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PEDAGOGIA DELLE DIFFERENZE

1° LEZIONE 24/02/22

Concetto di differenza da un punto di vista pedagogico.(punto di vista sociologico, psicologico, filosofico)


Processi di inclusione in ambito educativo

INCLUSIONE:
PRESTARE ATTENZIONE AI BISOGNI DI CIASCUNO, SOPRATTUTTO AI BAMBINI SPECIALI

Pedagogia dell’inclusione: scienza che si occupa dei processi evolutivi e di sviluppo delle persone che vivono
condizioni di disabilità o di fragilità, vulnerabilità.
Pedagogia delle differenze: Paradigma dell’inclusione che invita a guardare all’inclusività ma anche ai tratti
distintivi delle persone.

Concetto di differenza: gill de les, offre una nuova prospettiva filosofica sul concetto di differenza che era
connotato inizialmente in maniera negativa. Inizialmente tale termine indicava distanza da un prototipo
ideale, mentre negli ultimi tempi tale visione si è modificata in ragione del fatto che la differenza viene
intesa come tratto distintivo, peculiarità che caratterizza il genere umano, quindi vista in modo positivo.
In ambito sociologico questo concetto è legato alle cosiddette minoranza, gruppi che dal punto di vista
sociale sono considerati delle minoranze, ossia gruppi minori che hanno iniziato a rivendicare i propri diritti(
piano giuridico, economico, sociale cc) a partire dagli anni 70-80
Gruppi come disabili, gruppi di persone omosessuali, di persone di colore diverso ecc, quindi diversità che
ha tante sfaccettature, sfumature che iniziano a rivendicare i diritti dei quali erano stati negati privati.
Ancora oggi però ci sono situazioni di emarginazione, o negazione della diversità
(Basta vedere un giornale per avere questo tipo di consapevolezza)
È importante educare proprio a questo tema delle differenze.

Esiste la diversità perché esiste la normalità e viceversa.


La normalità viene contrapposta alla diversità. (Concetti di norma e normalità in contrapposizione al tema
della disabilità, diversità e delle differenze)

Tutti possono incontrare difficoltà legati a fattori diversi, ad esempio dovuti alla possibilità di avere
disabilità, disturbi del linguaggio che generano difficoltà nel processo di apprendimento e nel processo delle
dinamiche sociali. In tale area rientrano anche i bambini stranieri che parlano una lingua diversa, cultura
ecc e hanno sicuramente delle difficoltà. Anche situazioni di svantaggio legato al contesto socio economico
e culturale (difficoltà nel piu ampio contesto sociale) bisogna intercettare e rispondere in maniera efficace
sul piano educativo.

Come rintracciare, individuare per l’educatore tale difficoltà e come creare progetti per creare l’inclusione
di tutti, promuovere e favorire il processo di inclusione.

Pedagogia speciale
Scienza che si occupa dei processi di sviluppo, evolutivi delle persone che inizialmente era una scienza che
si occupava dei minori, infanzia con disabilità ma nel corso degli anni ha ampliato il suo raggio di azione
(ambito di studio e ricerca) fino a ricomprendere tutte le persone che vivono condizioni di fragilità,
vulnerabilità (non solo la disabilità) e quindi per tali ragioni rischiano di essere emarginati dalla società. Oggi
l’ambito di studio, competenza di tale disciplina è andato ampliandosi fino a comprendere tutto
quell’insieme di diversità, differenze relativo a persone che presentano esigenze particolari e che molto
spesso rientrano in questa categoria dei bisogni educativi speciali. Oggi quindi, cosi come è stato messo a
punto da una serie di studiosi della disciplina, si configura la pedagogia speciale come quella scienza che
cerca di indagare, affinare lo sguardo.
L’aggiunta di speciale accanto alla parola pedagogia indica questo affinamento dello sguardo, cioè non
bisogna fermarsi al primo sguardo, ma affinarlo, renderlo più attento e capace di osservare i particolari
bisogni che richiedono risposte specifiche e intenzionalmente aperte verso tali bisogni (di dare delle
risposte adeguate a tali bisogni). Oggi la pedagogia speciale si occupa di questo, e per quanto riguarda il
contesto italiano ha un evoluzione lunga e articolata. Agli inizi del 900 l’approccio verso il mondo della
diversità era un approccio di tipo curativo, assistenzialista (inizialmente si parlava di pedagogia curativa
ortofrenica, termini che chiamano in causa la condizione di chi vive una situazione di disabilità e
vulnerabilità e che richiede in qualche modo un supporto, assistenza. )
La denominazione non era ancora ped. Speciale ma curativa che tende a curare queste persone che
vengono considerate bisognose di cure, soprattutto mediche.
Poi si passa ad una pedagogia emendativo che tende a correggere eliminare le cosiddette strutture, ossia
caratteristiche che le fanno deviare da una presunta normalità.
Si parla di ortopedapogia o ped. Ortofrenica sempre in riferimento alla malattia (così viene intesa la
disabilita o le malattie mentali), i primi approcci sono di natura assistenzialistica, curativa perché c’è una
visione legata a tale approccio curativo. Si arriva pero a capire che tali approcci devono aver una propria
dimensione, oggetto di studio dei destinatari specifici e non può sostituire quelli approcci che si occupano
di curare.
La ped. Speciale ha come fine quello di prendersi cura, non di curare, farsi carico di quelli che sono i bisogni,
le difficoltà dell’altro da me e cercare di supportarlo nel suo percorso di crescita e di sviluppo personale. Si
inizia a delineare questa differenza tra un approccio educativo e di press in carico. Si va a definire la ped
speciale come scienza che si occupa proprio di questa presa in carico della persona in difficoltà. La ped
speciale nasce con la prima cattedra nel 1964 a roberto zavalloni, studioso italiano che parla della ped
speciale come scienza che si occupa dei disadattati. Si concentra sul concetto di disadattamento. Il concetto
dei disadattati non è legato alle persone che vivono tale condizione. Il disadattato non è legato alla persone
incapaci di adattarsi, ma lui crede che sia il contesto non in grado di consentire l’adattamento di tali
persone. Tale intuizione anticipa una serie di temi che costituiscono anche la base dell’approccio odierno.
oggi sappiamo che la disabilità non è una caratteristica del singolo individuo ma è una condizione viene
generata dall’interazione tra soggetto e ambiente, quindi il contesto ha un ruolo importante per
l’inclusione.
Questo lo sosteneva gia roberto negli anni 60, parlando del concetto di disadatto, ponendo leva sul
contesto che non era in grado di rispondere ai bisogni della persona e creava disadattamento.
Ped. Speciale. Apre l’orizzonte a tutte quelle forme di diversità che caratterizzano gli esseri umani la ped
speciale è anche connessa alla paura del diverso, della diversità.
Perché le persone con diversità in epoche passate venivano emarginate?! Cosciussi nel fare un. Analisi
dell’evoluzione del concetto di rappresentazione della disabilita nel corso delle epoche storiche individua 4
periodi.
Il primo è il periodo del rifiuto, civiltà greco-romane, in cui i bambini che nascevano deformi o con disabilità
venivano uccisi perché non si accettava questa condizione che li rendevano diversi dagli altri e generava
paura perché veniva collegata molto spesso alla collera divina. quel bambino andava eliminato per
eliminare quel problema, ma è sempre tale paura che porta l’uomo ad assumere tale atteggiamento di
rifiuto, respingimento di cio che è diverso.
Molti studiosi hanno fatto leva sulla paura del diverso. In ogni epoca, società ciò che si allontana dalla
norma genera inquietudine e scatena in ciò che si considerano normali l’esclusione. Il diverso viene escluso
da chi è normale per paura.
L’esclusione della diversità è generata da un sentimento di paura nei confronti di cio che non si conosce da
ciò che è diverso da me, da ciò che è la norma, da ciò che ritengo normale e tale diversità mi stimola ad
emarginare.
Tale disciplina ogg si occupa proprio delle persone che vivono o rischiano di vivere tale condizione di
emarginazione dalla società, o da una parte della società- si fonda sul principio di educabilità, cioè io credo
che l’altro nonostante la sua condizione complessa, difficoltosa credo che possa essere educato (principio
che guida la ped. Speciale)
Opera per individuare e soddisfare i loro bisogni peculiari.

La diversità genera paura, inquietudine, e di conseguenza viene allontanato l’altro.


Sin dall’infanzia andiamo a riprodurre degli schemi degli standard e la persone che si allontano da tali
standard sorge un sentimento di disagio e di allontanamento. È importante sin dall’infanzia educare alla
valorizzazione delle differenze e a non restare agganciati sempre a degli stereotipi, a una
concettualizzazione della normalità. Il bambino, lo sviluppo del bambino è dato dal contesto in cui si trova a
vivere, se quel contesto lo educa a non ragionare sulla base di uno standard di normalità ma di guardare
alle infinite possibilità che ci sono rispetto alla valorizzazione di come possono essere le altre persone, il
bambino non se lo pone proprio il problema della diversità. I bambini che crescono in contesti multiculturali
non se lo pongono proprio il problema del colore della pelle perché per loro è la normalità socializzare con
chiunque.
Sono concetti che si instillano nella mente del bambino nel momento in cui c’è una società, comunità
(familiare, sociale, scolastica, lavorativa ecc) che si va a instillare un concetto di norma , standard in cui
aderire e nel momento in cui ci si allontana da ciò si viene additati.
Bisogna educare alle differenze.
Molto spesso sono anche gli insegnanti a generare i fenomeni di emarginazione. Ad esempio quando
l’insegnante di sostegno esce con il bambino con forme di disabilità – questa è la forma di esclusione più
alta ma anche piu comune. Non ci accorgiamo di molti fenomeni di esclusione proprio perché sono
diventati la normalità.

Secondo l’autore del testo- finalità di creazione di mediazioni necessarie, di ponti per favorire l’inclusione a
livello sociale e scolastico. Si tratta di un approccio che unisce universalità e singolarità e favorisce partendo
dal riconoscimento delle differenze, i processi inclusivi e lo sviluppo delle potenzialità di ognuno.

Non possiamo distinguere tra ped speciale, delle differenze, ecc ma siamo nell’ambito di quell’approccio
psicologico che è volto a favorire i processi inclusivi.

Slide: Nel corso del tempo il profilo disciplinare della Pedagogia Speciale ha esteso il suo sguardo scientifico
«ben oltre la popolazione con disabilità fino a comprendere un altro contingente di diversità, ampio,
multiforme e con esigenze molto differenziate che non ha nulla in comune al proprio interno se non la
connotazione trasversale degli Special Educational Needs» (Pavone, 2014, p. 18)

Oggi la Pedagogia Speciale si configura come disciplina finalizzata a «sollecitare e favorire la formazione
globale della personalità dei soggetti con necessità educative particolari, valorizzandone le capacità
comunque presenti che consentono una migliore espressione di se stessi e una qualità di vita superiore»
(Pavone, 2014, p.8)
La Pedagogia speciale oggi
«La paura del diverso è sempre stata presente nella mente e nel cuore degli uomini; in ogni epoca, in ogni
civiltà e società, il difforme suscita preoccupazione, inquietudine e scatena in coloro che si considerano
invece uguali e normali una reazione di difesa che porta ad escludere»
PEDAGOGIA SPECIALE E PEDAGOGIA DELLE DIFFERENZE
La pedagogia speciale si occupa delle persone che vivono questa condizione di emarginazione o che
rischiano di essere esclusi dalla società, riconosce la loro umanità ed educabilità operando per individuare e
soddisfare i loro bisogni peculiari.

«L'obiettivo della Pedagogia speciale è quindi quello di creare le mediazioni necessarie, a scuola e fuori
dalla scuola, per facilitare gli apprendimenti e favorire l'inclusione sociale»
«Si tratta di un approccio pedagogico che unisce universalità e singolarità, che favorisce, partendo dal
riconoscimento delle differenze, i processi inclusivi e lo sviluppo delle potenzialità di ognuno»

2° LEZIONE: 25/02/22
Pedagogia speciale: scienza che si occupa non solo delle persone con disabilità ma di tutti quei soggetti che
in ragione di varia natura rischiano di vivere fenomeni di esclusione o emarginazione sociale. Il discorso di
pedagogia speciale diventa un discorso sulle differenze quando chiamiamo in causa il tema dell’inclusione.
L’inclusione è un po ormai il paradigma di riferimento non solo per le politiche educative, scolastiche ma si
configura come un processo molto piu ampio che riguarda tutte le sfere della vita umana per cui
l’inclusione si realizza sul piano lavorativo, sociale, delle relazioni, della scuola. È un processo pervasivo che
riguarda tutte le dimensioni e all’interno dei discorsi sull’inclusione assume un ruolo fondamentale il
concetto di differenza.

Principi fondanti della logica inclusiva: piano educativo: quando parliamo di educazione inclusiva facciamo
riferimento a quello che è il tema dell’individuazione, della valorizzazione delle differenze individuali per cui
nell’ottica dell’inclusione si supera anche il concetto di diversità perché tale concetto chiama in causa, è
strettamente collegato al concetto di Normalità. Per definire la diversità dobbiamo necessariamente
rapportarla alla normalità perché ciò che è diverso lo è in rapporto a una norma, a una condizione reputata
normale per cui è come se rimanessimo sempre intrappolati in questa logica normalità vs diversità.
Il paradigma dell’inclusione invece cerca di superare questo binomio diversità /normalità partendo dal
presupposto che ogni essere umano è unico e irripetibile e quindi la differenza è ciò che ci caratterizza, che
caratterizza ciascuno di noi, è manifesto di come siamo a prescindere della presenza di disabilità, disturbi,
situazioni di svantaggio ecc.
L’inclusione pone al centro della sua riflessione questo tema delle differenze, pone al centro il tema della
partecipazione perché tale elemento è fondamentale. Ci sentiamo parte effettiva in un gruppo infatti
quando possiamo partecipare a tutto quello che riguarda quel gruppo(amici, familiari, colleghi), quando
possiamo dare un contributo a quel gruppo. Se percepisco che la mia opinione non è importante, non
vengo preso in considerazione ecc, percepisco un sentimento di isolamento, esclusione, ma ciò che invece
determina il sentimento di partecipazione, sentirsi parte del gruppo è proprio la partecipazione a quel
gruppo, poter partecipare alle idee, opinioni attività a quel gruppo.
Tale concetto lo troviamo anche nel CF, Ci sono proprio le dimensioni dell’attività e della partecipazione che
determinano il funzionamento di una persona. Quanto piu una persona è in grado di partecipare a un
contesto, tanto più il suo funzionamento è alto.
Altro principio fondamentale dell’inclusione, è legato ai contesti, all’interazione soggetto ambiente,
soggetto- contesto. È proprio in tale interazione che si gioca l’inclusione. Si gioca innanzitutto il
funzionamento umano, che si possono esprimere le differenze e che quindi si genera l’inclusione.
Il contesto, che non è più il soggetto a doversi adattare al contesto in questa nuova visione, cioè io non
devo cambiare qualcosa di me per sentirmi parte di quel contesto e interagire, ma è il contesto che deve
modificarsi per rendersi accessibile a tutti. Il contesto deve adeguarsi al soggetto.
Nel momento in cui sentiamo di non andare bene in un gruppo e cambiare qualcosa di noi stessi per
continuare a far parte di un gruppo, c’è qualcosa che non va perché è il contesto che deve adattarsi ed
essere sempre aperto alle differenze.
Il gruppo non può essere la comunità che isola alcuni soggetti perché li ritiene diversi, ma deve essere colui
che accoglie e valorizzare tutte le soggettività presenti(dalla persona piu riservata a quella piu estrosa ecc).
Inclusione: tutti si devono sentire parte di quel gruppo.
Quest’idea si traduce in tutte le dimensioni dell’esistenza, a scuola casa lavoro palestra, in qualsiasi luogo in
cui gli esseri umani sono portati a relazionarsi.
L’inclusione sul piano educativo è strettamente legata al discorso scolastico e relativamente al tema
dell’inclusione e delle differenze. ci sono alcune tappe fondamentali’ da richiamare legate all’evoluzione dle
concetto di inclusione in ambito internazionale.
Abbiamo innanzitutto nel 1994 la conferenza di Salamanca. È il primo grande evento mondiale in cui
tantissimi paesi, circa 92 paesi, si riunirono per focalizzare l’attenzione su questo tema dell’educazione per
tutti, la possibilità di garantire percorsi educativi a tutte le fasce d’età di tutto il mondo senza oltrepassare
quell’approccio segregante che guarda alla separazione come approccio efficace. Matura quest’idea
dell’educazione per tutti, perché l’educazione è di tutti, e in questo modo vengono sanciti i principi basilari
propri della logica dell’inclusione.
Nel 1996 abbiamo la carta di Lussemburgo che è un documento internazionale in cui si conia l’espressione
“la scuola per tutti e per ciascuno”.
Per ciascuno per sottolineare l’unicità di ogni individuo, per tutti per sottolineare l’uguaglianza, cioè di
garantire le pari opportunità educative a tutti ma nel rispetto delle singole caratteristiche, differenze.
Nel 2000 l’UNESCO avvia questo programma education for all/ educazione per tutti. Si inizia a ragionare,
fare ricerca su come favorire i processi inclusivi nei vari paesi del mondo e nel 2006 abbiamo un documento
fondamentale in tale ambito, cioè la convenzione ONU SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITà,
convenzione che è stata ratificata dal parlamento italiano nel 2009 e che costituisce tutt’oggi un
documento di riferimento per le politiche educative nazionali e internazionali, dove vengono sanciti una
serie di diritti inalienabili della persona con disabilità, che poi sono diritti umani in generale in quanto
l’inclusione è un tema strettamente connesso con il tema dei diritti umani e quindi vengono messi nero su
bianco quelli che sono i diritti delle persone con disabilità. Questo è un documento fondamentale per il
discorso di evoluzione di inclusione.
Il concetto di inclusione è strettamente collegato a quello di differenza, perché all’interno della riflessione
sull’inclusione viene messo in evidenza che le differenze costituiscono l’elemento, la norma naturale della
società perché ogni individuo è originale, ha una sua soggettività specifica che va rispettata e valorizzata e il
concetto di differenza va a evidenziare proprio questo aspetto.

Tale tema delle differenze individuali è stato oggetto di studio di indagine di differenti approcci, discipline
per cui abbiamo una pluralità di prospettive teoriche sul tema delle differenze individuali.
Innanzitutto c’è l’approccio della psicologia cognitiva, approccio psicologico al tema delle differenze che si
rifa a quelli che sono gli studi sulla pluralità delle intelligenze e sugli stili cognitivi degli apprendimenti.
Ciascuno di noi elabora, ha un proprio stile cognitivo di apprendimento, cioè elabora le informazioni che
percepisce e recepisce dall’esterno in maniera personale-
Stile cognitivo: il modo in cui ciascun essere umano percepisce ed elabora le informazioni provenienti
dall’esterno e nel corso del tempo sono stati individuati diversi stili cognitivi. Alcuni studiosi sono arrivati a
elaborare un sistema dicotomico, in cui i principali stili cognitivi vengono individuati sulla base di alcune
polarità. Ad esempio c’è lo stile globale o analitico, nel senso che una persona può avere uno stile cognitivo
maggiormente tendente alla globalità o maggiormente tendente alla dimensione analitica. Ad esempio si
può avere uno stile cognitivo che consente di percepire nel momento in cui si interagisce all’interno di un
contesto, di cogliere le informazioni a livello globale o di cogliere i particolari, i dettagli.
Canali sensoriali, modo in cui percepiamo ed elaboriamo le informazioni utilizzando in maniera prevalente
uno o piu canali sensoriali specifici. (Ad esempio chi prende appunti, chi sbobina, chi fa foto alle slide)
Ognuno elabora e apprende le informazioni in maniera diversa. Chi privilegia il canale visivo, e quindi ha
bisogno di vedere le slide, chi invece ha uno stile perlopiù auditivo e preferisce ascoltare la lezione e
riascoltarla a casa, chi ha uno stile cinegetico che quando studia ha bisogno di muoversi.
Nell’ambito della psicologia cognitiva il tema delle differenze fa riferimento a queste strategie cognitive che
caratterizzano il processo di elaborazione delle informazioni, processo di apprendimento e che
determinano modalità diverse da persona a persona di elaborare queste informazioni.
Questo è il motivo per il quale a scuola si è iniziato a parlare di individualizzazione di personalizzazione.
perché occorre personalizzare un percorso individuando strategie diverse (dtp)piano tattico personalizzato-
cercando di individuare strategie approcci per favorire l’apprendimento di uno studente specifico che ha
alcuni disturbi o disabilità- perché ognuno apprende in modo diverso e l’insegnante deve cercare di
supportare i diversi stili cognitivi di apprendimento di ogni studente.
Differenza nella psicologia cognitiva = Studi sulle pluralità delle intelligenze multiple, cioè particolari
modalità di apprendimento (costrutto introdotto dallo psicologo statunitense gardner che sostiene che ogni
persona ha in maniera prevalente un’intelligenza, un’inclinazione particolare a comportarsi, per ui c’è
l’intelligenza linguistica, matematica, cinestetica, interpersonale ecc. sono quelle forme intellettive che in
ogni persona si sviluppano in maniera più o meno elevata, nel senso è quello che determina le inclinazioni.
Nella visione di gardner tali inclinazioni sono delle intelligenze multiple, ogni persona ne sviluppa alcune piu
di altre per cui si dimostra molto piu propensa e brava in determinate aree dell’intelligenza e cioè
determina delle preferenze verso qualcosa rispetto ad altro.
Approccio socioantropologico al tema delle differenze, cioè come tale concetto viene interpretato nella
prospettiva socioantgropologica: in questi studi viene approfondita quella che è l’incidenza delle
caratteristiche sociali e culturali degli studenti sui processi di insediamento, apprendimento, cioè come la
provenienza socioculturale di una persona influisce sul suo processo di sviluppo e di apprendimento. Qui
sono stati effettuati una serie di studi riconducibili al lavoro del sociologo bes benstain che indaga il legame
esistente tra l’appartenere a una classe sociale e il successo sociale. Cioè come l’appartenenza a una classe
sociale medio alta può influire in maniera positiva o negativa sul percorso scolastico del bambino e sul
processo formativo. Il tema delle differenze è stato indagato anche nell’ambito degli studi sui media della
comunicazione che soprattutto in anni piu recenti sono andati a indagare il cosiddetto divario digitale, ossia
quel gap che è andato a generarsi tra quelle generazioni di cosiddetti nativi digitali, cioè quelli che sono nati
quando la tecnologia si era già diffusa in maniera capillare, quindi hanno incontrato il mondo tecnologico in
maniera naturale e quindi si sono esposti fin da subito alla tecnologia, e poi la generazione degli immigrati
digitali, ovvero coloro per i quali il digitale, le tecnologie sono subentrate nella loro vita e hanno dovuto in
qualche modo adeguarsi, imparare l’uso delle tecnologie e si sono trovati come degli immigrati all’interno
do un contesto digitale e quindi questo ha determinato necessariamente delle differenze. Digital diviring
che non si gioca solo dal punto di vista generazionale, ma le differenze in questo ambito si sono
determinate anche rispetto alle specifiche condizioni individuali. (Ad esempio durante la DAD divario tra
bambini che avevano possibilità economiche diverse, e tempi e modalità diverse)
Infine il tema delle differenze lo troviamo in quelli che sono gli studi sul tema della disabilità.
Negli ultimi anni, forse negli ultimi decenni è andata maturando una nuova cultura della disabilità.
Oms -citazione trovata nel report mondiale sulla disabilità, 2011 dall’organizzazione mondiale della sanità,
“La disabilità è parte della condizione umana”. Non è qualcosa che non è lontana dall’essere umano, ma è
parte dell’essere umano perché chiunque può sperimentare una condizione di disabilità. Ognuno di noi può
cadere e sperimentare una condizione di disabilità dovuta ad esempio al braccio ingessato- disabilità a
livello motorio, o in seguito a un intervento.
Tale condizione di disabilità non sempre è permanente, ma può essere anche una condizione provvisoria. In
ogni caso fa parte della condizione umana. Inoltre si sottolinea che “la disabilità è un concetto complesso,
dinamico, multidimensionale e contestualizzato.” Cioè complesso perché è il risultato dell’interazione di
tanti fattori (biologici, genetici, contestuali legati al contesto in cui quella persona nasce e si sviluppa, può
essere un contesto ricco o povero di stimoli, contesto di svantaggio, agevole.)
La disabilità è complessa perché è legata a una serie di fattori che non possono essere presi in
considerazione in maniera separata ma devono essere letti e interpretati proprio a partire da questa
interazione. È un concetto dinamico perché la disabilità non è mai legata a se stessa, non è una condizione
che non può cambiare (infatti ci sono interventi educativi precoci, se il bambino sordo e ceco alla nascita
non possono modificare la loro condizione allora non avrebbe senso parlare di interventi educativi
precoci.) la condizione di disabilità è una condizione dinamica che può modificarsi in ragione di quelli che
sono gli stimoli contestuali. È multidimensionale perché riguarda tutte le dimensioni dell’esistenza umana,
non è una caratteristica di un solo aspetto ma riguarda tutte le dimensioni, ed è legata al contesto. Va
interpretata proprio a partire dal contesto in cui si inserisce. Contesto che può essere inteso come
culturale, sociale, economico, familiare, relazionale, cioè contesti di vita che influiscono sulla disabilità.
Il tema della disabilità ha richiesto a un certo punto per poter essere interpretato e far fronte a quelle che
sono le esigenze delle persone con disabilità, a partire degli anni ’60 del 900 si è delineata l’esigenza di
definire un quadro, cornice concettuale che potesse fornire la base per tutte quelle azioni sul piano politico,
e azioni legate al supporto, abilitazione educazione delle persone con disabilità. Questa necessità portò alla
formulazione di specifici modelli che hanno indagato il costrutto di disabilità da differenti punti di vista.
3 modelli interpretativi della disabilità, piu un modello che non nasce in senso stretto nel riferimento alla
disabilità ma aiuta a interpretare la disabilità assumendo una prospettiva ben precisa.
Abbiamo innanzitutto il modello medico individuale della disabilità secondo il quale la disabilità si configura
come un problema dell’individuo. Cioè il soggetto e la propria disabilità è come se venissero quasi
sovrapposti per cui la disabilità è un problema individuale che richiede un intervento specifico di cura da
parte dei professionisti per cui c’è un’azione clinica alla quale segue un’azione di tipo riabilitativo e infine
un’azione di tipo educativo e la finalità è proprio quella di favorire l’adattamento della persona al contesto.
In questa logica è la persona con disabilità che attraverso un’azione di riabilitazione cerca di avvicinarsi, e di
normalizzarsi, e quindi di adattarsi a quello che è il suo contesto di riferimento. In questo modello dove si
utilizza prevalentemente un azione di cura, piuttosto che un’azione di presa in carico perché c’è un
approccio medico, clinico alla disabilità piuttosto che educativo. Ciò determina una contrapposizione tra ciò
che è considerato normale e cio che non è normale, per cui cio che non lo è si prova in qualche modo a
ricondurlo verso la normalità.
Modello sociale della disabilità che nasce proprio in contrapposizione al modello medico-individuale perché
cerca di spostare l‘attenzione da quella che è la patologia, da quelli che sono i limiti , limitazioni funzionali
nelle persone con disabilità verso gli ambienti, i contesti che generano disabilità, quelle barriere (non solo
architettoniche ma sociali, economiche, ec) che vanno in qualche modo a favorire l’emarginazione piuttosto
che l’inclusione. Tale modello nasce dalla lotta di gruppi di associazione delle persone con disabilità che
iniziano a partire dagli anni 60/70 del ‘900 a far sentire la propria voce, a rivendicare i propri diritti
portando avanti questo modello. Ovvero è la società, contesto sociale che genera disabilità, non è la
persona , il focus non deve essere sulla persona con la disabilità e sulle limitazioni che tale disabilità
comporta ma il focus deve essere spostato sulla società, su tutti quei fattori, barriere sociali che vanno a
incidere generare disabilità, disabilitano le persone.
Modello biopsichico sociale che si pone proprio come sintesi fra i due modelli precedenti, quello medico
individuale e quello sociale.
Quello biopsichicosociale mette insieme varie componenti: biologica, psicologica, sociale, contestuale
culturale che insieme interagendo concorrono al funzionamento della persona perché un concetto che
viene appunto proposto nell’ambito di questo modello è il concetto di funzionamento che ha naturalmente
una connotazione positiva, perché cio che funziona è qualcosa che va bene. Questo modello parte dal
presupposto che la disabilità non è altro che una delle manifestazioni, variazioni del funzionamento umano
ed è data dall’interazione tra il soggetto e l’ambiente in cui è posto e vive. Tale concezione nuova della
disabilità vista all’inizio è legata proprio al modello biopsichico sociale che guarda alla disabilità come a una
delle tante manifestazioni del funzionamento umano e che emerge dall’interazione del soggetto con il
proprio contesto di vita.
C’è anche un 4° modello che fornisce un’interpretazione diversa della disabilità anche se non nasce in senso
stretto come modello stretto della disabilità. Si tratta del cosiddetto capabily approach, modello delle
capacità che viene formulato a metà degli anni 80 dl 900 da uno studioso, economista e filosofo martha
nussbaum/amarthya Sen che formula tale modello basandolo sul concetto di well being, ossia benessere.
Secondo sen il benessere dipende non tanto dai mezzi , risorse che una persona ha a disposizione quanto
piuttosto dalla capacità di trasformare quelle risorse in concrete realizzazioni, quindi risultati rispetto a
quello che è l’obiettivo, la direzione che si intende perseguire.
Il benessere è dato dalla trasformazione di queste risorse che si hanno a disposizione. All’interno di questo
modello delle capacità Sen individua due spazi diversi che concorrono insieme a determinare il benessere e
la qualità della vita delle persone, anche di quelle con disabilità, e perciò tale modello può fornire una
nuova interpretazione del concetto di disabilità. Spazio delle capacità e lo spazio dei funzionamenti. Il primo
è da intendersi come quell’insieme di traguardi che sono potenzialmente raggiungibili dalla persona,
mentre lo spazio dei funzionamenti è relativo all’insieme dei traguardi che sono effettivamente raggiunti
dalla persona. Quindi nell’interazione di questi due spazi (capacità e funzionamenti) si genere, risiede il
benessere della persona che poi determina anche la qualità della vita. Il livello di benessere determina
quindi anche la qualità della vita della persona. Lo spazio delle capacità, quindi traguardi che
potenzialmente potrei raggiungere, e spazio dei funzionamenti, cioè l’insieme dei traguardi che invece
effettivamente si raggiungono. L’interazione di questi spazi determina la qualità della vita delle persone.
Come questo modello può essere interpretato rispetto al concetto di disabilità? Si gioca rispetto a quello
che è un concetto importante, cioè quello di autodeterminazione: ossia la capacità che ogni individuo ha di
operare delle scelte e quindi quello di decidere, prendere delle decisioni che sono legate alla propria vita.
L’avere delle risorse e il sapere come trasformare quelle risorse in traguardi determina
l’autodeterminazione di una persona. Una persona è autodeterminata quando si percepisce come l’agente
causale della propria vita, ossia come colui o colei che opera delle scelte e si autodetermina.
Molto spesso questo diritto all’autodeterminazione viene negato alle persone con disabilità, molto spesso
non per cattiveria ma perché si ha paura che la persona con disabilità quando la disabilità è particolarmente
complessa si pensa che tale persona non Sia in grado di operare delle scelte, che non sia autonoma in
questo processo. L’autodeterminazione è però una capacità che va esercitata, bisogna aiutare la persona in
difficoltà a operare queste scelte, affinché sia comunque lei a scegliere cosa vuole fare e come vuole vivere.
Arriviamo cosi al Discorso pedagogico sulle differenze: principio di educabilità, principio fondante della
pedagogia speciale, ovvero quel potenziale (godrot), grado di disponibilità per scegliere un’educazione.
Si configura anche come una potenzialità, potenziale educativo che è insito in ogni persona e che in
situazioni di svantaggio, disagio, difficoltà, l’educatore è chiamato a far emergere, a sviluppare. Per questo
nell’ottica della valorizzazione delle differenze il principio di educabilità diventa un principio guida. Cioè
lavorare approcciarsi alle persone e al tema della diversità proprio in nome di questo principio nella
convinzione che nell’altro c’è sempre un potenziale di educabilità anche laddove la condizione può
presentarsi come particolarmente complesse. In ambito pedagogico si ha avuto un’evoluzione di questo
concetto di differenza da una visione negativa ad una positiva e ad operare tale cambiamento ha
contribuito tantissimo il filosofo francese Gill de les che ha scritto il testo “differenze e ripetizione ”
all’interno del quale opera un analisi critica di questo concetto di differenza rispetto a quella che è la
tradizione filosofica occidentale risalente a Platone e a Parmenide che tende invece a interpretare le
differenze come una variazione rispetto a un archetipo ideale, cioè un qualcosa che si discosta da un ideale
di perfezione e che quindi assume una connotazione negativa.
Partendo da questi contributi filosofici de lez opera una rilettura critica del concetto di differenza arrivando
a proporre una visione della differenza non come scostamento rispetto a un ideale, norma ma come
differenza rispetto a un ‘altra differenza. In questo senso la differenza diventa il principio generatore della
pluralità dell’esistenza, elemento che caratterizza l’esistenza umana perché è cio che contraddistingue gli
esseri umani gli uni dagli altri e che li rende esseri unici e irripetibili.
Tale rilettura della differenza porta una connotazione positiva di tale termine e non la considera più come
un discostamento da un ideale ma come una differenza rispetto ad un’altra differenza e quindi tutte le
differenze diventano elementi che contraddistinguono ogni essere umano.
Come è possibile educare alla differenza e alla(nelle) differenza- c’è una duplice lettura, cioè l’educatore ,
l’agire educativo assume questa responsabilità di confrontarsi continuamente con la differenza Da una
duplice prospettiva da un lato la differenza intesa come differenza del soggetto di educazione, cioè le tante
persone con le quali ci interfacciamo cioè i tanti destinatari per cui occorre elaborare una progettualità che
sia personalizzata e individualizzata rispetto a quelle che sono le peculiarità di ciascuno. Ma c’è anche la
prospettiva legata alla differenza del professionista dell’educazione che è chiamato a educare alla
differenza, a stimolare nei soggetti proprio l’idea di differenza come risorsa, quindi l’educatore ha la
responsabilità di confrontarsi e di considerare la differenza sotto una duplice prospettiva- differenza
rispetto a quelli che sono i destinatari dell’educazione per i quali deve essere elaborata una
progettualizzazione educativa specifica che tenga conto delle singole inclinazioni, possibilità, in modo tale
che le differenze possano realmente essere valorizzate. Dall’altro lato la differenza rispetto all’educatore
stesso che è responsabile del processo di supporto e di concettualizzazione della differenza come risorsa
imprescindibile di ciascuno. Educare alle differenze e nelle differenze: perché si educa sia a comprendere,
accogliere e valorizzare la differenza e si educa nelle differenze, ovvero in quella pluralità di soggetti che
sono unici e irripetibili peer cui ognuno ha le proprie caratteristiche, aspirazioni, e l’agire educativo deve
farsi carico di quella persona e delle sue differenze che sono il suo tratto distintivo.

3° LEZIONE: 04/03/22
Bisogni educativi speciali
Alunni bes:
Special education – studioso britannico che si occupa di pedagogia speciale e che fa una riflessione relativa

In italia e negli altri paesi europei fino agli anni 70 esistevano dei percorsi educativi differenti- dual tech in
cui ci sono percorsi di scuole pubbliche , ordinarie e dall’altra parte ci sono percorsi di scuole speciali alle
quali sono destinati gli studenti che hanno una certificazione di disabilità.
In Italia, nel sistema educativo italiano abbiamo superato questa separazione negli anni 70 con la legge 118
del 1971, che viene definita la legge sull’inserimento perché prevede l’inserimento fisico degli studenti con
disabilità certificata all’interno delle classi delle scuole comuni.
L’italia è uno dei primi paesi a includere gli alunni con le disabilità nelle scuole pubbliche, mentre in alcuni
paesi vige ancora questo sistema separato o misto.

Quando matura l’idea nello studioso ronald gulliford, introduce tale concetto in riferimento a una
situazione particolare: in gran bretagna vigeva una logica separata, ossia scuole ordinarie e scuole speciali 5
Egli osservo che alcuni alunni rimanessero indietro rispetto a quello che era il programma, le performance
standardizzate non per via della certificazione della disabilità ma per ragioni legate ad altre motivazioni,
come la provenienza da un contesto economico svantaggiato, ossia per problematiche legate ad alcuni
disturbi che non erano stati diagnosticate. Le ragioni erano differenti e iniziano a riferirsi a questi bambini
sostenendo che presentavano bisogni educativi speciali, ossia che occorreva un’attenzione particolare per
promuovere il processo educativo e di apprendimento di questi studenti.

Analisi del concetto di bisogno educativo speciale che analizza tali parole in maniera separata- nel libro

Si parte dal concetto di bisogno.


