compito (indotto sperimentalmente:
veniva assegnato un tempo insufficiente per lo svolgi mento corretto), senza far precedere un successo o
un insuccesso. I risultati hanno mostrato che anche dopo una sola singola esperienza di successo in un
compito cognitivo simile a quello proposto, i partecipanti ricordavano di più e dichiaravano di essere meno
ansiosi.
Un'altra modalità pratica e facilmente spendibile per sostenere l'autoefficacia si riferisce allo stabilire degli
obiettivi, che, scelti da sé e portati avanti da sé, consentono l'esercizio del controllo e quindi
dell'autoefficacia.

3.2.2. Contrastare gli stereotipi


Gli stereotipi costituiscono una minaccia: tendono a demotivare al compito e contribuiscono a una
riduzione della prestazione. Esistono però delle strategie per contrastarli.
1. pensare ad almeno un membro del gruppo stereotipizzato che riesce bene nel compito, oppure, in
modo simile, nel focalizzarsi in immagini positive dell'anziano.
2. distanziarsi, sentirsi diversi dal gruppo degli anziani: l'effetto «io non sono come quei vecchi là».
3. autoaffermarsi, richiamare qualità positive di sé e ricordarsi della propria competenza in certi
ambiti in cui si riesce bene per poi affrontare il compito oggetto di stereotipo negativo con
maggiore fiducia in sé. L'autoaffermazione favorisce la presa di consapevolezza delle proprie qualità
distintive e sostiene l'autostima.
4. sviluppare una visione incrementale, ovvero nel credere che si può migliorare e che la prestazione
dipende principalmente da fattori modificabili piuttosto che dall'essere anziano.

3.2.3. Scegliere e percepire le possibilità di scelta come opportunità


L'ambiente che sostiene e promuove l'autonomia è motivante. Conta però che questo sostegno
all'autonomia venga percepito dall'anziano. Se è così, si innesca un processo che porta a un aumento della
motivazione autodeterminata e al benessere. In caso contrario, si tratta di intervenire affinché l'anziano
desideri poter scegliere e dare una direzione alla propria vita.
A favorire un'accettazione delle proposte di autonomia è il benessere già esperito. Tende quindi a crearsi
un circolo per cui a maggiori livelli di benessere corrisponde una tendenza superiore a scegliere che, a sua
volta, è molto predittiva di una serie di indici di benessere.

4. LA PERSONALITÀ NELL'INVECCHIAMENTO
Personalità = complesso insieme dei sistemi psicologici che contribuiscono all'unità e alla continuità della
condotta e dell'esperienza individuali, sia come viene espresso sia come viene percepito dall'individuo e
dagli altri. È un costrutto complesso, che analizza come vediamo gli altri, come gli altri vedono noi stessi e
come noi vediamo noi stessi.
Lo studio dello sviluppo della personalità pone interrogativi sulla stabilità e sul cambiamento della
personalità con l'età. L'idea di stabilità implica un'assenza di cambiamento nel tempo, rifacendosi a
un'ottica psicometrica per la quale la personalità è stabile quando i risultati a un test non cambiano nel
tempo o non cambiano confrontando due o più gruppi.
Al concetto più rigido di stabilità si preferisce quello di continuità, che vede la persona come capace di
svilupparsi dinamicamente e di cambiare nel tempo, pur continuando a preservare determinate
caratteristiche salienti.

4.1. Com'è misurata la personalità


I metodi di ricerca adottati in psicologia della personalità si differenziano in base alle diverse correnti
teoriche. Da una parte si possono confrontare le dimensioni della personalità tra gruppi di individui
(approccio nomotetico) con l'obiettivo di analizzare le caratteristiche valide per tutti gli individui; dall'altra
si possono analizzare le dimensioni caratteristiche di un determinato individuo (approccio idiografico) con
l'obiettivo di individuare l'unicità della persona e della sua esperienza [De Beni].
Gli strumenti maggiormente utilizzati sono le interviste o gli inventari di personalità, questionari
autovalutativi che richiedono alla persona di indicare il suo grado di accordo con una serie di affermazioni
che descrivono caratteristiche individuali. Possono essere utilizzate anche misure proiettive o l'osservazione
del comportamento. Nell'ambito dello studio della personalità possono essere utilizzati sia
- studi trasversali si confrontano le caratteristiche di personalità degli individui di due o più gruppi
di età con l'obiettivo di analizzare gli aspetti per i quali tali gruppi differiscono o si equivalgono
- studi longitudinali si analizzano le stesse persone in tempi diversi con l'obiettivo di individuare
cambiamenti o stabilità interindividuali.

4.2. Lo studio della personalità nell'invecchiamento


La ricerca nel campo della personalità e dell'invecchiamento si è sviluppata a partire dalla
concettualizzazione di stadio, la quale sottolineava come ogni fase della vita avesse un cambiamento di
personalità caratteristico. Successivamente, la ricerca ha posto l'accento sulla stabilità della personalità nel
tempo, attraverso l'individuazione e la misurazione dei tratti di personalità a diverse età. Recentemente le
prospettive di ricerca cercano di individuare gli aspetti di continuità nella personalità attraverso basi
teoriche supportate da evidenze empiriche.

4.2.1. I modelli a stadi


I modelli a stadi suddividono il ciclo di vita in periodi tipici nei quali la personalità si sviluppa e cambia. A
ogni stadio, alcuni tratti e alcune caratteristiche saranno predominanti per quel periodo di vita.
Due teorici dello sviluppo a stadi furono Carl Jung ed Erik Erikson che ampliarono la teoria degli stadi di
Freud, non fermandosi al periodo dell'adolescenza e assegnando un ruolo agli aspetti sociali e ambientali
nello sviluppo della personalità.
Jung allievo di Freud e psichiatra svizzero, nella sua teoria degli stadi, ha proposto che lo sviluppo della
personalità continuasse anche nell'età adulta, dove alle persone è richiesto di bilanciare i vari aspetti del Sé
in base sia alle richieste dell'ambiente sia ai propri bisogni. I bisogni sono diversi a seconda delle diverse età
della vita: nella prima metà del ciclo di vita sono di tipo biologico e sociale, mentre nella seconda parte
sono culturali e spirituali. Jung propose che lo sviluppo della personalità fosse collegato a due dimensioni:
- l'estroversione/introversione con il passare dell'età si osserva il passaggio dall'estroversione,
tipica dei giovani, all'introversione, tipica degli anziani. Da giovani il bisogno di trovare la propria
strada porta ad attività tipiche del versante dell'estroversione, mentre nell'invecchiamento il
bisogno di riflessione e le minori richieste sociali portano all'introversione
- la mascolinità/femminilità nella giovane età, la differenza tra mascolinità e femminilità è molto
marcata, mentre nell'invecchiamento la pressione a comportarsi come definito dal ruolo di genere
diminuisce.
Le differenze di età nella personalità sono simili anche da un punto di vista crossculturale, suggerendo
come esse siano veramente differenze dovute a stadi universali di sviluppo, in quanto presenti anche in
culture e ambienti tra loro differenti.
Erikson psicoanalista tedesco trasferitosi in America, ha rielaborato la teoria di Freud ponendo
particolare attenzione ai bisogni e ai conflitti sociali che si incontrano durante il ciclo di vita. Ha proposto
una teoria con otto stadi psicosociali, ognuno dei quali caratterizzato da una particolare sfida, che
l'individuo deve affrontare e che mette alla prova il suo Sé. La personalità viene modellata in base a come
l'individuo affronta ogni stadio, il quale prevede due atteggiamenti di fondo, che possono essere risolti in
modo positivo o in modo negativo. La risoluzione positiva rafforza il proprio Sé, facendo sviluppare una
nuova <<virtù>> o «<forza vitale»> e predisponendo l'individuo a superare con positività anche lo stadio
successivo; al contrario, la risoluzione negativa di uno stadio porta allo sviluppo di sofferenze e a difficoltà
anche per il futuro. Gli ultimi tre stadi sono quelli che caratterizzano la vita adulta e la vita anziana:
- Prima età adulta 20 ai 35 anni intimità vs. isolamento virtù dell'amore.
- Maturità 35 ai 65 anni generatività vs. stagnazione virtù del prendersi cura o crisi di mezza
età»
- Età anziana 65+integrità dell'Io vs. disperazione virtù della saggezza.
Il modello degli stadi di Erikson è flessibile perché prevede che una sfida possa presentarsi nuovamente
nelle fasi successive della vita e che le sfide abbiano diversa importanza in base alla cultura e all'ambiente
nei quali l'individuo è inserito.
Robert Peck [1956] descrisse gli stadi della personalità nell'età anziana individuando tre aggiustamenti
che devono essere compiuti per raggiungere l’integrità dell'Io.
1. differenziazione dell'Io vs. preoccupazione per il proprio ruolo lavorativo avendo un insieme
variegato di ruoli, non sarà strettamente dipendente dal ruolo lavorativo, che in questo periodo di
vita, con il pensionamento, necessita di essere ridefinito.
2. trascendenza vs. preoccupazione per il corpo è richiesto all'anziano di apprezzare la propria vita,
indipendentemente dalle minori capacità fisiche e dalle maggiori imperfezioni estetiche, senza dare
importanza all'apparenza del corpo.
3. trascendenza vs. preoccupazione per sé stessil'adattamento richiesto è quello di raggiungere la
consapevolezza che la vita non è infinita e che il focus deve essere spostato dai propri bisogni a
quelli delle generazioni successive.
Gli anziani che raggiungono l'integrità dell'Io potrebbero beneficiare di un migliore benessere, avendo
raggiunto la consapevolezza che la vita non è infinita e accettando la propria vita per quella che è.
Ricordare le memorie del proprio passato, ricostruendole in maniera soggettiva per definire ciò che si è
stati, ciò che si è e ciò che si sarà, è un processo attivo e utile in questa fase della vita. Gli interventi di
reminescenza (life review), inizialmente scoraggiati nell'invecchiamento [Butler], si sono dimostrati di
grande aiuto per un invecchiamento di successo [Haight, Michel e Hendrix]. Grazie alla ricostruzione del
proprio passato le persone sentono di avere una loro unità e uno scopo di vita.

4.2.2. Dimensioni e tratti di personalità


Grazie a uno studio longitudinale (The Baltimore Longitudinal Study) cominciato negli anni Sessanta, si è
potuto seguire un grande numero di persone nel tempo, esaminandone la personalità.
Costa e McCrae [1992a; 1992b], facenti parte del progetto, analizzarono le risposte a due inventari di
personalità compilati da persone dai 20 agli 80 anni, il Cattell 16PF e il questionario Guilford-Zimmerman sul
temperamento. Grazie a questi dati proposero il modello dei cinque fattori di personalità:
1. il nevroticismo,
2. l'estroversione,
3. l'apertura mentale,
4. l'amabilità
5. la coscienziosità (Big Five).
A partire da questo modello, svilupparono un questionario autovalutativo formato da 240 item volti a
indagare sei diversi tratti all'interno di ognuno dei cinque fattori. Grazie alle raccolte dati successive dello
studio longitudinale, si è visto che i cinque fattori di personalità si mantenevano consistenti nel tempo.
Per quanto riguarda l'analisi degli altri Big Five nell'invecchiamento, Mroczek, Spiro e Griffin [2006]
trovarono che a una bassa coscienziosità è associata una mortalità precoce. La coscienziosità è il tratto di
personalità che comprende la capacità di autoregolazione e di portare a compimento i propri obiettivi;
pertanto gli anziani con bassa coscienziosità probabilmente sono quelli meno aderenti ai programmi di vita
salutare e sono quelli più inclini a comportamenti di rischio.

4.3. Le attuali ricerche in psicologia della personalità e invecchiamento


Le ricerche sui tratti di personalità nell'invecchiamento si concentravano, sulla stabilità della personalità nel
tempo. Negli ultimi decenni si è preferito adottare un approccio meno rigido, parlando di continuità della
personalità, per la quale la personalità è capace di mantenere determinate caratteristiche nel tempo pur
essendo in grado di svilupparsi e modificarsi.
Roberts, Helson e Klohnen [2002], usando dati raccolti in trent'anni grazie al Mills Longitudinal Study
condotto su sole donne, hanno dimostrato un decremento dell'impulsività e un incremento della tolleranza
per le diversità e per i fallimenti, nel passaggio ai cinquant'anni. In uno studio successivo hanno osservato
inoltre un cambiamento anche nell'emozionalità e nelle difese in questa fase della vita. Tale cambiamento
nei tratti, che comprende cambiamenti emozionali, di strategie di coping e degli obiettivi, dimostra uno
sviluppo della personalità.
Small e colleghi [2003], con i dati del Victoria Longitudinal Study, hanno seguito cinquantenni e anziani per
un periodo di sei anni. Usando il modello dei Big Five hanno documentato una struttura fattoriale
invariante nel tempo, ma hanno anche dimostrato differenze significative interindividuali nel cambiamento
della personalità.
Una metanalisi di Roberts, Walton e Viechtbauer [2006], inoltre, ha evidenziato come dall'analisi di 91
campioni longitudinali si riscontri il cambiamento in alcuni tratti di personalità nel tempo. Con l'età, infatti,
sono risultati aumentare alcuni aspetti dell'estroversione, come la dominanza sociale, la coscienziosità e la
stabilità emotiva, mentre la vitalità, che è un altro aspetto dell'estroversione, e l'apertura mentale
decrementano con l'invecchiamento. Questi risultati de scrivono un cambiamento normativo, che coinvolge
cioè la maggior parte delle persone in uno specifico periodo del corso di vita.

5. IL «COPING» NELL'INVECCHIAMENTO
Secondo Aldwin e colleghi [1996] in tarda età si assiste al passaggio da uno stress di tipo episodico, più
tipico dell'età adulta, a stress cronici che possono influenzare i processi di coping, ossia la capacità di
risolvere i problemi. Così come eventi stressanti comuni nell'invecchiamento possono essere molto
destrutturanti se capitano in giovane età, eventi meno comuni nell'invecchiamento possono essere vissuti
come particolarmente stressanti.
Diehl, Coyle e Labouvie-Vief [1996] hanno trovato che gli anziani usano una combinazione di strategie di
«coping» focalizzate sulla regolazione delle emozioni e sulla maggiore accettazione del proprio stato, come
controllo e soluzione degli eventi stressanti, naturale conseguenza dell'avanzare dell'età. In questa diversa
modalità di affrontare lo stress la persona anziana si mostra più resiliente, con maggiori capacità di
adattamento alle situazioni di avversità.
Secondo Rotter [1966] il locus of control è definito su un continuum che va da interno a esterno.
- Interno percepiscono di avere controllo su quello che gli accade e sentono che i loro risultati,
positivi o negativi che siano, dipendono dai loro sforzi, dalle loro azioni e dai loro comportamenti.
- Esterno percepiscono che i risultati poco dipendono dai loro sforzi e dalle loro azioni e
attribuiscono quello che gli succede al caso o a forze esterne.
Gatz e Karel [1993] dimostrarono che non c'è evidenza di un declino del locus of contol interno all'avanzare
dell'età, ma sono i giovani che credono che gli anziani abbiano un maggiore locus of control, percezione che
non corrisponde alle sensazioni riportate dagli anziani stessi.