Bisogna chiarire il nesso tra bes,pedagogia e inclusione scolastica.
In Italia abbiamo una prospettiva che è legata alla normativa e nella BES rientrano determinati studenti,
mentre se andiamo altrove tale area dei BES non sempre è la stessa di paese in paese in ragione delle
politiche educative di ogni paese e della cultura.
L’italia infatti è stato uno dei primi paesi ad abbracciare il concetto di inclusività.
Altro aspetto da chiarire è quello relativo alla relazione che c’è tra l’approccio clinico diagnostico e quello
pedagogico. Nell’area dei bisogni educativi speciali in italia, non rientrano solo quei bambini che
presentano una diagnosi, ma anche quei bambini che per ragioni diverse vivono una condizione di
svantaggio e che ostacola l’apprendimento (come lutto, separazione dei genitori, bullismo).
Ci sono molte situazioni che possono portare il bambino ad avere bisogno di BES.
Bisogna anche partire da quella che è un analisi del concetto di bisogno in se per sé, cosa è il bisogno e poi
centrarlo sui bisogni educativi speciali.
Qualcosa/qualcuno che manca genera una condizione di disagio, disadattamento- il bisogno è legato a una
condizione non più di benessere, mancanza che deve essere compensata.
Il concetto del bisogno è stato indagato da diverse prospettive disciplinari (psicologico, filosofico,
sociologico ecc)
In ambito psicologico uno dei primi contributi è quello di Abraham Maslow (1954) che definisce il concetto
di bisogno in relazione a una sorte di piramide, cioè egli definisce quella che poi viene tradizionalmente
chiamata la piramide dei bisogni e in questa visione i bisogni si esprimono all’interno di una relazione
gerarchica.
Alla base di questa piramide ci sono i bisogni primari che garantiscono la sopravvivenza.(dormire, mangiare
ecc)
Ad un gradino superiore si posizionano salute e sicurezza sia dal punto di vista fisico che materiale
(sicurezza legata all’avere una casa, un riparo)
Poi abbiamo emozioni affetti, intimità, creatività legati al senso di appartenenza che ognuno di noi prova in
base alle persone che ci circondano, rispetto alla famiglia, amici ecc.
Successivamente abbiamo amicizia, famiglia, vacanze, arte e natura, ossia bisogni legati alla dimensione
dello svago che non sono di prima necessità ma servono per stare bene.

Infine sulla punta della piramide abbiamo l’autorealizzazione personale, affermarsi all’interno della società
e la spiritualità che è legata al proprio credo (non sempre religioso)
Secondo tale logica i bisogni si strutturano secondo una gerarchia dai primari a quelli non necessarissimi
alla sopravvivenza.
Questo modello è stato criticato perché l’elemento che mancherebbe in tale piramide è l’elemento della
soggettività poiché non è possibile definire in maniera così rigida, gerarchica quelli che sono i bisogni
individuali. Ogni persona presenta bisogni individuali che sono legati alla sua condizione.
Il bisogno è legato al processo evolutivo. Cioè il bisogno che ha un bambino di 5 anni non può essere lo
stesso di una persona anziana e tale processo evolutivo deve essere tenuto in considerazione.

Tale logica piramidale dei bisogni seppur importante presenta delle criticità.
Sempre in ambito psicologico , il concetto di bisogno è stato analizzato anche dallo psicologo Henry Murray,
in riferimento al nesso tra bisogni e motivazione. L’idea da cui lui parte è che il bisogno genera la
motivazione o che la motivazione è legata alla sfera dei bisogni, ossia l’uomo agisce in funzione di una
motivazione che è legata ai bisogni. Egli distingue tra bisogni viscerogeni o primari, basati su esigenze
biologiche, e bisogni psicogeni o secondari, che sono generalmente di tipo psicologico e sono legati agli
aspetti motivazionali.
Secondo questo psicologo i bisogni maturano rispetto a quest’interazione tra aspetto biologico- ossia
bisogni primari, e aspetto psicologico, motivazionale, ossia bisogni secondari.
Per quanto riguarda una prospettiva maggiormente filosofica, il concetto di bisogni è stato letto anche dagli
studiosi Gyorgy Lukacs e Agnes Heller che partendo da una rilettura di Karl Marx che fa dell’essere umano
come quell’insieme di rapporti sociali che sono poi rapporti di potere nella struttura delle relazioni su cui si
basa la comunità umana. Secondo la visione marxista, tutte le relazioni sociali sono basate anche su una
logica di potere (anche in ambito familiare lo possiamo vedere, una relazione tra madre e figlio è legato
anche ad una logica di potere).
A partire da questa idea, questi due studiosi differenziano i bisogni alienanti da quelli radicali. Quelli
alienanti sono legati al valore di scambio, cioè nella relazione con l’altro sono legati a questa sorta di
scambio sociale.
I bisogni radicali rispondono a quelle che sono le esigenze piu profonde dell’essere umano , cioè le relazioni
autentiche dove non c’è uno scambio necessariamente, ma autentiche basate su quella che è l’esigenza
umana di relazionarsi con l’altro sulla base anche di sentimenti, emozioni ecc.
Un’altra lettura sempre in ambito psicologico, e piu recente, la forniscono Erik Erikson e Henri wallon. Erik
richiamando anche quelli che sono i contributi iniziali sul tema del bisogno, offre un elemento di analisi in
piu perché parte dal presupposto che i bisogni evolvono in base all’esperienza e al ciclo di vita.
Henri wallon , oltre ai bisogni primari, fa riferimento a una serie di bisogni che sono frutto dell’interazione
con l’ambiente, (interazione tra individuo e contesto). A seconda del contesto in cui si trova l’individuo
potranno sorgere bisogni differenti.

I bisogni educativi sono legati, come sottolinea gussot, al processo di apprendimento e di sviluppo. Al modo
in cui la persona evolve, si sviluppa, cresce e al modo in cui apprende.
Riguardano quello che è lo sviluppo umano, formazione della persona che deve essere una formazione
globale, cioè che guarda a tutti gli aspetti dell’esistenza e che deve rendere la persona in grado di potersi
esprimere al meglio e esprimere le proprie capacità.
La lettura dei bisogni educativi dipende dal tipo di approccio pedagogico che si ha e dalla concezione che
abbiamo dell’educazione.
Se io guardo all’educazione come a quel processo che aiuta a far emergere le qualità, potenzialità di quella
persona, allora il bisogno educativo sarà legato proprio alla necessità i quella persone di esprimere le
proprie capacità.
Il tema dei bisogni educativi è stato riletto anche secondo un approccio di tipo storico culturale soprattutto
da alcuni studiosi, come Lev vyhotskij. Egli fa riferimento ai bisogni storici, legati alla biografia di una
persona, al percorso di vita di una persona, bisogni sociali in riferimento alle relazioni, rapporti sociali, e
bisogni culturali legati alla propria visione della vita, cioè a come ogni persona interpreta il mondo, la realtà
che lo circonda, cioè il mondo con cui si approccia a questa realtà.
Altra lettura interessante è quella legata alla prospettiva di JOHN DEWEY (capostipite dell’approccio
pedagogico di come lo concepiamo oggi). Egli fa riferimento all’esistenza di un bisogno di maturazione
dell’individuo di cui si deve fare carico la società e la scuola ne diviene proprio l’espressione.
Lo sviluppo dell’essere umano non deve essere considerato individuale ma deve essere considerato un
fatto sociale, per cui la società ha uno specifico ruolo nella formazione dell’uomo. L’uomo non si forma da
solo, ma il suo sviluppo deve essere necessariamente letto in rapporto al contesto sociale in cui vive e si
sviluppa. Il bisogno educativo è legato alla maturazione dell’individuo all’interno di un contesto sociale piu
ampio e naturalmente la scuola diventa il contesto privilegiato di tale maturazione.

Aggettivo speciale. Riguarda l’affinamento dello sguardo, attenzione particolare che è necessario avere nel
momento in cui ci confrontiamo con condizioni di vita che sono ostacolate dalla presenza di un defiicit o
problematica particolare e che fanno emergere bisogni educativi speciali perché richiedono una risposta
speciale, ossia non ordinaria ma riguarda quella specifica condizione.
Il bisogno educativo si caratterizza come bisogno educativo speciale perché riferito ad una particolare
condizione di vita, ad una particolare problematica che si esprime attraverso la manifestazione di un
bisogno in ambito educativo.
Per quanto riguarda la prospettiva storica al concetto di BES, bisogna richiamare il contributo di Ronald
Gulliford, autore della locuzione Special educational needs e si riferisce a quel continuum di bisogni (i
bisogni non sono qualcosa di circoscritto ma è un qualcosa che si pone all’interno di un continuum
esistenziale) che molto spesso sono nascosti, latenti e quindi l’affinamento dello sguardo è legato proprio
alla possibilità di intercettare quel bisogno anche se nascosto e che soprattutto sono frutto di un intreccio di
una pluralità di fattori che possono essere di varia natura e che quindi non possono essere riconducibili a
una specifica eziologia (causa).
Bambino con dislessia-bisogno legato alla difficoltà della decodifica delle parole e delle lettere legata al
disturbo- fattori che influiscono su tale difficoltà- bisognerebbe legare la difficoltà a un percorso, ci sono
una serie di influenze ad esempio in ambito medico, contesto familiare (che invece di preoccuparsi della
difficoltà è andata a continuare e non ad aiutarlo), contesto di relazioni della scuola e classe che diventa
complesso in ragione a quelle che possono essere le conseguenze di tale difficoltà (scarsa autostima ecc)
Bisogna guardare a quella condizione di difficoltà cercando di inquadrare tutti i fattori e di come questi
fattori interagendo hanno prodotto quel bisogno educativo speciale.
Ronald Gulliford insieme alla psicologa Mia Kellmer Pringle inizia una lettura del bisogno ponendo
l’attenzione su quella che è la dimensione educativa del bisogno. Questi studiosi iniziano a porre
l’attenzione sulle dinamiche sociali che influenzano lo sviluppo individuale. Oggi sappiamo che lo sviluppo
umano è interazione di tanti fattori ma all’epoca (anni 60 del 900) non c’era tale consapevolezza e questi
studiosi hanno il merito di aver avviato una riflessione rispetto a quelle che sono le dinamiche sociali che
influenzano lo sviluppo individuale. L’individuazione di forme di intervento precoce, si inizia a fare largo
l’idea che molti bisogni emergono perché ci sono situazioni che non sono state colte in tempo, maniera
preventiva e che hanno generato condizioni sempre piu complesse.
Altro elemento fondamentale è il superamento di un modello di valutazione (al tempo vigeva il modello
basato sulla misurazione del quoziente intellettivo, per cui se rispetto ai testi psicologici sul Qi, il bambino
aveva un Qi troppo basso era destinato a scuole speciali o a scuole/classi differenziali e non si prendeva in
considerazione l’aspetto legato al funzionamento del bambino legato al contesto, cioè si focalizzava
l’attenzione solo sul dato quantitativo trascurando la dimensione qualitativa del suo apprendimento (che
poteva esprimersi diversamente).
Si introduce la logica di un modello valutativo basato sulla misurazione del Qi, in favore di una valutazione
delle differenze in termini di quozienti educativi (intellettivi?).
Il q.i in sé non ci dice niente, è limitato, è un numero, e non ci dice nulla del modo in cui apprende tale
bambino. Per questo si è passati da una valutazione legata all’aspetto quantitativo numerica e che
guardava alla performance, ad una prospettiva piu formatrice che punta l’attenzione sulla formazione
dell’uomo, non solo sulla performance che può essere valutata piu o meno adeguata ma valutare non
quanto ha appreso ma che cosa e in che modo lo ha appreso, sulla base di quali ragionamenti.
I due studiosi iniziano a inquadrare questo problema- Se io valuto il bambino dal punto di vista di un
risultato numerico quantitativo, è ovvio che molto spesso ci saranno delle lacune e quel dato mi genererà
un bisogno educativo legato a una specifica area.
Gulliford pubblica un Testo special educational need, e questo getterà le basi anche per quello che sarà il
primo documento internazionale in cui troveremo il riferimento al concetto di bisogno educativo speciale,
ossia il Rapporto Warnock del 1978, nome da questa baronessa che viene messo a capo di un gruppo di
esperti chiamati a rivedere quelle che erano le politiche e le prassi educative in gran Bretagna. La riflessione
di Gulliford viene accolta in tale ambito educativo, si inizia a parlare di BES e si individuano altri aspetti
importanti. Innanzitutto la necessità di superare un approccio dicotomico che faceva una netta separazione
tra persone con disabilita e persone senza disabilità. Emerge da questo rapporto anche la necessità di
individuare modalità diverse di supporto educativo e didattico pur mantenendo gli stessi obiettivi.
Si inizia a ragionare sul fatto che è impossibile omologare, uniformare tutte le attività, interventi didattico
educativi in ragione del fatto che c’è un eterogeneità d studenti e che quell’approccio non può andare bene
per tutti gli alunni e che quindi bisogna in qualche modo innovare gli strumenti e le strategie da utilizzare in
ambito didattico educativo. Dal documento emerge una visone interattiva dello sviluppo umano, cioè
visione che guarda allo sviluppo come frutto dell’interazione di tanti fattori
In tale rapporto WARNOCK troviamo per la 1° volta dopo l’opera di Gulliford questo concetto di Special
educational needs che nel documento si riferiscono alla ‘distanza fra i comportamenti che il soggetto
riusciva a mettere in atto e le richieste di prestazioni che venivano dall’esterno. Quella distanza, gap tra la
prestazione richiesta e quella che realmente lo studente riusciva a realizzare determinava un bisogno
educativo speciale.
Anche tale approccio iniziò a rivelare dei punti critici perché l’uso di questa espressione e aggettivo speciale
aveva contribuito a creare un ulteriore forma di discriminazione perché è come se si fosse passati
dall’approccio dicotomico /disabilità-non disabilità/ a un approccio in cui anche i BES rappresentavano una
categoria all’interno della quale inquadrare il bambino e in qualche modo andava contro la riflessione di
Galliford che non voleva produrre una nuova forma di etichettamento e discriminazione.

È diventata un’altra forma di etichettamento, cioè l’alunno BES, O o alunno DSA. MA IN REALTà BISOGNA
DIRE ALUNNO CON BES- CIOè SI ACCOMPAGNA E IL CON RACCHIUDE IL SENSO CHE LA disabilità SI
ACCOMPAGNA ALLA PERSONA CHE MANIFESTA TALE DISABILITà.
IL BAMBINO Può MANIFESTARE UN BISOGNO MA NON è IL BISOGNO QUINDI SI DICE BAMBINO CON BES.

Il discorso sui bisogni educativi speciali va ad ampliarsi DOPO IL RAPPORTO wARNOCK, Anche in ragione alla
logica dell’inclusione che iniziava a prendere piede (siamo nel 1997)- quando l’Unesco definisce i bisogni
educativi speciali e li definisce in rapporto al fatto che è un area che include tutti quegli alunni che
falliscono a scuola per ragioni diverse.
In questo documento dell’unesco viene posta l’attenzione sul fatto che la definizione di Bisogni educativi
Speciali è diventata di uso comune andando a soppiantare il termine educazione speciale, ma in realtà si
tratta di prospettive differenti. (Bisogna sapere da dove nasce il BES per capirlo bene).
Da questa riflessione sui BES emerge il fatto che non si può mai assumere un approccio lineare alla
complessità di questi bisogni. Non si può individuare la causa, analizzare le variabili in maniera singola, ma
bisogna guardare alla complessità intesa come intreccio complesso (complexus-cioè intrecciato)
Sono tutte le variabili che intervengono nel processo di sviluppo e che quindi possono portare all’emersione
di un bisogno educativo speciale, sono variabili strettamente interconnesse e non sono indagabili in
maniera singola, quindi l’approccio che si assume in maniera della lettura e dell’intervento del bisogno
educativo deve essere complesso e che tiene conto di questi diversi aspetti.

Il concetto di BES in Europa è declinato in modi diversi. Non c’è un accordo internazionale nella definizione
di BES , ma ogni paese a seconda delle politiche educative ha interpretato i BES in modo diverso. Ad
esempio in Spagna i bambini plus dotati rientrano nei bambini con BES , poiché anche vi sono difficoltà
legate a dinamiche cognitive particolarmente sviluppate.
In termini di politiche e prassi educative la declinazione del costrutto di BES si collega anche alla specificità
del contesto culturale all’interno del quale si situa questa riflessione sul BES.

4° LEZIONE: 10/03/22
Normativa che definisce l’area dei BES nel nostro paese
A partire dagli anni 70 inizia il cammino dell’Italia che condurrà al primo step importante all’inserimento dei
bambini con disabilità nelle scuole comuni.
Il cammino italiano verso l’inclusione ha scandito varie tappe definite da varie leggi che hanno sancito
provvedimenti importanti per gli studenti con disabilità e che hanno anche sollecitato una riorganizzazione
a livello scolastico educativo affinché la scuola potesse rispondere in maniera adeguata a questo grande
cambiamento visto che le scuole erano abituate a studenti che non presentavano disabilità. Accogliere
queste persone sul piano educativo e culturale rappresentò un grande cambiamento.
Possiamo individuare 3 tappe fondamentali (in Italia)
Inserimento- sancita dall’emanazione della legge 118-1971
Integrazione- emanazione legge 517 del 1977 e arriva aa piena maturazione nella legge 104 del 1992
E tappa dell’inclusione (approccio attuale)- legato ad una specifica normativa che inizia con l’emanazione
della legge 170 del 2010 ed è legata agli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento (con dsa)
Questi concenti- inserimento, ecc- sottendono vari significati legati allo specifico contesto socioculturale.
Gli anni 70 del 900 rappresentano un contesto specifico all’interno del quale maturano una serie di
riflessioni e consapevolezze. C’è un evoluzione che dagli anni 70 arrivano ai nostri giorni, e la normativa
trasforma/traduce) sul piano giuridico i cambiamenti che accadono sul piano sociale.

I primi passi della legislazione speciale- speciale perché riferita a persone con disabilità.
(Pedagogia speciale- si occupa di minori con disabilità ma poi si amplia e che poi man mano amplia il suo
campo di studi e di ricerche vino a comprendere i soggetti con difficoltà e che rischiano di essere esclusi
dalla società)

La legislazione speciale fa riferimento alla normativa legata alle persone con disabilità e alla loro
integrazione all’interno di contesti scolastici ordinari. L’interesse educativo per le varie forme di disabilità e
diversità nasce a cavallo tra l’800 e il 900 poiché in Europa e nel mondo iniziano a diffondersi istituti
speciali. Questi in realtà nascono già nel corso del 700 e sono destinate soprattutto alle persone con
disabilità sensoriali-ossia per cechi e sordi (in Francia e poi si diffondono anche in Europa).
Nell’800 iniziano a diffondersi anche istituti con persone con disabilità intellettiva per cui si apre
ulteriormente la possibilità di educazione di queste persone e quindi in questi secoli inizia a maturare un
interesse specifico nei confronti di chi è diverso rispetto alla norma e questo interesse educativo per le
varie forme di disabilità porterà allo sviluppo di diversi istituti. Quindi siamo ancora nella fase in cui
l’istruzione per queste persone con bisogni speciali avviene in istituti diversi, separati rispetto a quelli
comuni, e ciò succede anche in Italia.
Quali sono alcuni dei fattori che hanno contribuito e hanno fornito uno stimolo a quelli che erano gli studi e
le ricerche sulla disabilità e che influiscono anche sull’approccio della società nei confronti dei minori con
disabilità-?? Abbiamo un passaggio fondamentale, cioè l’istituzione dell’obbligo scolastico- legge
sull’istruzione elementare obbligatoria =legge coppino del 1877 in Italia, legge importante perché aiuta a
comprendere l’importanza dell’istruzione di base per i bambini, si inizia a guardare all’infanzia come a un
momento importante nella vita dell’uomo.
L’attenzione posta al mondo dell’infanzia parte intorno alla prima metà del 900 perché prima era
considerata un momento, un periodo di passaggio nella vita dell’uomo , mentre la parte piu importante era
la sua condizione di adulto e si considerava solo la fase matura della vita.
Con la nascita di una serie di discipline-psicologia, neuropsichiatria ecc e di movimenti pedagogici
importantissimi come l’attivismo, il movimento delle scuole nuove e la riflessione montessoriana- tutti
questi studi hanno posto la base, e concentrato l’attenzione sul mondo dell’infanzia che è un periodo
fondamentale nella storia dell’uomo e in cui si iniziano a formare molte caratteristiche dell’uomo.
Quello che succede al bambino durante l’infanzia avrà un’influenza su quello che poi sarà l’adulto. A partire
da queste considerazioni psicologiche, Anche in ambito pedagogico si inizia a fare largo a una riflessione
dedicata al tema dell’infanzia. Si pone quindi al centro del processo educativo il bambino, i suoi bisogni,
caratteristiche , le sue inclinazioni e quindi si rivoluziona il modo di fare educazione e quindi il modo di fare
scuola.
Altro elemento importante è l’affermazione di discipline quali la psicologia sperimentale, la psicanalisi, la
sociologia e la pedagogia specifica, il progresso medico scientifico che conduce allo sviluppo delle
conoscenze relative alle patologie, e quindi c’è anche un ampliamento relativo a quelle che sono le
conoscenze mediche rispetto al tema della disabilità. E c’è un consolidamento di una nuova concezione
dell’infanzia a cui contribuiscono il movimento delle scuole nuove e le correnti che fanno capo alla
pedagogia dell’attivismo- in italia la figura più imporrante è quella di Maria montessori ma c’è tutto un
filone che mette al centro il tema dell’infanzia.

L’Italia è uno dei primi paesi europei che ha previsto le prime forme di accoglienza degli alunni con
disabilità nei contesti scolastici perché matura una certa sensibilità nei confronti dei bambini con bisogni
educativi speciali, che vivono una condizione che crea uno svantaggio non solo educativo ma anche sociale,
per cui nel corso del 900, nella seconda metà del 900 soprattutto si assiste a questa evoluzione che
consente il passaggio dall’esclusione totale dal mondo dell’educazione, sociale e dal mondo lavorativo, a un
progressivo inserimento, fino ad arrivare all’integrazione e fino ad arrivare a quella. Che è la prospettiva
attuale dell’inclusione che viene definitivamente sancita dalla convezione onu dei diritti delle persone con
disabilità del 2006, convezione che poi verrà ratificata anche in Italia nel 2009 e che avrà anche delle
implicazioni importanti anche per il discorso verso l’inclusione.

Fino al 1970- abbiamo una netta separazione del sistema di istruzione (esistenza di scuole speciali
dedicate).
Periodo dell’inserimento- dal 1970 al 77
(Date riferite a specifiche leggi emanate in quegli anni e che ci danno un’idea dell’evoluzione, ma non si è
così rigidi e netti con la divisione delle date)
Integrazione . 1977-94
Inclusione (1994 ad oggi)

Agli inizi del novecento le persone con disabilità in Italia non potevano accedere alle scuole comuni
(momento di separazione) e prevaleva la scelta emarginante delle scuole, istruzioni speciali. Per cui i
bambini con disabilità motoria, disturbi dell’apprendimento andavano in scuole speciali.)
Atti normativi che sanciscono tale situazione: 1923. Riforma gentile che sancisce l’istituzione di scuole
speciali per gli alunni portatori di handicap(allora considerati così)
1928 il regio decreto che si occupa soprattutto di garantire l’elargizione di fondi alle scuole speciali (le
scuole speciali erano sovvenzionate dallo stato e ciò è importante perché inizialmente le scuole speciali
erano mantenute sul piano economico da coloro che erano filantropi o da privati che decidevano di
destinare dei fondi a queste scuole.

Quale è la situazione nella prima metà del 900? Esistono scuole speciali riservate agli alunni con deficit
anche gravi
E all’interno delle scuole ordinarie si verifica la presenza di classi differenziali, ossia classi che accoglievano
alunni cosiddetti tardivi, cioè che non riuscivano a seguire la programmazione ordinarie (rimanevano
indietro-gulliford)- classi differenziali accoglievano alunni tardivi o con lievi anomalie psichiche e sensoriali
(bambini ipovedenti)
Le classi differenziali nacquero con un obiettivo diverso, nacquero nel tentativo di consentire ai bambini che
avevano difficoltà di apprendimento, nascono come contesto provvisorio cioè doveva rappresentare solo
un momento di recupero per il bambino che poi doveva essere inserito nella classe comune. Ma le classi
differenziali diventarono classi in cui il bambino quando presentava difficoltà rimaneva lì e non faceva piu
ritorno alla classe ordinaria. Iniziò anche a diventare il ricettacolo di tutta una serie di condizioni particolari,
cioè ad esempio se il bambino era vivace e disturbava la lezione del maestro, questo lo segnalava al
direttore che lo spostava nelle classi differenziali e viene spostato anche se non presenza nessuna disabilità.

Nonostante fossero nate con l’intento di consentire ai bambini con difficoltà di recuperare le lacune,
diventarono poi un contesto di istruzione separato all’interno delle scuole ordinarie.

Negli anni 30 e 40 del 900 le istituzioni chiuse accoglievano le persone con deficit ed anche le scuole speciali
si diffusero in tutto il territorio della penisola e alcuni regi decreti furono emanati per il sostegno economico
a queste realtà che erano destinate a specifiche categorie di disabilità- cioè cechi, sordi, minorati psichici
mutilati, ecc.
A partire dagli anni 50, 60 e 70 in Italia e in altri paesi inizia a diffondersi una nuova consapevolezza. Inizia
un fermento culturale che porterà a risultati importanti. Iniziano a diffondersi i movimenti con persone con
disabilità- ossia l’associazionismo.
A partire dagli anni 60 si sviluppano associazioni e movimenti formati da persone con disabilità che iniziano
a rivendicare i loro diritti inalienabili non solo relativi all’istruzione ed educazione di base ma anche rispetto
alle condizioni lavorative, al supporto economico e quindi al sostegno sociale, cioè nelle varie aree della vita
di una persona e ciò da una forte spinta, crea nella società la necessità di guardare ai diritti e bisogni delle
persone con disabilità.
Il movimento della vita indipendente, che parte dagli stati uniti, movimento che è associazione di studenti
universitari dell’università di Berkeley, studenti disabili che decidono di rivendicare il proprio diritto e di
studiare all’interno del campus universitario e di poter vivere la vita universitaria così come gli altri colleghi
perché all’epoca gli studenti con disabilità che riuscivano ad iscriversi all’università erano costretti a vivere
fuori perché l’università non era attrezzata ad accoglierli.
Sulla scia di questi movimenti inizia l’associazionismo di persone con disabilità.
Sono gli anni anche in cui si sviluppa quel processo di democratizzazione della cultura spinto anche dalla
nostra costituzione che sancisce anche nei suoi articoli l’importanza di rendere accessibile l’istruzione a tutti
e a ciascuno.
C’è un importante movimento di contestazione (ce ne sono molti movimenti di contestazione tra gli anni
50, 60 e 70- è un periodo in cui a livello scolastico e sociale c’è un fermento culturale e intellettuale che
caratterizza tale periodo e che pone l’attenzione sulla necessità di innovare il sistema educativo e di
istruzione. Uno dei movimenti importanti nel nostro paese è un movimento che mette in discussione tutto
il sistema scolastico e la sua organizzazione nel nostro paese, e uno dei documenti emblematici è proprio la
lettera a una professoressa che mette in luce tutta una serie di elementi critici del modo di fare scuola nel
nostro paese.
È il Periodo in cui si verifica l’istituzione delle prime cattedre di pedagogia speciale (che nasce come
disciplina nella prima cattedra all’università di Roma al professore Roberto zavalloni ) e di neuropsichiatria
infantile.
Iniziano una sere di inchieste volte a mettere in luce le condizioni in cui vivono le persone con disabilità,
malati mentali, ci sono tante inchieste sulla condizione delle case di cura dove sono presenti i malati
mentali ecc. c’è questo forte giornalismo d’inchiesta) che fa emergere quanto sia cruda la realtà nella quale
vivono queste persone considerate ai margini della società.
Infine si verifica quella che CANEVARO (pedagogista speciale) ha definito il passaggio da una logica del
controllo ad una logica della negoziazione , nel senso che anche dal punto di vista della governance, delle
politiche del nostro paese, si passa da quella che vuole essere una logica del controllo su tutto quello che
succede di tutto ciò che succede- cosa che si verifica anche in ambito scolastico in cui c’è una rigidità
proprio dal punto di vista dell’insegnamento- logica del controllo che passa attraverso la figura di questo
maestro che non vuole essere messo in discussione, era il detentore del sapere, persona importantissima
che aveva un’autorità e autorevolezza ben precise e si passa da questa logica del controllo ad una di
negoziazione, ossia si inizia a comprendere che ci deve essere un dialogo tra le parti e inizia a modificarsi la
concezione dei processi educativi e formativi.
Questo ci serve a capire a come si apre la strada alla legge che sancisce la fase dell’inserimento- ossia la
legge 118 del 1971. Sancisce per gli studenti con disabilità la possibilità di entrare nelle scuole ordinarie. Da
ciò deriva lo smantellamento delle scuole speciali (si inizia a guardare ad unico sistema di istruzione che
accoglie tutti gli studenti, con disabilità e non, con la convinzione di poter creare un percorso educativo
comune che sappia incontrare anche i bisogni degli studenti con disabilità. Dal punto di vista culturale e
normativo è sicuramente una tappa importantissima perché sancisce un nuovo modo di concepire la
disabilità e l’educazione perché vuol dire aprirsi anche alla possibilità di educare e istruire persone con
specifiche esigenze, ma se da un lato c’è questo aspetto positivo, dall’altro bisogna dire che presenta anche
delle criticità perché la scuola italiana dal punto di vista materiale e organizzativo ancora non era pronta ad
accogliere persone con disabilità tant ‘è che si verificava molto spesso il fenomeno per il quale il bambino
con disabilità era inserito fisicamente in classe ma era lasciato solo nel suo percorso perché non c’era la
formazione da parte dei docenti a saper supportare questo studente dal punto di vista didattico ed
educativo, non c’era un supporto specifico e alcuni studiosi parlano di questa fase della scuola italiana
come Fase di inserimento selvaggio, perché si cercava a tutti costi a inserirli nelle scuole ordinarie ma non
si era in grado di garantire un percorso educativo efficace a questi bambini. Dal punto di vista sociale questa
norma creò molti sconvolgimenti- innanzitutto non solo per gli studenti con sviluppo tipico che non
sapevano come accogliere questi bambini, e per gli insegnanti che non erano pronti e formati a livello
metodologico e didattico ad accogliere le esigenze di questi studenti e infine sulle famiglie degli studenti
con sviluppo tipico perché si innescarono una serie di meccanismi. Molti genitori avevano paura della
presenza di bambini con disabilità perché al tempo la disabilità era ancora un po' sconosciuta e ciò che non
si conosce fa paura, inoltre si aveva il timore che la presenza del bambino con disabilità all’interno della
classe poteva rallentare il percorso di apprendimento e il normale svolgimento delle attività didattiche e i
genitori iniziano a scrivere vari organi per manifestare il proprio disaccordo.

(Film la classe degli asini)

Legge 118/71 che sancisce fra le altre cose le provvidenze a favore dei mutilati ed invalidi per l’articolo 28,
relativo ai provvedimenti per la frequenza scolastica, sancisce che l’ istruzione dell’obbligo deve avvenire
nelle classi normali della scuola pubblica, salvi casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze
intellettive o da menomazioni fisiche di tali gravità da impedire o rendere molto difficoltoso
l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali (ved slide). Quindi le disabilità piu complesse
restavano ancora fuori da contesto scolastico ordinario mentre quelle piu lievi o mediolievi potevano
accedere all’istruzione di base.
Il livello di gravità veniva definito su base medica ma spesso non corrispondeva la realtà. Cioè una difficolta
fisica/motorie non significava avere anche una difficoltà nell’apprendimento.

Questa legge per sostenere realmente la fattibilità di questa scelta di accogliere nelle scuole ordinarie gli
studenti con disabilità, si afferma nella normativa che non basta accogliere gli studenti con disabilità ma
devono essere garantiti alcuni presidi come il trasporto gratuito, superamento delle barriere
architettoniche e assistenza durante l’orario scolastico degli invalidi piu gravi. Questi erano dei presidi
importanti sicuramente però rispetto a quella che era la qualità del percorso scolastico non c’era ancora
nessun tipo di attenzione e accorgimento particolare per cui restava scoperta questa dimensione, che era
anche la piu importante.

Slide aspetti positivi e limiti della legge del 118- la pavone sottolinea gli aspetti positivi e le criticità di
questa norma- prima di tutto la prospettiva dell’inserimento è sicuramente fondamentale perché mette a
disposizione una serie di presidi, professionisti e di azioni che sono finalizzate a rendere sostenibile la
scelta dell’inserimento, cioè consentono sul piano pratico l’effettivo inserimento di tali studenti, ma si
mette anche in evidenza che la quantità di questi presidi erogati non corrisponde alla qualità del percorso
didattico che può essere assicurato perché si ferma a quello che è l’inserimento fisico del bambino
(l’abbattimento delle barriere architettoniche, il trasporto ecc consentono l’accesso fisico al bambino a
scuola) ma sul piano didattico non garantiscono un percorso che rispetti esigenze particolare di uno
studente, la qualità del percorso scolastico e del risultato ottenuto
Alla luce di tutte queste criticità emerse si decide di organizzare una commissione che si occupi sul piano
politico di questi aspetti e che cerchi di rispondere alle criticità emerse. Viene istituita nel 1975 questa
commissione presieduta dalla senatrice Franca Falcucci questa commissione che mette insieme un team di
esperti per studiare questo processo di inserimento con tante falle per cercare di portare avanti e di
incrementare l’idea di una scuola che potesse esser in grado di accogliere la diversità e puntando a
sollecitare, stimolare una visione della disabilità intesa come arricchimento e non ostacolo al
raggiungimento di determinati obiettivi., Partendo dal presupposto che per fare questo era necessario
rinnovare dal punto di vista metodologico e strutturale la didattica del periodo spingendo tanto sul
condurre studi e ricerche che potessero fare questo lavoro. Sulla base del lavoro di questa commissione si
andarono a delineare alcuni principi pedagogici, cioè si capì l’importanza di recuperare la dimensione
pedagogica della scuola. Cioè oltre a tutti i presidi importanti, questo nuovo modo di fare scuola, questo
processo che cercava di andare incontro alle esigenze dei bambini con disabilità doveva essere sostenuto
da una serie di principi pedagogici importanti.
Innanzitutto il discorso legato alle potenzialità del singolo bambino con disabilità, cioè il guardare a quel
bambino non come un bambino con una patologia, ma guardarlo nell’ottica di quelle che potevano essere
le sue potenzialità e al modo in cui farle emergere dal punto di vista didattico. Altro elemento messo in
evidenza era la necessità di costruire obiettivi comuni alle varie istituzioni scolastiche, cioè dare una cornice
di riferimento rispetto a quelli che potevano essere gli obiettivi per ogni istituzione scolastica, un quadro di
obiettivi di riferimento per rendere omogenea la didattica. Altro elemento focale fu la ridefinizione del
modello di scuola e dei sistemi di valutazione, cioè si iniziò a capire che il modello tradizionale basato su un
tipo di didattica trasmissiva , cioè legata alla lezione frontale in cui il docente forniva una serie di nozioni,
concetti a cui spesso gli alunni erano chiamati ad apprendere e ricordare in maniera mnemonica, senza
andare in profondità. Un sistema di valutazione che spesso era basato su un approccio di tipo quantitativo.
Si capì che nel momento in cui accogliamo la disabilità, la diversità non si può pensare di non cambiare e
riorganizzare il sistema della scuola e di valutazione poiché si mette il bambino con disabilità in una
condizione di svantaggio.(non si puo usare lo stesso metodo ma bisogna riorganizzare l’assetto scolastico)

Inizia a farsi strada il discorso sulla pluralità delle intelligenze (gardner che ha fornito un grande contributo
per la pedagogia, cioè partire dal presupposto che ogni studente può avere un’inclinazione o intelligenza
particolare e ciò presuppone il fatto che io non posso usare per tutti quell’approccio didattico, che può
andare bene per un alunno con una specifica intelligenza ma non per gli altri, quindi se voglio fare una
scuola che accoglie tutti devo necessariamente pensare a una didattica maggiormente diversificata che
accoglie tutti nelle strategie da usare e modalità relazionali e comunicative)
Si inizia a porre l’attenzione su quella necessaria interazione tra il soggetto con disabilità e la classe, perché
la presenza del primo aveva messo in luce una serie di criticità rispetto alla gestione della classe e alle
dinamiche relazionali della classe e anche lì ci doveva essere una lettura specifica per quelle che potevano
essere le strategie per favorire l’interazione tra il soggetto con disabilità e gli altri.
Oggi obiettivo è la risorsa compagni.
Questa commissione prepara il lavoro a quella che poi sarà l’emanazione della legge 517 del 1977.
È una pietra miliare nel percorso verso l’inclusione perché è la legge che introduce e avvia il processo di
integrazione scolastica degli studenti con disabilità. Si va aldilà del l’inserimento e si apre una nuova
prospettiva perché grazie a questa legge si pone l’attenzione anche alla qualità del percorso scolastico dello
studente con disabilità, si va oltre alla logica dell’erogazione del presidio ,(che va bene ma che poi non può
influire sul percorso didattico). e punta l’attenzione sulla qualità del percorso didattico dello studente e per
far ciò introduce una figura fondamentale- ossia dell’insegnante di sostegno.
Legge 517- introduce nella scuola italiana la figura dell’insegnante di sostegno
Quest’insegnante di sostegno inizialmente per la scuola elementare e poi esteso agli altri ordini e gradi,
erano insegnanti di ruolo o incaricati a tempo indeterminato in servizio presso la scuola media e in possesso
di particolari titoli di specializzazione . (Oggi invece c’è un percorso specifico che ti abilita)
All’epoca l’insegnante di sostegno per le scuole elementari era un insegnante di ruolo proveniente dalle
scuole medie perché si pensava che lavorando in un contesto di istruzione più alto avesse anche delle
competenza maggiori, oppure un insegnante con incarico a tempo indeterminato che magari aveva fatto
percorsi di formazione specifici e titoli particolari tali da poter esser affiancato al bambino con disabilità. È
un passo importante perché si comprende l’importanza di mettere a disposizione del bambino con
disabilità una figura che potesse essere di reale supporto al suo percorso.
L’insegnante di sostegno nasce come insegnante della classe e non del singolo bambino con disabilità ma
nel corso del tempo si è creata una sorta di fenomeno per cui l’insegnante di sostegno lavora solo con il
bambino con disabilità o molto spesso nella percezione degli insegnanti di sostegno che hanno la
percezione di sentirsi degli insegnanti di serie b. Cioè in Italia c’è una logica di sottovalutare l’insegnate di
sostegno.
Oltre all’introduzione di questa figura fondamentale, la legge 517 propone anche una serie di elementi
innovativi rispetto alla didattica, al modo di fare scuola. Viene introdotta la didattica per classi aperte, si
inizia a parlare di flessibilità dei percorsi (si cerca di ragionare non piu nella logica rigida del programma ma
si da spazio alla programmazione- il programma è rigido, ha un inizio e una fine e non può essere
modificato, mentre nella logica della programmazione c’è la flessibilità cioè qualcosa che può essere
modificato nel tempo a seconda delle caratteristiche dei bambini,) la programmazione consente il ricorso a
strategie didattiche e strumenti diversificati che vanno incontro alle esigenze del bambino.
E si va a modificare anche il sistema di valutazione, si inizia a introdurre l’elemento qualitativo cioè che non
basta solo fare un test che fornisce un dato quantitativo ma non ci dice nulla di quello che è il processo di
apprendimento che si è sviluppato. Si inizia a modificar l’assetto della valutazione in ambito scolastico.
La legge 517 ha anche il merito di abolire le classi differenziali che continuavano ad esistere con la legge
precedente. Questa legge le abolisce perché rappresentavano dei luoghi segregati, di separazione, mette in
evidenza la necessità di un’azione interistituzionle, cioè matura l’idea che l’integrazione del bambino con
disabilità non può e non deve essere soltanto una preoccupazione un problema della scuola, ma deve
prevedere anche il coinvolgimento di altri attori istituzionali. (Medico che fa la diagnosi, equipe
multidisciplinare , perché è necessaria un’azione che vada oltre della della scuola. Nasce la
programmazione come modalità che consente lo sviluppo delle potenzialità individuali e che conosce le
differenze individuali e iniziano a delinearsi quei documenti che consentono l’individuazione del percorso
scolastico del bambino con disabilità, ossia diagnosi funzionale, profilo dinamico funzionale e piano
educativo individualizzato. Oggi la riflessione su questi documenti sarà poi portata a maturazione anche con
la legge 104 del 92. Oggi esiste solo il Profilo di funzionamento (che accorpa la df e il pdf )- alla base del
piano educativo individualizzato.