CAP 9
INVECCHIAMENTO DI SUCCESSO, VIVERE A LUNGO, VIVERE BENE
In psicologia si fa riferimento spesso alla prospettiva dell'arco di vita. L'utilizzo del termine prospettiva
chiarisce che la psicologia dell'arco di vita non fa capo a una teoria unitaria, ma costituisce un orientamento
allo studio dello sviluppo [Baltes, Reese e Lipsitt] che spinge studiosi e ricercatori a formulare molteplici
modelli e ipotesi sulla crescita dell'individuo anche in età avanzata. Assunto di base di tale approccio è che
lo sviluppo caratterizzi tutta la vita; in ogni sua fase, operano in esso processi continui, o cumulativi, e
processi discontinui o innovativi. Gioca un ruolo fondamentale anche l'abilità individuale di adattarsi e far
fronte alle diverse condizioni di vita, nonché al proprio contesto storico-culturale e all'ambiente. Tra le varie
influenze sullo sviluppo individuale giocano un ruolo importante quelle dovute all'età, come la maturazione
biologica/fisica, quelle dovute agli eventi storici, riguardanti gruppi generazionali appartenenti a una
cultura e momento storico determinati, quelle dette <<non normative», che coinvolgono solo alcuni
individui, attraverso le vicende biografiche che caratterizzano ciascuno. Ogni individuo ha un ruolo attivo
nella costruzione del proprio sviluppo e del proprio invecchiamento.
È possibile «invecchiare bene» (succesful aging), individuando e utilizzando in modo flessibile il potenziale
personale costituito dalle riserve cognitive, emotive, fisiche, personali e di relazione nelle molteplici
circostanze della quotidianità. Parlare quindi di sviluppo in termini di successo può tradursi come la
massimizzazione dell'interazione tra le opportunità, che portano a un esito positivo, e la minimizzazione
degli esiti negativi incontrati nel corso della vita.

Nella sua metateoria dello sviluppo Baltes definisce e spiega tre componenti fondamentali che influiscono
in modo determinante nella crescita individuale:
1. Selezione scelta dell'individuo di definire obiettivi per raggiungere un alto livello di
funzionamento, nei limiti imposti dalle risorse biologiche e ambientali disponibili.
Nell'invecchiamento la selezione assume un ruolo estremamente importante, poiché in questa fase
dell'esistenza si va incontro a inevitabili modificazioni di alcune capacità fisiche o mentali, con
conseguente riduzione di ampiezza nella scelta delle attività che si possono svolgere.
2. Ottimizzazione le risorse personali e sociali disponibili vengono adoperate in modo ottimale, per
elaborare e perfezionare i mezzi a disposizione al fine di raggiungere gli obiettivi proposti. Risultano
importanti l'analisi e la scelta degli obiettivi, concentrando le risorse disponibili solo su alcuni ambiti
e dando meno importanza ad altri. Con l'avanzare dell'età, infatti, è possibile ottimizzare le proprie
risorse ricorrendo ad ausili e adeguate strategie di supporto. Ottimizzare le proprie risorse significa
adeguare il proprio comportamento attraverso scelte che siano in grado - rispetto ai propri limiti,
siano essi ambientali o biologici - di promuovere il miglior adattamento possibile alla situazione e al
contesto.
3. Compensazione lo sviluppo di adeguate strategie in grado di sopperire alle perdite, utilizzando
risorse residue, personali, cognitive, affettive o sociali. Il SOC (selezione, compensazione e
ottimizzazione) permette il mantenimento di adeguati livelli di funzionamento, accresce il livello di
benessere percepito, favorendo esperienze, sia affettive sia relazionali, positive e gratificanti, oltre
a valorizzare la capacità di ricerca nelle soluzioni dei problemi e a modificare le convinzioni relative
a una controllabilità degli eventi di vita.
Von Faber  considera l'invecchiare con successo un continuum di adattamenti a molteplici situazioni.
All’interno di un modello di riferimento qualitativo l'invecchiamento di successo non può essere scisso dal
benessere; la chiave di congiunzione risiede nell'adattamento che le persone attuano nei confronti dei
cambiamenti, e che diviene motore principale per una costruzione positiva dell'invecchiamento stesso.
Nell'invecchiamento di successo la valutazione personale relativa alla percezione che si ha del proprio
vissuto e del proprio sviluppo sono elementi essenziali.
L'invecchiamento di successo o attivo (a seconda delle diverse definizioni e approcci) non è mera assenza di
malattia, o sinonimo di perdite, limitazioni, solitudine, quanto capacità di adattamento alle molteplici
circostanze che la vita pone.