Suggerimenti metodologico-didattici
Il concetto di programmazione che va a sostituirsi a quello di programma dà la possibilità di un’ampia
azienda parte dell’insegnante, consente di articolare in modo diverso il percosso del bambino con disabilità
perché introduce la possibilità di lavorare in maniera interdisciplinare, cioè di collegare le varie discipline,
creare percorsi che siano reticolati in modo che gli insegnanti possano confrontarsi rispetto a quello che è il
percorso del bambino con disabilità e questo è molto importante perché crea il necessario dialogo tra i vari
attori.
La logica dell’interdisciplinarità che oggi è il fulcro della didattica attuale affonda le sue radici nella legge517
del 77 che per la prima volta afferma la possibilità di lavorare e organizzare percorsi in maniera
interdisciplinare, organizzati sia per gruppi della stessa classe che di classi diverse.(importante anche per il
discorso dell’interazione tra soggetto e contesto classe perché consente quell’apertura non solo rispetto
alla risorsa compagni della classe ma apre anche ad una logica piu ampia nell’ottica di classi aperte e nello
scambio non solo a livello di classi ma anche a livello di istituto.
In questa norma troviamo anche delle iniziative di sostegno allo scopo di interventi individualizzati rispetto
a quelle che sono le esigenze dei singoli alunni, interventi individualizzati che possono essere realizzati
ricorrendo a usili particolari, strumenti e strategie didattiche particolari, per cui questo concetto di
individualizzazione inizia a farsi strada con tale legge. (Anche se è ancora immaturo.)

?Questo periodo pone l’attenzione sulla necessità di rinnovare il sistema di istruzione

Lezione 5° : 17/03/22
Verso l’INTEGRAZIone: la legge 517/77
Integrazione-inizia con la legge 118 e poi continua con la legge 517 del 77 e pone maggiore attenzione e
segna quello che è il cammino verso l’integrazione dei bambini con disabilità perché introduce l’insegnante
di sostegno.

Legge che porta a piena maturazione il discorso dell’integrazione – legge 104 del 1992- legge quadro per
l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap.
In questa legge di vari aspetti troviamo vari aspetti dedicati all’integrazione scolastica degli studenti con
disabilità. Con questa legge viene messo a punto un sistema con servizi dedicati alle persone con disabilità.
In questa legge è ancora presente la parola handicap che non indica la disabilità di tipo fisicosensoriale, ma
fa riferimento alla situazione di svantaggio che consegue la disabilità.
Quando una persone presenta una disabilità può vivere uno svantaggio, e tale svantaggio è l’handicap.
Nell’ambito di questa legge si afferma una prospettiva di cura pedagogica e sociale che ha una natura
olistica e sistemica. Si presuppone che il fenomeno, la condizione di disabilità non possa essere presa in
carico soltanto in riferimento ad una specifica dimensione (la disabilità non riguarda solo la dimensione
sociale, scolastica, lavorativa ecc) ma riguarda tutte le dimensioni. È impossibile ragionare per settori ma da
un punto di vista normativo ci deve essere una visione olistica della persona e un sistema di supporti che sia
integrato e possa sostenere la persona con disabilità da più punti di vista.(lavorativa, sociale, scolastica)
C’è una progressiva presa di coscienza rispetto alla natura olistica dei servizi e reti di supporto per le
persone con disabilità
Per quanto riguarda la scuola la legge 104 sancisce che il processo di integrazione scolastica fa parte di un
processo molto piu ampio di integrazione scolastica che coinvolge vari attori che ruotano intorno alla vita
della persona con disabilità. Si assume la prospettiva secondo la quale lo stato deve farsi carico di quella
che è la condizione della persona con disabilità mettendo a disposizione una rete di supporto che possa
riguardare tutte le varie dimensioni dell’esistenza, e questo ha anche una ricaduta sul percorso scolastico
dello studente.
Non è possibile guardare al percorso scolastico solo come pezzo della vita della persona con disabilità ma
deve essere messo in relazione anche con le altre dimensioni dell’esistenza umana, per cui anche tutto
quello che viene messo a disposizione dello studente con disabiltà lo si deve fare anche nell’ottica piu
ampia di quella che deve essere l’integrazione sociale e piu avanti integrazione lavorativa. Quindi deve
essere un’ottica a lungo termine.
Per quanto riguarda i documenti che sostengono il percorso scolastico dello studente con disabilità,
facciamo riferimento a tre documenti in particolare, ovvero la diagnosi funzionale, il profilo dinamico
funzionale e PEI (piano educativo individualizzato)
La DF E IL PDF attualmente sono ricompresi all’interno di un unico documento che è il profilo di
funzionamento. (Perché gli studi sono andati avanti e oggi parliamo di inclusione e ciò orienta le politiche
scolastiche di vari paesi, e per tanto in virtù di una serie
La diagnosi funzionale descrive la situazione clinico-funzionale del minore al momento dell’accertamento
ed evidenzia i deficit e le potenzialità sul piano cognitivo, affettivo- relazionale, sensoriale; include le
informazioni essenziali utili per individuare, con i diversi attori coinvolti, i supporti più opportuni e per
consentire alla scuola e all’ente locale l’attribuzione delle necessarie risorse.
Il profilo dinamico funzionale (PDF) è successivo alla diagnosi funzionale e indica, dopo un primo periodo di
inserimento scolastico, il prevedibile livello di sviluppo dell’alunno con disabilità, attraverso l’analisi delle
caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive del soggetto, le difficoltà di apprendimento e le
possibilità di recupero, nonché le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e
progressivamente rafforzate e sviluppate. Il PDF è redatto dall’unità multidisciplinare che elabora la
diagnosi funzionale, dai docenti curricolari e dagli insegnanti specializzati della scuola, con la collaborazione
dei familiari dell’alunno.
Il piano educativo individualizzato (PEI) è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati e
tra di loro equilibrati, predisposti per l’alunno con disabilità, in un determinato periodo di tempo, ai fini
della realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione. Alla definizione del PEI provvedono
congiuntamente gli operatori delle ASL e, per ciascun grado di scuola, il personale insegnante curricolare e
di sostegno della scuola, con la partecipazione dell’insegnante operatore psicopedagogico individuato
secondo criteri stabiliti dal MIUR con la collaborazione dei genitori dell’alunno con disabilità.
Il Piano Educativo Individualizzato
Il Piano Educativo Individualizzato si articola nelle seguenti parti:
1. dati dell’alunno
2. contesto scolastico
3. aree di intervento e obiettivi a breve e medio termine 4. modalità di intervento
5. verifica e valutazione

Cf- sistema di classificazione utilizzato anche a scuola per aiutare gli insegnanti ed educatori a capire quale
è il profilo di funzionamento dello studente, i suoi punti di forza e di debolezza, quali sono le barriere o i
facilitatori che possono ostacolare o promuovere il processo di inclusione dello studente con disabilità. È un
documento importante perché non solo recepisce la logica dell’inclusione ma contribuisce a guardare la
disabilità in un’ottica diversa perché il modello interpretativo della disabilità che alla base di questo sistema
di classificazione è un modello di tipo biopsicosociale.
Il concetto di disabilità è stato interpretato nel corso del tempo, a partire dalla seconda metà del 900 sulla
base di modelli interpretativi. Per organizzare quella che è la rete di supporti e presidi, sussidi per le
persone con disabilità si è rappresentata la necessità di avere un modello interpretativo per la disabilità
come riferimento. Il primo modello interpretativo è stato definito modello medico individuale, è un
modello che interpreta la disabilità come caratteristica intrinseca dell’individuo. La persona con la sindrome
di down viene identificata con la sindrome di down perché quella sindrome è la caratteristica di quella
persona, per cui quella che è la logica con la quale si ci approccia alla disabilità è una logica di tipo medico-
curativo. Bisogna curare la persona con la disabilità per portarla ad una condizione di salute o di normalità
(concezione del modello)
A tale modello si contrappone il modello sociale della disabilità che sposta l’attenzione dalla persona alla
società partendo dal presupposto che è la società che genera la disabilità.
Ad esempio la presenza delle rampe o delle scale per una persona in carrozzina. È il contesto sociale e la
presenza delle scale a generare l’handicap, ossia la situazione di svantaggio per la persona con disabilità
rispetto alla possibilità di accedere a un edificio, struttura per la presenza delle scale.
Laddove invece il contesto si configura come accessibile non ci sarebbe questo tipo di conseguenza. La
disabilità secondo questo modello viene intesa come fattore sociale.
A questi modelli se ne aggiunge un terzo che cerca di fare sintesi a questi due, ed è il modello biopsichico
sociale-m che piuttosto che guardare solo all’individuo o solo ai fattori sociali, parte dal presupposto che la
disabilità emerge dall’interazione del soggetto con l’ambiente, mette in interazione questi due aspetti
perché è proprio dal rapporto , dialogo della persona con i suoi contesti di vita che può far emergere la
disabilità e nell’ottica di tale modello la disabilità si configura come una possibile manifestazione dell’essere
umano, cioè uno dei tanti modi di essere della persona, quindi non imputabile né al soggetto né
esclusivamente al soggetto ma come prodotto dell’interazione di vari fattori, (biopsichico sociale) cioè
dimensione biologica della persona, dimensione psicologica, dimensione sociale e culturale legata al
contesto di vita e questi aspetti sono interconnessi e dalla loro interazione può emergere la disabilità come
variabile dell’espressione dell’uomo e sulla base di questo modello si sviluppa anche il sistema di
classificazione in CF, ovvero classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute
che partendo dal presupposto che la disabilità non deve esser intesa nell’accezione negativa come qualcosa
che manca o caratterizza in maniera negativa la vita della persona, ma deve esser intesa come una possibile
condizione in cui viene a trovarsi in maniera temporanea o permanente la persona quindi come un
concetto evolutivo (perché la disabilità può evolvere in ragione dell’interazione del soggetto con il proprio
contesto, è un concetto legato al contesto di riferimento ed è un concetto multidimensionale., che riguarda
tanti aspetti della vita di una persona)
Tale classificazione internazionale parte da quelli che sono aspetti positivi, ossia il concetto di
funzionamento e di salute. Non si parla piu di malattia, patologia ma si parla del modo specifico di
funzionare di una persona e l’intento è cercare di puntare l’attenzione non su ciò che può mancare di una
persona ma su quello che c’è, andare a sottolineare le potenzialità, sottolineare ciò che può fare. Questo è
molto importante anche dal punto di vista educativo e didattico, perché pensare a ciò che può fare il
bambino o ragazzo se opportunamente supportato naturalmente fa si che anche il percorso scolastico si
definisca in modo diverso.
Il CF fa riferimento nella sua articolazione a quelle che sono le funzioni nelle strutture corporee e ai concetti
di attività e partecipazione, cioè il livello di Funzionamento di una persona è dato dalla possibilità di
partecipare attivamente a un contesto e tale grado di partecipazione è collegato a quelle che sono barriere
e facilitatori, cioè tutte quelle condizioni, situazioni, strumenti che possono rappresentare un ostacolo o un
facilitatore alla partecipazione dello studente alla vita scolastica, sociale (o facilitatori, cioè un mezzo che
promuove la partecipazione)
Quando parliamo di barriere o facilitatori non si fa riferimento solo a elementi materiali, fisici, architettonici
ma anche culturali, linguistici, la stessa lingua può essere una barriera alla partecipazione perché implica al
bambino straniero di non poter partecipare alla lezione, o il pregiudizio che può essere una barriera.
Facilitatori possono esser tutti quegli strumenti che consentono il pieno coinvolgimento dello studente
nelle vita scolastica.
Classificazione Internazionale del funzionamento – ICF (approvata dall’OMS nel 2001) “International
Classification of Functioning”, che si propone come un modello di classificazione bio-psico-sociale
decisamente attento all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale,
culturale e personale in cui essa vive.

Profilo di funzionamento perché si fa riferimento ai CF che guarda non alla condizione di malattia, ma al
funzionamento di una persona., cioè guardare agli aspetti positivi della persona.
Il profilo di funzionamento rappresenta la base del piano educativo individualizzato che vien redatto per gli
studenti con disabilità certificata e che so tutelati dalla legge 104 del 92.
Processo dell’integrazione- lo riassumiamo individualizzando tre fasi
Prima fase- risale agli anni 70- (fase iniziale) – si parte da una condizione di inserimento selvaggio, laddove
c’era un inserimento meramente fisico delle persone con disabilità negli istituti scolastici, ma dal punto di
vista metodologico, didattico ls scuola era impreparata ad accogliere tali studenti (dal punto di vista
metodologico, organizzativo erano impreparate ad accoglierli)
Seconda fase- anni ’80- fase di stallo tra la legge 517 e 104 in cui si inizia a maturare quella che è stata
definita una consapevolezza integrativa con attenzioni sempre maggiori e competenti alle esigenze degli
studenti con disabilità e con insegnanti sempre piu preparati (introduzione dell’insegnante di sostegno che
aveva contribuito a ripensare i percorsi di formazione, c’è una competenza maggiore degli insegnanti di
sostegno che fanno una formazione specifica su quelle che sono le singole disabilità, su quelli che possono
essere gli approcci e le strategie didattiche da utilizzare. Matura una consapevolezza diversa e maggiore
rispetto a quella precedente)
Terza fase- anni 90, con la legge 104- fase definita di attenzione integrativa, si verifica una presa in carico
globale delle persone con disabilità da parte della società e si punta l’attenzione su questa logica del
supporto interistituzionale, cioè si capisce che la scuola da sola non può farsi carico di tutte quelle che sono
le esigenze e i bisogni dello studente con disabilità ma deve esserci un’interazione interistituzionale, un
supposto che possa prendersi in carico globalmente la persona con disabilità, Quindi non solo in
riferimento al contesto scolastico ma anche integrazione a livello sociale.
Inizia anche a livello internazionale a emergere una prospettiva ancora diversa rispetto a quella
dell’integrazione. Inizia a maturare una concezione, una consapevolezza che alla base dell’integrazione
c’era una visione per la quale era la persona con disabilità in qualche modo a doversi adattare al contesto
di riferimento, (scolastico, sociale lavorativo, ecc). C’era ancora un percorso di adattamento che andava
dalla persona all’ambiente. Con il maturare della logica dell’integrazione iniziano anche a maturare altre
riflessioni in riferimento alla disabilità.
L’Integrazione va a individuare quel processo attraverso il quale le diverse identità (a scuola solo lo
studente con disabilità e il resto della classe, il gruppo) (individuo e gruppo- )tendono a costituire una
totalità e a raggiungere un equilibrio prevedendo un percorso di adattamento che parte soprattutto dalla
persona.
La qualità di quella che è l’azione didattica educativa si determina attraverso il reciproco adattamento tra
l’individuo e la situazione ambientale. Quindi sicuramente il contesto che è chiamato ad accogliere
integrare si modifica ma si modifica in primis la persona che deve integrarsi, adattarsi a quel contesto- c’è
un reciproco adattamento.
Sul piano didattico la prospettiva dell’integrazione comporta l’adozione di una serie di strategie e
metodologie favorenti l’integrazione e il processo di adattamento dello studente nei confronti del contesto.
È una fase importante della scuola italiana perché nel processo di integrazione iniziano a maturare tante
strategie importanti che oggi sono alla base della prospettiva dell’inclusione, come l’apprendimento
cooperativo, cioè il lavoro di gruppo che è una grande risorsa per lo studente con disabilità, il lavoro in
coppia o il peertutoring, il tutoring tra pari che mette in condizione lo studente con disabilità non tanto di
assumere la funzione di tuti ossia della persona che riceve il supporto, ma diventa efficace quando lo
studente con disabilità acquisisce la funzione di tutor, e quindi ha una responsabilità nei confronti del
proprio compagno e ciò dal punto di vista di autostima è importante ma anche dal punto di vista didattico
di quelle che sono le sue competenze rappresenta una strategia importante. L’apprendimento di(per)
scoperta, cioè mediante le attività di tipo laboratoriale, cioè offrire agli studenti la possibilità di apprendere
in maniera diretta sperimentando in prima persona quello che può essere un concetto particolarmente
complesso.
L’apprendimento che avviene in maniera sperimentale risulta particolarmente importante per quelle
tipologie di disabilità dove il processo di astrazione diventa particolarmente complicato per cui ad esempio
l’attività laboratoriale per lo studente con disabilità rappresenta un momento di fare da solo, di toccare con
mano quello che invece prima era solo teorico e restava tale.
L’inserimento di tutte queste nuove strategie, metodologie è stato fondamentale dal punto di vista
dell’integrazione scolastica. La frammentazione del tempo da dedicare alle attività, l’utilizzo di mediatori
didattici, di attrezzature e ausili informatici- quindi con l’avvento delle tecnologie il processo di integrazione
in alcuni casi è stato maggiormente sostenuto dalla possibilità di utilizzare le tecnologie che per alcune
disabilità sono strumenti importanti.

Progressivo passaggio dalla logica dell’interazione a quella dell’inclusione


Per comprendere come man mano si è affermata questa prospettiva dell’inclusione occorre fare
riferimento a due eventi fondamentali- la conferenza di Salamanca del 1994 alla quale partecipano piu di
90 paesi del mondo e durante la quale si sottolinea la necessità di rendere i percorsi educativi e di
istruzione accessibili a tutti, si inizia a parlare di educazione per tutti, di bisogni educativi speciali ponendo
l’attenzione su quelle che possono essere le condizioni di svantaggio, le varie difficoltà che gli studenti
possono incontrare lungo il loro percorso e si inizia a pensare che l’attenzione non va posta solo alle
specifiche condizioni di disabilità ma in un’ottica piu ampia bisogna guardare alle varie forme di svantaggio
che gli studenti possono sperimentare durante il loro percorso scolastico.
A tale evento occorre anche accompagnare un documento fondamentale. Ossia la convenzione delle
nazioni unite delle persone con disabilita del 2006, importante non solo perché ribadisce e sancisce i diritti
inalienabili delle persone con disabilità, ma specifica anche una serie di principi che sono alla base della
logica dell’inclusione, in riferimento al tema dell’uguaglianza, delle varie opportunità, della valorizzazione
delle differenze individuali ecc.
Tale convenzione verrà poi ratificata dal parlamento italiano nel 2009 e da tale momento in Italia la logica
dell’inclusione prende piede e dal 2010 saranno messe in campo una serie di azioni normative volte proprio
a promuovere l’inclusione scolastica.

La prospettiva dell’inclusione(diversa dall’integrazione)


Si parte dal presupposto che la persona con disabilità è parte integrante della comunità al pari di altri. I
principi di funzionamento e le regole del contesto devono essere formulati avendo presenti tutti i
componenti, ognuno portatore della propria specificità- la diversità di ciascun diviene la condizione
normale tanto nella società cosi come nella scuola in aula. E nell’ottica dell’inclusione è il sistema scolastico
che deve adattarsi a quelle che sono le esigenze specifiche degli studenti che non sono solo studenti con
disabilità, ma che possono avere esigenze diversificate
In quest’ottica è il sistema scolastico che deve riorganizzarsi e adattarsi preventivamente alla eterogeneità
degli alunni.

Passaggi che hanno segnato il percorso verso l’inclusione:


 Conferenza di salamanca del 94
 carta di Lussemnburgo del 96- slogan una scuola per tutti e per ciascuno (si fa riferiemnto alla
necessità di offrire a tutti le stesse opportunità, cioè accessibile a tutti senza differenze che possono
essere legate alla disbailità, etnia religione ecc, e per ciascuno perchè è calibrata sulle singole
esigenze , specificità , caratteristiche individuali. Quindi per tutti in termini di uguaglianza, pari
opportunita e per ciascuno a partire da quella che è la valorizzazione delle differenze individuali.
L’ottica non deve essere mai quella dell’ uguaglianza intesa come appiattimento, uniformità di tutti
gli studenti ma la logica è quella di valorizzare le specificità individuali, offrendo pari opportunità
ma allo stesso tempo per ciascuno andando a organizzarsi su misura per ciascuno studente.
 Unesco 2000- education for all (che promuove tutti questi principi)
 —> convenzione delle nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità 2006
 –2009-2010-italia
(Eventi che hanno segnato tappe importanti verso l’inclusione )

Principi fondamentali che troviamo nella convenzione delle nazioni unite


Rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale e la libertà di compiere le proprie scelte (cioè
principio di autodeterminazione-. Capacità di ogni singolo individuo di operare delle scelte che possano
essere utili alla propria vita, quindi laddove alle persone con disabilità viene negata la possibilità di
autodeterminarsi seppure questa persona sia in grado di farlo da sola )-
Principio di non discriminazione, rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come
parte della diversità umana e dell’umanità stessa,
Discorso di piene e pari opportunità anche nelle differenze di genere, principio di accessibilità (non solo
luogo-accessibilità di tipo architettonico, ma anche alla conoscenza, istruzione) e piena ed effettiva
partecipazione ed inclusione all’interno della società.
Tale convenzione che viene ratificata in Italia nel 2009 avvia il processo di inclusione scolastica in italia che
si fa ad alcuni riferimenti normativi fondamentali.

Con Legge 170 del 2010 e successive linee guida del luglio 2011 si inizia a parlare di inclusione in riferimento
in primis ai bambini con disturbi specifici dell’apprendimento (dsa), studenti che a causa di un disturbo che
può esser legato alla sfera della scrittura (disortografia, dislessia, discalculia, disgrafia), lettura, del calcolo ,
della grafia e gli studenti con questi disturbi sono tutelati da tale legge (anche in ambito universitario) e si
riconosce che a fronte di questo disturbo c’è una difficoltà oggettiva nel processo di apprendimento che
non è legata a un deficit a livello cognitivo (l’intelligenza è nella norma) ma c’è una difficoltà legata a
quell’abilità specifica. (Lettura, calcolo ecc) Quindi a fronte di tale difficoltà è necessario supportare tali
studenti con strumenti compensativi che possono andare a compensare quella abilità che risulta inficiata da
quel disturbo, o misure dispensative, cioè dispensare tali studenti dallo svolgere determinate attività.
(Attenzioni necessarie senza le quali il loro percorso scolastico andrebbe incontro a innumerevoli difficoltà
legate a un disturbo neurobiologico che non possono essere curati ma bisogna compensare le difficoltà
legate a tale disturbo.)

Lo step successivo è la direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 con la successiva circolare del 6 marzo
2013, numero 8 – direttiva ministeriale che definisce l’area dei bisogni educativi speciali. È un passaggio
fondamentale perché all’interno di questa normativa si riconosce che per tutti quegli studenti che non
hanno una certificazione di disabilità- cioè non è presente un disturbo ma c’è comunque una difficoltà nel
processo di apprendimento o nel percorso scolastico legate a varie ragioni, per favorire l’inclusione è
necessario individuare degli strumenti compensativi o delineare un percorso didattico personalizzato. Pdp-
documento specifico che si chiama piano didattico personalizzato.
È importante perché si riconosce così come . Ronal gulliford (introduce il concetto di bes) parte dal
presupposto che anche nella scuola britannica negli anni 70 notava che in assenza di una certificazione
specifica c’erano comunque studenti che restavano indietro per ragioni diverse e introduce il concetto di
bisogno educativo speciale.
E la normativa italiana parte dal presupposto che anche gli studenti con disabilità o con DAS presentano
dei bes , ma sono studenti che sono già tutelati da una norma. Coloro che non sono tutelati sono tutti gli
studenti che possono vivere una condizione di svantaggio ma non è certificata, ad esempio i bambini
stranieri che non conoscono la nostra lingua ma non hanno nessuna certificazione che certifichi la sua
difficoltà (non ha nessun tipo di deficit, disturbo o problemi nell’apprendimento ma ha una difficoltà
oggettiva dal punto d vista scolastico e- se non intercettiamo quella difficoltà e non ci facciamo carico di
essa ovviamente il percorso verso l’inclusione di quel bambino sarà fallimentare, e pertanto tale normativa,
partendo da questo , ci dice che possiamo personalizzare il percorso di quello studente calibrandolo sulle
sue esigenze specifiche andando a modificare ad esempio anche gli obiettivi curricolari, didattici del
bambino, perché è ovvio che il bambino straniero in lingua italiana non potrà raggiungere lo stesso
obiettivo del bambino italiano. Si modifica l’obiettivo in ragione di quella specifica situazione, non si
possono mantenere gli stessi obiettivi per tutti perché genererebbe forme di esclusione diverse.
Quindi si va a riconfigurare e calibrare il percorso didattico attraverso il pdp, consentendo al bambino di
raggiungere quegli obiettivi che sono congeniali alla sua specifica condizione.

Un bambino che vive un momento familiare particolarmente delicato come separazione dei genitori, o
morte di una persona importante ha ripercussioni sul percorso scolastico e necessita una risposta didattica
educativa personalizzata da parte dei docenti, cioè calibrata su quella che è la specifica condizione dello
studente e- questo vuol dire promuovere l’inclusione a scuola, cioè intercettare tutte queste differenze.
In una classe ci sono eterogeneità, e profili variegati ed è impossibile per l’insegnante personalizzare sul
singolo allievo ma l’idea dovrebbe essere quella di cercare di intercettare tutte quelle difficoltà non solo
diagnosticate ma legate a motivi diversi e trovare una risposta didattica calibrata rispetto a quella che è la
specifica condizione.

Ultimo step verso il percorso dell’inclusone è la legge 107 del 2015 con il successivo decreto del 13 aprile
2017 numero 66 che esplicita in maniera dettagliata come si concepisce l’inclusone in italia.
Nel dl numero 66 possiamo leggere che l’inclusione scolastica :
A) riguarda le bambine e i bambini gli alunni e le alunne , studentesse e gli studenti
risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e
didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno nel rispetto del diritto
all'autodeterminazione e all'accomodamento.
ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità di vita; (non c’è mai riferimento allo
studente con disabilità perché l’inclusione cerca di superare questa logica legata solo alla
persona con disabilità che ovviamente ha dei bisogni speciali ed esigenze specifiche dei
quali la scuola e la società si fanno carico, ma l’inclusione è un processo che riguarda
tutti gli studenti, l’attenzione è alle differenze individuali) Pedagogia delle differenze- va oltre
il discorso sulla disabilità. ) l’inclusione è un processo che riguarda tutti gli studenti e alle differenti
condizioni che possiamo incontrare all’interno di un percorso educativo, scolastico, l’attenzione è alle
differenze individuali)

b) si realizza nell'identità culturale, educativa, progettuale, nell'organizzazione e


nel curricolo delle istituzioni scolastiche, nonché attraverso la definizione e la
condivisione del progetto individuale fra scuole, famiglie e altri soggetti,
pubblici e privati, operanti sul territorio;
c) è impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica le
quali, nell'ambito degli specifici ruoli e responsabilità, concorrono ad
assicurare il successo formativo delle bambine e dei bambini, delle alunne e
degli alunni, delle studentesse e degli studenti» (il senso è andare oltre la logica del
supporto allo studente con difficoltà ma andare a comprendere individuare interpretare le
difficoltà che possono presentarsi)

Prospettive a confronto-
Integrazione/ inclusione
Da un lato il processo di integrazione riguarda la scuola e tutto cio che guarda la didattica la classe e il
focus è sugli allievi che presentano difficoltà rispetto alle modalità attraverso le quali è possibile
integrarli all’interno del contesto classe e il Focus specifico è nell’integrazione degli studenti con
disabilità.
Nella prospettiva dell’inclusione c’è un focus sul processo scolastico, ma l’inclusione è un processo piu
ampio che riguarda anche l’ambiente sociale e politico. C’è un orizzonte di azione molto piu ampio
all’interno del quale c’è una parte specifica che riguarda l’inclusione scolastica ma in generale si tratta
di inclusione a livello globale, sociale.
E il focus è su come il contesto scolastico e il modo in cui è organizzato strutturato possa risponder
all’estrema varietà, eterogeneità che caratterizza i contesti scolastici odierni. Non c’è piu un attenzione
specifica solo agli studenti con gli alunni con disabilità ma c’è Proprio uno sguardo molto piu ampio che
guarda alle differenze individuali.

Prospettive a confronto: C’è una concettualizzazione diversa della diversità e della differenza.
Nel processo di integrazione il concetto alla base è quello di diversità, accogliere la diversità e
valorizzarla. La diversità nell’ottica della prospettiva integrazione si rivela un concetto ambiguo perché è
legato al concetto di normalità perché la diversità si esprime rispetto alla normalità, perché la diversità
si esprime in riferimento alla norma, se non c’è una norma non c’è qualcosa che si discosta da quella
norma. Pr questo la diversità è intesa come discostamento da ciò che è socialmente condiviso e
accettato. E Pertanto il diverso è colui o colei che si discosta da questo standard per una serie di ragioni
che possono essere non solo in presenza di una disabilità ma anche una questione di genere, lingua e
cultura (parlare in modo diverso, vestirsi in modo diverso ecc). Nell’ottica dell’inclusione tale concetto è
ambiguo e pericoloso nell’ottica di inclusione perché fa riferimento a un paradigma di tipo
assimilazionista, dove c’è un ideale di normalità a cui uniformarsi e quindi la diversità presuppone che
ci sia uno standard al quale uniformarsi ma l’inclusione va nella direzione opposta e si fonda sul
concetto di differenza che rimanda a quegli elementi caratteristici distintivi che connotano ogni essere
umano. L’approccio alla diversità è letto in maniera differente perché la diversità è intesa come
condizione che emerge nella vita delle persone e caratterizza in maniera specifica le persone, che sono
esseri unici irripetibili.

La differenza tra le due prospettive è anche legata a un modello interpretativo della disabilità diverso.
Nel processo di integrazione abbiamo un modello medico individuale della disabilità che prevale e si
cerca di mettere in campo degli interventi specialistici e fornire anche delle risorse aggiuntive per gli
studenti che presentano disabilità specifiche mentre l’inclusione si fonda sul modello biopsichico
sociale e dei diritti umani. Parte dal presupposto che occorre intervenire non sulle persone ma sui
contesti perché sono i contesti che devono riorganizzarsi per adattarsi a quelle che sono le differenze
individuali, quindi andando a intervenire sulle barriere (fisiche, culturali, didattiche) che ostacolano la
partecipazione degli studenti alla vita scolastica.
Logica dell’inclusione- -partecipazione, differenza, funzionamento- concetti/costrutti che fondano la
logica dell’inclusione.
La struttura di riferimento per la logica dell’inclusione.

6° lezione: 18/03/22
STIli COGNITIVI E StIlI DI APPRENDIMENTO
Quando parliamo di differenze individuali si deve per forza fare riferimento a questo costrutto.

Tema strettamente connesso a una pedagogia che sottolinea evidenzia le differenze individuali. Inoltre
all’interno della nostra normativa sui disturbi di apprendimento e poi sulla normativa sull’inclusione
troviamo questo rimando al tema degli stili cognitivi e di apprendimento
Proprio nelle linee guida del 2011, prodotte dal MIUR si fa riferimento a questo aspetto, cioè si specifica
che gli individui apprendono in maniera diversa uno dall’alto secondo le modalità e le strategie con cui
ciascuno elabora le informazioni. Per cui un’insegnamento o in generale un approccio educativo che
tenga conto dello stile cognitivo e di apprendimento dello studente facilita il raggiungimento degli
obiettivi didattici ed educativi.
Anche dal punto di vista normativo si evidenzia molto questo aspetto legato agli stili cognitivi e di
apprendimento.

Distinzione tra stili cognitivi e stili di apprendimento


Stili cognitivi?-modalità attraverso le quali ognuno di noi elabora e utilizza in maniera prevalente le
informazioni che permangono nel tempo e che utilizziamo in maniera generalizzata quando ci troviamo
davanti a piu compiti. Modo particolare che ognuno di noi ha di elaborare le informazioni.

Stili di apprendimento. Modo in cui le persone percepiscono l’ambiente di apprendimento e come


elaborano le informazioni che vengono apprese a partire da quello specifico contesto.
Quando parliamo di stili di apprendimento facciamo riferimento ai canali percettivi (canale visivo,
uditivo, verbale e quello cinestetico-legato al corpo e ala movimento)
Il tema degli stili, che si collega al discorso delle differenze individuali è stato oggetto di studi e di ricerche
differenti. Gli approcci con i quali il tema delle differenze individuali è stato analizzato, sono diversi. Prima
fase abbiamo avuto un approccio psicometrico, 2a fase di tipo cognitivista e infine è maturata l’idea legata
agli stili cognitivi.
Le differenze individuali nel corso del 900 (tema che riguarda la 2° metà del novecento )è stato
affrontato da questi diversi punti di vista.
L’approccio psicometrico fa riferimento a un analisi delle differenze su un’analisi di un approccio di tipo
quantitativo, cioè basata a misurare il quoziente intellettivo. I test psicocmetrici sono quelle scale, quei
test che hanno la finalità di valutare il Q.I. di una persona che si calcola attraverso il rapporto tra l’età
mentale e l’età cronolocia dell’individuo per 100. Il Q.I. dovrebbe in qualche modo darci
un’informazione rispetto a quella che è l’intelligenza di una persona in riferimento alla sua età
cronologica e alla prestazione che riesce a realizzare e che dovrebbe darci l’idea dell’età mentale.
L’età cronologica e mentale non sempre camminano parallelamente ma piò esserci una discrepanza.
L’approccio di tipo psicometrico privilegia un’analisi di tipo quantitativo in riferimento alle prestazioni
individuali. Il concetto di QI è stato introdotto dallo studioso Wilhelm Stern che elabora a che questa
sorta di paradigma per misurare il QI. E nel 900 ha rappresentato l’unico sistema per definire e
classificare le differenze individuali, in termini di Qi nella norma o al di sotto della norma. Coloro che lo
avevano al di sotto della norma venivano destinati a scuole speciali, e quando vennero abolite venivano
destinati a percorsi individualizzati in ambito scolastico, a partire dal risultato ottenuto in sede di test.

Gli aspetti critici di tale approccio sono vari..