2. BENESSERE E INVECCHIAMENTO
Lo studio del benessere psicologico è piuttosto recente. Esso trova spazio solo a partire dagli anni Novanta,
con l'emergere della psicologia positiva. Fino ad allora il campo d'indagine della psicologia era rivolto
esclusivamente alla cura della patologia, della disfunzionalità e del disagio psichico.
Prima della seconda guerra mondiale la psicologia era prevalentemente incentrata su tre ambiti:
1. curare il disagio mentale,
2. rendere le persone maggiormente produttive
3. identificare e indirizzare i talenti.
Anni 60 le opere di Maslow, Rogers, Allport e degli altri psicologi umanisti gettano le fondamenta per la
nascita della psicologia positiva, spostando l'attenzione su aspetti quali
1. la salute degli individui e i loro bisogni,
2. caratteristiche positive della personalità.
Anni 80 con le opere di Seligman (padre della psicologia positiva) che diventano oggetto di studio le forze e
le virtù degli individui, le loro qualità positive, la felicità e il benessere psicologico. Questi ultimi due aspetti
vengono intesi non solo come godere una vita piacevole o come semplici epifenomeni, ma come variabili
associate a determinati esiti positivi: persone più felici godono di un migliore stato di salute, hanno più
successo e sono socialmente più impegnate.
Seligman e Csikszentmihalyi prima degli anni Ottanta gli psicologi poco sapevano rispetto a come gli
individui si comportano in circostanze di vita benevole e come sia possibile «costruire» qualità positive
personali. La psicologia positiva è invece maggiormente interessata a come è possibile «amplificare» e
«nutrire» quegli aspetti che ci permettono di essere più forti dinanzi alle tempeste della vita e che possono
spingerci a cambiare in meglio. Essa rappresenta lo studio scientifico di ciò che rende la vita degna di essere
vissuta [Lopez e Snyder].
Il concetto di benessere psicologico non trova tuttora una definizione semplice e univoca, in quanto molte
variabili concorrono a determinarlo, poiché storicamente è stato spesso confuso con i termini felicità,
soddisfazione di vita o soddisfazione personale e a seconda del fatto che nei diversi studi sul benessere
vengano considerati indici
- oggettivi  lo stato di salute reale, il reddito o il livello sociale
- soggettivile opinioni e le valutazioni espresse dagli individui relativamente a se stessi, alla propria
vita e ai propri obiettivi.
In psicologia positiva si distinguono:
- benessere soggettivo (subjective well-being)[Kahneman, Diener e Schwarz; Eid e Larsen] o edonico.
La prospettiva edonica affonda le sue radici in tempi molto lontani (Aristippo)il bene è
identificabile con il piacere, dal greco edoné, su quest'ultimo, inteso come godimento di tutti i beni
della vita, si basa la definizione di benessere soggettivo (subjective well-being). Il benessere
psicologico, l'autorealizzazione personale in termini di attualizzazione delle potenzialità, delle
risorse personali, la costruzione di significati e la condivisione di obiettivi, si inscrive nella
prospettiva eudaimonica. Possiamo considerarlo come la valutazione dello stato affettivo
quotidiano (bilancio tra emozioni positive e negative) e della soddisfazione di vita.
- benessere psicologico (psychological well-being)[Ryan e Deci; Ryff; e Keyes] o eudaimonico.
L'eudemonismo può essere definito come dottrina morale che ripone il bene nella felicità.
Aristotele affermava che la felicità consistesse proprio nell'azione compiuta secondo ragione e
coincidesse con la condizione di una vita virtuosa. Il benessere psicologico abbraccia la
soddisfazione personale e un percorso di sviluppo verso l'integrazione dell'individuo con il mondo
circostante [Nussbaum]. Implica inoltre un'interazione tra benessere personale e benessere
collettivo, creando tra il singolo e il mondo che lo circonda. Possiamo considerarlo come il risultato
del raggiungimento di obiettivi di vita significativi.
Seppure storicamente studiati come aspetti se parati, benessere edonico ed eudaimonico, possono essere
integrati: Kashdan, Biswas-Diener e King [2008], per esempio, parlano di due distinte linee di ricerca
sull'argomento ma non di due tipi di benessere. Propongono infatti una visione globale e analizzano le aree
di convergenza tra le due concezioni.
Gallagher, Lopez e Preacher [2009], attraverso modelli gerarchici e il coinvolgimento di un campione di
circa 5.000 individui, arrivano a presentare un unico modello di benessere, che racchiude sia benessere
edonico (secondo le 3 componenti individuate da Diener), sia benessere eudaimonico (6 componenti della
Ryff), sia il benessere sociale (5 componenti del modello di Keyes), proponendo quindi un modello di
benessere psicologico a 14 componenti, aggregabili nei 3 fattori suddetti.
Il modello multicomponenziale di Carol Ryff identifica, nell'accezione eudaimonica del benessere
psicologico, 6 fattori principali che concorrono a determinarlo. Questi sono:
1. autoaccettazione: riconoscere e accettare le proprie qualità sia positive sia negative e avere
sentimenti positivi per la vita;
2. crescita personale: vedere sé stessi in continuo sviluppo, avere apertura nei confronti delle
esperienze, sentire di realizzare le proprie potenzialità;
3. relazioni positive con gli altri: avere relazioni interpersonali soddisfacenti e caratterizzate da fiducia
reciproca;
4. autonomia, autodeterminazione e indipendenza: capacità di resistere alle pressioni sociali, capacità
di valutare sé stessi mediante standard personali;
5. dominio sull'ambiente: senso di padronanza e competenza nel gestire l'ambiente, capacità di
controllare, scegliere e utilizzare contesti adeguati per i bisogni e i valori personali;
6. scopo di vita: avere un senso di direzionalità, sensazione che la propria vita passata e presente
abbia un significato.
Ryff e Keyes 1995 basandosi su tali dimensioni, proposero anche uno stru mento per valutare il benessere,
la Scala del benessere psicologico (Psycological well-being Scale) con 84 item.
I fattori individuati nel suo modello vanno ben oltre il semplice sentirsi «felici» o soddisfatti della propria
esistenza e permettono un'analisi più complessa e accurata dell'individuo, offrendo spunti di intervento.
Ciascun fattore succitati permette di porre quesiti rispetto alla stabilità e al cambiamento della percezione
del benessere nel ciclo di vita, in relazione alle perdite e guadagni presenti a ogni età.
Ryff [2014] riporta per esempio che alcune delle componenti del benessere psicologico correlano
positivamente con l'età, mentre altre hanno una correlazione negativa o nessuna associazione, e che alcune
di esse sono fondamentali per il mantenimento di un buon livello di benessere nell'invecchiamento.
Complessivamente, da studi trasversali e longitudinali emerge come vi sia un declino nella percezione del
benessere eudaimonico nell'invecchiamento, aspetto quest'ultimo influenzato dal contesto culturale e da
quello socioeconomico. Con l'andare del tempo sembra pesare molto la percezione che gli anziani hanno
rispetto all'invecchiamento stesso: elevati livelli di benessere psicologico sembrano relati al sentirsi
giovani» ma al «non voler essere» giovani, indicando quindi il ruolo preponderante giocato da aspetti quali
l'autoaccettazione e gli scopi di vita [Keyes e Westerhof]. Molto dipende anche da come gli individui
ridefiniscono sé stessi rispetto a cambiamenti globali salienti, quali per esempio il termine della vita
lavorativa e/o il trasferimento dalla propria abitazione ad altro contesto abitativo o a una residenza per
anziani.
Keyes [2005] estende il modello multidimensionale di Ryff all'ambito sociale identificando 5 fattori che
contribuiscono a determinare il benessere sociale:
1. integrazione: valutazione della qualità del proprio rapporto con la società in cui si vive, sentimento
di appartenenza a una cerchia più grande rispetto alla sola realtà familiare;
2. coerenza: percezione della qualità dell'organizzazione sociale;
3. contributo: valutazione del proprio valore sociale e del contributo apportato;
4. realizzazione: valutazione del proprio potenziale e di quello della società in cui si vive, sentimento
di poter cambiare in meglio attraverso modifiche nella società di appartenenza;
5. accettazione: sentimento di fiducia nei confronti degli altri e atteggiamenti positivi.
Questi 5 fattori, considerati congiuntamente, indicano se e quanto un individuo funziona bene nel contesto
sociale. Parimenti al modello della Ryff, da cui questo nasce, è possibile identificare per ogni fattore spunti
di intervento e di potenziamento delle abilità dell'individuo.

Cummins e Cahill [2000] propongono una definizione di benessere psicologico come risultato dalla
combinazione di processi cognitivi - valutazione della propria storia di vita e delle proprie risorse in diversi
ambiti - e processi affettivi (equilibrio tra affettività negativa e positiva).
Per altri autori, il benessere psicologico può essere definito anche come cluster di «sintomi di
funzionamento positivo» [Keyes 2002] che si collocano lungo un continuum che va dal:
- languishing  polo negativo è caratterizzato dalla sensazione di «essere in trappola» o in una fase
di stagnazione, di svuotamento delle proprie energie fisiche e psichiche
- al flourishing. l'esperienza ottimale (dal verbo «fiorire»), permette all'individuo di essere produttivo
e di accrescere le proprie potenzialità, in un adattamento ideale con l'ambiente in cui vive.
Per Keyes [2007; 2010] gli individui «affetti da flourishing» sono contraddistinti da maggiore senso di
speranza, sono maggiormente in grado di stringere rapporti significativi con gli altri e più stabili dinanzi alle
circostanze avverse. Questo senso di stabilità viene definito resilienzastato motivazionale positivo che dà
luogo a tenacia e determinazione [De Beni]. Tale stato permetterebbe di comprendere come si affrontano
gli avvenimenti che caratterizzano la vita: coloro che di fronte a difficoltà e insuccessi sviluppano un
atteggiamento resiliente tendono a impegnarsi maggiormente nella loro risoluzione e nel loro
superamento, senza esserne sopraffatti, dimostrandosi quindi più aperti e flessibili alle sfide cui vanno
incontro.
I quattro pilastri della moderna psicologia positiva, definita anche <<psicologia positiva 2.0» [Wong 2011
1. La resilienza,
2. la virtù,
3. gli scopi di vita
4. il benessere psicologico
A differenza dei decenni precedenti, è maggiormente attenta a identificare anche quei parametri oggettivi
che possono influenzare le quattro componenti, determinando stabilità e cambiamenti sia all'interno dello
stesso individuo, al mutare delle circostanze di vita, sia all'interno di gruppi o culture differenti.

Molti studi si sono focalizzati sugli aspetti di personalità [Bryant et al. 2014; Friedman e Kern 2014], sociali o
ambientali che possono favorire il benessere psicologico; altri sugli outcomes del benessere: buoni livelli di
benessere sarebbero per esempio associati a riduzione dello stress, della depressione o di altri stati affettivi
negativi arrivando a influenzare lo stato di salute e la longevità, influenzando il metabolismo attraverso
modulazione del sistema cardiovascolare e immunitario.
Molte ricerche si sono occupate della percezione di benessere negli anziani, evidenziando come tale
percezione sia piuttosto stabile nell'invecchiamento; anche le fasce più longeve, come i centenari, riportano
infatti alti livelli di benessere percepito, nonostante la presenza di un evidente declino a livello della
funzionalità cognitiva e fisica. Circa l'85% della popolazione degli anziani mostra livelli consistenti, da buoni
a molto buoni, di benessere percepito [Smith e Baltes].
Diener e Suh [1998] mostrarono come la soddisfazione di vita aumentasse lievemente passando dai 20 agli
80 anni, ponendo l'accento sulla capacità di adattamento dell'individuo. Le persone più anziane potrebbero
quindi adattare i loro obiettivi alle risorse a disposizione e al livello di competenza attuale, mantenendo
inalterato il livello di soddisfazione, coerentemente con il modello di selezione, ottimizzazione e
compensazione proposto da Baltes [1987
Le evidenze in letteratura sono però controverse e non mancano risultati opposti: va sottolineato
comunque che alcuni fattori come l'autoaccettazione e la visione che l'anziano ha dell'invecchiamento
possono influenzare questi risultati.
Kunzmann, Little e Smith [2000] evidenziarono come l'età fosse negativamente correlata all'affettività
positiva ma non associata all'affettività negativa.
Charles, Reynolds e Gatz [2001] evidenziarono che l'affettività positiva rimaneva stabile dalla giovinezza alla
mezza età, per poi declinare costantemente a partire dai 65 anni.
La discrepanza in questi risultati potrebbe derivare dal tipo di emozione considerata: sarebbe cioè presente
un declino età-relato solo nelle emozioni associate a un elevato livello di arousal, mentre quelle legate a
una bassa attivazione fisiologica rimarrebbero stabili nel corso della vita. Non vi sarebbe differenza nella
qualità di emozioni nel corso della vita e nella loro frequenza, piuttosto nell'intensità con cui queste
vengono esperite.
Livingstone e colleghi [2008] partendo dal presupposto che molte persone, pur in condizioni croniche di
salute precaria, con scarse probabilità di miglioramento o di regresso della malattia, possano ugualmente
valutare alta la loro qualità di vita, gli autori si sono spinti a indagare i predittori di un invecchiamento di
successo, inteso come raggiungimento di benessere nelle avversità, in un gruppo di pazienti con patologia
d'Alzheimer (AD). I risultati emersi hanno evidenziato che la valutazione del benessere nelle avversità resta
stabile; inoltre tale valutazione risulta direttamente predetta dalla salute mentale e dalle relazioni sociali,
piuttosto che dalla salute generale o dal grado di demenza dei partecipanti.
Vivere in istituto ha indubbiamente un'influenza sulla percezione di benessere; gli anziani istituzionalizzati,
rispetto ai loro coetanei che vivono autonomamente, pur percependo livelli inferiori di benessere, sono
comunque ugualmente in grado di trovare le risorse necessarie per valutarsi in modo positivo [Nava 2004].
L'alta percezione del benessere, vissuta, sperimentata ed espressa dagli anziani stessi, che si percepiscono
soddisfatti della loro vita, nonostante le difficoltà che l'età porta con sé, sia a livello cognitivo sia di salute
[Baltes e Mayer], è nota in letteratura come il <<paradosso del benessere nell'invecchiamento». Esso viene
spiegato riferendosi ai seguenti fattori psicologici: maggior senso di controllo, maggior creatività
nell'anziano, ma soprattutto maggiore capacità di adattamento ai cambiamenti che caratterizzano
l'invecchiamento stesso.
Con l'avanzare dell'età si passa infatti dall'utilizzo di strategie di «coping» rivolte alla soluzione dei problemi
a strategie più focalizzate sulle emozioni; si acquisisce quindi maggiore abilità nel gestirle, privilegiando
quelle positive ed evitando situazioni conflittuali; si passa da processi assimilativi a processi accomodativi,
dal controllo primario interpersonale a quello secondario intrapersonale, si concentrano le risorse a
disposizione in ambiti che si sa di poter gestire, pochi obiettivi ma importanti per il Sé, e si attiva una sorta
di adattamento cognitivo, sociale ed emotivo per assicurare benessere.
Il benessere psicologico percepito è il frutto di un lungo e profondo percorso individuale fatto di esperienza
e saggezza. Uno studio [Gerstorf] ha mostrato come il declino terminale negli ultimi anni di vita non sia solo
dovuto a una drastica diminuzione nel funzionamento sensoriale e cognitivo, ma anche a una drastica
diminuzione della percezione di benessere. Questo suggerisce che un'analisi della percezione e del vissuto
di benessere possa essere, oltre che un affidabile predittore del «voler vivere», anche un affidabile
predittore di voler andare incontro alla morte [Mroczek e Spiro]. Le valutazioni personali di benessere
rappresentano le percezioni che l'individuo ha del proprio funzionamento e dei cambiamenti cui va
incontro in vari ambiti, anche nel voler vivere.

Il modello SAVI (Strength and Vulne rability Integration; Charles [2010]) permette di comprendere bene la
letteratura sull'invecchiamento e le emozioni nonché di predire traiettorie diverse nel ciclo di vita. Spiega
come i processi regolativi delle emozioni si affinino nell'invecchiamento grazie a mutamenti che interessano
sia processi di elaborazione immediati - mediati da processi bottom-up quali quelli attentivi - sia di
elaborazione più profonda (meccanismi top-down). Tali cambiamenti sembrerebbero volti a minimizzare
l'impatto delle esperienze negative e a massimizzare quelle positive, attraverso un'attenzione maggiore
verso stimoli emotivi positivi e la selezione di obiettivi salienti in termini relazionali ed emotivi nonché
attraverso cambiamenti nelle strategie di coping. Questo modello è stato formulato a partire dalla Teoria
della selettività socioemotiva [Carstensen, Isaacowitz e Charles], che viene incorporata al suo interno. In
accordo con essa, i cambiamenti nella regolazione emotiva avverrebbero sotto la spinta del mutamento
nell'orizzonte temporale degli individui anziani: quando il tempo che si ha ancora a disposizione è percepito
come limitato divengono prioritari obiettivi e informazioni emotive. L'anziano diventa maggiormente
orientato al presente piuttosto che al raggiungimento di obiettivi futuri.
Gli studi mostrano che i livelli di benessere sono influenzati dalla società di appartenenza: analizzando
singole componenti del benessere psicologico, quali per esempio la soddisfazione di vita, è possibile
osservare come essa sia maggiormente legata al contesto in cui la persona è inserita, con punteggi più
elevati per gli abitanti di nazioni che forniscono maggiore qualità di vita in termini economici e culturali,
nonché ambienti più vivibili, accesso all'istruzione e libertà politica.