-aspetto positivo- legato al fatto che il Qi fornisce elementi attendibili dal punto di vista oggettivo
produce un numero che è un dato oggettivo, ma dal punto di vista dei punti di forza e debolezza della
persona non ci dice nulla.
Inoltre è stato messo in evidenza che il Qi può anche variare, cioè non è detto che una persona ha
sempre lo stesso qi, ma può migliorare se opportunamente supportato.
Nel tempo è stato dimostrato che il Qi può rivelarsi inferiore in quelle persone che presentano uno
svantaggio a livello socioculturale e la privazione, assenza o scarsità di stimoli dell’ambiente producono
questo tipo di risultato.
A parte il dato quantitativo l’approccio psicometrico non fornisce dati importanti.
Per questo motivo a questo approccio si affianca l’approccio di tipo cognitivista che invece parte dal
presupposto che le differenze individuali sono legate ad alcuni aspetti specifici che caratterizzano in
ognuno l’esecuzione dei compiti, cioè il modo in cui ogni persona esegue un compito andando ad
attingere a determinate strategie cognitive. Quindi si ha un 1° passaggio importante da una prospettiva
di tipo quantitativa dell’intelligenza ad una prospettiva qualitativa, che si propone di indagare questo
tema delle differenze individuali rispetto a quelle che sono le modalità attraverso le quali ogni essere
umano processa le informazioni, le elabora dal punto di vista cognitivo.
In questo senso ciò che diventa oggetto di indagine sono gli elemento che influiscono su questa
elaborazione cognitiva- cioè l’attenzione, la memoria, la percezione, la motivazione. Ognuno di noi
mette in atto strategie diverse e li utilizza questi elementi in maniera diverso rispetto alla propria
specificità, condizione.
Da questo punto di vista l’approccio cognitivista rappresenta un primo grande passo verso un visione
maggiormente qualitativa dell’intelligenza e quindi anche una prospettiva maggiormente qualitativa di
quelle che sono le differenze individuali.
All’approccio cognitivista si affianca infine quello degli stili cognitivi che va ad indagare le differenze
rispetto a quelli che sono degli schemi di funzionamento, delle regolarità rispetto alle strategie
cognitive che vengono messe in atto , cioè si riconosce che c’è una tendenza in ognuno ad utilizzare
degli schemi di pensiero, ad attivare determinate strategie cognitive quando ad esempio dobbiamo
imparare qualcosa o percepiamo delle informazioni che dobbiamo elaborare a livello cognitivo. Nel
corso del tempo quindi si è andato a costruire il concetto di stile cognitivo.
La parola stile rimanda a qualcosa che dura nel tempo ma non è legato a una soluzione di un problema
momentaneo ama una strategia che si adotta nel corso del tempo in maniera permanente, prevalente.
Il concetto di stile suggerisce anche l’utilizzo da parte di ogni essere umano di particolari strategie,
caratteristiche cognitive che caratterizzano la persona non solo rispetto a quello che è il processo di
elaborazione delle informazioni, ma anche di fronte a quelli che possono essere gli atteggiamenti, i
modi di rapportarsi relazionarsi o di reagire a determinate situazioni, comportamenti.
Lo stile si rivela ogni volta che si evidenzia nel tempo una stessa tendenza a rispondere agli stimoli
esterni in un determinato modo
Alcuni studiosi hanno supposto che è possibile immaginare lo stile cognitivo come delle modalità
bipolari. —> Partendo dal presupposto che c’è un estremo e un altro, ogni stile può collocarsi lungo
questo continuum più verso una polarità o più verso un'altra polarità
Cornoldi e Rossana de beni hanno proposto un modello degli stili cognitivi basato su sei dicotomie,
polarità.
Lo stile globale.analitico.- su questo continuum c’è su un polo uno stile globale e sull’alto quello
analitico, per cui ognuno d noi può adottare uno stile che tendenzialmente va verso il globale e
tendenzialmente verso quello analitico. Non c’è mai un stile corretto o quello sbagliato, ma è
semplicemente un modo di elaborare le informazioni in modo diverso che può tendere verso una
polarità o l’altra a seconda delle persone.
Poi abbiamo lo stile sistematico-intuitivo (preferenza nell’elaborazione maggiormente sistematica
piuttosto che andare verso l’intuizione) stile visuale o verbale, stile impulsivo-riflessivo, stile dipendente
-indipendente, stile convergente-divergente. (Sono sempre in contrapposizione perché o si è impulsivi
o riflessivi, o convergenti o divergenti)

Lo stile globale analitico- nasce come stile in riferimento a quelli che sono gli studi sulla percezione, cioè
sul modo in cui analizziamo una configurazione, una rappresentazione, un’immagine e quindi rimanda
alla tendenza che ogni individuo manifesta in maniera diversa di privilegiare o la percezione del
dettaglio o quella di insieme.
Ognuno di noi nel momento in cui si trova davanti a una configurazione (come ad esempio l’entrare in
una stanza) avrà la tendenza o a elaborare l’insieme delle informazioni, l’insieme della configurazione
(noi pensiamo per immagini rispetto a quello che vediamo) o percepire in primis alcuni dettaglia (stile
analitico)
Chi entra in una stanza si sofferma sul dettaglio della porta o della sedie perché è uno stile naturale che
ci porta verso la polarità dello stile analitico
Davanti a un testo un allievo con stile globale si focalizzerà sull’aspetto generale del testo avendo così
una visione d’insieme. Mentre un allievo con stile analitico si focalizza sui particolari, parola
evidenziata, immagine che attira il suo sguardo. È importante quando facciamo riferimento alle varie
difficoltà, disabilità perché ad esempio i bambini, studenti con disturbo dello spettro autistico hanno
uno stile intuitivo di base, per cui tendono a non percepire l’insieme ma a focalizzare l’attenzione sul
dettaglio. Questo spiega come mai alcuni hanno un atteggiamento ossessivo verso determinati dettagli
perché elaborano il dettaglio piuttosto che l’insieme. Questo spiega anche la tendenza di alcuni a non
comprendere sempre l’insieme delle informazioni che viene detto proprio in luce della difficoltà ad
accogliere l’aspetto globale e andando a preferire il dettaglio.
Con un bambino autistico non si può sviluppare un approccio di stile globale è negativo perché si va
contro il suo stile analitico.

Lo stile sistematico-intuitivo si fa riferimento al modo di formulare e classificare delle ipotesi. La


persona che adotta prevalentemente uno stile sistematico ragiona generalmente per piccoli passi, fa
delle ipotesi di volta per volta, analizza in maniera dettagliata i vari elementi. Mentre chi ha uno stile
intuitivo ragiona prevalentemente su ipotesi globali che poi cerca di confermare o confutare.

La capacità di identificare i simboli può esser un indice dello stile intuitivo, mentre quando c’è un
ragionamento dietro forse si tratta di uno stile sistematico
Stile visuale-verbale- distinzione tra coloro che preferiscono il codice linguistico e chi preferisce il codice
visuospaziale. È uno stile che è abbastanza trasversale rispetto ai vari compiti cognitivi, ma a livello di
memoria e soprattutto nel sottoprocesso della rappresentazione emerge in modo piu chiaro.
Ad esempio memorizzare una poesia meglio se qualcuno la recita, o fissando la pagina su cui è scritta e
il disegno a cui è abbinato.
Verbalizzatori-ricordare piu parole
Visualizzatori-ricordare piu immagini
I bambini autistici sono ad esempio dei visualizzatori, sono molto bravi a memorizzare le immagini.

Stile impulsivo-riflessivo- polarità legata anche a un modo di approcciarsi, comportarsi e si basa su


quelli che sono i tempi decisionali, legati ai meccanismi di presa di decisione. Si differenzia dagli altri
stili perché non c’è in generale una polarità piu efficace in maniera assoluta ma in base ai compiti c’è
un’alternanza, a meno che anche dal punto di vista del comportamento ci sia una predominanza nel
senso di impulsività o riflessività
Lo stile riflessivo viene considerato maggiormente adattivo, lento e accurato- una persona riesce ad
adattarsi meglio a quella situazione e a gestirla meglio, rispondere meglio a quel cambiamento.
Al contrario l’impulsività che si caratterizza molto spesso per l’incapacità di analizzare in maniera critica
determinati eventi, situazioni può portare, in casi in cui all’impulsività si accompagnano anche altre
patologie o disturbi particolari, anche a determinate psicopatologie- esempio con i ragazzi di deficit di
attenzione iperattiva che hanno uno stile tendenzialmente impulsivo anche in relazione a una
condizione patologica ben precisa.

Stile dipendente-indipendente dal campo- riferimento riconducibile all’approccio della psicologia della
Gestalt, che parte dal presupposto che le differenze individuali sono legati ai meccanismi di attenzione
riferiti alla percezione di un’immagine, cioè-> Lo stile indipendente dal campo è proprio di chi riesce a
discriminare e riconoscere in maniera abbastanza rapida una figura semplice collocata all’interno di una
configurazione complessa e chi invece dipende dal campo, dal contesto non riesce a fare in maniera
rapidissima quest’operazione.
Il campo si intende il contesto o la raffigurazione specifica.
I soggetti dipendenti dal campo riescono ad individuare e discriminare una figura semplice con
maggiore difficoltà perché sono piu attratti dall’insieme della raffigurazione e non riescono a focalizzare
l’attenzione sull’elemento del dettaglio, mentre i soggetti che mostrano uno stile indipendente dal
campo sono poco influenzati dal contesto e quindi e sono maggiormente autonomi nel recuperare
quest’informazione
Esempio guardare la parte grafica e dire ad alta voce il colore delle lettere.
Stile convergente-divergente

Lo stile convergente è proprio di chi pensa ragiona in maniera abbastanza lineare e tende a convergere
su un'unica risposta che è quella piu immediata.
Mentre lo stile divergente è proprio di chi è molto creativo, trova sempre delle soluzioni originali,
risposte inusuali alle quali non si penserebbe normalmente. Ed è legato proprio alla creatività.
Lo stile divergente caratterizza molto spesso persone con disturbi specifici dell’apprendimento. Ad
esempio le persone dislessiche molto spesso sono molto creative.
Pensiero convergente- opera entro schemi stabiliti, c’è un ancoraggio a pensare per schemi già stabiliti

Si tende ad affrontare il problema con un metodo sempre uguale e ben definito. Si trova l’unica
soluzione possibile, ed è quel pensiero che ci rassicura perché magari fa riferimento a un evento
passato e quindi si tende a ripetere degli schemi di azione messi in atto in precedenza. Mentre un
pensiero divergente agisce fuori dagli schemi stabiliti e consente anche di approcciarsi ai vai problemi in
maniera diversa e con un’impostazione nuova e quindi si perviene a soluzioni particolarmente originali-

Gli stili di apprendimento


Si parte dal presupposto che lo stile come modalità sensoriale rimanda ai canali sensoriali che ci
consentono di percepire gli stimoli provenienti dall’esterno e il riferimento è a quelli che sono i
principali canali sensoriale, cioè visivo, uditivo, verbale e cinestesico.
Ognuno di noi ha un proprio modo di accedere alle informazioni andando a lavorare soprattutto su un
canale sensoriale specifico. Lo stile cognitivo è il modo in cui un individuo elabora le informazioni e gli
stimoli esterni.
Si tratta della modalità preferenziale di “conoscere il mondo” ed è una tendenza costante della persona.
Possiamo dire quindi che lo stile cognitivo è stabile nel tempo si sviluppa in compiti diversi e in diversi
aspetti del comportamento.
Stile cognitivo e stile di apprendimento: differenze
Spesso stile cognitivo e stile di apprendimento vengono utilizzati erroneamente come sinonimi.
In realtà sono due cose diverse, o meglio: lo stile di apprendimento è un aspetto dello stile cognitivo. Lo
stile cognitivo è il modo globale in cui l’alunno esamina la realtà.
Lo stile di apprendimento si riferisce solo al livello di elaborazione delle informazioni.
Anche nello stile di apprendimento entrano le differenze individuali, in particolare l’approccio ai
problemi, la motivazione, le strategie per elaborare le informazioni e la personalità.

1.A3 1.b2 1.c.1. 1.d.3. 1.e.2

2.a.3 2.b.1. 2.c.

3.a 2 3.b.2 3.c.1. 3.d.2.

4.c.4 4.d. 3 4.e.2


5.a.2 5.b.1. 5-c-1 5.d.4. 5.e.1 6.a.3 6.b. 6.d. 4.. 6.e.4

7° lezione:24/03/22
Autori- Dall’800 inizia questa sensibilità nei confronti della diversità e si inizi a mettere al centro il tema
dell’educabilità nei confronti di coloro che si differenziano in qualche modo dalla normalità.
Contributi di Itard, Maria montessori, a partire da pg 75

PADRE DELLA PEDAGOGIA SPECIALE- GIANMARC ITARD


GIANMARC ITARD-opera tra il 1774 e il 1838, siamo sulla scia della corrente illuminista che sicuramente
ha una sua influenza sulla riflessione e sull’opera di itard. Siamo anche in un periodo in cui la corrente
filosofica del sensismo, che si svilupperà a partire dal 600-700, che influenzerà il lavoro di questi
studiosi.
Biografia-
Itard è un medico, proviene da una formazione di tipo medico. E diventa capo medico presso l’istituto
per sordomuti di Parigi e a partire dal700 come abbiamo visto sisviluppano e si diffondono istituti che
accoglievano persone con disabilità sensoriali (quindi per sordi e per cechi), in uno di questi istituti
quindi itard si occupa di sordomuti e sordi e quindi ha questa curvatura specifica per la disabilità
sensoriale. È uno dei fondatori della moderno otorincoloiatria , tanto è che ha elaborato degli strumenti
specifici per l’educazione dei bambini sordi. La sua storia e fama sono legate al ritrovamento di un
bambino selvaggio nei boschi della Veron.. in Francia. È una storia importante dal punto di vista
pedagogico perché è l’emblema, esempio di quella che è la relazione di aiuto e di cura, cioè quella
relazione che si viene a realizzare quando c’è una persona in difficoltà in ragione della propria
condizione, ha bisogno di un aiuto supporto e relazione che mette in campo anche quelle che sono le
competenze di chi aiuta.
È anche considerato il padre della pedagogia speciale perchè proprio in riferimento a questa storia
dimostrerà i suoi principi, ideali andando a salvare questo ragazzino da una diagnosi di incurabilità perché
tale ragazzino viene trovato in una condizione quasi animalesca visto che era stato abbandonato da piccolo
e quindi aveva vissuto tutti gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza solo a contatto con la natura e
con gli animali per cui si era trasformato egli stesso in una sorta di animale. Suscitò molto scalpore il
ritrovamento di questo bambino al di là del fatto naturalmente in ragione delle condizioni nelle quali era
stato ritrovato, ma suscitò anche scalpore anche perché si innescò il dibattito rispetto all'educazione di
questo bambino, al futuro d di questo bambino perché uno dei più grandi medici dell'epoca Filep Binel
dichiarò questo bambino ineducabile perché gli diagnosticò una forma di ritardo mentale . Per cui parte da
questa considerazione e da tutte le gravi difficoltà che presentava dal punto di vista sensoriale, dal punto di
vista cognitivo, dal punto di vista relazionale questo bambino formulò questa diagnosi di incurabilità- gian
amfrc itard invece che all'epoca del ritrovamento del bambino era un giovane medico decise in qualche
modo di sfidare questa diagnosi così categorica così rigida e di portare con sé questo ragazzino per provare
a riabilitarla, a definire con lui un percorso di riabilitazione e di rieeducazione alla vita che potesse appunto
toglierlo da quella condizione di isolamento, di straniamento nella quale si era rinchiuso. Per cui proprio
quello slancio nell’intravedere nell’ altra persona che è in una situazione drammatica delle possibilità delle
potenzialità è diciamo emblematico di quelli che sono i concetti alla base della pedagogia speciale che
abbiamo detto si occupa proprio di fare emergere quelle capacità e quelle potenzialità che possono essere
celate da una condizione particolarmente complessa che può essere legata ad una disabilità, piuttosto che
ad altre ragioni. Proprio a partire da questo principio di educabilità cioè dal fatto che itard vede in questo
ragazzino, nonostante la condizione che sembra diciamo disperata, vede in lui delle potenzialità latenti e
decide proprio di definire, delineare un metodo che possa in qualche modo aiutarlo a uscire da questa
condizione ed per questo emblematica la sua storia.
Il suo intervento con con questo ragazzino che egli poi chiamerà Victor segna proprio il passaggio da un
approccio di tipo medico alla disabilit, alle varie condizioni di difficoltà, ad un approccio di tipo educativo
perché Itard è uno dei primi a rendersi conto che oltre a quello che può essere l'intervento di tipo medico
che in effetti è finalizzato alla cura di una persona alla cura da una patologia. Egli più che il concetto di
curabilità, supporta proprio il concetto di perfettibilità ( così lo definisce lui) che poi in realtà coincide con
quello che oggi chiamiamo concetto di educabilità cioè parte dal presupposto che la condizione in cui vive il
il ragazzo sia una condizione perfettibile, cioè che sia migliorabile ma non soltanto a partire da un approccio
di tipo medico chimico ma si rende conto che questo approccio deve essere necessariamente supportato
anche da un'azione di tipo educativo perché è proprio nell'educazione che si ha la chiave in qualche modo
per far fronte a questa situazione. Rispetto a a questo evento è stato stato tratto anche un film di Francois
Truffaut che si chiama proprio ‘il bambino selvaggio’ della Veyron , film che crrca di riportare in maniera
abbastanza fedele rispetto a quelle che sono gli scritti di Itard. Infatti Itard scriverà due memorie, una sorta
di diari in cui riporta, ripercorre quello che è un po la storia di questo bambino e poi all'interno delle sue
memorie riporta quelli che sono gli obiettivi del suo metodo, riporta quelle che sono le attività e gli esercizi
che mette in campo per supportare il processo di apprendimento del bambino e descrive tutti quelli che
sono i miglioramenti o le fasi di stallo diciamo del percorso. Quindi abbiamo una descrizione minuziosa che
naturalmente poi ci ha aiutato anche a ricostruire tutto il suo approccio e quindi a partire da questi scritti
naturalmente è stato poi anche tratto questo film. Questo bambino viene ritrovato alla fine del 700( alcuni
dicono nel 1797 altri nel 1799 insomma siamo sul finire del del 700) è ritrovato nei boschi della Veyronin
Francia e il primo problema che si pone è cercare di comprendere quale sia l'età del bambino perché
naturalmente dal punto di vista fisico dello sviluppo fisico sembra un ragazzino di 10 11 anni 12 anni ma dal
punto di vista dell'età mentale si situa più o meno tra i 2 3 anni quindi ha insomma un ritardo anche a
livello cognitivo abbastanza significativo. Viene trovato in stato felino, non riesce nemmeno a mantenere la
posizione eretta perché si era abituato ormai a camminare come un animale a quattro zampe, presentava
forti deficit sia nelle funzioni sensoriali, cioè non riconosceva più nemmeno le sensazioni più semplici (il
caldo dal freddo) quindi aveva un deficit sia a livello di funzioni sensoriali, sia a livello emotivo e
comportamentale perché era come se non fosse in grado proprio di rapportarsi alle persone. Si tratta di un
bambino che vive con gli animali per tanti anni e per questo non ha proprio l'approccio relazionale che
caratterizza l'essere umano e naturalmente presenta anche deficit a livello cognitivo e dovuti molto
probabilmente proprio a questa condizione di adattamento ad una vita selvaggia. Rispetto al ritrovamento
di questo ragazzino si innesca un dibattito perché molti medici vogliono visitarlo per cercare di capire quali
possono essere insomma i problemi del ragazzino e come aiutarlo. Filip pinelle diagnostica uno stato di
idiozia. All'epoca, quello che oggi definiamo disabilità intellettiva, veniva definito soprattutto nel contesto
francese, idiozia quindi una diagnosi di idiozia era coerente con una diagnosi di disabilità intellettiva, per
cui il bambino viene definito ineducabile. Pinel a partire da questa diagnosi di idiozia sostiene che il
bambino non sia né curabile dal punto di vista medico né tanto meno educabile quindi che possa in qualche
modo sviluppare le funzioni intellettive, le funzioni sensoriali e così via. Il bambino ovviamente non parlava,
non non aveva la facoltà di linguaggio per ovvie ragioni, per cui sicuramente rappresenta una sfida
particolarmente ardua. Il caso diciamo del ritrovamento di questo ragazzo selvaggio ripropone
all'attenzione pubblica il dibattito natura-cultura che è un dibattito che già aveva introdotto Rousseau nelle
sue riflessioni e che riguarda proprio la questione che ha ancora oggi chi si occupa dello sviluppo dell'uomo
si chiede, cioè se sia prevalente la dimensione naturale ovvero la dimensione biologica se sia
predeterminante rispetto allo sviluppo futuro della persona o se invece l'aspetto culturale (quando
parliamo di dimensione culturale facciamo riferimento al contesto, cioè tutto quello che che possono
essere i fattori contestuali - la famiglia, le relazioni interpersonali,gli interventi appunto di tipo educativo,
ecc). La domanda è proprio questa: nella formazione dell'uomo, c'è un qualcosa di predeterminato per cui
chi ha una struttura ereditaria biologica di un certo tipo non può in qualche modo prescindere da
quell'aspetto naturale oppure il contesto può in qualche modo influire sullo sviluppo della persona e quindi
andare oltre quello che è stato quello che è biologicamente determinato?
Oggi sappiamo che il contesto ha un ruolo fondamentale altrimenti non avrebbe senso anche tutto non
avrebbero senso quelli che sono gli interventi educativi precoci. Proprio in ragione di quella che sappiamo
oggi essere la plasticità a livello neuronale, prima si interviene stimolando il cervello a diciamo ad acquisire
determinate competenze e sicuramente più risultati si possono raggiungere. Questo naturalmente ha
un'influenza ben precisa sullo sviluppo del bambino con disabilità piuttosto che con altre problematiche.

Da un lato troviamo appunto la diciamo la diagnosi di Pinelle, che parte dal presupposto che il bambino ha
un deficit a livello cognitivo ed è considerato come affetto da idiozia congenita, quindi da una forma di
idiozia alla nascita per cui quella condizione in qualche modo non è reversibile perché è biologicamente
determinata, e dall'altro lato invece abbiamo l'approccio di iTard che invece considera il ragazzo
assolutamente educabile perché attribuisce la sua condizione attuale non ad una condizione biologica ma
una condizione di deprivazione sociale. Cioè sostiene che questa sorta di forma di idiozia che sembra
caratterizzare il ragazzo in tutte le sue disfunzioni a livello cognitivo, sensoriale, relazionale, eccetera non
sono dovute alla presenza di un deficit cognitivo congenito ma sono dovute alla deprivazione culturale cioè
al fatto che il bambino per tanti anni ha vissuto questo tipo di condizione. Per cui decide di prendersene
cura personalmente cercando di andare oltre quella diagnosi di ineducabilità.( tale concetto rappresenta il
fulcro il principio cardine di quella che è la pedagogia speciale o la pedagogia delle differenze perché è
proprio questo concetto di educabilità che ci impone di vedere nell'altro quelle che sono le sue risorse, le
sue capacità ,quelloche ci chiama a andare oltre quella che può essere una condizione non soltanto
biologicamente determinata ma quella che può essere una condizione particolarmente complessa che in
qualche modo necessita di un supporto esterno di tipo educativo)

Approccio di Itard, lavoro svolto con questo bambino ragazzo selvaggio


innanzitutto dobbiamo dire che avendo una formazione quindi anche un'impostazione di tipo medico itard
parte da una fase che definisce diagnostica e che si basa essenzialmente sull'osservazione sistematica e
analitica di quelli che sono i comportamenti del ragazzo, cioè Itard comprende che prima di poter delineare
un approccio di intervento educativo specifico deve comprendere quali sono i bisogni del ragazzo, quali
sono i suoi interessi, da cosa può partire per catturare l'attenzione del ragazzo perché il ragazzo si
presentava come incapace non soltanto di mantenere l'attenzione, quindi di dirigere la propria attenzione
verso l'educatore ma era anche disinteressato rispetto a qualsiasi tipo di sollecitazione esterna. Quindi Itard
comprende che bisogna capire quale può essere l'elemento che può farlo entrare in relazione con lui. Così
suddivide il suo metodo in una fase di tipo diagnostico dove va ad osservare a descrivere le condizioni
fisiche, sensoriali, cognitive e comportamenti del bambino in maniera molto dettagliata e poi a partire da
questa fase diagnostica delinea quello che è il progetto educativo, quindi segue una fase operativa che
pone al centro proprio il ragazzo, i suoi bisogni, quelle che sono le sue risorse cercando di assumere un
approccio di tipo Inter-transdisciplinare . Cioè itard comprende che il solo approccio medico non basta per
delineare l'intervento educativo ma che deve necessariamente rifarsi anche al contributo di altre discipline,
scienze. A partire da questo approccio di tipo interdisciplinare, multidisciplinare inizia innanzitutto a
recuperare quelli che sono i primi testi etnologici sui popoli considerati selvaggi, cioè intuisce che dal
momento in cui il ragazzino presenta una condizione selvaggia, quasi animalesca quello che cerca di fare è
di capire, di andare a recuperare questi testi questi studi di etnologia sui popoli selvaggi per capire
innanzitutto come si comportavano questi popoli, quali erano i loro usi, i loro costumi per cercare di
individuare quegli elementi di similarità, quegli elementi di continuità che potessero in qualche modo
aiutarlo a comprendere i comportamenti di Victor che appunto molto spesso gli risultavano
incomprensibili.
Passo della memoria di Itard del 1801 in cui lo studioso scrive proprio che ‘nella più vagabonda delle orde
selvagge come nella nazione europea più civilizzata, l'uomo è come lo si fa essere, necessariamente
allevato da soli simili ne ha preso le abitudini e i bisogni. le sue idee non sono più sue. Ha goduto della più
bella prerogativa della sua specie, della suscettibilità di sviluppare sotto il letto con la forza dell’imitazione e
dell'influenza della società’.
Cioè parte dal presupposto che la condizione di Victor rispecchia quello che è il modo di vivere di una
determinata popolazione , ossia quella dei selvaggi, per cui quello che oggi è Victor è lo specchio di un
processo di imitazione, di adattamento che è andato sviluppandosi nel corso del tempo. Per cui Victor per
adattarsi a quello che era un mondo a lui sconosciuto ha iniziato naturalmente a partire da un'attività di
imitazione di quelli che potevano quelli che potevano essere anche gli animali che lo circondavano, ha
iniziato ad assumere determinati comportamenti e anche ad assumere determinate caratteristiche fisiche
in ragione proprio questo processo di imitazione, di adattamento di quello che era il suo nuovo contesto di
vita. Itard parte dal presupposto che non si può realizzare un'attività di osservazione che parta da quelli che
sono i principi tradizionali riconosciuti dalla comunità scientifica ma che in effetti occorre assumere un
nuovo modello di osservazione perché a partire da quel modello di osservazione si potrà comprendere
maggiormente quelli che sono i bisogni particolari di questi bambini, andando definire anche delle nuove
tipologie di intervento pedagogico. Uno degli elementi di grande innovazione del lavoro di Itard è proprio
legato alla sua intuizione di adottare sia un nuovo modello di utilizzazione sia poi in ragione di questo nuovo
modello di osservazione , un nuovo modo di intendere anche l'intervento di tipo educativo. Questo
modello si basa essenzialmente su un approccio di tipo imitativo cioè così come Victor il ragazzino aveva su
base imitativa aveva appreso determinate caratteristiche, determinati comportamenti degli animali o dei
popoli selvaggi così allo stesso modo -attraverso un processo di tipo imitativo-,avrebbe potuto acquisire
quelle che erano le abitudini e i comportamenti degli esseri umani, della popolazione civilizzata-. Parte da
questo presupposto ispirandosi innanzitutto alla corrente sensista, il sensismo di condillac( un filosofo
francese vissuto precedentemente che partiva dal presupposto che lo sviluppo dell'uomo e anche il
processo di apprendimento si attivano a partire dai sensi cioè che i sensi sono il motore che attiva anche i
processi a livello cognitivo). Questo tipo di impostazione è molto importante perché la ritroveremo non
soltanto in quelli che saranno i suoi predecessori in primis Edward seguen ma anche in Maria Montessori, in
tutta quella scuola che di studiosi che sulla base di quanto fatto da ITard imposterà gli interventi educativi
in presenza di studenti bambini e ragazzi con disabilità a partire proprio dall'educazione di tipo sensoriale
quindi proprio dalla stimolazione dei sensi.
Quali sono i principali obiettivi del suo intervento? sono 5 essenzialmente e riguardano aspetti diversi dello
sviluppo, aree diverse dello sviluppo. ITard parte dal presupposto che il primo passo per avvicinare Victor
alla civiltà è proprio l'obiettivo legato alla socialità, cioè come scrive lo stesso itard legarlo a quella che è la
vita sociale rendendogliela più dolce di quella che conduceva. Naturalmentela dimensione sociale, la
socializzazione che aveva vissuto Victor fino al momento non era una reale socializzazione così come
avviene tra gli esseri umani, quindi era una socialità in qualche modo limitata al rapporto molto spesso con
gli animali piuttosto che con gli esseri umani quindi cercarlo di portarlo ad una condizione di socializzazione
che potesse essere più vicina ai suoi bisogni, alle sue caratteristiche.
Il secondo obiettivo riguarda il risveglio dei sensi, quindi la sensorialità, perché naturalmente in ragioni
anche dell'influenza che aveva avuto sul pensiero di Itard la corrente del sensismo , itard part dal
presupposto che occorre risvegliare la sensibilità nervosa con una serie di attività e gli esercizi che qui
vedremo insomma saranno a volte anche abbastanza duri. Ad esempio gli farà fare di bagni caldissimi e
freddissimi per cercare di svegliare quella sensazione, per aiutarlo ad associare quella sensazione ad un
concetto .
Il terzo obiettivo sarà legato alla dimensione degli interessi perché Itard sostiene che per sviluppare quello
che è anche l'attività di tipo cognitivo quindi la sfera delle idee(come la definisce iTard) è necessari portare
Victor ad avere nuovi bisogni. Cioè naturalmente così come gli animali, anche il il ragazzino presentava
soltanto quelli che sono i bisogni per così dire primari, quindi i bisogni di tipo fisiologico- bere mangiare
respirare e dormire, non aveva altri interessi che insomma possiamo notare nel bambino che cresce e si
sviluppano, che sono soprattutto legati alla relazione con i propri pari piuttosto che con le figure di
riferimento, il bisogno di giocare, di stimolare la curiosità eccetera- cioè tutta questa dimensione era
assolutamente assente. per cui Itard parte proprio dal presupposto che è necessario ampliare quella che è
la rete dei suoi interessi.
Un'altro obiettivo molto importante che si prefigge iTard è quello dello sviluppo del linguaggio verbale
perché Victor non aveva l'uso della parola, non riusciva a comunicare in maniera verbale ne tantomeno in
maniera non verbale, per cui ITard evidenzia la necessità di condurlo all'uso della parola andando sempre a
lavorare in primis sulla sfera degli interessi e dei bisogni.
Iinfine quindi obiettivo riguarda il pensiero che naturalmente deve partire secondo Itard ( ma sappiamo poi
questa idea è assolutamente fondata anche dal punto di vista scientifico, poi gli studi successivi insomma
hanno offerto una solida base a questa idea) che naturalmente occorre partire dallo sviluppo di un pensiero
di tipo concreto, legato a quelli che sono situazioni, oggetti della vita quotidiana per poi sviluppare anche
un pensiero di tipo astratto . Quindi è andato a lavorare su concetti più astratti ma diciamo itard sottolinea
più volte che occorre partire quando si presentano situazioni di difficoltà a livello cognitivo occorre sempre
partire dallo Sviluppo del pensiero concreto. Oggi sappiamo che è assolutamente così, che è soprattutto il
riferimento alla presenza di disabilità o di tipo cognitivo, di tipo sensoriale occorre un approccio che parta
dal concreto, cioè che si metta nelle condizioni il bambino il ragazzo di sperimentare in maniera diretta e
associando determinati concetti ad attività della quotidianità perché naturalmente il pensiero astratto si
sviluppa in maniera più lenta o a volte risulta anche assente insomma nelle condizioni soprattutto di
disabilità intellettiva più grave.
Rispetto all'obiettivo legato alla socializzazione itard parte da una elemento imprescindibile, cioè
dall'organizzazione dei contatti umani, cioè comprende che è necessario creare una sorta di rete di relazioni
che in effetti il ragazzo non aveva perché non aveva nessun tipo di relazione a livello umano di rapporto a
livello umano se non quello che si stava costruendo con iTard stesso- Per cui parte dal presupposto che
occorre definire un sistema di contatti e di relazioni umane partendo da quelli che possono essere i suoi
gusti e le sue inclinazioni . Un'altro aspetto che sottolinea itard è proprio che bisognava renderlo felice a
modo suo-. Questo è importante perché evidenzia il fatto che Itard, così come anche i suoi successori, visto
che è un l'elemento che ritroveremo anche in Seguenne? nella Montessori, comprende che non si può
imporre un qualcosa in maniera coercitiva al bambino ma bisogna far emergere i suoi bisogni a partire da
quello che effettivamente gli piace fare, da quelli che sono le sue attitudini, le sue inclinazioni. Per cui
bisognava renderlo felice a modo suo traduce proprio questo tipo di di approccio. Dandogli la possibilità di
sdraiarsi al tramonto fornendogli in abbondanza gli alimenti di suo gusto rispettando la sua indolenza e
accompagnandolo nelle sue passeggiate ,cioè l'elemento che in qualche modo abbia la relazione con Victor
secondo Itard è proprio il fatto di poter partire da quelle cose che gli piaceva fare per cercare di creare
quell'elemento di contatto che è necessario per attivare una relazione di tipo educativo. Per quanto
riguarda il risveglio della sensibilità nervosa , Itard mette in relazione quella che è la stimolazione di tipo
sensoriale da qui parte proprio per delineare il suo metodo, mette quindi in relazione alla stimolazione
sensoriale con la dimensione affettiva perché appunto sostiene che sono due dimensioni assolutamente
correlate e la stimolazione fisica, quindi tutti quegli esercizi di riattivazione sensoriale, di riabilitazione
devono essere sempre associati allo sviluppo di tipo affettivo, quindi a ciò che Itard definisce affezioni
dell'anima. Cioè ci deve essere sempre una motivazione alla base quindi l’elemento che influisce sulla sfera
affettivo relazionale. Per cui l'educazione sensoriale viene collegata anche allo sviluppo dell'educazione
all'igiene personale, allo sviluppo delle varie autonomie che sono legate ad esempio al vestirsi, al mangiare
che erano abilità talmente assenti nel ragazzino. Quindi iTard comprende di dover partire proprio da questo
tipo di impostazione per condurre poi Victor ad assumere comportamenti sempre più significativi anche dal
punto di vista sociale. Secondo itard questo percorso riabilitativo dal punto di vista sensoriale doveva
seguire una sorta di progressione logica cioè partire da stimoli semplici che mano mano poi venivano resi
più complessi, per cui un’ approccio, una progressione dal semplice al complesso partendo da un'attività di
tipo percettivo cioè che quindi andava a lavorare sui sensi, sullo sviluppo della sensorialità in maniera
separata (quindi cercando di offrire uno stimolo sensoriale alla volta - e anche questo discorso sara ripreso
dalla Montessori che anche nell’elaborare i materiali didattici di sviluppo cognitivo tra le caratteristiche che
secondo la Montessori devono avere questi materiali c'è proprio il poter sviluppare in maniera analitica i
sensi cioè uno alla volta e questo perché naturalmente nell'ottica della Montessori lo sviluppo deve
avvenire in maniera analitica perché devi aiutare il bambino a ordinare il caos di informazioni e di
sollecitazioni che provengono dall'esterno e quindi un lavoro educativo che si soffermi su una funzione
sensoriale alla volta, una stimolazione sensoriale alla volta consente al bambino in maniera progressiva di
andare a costruire poi un sistema più complesso di sensazioni che lo aiutano a mettere ordine nel mare di
informazioni e di stimoli che provengono dall'esterno). Itard in primis adotta questo tipo di approccio
andando quindi a lavorar prima sulla dimensione sensoriale ,poi naturalmente la sfera sensoriale è
estremamente connessa alla sfera motoria fino a poi agli aspetti cognitivi e agli aspetti affettivi. C'è tutta
questa progressione in cui i vari stimoli vengono proposti uno alla volta andando poi a ricomporre un
quadro d'insieme. Un'altro elemento su cui lavora Itard è proprio la possibilità di far entrare Victor in
contatto con i contesti, con le situazioni, con le esperienze e con le persone per generare in lui dei nuovi
bisogni perché ai bisogni primari itard vuole che mano mano si associno dei bisogni secondari legati
appunto alla vita sociale.come sviluppare questi bisogni più complessi? naturalmente mettendo Victor
nelle condizioni di poter fare delle esperienze nuove che potessero generare idee nuove e di maturare
bisogni nuovi, per cui cercare di andare a sviluppare anche la sfera della curiosità, cioè sollecitare quello
che inizialmente sembrava del tutto assente in Victor, l'interesse verso quello che lo circondava quindi la
curiosità scoprire il mondo che lo circondava e quindi itard decide di lavorare su questo aspetto cercando
di offrire quante più occasioni di contatto e di relazione con l'altro, con situazioni diverse affinché questo
potesse incidere sulla motivazione ad apprendere, sulla curiosità di Victor e generando così anche nuovi
bisogni.
Per quanto riguarda la sfera del linguaggio, itard in quanto anche medico che si occupava dell'educazione
dei sordi, il primo approccio che adotta è quello di innanzitutto verificare che Victor sia non abbia un
problema a livello uditivo per cui perché fino diciamo a poco tempo fa si pensava che la condizione di
mutismo fosse strettamente collegata alla condizione di sordità. (oggi naturalmente sappiamo che non è
così tanto che non è corretto parlare di persone sordomute, ma è corretto parlare di persone sorde che
non hanno danni all'apparato coarticolatorio, per cui l’apparato deputato alla produzione del linguaggio
non presenta generalmente lesioni o danni, per cui il fatto che la persona sorda non parli non è dovuto al
danno a livello di apparato fono articolatorio ma ovviamente è dovuto al fatto chenon c'è un'esposizione ai
suoni al mondo, al linguaggio e questo poi incide sulla capacità a livello linguistico)
Itard parte con l’analizzare la capacità uditiva di Victor e si rende conto che non c'è una condizione di
sordità per il mancato linguaggio è naturalmente dovuto alle condizioni di deprivazione, alla mancata
esposizione al linguaggio che appunto aveva vissuto victor. Qui naturalmente emerge l'importanza del
contesto nella stimolazione alla comunicazione perché il bambino che inizia a parlare lo fa perché
ovviamente sente i propri genitori, fratelli, coloro con cui entra in contatto parlare continuamente per cui è
immerso in questo mondo le parole sin dalla nascita e quindi anche per interagire con loro, partendo d
quello che è il bisogno innato dell'essere umano di comunicare, ovviamente inizia anche a produrre le
prime parole. Non essendoci contesto di questo tipo, non essendoci stata una disposizione di questo tipo
per il bambino selvaggio ovviamente non si sono verificate le condizioni per le quali il bambino potesse
sviluppare il linguaggio. Itard cerca di avvalersi di una serie di mediatori per favorire in Victor
l'apprendimento della parola cercando di attivare il meccanismo del linguaggio utilizzando degli oggetti o
ricorrendo a delle attività che a Victor piacevano. Cioè cercando di stimolare il linguaggio a partire da una
serie di bisogni .
Itardl cerca di stimolare Victor nel dire la parola ‘latte ‘perché partendo dal presupposto che Victor amava il
latte ,per cui cerca di attivare inlui il meccanismo della parola a partire dal bisogno e dal suo desiderio di
bere questa bevanda.
Rispetto a quello che è il linguaggio dell’azione, del comportamento itard sottolinea più volte nelle sue
memorie l'importanza della comunicazione non verbale del linguaggio del corpo perché oltre a mancare la
capacità del linguaggio, cioè di produzione linguistica, uno degli aspetti che risultava deficititario in Victor
era l’uso corretto della comunicazione non verbale. Molto spesso c’era la mancanza dell'uso del corpo,
della gestualità, delle espressioni del viso nel ragazzo per cui come dire sembrava non avere mai una
comunicazione non verbale adatta magari a quel tipo di contesto per cui Itard comprende di dover lavorare
anche sugli aspetti legati a quella che possiamo definire la semantica dell'azione, cioè a tutti i significati che
sono sottesi al comportamento e alla gestualità, alla mimica facciale. È importante perché naturalmente la
comunicazione non verbale va a sostenere la comunicazione verbale, rende la comunicazione verbale non
soltanto più ricca ma amplifica i significati e quello che è il senso del discorso per cui la mancanza di questo
aspetto va a rendere una condizione di privazione della comunicazione ancora più seria e significativa.
Anche l'assenza di una comunicazione non verbale è riconducibile alla condizione di deprivazione che aveva
vissuto Victor perché anche tutto quello che concerne la sfera della del linguaggio non verbale viene
appreso un po per imitazione dal bambino che esposto a quella che è la gestualità, a quelli che sono i
comportamenti non verbali dei genitori o di chi gli sta intorno, per cui riproduce quei comportamenti non
verbali e impara ad associare ad esempio determinate espressioni del viso o determinate posture del corpo
a un determinato stato d'animo, a determinate emozioni. Questo è un aspetto ad esempio che risulta
molto spesso deficitario anche nelle persone, nei bambini ciechi laddove non c'è la possibilità di vedere
quelle che sono le espressioni del volto quella che è la postura è l’atteggiamento non verbale del proprio
interlocutore, quella assenza di comunicazione non verbale ovviamente impoverisce anche la
comunicazione verbale perché toglie un elemento importante e questo è il motivo per cui anche le persone
cieche sono particolarmente attente a quella che è la comunicazione invece di tipo paraverbale, ovvero al
modo in cui si utilizza la voce perché il tono, il volume, il registro che utilizziamo parliamo naturalmente
aiuta a veicolare determinati significati oppure l'essere prossimo al proprio interlocutore per magari
toccargli il volto e comprendere anche attraverso questo tipo di interazione quelli che possono essere
sentimenti e stati d'animo. La comunicazione non verbale è un aspetto essenziale della comunicazione. c'è
uno studioso che si occupa appunto di pragmatica della comunicazione che si chiama Paul vaslavic, che
parte proprio da un presupposto- che non si può non comunicare anche la persona che sta in silenzio
comunica, anche quel silenzio comunica sempre qualcosa per cui è impossibile non avere una
comunicazione e quindi questo è in riferimento all'importanza della semantica dell'azione. Questa relazione
tra itard e Victor è diventata in qualche modo la relazione emblematica cioè l'esempio più importante di
quello che è il rapporto tra chi educa e tra chi viene educato e ci sono degli elementi che sono
particolarmente significativi rispetto a questa relazione. Abbiamo innanzitutto il concetto di presa in carico
che oggi è un concetto che ritroviamo anche all'interno della riflessione pedagogica attuale, che ritroviamo
anche nei documenti e nella normativa scolastica. La presa in carico riguarda proprio il farsi carico di quelli
che possono essere i bisogni, le esigenze e le aspirazioni, le inclinazioni della persona che vive una
condizione di fragilità o di vulnerabilità quindi la presa in carico globale fa riferimento proprio alla
possibilità di relazionarsi a quella persona facendosi carico di quelle che sono le sue difficoltà ma anche di
quelle che possono essere le sue potenzialità cercando di farli emergere. Un'altro elemento in questa
relazione sicuramente è La fiducia educativa. Fiducia soprattutto da parte di Itard nei confronti di questo
ragazzino chea fronte di una condizione particolarmente disperata però itard intravede qualcosa intravede
in lui delle capacità, potenzialità latenti per cui in nome di quel principio di educabilità al quale abbiamo
fatto riferimento, investe in questa relazione, quindi decide di fidarsi del suo istinto e quindi di
intraprendere questo percorso con il giovane Victor. Naturalmente abbiamo anche un esempio di quella
che può essere definita una relazione totale perché non soltanto perché c'è proprio che Itard porta con sé
Victor a casa e quindi inizia proprio un percorso che li vede insieme praticamente dalla mattina alla sera,
continuamente, quindi c'è una totalità che non riguarda soltanto lo stare insieme, ma una totalità che
riguarda anche tutte le sfere, tutte le dimensioni dell'esistenza di Victor. Per cui itard si fa carico di quella
che è la vita di Victor per cercare di migliorarla e di portarla ad una posizione di normalità fra virgolette.
Per quanto riguarda questo ragazzino dobbiamo dire che raggiungerà importantissimi risultati rispetto a
quello che è lo sviluppo fisico e anche nella motricità soprattutto la motricità fine, che fa riferimento ad
esempio all’abbottonarsi la camicia piuttosto che allacciarsi le scarpe piuttosto che impugnare la penna,
cioè a tutto ciò che riguarda lo sviluppo della manualità quindi si chiamano motricità fine. Maturerà il
controllo emotivo e le funzioni affettive, cioè riuscirà a regolare quelle che sono le sue emozioni e anche a
regolare i suoi comportamenti affettivi rispetto a determinati contesti, quindi a comprendere in ogni
contesto qual è il comportamento più adeguato e quindi come regolare da questo punto di vista le sue
emozioni. Incrementerà la comprensione del linguaggio ma non perverrà mai al linguaggio, diciamo che
l'obiettivo relativo alla questione del linguaggio purtroppo non sarà mai raggiunto da Victor nonostante gli
innumerevoli sforzi di Itard. Svilupperà anche una serie di competenze a livello cognitivo, a livello
intellettivo perché imparerà anche a leggere a scrivere seppure in maniera diciamo parziale ma non
perverrà mai al linguaggio parlato. Sicurament il percorso intrapreso da itard darà dei risultati importanti
sebbene itard a un certo punto getterà quasi un po la spugna dopo circa 5 6 anni di intervento intensivo,
sistematico quotidiano , tornerà un po al quello che era il suo lavoro con i bambini sordi e abbandoneranno
un po l'idea diciamo di continuare a lavorare con Victor, che resterà poi con quella che è un'altra figura
fondamentale all'interno di questo percorso, che è la governante di Itard, madame Vierenne che sarà un po
la figura materna in questo percorso per cui sarà importante anche il suo contributo per lo sviluppo di
Victor . Itard a un certo punto getterà un po la spugna perché soprattutto in riferimento al mancato
obiettivo legato al linguaggio sarà diciamo particolarmente deluso, anche se poi studi successivi e opinioni
successive hanno affermato la possibilità che Victor potesse presentare una forma di autismo e che molte
delle sue diciamo difficoltà fossero legate alla presenza di un disturbo di questo tipo, però sono tutte
supposizioni. Non possiamo sapere naturalmente quale potesse essere realmente il problema se appunto
potesse essere soltanto legato alla lunga deprivazione socio culturale o se ci potesse essere anche un
elemento di disturbo, di sindrome particolare per cui c'erano diciamo queste evidenti difficoltà. I progressi
di Victor furono sicuramente straordinari.
Per quanto riguarda quello che è il modello educativo di Itard, uno dei primi modelli di educazione di un
bambino con difficoltà di varia natura. In questo modello è possibile rintracciare secondo alcuni studiosi è
una declinazione del concetto di educazione nelle sue tre sfumature etimologiche principali: quindi
abbiamo sia l'azione dell'educare, ovvero del prendersi cura, del farsi carico concetto cercando di far uscire
Victor da una situazione di isolamento, di deprivazione , poi anche l'azione delle docere quindi
dell'insegnare, degli istruire Victor non soltanto in riferimento alle abilità cognitive ma in riferimento a una
serie di abilità e di competenze legate anche ad altre aree dello sviluppo, e poi abbiamo un'azione delle
ducere, cioè del tirare fuori, in qualche modo è la dimensione particolarmente significativa del processo di
educazione, cioè la possibilità di fare emergere, di portare fuori quelle che sono le potenzialità e le capacità
dell'altro.
Rispetto a quello che è stato più che il successo di itard, meglio dire proprio il contributo di Itard perché in
alcuni casi sicuramente si tratta di un successo ma più che guardare in termini di successo a questa storia
bisogna rintracciarne quelli che sicuramente sono gli elementi soprattutto dal punto di vista pedagogico che
sono importanti. innanzitutto Itard ha conferito un'identità a questo ragazzo che appunto non aveva
nemmeno un nome e quindi l'atto anche del dargl un nome in qualche modo lo ha tolto da quella
condizione di isolamento e di deprivazioni, perché gli ha conferito una dignità e quindi un'identità ben
precisa. Inoltre questo tipo di storia, di percorso mette in luce quelli che oggi sono dei principi fondanti
della pedagogia speciale ma anche in generale del discorso sulla inclusione, la necessità di vedere nell'altro
delle potenzialità, delle capacità quindi agire secondo un principio di educabilità, partire e valorizzare quelli
che possono essere i punti di forza e le inclinazioni, le predisposizioni della persona, cercare di valorizzare
quella che è la diversità. Siamo ancora in un'epoca ovviamente in cui i concetti di diversità, di differenza
non assumevano il significato che poi hanno assunto nel corso del tempo ma sicuramente Itard ha il merito
proprio di intravedere, di andare oltre una diagnosi medica, di andare oltre quello che poteva essere
l'approccio dell'epoca e andare a delineare un metodo- altro aspetto importante- cioè il sistematizzare un
intervento educativo, partendo dal presupposto che è necessaria una fase di tipo osservativo di quella che
è la specificità della persona , e quella che è una fase operativa in cui a partire da quella osservazione si
possano poi definire delle tappe di un progetto di tipo educativo.