3. UNA MISURA DEL BENESSERE NELL'INVECCHIAMENTO:

IL BEN-SSC
Un aspetto centrale nello studio del benessere consiste nella modalità con la quale esso viene misurato.
Adottando l'approccio teorico multidimensionale proposto da Carol Ryff, e aderendo alle prospettive di
invecchiamento come possibilità di continua crescita, apprendimento e miglioramento delle proprie
potenzialità [Baltes e Baltes], così come alla visione alternativa della psicologia positiva [Seligman; Gable e
Haidt], è stato standardizzato dal Lab-I¹ uno strumento di valutazione-comprensione del benessere
psicologico percepito.
Il Questionario del benessere percepito, Ben-SSC [De Beni], nasce come sfida positiva alternativa alla
valutazione della depressione misurata, con la Geriatric Depression Scale [Yesavage et al. 1983]. A
differenza di quest'ultimo, l'ottica positiva con cui è stato creato il Ben-SSC ha visto la scelta e la
formulazione di item interamente posti al positivo per evitare di descrivere in un'ottica negativa il proprio
stato².
Il Ben-SSC, come evidenziato da analisi fattoriale confermatoria, permette di esaminare i seguenti aspetti:
1. Soddisfazione personale; soddisfazione relativa alla propria vita passata, a ciò che si è realizzato,
includendo anche difficoltà e dispiaceri incontrati e alla propria vita attuale, relativa al «piacersi»>,
all'essere soddisfatti della stessa e alla possibilità della propria vita futura.
2. Strategie di «coping»: affrontare piccoli o grandi problemi quotidiani, la percezione di sapere di
saper fare, percezione positiva della propria autoefficacia, il senso di autonomia e di indipendenza,
non solo fisica ma anche nella capacità di gestire i propri pensieri.
3. Competenze emotive: riconoscere e comprendere le emozioni proprie e altrui e la soddisfazione di
avere e gestire soddisfacenti relazioni sociali.
L'importanza di valutare il benessere psicologico percepito con un tale strumento permette di cogliere
anche la complessità e la globalità di tutti i processi che caratterizzano la persona che invecchia: processi
<<freddi»>, includono il ragionamento e la memoria, e processi «caldi» che raccontano la persona nel suo
percorso.
Il Ben-SSC mostra infatti relazioni significative con aspetti di memoria quale la propensione al ricordo
(Questionario di sensibilità alla memoria intesa come atteggiamento che gli individui hanno di fronte ai loro
ricordi e alla gestione degli stessi, le abitudini a ripensare al passato e le implicazioni emotive a essi relate).
Vanno infine sottolineate le correlazioni positive che questo strumento ha anche con la soddisfazione e la
qualità di vita. Da un lavoro condotto mettendo a confronto i punteggi ottenuti dal Ben-SSC e il WHOQL [De
Girolamo et al. 2001], strumento che valuta la qualità della vita intesa come salute fisica, stato psicologico,
rapporti personali e credenze, è emerso infatti un forte legame. Indice ancora una volta di quanto la
percezione personale di benessere sia importante per la visione positiva di sé, per l'influenza della
valutazione personale sugli indici oggettivi e per la valuta zione rispetto al bilancio che si fa in merito alla
complessità della propria vita.

4. INTERVENTI DI POTENZIAMENTO DEL BENESSERE PSICOLOGICO NELL'INVECCHIAMENTO: L'ESEMPIO DEL


<LAB-I "EMPOWERMENT" EMOTIVO-MOTIVAZIONALE>>
All'interno della psicologia positiva nascono interventi di potenziamento definiti Positive Psychological
Intervention (PPIs) [Sin e Lyubomirsky] o Well Being Therapy [Fava e Tomba].
Tali interventi sono accomunati dal focalizzarsi sul potenziamento di talune componenti, come adeguate
competenze emotive, la soddisfazione di vita, il flourishing, la resilienza e la pratica di un pensiero
ottimista.
L' interesse di questi interventi è quello di accrescere componenti che possano favorire il passaggio da una
condizione di languishing al flourishing, ossia un'espansione delle proprie potenzialità e degli scopi di vita
[Keyes]. Al contempo, essi sarebbero efficaci nell'agire sull'affettività negativa, incrementando gli
atteggiamenti positivi.
Lyubomirsky e Layous [2013] hanno proposto un modello teorico per esaminare come tali interventi, basati
spesso su semplici attività quali esprimere gratitudine [Boehm, Lyubomirsky e Sheldon; Seligman] o
praticare la gentilezza e comportamenti prosociali verso gli altri [Della Porta, Jacobs Bao e Lyubomirsky],
possano apportare ampi benefici: queste attività sarebbero in grado di elicitare pensieri ed emozioni
positive in grado di innescare altri comportamenti positivi e la soddisfazione derivante dagli stessi.
L'efficacia degli interventi di potenziamento del benessere psicologico e delle attività in essi proposte
sembrerebbe modulata dalle caratteristiche delle attività di per sé e da quelle individuali: occorrerebbe
cioè che le caratteristiche della persona combaciassero, con le caratteristiche delle attività proposte.
Approcci multi-componenziali e l'utilizzo delle competenze apprese alla vita quotidiana possono sortire
migliori risultati. Infine, vi sono evidenze che i benefici degli interventi PPIs correlino con l'età, a indicare
che per individui anziani essi potrebbero costituire un approccio preferenziale.
Alla luce di tali evidenze positive presenti in letteratura, De Beni e colleghi hanno proposto un di
potenziamento del benessere - Lab.-I Empowerment Emotivo.
Il Lab-I Empowerment Emotivo-Motivazionale si colloca all'interno del Progetto Cornaro, che si propone di
fornire strumenti di valutazione e di miglioramento in un'ottica multidimensionale e multifattoriale.
Propone un percorso di potenziamento del benessere psicologico trattando gli aspetti più caldi della
cognizione, quali la percezione di sé, l'autoefficacia, la fiducia nelle proprie capacità e competenze, l'utilizzo
di strategie nella risoluzione dei problemi quotidiani, la riscoperta e la valorizzazione degli aspetti emotivi,
legati anche alla propria storia e ai propri ricordi, attraverso attività sia individuali sia di gruppo [ibidem].
Dai risultati ottenuti con tale intervento è emerso un effettivo incremento nella percezione di benessere
per i partecipanti, e un effetto indiretto di miglioramento anche in misure cognitive di memoria quali la
memoria di lavoro. Tali risultati sono stati confermati anche mediante un lavoro più recente in cui si è
valutata l'efficacia dell'intervento con individui con bassi livelli di benessere psicologico percepito. Tali
individui, confrontati con partecipanti con alti livelli di benessere prima dell'intervento, sembrano
migliorare sensibilmente a seguito del percorso di potenziamento, ottenendo un incremento delle
prestazioni anche in compiti cognitivi di memoria.
Potenziare gli aspetti emotivi ha quindi un'importante influenza anche sugli aspetti cognitivi. Tra gli
interventi di terza generazione per la promozione del benessere psicologico, è da prendere in
considerazione l'uso delle pratiche di mindfulness. Sebbene gli studi siano ancora all'inizio, tale tipo di
intervento dimostra la sua efficacia anche nell'invecchiamento, intervenendo, al contempo, su aspetti
cognitivi psicologici ed emotivi.
DOMANDE SVILUPPO 3
In quale cornice teorica si inserisce il concetto di futuring – FUNZIONI IDENTITARIE
Il modello tridimensionale del processo di costruzione dell’identità di crocetti e meeus considera –
l’assunzione di impegni, esplorazione in profondità e riconsiderazione degli impegni
Chi ha teorizzato il modello della vocational identity – Porfeli

In quale di queste sottocategorie e di CRSEs ha un ruolo molto importante la comunicazione – friends


with benefits

Nel modello dell’occupational identity si considerano i livelli di commitment ed esplorazione – in base al


processo

Gli adattamenti proattivi si distinguono in – adattamenti tradizionali ed emergenti a scopo preventivo e


correttivo
Uno dei primi autori a focalizzare lo sviluppo nel corso di vita – Elder
Il pensiero narrativo di Bruner – fornisce interpretazioni dell’esperienza di tipo soggettivo

A proposito di stati identitari, è corretto affermare che – gli stati identitari non coincidono con gli stadi di
sviluppo
La strategia di competizione sociale viene attuata – dagli anziani per fronteggiare la discriminazione
La teoria del disimpegno afferma che – gli anziani desiderano liberarsi degli impegni lavorativi e sociali per
vivere la vecchiaia serenamente e in pace
La felicità eudaimonica è – investimento sul proprio vero sé
La paternità/maternità è un mutamento – non normativo se avviene fuori tempo
Il mental time travel – è la capacità di spostarsi cognitivamente su differenti livelli temporali

Quale tra le seguenti affermazioni di Arnett sull’emerging adulthood è vera – è l’età in cui si concentra il
lavoro identitario

Per accertamento di costi-benefici-rischi in adolescenza Hendry e Kloep nel loro modello intendono – un
processo psicosociale attraverso il quale l’adolescente testa i propri limiti
La vulnerabilità negli anziani – è una condizione dinamica
Secondo Comen il supporto sociale produce effetti benefici quando – c’è concordanza tra richiesta
specifica e disponibilità in quel tipo di supporto sociale

Le caratteristiche degli ambienti virtuali di comunicazione sono state individuate da – Subrahmanyali,


Kaveri e Smahel

La stagnazione nel modello delle sfide per lo sviluppo è – una trasformazione individuale che lascia la
persona con lo stesso numero di risorse
Una grave malattia è - un mutamento particolare
La creatività nel modello di Williams è il prodotto di – dimensioni cognitivo divergenti e/o emotivo
divergenti
La teoria guadagni-perdite è stata sviluppata da – Baltes
Chi definisce il benessere sociale in 5 dimensioni -Keyes
Per goodness of fit (bontà di adattamento) si intende – adattamento tra risorse e difficoltà del compito
Una risorsa potenziale diventa effettiva – attraverso l’interazione con il tipo di compito
L’effetto caravan viene citato a proposito di – conservazione delle risorse
Tra le abilità superiori dell’apprendimento troviamo – capacità di trovare e selezionare le informazioni
Baltes e Lang identificarono 4 classi di risorse nell’invecchiamento positivo – sensomotorie, cognitive,
personalità e sociali
Nella psicologia dialettica di Riegel è possibile individuare un concetto-chiave per la psicologia dello
sviluppo – l’idea che per attuare lo sviluppo è necessaria una crisi
Riflettendo complessivamente sul modello delle sfide per lo sviluppo, quale di queste affermazioni è la
più corretta – le sfide possono attivare lo sviluppo
La teoria del comportamento pianificato è proposta da – Ajzen
Cos’è il detachment – distanziamento negativo dai genitori
Tra i seguenti sistemi di memoria, qual è quello che non è sensibile all’invecchiamento – memoria
procedurale
Il buon adattamento tra il grado di risorse possedute dall’individuo e la sfida che si affronta rappresenta
– goodness of fit
Con markers of adulthood intendiamo – turning points tipici dell’età adulta
Secondo il modello di Kahana e Kahana, le risorse emergenti fanno parte delle – risorse esterne
Per ottimizzazione si intende la strategia di – acquisire risorse da investire in obiettivi significativi
Lamport Common e Ross si sono occupati di – pensiero post-formale
La disponibilità ad assumersi rischi è una componente di – creatività nel modello di williams
La “moratoria della mezza età” fa riferimento a – la possibilità di ridefinire e ampliare le proprie
potenzialità

Quando parliamo dell’importanza di identificare sia i fattori biologici che quelli culturali nel
limitare/facilitare lo sviluppo nel ciclo di vita, stiamo facendo riferimento all’approccio del ciclo di vita
definito da – Smith e Baltes
Conoscere le pragmatiche fondamentali della vita è uno dei cinque criteri da soddisfare perché si possa
parlare di – saggezza

Le abilità superiori sono risorse importanti per lo sviluppo; tra gli esempi riportati di seguito quale fa
riferimento alle “strategie per un approccio scientifico alla vita” – analisi e sintesi delle informazioni
Orientamento al futuro e Obiettivi sono due componenti di cosa – futuring function
Quale tra le seguenti affermazioni relative alla teoria guadagni – perdite di Baltes è sbagliata – è un
processo che copre la terza e quarta età
In accordo con la teoria di Stevernik, il benessere sociale viene raggiunto attraverso tre bisogni
fondamentali – affetto, conferma, status
Il capitale d’identità nel modello Cotè fa riferimento a – risorse tangibili e intangibili
Secondo il modello di Kahana l’esercizio fisico è – forma di adattamento proattivo
Cosa sono i non-eventi nella teoria di Hendry e Kloep – eventi che capitano a quasi tutti ma non a noi
L’effetto maschera è stato individuato in quale contesto di ricerca – identità online
Con l’avanzare dell’età, le persone sono indotte automaticamente alla “stagnazione” – no
//
Componenti dell’autonomia che caratterizzano il diventare adulti - A. emotiva e comportamentale
Selezione, Ottimizzazione e Compensazione sono - componenti fondamentali dello sviluppo per Baltes
Stili d’identità quale più correlato al benessere individuale - stile informativo
Per Psychology of age si intende - Psicologia delle differenze di età
Psicologia positiva si occupa di - funzionamento umano ottimale
Psicologia positiva dello sviluppo ha un approccio - di ricerca e prevenzione (?)

Gli effetti dell’età sono evidenti sulla memoria dichiarativa episodica perchè - implica un processo
consapevole e controllato
Life-span model of developmental change studia - cambiamento umano
Effetto cumulativo di sequenza di vincoli nel tempo di Lewis - Cascading Traits
Cosa si intende per età funzionale nell’invecchiamento - competenze svolgimento di compiti specifici
Nel modello delle sfide per lo sviluppo, quali sono più semplici da gestire - c. normativi e maturativi
La teoria dei sistemi dinamici dà importanza a - interazioni tra sistemi in cambiamento
Proposta teoria Emerging Adulthood si occupa di - proporre una nuova fase di sviluppo
Gerontologia - comportamenti non patologici
Psychology of age - psicologia differenze età
Feeling in between - Emerging Adulthood
Lifespan model - Hendry e Kloep
Nel modello a quattro stati dell'identità di Marcia, quale è caratterizzato da presenza di exploration e
assenza di commitment? - Moratorium

Born ha individuato quattro tipologie di un particolare stato identitario etichettate come disturbed,
carefree, developmental, culturally adaptive. Di quale stato si tratta? - Diffusion

Cos'è che rende per ciascun individuo una risorsa reale? - L'interazione tra risorse positive e compiti di
routine
La plasticità del cervello nell'anziano è - una ipotesi che possiede prove documentate (forse)
Il Berlin Aging Study (BASE) si è occupato di - valutare le abilità intelletive nell'invecchiamento

Nel modello delle sfide per lo sviluppo uno dei seguenti è un periodo in cui non vengono acquisite
nuove risorse - stagnazione
Coherent positive resolution e Communion sono - costrutti teorici utilizzabili per l'analisi degli account
narrativi
Quale di queste dimensioni NON è una funzione dell'identità? – Equilibrio

Waterman studia la felicità in ambito psicologico facendo riferimento a quale concetto filosico –
eudaimonia

Nella proposta teorica di Berzonski quando un individuo è orientato alla conoscenza di sé, alla
sperimentazione e all'esplorazione in profondità come si definisce? - Con stile informativo
Nello studio dell'identità virtuale di Sica e colleghi hanno individuato 4 profili; uno di questi è definito
come - sé potenziale

Quale tra le seguenti è la sequenza corretta degli stadi del pensiero post-formale di Lamport Commons e
Ross?
Operazioni sistematiche / operazioni meta-sistematiche / paradigmatico / cross-paradigmatico
Shulman e Connolly ha fornito un tentativo di spiegazione complessa di cosa? - Dei modelli relazionali