8° lezione: 25/03/22
Figura di un altro grande studioso che ha dato un contributo fondamentale al concetto sulla diversità,
ecc-Eduard Seguin.- cap sul libro (su Itard, Seguin e Montessori)
Eduard Seguin si colloca in un periodo cronologico successivo a Itard, alcuni lo definiscono un suo allievo. È
vero che recupera il pensiero di Itard e il suo approccio metodo, ma poi a un certo punto si discosta dal
lavoro di Itard perché intraprende un percorso personale delineando un proprio approccio e metodo
all’educazione dei minori con disabilità intellettiva. È definito il maestro degli idioti, laddove gli idioti nel
contesto della Francia ottocentesca erano coloro che presentavano una disabilità intellettiva, quindi
avevano difficoltà a livello cognitivo. Molto spesso vivevano in condizione di emarginazione, non avevano la
possibilità di essere istruiti perché non era prevista dal punto di vista pubblico l’istruzione nei confronti dei
bambini con disabilità, per cui Seguin aprirà proprio un istituto, scuola speciale per bambini, e ragazze con
disabilità intellettiva. Quindi nell’ambito della pedagogia speciale è considerato proprio il padre degli idioti.
Opera soprattutto a cavallo tra 1° e 2° ottocento e a differenza di Itard che era un medico e poi un
educatore, Seguin studia inizialmente legge per poi iniziare a dedicarsi alle questioni educative iniziando
proprio a collaborare con itard. Nello specifico, la sua attenzione è posta proprio sulle problematiche,
difficoltà nell’educazione dei cosiddetti idioti, o deficienti mentali. È stato il promotore della creazione di
istituti speciali per persone con disabilità intellettiva. Opera nella 1° fase del suo percorso a Parigi, nel
contesto francese, per poi migrare negli Stati Uniti, dove si laureerà in medicina. È un educatore che poi
intraprende il percorso medico e morirà negli stati uniti nel 1880. Alla base del suo pensiero e del suo
metodo si trova proprio il corpo e la corporeità, tutto ciò che riguarda il corpo e come questo influisce sui
meccanismi cognitivi, sulla conoscenza. E metterà a punto proprio un metodo, il cosiddetto metodo
fisiologico che sarà basato sulla stimolazione di quella dimensione sensoriale fisiologica che attiva anche i
meccanismi conoscitivi, i meccanismi a livello cognitivo. In riferimento a quella che è l’educazione di Seguin,
abbiamo un’iniziale collaborazione con itard che sarà fondamentale perché influirà molto sull’elaborazione
del suo metodo perché così come Itard, Seguin recupera una serie di concetti fondamentali. Innanzitutto
recupera l’importanze dell’osservazione nella predisposizione di un intervento educativo e quindi anche lui
partirà da questa idea di osservare in maniera specifica e dettagliata quelle che sono le caratteristiche, i
comportamenti dei bambini con disabilità intellettiva. Recupererà anche l’elemento dell’educazione
sensoriale, cioè parte anche egli dal risveglio, dalla stimolazione a livello sensoriale per poi arrivare alle
altre aree dello sviluppo. Una forte influenza sul pensiero di seguin la esercita anche Rousseu rispetto al
dibattito natura-cultura, rispetto a come l’educazione puo formare e plasmare quello che è l’uomo. Altri
elementi che caratterizzano la sua formazione sono innanzitutto il riconoscimento della diversità come
elemento che arricchisce e non come elemento che si allontana da quella che è la condizione di normalità.
Da questo punto di vista -seguin sostiene che anche i soggetti presentano deficit di tipo anatomico
funzionale sono assolutamente educabili e ricuperabili mediante il ricorso a uno specifico intervento fisico e
neuromuscolare- il corpo con tutta la sua dimensione legata alla sensorialità alla riattivazione muscolare
riveste un ruolo importantissimo per Seguin. Seguin è un sostenitore innanzitutto dell’educabilità del corpo,
cioè prima ancora di educare qualsiasi aspetto, di intervenire su qualsiasi altro aspetto dello sviluppo è
necessario partire dall’educabilità del corpo perché la capacitò del corpo umano a generare delle
sensazioni, imput secondo Seguin influenza il cervello e la produzione delle idee.
Questa è un intuizione importante perché siamo in un periodo in cui a differenza di oggi c’era una forte
separazione tra il fisico e il mentale, vigeva il cosiddetto dualismo cartesiano per cui mente e corpo erano
considerate come mentalità separate che quindi andavano sviluppate anche in maniera separata. Oggi
questa visione cartesiana è stata ampliamente superata e sappiamo che c’è questa interazione tra quello
che è l’apparato senso motorio e i meccanismi cognitivi per cui sappiamo che la conoscenza passa
innanzitutto attraverso il corpo, attraverso quegli imput che a livello sensoriale il corpo riceve e che poi
generano anche degli imput a livello cognitivo – quindi mente e corpo sono assolutamente in stretta
connessione. Il quadro concettuale all’interno del quale opera Seguin si rifà anche ad alcuni ideali che
provengono dalla corrente socialista, in particolare dal suo amico socialista Lerou che propone una
distinzione fra il concetto di carità e quello di solidarietà. Questo concetto è importante perché è alla base
dell’intervento educativo di Seguin, nel senso che la carità secondo Lerou (e poi secondo anche Seguin) è
quel processo che rende le persone passive epiche le pone in una condizione di dipendenza nel ricevere la
carità da persone.- dipendenza dall’altro. La solidarietà è invece intesa come quel processo che rende le
persone autonome e libere di scegliere come gestire la propria vita, cioè a partire dal supporto che una
persona puo ricevere in realtà assume un ruolo attivo rispetto a quella che è la propria vita e le proprie
decisioni legate alla propria vita. Questo è importante perché le persone con disabilità, soprattutto di tipo
intellettivo, vivevano una condizione di carità, riuscivano a sostenersi attraverso quella che era l’approccio
caritatevole della società. Invece seguin intuisce che quella condizione di carità deve necessariamente
trasformarsi in un’azione solidale che deve sicuramente supportare la persona con disabilità ma non per
renderla passiva e bisognosa dell’aiuto dell’altro ma per metterla in una condizione di autonomia, renderla
autonoma e indipendente da quell’aiuto e fare in modo che attraverso quell’aiuto possa autodeterminarsi,
possa essere protagonista di quelle che sono le azioni finalizzate a gestire la propria vita. Un altro aspetto su
cui si basa il metodo di SEguin, sempre sulla scia delle idee socialiste di lerou è che lo sviluppo e la
realizzazione completa e integrale di ogni soggetto passa attraverso l’integrazione e l’interazione di 3
dimensioni fondamentali che sono il corpo, il cuore e lo spirito. Tutto ciò che riguarad la corporeità, il
movimento e la sfera legata al corpo, la sfera mentale- cioè i processi cognitivi (lo spirito) e la dimensione
affettiva (cioè il cuore)- quindi l’interazione e l’integrazione di questi tre aspetti è alla base del processo di
sviluppo di ogni singolo uomo.
In riferimento a quello che è il suo metodo fisiologico seguin parte dal presupposto che è necessario
ripensare il metodo educativo dell'epoca quindi a lui contemporaneo. Quindi nella definizione del suo
metodo parte proprio da una critica di quello che è il metodo educativo ottocentesco, laddove l'educazione
viene concepita innanzitutto come una sorta di forma di addestramento della persona laddove
l'attenzione viene posta su un tipo di apprendimento mnemomico- l'apprendimento trasmissivo di una
serie di nozioni e per cui il processo educativo è un processo che tende all'omologazione, a rendere gli
individui tutti uguali senza invece andare a stimolare a sollecitare quella che è anche la capacità critica e di
giudizio delle persone. A questo tipo di approccio educativo seguin contrappone una educazione di tipo
integrale che coinvolge proprio tutte le facoltà, le potenzialità del soggetto andando a lavorare e a
valorizzare soprattutto quelle che sono le sue caratteristiche specifiche, le sue differenze- in questo
principio di seguin ritroviamo tutta quella che è la riflessione legata anche al tema delle differenze attuale,
al tema dell'inclusione e della valorizzazione delle differenze individuali perché Seguin intuisce proprio
l'importanza di contrapporre ad un tipo di educazione così rigido trasmissivo che tende all'omologazione
dei soggetti ,un'educazione che invece libera da questa impostazione perché cerca di mettere nelle
condizioni il soggetto di potersi esprimere in maniera piena e libera.

Quali sono quindi i tre principi alla base del metodo di seguin che si rifanno un po alle tre dimensioni-
mente spirito e cuore? Sono appunto tre : l'attività, l'intelligenza e la volontà collegate proprio alle tre
dimensioni. Abbiamo l'attività che è legata al corpo, cioè alla sfera della motilità e della sensibilità quindi
che va a favorire una consapevolezza da parte dell'individuo, di se stesso e di quello che lo circonda
attraverso la consapevolezza di quelli che sono gesti, attività della quotidianità. Poi il principio legato
all'intelligenza che quindi si collega alle funzioni dello spirito e quindi dell'intelletto, per cui seguin punta a
quello che è lo sviluppo, l'acquisizione di conoscenze tramite dei materiali educativi specificamente
elaborati e che sono materiali tra l'altro che verranno poi recuperati e rielaborati dalla stessa Maria
Montessori. E abbiamo il principio legato alla volontà che si rifà alla sfera etica e morale della persona che
intende l'educazione non come fine a se stessa ma proprio come un processo finalizzato allo sviluppo di un
individuo che possa naturalmente poi interagire all'interno di un contesto di uno più ampio contesto
sociale, per cui da questo punto di vista si come dire l'attenzione puntata sugli aspetti etici e morali
dell'educazione.

quindi quali sono i principi del metodo di sagen? domanda ad esame -Sono propri attività intelligenza e
volontà che sono collegati alle tre dimensioni -ovvero cuore mente e corpo. L'attività fa riferimento alla
sfera della motricità e della sensibilità per cui è necessario rendere l'individuo consapevole di se stesso, del
suo corpo e di quelle che sono le attività e le azioni legate alla quotidianità. L'intelligenza si rifà alle funzioni
intellettive e quindi alla acquisizione, allo sviluppo di conoscenze attraverso l'utilizzo di materiali
specificamente predisposti proprio per favorire questo processo e infine il principio della volontà che
rimanda alla dimensione etica morale dell'educazione ovvero che guarda alll'educazione non come
processo individuale, ma in qualche modo come processo collettivo perché l'educazione non è fine a se
stessa ma anzi si inserisce in un quadro più ampio dove l'individuo è appunto messo in relazione con con gli
altri individui quindi con la società.

secondo seguin l'idiozia- che èl il punto centrale della sua riflessione - è appunto il maestro degli idioti
perché fa proprio questo lavoro specifico con bambini e ragazzi con disabilità intellettiva. Seguin intende
l'idiozia come una condizione di infermità che però rappresenta per chi vive questa condizione di infermità
rappresenta in effetti una condizione di norma. Cioè seguin parte dal presupposto che non è possibile
mettere in relazione la condizione dell'idiota con una condizione di normalità perché la normalità per il
bambino con disabilità intellettiva è quella non è un'altra, cioè non è comparabile con una condizione che è
diversa perché è una condizione specifica che naturalmente implica anche una serie non soltanto di
caratteristiche specifiche ma implica anche degli interventi di tipo educativo specifico- per cui intende
l'idiozia come una condizione di norma piuttosto che come una condizione specifica che si distanzia dalla
norma perché la norma che viene vissuta dalla persona con disabilità intellettiva è la sua normalità. Sempre
in riferimento al concetto di idiozia seguin sostiene che è inutile cercare di stabilire dei sottogruppi, di
creare delle categorie rispetto a uno o più parametri per andare a catalogare le varie forme di idiozia,
occorre invece secondo seguin andare ad osservare, analizzare in maniera approfondita ogni condizione,
ogni caso specifico dal punto di vista fisiologico e psicologico per andare a valutare poi il livello di
educabilità e n andare ad individuare quegli approcci, quelle tecniche, quegli strumenti che si rivelano
maggiormente efficaci rispetto a quella particolare condizione.

Secondo il seguen non è possibile considerare l'idiozia cercando di stabilire delle categorie specifiche
piuttosto è opportuno andare ad analizzare ogni singola situazione, ogni singolo caso sia dal punto di vista
fisiologico che dal punto di vista psicologico perché quel tipo di analisi ci consentirà di stabilire anche il
grado di educabilità del bambino e quindi poi di intervenire dal punto di vista metodologico e dell'approccio
in maniera efficace. Questo metodo fisiologico è proprio basato su un'insieme di mezzi di sviluppo, di
strumenti di materiali di sviluppo ma anche di strategie di sviluppo che sono rivolte all'integrità della
persona cioè vanno a lavorare sulle differenti dimensioni di sviluppo della persona sulla sfera sensoriale,
sensomotoria in primis che è appunto intesa nella sua globalità, ma anche sulla sfera cognitiva, sulla sfera
delle emozioni,sulla sfera delle relazioni. In seguin troviamo una dimensione ecologica dell'educazione
laddove quando parliamo di approccio etologico facciamo riferimento proprio ad una prospettiva
complessa dell'educazione che recupera proprio il ruolo delle interazioni tra fattori diversi-il fattore
biologico, il fattore psicologico, sociale, culturale quindi un'educazione intesa in questo modo è
un'educazione attenta alla dimensione etologica del processo educativo. Rispetto al suo metodo fisiologico
seguin afferma che il sistema educativo deve essere necessariamente un sistema di tipo integrale nel senso
che deve intrecciare quelli che sono i dati medico clinici con i dati educativi perché naturalmente a partire
da quella che è un'analisi (anche oggi no anche in ambito scolastico c'è questo tipo di interazione perché
naturalmente anche per predisporre quei documenti come il piano educativo individualizzato o il piano
didattico personalizzato occorre partire da quello che oggi si chiama il profilo di funzionamento e che quindi
è un documento che intreccia proprio quella che è la diagnosi medica con quelli che sono poi invece aspetti
educativi) -per cui a partire dall'intreccio di quei dati è opportuno poi andare ad elaborare delle forme di
intervento specifiche, quindi calibrate sulla singola persona. Ritroviamo in seguin già questa idea di
utilizzare, cioe di predisporre interventi individualizzati e personali a partire proprio dall'intreccio tra dati
medico clinici e dati educativi. Secondo seguin il sistema educativo integrale è integrale proprio perché si
basa su quella che è la relazione , equindi l'unità tra gli aspetti motori, gli aspetti sensoriali e quindi poi
l'intelligenza, quindi c'è una stretta interazione tra questi aspetti per cui partendo dal presupposto che è
possibile sottoporre qualsiasi organo ad una stimolazione così è possibile operare anche per il cervello che
in effetti è un organo e che quindi così come andiamo a sviluppare, a esercitare la sensibilità, la motricità, è
possibile andare a sviluppare anche quello che è il cervello in quanto organo deputato appunto alla
conoscenza. Perché il corpo assume un ruolo centrale nel metodo di seguin? Perché naturalmente è
l'educazione stessa che secondo seguin ha le sue radici nel corpo, nella corporeità perché è attraverso il
corpo che l'uomo conosce il mondo, cioè lo percepisce innanzitutto ed elabora poi quelle informazioni, ma
se non avessimo la possibilità di percepire il mondo attraverso i nostri sensi, che sono parte del nostro
corpo e della nostra corporeità, non avremo accesso alle informazioni proveniente dall'esterno. Quindi è
attraverso il nostro corpo che possiamo conoscere il mondo e che quindi elaboriamo anche a livello
cognitivo le informazioni contestuali. Per cui è necessario che secondo seguin anche il bambino idiota,
quindi il bambino con disabilità intellettiva possa innanzitutto stabilire un rapporto con il proprio corpo,
conoscere il proprio corpo, imparare a regolare i meccanismi senso motori quindi imparare a percepirsi
come persona, come individuo e quindi a costruire la propria identità a partire da quella conoscenza
corporea. Naturalmente laddove ci sono delle difficoltà, dei deficit a livello strutturale o funzionale, il ruolo
dell'educatore è proprio quello di individuare gli strumenti, gli ausili, le strategie più idonee per andare a
compensare a vicariare proprio quelle funzioni che risultano deficitarie. Lo strumento principale di questo
tipo di metodo è proprio la ginnastica perché la ginnastica può lavorare non soltanto sul sistema muscolare
ma lavorando sul sistema muscolare lavora anche sul sistema nervoso seguin intuisce che sistema nervoso
il sistema muscolare sono strettamente collegati. Per cui lavorare sul corpo quindi a livello proprio di
attività muscolare aiuta anche lo sviluppo del cervello. Per la sua epoca naturalmente questa è
un'intuizione assolutamente straordinaria perché poi tutta la riflessione sulla unitarietà tra corpo e mente
sarà confermata dal punto di vista scientifico soltanto nel 900, nella seconda metà del 900.

Seguin parte dal presupposto che occorre partire da un'attenta osservazione del soggetto così come era
stato per Itard, per cui l'attività di osservazione è l'attività principale da realizzare, quindi osservare il
soggetto, i suoi comportamenti, quelle che sono le sue difficoltà e i suoi limiti legati anche alla presenza
della specifica disabilità, bisogna poi andare a trovare quello che è una sorta di equilibrio dei centri delle
funzioni del soggetto andando a lavorare innanzitutto a livello muscolare e poi a livello di sistema nervoso
centrale per poi integrare questi due aspetti. Altra grande intuizione di seguin è proprio che non esiste un
metodo, un approccio che valido per tutti, che va sempre bene, quindi una ginnastica che possa essere
adatta a tutte le condizioni, ma gli esercizi vanno di volta in volta calibrati sulla base delle specifiche
caratteristiche della specifica condizione del soggetto.

Come avviene l'educazione del sistema muscolare? innanzitutto seguin si rifà proprio ad un manuale di
ginnastica dell'epoca, il manuale di Amoros che riporta tutta una serie di esercizi distinti proprio rispetto a
quelle che sono le varie parti del corpo e quelle che sono le varie funzioni, e per cui si parte da uno sviluppo
libero e ponderato di tutte le leve, poi si alternano esercizi legati all'immobilità e poi alla marcia, al
cammino regolare, salti in altezza e in larghezza, in profondità , addominali esercizi per il torace e per la
colonna vertebrale. Quindi vengono stimolate tutte le fasce-l'idea di seguin è proprio di lavorare da questo
punto di vista sul sistema muscolare, alternando anche esercizi di sovraeccitazione ad esercizi di resistenza,
perché questo conduce il bambino idiota a conoscere il proprio corpo e quindi anche a gestire quello che è
il proprio corpo e la propria corporeità e questo gli consentirà anche a livello cognitivo di poter sviluppare il
pensiero, le idee quindi di attivare il i meccanismi di conoscenza. L'educazione del sistema nervoso si
concentra invece su quelle che sono le funzioni sensoriali. Secondo seguin i singoli sensi vanno sviluppati in
maniera appunto individuale e progressiva, per cui il senso da cui bisogna partire secondo seguin è il senso
del tatto perché In qualche modo tutti gli altri sensi sono una sorta di modificazione del tatto. Per cui dopo
diciamo una serie di stimoli legati alla funzione tattile si va a lavorare sul canale visivo, poi sul canale
uditivo, sul gusto infine sullo l'olfatto proprio in questa progressione. E vanno allenati secondo seguin in
maniera individuale proprio seguendo questo tipo di progressione, questo tipo di sviluppo. Questa idea
diciamo di lavorare in maniera analitica sulle sulle varie funzioni, sui vari canali sensoriali verrà ripresa
anche da Maria Montessori nel suo metodo- in cui il materiale di sviluppo cognitivo montessoriano è basato
proprio su una serie di caratteristiche e per cui il materiale deve essere innanzitutto un materiale di tipo
analitico cioè che va a lavorare a stimolare una qualità, un senso alla volta.

Un'altro elemento fondamentale del metodo di Seguin è l’imitazione perché naturalmente l'apprendimento
per imitazione secondo Seguin costituisce la base di partenza per lo sviluppo del bambino idiota. Seguin
distingue tra un'imitazione di tipo personale e una imitazione di tipo impersonale. L’imitazione personale è
relativa alla modificazione di una parte o di tutte le abitudini dell'individuo cercando di rendere l'individuo
consapevole di quello che è il suo corpo e di quelle che sono le potenzialità legate al suo corpo, per cui c'è
un’ azione finalizzata all'attivazione di quelli che sono i muscoli volontari, cioè che il bambino può
volontariamente contrarre o liberare. Un'imitazione invece di tipo impersonale è legata all'azione sugli
oggetti e i fenomeni circostanti e quindi è finalizzata alla conoscenza del mondo circostante, per cui si parla
in questo caso secondo seguin di una coscienza/conocenza del non-io, mentre nella imitazione personale
abbiamo una coscienza/conoscenza dell'io. Quindi l processo imitativo parte da una fase di imitazione
personale legata alla conoscenza del proprio corpo per passare poi ad una fase di imitazione impersonale
legata invece agli oggetti, alla conoscenza del non-io e quindi del mondo che lo circonda rispetto ad oggetti
situazioni e fenomeni circostanti. Il processo di imitazione assume una sua particolare importanza proprio
nella ginnastica muscolare ma anche nelle attività di stimolazione sensoriale proprio perché attraverso
l'assunzione di determinate posture e movimenti il bambino impara a dirigere, a mantenere la propria
attenzione, a gestire le proprie emozioni. Un aspetto che molto spesso è particolarmente carente nei
bambini con disabilità intellettiva è proprio la capacità di dirigere, di mantenere l'attenzione verso un
aspetto, verso un oggetto, verso una persona e questo secondo seguin è collegato anche al fatto di non
riuscire, dal punto di vista della postura e della gestione di quello che è il proprio corpo, a mantenere
l'attenzione perché non non si riesce nemmeno a avere consapevolezza di quello che è il proprio corpo e
quindi occorre partire da questo lavoro di consapevolizzazione che passa attraverso il corpo per
naturalmente una consapevolezza anche del proprio schema corporeo- lo schema corporeo è la proiezione,
la rappresentazione del nostro corpo all'interno di uno spazio, è un processo che si costruisce da piccoli e
che poi si naturalmente consolida con l'andare del tempo e che ci consente di muoverci all'interno di uno
spazio senza ad esempio urtare gli oggetti o le persone- la consapevolezza del proprio schema corporeo è
l'elemento che poi è anche alla base della costruzione dell'immagine di sé che ogni persona ha. Seguin
introduce anche quella che è la ginnastica- QUESTA non è rivolta soltanto al corpo ma diventa anche una
ginnastica della parola, perché naturalmente un'altro aspetto che risulta molto spesso critico nelle persone
con disabilità intellettiva e proprio l'aspetto linguistico e comunicativo. Ci sono molte forme di disabilità
intellettiva che vanno a inficiare proprio la produzione a livello linguistico, per cui secondo seguin occorre
proprio partire da innanzitutto un esame attento della condizione dello stato di quelli che sono gli organi
deputati alla produzione linguistica , quindi dell'apparato fono articolatorio, bisogna poi abituare il bambino
idiota a conoscere quelli che sono gli organi, i muscoli deputati al linguaggio e quindi guidando il bambino
proprio nella conoscenza di quello che è il suo apparato fono articolatorio, quindi cercando di capire quali
sono i muscoli che si muovono nel momento in cui parlo, come vibrano le corde vocali -quindi questo tipo
di conoscenza che passa attraverso il tatto, consente al bambino di acquisire consapevolezza rispetto alla
produzione linguistica quindi lo aiuterebbe poi anche nell'articolazione dei singoli suoni e poi delle parole.
Seguin rispetto alla questione della produzione verbale, offre anche alcune indicazioni di massima, nel
senso che secondo lui lo studio della parola deve iniziare dalle consonanti e non dalle vocali, oppure
suggerisce che le sillabe composte da una consonante e da una vocale devono essere articolate per prima,
oppure che tra le consonanti le labiali devono precedere tutte le altre perché è facilmente individuabile la
forma che devono assumere le labbra quando si pronuncia una consonante labiale e infine le sillabe isolate
sono meno facili da articolare rispetto alle sillabe ripetute perché naturalmente il bambino con disabilità
intellettiva deve fare uno sforzo maggiore per ricordare la sillaba isolata piuttosto che la ripetuta. Per
quanto riguarda la memoria, è un aspetto che è particolarmente importante nel nell'educazione del
bambino con disabilità intellettiva .

sicuramente la dimensione della memoria ha un suo peso specifico, risulta un aspetto assolutamente
rilevante cioè qualsiasi processo di tipo educativo didattico è basato proprio sull'utilizzo della memoria, di
quelle che possono essere determinate strategie o il consolidamento di determinate abilità, per cui la
capacità diciamo della memoria è anche legata alla comprensione di determinati input e proprio a partire
diciamo da questa considerazione seguin una elabora una sorta di regola diciamo che egli definisce dei tre
tempi, cioè del modo in cui secondo seguen è opportuno stimolare la memoria a lungo termine attraverso
un approccio definito in tre fasi.

che cosa prevede questa regola ? secondo Seguin qualsiasi attività di insegnamento è basata proprio sul
funzionamento l'attività, l'attivazione della memoria a lungo termine e quindi è possibile sollecitare lo
sviluppo della memoria a lungo termine articolando l'azione di insegnamento in tre fasi: una prima fase che
è quella della fissazione, ovvero nel momento in cui proponiamo uno stimolo al soggetto, il soggetto dovrà
fissare a livello mnemomico quello stimolo, nella fase successiva che è definita di riconoscimento, lo
studente il il bambino dovrà decodificare discriminare quello stimolo tra tanti altri- quindi un
riconoscimento nel senso che riconosce, discrimina quell'oggetto, quell'azione distinguendola da altri. E
infine nella terza fase, nella fase di rievocazione, il bambino dovrebbe acquisire la capacità di richiamare
alla mente quello stimolo quell'oggetto anche in sua assenza.

Per cui nella prima fase io ad esempio sottopongo il telefono all'attenzione del bambino e quindi il bambino
assimila in memoria quello stimolo che in questo caso è rappresentato da un oggetto (telefono), nella fase
di riconoscimento deve riconoscerlo insieme ad altri oggetti, discriminarlo- nella fase di riconoscimento si
sottopongono all'attenzione del bambino più oggetti in questo caso e gli si chiede di riconoscere il telefono
tra i vari oggetti per cui il riconoscimento, e infine nella fase di vocazione si elimina qualsiasi tipo di oggetto,
compreso il telefono, oppure si lasciano gli altri oggetti e si nasconde il telefono, perché il bambino dovrà
avere acquisito la capacità di richiamare alla mente, quindi di ricordare quell'oggetto anche se non lo vede.
Questa secondo Seguin è la cosiddetta regola dei tre tempi che consente di stimolare, di esercitare la
memoria a lungo termine che poi è la base per l'acquisizione di qualsiasi tipo di conoscenza o di abilità, cioè
perché impariamo a leggere a scrivere piuttosto che la storia e la geografia, proprio perché abbiamo una
memoria a lungo termine che ci consente di immagazzinare le informazioni ma quel processo di
elaborazione di immagazzinamento delle informazioni in una condizione di disabilità intellettiva è un
processo molto più lento ostacolato dalla presenza del deficit per cui va esercitato costantemente e quindi
secondo Seguen questa regola di tre tempi consente proprio di lavorare sulla memoria a lungo termine.

9° lezione: 1/04/2022

Seguin. Delinia un metodo fisiologico che parte dall’esercizio fisico motorio per arrivare all’insegnamento di
attività più complesse.

Seguin offre delle riflessioni e considerazioni anche in merito all’apprendimento della lettura e della
scrittura per i bambini con disabilità intellettiva, partendo dal presupposto che l’apprendimento di queste
attività deve avvenire necessariamente attraverso esperienze che abbiano un senso per il bambino e che ne
suscitino l’interesse, l’attenzione. Il processo di acquisizione delle abilità di lettoscrittura non può essere
secondo seguen, slegato, svincolato da quelle che sono attività quotidiane di interesse del bambino. La
presenza di una disabilità intellettiva implica lo sviluppo di un pensiero piuttosto concreto rispetto a un
pensiero astratto per cui anche nella lettroscrittura diventa importante offrire delle occasioni di
sperimentazione diretta di queste abilità. Per cui ad esempio seguien parte dal presupposto che si debba
associare la singola parola da scrivere o da leggere a un oggetto, a un qualcosa di reale per cui suggerisce di
partire nell’avviare le abilità di lettroscrittura dai sostantivi che sono quelli che dal punto di vista concreto
hanno una ricaduta pratica, sono associabili da parte dello studente, associati concretamente a un qualcosa
di reale per cui il bambino ha meno difficoltà ad associare quell’oggetto alla parola scritta o letta.