Usare la memoria degli eventi per passato per guidare i comportamenti futuri è una funzione della
memoria autobiografica. Quale dei seguenti? - Direttiva
L'occupational identity status model è stato formulato da: - Skorikov e Vondraceck
Le dimensioni emotivo-divergenti della creatività nel modello di Williams sono: - curiosità,
immaginazione, complessità, disponibilità ad assumersi rischi
Gli individui costruiscono il proprio percorso di vita attraverso scelte e azioni individuate tra opportunità
e vincoli posti dalla storia e dalle circostanze sociali. Questa affermazione descrive - il principio
dell'agentività umana di Elder
Nel diventare adulti le relazioni sentimentali hanno un ruolo importante. Dhariwale e colleghi hanno
individuato due stili di convivenza, quali? - Romantico consolidato e Esplorativo
Nel Life-span model of developmental change, i cambiamenti che riguardano tutti gli individui e hanno
una matrice biologica sono definiti come: - Maturazionali
Il metodo di campionamento dell'esperienza utilizzato da Csikszentmihalyi e Larson in una loro ricerca
sulla vita quotidiana degli adolescenti in cosa consiste? - Narrazione indotte da cicalino
E' corretto affermare che - le reazioni potenzialmente depressive alla vita senza figli configurano come
la sindrome del Nido Vuoto
Tra le risorse per lo sviluppo possiamo annoverare - lifelong learning
Le interazioni tra i membri di diversi microsistemi costituiscono un - mesosistema
Quale tra queste definizioni NON rientra nella classificazione dei centenari di Gondo? Centenari creativi
La creatività nell'invecchiamento - può aumentare
Selezione, Ottimizzazione e Compensazione nel modello di Baltes sono - componenti fondamentali dello
sviluppo
La memoria prospettica - il ricordare di ricordare
Cosa si intende per contamination nel modello di McAdams e McLean del 2013: - il passaggio di un
evento da positivo a negativo (?)
La teoria dell’ Emerging Adulthood ha –
Le transizioni ricreative vengono descritte come caratteristiche di – adolescenti
L’ Erikson Psychosocial Stage Inventory cosa misura? – il grado di risoluzione delle crisi caratterizzanti
ciascuno stadio dello sviluppo
Il modello delle sfide per lo sviluppo può essere considerato come? –
Il processo di cheating caos cosa descrive – Eventi negativi possono condurre ad una trasformazione, perché
costringono l’individuo a focalizzarsi sul coping (Csikszentmihalyi, 1990)

Baltes, Reese e Lipsitt descrivono tre forme di mutamenti dello sviluppo (normative, storiche e non-
normative). Hendry e Kloep nel loro modello delle sfide per lo sviluppo che posizione assumono nei
confronti di questa proposta – insufficienti per Hendry e Kloep
L’ esplorazione ruminativa è un processo identitario di che tipo –
Risk-taking esplorativo e ricerca di sensazioni forti caratterizzano-
1) Chi è l’autore che parla di capitale subculturale? THORNTON
2) Chi parla di modelli alimentari nell’analisi dello stile alimentare nell’invecchiamento? POULAIN
3) La dimensione della Carefree Diffusion è stata individuata da: BORN
4) Quali sono gli autori che parlano di job e career perspective? SKORIKOV e VONDRACEK
5) Nella concettualizzazione di Zuckerman (2007) la sensation seeking è correlata a: ricerca della felicità simile alla
concezione edonica
6) Tra le abilità superiori il pensiero critico rientra tra: strategie per un approccio scientifico alla vita

Se sto incanalando le mie energie in pochi progetti, che tipo di strategia sto utilizzando secondo il modello
di Baltes e Baltes? Ottimizzazione (Questa capacità può diventare decisiva in alcune persone anziane
quando la selezione dei compiti, l’ottimizzazione degli sforzi, la compensazione delle perdite è uno dei
segreti per un invecchiamento sereno. (Baltes e Baltes)

7) Uno stato di flow è caratterizzato da: alto impegno di energie per raggiungerlo
8) Per criterio di interdipendenza nella transizione all’adultità si intende: La capacità di impegnarsi da un
punto di vista relazionale
9) Quale autore parla di “bontà del mancato adattamento” ? VALSINER
10) Nel modello di Kahana e Kahana le tecnologie informatiche sono definite: adattamenti emergenti a scopo
correttivo e preventivo ? *
11) Secondo Staudinger e Baltes quali tra le seguenti abilità si riferisce al concetto di saggezza? Relativismo dei
valori
12) Quali tra i seguenti tipi di mutamento sono prevedibli, anticipabili, condivisibili? Di maturazione (?) *
13) I comportamenti messi in atto dagli adolescenti, nonostante i rischi che comportano, sono: ricerca di sensazioni
forti
14) La tassonomia messa a punto da Skorikov e Vondraceck considera: OCCUPATIONAL IDENTITY STATUS MODEL:
PROCESSI DI OCCUPATIONAL COMMITMENT E OCCUPATIONAL SELF EXPLORATION GRADUATI IN BASE AL
PROCESSO (quindi suppongo IN CORSO) *
15) Quale tra le seguenti dimensioni non viene considerata da Keyes nel suo modello: status sociale
16) Nella teoria guadagni-perdite di Baltes quali sono i sistemi che contribuiscono a determinare l’intreccio tra
sviluppo umano e contesto storico-sociale: sistemi normativi, storici e non normativi
17) Secondo il modello di Cotè l’agency è? Le risorse intangibili sono rappresentate dall’agentività (agency).
18) Per effetto traccia si intende: l’utilizzo del passato nella costruzione del sé
19) Rutter e Rutter introducono il concetto di catene longitudinali di eventi per spiegare: gli effetti che producono a
lungo termine i comportamenti di rischio e salutari
20) Warmth e Conflict sono due macro-aree di uno studio relativo a: Relazione tra fratelli
21) Quali sono, secondo Elder i mutamenti strettamente collegati alla self-efficacy: mutamenti provocati
dall’individuo? *
22) La strategia che consiste nell’individuare sotto-obiettivi intermedi favorisce: stile di vita attivo +
23) Il modello del processo di divorzio evidenzia: effetti cumulativi dello stress prima e dopo il divorzio +
24) La Self determination theory è incentrata su: motivazione intrinseca (‘) autodet. Di sé
25) L’invulnerabilità nell’ambito dell’egocentrismo in adolescenza configura? Per Elkind esistono due ideazioni,
la FAVOLA PERSONALE (personal fable) e il PUBBLICO IMMAGINARIO (immaginary
audience) che configurandosi come una diretta conseguenza dell’egocentrismo adolescenziale,
rappresentano delle distorsioni del ragionamento sociale. (quindi suppongo favola personale
insieme al senso di unicità personale)
26) Tra i temi dello sviluppo: i temi integrativi si riferiscono a: I temi integrativi riguardano soprattutto la
comprensione del sé (quindi suppongo socio emotiva) *
27) Secondo quale autore organizzare attività di svago significative è un compito di sviluppo importante
nella mezza età? HAVINGHURST
28) Secondo il modello di Karasek e Theorell quale combinazione di controllo e grado di impegno è
maggiormente collegata ai disturbi da stress: alto impegno basso controllo
29) Le 4 dimensioni di senso di appartenenza, influenza, integrazione e soddisfazione dei bisogni e
connessione emotiva condivsa defininscono: McMillan e Chavis
30) Nel modello di Williams i fattori che si riferiscono alle dimensioni emotivo-divergenti: riferiti alle
dimensioni emotivo-divergenti (disponibilità ad assumersi rischi, complessità, curiosità e
immaginazione).
31) Secondo Rowe e Khan quando si parla di invecchiamento si considerano diversi esiti quali: invecchiamento
patologico, usuale, di successo

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