I temi proposti da seguin nell suo metodo fisiologico sono temi che ritroviamo in quella che è l’ottica
dell’inclusione, ci sono dei principi pedagogici che ritroviamo anche nella prospettiva attuale e questo ci
consente di affermare che seguin è stato un innovatore, un pioniere dell’educazione speciale, ma pone la
riflessione anche su alcun caratteristiche fondamentali dell’educazione come costrutto teorico. Innanzitutto
il tema dell’unitarietà, cioè il considerare la persone un’unione psicofisica laddove invece siamo in un
periodo in cui ancora non c’era questa consapevolezza ma anche dal punto di vista educativo si intendeva
ad educare il corpo e la mente in maniera separata pensando che si trattasse di entità disgiunte. Oggi
invece sappiamo che c’è una costante interazione tra l’apparato sensomotorio e i processi cognitivi per cui
la conoscenza passa attraverso il corpo. Seguin aveva avuto quindi questa importante inclinazione,
declinata poi anche dal punto di vista educativo. Il tema dell’inclusività nel senso che seguin decide di
soffermare la propria attenzione educativa su una fascia di persone che dal punto di vista sociale viveva
sempre condizioni di emarginazione ed esclusione ritenuti incapaci di provvedere in maniera autonoma a
loro stessi e ritenuti anche ineducabili. Seguin invece sceglie la strada dell’educazione dei bambini con
disabilità intellettiva e il suo intervento ha una valenza inclusiva anche in riferimento alla prospettiva piu
ampia che assume il lavoro di seguin perché lui guarda all’educazione in una prospettiva a lungo raggio, di
ampio respiro, non soffermandosi solo a quelli che sono gli elementi di istruzione, educazione di base ma
anche nell’ottica di promuovere, garantire un futuro per questi ragazzi. C’è quindi una progettualità che
caratterizza anche gli approcci attuali- oggi si parla di progetto di vita sia in ambito educativo e didattico
richiamando una dimensione progettuale imprescindibile nell’educazione. Altro tema fondamentale è
l’attenzione al corpo, corporeità questo tema poi nella 2° metà del 900 sarà poi ripreso grazie agli studi
neuroscientifici che mettono in evidenza il ruolo fondamentale che il corpo ha nei processi di conoscenza a
partire anche da una serie di scoperta negli ambiti neuroscientifici, come la scoperta die neuroni specchio e
tutte le scoperte legate alle aree del cervello che si attivano in corrispondenza di determinati movimenti o
stimoli sensoriali. E poi l’importanza che riveste il contesto favorevole, cioè il contesto che è in grado di
creare le condizioni ideali affinchè il bambino possa esprimersi al meglio delle proprie capacità e
potenzialità. L’attualità dei temi proposti da seguin sta proprio in questi temi che sono presenti nel suo
approccio in maniera pioneristica e che poi caratterizzano anche la riflessione pedagogica attuale. Questa
attualità fa riferimento anche ad altri principi, come quelli di uguaglianza e libertà per tutti gli uomini, il
riconoscere, ridare una dignità alle persone con disabilità riconoscendo a loro lo status di essere umano
innanzitutto prima ancora di riconoscere quella che è una condizione di disabilità. Riconoscere a queste
persone i diritti di cittadinanza e questo tema poi ritorna nella 2° metà nel 900 nei movimenti delle persone
con disabilità che rivendicheranno i loro diritti dal punto di. Vista politico sociale educativo ecc. seguin è
uno dei primi a sostenere e a parlare di educazione di tutti per tutti , riconoscendo che l’educazione non
può essere un fenomeno che riguarda solo determinate fasce della popolazione ma deve essere una
dimensione assolutamente accessibile a tutti. Altro elemento è quello legato al ruolo che assume
l’educatore all’interno di questi processi educativi perché seguin attraverso la sua opera mette in evidenza
quanto sia importante il ruolo dell’educatore ai fini della ricerca, della sperimentazione che è poi anche il
principio che riprenderà poi maria montessori nella sua pedagogia sperimentale che fa riferimento alla
necessità per l’educatore di mettere in campo quelle attività di ricerca sperimentazione che gli consentono
non solo di ricavare informazioni importanti per gli approcci successivi ma anche per indagare, osservare da
vicino in maniera profonda quelle che sono le caratteristiche e le esigenze del singolo bambino. Poi
l’individualizzazione del percorso educativo- seguin sostiene che non ci sia un intervento educativo che va
bene per tutti ma ci sono tanti interventi che possono essere calibrati sula singolarità soggettività della
persona rispetto a quelle che sono le sue caratteristiche, potenzialità. E il tema della finalità educativa
dell’intervento in presenza di persone con disabilità che mira innanzitutto a sviluppare la dimensione
dell’autonomia, tutte quelle autonomie di bai e quelle autonomie che concorrono a rendere la persone con
disabilità intellettiva autonoma, quindi che possano svincolarla da quella condizione di dipendenza che.
Molto spesso si crea nella relazione tra la persona con disabilità e quella di cui se ne occupa, come genitori,
insegnanti ecc e che però è vincolante per la persona con disabilità intellettiva perché non le consente di
poter maturare ed esprimersi al meglio e di attivare anche quelle che sono le capacità e potenzialità che
possono sembrare celate dalla presenza di una disabilità che è importante, ma che in effetti (se ragioniamo
nell’ottica del principio di educabilità) sono presenti in ciascun essere umano e il compito dell’educatore è
proprio quello di poterle fare emergere.

Maria montessori-grande pedagogista, il suo metodo ha avuto per un periodo grande successo in Italia ma
poi hanno avuto il sopravvento altri approcci per cui oggi non sono molte le scuole che utilizzano il metodo
montessoriano.

Contestualizzare la sua riflessione opera, all’interno di una cornice pedagogica imprescindibile. Maria
montessori si configura come una delle maggiori esponenti della corrente dell’attivismo pedagogico che è
quella corrente che caratterizza i primi decenni del 900 e che vede degli esponenti di spicco (maria
montessori è solo una delle tante ma ci sono tantissimi pedagogisti che hanno proprio dato un contributo
alla riflessione pedagogica e hanno cambiato sono solo il fare scuola, il fare educazione ma anche il modo di
intendere la disabilità e il modo di approcciarsi alla disabilità e in generale all’infanzia perché fino
all’avvento di questo movimento e di queste nuove correnti di pensiero pedagogico l’infanzia era
considerata un momento assolutamente poco degno di attenzione da parte anche delle discipline che si
occupano dell’uomo. L’ infanzia diventa il centro dell'attenzione soltanto tra la fine dell'Ottocento e gli inizi
del 900 perché iniziano a nascere una serie di discipline che si occupano appunto dell'infanzia. Innanzitutto
nascono le scienze di stampo psicologico, per cui inizia a svilupparsi un'attenzione sempre maggiore verso
che quelli che sono i problemi e le caratteristiche dell'infanzia. Si sviluppano naturalmente delle nuove
correnti pedagogiche, progredisce anche la riflessione e gli studi in campo medico, psichiatrico, eccetera
per cui c'è una nuova consapevolezza di quelli che sono i meccanismi alla base dello sviluppo dell'uomo. In
particolare proprio diciamo il contributo della psicologia che poi si unisce a quello della pedagogia, porrà
attenzione proprio a questo periodo importantissimo nella storia dell'uomo, perché ad esempio anche tutti
gli studi di Freud sul fatto che tutto ciò che accade al bambino nell'infanzia, ha poi delle ripercussioni
sull'uomo che quel bambino diventerà, per cui tutti i traumi piuttosto che le situazioni felici e infelici vissute
dal bambino avranno una ricaduta sul suo sviluppo anche in età adulta. Quindi si inizia a porre particolare
attenzione a questo momento della vita di un uomo, si inizia a riconoscere il ruolo che l'infanzia gioca
all'interno dei processi evolutivi e quindi sicuramente il contributo della psicologia dell'età evolutiva sarà la
base della riflessione legata all'attivismo pedagogico e naturalmente questo porterà ad orientare lo sguardo
soprattutto in ambito pedagogico a quelli che sono gli interessi e i bisogni dei bambini- cosa diciamo
assolutamente nuova per l'epoca perché l'educazione era un tipo di educazione incentrata soprattutto sulla
figura dell'adulto, sulla figura del maestro, sulla figura dell’educatore che in qualche modo gestiva i processi
educativi e che in qualche modo orientava lo sviluppo del bambino. Si parte invece con l'attivismo
pedagogico si pone al centro invece proprio il bambino con tutti i suoi bisogni, i suoi interessi, le suoi
inclinazioni e le sue predisposizioni naturali per cui si comprende che anche l'azione educativa deve partire
da quei bisogni e da quegli interessi. Un'altro nucleo tematico fondamentale che ritroviamo nell'attivismo
pedagogico è il rapporto tra scuola e vita perché fino ad allora la scuola costituiva un contesto
assolutamente scollegato dalla vita, cioè era il luogo del nozionismo, delle conoscenze che dovevano essere
apprese dallo studente ma che non avevano poi in effetti una ricaduta, un collegamento con la vita pratica
e quindi c'era un totale scollamento tra il contesto scuola e quella che poi era la vita. Invece l'attivismo
pedagogico parte proprio dal presupposto che è necessario mettere in relazione questi due universi, questi
due mondi perché quello che il bambino impara a scuola deve essere quello che poi in qualche modo
sperimenta anche a casa. Non ci può essere questa scissione, cioè il bambino magari è ordinato a scuola
perché segue un certo tipo di disciplina e poi a casa è come se non avesse questo tipo di di ricaduta, quindi
sicuramente si mette in evidenza proprio il necessario rapporto, il necessario dialogo tra scuola e vita e si
pone attenzione a quella che è un'intelligenza operativa e pratica a discapito invece di una intelligenza
soprattutto che andava allenata soprattutto attraverso la memorizzazione, il nozionismo. Per cui si
comprende invece che attraverso il fare -quando parliamo di attivismo pedagogico parliamo proprio di una
pedagogia del fare, cioè dello sperimentare da parte del bambino in maniera diretta quelli che possono
essere dei concetti delle informazioni, dei contenuti che può appunto attraverso l'esperienza diretta
comprendere e recepire sicuramente meglio. Quindi si inizia un lavoro proprio sullo sviluppo di
un'intelligenza maggiormente pratica ed operativa.

Maria Montessori ha una formazione di tipo medico perché si laurea in medicina a Roma e dove si dedica
proprio alla cura dei bambini subnormali, cioè quei bambini che presentavano o un deficit a livello cognitivo
o particolari problematiche a livello comportamentale. Per cui c'è da subito un interesse proprio verso
questa condizione specifica. Nel 1907 fonda la prima casa dei bambini, famosa proprio perché nasce in un
quartiere Popolare di Roma e accoglie tutti quei bambini che presentavano delle difficoltà di varia natura, di
varie entità, quindi non soltanto bambini con disabilità ma anche bambini provenienti da un contesto
culturale svantaggiato che quindi molto spesso erano rifiutati dalle scuole comuni. Dopo aver lavorato
moltissimo in Italia, si sposterà anche viaggerà tantissimo, andrà in Olanda e poi in Francia, in America, in
India dove conoscerà Dalai lama. È stata una donna dalla personalità molto forte ma anche eclettica piena
insomma di interessi diversi , ma sicuramente l'interesse principale che poi ha dato vita anche al suo
approccio al suo metodo, è stata proprio la possibilità di rinnovare l'educazione a partire da alcuni principi
fondamentali. L'ambiente familiare in cui cresce Maria Montessori è un ambiente già dal punto di vista
culturale e politico, un ambiente che sicuramente forma tanto Maria Montessori, soprattutto relativamente
alla presenza di questo zio materno che si chiama si chiamava Antonio stoppani che era famoso all’ epoca
proprio perché era non soltanto un patriota ma anche uno scienziato, un letterato insomma un intellettuale
di spicco dell'Italia dei primi del 900. Durante la sua formazione a Roma,quindi nei vari contesti clinici
medici eccetera incontra grandi nomi della psicologia, della psichiatria, della medicina italiana che
naturalmente avranno un ruolo e un'influenza particolare sulla sua formazione . In Francia quando si
trasferita in uno dei suoi viaggi in Francia verrà contatto con l'opera di Itard e di seguen da cui poi prenderà
spunto anche per definire il suo metodo ed in particolare si farà si rifarà moltissimo al metodo fisiologico di
seguin, recupererà anche quelli che erano i materiali che seguin aveva appositamente creato per educare i
bambini e ragazzi con disabilità intellettiva, quindi li recupererà e li rielaborerà per renderli poi rispondenti
alle caratteristiche del suo metodo. E infine in India elaborerà il concetto di educazione cosmica, cioè
quell'educazione che è volta non soltanto a tutti i bambini del mondo, ma è volta proprio a proteggere
attraverso i processi educativi i bambini da quelle che sono le brutture del mondo. Sicuramente il lavoro di
Maria Montessori mette insieme quelle che sono le questioni mediche insieme alle questioni pedagogiche,
perché naturalmente la sua formazione è appunto una formazione di tipo medico ma che sarà sempre in
qualche modo caratterizzata anche da un'attenzione pedagogica specifica al mondo dell'infanzia e
soprattutto dell'infanzia con disabilità . Per cui si farà promotrice anche di una serie di innovazione
all'interno della scuola italiana dell'epoca. Innanzitutto Maria Montessori avanza l'esigenza di istituire
all'interno dei contesti scolastici ordinari delle classi aggiunte, cioè delle classi che potessero ospitare
bambini che per un determinato periodo di tempo vivevano delle condizioni di difficoltà e quindi la
possibilità di creare dei percorsi paralleli che potessero supportare il processo di apprendimento di questi
bambini. L'istituzione di di scuole ed istituti medico pedagogici dove appunto il dato medico clinico potesse
intrecciarsi con quello educativo e quindi soprattutto per i bambini con disabilità ci potesse essere un
approccio calibrato sulle singole differenze. È sicuramente una promotrice di quella che è una formazione
adeguata degli insegnanti. Sarà insieme a Montesano la fondatrice della scuola magistrale ortofrenica, cioè
quella scuola finalizzata proprio alla formazione degli insegnanti che si sarebbero occupati di bambini e
ragazzi con disabilità di vario tipo. Un'altro elemento sicuramente degno di nota è il suo principio, la sua
idea di superare (così come era stato anche per seguin) delle pratiche di carità e di assistenza (seguin-
differenza tra carità e solidarietà laddove la carità mette la persona che la riceve in una condizione passiva
di dipendenza , mentre la solidarietà consente in qualche modo alla persona di rendersi autonoma, di
liberarsi da quella condizione di dipendenza) e in questo senso anche la Montessori si pone proprio in
continuità con questa idea, con questa logica. Un'altro principio fondamentale dell'approccio
montessoriano è il potere modificatore che ha l'azione educativa secondo la Montessori. Cioè la
Montessori parte dal presupposto che non esiste una condizione che non può essere modificata, cioè anche
la presenza di una disabilità non determina mai una condizione immutata e immutabile del bambino perché
l'educazione può avere un'azione modificatrice, cioè può andare a modificare, trasformare quel bambino
andando a far emergere quelle che sono capacità e potenzialità specifiche. Fonderà insieme al collega
Montesano la scuola magistrale ortofrenica e annessa a questa scuola di formazione per gli insegnanti era
presente una scuola esterna in cui la Montessori accoglieva tutti questi bambini considerati o insufficienti
mentali, quindi in Italia abbiamo soprattutto questo tipo di espressione (in Francia si parlava di bambini
idioti-) in Italia invece il riferimento è riferimento era bambini subnormali o insufficienti mentali per
indicare appunto la condizione di disabilità intellettiva) o bambini che avevano insomma problemi
comportamentali o tutti coloro che erano giudicati in qualche modo ineducabili e quindi erano respinti
dalla scuola comune . All'interno di questa scuola Maria Montessori riprende tutta una serie di pratiche già
messe in atto dai itard e da seguen ad esempio i bagni caldi e freddi (breve filmato sui iTard e Victor sul
bambino selvaggio della Veyron) e durante queste attività con questi bambini giudicati ineducabili, Maria
Montessori si rende conto che dopo un percorso di tipo educativo riabilitativo, molti di questi bambini
avevano delle prestazioni intellettuali anche superiori a quelle dei bambini e dei ragazzi considerati normali.
Quindi questo andava a confermare la sua idea di azione modificatrice che quindi riesce a modificare una
condizione specifica trasformandola e facendo emergere le potenzialità del soggetto. E così come era stato
per Itard e soprattutto per seguin, che entrambi partivano dall'educazione di tipo senso motorio che poi
diciamo si traduceva anche in un'attività di imitazione, allo stesso modo Maria Montessori parte proprio da
attività e da esercizi finalizzati a stimolare la funzionalità sensomotoria. E in effetti tutti i materiali
montessoriani anche quelli che oggi comunemente utilizziamo nella scuola soprattutto dell'infanzia, sono
materiali che hanno proprio questa specifica funzione. Da quale presupposto parte la Montessori? parte dal
presupposto che l'educazione muscolare ha lo scopo nei deficienti (altre espressione che viene utilizzata in
Italia per indicare i bambini con disabilità intellettiva) ha lo scopo di provocare o di coordinare movimenti
utili, prepara alla ginnastica, ai lavori d'uso domestico, ai lavori manuali al linguaggio. La preparazione
consiste nell'ottenere l'immobilità tonica del bambino nella stazione eretta e da questa posizione di
immobilità tonica potendo il bambino fissare lo sguardo si passerà agli esercizi di meditazione. Cioè Maria
Montessori sulla scia di quello che era stato già insomma il lavoro di Seguen parte dal presupposto che
molto spesso i bambini soprattutto quelli con disabilità intellettiva mostravano una muscolatura
particolarmente floscia , debole e che l'avere queste posture poco erette non li aiutava nemmeno a dirigere
la propria attenzione, il proprio sguardo. Per cui Maria Montessori parte dal presupposto che era
necessario aiutare questi bambini ad assumere innanzitutto una postura eretta, a mantenersi quindi ad
avere un tono muscolare che consentisse questo tipo di postura e da questa posizione poi sicuramente il
bambino avrebbe imparato a fissare lo sguardo e da qui la fissazione, il poter dirigere e fissare lo sguardo
avrebbe portato il bambino anche a poter imitare il proprio interlocutore e quindi apprendere per
imitazione, apprendere attraverso l'imitazione dell'altro. Naturalmente alla base del suo metodo che poi è
anchelegato ad una visione scientifica della pedagogia. cioè una pedagogia che non si basa su delle
deduzioni, su dei principi generali ma è una pedagogia che ha un fondamento scientifico perché c'è alla
base uno studio sperimentale di quella che è la natura del bambino e che si basa appunto sulle attività
senso motorie che vanno sviluppate sia attraverso gli esercizi- quelli che Maria Montessori definisce gli
esercizi di vita pratica, ovvero tutte quelle attività quotidiane come lavarsi, il vestirsi, il mangiare e così via,
ma passa attraverso anche il materiale didattico scientificamente organizzato, cioè un materiale che non sia
elaborato a caso, semplicemente perché può risultare piacevole per il bambino, ma deve essere un
materiale che ha delle specifiche finalità educative. Infatti il materiale didattico montessoriano risponde a
alcune caratteristiche ben precise proprio perché deve aiutare il bambino a concentrarsi su alcuni aspetti
piuttosto che su altri. Deve aiutare il bambino a mettere ordine nel caos di informazioni e di stimoli
provenienti dall'esterno, insomma deve aiutare il bambino a padroneggiare l'errore- l'errore avrà una
valenza educativa fondamentale per la Montessori tant'è che la Montessori lo definisce il ‘signore errore’
proprio perché gli riconosce questa forte valenza dal punto di vista educativo. La Montessori fonda e basa il
suo metodo su alcuni principi pedagogici fondamentali. Innanzitutto la Montessori considera il bambino
come un essere completo e questo è importante perché siamo in un periodo in cui si andava affermando
l'importanza dell'infanzia come tappa fondamentale nel processo evolutivo. Il problema era proprio che
fino ad allora il bambino non era inteso come un essere completo perché l'essere completo era l'adulto
quello che in qualche modo aveva portato a maturazione tutte le sue conoscenze e le sue competenze
quindi l'infanzia era considerata semplicemente una fase di transizione, di passaggio verso lo sviluppo
completo dell'uomo quindi il bambino non era considerato essenzialmente un essere completo. Maria
Montessori invece ribalta questa convinzione partendo dal presupposto che un bambino è assolutamente
un essere completo che è capace di sviluppare delle energie creative straordinarie, che ha una creatività
che va oltre quelli che possono essere i vincoli, limiti imposti dall'esterno e che molto spesso l'adulto in
qualche modo ha compresso nel suo crescere, nel suo processo di sviluppo anche in riferimento a quelli
che sono i vincoli, le regole sociali che ci impone il vivere in società ha in qualche modo compresso quindi
rendendo queste energie del tutto inattive. Un'altro elemento alla base del metodo montessoriano è il
concetto di libertà, il considerare il bambino come essere assolutamente libero. Non soltanto partire dal
presupposto che è la libertà a favorire la creatività del bambino che in effetti è già presente nella sua
natura. Un'altro importante principio è che da quella libertà creativa deve poi emergere la disciplina
perché secondo la Montessori il bambino è perfettamente in grado di autodisciplinarsi, non c'è bisogno
dell'azione coercitiva dell'adulto che gli impone delle regole perché il bambino si è lasciato libero è in grado
di autoregolarsi, se gli vengono imposte delle regole sarà portato a infrangerle proprio per esprimere
questa energia creativa. Per cui Maria Montessori parte dal presupposto che è necessario ribaltare il
concetto e l’approccio educativo tradizionale che invece era basato su una disciplina rigidissima, la scuola
prima dell'avvento di questo nuovo approccio pedagogico era una scuola assolutamente rigida, basata su
una ferrea disciplina. La Montessori invece parte dal presupposto che rendere libero il bambino di potersi
esprimere gli consentirà poi di acquisire una forma di autodisciplina. La Montessori poi parte da una
concezione del bambino che appunto è un essere completo ma la cui mente in effetti è come una sorta di
embrione spirituale, cioè un embrione che mano mano si sviluppa sia dal punto di vista psichico sia dal
punto di vista biologico e all'interno di questo percorso di sviluppo sono presenti dei periodi sensitivi la
Montessori definisce nebule, cioè periodi particolari in cui ogni bambino sviluppa determinate capacità.
Maria montessori parte dal presupposto che il bambino ha nei primi anni di vita una mente assorbente
soprattutto nella fascia 0- 3 ,mente assorbente vuol dire che ha una mente che è un po come una spugna,
cioè in grado di recepire e di accogliere tutte le informazion, gli stimoli provenienti dall'esterno senza però
in qualche modo andarli a classificare a catalogare. Cioè una fase in cui c'è soltanto questo processo di
ricezione degli stimoli che poi però saranno classificati, catalogati in un secondo periodo quello
corrispondente alla mente cosciente. Per cui la mente infantile nei primi tre anni di vita è vista proprio
come una spugna dotata di un potere di assimilazione ,cioè proprio come la spugna assorbe un liquido,
l'acqua e la mente del bambino assimila tutto quello che proviene dall'esterno soprattutto in maniera
inconscia, quindi senza un'elaborazione di quelle che sono le informazioni ma immagazzinandole
semplicemente. La fase invece di elaborazione di queste informazioni e quindi la successiva discriminazione
, catalogazione avviene secondo la Montessori nei successivi tre anni di vita quindi nella fascia 3-6 dove alla
mente assorbente si associa fino poi a sostituirla completamente la mente cosciente, che opera appunto
secondo quelli che Maria Montessori definisce i periodi sensitivi, cioè dei momenti in cui il bambino mostra
una particolare predisposizione, una particolare inclinazione o sensibilità all'acquisizione di specifiche
competenze o di determinati comportamenti. Questi periodi sono detti proprio nebule, cioè sono legate
proprio all'interesse, alla sensibilità che il bambino in questa fascia d'età mostra verso determinati aspetti,
determinati oggetti piuttosto che verso altri . In questa fase avviene proprio un un processo di
identificazione, di catalogazione degli stimoli che sono stati assorbiti in precedenza. Scrive infatti la
Montessori: ‘ non si assorbe solo suono per suono, rumore per rumore, oggetto per oggetto. Incominciamo
con la assorbire ogni cosa, una totalità nella fase della mente assorbente. Le distinzioni tra oggetto e
oggetto tra rumore rumore tra suono e suono vengono fatte in seguito come evoluzione di questo primo
assorbimento globale. ‘ Quindi nella fase poi della mente cosciente si HAquesto tipo di processo che va ad
elaborare e a discriminare le informazioni, a catalogarle e quindi poi a contribuendo allo sviluppo anche
psichico del bambino.

perché è importante questo aspetto legato alla mente cosciente che elabora le informazioni? perché
naturalmente dal punto di vista educativo secondo la Montessori questo processo deve trovare riscontro in
quella che è appunto l'attività ludica, educativa cioè il bambino deve essere portato attraverso un metodo,
un approccio specifico ma anche attraverso la predisposizione di un ambiente specifico, deve essere
portato a mettere ordine all'interno di questo caos di informazioni perché l'ordine esterno traduce un
ordine interno. Per cui se come dire anche la predisposizione degli ambienti in Maria Montessori ha un
ruolo essenziale perché l'ordine dell'ambiente educativo, dell'ambiente di gioco in cui si muove il bambino
deve aiutare il bambino a mettere ordine anche in questo caos di informazioni che sono state recepite nel
periodo della mente assorbente. Questo si Lega anche al discorso della libertà e della creatività. il bambino
è libero di esprimersi, è in grado di autodisciplinarsi se incontra un ambiente ordinato, se incontra un
ambiente in cui ogni cosa è al suo posto perché un ambiente disordinato crea disordine anche
nell'elaborazione a livello cognitivo secondo la Montessori. Il bambino se non lavora all'interno di un
ambiente ben strutturato rischia di non riuscire ad ad esprimere nel modo corretto la sua libertà e quindi
rischia di non riuscire anche ad acquisire una corretta autodisciplina. Alla base del metodo montessoriano ci
sono tre elementi essenziali: le procedure, i materiali e gli ambienti-> sono secondo la Montessori delle
risorse funzionali che innanzitutto consentono di educare qualsiasi bambino, quindi a prescindere dalla
presenza di una difficoltà o di una disabilità specifica, ma poi sono quegli elementi che consentono proprio
di strutturare interventi educativi che possano rivelarsi efficaci sulla base di quelli che sono naturalmente i
principi pedagogici delineati dalla Montessori. Per quanto riguarda le procedure , l'elemento della libertà
no e dell'autonomia che consente l'autodisciplina, e un'altro elemento è proprio quello del controllo
dell'errore che consente al bambino che non deve essere inteso come momento di frustrazione, di disagio
dal bambino (l'errore rappresenta sempre quel momento di fallimento di insuccesso per il bambino così
come per la per l'adulto e a questo proposito nel corso del 900 si è affermata proprio una corrente di
pensiero che è definita proprio pedagogia dell'errore che si basa proprio sull'idea che invece l'errore può
avere una forte valenza educativa e di sviluppo ). La Montessori è sicuramente una delle più grandi
esponenti di questo tipo di riflessione perché parte dal presupposto che se l'errore diventa un momento di
crescita, di apprendimento per lo studente, per il bambino allora quell'errore potrà essere controllato e
potrà generare appunto nuovi apprendimenti. Per cui i anche i materiali sono stati elaborati sulla base del
suo metodo sono materiali che in qualche modo devono consentire al bambino di correggere in maniera
autonoma l'errore, cioè l'errore generalmente associato alla presenza per quanto riguarda i bambini alla
presenza dell'adulto che corregge, cioè il bambino impara il concetto di errore proprio perché c'è l'adulto
che gli dice questo questo non si fa questo non si fa non si fa in questo modo eccetera, e che quindi
appunto può essere vissuto come un momento di disagio e di frustrazione dal bambino. La montessori
parte dal presupposto che l'errore deve essere un momento di formazione di crescita per il bambino che da
solo impara a superarlo senzail controllo da parte dell'educatore o dell'insegnante, perché da solo il
bambino se messo nelle condizioni attraverso materiali educativi e un ambiente specifico ,può da solo
autocorreggersi e imparare da quell'errore. Quindi dal punto di vista educativo ha sicuramente una valenza
importantissima un'altro elemento fondamentale abbiamo detto è l'ambiente.L'ambiente inteso sia come
naturalmente soprattutto come ambiente fisico nel caso della Montessori perché ella opera proprio una
rivoluzione di quella che è la concezione dello spazio dell'ambiente educativo: i banchi a misura di bambino,
le sedie a misura, tutti quelli che sono gli arredi a misura di bambino che vediamo oggi sappiamo insomma
caratterizzare la scuola dell'infanzia odierna in realtà sono proprio frutto di quello che è stato il lavoro della
Montessori perché fino ad allora anche le aule anche gli spazi educativi riflettevano una concezione adulto
centrica dell'educazione. Adulto centrica cioè che pone al centro l'adulto piuttosto che il bambino. Mentre
con l'attivismo pedagogico e nello specifico con la Montessori abbiamo una visione assolutamente puero
centrica cioè che pone al centro del processo educativo il bambino, il suo processo di apprendimento e
quelli che sono i suoi bisogni per cui anche lo spazio in questo senso deve riflettere questa attenzione al
mondo del bambino e lo fa diventando un mondo a misura del bambino perché finché il banchi sedie arredi
sono fuori misura, cioè danno una rappresentazione di quello che è un mondo per adulti piuttosto che un
mondo per bambini ovviamente il bambino si sentirà sempre inibito rispetto anche a quello che è il suo
apprendere all'interno di quell'ambiente. Per cui l'ambiente deve riflettere innanzitutto questo principio e
deve essere un ambiente molto organizzato cioè perché tornando al discorso della mente cosciente e della
mente assorbente della mente cosciente, l'ambiente riflette quello che è l'ordine interiore del bambino, se
l'ambiente è ben organizzato e ordinato questo insomma si traduce anche in un approccio del bambino che
è organizzato e ordinato. Per cui l'ambiente sicuramente deve essere organizzato in relazione a quella che è
la sua organizzazione interiore che ovviamente si sta realizzando secondo delle leggi naturali , cioè c'è un
processo di sviluppo che è ovviamente legato all’evoluzione, allo sviluppo e deve in qualche modo
agevolare. promuovere questo sviluppo per cui deve essere un ambiente non soltanto a misura di bambino
ma anche organizzato per rispondere a quelle che sono le esigenze specifiche del bambino. Lo stesso
arredamento scolastico quindi i mobili gli armadietti gli attrezzi banchi e sedie i giochi devono tutti
corrispondere pr dimensioni, per peso, anche per capacità di manipolazione a quelle che sono le capacità di
un bambino perché altrimenti il bambino sarebbe inibito dall'interagire con quello spazio e quindi in
qualche modo questo influirebbe ovviamente sul suo processo di apprendimento. Questa organizzazione
diciamo dell'ambiente e degli spazi la ritroviamo innanzitutto nella famosa casa di bambini dove insomma si
riproduce un ambiente a misura di bambino che non prevede soltanto l'ambiente lo spazio- gioco, ma che
riproduce anche ad esempio i bagni, la cucina tutto ciò che insomma riguarda anche gli arredi di una casa e
quindi che mette nelle condizioni il bambino anche di imparare, di praticare quelle attività di vita quotidiana
in maniera autonoma. Ad esempio i bambini all'interno di queste scuole imparano, ad apparecchiare, a
sparecchiare, a mettere in ordine ognuno il proprio spazio, I bagni e gli ambienti comuni per cui c'è
un'attenzione proprio all'ambiente perché influisce in maniera significativa proprio sul processo di sviluppo
del bambino.

10° lezione: 07/04/22

L’ambiente-maria Montessori

L’ambiente deve riflettere l’organizzazione interiore del bambino che sta in una fase di sviluppo in cui la
mente cosciente inizia ad associarsi per poi assorbirla del tutto ossia la mente assorbente che diviene
mente cosciente nella 2° fase che inizia il processo di catalogazione del pensiero, quindi processo di
organizzazione interna del bambino che deve trovare all’esterno, nell’ambiente una sua implicazioni, deve
trovare uno specchio nella sua organizzazione, L’ambiente assume un ruolo fondamentale in ragione di
questo necessario riflesso che deve essere per il bambino e per il suo processo di organizzazione interna,

L’ambiente scolastico, l’arredamento deve essere a misura di bambino in modo che egli possa direttamente
spostarlo e maneggiarlo senza dover chiedere l’aiuto di un adulto proprio per sviluppare la sua autonomia.
Il bambino deve essere costantemente incentivati a sviluppare l’autonomia. A partire dalle attività legate
alla vita quotidiana, fino ad arrivare alle attività piu complesse ci deve essere una costante attenzione
all’autonomia del bambino. Quindi per questo l’ambiente scolastico e l’arredamento non deve mai inibire il
bambino, anzi deve favorire l’approccio diretto e spontaneo al gioco e alle attività.

Nel 1907 sorge la 1° casa del bambino, all’interno della quale tutte le attività, occupazioni a cui erano
chiamati i bambini erano orientate proprio alla crescita e sviluppo dei bambini secondo dei principi, che
sono caratteristiche fondamentali dei cosiddetti materiali di sviluppo.

Il ruolo dell’educatore in questo processo- svolge un ruolo di mediazione tra il bambino e l’ambiente
educativo, non si interpone mai ma è quella figura che resta a margine e interviene soltanto nel caso in cui
il bambino abbia una reale difficoltà. Quindi è un regista del processo ma non un attore e questo è
importante perché siamo in una fase in cui sia la scuola che i processi educativi si stanno spostando da una
prospettiva di tipo adultocentrica che mette al centro l’educatore, l’insegnante, con il suo sapere e la sua
disciplina, e si passa ad una visione maggiormente puerocentrica, laddove viene messo al centro del
processo educativo il bambino con i bisogni, le sue inclinazioni. Proprio perché riveste un ruolo
fondamentale, cioè di mediazione, la Montessori evidenzia nei suoi scritti proprio l’esigenza di porre
attenzione alla figura di docenti ed educatori che devono essere in grado di osservare. La pedagogia
montessoriana è una pedagogia che parte da una osservazione scrupolosa e attenta, dettagliata del
bambino. Da tale osservazione derivano l’analisi di quelli che sono i bisogni del bambino, le caratteristiche
specifiche, la Comprensione e valutazione delle sue fasi di sviluppo. Rispetto a quelle fasi, ambiente,
materiali e procedure devono essere adatte alle esigenze specifiche. L’eliminazione di quelli che possono
essere eventuali ostacoli, la predisposizione dei materiali. Quindi Tutto questo lavoro di regia del processo
educativo richiede una formazione specifica non solo rispetto ai principi pedagogici alla base del metodo
ma anche all’approccio nei confronti dell’infanzia.

3° grande pilastro del metodo montessoriano –che è i materiale didattico, e da lei chiamato materiale di
sviluppo. Questo viene elaborato dalla montessori a partire dai materiali elaborati da seguin nel suo
metodo fisiologico. Seguin considerato il maestro degli idioti aveva elaborato dei materiali specifici per
favorire nei bambini con disabilità intellettiva, per stimolare la sfera motoria ma anche per attivare tutti
quei meccanismi cognitivi che sono alla base dello sviluppo del bambino. Quelli che erano inizialmente
materiali elaborati e sperimentati per i cosiddetti bambini subnormali vennero poi adottati anche per i
bambini normali. La Montessori nella scuola magistrale ortofrenica in cui venivano accolti tutti questi
bambini con disturbi comportamentali e difficoltà di vario genere, si rende conto che questo bambini
riuscivano a raggiungere livelli di apprendimento, di performance adeguati agli standard del tempo. Quindi
il materiale che inizialmente viene elaborato per bambini subnormali viene poi adattato a tutti i bambini.

Questi materiali di sviluppo hanno una duplice funzione nell’ottica montessoriana: una funzione
ordinatrice e 1 promotrice.

Funzione ordinatrice-discorso che si collega alla necessità di aiutare il bambino a organizzare l’elaborazione
dell’informazione, e quindi del proprio bambino offrendo materiali che possano aiutarlo in questa attività di
sintesi rispetto alla massa di informazioni che riceve dall’esterno. Così come l’ambiente deve essere
ordinato rispecchiando l’organizzazione mentale del bambino anche i materiali devono avere una funzione
coordinatrice. Perché devono consentire al bambino di catalogare le singole informazioni, stimoli e
distinguerli l’uno dall’altro.

Funzione promotrice perché il materiale deve esser elaborato in modo tale da poter sollecitare lo sviluppo
sensoriale, cognitivo motorio del bambino. I materiali devono essere pensati e costruiti seguendo queste
due funzioni-ordinatrice e promotrice.

A partire da queste considerazioni la montessori realizza i suoi materiali sulla base di alcune caratteristiche
specifiche. Organizza e suddivide i materiali secondo le specifiche funzionalità. In particolare abbiamo
materiale analitico, autocorrettivo, stimolante, attivo.

Materiale analitico perché deve educare i sensi in maniera separata, deve cioè portare il bambino a
concentrare l’attenzione su un'unica qualità per consentire di catalogarla perché come detto il bambino con
la mente assorbente recepisce una massa di stimoli che però non è ancora in grado di elaborare, ma con la
fase della mente cosciente si inizia ad attivare questo esercizio di analisi, catalogazione e discriminazione
dei singoli stimoli. Per cui il materiale rispondendo a questa necessità deve condurre il bambino a potersi
concentrare su un aspetto alla volta, su una qualità alla volta per mettere ordine a quel mare di
informazioni e quindi ad esempio andrà a concentrare l’attenzione in questo senso prima sul peso, poi sui
colori, ecc

Il materiale autocorrettivo aiuta il bambino all’autocomprensione e all’autocorrezione dell ‘errore. Abbiamo


visto la valenza dell’errore che riveste nella pedagogia montessoriana perché deve esser un momento di
apprendimento per il bambino e non di frustrazione, preoccupazoione, ma deve supportare il processo di
apprendimento del bambino, Deve aiutare il bambino a comprendere quale è l’errore e da lì potersi
autocorreggere senza l’intervento dell’educatore che potrebbe generare l’inibizione e lo vivrebbe come
momento di crisi, disagio piuttosto che come momento formativo.

Materiale stimolante, che spinge il bambino all’attività di gioco lavoro che mettono insieme sia l’aspetto
ludico che l’aspetto maggiormente legato all’apprendere una competenza specifica.

Materiale stimolante cioè che deve essere anche semplice da manipolare per il bambino, non deve inibire il
bambino. Il fatto che passano da un gioco all’altro dipende anche dal non comprendere la finalità di un
giocattolo e pertanto ciò lo porta a cambiare gioco. È importante quindi che il materiale possa stimolare la
manipolazione e l’elaborazione cognitiva che c’è dietro qualsiasi attività ludica.

Materiale attivo perché deve offrire al bambino la possibilità di agire. Deve essere un materiale che
facilmente e in maniera autonoma il bambino può manipolare e adattare a quelle che sono le sue esigenze.

Materiale analitico- deve essere limitato in quantità e qualità- per accogliere e recepire quella che è la
funzione coordinatrice, che aiuta a mettere ordine nel caos di informazioni che il bambino riceve . La
montessori scrive-Il bambino ha bisogno di ordinare il caos formato nella sua coscienza dalla moltitudine di
sensazioni che il mondo gli ha dato (slide) nella fase della mente assorbente, e allora egli si attacca
appassionatamente a quelle cose , limitate e dirette allo scopo, che ordinano il caos formatosi in lui e con
l’ordine danno chiarezza alla mente esploratrice e le forniscono una guida nelle ricerche.

La montessori parte dal presupposto che piu il materiale è semplice e consente al bambino di focalizzare
l’attenzione su un aspetto alla volta maggiore sarà poi la propensione del bambino a utilizzare quel gioco, a
comprenderne l’utilizzo e quindi andare a stimolare la sua curiosità. Questo spetto legato l’analiticità del
materiale quindi consente tale processo.

Il materiale deve essere correttivo per consentire il controllo dell’errore. - gioco degli incastri(gioco molto
utilizzato dalla montessori) che aiuta i bambino ad autocorreggersi nel momento in cui non riesce a trovare
l’incastro giusto, facendo una serie di tentativi comprenderà il meccanismo- cioè la forma dell’oggetto, e
così correggendo l’errore sarà portato ad autocorreggersi.

Si tratta di giochi che ancora oggi vengono utilizzati per i bambini e che sono basati sui principi della
pedagogia montessoriana.

Il controllo materiale dell’errore conduce il bambino ad accompagnare i suoi (slide)

Da qui la valenza educativa dell’errore che stimola nel bambino a ragionare., il ragionamento.

La pedagogia dell’errore, cioè un filone di studi e ricerche che cerca di evidenziare la valenza educativa
dell’errore, parte dal presupposto che anche nella società attuale l’errore anziché stimolare il ragionamento
lo inibirebbe perché genera nel bambino e non solo un momento di disagio, frustrazione. Ma nell’ambito
della pedagogia montessoriana e nel filone della pedagogia dell’erroe, l’errore è strettamente connesso
all’elaborazione mentale, ai meccanismi di ragionamento che si avviano proprio dall’errore laddove questo
viene vissuto non come momento di disagio ma di crescita.

Il materiale deve essere stimolante, quindi dve rispondere a una caratteristica ben. Precisa cioè
dell’attraenza, cioè il colore, la lucentezza, l’armonia delle forme sono cose curate in tutto quanto circonda
il bambino (slide) non solo il materiale sensoriale, ma tutto l’ambiente è così preparato, da attirarlo, come
in natura i petali attirano gli insetti a succhiare il nettare che essi nascondono.

L’attraenza è quella caratteristica che attira l’attenzione del bambino e a partire da tale curiosità il materiale
rappresenta un momento di crescita e di sviluppo importante per il bambino.

Infine abbiamo il materiale attivo che deve prestarsi all’attività del bambino e deve avere una dimensione
attiva, cioè la possibilità di trattenere l’attenzione infantile non dipende tanto dalla qualità delle cose,
quanto dalla possibilità che esse offrivano di agire. Gli oggetti devono dunque prestarsi all’attività motrice
del bambino (discorso legato allo sviluppo non solo sensoriale ma anche motorio del bambino, e
soprattutto di quelle che sono le abilità finomotorie (diverse a quelle grossomotorie- legate ai movimenti
del corpo nello spazio, immagine che ognuno di noi ha del proprio corpo all’interno dello spazio/
finomotorie-attività legate alla manipolazione e riguardano le mani, le dita, quindi allacciarci le scarpe,
tenere una penna ecc)

Il materiale deve essere attivo per consentire lo sviluppo delle abilità finomotorie per essere facilmente
utilizzabile dal bambino che non deve vedere in quel materiale un ostacolo ma proprio un motivo per
giocare.

Implicazioni educative e didattiche derivanti dal lavoro della montessori-> il valore educativo
dell’organizzazione dell’ ambiente (è proprio attraverso queste nuove riflessioni pedagogiche che si
inseriscono nell’ambito dell’attivismo pedagogico , nel movimento delle scuole nuove ma vedono nella
pedagogia montessoriana un ruolo centrale, c’è una riconcettualizzazione dell’ambiente, e dell’importanza
che riveste nel processo di sviluppo del bambino)- l’ambiente non deve essere lasciato al caso ma deve
essere organizzato e predisposto per consentire al bambino di potersi sviluppare all’interno di
quell’ambiente in un modo dal punto di vista educativo significativo.

Altra attenzione è quella legata alle competenze che deve avere l’educatore che non è piu considerato un
detentore e trasmettitore delle conoscenze dei saperi ma come mediatore, facilitatore dei processi
apprenditivi quindi colui che va a creare condizioni favorevoli per lo sviluppo del bambino, che va a
stimolare le condizioni di apprendimento del bambino e che quindi aiuta il bambino nel processo di
acquisizione di una sempre piu maggiore di autonomia, soprattutto laddove ci sono condizioni di disabilità
che rendono piu difficile tale processo.

Ultima implicazione è legata alla predisposizione di materiali, mezzi didattici e di sviluppo. Laddove nella
pedagogia tradizionale concentrandosi tutto intorno alla figura del maestro, educatore, veniva lasciato
poco spazio a quelli che potevano essere i materiali, l’ambiente quindi proprio l’importanza di quei
materiali mediatori, mediatori educativi, cioè tutti quei mezzi di sviluppo che aveva ideato la montessori e
che tutt’ora vengono utilizzati nell’ambito della scuola dell’infanzia perché i principi alla base di questo
metodo hanno consentito una rivalutazione per il modo di pensare all’infanzia e di approcciarsi all’infanzia
stessa.

Video- il metodo montessori presso la regi scuola magistrale montessori- you tube

Video- a scuola dalla montessori

-Quali sono eventuali aspetti critici o limiti di tale approccio?- i bambini si isolano perché scelgono
autonomamente i giochi-Aspetto della socializzazione carente perché il bambino interagisce con il gioco e
poco con gli altri. (metodo non molto orientato alla socializzazione)

Ambienti e materiali molto strutturali che secondo la critica piuttosto che lasciare spazio alla creatività, in
qualche modo la limitano.

Esprimersi senza vincoli

Critiche al metodo Montessori riguardano il problema della scientificità, della socializzazione, della fantasia.

Scientificità si riferisce al fatto che maria Montessori è considerata la fondatrice della pedagogia scientifica
basata non solo sull’osservazione diretta dei comportamenti dei bambini ma anche sulla raccolta e analisi di
dati in ambito educativo e didattico, e molti studiosi hanno criticato tale aspetto perché in effetti non
sempre è ritenuto un metodo scientifico, non sempre i dati empirici che vengono raccolti possono essere la
base per costruire una vera teoria.
È emerso il problema della socializzazione. Infatti il fatto che ci sia un’attenzione specifica ai materiali,
all’ambiente ma non c’è attenzione anche a quella che è la sfera sociale, relazionale, affettiva del bambino
perché il materiale è così strutturato e conduce e stimola il bambino a concentrarsi su determinati aspetti,
proprio questo tipo di orientamento fa si che il bambino non sia portato ad andare oltre a questi aspetti e a
non concentrarsi sulla sfera relazionale. (La montessori si difenderà da queste critiche sulla socializzazione,
ma il suo metodo sicuramente tralascia l’aspetto della socializzazione)

Il suo metodo quindi tralascia la socializzazione e si concentra su altri aspetti.

Poi abbiamo il problema della fantasia, quindi la forte strutturazione degli ambienti e dei materiali poi non
lascia tanto spazio all’espressione piena, spontaneità del bambino perché è un materiale che conduce a
determinate attività e ha degli scopi specifici e quindi tutto questo lascia fuori il tema della creatività, della
libertà del bambino seppure dal pinto di vista pedagogico la montessori parta proprio dalla creatività, di
quelle che sono le energie creative del bambino e che poi secondo lei vanno canalizzate in alcune attività
piuttosto che in altre. E paradossalmente proprio questo orientamento è stato criticato perché secondo
alcuni ostacolerebbe il processo creativo del bambino, vincolerebbe quella che è la sua attenzione, e la sua
energia creativa andando a orientarla su certi aspetti piuttosto che altri e non renderebbe libero il bambino
di esprimersi.

Vygotskij

Altro grande studioso pedagogista del 900 che sia dal puto di vita psicologico e pedagogico ha dato un forte
impulso a quelli che sono gli studi sulla disabilità e h introdotto una serie di concetti fondamentale che sono
alla base della visione attuale soprattutto dell’inclusione.

Vygotskij è uno degli esponenti di quella scuola del costruttivismo socio culturale, cioè quegli studi che
vanno a contrapporsi all’approccio comportamentista e cognitivista andando a introdurre l’elemento del
contesto che ha un suo peso nel promuovere lo sviluppo e l’apprendimento del bambino. Nell’ambito delle
teorie comportamentiste abbiamo una attenzione concentrata sui meccanismi di stimolo risposta,
attenzione secondo la quale l’ apprendimento dell’uomo si realizza in virtù di questi meccanismi, cioè in
una condizione di stimolo a cui segue una risposta comportamentale che può essere poi rinforzata
positivamente o negativamente e dà luogo all’apprendimento- rispetto a quello che è il pensiero
comportamentista.

Alle teoria comportamentista dalla seconda metà del 900 si affiancano le teorie cognitiviste che
considerano il processo di apprendimento come un processo di comprensione di quelli che sono alcuni
meccanismi che agiscono a livello cognitivo e che quindi sono alla base del processo di elaborazione
dell’informazione. In questo caso l’apprendimento non è considerato come il risultato du un’associazione
stimolo-risposta, ma come processo di elaborazioni che il soggetto recepisce dall’esterno ed è basato su
una serie di meccanismi che possono favorire o ostacolare questo processo, come memoria, attenzione,
ambiente ecc.

La scuola socio -costruttivista parte dal presupposto che l’apprendimento del bambino avviene
dall’interazione che il bambino ha con il contesto , quindi l’apprendimento si costruisce/ si co-costruisce
attraverso l’interazione con il bambino. È il principio che distinguerà il pensiero di piaje da Vygoskij. Infatti
Piaje parte dal presupposto che lo sviluppi del bambino è individuale, che avviene per stadi, gradi, mentre
vigotskujj crede che lo sviluppo avviene tramite l’interazione costante con l’ambiente ed è quindi non un
processo individuale ma un processo sociale, cioè si costruisce nell’interazione con l’ambiente esterno per
cui hanno un importanza fondamentale gli stimolo che l’ambiente può offrire al bambino, su quello che è il
suo processo di sviluppo. In ragione di questa idea vigotsjij sottolinea che l’essere umano è un essere
sociale , che è un prodotto e un produttore di relazioni sociali, è il frutto di queste relazioni ma le produce
anche, cioè ha un duplice ruolo in questo processo e queste interazioni sociali sono storicamente
determinate, cioè legate a un particolare momento storico, momento della vita del bambino che hanno un
significato anche dal punto di vista educativo perché si realizzano in quel momento storico.

Egli scrive che il comportamento dell’uomo moderno civile non è solo il prodotto dell’evoluzione biologica,
non è un processo che riguarda solo lo sviluppo dal punto di vista fisiologico, biologico, non solo il risultato
dell’età infantile ma anche il prodotto dello sviluppo storico, quindi anche il risultato di quella che è stata
l’interazione di quel bambino, soggetto con l’ambiente. Quindi lo sviluppo biologico del bambino è
maturato sulla base dell’interazione con il contesto, del bambino con l’ambiente. Dibattito natura-cultura-
se lo sviluppo è naturalmente, biologicamente determinato o se nello sviluppo ha un peso la cultura,
intendendo in questo termine facendo riferimento al contesto, ambiente in cui si sviluppa l’uomo.

Vigotskij quindi parte dal presupposto che il contesto storico sociale, culturale familiare incide
significativamente sullo sviluppo. Quindi lo sviluppo del bambino non può essere biologicamente
determinato ma è tale perché si realizza nell’interazione con l’ambiente circostante.

Egli nel corso della sua riflessione introduce una specifica concezione della disabilità.Parte dal presupposto
che è inutile per ogni persona disabile qualsiasi forma di separazione, cioè egli è contrario a ogni forma di
separazione o di istituzionalizzazione. La sua riflessione è importante perché siamo in un momento storico
in cui c’è a livello internazionale vige ancora un sistema doppio, separato di istruzione per bambini con
disabilità mentre lui sarà uno dei pionieri di un educazione per tutti che possa prevedere anche per i
bambini con disabilità delle forme di istruzione all’interno dei percorsi scolastici ordinari, comuni perché
parte dal presupposto che fra bambini normali e anormali non c’è nessuna differenza (espressioni che si
usavano al tempo) perché la condizione e le difficoltà che derivano dalla condizione di disabilità possono
essere superate grazie a una azione di mediazione da parte dell’insegnante e da parte dell’ambiente in cui
cresce e si sviluppa il bambino con disabilità. Quindi Ciò che cambia è la mediazione del contesto
socioculturale, e laddove tale mediazione del contesto è povera , inefficace si tenderà a evidenziare la
condizione di disabilità. Mentre laddove il contesto socioculturale ha un’azione efficace sul processo di
sviluppo del bambino, allora questa distanza dalla norma sarà ridotta.

Egli osserva che le conseguenze sociali del deficit e l’interazione del bambino con disabilità e contesto
hanno una ricaduta anche dal punto di vista educativo e didattico e proprio all’interno di questo processo di
interazione tra bambino e ambiente si sviluppa la sua teoria psicoculturale del bambino, cioè del bambino
inteso come essere che si sviluppa all’interno di una interazione costante tra dimensione biologica, e
dimensione contestuale, culturale.

11° lezione: 08/04/22

Vigoskij- socio-costruttivista- ha una visione dell'apprendimento dello sviluppo come costruzione


progressiva di quelli che sono dei significati a partire dalle interazione che si realizza tra il bambino e il
proprio contesto e il proprio ambiente di vita, per cui in qualche modo lo sviluppo non è solo il prodotto
dell'evoluzione del biologico come scrive lo stesso Vygoskij, ma è anche il prodotto nello sviluppo storico
proprio perché in questo processo evolutivo si incontrano, interagiscono dimensioni che sono riconducibili
sia la sfera biologica sia alla sfera culturale. Concezione della disabilità di Vigoskij che è contrario a qualsiasi
forma di istruzione cioè separata o di istituzionalizzazione dei bambini con disabilità perché ritiene che in
effetti non ci siano differenze tra i bambini con sviluppo tipico e bambini con sviluppo atipico, cioè tra quelli
normali e quelli anormali ma a cambiare deve essere il tipo di mediazione che viene offerto dal contesto
socio culturale in cui il bambino è inserito. per cui si concentra nella sua attività di osservazione proprio su
quelle che sono le conseguenze sociali del deficit cioè di quello che potremmo definire l’handicap, il risvolto
sociale della disabilità e su quelli che sono gli aspetti legati all'interazione del bambino con disabilità e il suo
contesto. Proprio in questa interazione egli va a elaborare la sua teoria e in effetti Vigoskij basa la sua
riflessione, la sua teoria proprio sulla cosiddetta legge della compensazione, che è poi alla base anche del
concetto di vicarianza (vicalianza ), un concetto fondamentale nell'ambito degli studi sulla disabilità e in
effetti Vigoskij parte dal presupposto che l'insufficienza di una capacità viene sempre compensata nel corso
dello sviluppo in maniera parziale o completamente dallo sviluppo che si realizza in un'altra area, per
un'altra funzione. Quindi la presenza di un deficit diventa un elemento che crea le condizioni per la
produzione di una compensazione - è questa l’idea che è stata affermata oggi a supporto di questo tipo di
teoria-abbiamo degli studi neuroscientifici che mettono in evidenza come alcune aree del cervello nel
momento in cui si presenta un deficit, una lesione in una delle altre aree il cervello va a compensare quella
funzione quel processo con un'altra funzione, con un processo che possa portare allo stesso risultato. È
quindi un meccanismo che realmente è parte del dell'essere umano e che è regolato da quelli che sono i
meccanismi cerebrali per cui questo tipo di presupposto che muove il diciamo la riflessione di Vigoskij
troverà un fondamento scientifico di quelli che saranno poi gli studi successivi. In effetti quello che afferma
Vigoskij rientra perfettamente nel concetto di vicarianza, ovvero quel processo che consente la sostituzione
di un meccanismo o di una funzione o di un processo con un'altro meccanismo, un'altra funzione o un'altro
processo che possa condurre al medesimo risultato andando proprio a agire sulla base di questo processo
di compensazione. Rispetto a questa legge della compensazione Vigoskij introduce una nuova visione del
concetto di vicarianza, perché egli sostiene che quando è presente un deficit questo deficit può generare
delle forme di sviluppo e di compensazione assolutamente creative, assolutamente inusuali, che sono
varie , diversificate molto originali talvolta e che in effetti non si presentano nel bambino fra virgolette
normale. Egli punta l'attenzione (carattere fortemente inclusivo della sua riflessione) sul perché molto
spesso la condizione di disabilità genera delle forme di apprendimento e di sviluppo che sono straordinarie
e che non si verificano in effetti nel bambino senza disabilità, cioè paradossalmente da una condizione che
molto spesso viene definita di mancanza, si genera una condizione di sviluppo straordinario. Ad esempio
pensiamo alla vicarianza, leggi di compensazione- ballerina che si chiama Simona Mazzoli che non ha le
braccia , quindi fa tutto con le gambe per cui fa condizione di mancanza perché può sembrare anche
invalidante proprio dal punto di vista fisico dello sviluppo in realtà si è generata attraverso un processo
vicariante e quindi di compensazione si è generato un meccanismo straordinario di utilizzo degli arti
inferiori che non si verifica in effetti allorquando abbiamo braccia e gambe, perché naturalmente quel
meccanismo straordinario non viene messo in azione perché ovviamente in una condizione tipica non c’è la
necessità di operare attraverso questo tipo di compensazione. Vigoskij pone proprio l'attenzione su questa
straordinarietà che in effetti va a caratterizzare il bambino con disabilità più che il bambino senza disabilità,
quindi diviene un elemento di forza rispetto invece alla condizione che vista sempre come deficitaria, come
mancanza di qualcosa . Proprio in riferimento alla disabilità (sensoriali piuttosto che fisiche piuttosto che
intellettive) la vicarianza riguarda qualsiasi dimensione del funzionamento umano, oggi sappiamo che il
cervello mette in atto dei meccanismi vicarianti che sono in grado di realizzare delle forme di adattamento
peculiari che consentono poi agli esseri umani di far fronte a situazioni, eventi, fenomeni in maniera
flessibile originale e quindi consentono l'adattamento ai vari contesti. Perché in effetti l'essere umano è per
sua natura, così come tutti gli organismi viventi, è un organismo che è finalizzato all'adattamento perché
l’adattamento ci consente di sopravvivere. Quella che oggi abbiamo della vicarianza in realtà è una visione
ancora più ampia soprattutto in riferimento alla pedagogia speciale, alla didattica speciale perché il
concetto di vicarianza nell’ambito di questi studi riveste un ruolo fondamentale perché possiamo guardare
la vicarianza da un punto di vista speciale oppure da un punto di vista inclusivo. Cioè si può avere un
approccio speciale alla vicaianza che guarda tutte le varie forme di diversità intendendole proprio come
risorsa e quindi si basa su tutte quelle possibili strategie di compensazione che possono essere messe in
atto in presenza di disabilità- la logica della pedagogia speciale, didattica speciale. Laddove c'è un deficit si
va a compensare con uno strumento compensativo, con una misura compensativa e si cerca di ottenere lo
stesso risultato operando però questo tipo di diversificazione. Se però intendiamo la vicarianza anche in
una logica inclusiva e quindi fa riferimento a quelli che sono i principi dell'inclusione ciò ci rimanda a quelle
che sono le differenti modalità di funzionamento umano e che quindi ci consentono di considerare il
cervello proprio come una sorta di creature dei mondi possibili. - è un'espressione che viene utilizzata dallo
studioso francese Lev pertose che ha analizzato il concetto di vicarianza offrendo una prospettiva nuova,
diversa all'interpretazione di questo concetto. Guardare al concetto di vicarianza anche in una logica
inclusiva, la vicarianza è come se perdesse un po il suo significato di meccanismo di compensazione per
acquistare un significato legato alla possibilità di generare delle nuove opportunità. Cioè possiamo
intendere li meccanismi vicarianti, come succede nell'ottica della didattica speciale e pedagogia speciale,
come meccanismi di compensazione di un'abilità, di una funzione, di un processo con un'altro che conduce
allo stesso risultato. Mente nella logica inclusiva possiamo considerare la vicarianza non come qualcosa che
va a compensare una mancanza ,ma come un funzionamento diverso, atipico in cui la vicarianza assume le
forme di un elemento che genera nuove forme di adattamento e di apprendimento e quindi che non
guarda più alla mancanza da compensare ma alle diverse modalità e alle diverse manifestazioni del
funzionamento umano. Questa riflessione ovviamente rientra soprattutto in una pedagogia e in una
didattica che sono maggiormente orientate all'inclusione, nel nostro caso parliamo di una pedagogia delle
differenze che possa basarsi proprio su un concetto di vicarianza inteso come processo che consente alle
varie manifestazioni del funzionamento umano di potersi esprimere veramente. In effetti il concetto di
vicarianza è un concetto che è stato indagato da diverse prospettive disciplinari. L'origine etimologica del
termine in italiano richiama il termine latino -vicarius- che indica proprio o colui o colei che tiene il posto di
un’altra persona, che fa le veci di un’altra persona ed è un significato che ancora oggi abbiamo ma che ha
assunto sfumature diverse in ragione di quelle che sono le varie prospettive teoriche che si sono occupate
di vicarianza. La vicarianza è stata indagata ad esempio nell’ambito della psicologia differenziale (stili di
apprendimento-diverse modalità di funzionamento umano, di elaborazione delle informazioni. ) la
vicarianza si rifà a quelle che sono le diverse strategie intellettive e percettive che ogni essere umano mette
in campo nel momento in cui apprende, deve risolvere una situazione problematica e nel momento in cui
deve elaborare delle informazioni. Quindi ciò che differenzia un individuo da un altro sono proprio le
diverse strategie cognitive che vengono attivate davanti alla risoluzione di una situazione problematica o in
un contesto di apprendimento.

La vicarianza è stata indagata anche in ambito motorio sportivo ed è un concetto che è alla base della teoria
cosiddetta dei gradi di libertà, cioè l’essere umano è in grado di compiere un infinità di movimenti anche
solo per prendere un oggetto. Il modo in cui prendiamo quell’oggetto è il modo che dal punto di vista
dell’energia che dobbiamo avere per prendere tale oggetto e del tempo da impiegare il cervello sceglie
quella che è la strada piu economica, cioè che ci consente in un tempo minore e con minore dispendio di
energie di afferrare quell’oggetto. In ambito motorio sportivo la vicarianza fa riferimento a questo tipo di
teoria e i gesti, movimenti che appartengono alla nostra quotidianità, in generale il modo in cui l’essere
umano si muove all’interno di uno spazio riflette proprio la logica del minor dispendio di energia e di un uso
del tempo che possa far arrivare all’obiettivo desiderato.

Dal punto di vista biologico, la vicarianza fa riferimento a quella che è la capacità di tutti gli organismi
viventi di utilizzare la realtà circostante in differenti modi a seconda del proprio UMWELT. -concetto di
Umwelt- termine tedesco- che indica il mondo così come viene percepito da ogni singolo soggetto. Cioè
ognuno di noi percepisce il proprio contesto i base a quelle che sono le sue esigenze e le sue intenzioni ad
agire all’interno di quel contesto. Molto spesso è questo che ci differenzia dal mondo degli altri organismi
viventi.

Ad esempio il fiore, l’essere umano percepisce il fiore rispetto a quello che è l’utilizzo che ne può fare-
qualcosa che può essere donato, profuma ecc. un insetto invece non lo percepisce allo stesso mondo, ma
rispetto al suo Umwelt, in base alle sue esigenze, sue finalità. La vicarianza in ambito biologico si riferisce a
questa capacità di tutti gli esseri viventi di percepire i vari contesti in maniera differente in base al proprio
Umwelt.
Infine la vicarianza ha assunto un suo significato in base alla medicina-aree sane del cervello che assumono
il ruolo in base all’area danneggiata, quindi creare quei meccanismi di compensazione che consentono ad
esempio alla persona cieca di sviluppare un udito e un tatto straordinario per compensare dal punto di vista
dell’elaborazione cerebrale quella funzione che viene a mancare.

La vicarianza è un concetto che ritroviamo in molte discipline ed è stato indagato da diverse prospettive. In
tempi recenti è stato oggetto di studio e di indagine da parte di un noto studioso del Colege de France -lev
petrose, è un fisiologo della percezione. Egli ha elaborato la teoria della semplessità che ha consentito una
rilettura e reinterpretazione dei meccanismi che sono alla base del processo di
insegnamento,apprendimento. A partire da questo filone di studi è stato omaggiato di tale riconoscimento.
(Ha avuto la laurea ad honoris)

Sempre nell’ottica della sua teoria della semplessità, alla cui base c’è l’idea che gli organismi viventi nel
processo di adattamento che è sempre finalizzato alla sopravvivenze, gli esseri viventi mettono in atto delle
proprietà , dei principi, schemi di azione, funzionamento che consentono di adattarsi a situazioni e contesti
mutevoli, ad esempio anticipando, giocando di anticipo oppure elaborando delle soluzioni diverse per cui
partendo da questo presupposto ha elaborato in seguito anche questa teoria della vicarianza che secondo
lo studioso non costituisce una semplice capacità di duplicazione o compensazione di un processo ma fa
riferimento a un processo di creazione molto piu ampio che consente agli organismi di attingere ad un
ampio ventaglio di risorse e soluzioni possibili andando a incidere anche su quello che è l’orientamento
evolutivo, quindi anche sui processi evolutivi.

12° lezione: 21/04/22

Agire educativo, inclusione, differenze

Concetto differenza strettamente connesso all’inclusione.

Il tema delle differenze individuali ha coinvolto il mondo dell’educazione, e in primis discipline come
pedagogia e didattica speciale e si è connesso sempre piu strettamente a quello che è il concetto di
educabilità. Questo discorso prima sull’integrazione e poi sull’inclusione ha coinvolto tutto il mondo
dell’educazione andandosi a connettere al principio dell’educazione per tutti e per ciascuno (alla base della
logica dell’inclusione) e ha posto l’attenzione sul tema delle differenze individuali e che è stato poi declinato
neli diversi ambiti disciplinari a seconda della prospettiva scientifica che è stata assunta. Abbiamo
l’approccio psicologico legato alla psicologia cognitiva.

(La progressiva democratizzazione che, nel corso del novecento, ha coinvolto il mondo dell’educazione ha
condotto all’affermazione del principio dell’educazione per tutti e per ciascuno sollecitando le agenzie
formative ad interessarsi al tema delle differenze individuali e alla loro declinazione nei diversi ambiti
disciplinari. )slide.

Abbiamo un approccio che è legato all’ambito psicologico, psicologia cognitiva( stili cognitivi e di
apprendimento), approccio socio antropologico, studi sui media della comunicazione e studi sul tema della
disabilità anche in relazione alle differenze individuali. L’approccio che viene messo in campo dalla
psicologia cognitiva si basa su quegli studi che hanno indagato le cosiddette intelligenze multiple perché
dalla 2° metà del 900 una serie di studiosi si interessa in ambito psicologico al tema delle differenze
individuali e lo indaga da diverse prospettive psicologiche. (C’è chi concentra l’attenzione sulle intelligenze
multiple. Auar gardner)
Quando facciamo riferimento alle differenze multiple facciamo riferimento a Gardner, secondo il quale ci
sono varie tipologie di intelligenza che sono presenti in ogni essere umano e ogni essere umano a seconda
della specifica configurazione utilizza in maniera prevalente un intelligenza piuttosto che un’altra. Egli
individua 7 intelligenze che poi passeranno a 9. Abbiamo ad esempio l’intelligenza linguistica, logico
matematica, interindividuale ,intelligenza cinestesica. Abbiamo diverse forme intellettive che in ognuno di
noi possono essere piu o meno sviluppate, quindi ogni persona ha delle inclinazioni piuttosto che altre,
questo è riconducibile a una pluralità di stili di apprendimento. Questi costrutti sono strettamente collegati
a quella che è la motivazione a l’autostima. L’integrazione e interazione fra questi elementi determina uno
sviluppo cognitivo assolutamente unico, soggettivo perché ogni essere umano esprime il proprio modo di
percepire il mondo e di apprenderlo attraverso questi costrutti.

A partire da tali studi si è andato a indagare il rendimento del soggetto come espressione del personale
modo di funzionamento cognitivo. In ragione di quelle che sono le intelligenze, le espressioni individuali a
livello di funzionamento cognitivo ogni essere umano elabora le informazioni in modo specifico, apprende
in modo specifico in funzione di quello che è il proprio funzionamento cognitivo.

Dal punto di vista educativo si è posto il quesito di come favorire lo sviluppo delle diverse forme intellettive
e di come incontrare le differenze individuali i termini di apprendimento e da qui tale tema è andato a
recepire anche quelle che sono le riflessioni sull’inclusione partendo dal presupposto che anche in ambito
didattico- educativo occorre andare a rintracciare quelle che sono le specifiche modalità di funzionamento,
esigenze apprenditive per andare a favorire il successo formativo.

Approccio sociologico e antropologico, - il discorso sulle differenze individuali viene approfondito in


riferimento a quella che è l’incidenza delle caratteristiche sociali, culturali degli studenti sui processi
insegnamento apprendimento. Viene messa in evidenza il modo in cui il contesto di provenienza
(socioculturale, socioeconomico) possa incidere anche sulle sue capacità e possibilità di apprendimento-.
Facciamo riferimento agli studi del sociologo basil Bernstein che ha indagato questi aspetti in riferimento
all’appartenenza ad una specifica classe sociale e il successo scolastico, perché molto spesso accade che il
bambino proveniente da un contesto di vita svantaggiato ha delle possibilità di apprendimento che non
sono legati a un disturbo, disabilità specifica ma dall’appartenenza a quel contesto che avrà un impatto sul
successo formativo del bambino. Sono studi avviati nel corso del 900 che andarono a mettere in evidenza il
modo in cui l’appartenenza a una classe sociale medioalta fosse indice anche del successo formativo e
scolastico dello studente. Questi studi avviarono una riflessione dal punto di vista sociologico e
antropologico ma che poi ha avuto delle ricadute anche in ambito educativo e didattico in riferimento
anche alla logica della separazione, dell’esclusione. E avviarono il dibattito relativo alla necessità di
superare questo tipo di logica che non teneva conto delle differenze individuali anche in termini di
possibilità di apprendimento.

Gli studi sui media della comunicazione hanno generato un ulteriore gap, divario (che nel corso del tempo
ha preso in nome di digital diviring) tra quello che è il mondo della comunicazione e delle tecnologie e
quindi questa progressiva evoluzione del mondo tecnologico e delle possibilità dei linguaggi legati alla
comunicazione ha determinato un piu ampio divario tra quella fetta della popolazione che aveva un
rapporto ancora molto tradizionale co le tecnologie, con i social media e una generazione invece
(generazione dei nativi digitali, nati nel mondo digitale ) e quelle precedenti che invece si sono dovute
adattare a queste profonde innovazioni (immigrati digitali).

Il divario si è generato non solo rispetto alle capacità e competenze che questo sviluppo ha determinato in
termini di fruizione dei canali di comunicazione ma anche rispetto all’appartenenze a un determinato
contesto piuttosto che un altro. – ad esempioSvantaggio di tipo economico culturale ma anche legato al
tipo di disabilità-Tale discorso sulla Didattica a distanza è diventato piuttosto Complesso perché ha
presupposto una serie di accorgimenti, adattamento costante a questo nuovo modo di fare scuola,
università. E questo digital diviring ha assunto una duplice prospettiva in riferimento al gap generazione e in
riferimento al divario legato all’appartenenza a contesti differenziati.

Gli studi sul tema della disabilità indagano il discorso sulle differenze individuali . La disabilità nel corso del
tempo è stata interpretata soprattutto attraverso letture e interpretazioni stigmatizzanti, negative rispetto
a quella che è una condizione che determina uno svantaggio mentre negli ultimi decenni si è avuta un
evoluzione dal punto di vista concettuale ma anche dal punto di vista delle politiche messe in atto per
supportare il processo di educazione per le persone con disabilità, abbiamo una nuova visione della
disabilità. Disabilità- considerata come parte della condizione umana che tutte le persone in un particolare
momento della vita possono sperimentale e che si configura come concetto complesso dinamico
multidimensionale e contestualizzato.

Complesso perché è frutto di una serie di fattori che interagiscono partendo dalla dimensione biologica che
si intreccia con fattori culturali, contestuali;.dinamico perché la condizione di disabilità non è mai uguale a
se stessa ma è un processo in continua evoluzione che agisce con altri elementi, multidimensionale perché
possiamo guardare la disabilitò a partire da dimensioni diverse, riguarda l’esistenza umana in tute le sue
sfere, dimensioni e contestuale perché è connessa all’ambiente contesto in cui la disabilità viene a
svilupparsi, emergere.

A patire dagli anni 60 del secolo scorso è emersa sempre piu l’esigenza di interpretare questo concetto
attraverso dei modelli esplicativi che potessero tenere conto di tutti gli elementi legati alla disabilità, e
quindi andando ad analizzare il tema della disabilità da diverse prospettive – quindi a partire dalla 2° metà
del 900 sono nati diversi modelli esplicativi della disabilità. (Slide- a partire dagli anni 60 del secolo scorso
l’esigenza di definire una cornice concettuale che contribuisse alla razionale pianificazione delle attività
riabilitative e delle politiche sanitarie, ha condotto alla formulazione di modelli esplicativi che hanno
analizzato i processi di disablement/disabilità da differenti angolature.

Il primo modello che si è posto all’attenzione è stato quello medico individuale che identifica la persona con
la propria disabilità- la disabilità è vista come un problema dell’individuo che è connesso a una condizione
patologica specifica che richiede un intervento particolare da parte di figure professionali deputate alla
riabilitazione o nel caso dell’educazione, a far emergere le capacità e potenzialità del soggetto. In tale ottica
l’obiettivo è quello di facilitare l’adattamento della persona al contesto, fare in mondo che la persona possa
essere portata a una condizione di normalità. Si giustifica l’azione di cura piuttosto che l’azione di CARE-
cioè di presa in carico della persona. Si determina una contrapposizione tra ciò che è considerato normale e
ciò che non lo è per cui la finalità è promuovere quelle condizioni affinché la persona possa ritornare a una
condizione di normalità..

A tale modello è strettamente connesso il modello ICIDH, cioè la classificazione delle conseguenze delle
malattie. icidih è stato prodotto dall’oms nel 1980, è un sistema di classificazione strettamente associato al
modello medico individuale, assume la logica del modello medico individuale come cornice di riferimento, e
quindi le conseguenze delle malattie sono risultato di una concatenazione, sequenza di eventi legati da una
logica causale lineare e progressiva.

La malattia causa la menomazione, che a sua volta causa la condizione di disabilità che a sua volta genera
l’handicap, per cui l’handicap viene a definirsi come la condizione di svantaggio che viene determinata dalla
condizione disabilità- in questo caso l’esempio è legato a una menomazione intesa come lesione,
malfunzionamento a livello organico, fisiologico che può generare disabilità intesa come difficoltà a
realizzare determinate funzioni, e che poi genera una condizione di svantaggio rispetto a quello che è
l’approccio sociale, socializzazione. L’handicap si riferisce in senso stretto alle implicazioni della disabilità da
un punto di vista sociale. Molto spesso il termine handicap è utilizzato come sinonimo di deficit, ma indica
la situazione di svantaggio legata alla disabilità.
Con l’avanzare di quelle che sono le scoperte scientifiche e delle tecnologie si comprende che in effetti tale
tipo di classificazione ha dei limiti, criticità molto forti per cui nella versione successiva, ICIDH 2 si cercano di
superare i limiti della versione precedente andando a integrare la dimensione dei fattori ambientali, sociali
perché l’icidh così come era formulato non prendeva in considerazione un elemento importante, cioè
quello contestuale ma interpretava la disabilità come un problema dell’individuo legato a quella logica
lineare sequenziale trascurando la componente ambientale contestuale. Nel ICIDH 2 si cerca di recuperare
il fattore contestuale e di iniziare a promuovere una visione della disabilità non solo in termini negativi ma
anche positivi e si cerca di andare a cogliere ,classificare ciò che può generarsi da una condizione di salute
piuttosto che da una condizione di malattia per cui si inizia a introdurre il concetto di funzionamento per cui
l’ICIDH2 rappresenta la base su cui si andrà a definire l’ICIF.

Prima di questo facciamo riferimento al modello sociale che si contrappone a quello medico individuale.
Prende le mosse dall’attivismo politico delle persone con disabilità. Quindi dalla rivendicazione dei diritti
delle persone con disabilità e sposta l’attenzione su quelli che sono i fattori ambientali considerati
disabilitanti, cioè che generano disabilità e che sono costituiti da tutte quelle barriere (architettoniche,
culturali, pregiudizi) che causano l’emarginazione di gruppi di persone con disabilità. Stiamo a partire dagli
anni 60 del 900 in cui c’è un fiorire di movimenti minoritari che inizia a far sentire la propria voce e
rivendicare i propri diritti tra cui quelli delle persone con disabilità.

Modello bio psicosociale- già nel 1977 lo psichiatra americano George Engel sfidava la medicina ad
abbandonare il modello biomedico per adottare un modello diverso basato sulla teoria generale dei
sistemi. A partire dalla metà del 900, tra gli anni 40 e 50 del 900 inizia a diffondersi tale teoria, secondo la
quale- teoria dei sistemi, un sistema è il risultato, frutto dell’interazione tra elementi diversi e tale
interazione consente al sistema di adattarsi a tutte quelle che possono essere le sollecitazioni provenienti
dall’esterno. Questa Teoria che nasce nell’ambito della cinernetica, matematica- quindi in ambito delle
scienze pure ma poi viene esteso anche in ambito delle scienze umane e in riferimento alla pedagogia,
sociologia ecc e partono dal presupposto che l’uomo sia un sistema all’interno del quale si muovono e
interagiscono tra loro molti fattori che producono poi lo sviluppo individuale. A partire da questa idea si va
a definire nel corso del tempo il modello bio psico sociale che si pone come sintesi tra il modello medico
individuale (attenzione solo sull’individuo)e il modello sociale (attenzione solo sul contesto sociale).
Partendo dal presupposto che questi due modelli tralasciava un aspetto importante- quello medico
individuale tralasciava i fattori contestuali , quello sociale spostava l’attenzione sull’ambiente ma trascurava
degli elementi soggettivi importanti, per cui tale modello si pone come sintesi tra queste due prospettive. A
partire dal presupposto che l’ essere umano può essere inteso come sistema di fattori interagenti ,viene
proposta anche rispetto alla disabilità un visione nuova che parte dal presupposto che la disabilità si
configura come una delle variazioni, espressioni del funzionamento umano che emerge da tale interazione
costante tra individuo e ambiente.l

In riferimento a questo modello si introduce anche il concetto di funzionamento che va ad affiancarsi a


quelli di disabilità e le dà una nuove accezione, non più negativa ma positiva come condizione di salute in
un contesto sfavorevole. Quindi abbiamo un passaggio da una visione della disabilità intesa come malattia
con tutte Le conseguenze che possono derivare ad una visione intesa come condizione di salute in un
contesto sfavorevole perché l’interazione del soggetto con il contesto può generare una condizione di
disabilità che assume delle connotazioni diverse a seconda dell’individuo e del contesto, non è mai una
condizione uguale, che si ripete ma è una condizione dinamica e evolutiva.

Sulla base di questo modello poi si va a sviluppare il modello ICf, ovvero una classificazione internazionale
del funzionamento della disabilità e della salute. Partendo dai concetti introdotti da tale classificazione,Il
termine disabilità viene posto fra questo due termini a indicare una rinnovata visione del concetto di
disabilità- icf è la classificazione delle componenti della salute e abbiamo proprio un passaggio dalle
conseguenze alle malattie (icidh) alle componenti della salute (icf), c’è una totale evoluzione in positivo. (La
malattia è un concetto che ha implicazioni negative, mentre la salute è un concetto positivo che rimanda al
benessere.)

In riferimento a questo passaggio, nell’icf vengono individuate delle dimensioni che definiscono lo stato di
salute della persona non in termini lineari, casuali ma assumendo una prospettiva sistemica in cui non c’è
una linearità, una consequenzialità delle componenti della salute ma c’è un interazione costante tra fattori
diversi che possono determinare condizioni differenti,.

Riferimento al modello delle capacità che non è un modello interpretativo in senso stretto della disabilità
come gli altri, ma è un modello piu ampio che è stato formulato a metà degli anni 80 del 900 dal filosofo ed
economista Amartya Sen-che si basa sul concetto di benessere, well being, che nella sua ottica non dipende
tanto dai mezzi, risorse che una persona ha a disposizione ma dalla capacità che ogni persona ha di
trasformare quelle risorse nel tentativo di raggiungere obiettivi e traguardi che si intende conseguire.

Il benessere non è dato da ciò che la persona ha a disposizione ma dalla capacità della persona di
trasformare quel qualcosa in un obiettivo raggiungibile.

È proprio quella capacità che si riconosce e si costruisce il concetto di benessere di una persona. Il concetto
di benessere e la qualità della vita di una persona è determinato dall’interazione tra spazio delle capacità e
spazio dei funzionamenti.

Spazio delle capacità. Inteso come insieme dei traguardi potenzialmente raggiungibili, cioè quello che la
persona potrebbe fare rispetto alle sue risorse e agli strumenti che ha a disposizione.

Spazio dei funzioamenti- inteso come insieme di traguardi effettivamente raggiunti.

Benessere-è legato al rapporto tra ciò che posso fare e ciò che realmente faccio, riesco a fare perché nel
momento in cui raggiungo degli obiettivi effettivi posso sperimentare una condizione di benessere, di
autorealizzazione.

Il continuo bilanciamento tra queste due sfere determinano il benessere e la qualità della vita delle
persone.

Questo in riferimento alle persone con disabilità come si traduce? Rispetto a queste due dimensioni, il
benessere della persona con disabilità si manifesta rispetto a quel suo grado, livello di autodeterminazione,
la possibilità che ha a partire dalle sue capacità di scegliere e decidere in che modo utilizzare quelle capacità
e trasformarle in traguardi effettivamente raggiunti. Come si raggiunge ciò? Esercitando nell’ottica del
capability approach proprio la propria autodeterminazione, intesa come capacità di operare delle scelte e
di prendere delle decisioni che riguardano la propria vita e fare in modo che anche la persona con disabilità
possa realizzarsi all’interno di un contesto sperimentando il benessere e aumentando il livello di qualità
della vita.

Questo modello delle capacità si è arricchito anche del contributo della studiosa Martha nussbaum che ha
introdotto anche il concetto di libertà. L’autodeterminazione è la capacità di prendere delle decisioni e fare
scelte significative nella propria vita, quello può essere esercitato solo a partire dalla libertà di poter
esprimere le proprie scelte, di esercitare il proprio diritto di scegliere. E quindi proprio in questa libertà di
scelta risiede anche il concetto di giustizia. Da questo presupposto ella ha delineato anche un elemento di
capacità, capabilities che secondo la studiosa sono necessari affinché una persona possa affermarsi
all’interno della società e la società deve mettere ogni persona nella condizione di esprimere questa
capacità, per cui il concetto di giustizia sociale si esprime in riferimento alle possibilità che vengono
concesse offerte al singolo di potersi esprimere attraverso il diritto all’autodeterminazione, operare delle
scelte.

Come dal punto di vista pedagogico si è articolato questo discorso sulle differenze?.
Principio di educabilità- principio fondante di una pedagogia speciale ma anche della pedagogia delle
differenze, attenta non solo alle questioni legate alla disabilità ma in generale volta a valorizzare le
differenze individuali, quindi amplificare le potenzialità di ogni soggetto. A partire da questo presupposto
abbiamo fatto riferimento a una evoluzione del concetto di differenza che è passato da una visione negativa
legata a un impostazione filosofica tradizionale in cui la differenza era intesa come un allontanamento,
distanza tra quello che era un archetipo ideale e la differenza appunto determinata tale allontanamento
fino ad arrivare a una visione positiva, grazie ad alcuni studiosi come gil de les (giles delleuze) che hanno
operato questa sorta di analisi critica del concetto di differenza mettendo in evidenza gli aspetti positivi.
Perché infatti la differenza può essere pensata non come discostamento da un prototipo. Norma ,ma come
differenza rispetto a un'altra differenza. – come caratteristica dell’individuo che lo rende unico e originale
nella sua espressione.

Partendo da questa lettura del concetto di differenza, la differenza si configura come una sorta di elemento
che genera pluralità, genera altre differenze perché valorizzare le differenze individuali consente alla
persona di potersi esprimere al meglio, esprimere le proprie predisposizioni, capacità al meglio e per
questo è in grado di generare ulteriori differenze.

Nell’ambito dell’educazione è possibile guardare alla differenza sia rispetto al soggetto destinatario
dell’azione educativa sia rispetto al professionista dell’educazione, cioè a chi assume il ruolo dell’educatore.

Nel primo caso la differenza rispetto a quello che è il soggetto nell’agire educativo è legata alla necessitò di
elaborare quella che è una progettualità educativa e formativa che possa essere individualizzata e
personalizzata, calibrata a quelle che sono le caratteristiche e differenze individuali, andando a valorizzare
le capacità presenti in ciascun soggetto. Invece il concetto di differenza dal punto di vista del professionista
dell’educazione, È legato alla necessità di favorire, stimolare nei soggetti dell’informazione questa idea di
differenza come risorsa piuttosto che come elemento che allontana dalla normalità. L’educatore deve
essere quel mediatore che consente ai soggetti informazione di acquisire un concetto di differenza che
abbia proprio questa accezione positiva- cioè non come allontanamento da ciò che è considerato normale-
in tale senso l’azione educativa deve essere finalizzata a mediare un idea di differenza non intesa come
limite p come distanza dalla norma ama come risorsa, elemento che caratterizza l’essere umano.

13° lezione: 22/04/22

Ovide Decroly (1871-1931)

Egli si occupa dell’educazione dei bambini cosiddetti irregolari, termine in relazione a un concetto di
regolarità.

Nasce come medico, poi si specializza in pedagogia dell’infanzia e in psicologia. È una figura poliedrica con
una gran formazione di ambito medico che poi si traduce in un inclinazione, attenzione verso il mondo
dell’infanzia e gli approcci educativi da utilizzare nei confronti di bambini che hanno forme di svantaggio.

Fonda a Bruxell una scuola per bambini irregolari, elabora il metodo globale di apprendimento che si
contrappone al modello analitico che è quello tutt’oggi utilizzato nel sistema scolastico italiano
nell’apprendimento della lettura e scrittura che parte dall’identificazione delle singole lettere per poi
arrivare a parole piu complesse. Egli parte dal presupposto che i bambini percepiscono il mondo prima n
maniera globale e poi analitica per cui dal punto di vista educativo e didattico occorre utilizzare un metodo
che segua questo processo naturale di apprendimento dal globale all’analitico. È uno dei primi studiosi che
si occuperà di orientamento e formazione professionale dei minori con disabilità, quindi introdurrà, e avrà
un attenzione specifica verso quello che è il tema dell’orientamento e della formazione professionale in
quanto elementi che possono garantire al bambino con disabilità un integrazione dal punto di vista
lavorativo e anche sociale , per cui affermerà l’importanza anche nel lavoro educativo di fare riferimento a
questi aspetti. Ed è uno dei fondatori insieme ad altri studiosi soprattutto francesi della lega internazionale
per l’educazione nuova.

Egli si occupa di bambini irregolari e li definisce così facendo riferimento al fatto che questa irregolarità del
bambino con disabilità non risiede nella sua natura ma nel suo sviluppo, quindi non è una caratteristica
immutabile perché naturalmente determinata, ma è un elemento che interviene nel corso dello sviluppo
del bambino per cui è una irregolarità funzionale e non strutturale, non riguarda la struttura biologica del
bambino ma fa riferimento alle sue funzionalità, al suo funzionamento nel percorso di crescita e sviluppo.

Sono bambini irregolari rispetto al processo di sviluppo regolare. Il contesto familiare, scolastico, culturale,
sociale ha una funzione educativa fondamentale perché se si parte dal presupposto che l’irregolarità, lo
sviluppo diverso non è legato alla natura biologica del bambino ma riguarda il percorso educativo, evolutivo
, e su quest’ultimo ha una valenza significativa il contesto. Questa irregolarità è strettamente collegata ai
fattori contestuali, ambientali. Partendo da questa definizione di bambini irregolari decroly evidenzia 6
aspetti fondamentali del processo educativo del bambino con disabilità che sono le tappe, gli aspetti che
riguardano lo sviluppo generale del bambino. Qui ritroviamo l’influenza di itard, seguin- a partire
dall’educazione sensoriale, che si accompagna all’educazione motoria (motrice), l’educazione affettiva
legata alla sfera relazionale, emotiva del bambino, educazione intellettuale che riguarda gli aspetti
cognitivi legati ai meccanismi di conoscenza, educazione del linguaggio e il 6° aspetto che è la
preparazione professionale cioè quell’attenzione alle capacità che mostra ogni bambino con disabilità e
che costituiranno la base per individuare una possibile attività lavorativa alla quale il bambino possa
dedicarsi e andare a favorire il processo di inclusione sociale.

L’educazione ai sensi, alla sensorialità fa riferimento a una sorta di vera e propria fenomenologia educativa
della percezione. Cioè egli parte dal presupposto che anche nel processo educativo occorre tenere in mente
il modo in cui il bambino in generale e soprattutto quello con disabilità percepisce il mondo, la realtà
perché da quel particolare modo di percepire il mondo scaturirà anche il suo approccio alla vita e al modo
in cui si attiveranno i processi di apprendimento. Così il corpo, la corporeità assume un ruolo centrale nel
processo educativo perché non è considerata una semplice entità materiale, fatta di sensazioni fine a se
stesse, ma è considerata come un insieme di sistemi , di funzioni Biopsichico sociale che mettono insieme
una serie di fattori diversi che costituiscono poi la personalità del bambino. Il corpo è anche quell’elemento
che è alla base del processo identitario, struttura identitaria della persona. A partire dalle percezioni
derivanti dal contatto del corpo con il mondo esterno si avviano i processi di sviluppo e quindi lui parte dal
presupposto che le percezioni del bambino (con disabilità) sono percezioni di tipo globale, il bambino
recepisce un insieme di percezioni, stimoli in maniera globale e solo in un secondo momento sarà in grado
di catalogarli, di selezionarli, classificarli così come affermava anche Maria Montessori.

Per portare avanti questo suo pensiero Egli prende in prestito dei concetti maturati in altri ambiti di studio,
e fa riferimento al concetto di pensiero sincretico introdotto dal sociologo e antropologo francese di Levy
Bruhl e al concetto di intuizione di Bergson- per spiegare il modo in cui il bambino con disabilità percepisce
il mondo esterno, cioè il modo in cui apprende.- e lo fa in maniera globale

Concetto di pensiero sincretivo di levy bruhl. Questo studioso parte da quello che è uno studio, riflessione
sulla mentalità prelogico degli uomini primitivi, cioè il modo i cui gli uomini primitivi pensavano e agivano
all’interno delle loro comunità. Questa forma di pensiero prelogico perché anticipa il pensiero logico
tradizionale, non può essere considerato come una forma di pensiero irrazionale, forma di ingenuità perché
si deve far riferimento al contesto specifico in cui si sviluppa il pensiero prelogico, e quindi il contesto in cui
vivevano le popolazioni primitive. Facendo riferimento al contesto, egli sostiene che questa mentalità
prelogica non può essere considerata una forma di pensiero irrazionale, ma è una forma di pensiero che lui
definisce fluido derivante da un contesto sociale in cui l’individuo non sviluppa un giudizio personale della
realtà , una propria forma di giudizio critico della realtà perché fa riferimento a delle rappresentazione
collettive dettate dal ricorso alla mitologia.

I popoli primitivi avevano una propria rappresentazione, cultura fondata su miti e leggende tramandate nel
corso del tempo che costituivano questa forma di pensiero prelogico, avevano un pensiero ma basato su
una forma di credenza e non sull’irrazionalità, legato al pensiero sociale ma non alla capacità critica e
razionale dell’uomo civile che poi ha sviluppato un pensiero diverso, logico razionale.

Decroly accosta il modo di apprendere la realtà alla mentalità prelogica propria dei popoli primitivi che non
erano abituati a ragionare in maniera critica perché in quel contesto non veniva loro richiesto di ragionare
in maniera critica ma c’era un tipo di approccio legato a una rappresentazione mentale di quella che era la
realtà derivante dal mito, leggenda e che non prevedeva il ricorso a un pensiero di tipo logico. Egli accosta
tale tipologia di pensiero di percezione alla realtà per sottolineare che così come l’uomo primitivo non
aveva questa curiosità, questo slancio critico verso il mondo, così anche il bambino con disabilità ha una
percezione, e un modo di elaborare le informazioni che è legato al contesto di riferimento che gli consente
di percepire il mondo in maniera globale piuttosto che analitica.

Allo stesso modo per spiegare la modalità di percezione dei bambini con disabilità che è di tipo globale,
decroly recupera un concetto maturato in ambito filosofico, cioè quello di intuizione per fare riferimento al
fatto che mentre il pensiero razionale porta in qualche modo ad analizzare ciò con cui ci interfacciamo,
veniamo a contatto, quindi a porre l’attenzione in maniera critica sui vari aspetti dell’esistenza, una
mentalità di tipo prelogico invece apprende in maniera globale una serie di stimoli ma non li analizza in
maniera critica nella mentalità utilizzata dal pensiero logico tradizionale. In questo caso c’è l’accostamento
del modo di percepire al concetto di intuizione intesa come capacità di percepire degli stimoli e delle
informazioni in maniera globale, intuendo appunto il significato di quelle informazioni perché si coglie la
globalità, il senso nel suo insieme.

Quello che vuole mettere in evidenza decroly è che la logica, modo di percepire del bambino irregolare non
è di tipo astratto analitico. Egli non sviluppa un pensiero astratto, ma un pensiero maggiormente critico,
pensiero intuitivo che si rifà alla percezione globale delle informazione e in ragione di questa sua
particolare inclinazione che l’educazione affettiva attraverso l’esercizio della sfera dei sensi e la sfera
motoria, diventa poi la base anche per tutte le tipologie di apprendimenti e in questo senso educazione
sensoriale, motoria e affettiva costituiscono la base per sviluppare forme di pensiero piu complesse.

Secondo decroly gli scopi principali dell’azione educativa sono l’autonomia, lo sviluppo nel bambino con
disabilità dell’autonomia e il processo di socializzazione che gli consente di prendere parte a un contesto, è
l’elemento imprescindibile del processo di integrazione, partecipazione in un contesto. Ci sentiamo
partecipi in un contesto quando possiamo in effetti stabilire delle relazioni sociali e quindi partecipare a
quel contesto. Da un lato l’autonomia che rende libera la persona con disabilità che la toglie da una
condizione di dipendenza, e la socializzazione perché è ciò che ci consente di partecipare e vivere
realmente i contesti di vita. Secondo decroly occorre sviluppare quello che è il sentimento dell’io, una
consapevolezza rispetto a quella che sono le proprie capacità, punti di forza e di debolezza, quindi un
autoconsapevolezza, occorre creare delle attività dal punto di vista didattico educativo che diano al
bambino la possibilità di confrontarsi con gli altri, e quindi di andare a stabilire relazioni , di conoscere il
rendimento delle proprie capacità, la possibilità di farle crescere e quindi andando a lavorare anche sui
processi motivazionali e sull’autostima. L’educazione educativa deve tendere a promuovere autonomia e
socializzazione.

Egli offre anche alcuni spunti metodologici in riferimento all’intervento educativo da mettere in campo. egli
sottolinea che occorre chiarire e definire con precisione quelli che sono i concetti, le categorie a cui
facciamo riferimento quando parliamo di disabilità e quando facciamo riferimento a un osservazione di tipo
diagnostico.
Altro elemento su cui punta l’attenzione è il fatto che bisogna essere consapevoli che è impossibile
modificare o eliminare il deficit. Quindi l’azione educativa può favorire, migliorare quelle che sono le
funzioni e le aree di sviluppo e il funzionamento globale del bambino con disabilità, ma non può eliminare
il deficit.

L’azione didattica educativa non mira a eliminare una condizione che è legata alla struttura biologica della
persona ma mira a fornire alla persona degli strumenti, strategie che lo aiutano a sviluppare le sue capacità.
Altro aspetto importante è che non bisogna identificare il deficit con l’handicap. C’è una differenza tra il
concetto di disabilità, handicap, menomazione e non sono sinonimi. L’handicap è l prodotto del contesto
sociale e della situazione specifica del bambino quindi non è identificabile con il deficit ma è la ricaduta
sociale che il deficit ha sul contesto sociale in cui vive il bambino. Tale concetto sarà ripreso anche nei
sistemi di classificazione prodotti nella 2° metà del 900.

I bambini con disabilità hanno una modalità di percezione globale, sincretica o preanalitica che si pone
prima del processo di analisi, quindi è una percezione di tipo globale che richiama la teoria della gestalt che
si andava a sviluppare all’epoca (siamo nella 1° parte del 900) soprattutto nel centro europea in riferimento
al fenomeno del sincretismo. Cioè quella tendenza primaria sia nell’atto della percezione che nel pensiero a
ragionare per forme di insieme, quindi per schemi generali prima di andare ad analizzare i dettagli.

Lo stile globale è proprio di chi percepisce le informazioni, gli imput provenienti dall’esterno prima in
maniera globale, sincretica. E poi ne analizza i particolari, mentre quello analitico è proprio di chi punta
l’attenzione soprattutto sui dettagli. egli parte dal presupposto che il bambino con disabilità ha un tipo di
percezione sincretica, globale che gli consente di ragionare per schemi generali quindi non andando a
focalizzare l’attenzione su quelli che sono degli elementi di dettaglio che consentono una comprensione
diversa dei concetti, situazioni.

Studi di teoria della gestalt facciamo riferimento agli studi legati alla percezione delle immagini di insieme.
– forme di pensiero e percezione legate al modo in cui l’essere umano percepisce una forma di insieme
elaborando anche dal punto di vista cognitivo un informazione piuttosto che un altro. Secondo decroly
proprio a partire da questo tipo di percezione globale che occorre definire l’intervento di tipo educativo
perché anche nel momento in cui si insegna a leggere e a scrivere ai bambini bisogna tenere presente il
fenomeno del sincretismo percettivo perché questo tipo di percezione dal punto di vista dell’insegnamento
si collega al metodo globale, cioè alla capacità che ha il bambino con disabilità di riconoscer le parole prima
che le lettere. Quindi partendo da quello che è il globale per andare ad analizzare, partendo da un processo
di sintesi che poi passa a un processo di analisi.

Il metodo analitico della lettura si basa sull’insegnamento delle singole lettere che vengono memorizzate
dal bambino, poi le si uniscono in sillabe e infine in parole- quindi si passa dall’analisi alla sintesi.

Invece decroly – il suo metodo globale della lettura parte a ritroso, cioè passa prima a memorizzare una
frase di senso compiuto in modo che il bambino possa attribuire un significato e poi scompone la fase in
parole, sillabe e poi in lettere. Segue un processo che va dalla sintesi, percezione di insieme all’ analisi dei
singole elementi, da un concetto piu complesso a concetti piu semplici attraverso l’intuizione.

Per quanto riguarda l’approccio educativo, in decroly abbiamo un’impostazione che parte da una fase di
osservazione diagnostica e poi si traduce in un educazione educativa. Questo tipo di impostazione la
ritroviamo anche in itard che parte da una fase diagnostica che è la base per la fase operativa, reaLIZZARE
L’INTERVENTO EDUCATIVo. IL documento che decroly propone e sintetizza questi due aspetti è il cosiddetto
dossier medico-pedagogico , che è un documento in cui sono raccolte tutta una serie di informazioni sulla
condizione di salute, sullo stato biopsichico sociale ed educativo del soggetto. Ed è un documento
strutturato in 5 sezioni e ognuna delle quali è finalizzata a recuperare delle informazioni e quindi ad
approfondire determinati aspetti e contesti del bambino con disabilità.
Abbiamo una prima parte in cui sono riportate info relative all’ambiente fisico, familiare e sociale- quindi al
contesto di riferimento del bambino, una 2° sezione in cui vengono riportate informazioni relative a quelli
che sono i precedenti e lo stato attuale del genitore (utili per comprendere meglio il processo di sviluppo e
il funzionamento del bambino con disabilità), nella 3° sezione sono comprese le informazioni legate ai
precedenti e lo stato attuale di eventuali fratelli, 4° sezione riguarda i precedenti del fanciullo, cioè il
percorso pregresso del fratello, malattie che ha avuto, problematiche legate all’infanzia ecc e poi la 5°
sezione dedicata allo stato attuale del fanciullo, quali sono le potenzialità attuali quello che sa fare e le
difficoltà del bambino. Questo dossier unisce gli aspetti legati alla diagnosi medica con quelli legati
all’approccio educativo da adottare per supportare il processo di sviluppo del bambino.

Le linee di azione che poi ritroviamo nell’approccio educativo di decroly sono legate a due aspetti
fondamentali: da un lato la dimensione pratica, lo sviluppo del pensiero pratico e quindi la valorizzazione
della dimensione del fare per cui attraverso esercizi di vita pratica si esercita il coordinamento dei
movimenti e le abilità grosso e finomotorie. Un altro aspetto è riservato all’ambiente perché tutti gli Imput
che il bambino riceve all’interno del contesto educativo devono avere come punto di partenza e di arrivo
alal vita, cioè ci deve essere una ricaduta concreta, reale rispetto a quelli che sono gli insegnamenti ..
(ritroviamo in questo la montessori-appartengono alla stessa riflessione)

Anche per decroly tuto deve essere riportato alla vita reale alla quotidianità che vive il bambino partendo
dal presupposto che quello che si sviluppa maggiormente nel bambino con disabilità è il pensiero concreto,
pratico e non quello astratto e per far si che questo pensiero si sviluppi dobbiamo proporre al bambino
attività pratiche che lo mettano nelle condizioni di sperimentare e di apprendere a partire da
quell’esperienza diretta.

Una parte importante è riservata al tema dell’orientamento professionale, perché è quell’aspetto che
svolge una funzione decisiva per la costruzione di un progetto di vita che possa essere individualizzato,
ovvero corrispondente alle caratteristiche, bisogni e capacità del bambino con disabilità. Quindi anche qui
decroly anticipa un tema importantissimo – cioè quello dell’orientamento professionale, non solo in senso
del percorso universitario successivo ma anche legato alla professionalità che può essere sviluppata e in
questo senso egli anticipa temi che verranno ripresi successivamente. Rispetto all’orientamento
professionale secondo lui bisogna considerare alcuni elementi specifici: innanzitutto le potenzialità del
soggetto, quello che potrebbe essere in grado di fare se supportato in maniera adeguata, l’ambiente
familiare che può presentare degli aspetti relazionali che possono essere anche negativi per
l’apprendimento, nel senso che un sistema di relazioni familiari che spinge il bambino con disabilità verso
un percorso scolastico piu che verso un altro può essere dannoso perché non si riconoscono le reali
difficoltà del soggetto e non si valorizzano invece quelle capacità, poi il contesto sociale e le condizioni del
mercato del lavoro (decroly fa un analisi molto ampia non solo legata alla condizione del soggetto ma pone
il tema dell’orientamento professionale in una prospettiva molto piu ampia che chiama in causa anche
quello che è il contesto economico, sociale, politico di riferimento per cui sottolinea la necessità di andare
ad analizzare le opportunità locali per l’apprendimento professionale, quindi cercare di comprendere in che
modo il percorso educativo e didattico del bambino con disabilità possa incontrare anche le esigenze del
territorio (aspetto- intuizione molto importante di decroly perché sono elementi alla base
dell’orientamento di oggi)

Visto che ci sono questi elementi da prendere in considerazione dobbiamo stabilire quello che lui chiama
un repertorio delle capacità necessarie cioè un documento in cui siano riportate quelle che sono le capacità
del soggetto necessarie a una determinata professione, quelle che oggi chiamiamo competenze rispetto a
una professione, creare un laboratorio di orientamento e selezione (laboratorio luogo in cui la dimensione
del fare assume una forma specifica ), in cui bambini con disabilità possano apprendere delle abilità, delle
tecniche di tipo manuale, che possano apprendere lavori di tipo manuale e selezione nel senso che poi si va
a selezionare quelli che sono le inclinazioni maggiori dello studente, per individuare la professione
maggiormente corrispondete alle capacità. Infine elaborare un dizionario delle occupazioni con le attitudini
necessarie, per facilitare questo sistema di orientamento e selezione egli popone di elaborare una sorta di
dizionario che possa comprendere tutte quelle occupazioni, professioni che sono realizzabili, accessibili alla
persona con disabilità con le competenze e capacità richieste da quella specifica professione affinché ci
possa essere un primo orientamento e selezione di quella che è la professione maggiormente adeguata alle
capacità e alle oggettive difficoltà nel soggetto e in modo che questo percorso possa essere facilitato
dall’avere un documento di riferimento.

Decroly fa delle considerazioni nell’ambito dei suoi studi ricerche, relative all’insegnamento speciale
facendo riferimento a un doppio atteggiamento che si riscontra nell’interazione con i bambini con
disabilità. Da un lato , l’atteggiamento dei genitori che tendono molto spesso a negare quella che può
essere una condizione diversa del proprio figlio che lo allontana da quella normalità , e l’atteggiamento di
educatori e insegnanti che non prestano attenzione alle differenze individuali che emergono nel lavoro
pedagogico e quindi quella tendenza ad utilizzare sempre le stesse strategie, approcci tentando di
generalizzarli alle diverse configurazioni personali trascurando invece quell’elemento di originalità di
differenza che è fondamentale affinchè l’intervento educativo possa poi rilevarsi effettivamente
efficace,Quindi L’insegnamento speciale nei confronti dei bambini con disabilita deve muoversi e tenere
conto di questo doppio atteggiamento.

Viene messo in evidenza piu volte nel lavoro di decroly la forte connessione tra discipline diverse che però
interagendo possono costruire, aiutare l’educatore a costruire un quadro maggiormente dettagliato, chiaro
dello sviluppo del bambino con disabilità- lo fa in ragione della sua formazione eclettica.

Egli unisce quella che è la sua formazione psicologica a elementi di fisiologica pedagogia e medica, quindi
ha un approccio interdisciplinare che gli consente di analizzare la disabilità da diverse prospettive e di avere
anche un approccio globale che metta insieme tutti questi aspetti.

Elemento della coeducazione, cioè dell’educazione che tiene conto della presenza dell’altro e che diventa
un’educazione insieme all’altro. L’elemento della socializzazione è fondamentale perché consente questo
tipo di educazione con l’altro e favorisce quelli che sono i processi inclusivi. Abbiamo poi l’auto-aiuto e
l’auto-governo, cioè tutte quelle forme di autoapprendimento, automonitoraggio, autogestione che devono
essere tenute in considerazione in presenza di disabilità perché il bambino deve imparare da solo come
diceva la montessori ‘aiutami a fare da solo’-mettendo al centro l’autonomia e la capacità di autogestione
del bambino- idea che anche alla base del lavoro di decroly.

Il programma individualizzato e i metodi di insegnamento che siano calibrati sulla potenzialità e sulle
caratteristiche soggettive. Infatti abbiamo visto termini come individualizzazione del percorso, la
personalizzazione che fa riferimento alla necessità di valorizzare le potenzialità e le caratteristiche
individuali. A partire da metodi di insegnamento che possano incontrare le esigenze specifiche, le
caratteristiche specifiche.

Importanza di favorire la tendenza naturale dei bambini a sperimentare e creare (elemento anche della
montessori, a centro dell’attivismo pedagogico e del movimento delle scuole nuove. Cioè della prospettiva
puerocentrica che mette al centro il bambino con la sua spontaneità, e con quella attenzione verso la
scoperta, curiosità della vita.

Ci sono molti punti di contatto con la montessori, anche se decroly e il suo lavoro si caratterizza per una
serie di presupposti concettuali che lo differenziano da altri studiosi.

LIBRO-CAP 4, PG 117

ARGOMENTI DA STUDIARE- CAP 1, CAP 2 , CAP 3, CAP 4, CAP 6, CAP 8, CAP 9


14° lezione: 28/04/22

-La disabilità intellettiva nel contesto scientifico e culturale italiano

Grande figura del novecento che ha dato un contributo importante all’educazione relativa all’infanzia con
disabilità- e si concentra sulla disabilità intellettiva. – de Sanctis.

Cioè nel contesto italiano facciamo riferimento ai cosiddetti bambini deficienti. -contesto su cui influirà il
lavoro di seguin e quello di Itard poiché seguin si occupa dei bambini con disabilità intellettive (idioti) e i
suoi studi e materiali costituiranno la base del lavoro di maria montessori e di de Sanctis.

Quest’ultimo è una figura poliedrica nel contesto italiano. È uno psichiatra e si occuperà nello specifico di
neuropsichiatria infantile, e si interesserà a tutti quegli aspetti che riguardano lo sviluppo delle persone con
disabilità intellettiva.

Contesto scientifico e culturale italiano- siamo nella prima metà del 900- abbiamo il fenomeno del
cosiddetto filantropismo educativo cioè tendenza di intellettuali e studiosi a investire non solo dal punto di
vista economico ma anche sociale, educativo in quello che è lo sviluppo dell’infanzia con disabilità- tale
contributo darà vita a una serie di movimenti e associazioni a difesa dell’infanzia con disabilità. Già alla fine
dell’800 c’è la diffusione a partire dal contesto francese di istituti e scuole speciali (le prime a sorgere sono
quelle per disabilità sensoriali- cechi e sordi, ma successivamente si diffonderanno anche asili-scuole per
disabili intellettivi). Quando si parla di asilo non lo si intende nel contesto relativo all’infanzia, ma era una
struttura che aveva delle caratteristiche di tipo pedagogico e didattico ma era destinato a ospitare persone
con disabilità. Gli asili che sorgono a partire dal 500 e 600 diventano delle strutture che accoglieranno
bambini con disabilità e desantis fonderà i primi asili scuola in Italia. Alla base di questa attenzione nel
mondo dell’infanzia con disabilità ci sono motivi legati a quelle che sono riflessioni che si sviluppano in vari
paesi europei, ma a questi motivi culturali sono legati e eseguono anche degli interessi economici perché
anche lo stato inizia ad entrare nelle questioni dell’istruzione pubblica e privata, quindi al presupposto
culturale si associa anche l’interesse di natura economica. in Italia questi presupposti conducono al sorgere
di alcune società e associazioni importanti, come nel 1874 la società di freniatura, nel 1899 la lega nazionale
per la protezione dei fanciulli deficienti che punta la propria attenzione sui processi educativi di bambini e
ragazzi con disabilità intellettiva e accoglierà moltissimi studiosi provenienti da differenti paesi, faranno
parte di questo movimento la montessori, petro liv che dedicavano la loro vita sia personale che
professionale al supporto di questi ragazzi. Mel 1900 nasce la scuola magistrale ortofrenica che viene
istituita e condotta nei primi anni da maria montessori e giuseppe montesano che si occuperò della
formazione di quegli insegnanti che andranno ad operare in presenza dei bambini con disabilità.

Sul finire del 19esimo secolo, del 1800 e a cavallo con il 900 in Italia si assiste a una sorta di ibridazione
delle prassi, cioè una sorta di integrazione costante tra pratiche diverse, nel senso che si attiva quel
processo di interazione, dialogo costate tra discipline che a titolo diverso si occupano dello sviluppo del
bambino con disabilità. Quindi abbiamo scienze di ambito medico, psicologico e anche di ambito
pedagogico che dialogando tra loro danno vita a delle prassi ibride derivante da questa interazione e ciò
testimonia anche i primi segnali della volontà di tanti studiosi e intellettuali dell’epoca di farsi carico della
situazione delle persone con disabilità intellettiva, quindi dal punto di vista scientifico, ma anche dal punto
di vista sanitario e sociale andando a puntare l’attenzione sulle questioni educative. All’interno di questo
scenario di mutamenti e trasformazioni più ampie si colloca la figura di sante de sanctis, considerato uno
tra i padri fondatori della psicologia italiana, darà un grande contributo allo studio della nosografia e delle
patogenesi delle psicosi infantili, sarà il 1° in italia a distinguere la neuropsichiatria e le questioni
neuropsichiatriche legate all’età adulta e quelle legate all’età infantile.
(A partire dalla fine dell’800 e del 900 l’infanzia assume una sua specificità un ruolo all’interno del percorso
di sviluppo, diventa una tappa educativa da studiare e da indagare mentre in epoche precedenti era evitata,
trascurata e si studiava solo lo sviluppo della persona adulta- (infanzia-tappa fondamentale del percorso di
vita di ciascuno , anche all’interno dei vari ambiti disciplinari si inizia AD OPERARE QUESTA DISTINZIONE e
quindi nell’ambito della neuropsichiatria si distacca una branca della neuropsichiatria che studia quella
scientifica, e lo stesso succede anche nell’ambito psicologico, pedagogico. Ci sarà questo interesse specifico
all’infanzia)

È il fondatore degli asili scuola che si occupavano di accogliere e assistere, e educare i minori considerati
anormali, in particolari quelli con disabilità intellettiva. Sarà il primo a interessarsi e a definire l’ambito
scientifico della neuropsichiatria infantile separandolo da quello della neuropsichiatria adulta, sarà uno dei
maggiori antesignani e artefici dell’intreccio scientifico tra discipline diverse tra loro ma comunate tutte
dallo studio dello sviluppo umano, non solo il bambino come essere complesso il cui sviluppo richiede di
essere analizzato e studiato da diverse prospettive e chiama in causa il lavoro di vari studiosi e
professionali. Sarà il testimone di questa ibridazione delle prassi (in particolare tra psicologia, antropologia,
pedagogia e psichiatria) che si tradurrà anche nel lavoro all’interno degli asili-scuola. Questi asili scuola
tradurranno in pratica l’intreccio tra queste varie discipline, l’impostazione sarà multidisciplinare e
prevederà la presenza di figure professionali diverse per supportare il percorso di sviluppo di questi
bambini.

Lo studioso ha una formazione eclettica perché spazia tra discipline diverse e si parla di una sorta di
integralismo metodologico perché de sanctis si approccia allo studio della disabilità integrando le varie
prassi metodologiche, recuperando la sua formazione medica neuropsichiatria e intrecciando questo suo
profilo identitario e formativo anche con gli studi successivi legati all’antropologia, alla pedagogia e così via.

Sarà uno dei maggiori esponenti della psicanalisi italiana. Il suo lavoro si sviluppa all’interno del lavoro di
Freud , in riferimento ai temi dell’epoca molto rilevanti che oggi costituisce uno dei temi principali del
lavoro di freud, cioè dell’interpretazione dei sogni e de sanctis farà una propria riflessione a questo tema. Ci
sarà sempre la presenza di questo approccio interdisciplinare e riconosce l’infanzia come specifico e
importante momento della vita umana che richiede un analisi e uno studio specifico avvalendosi di
prospettive scientifico disciplinari differenti che possono restituire la complessità di uno sviluppo che non
può essere indagato solo dalla prospettiva medica o pedagogica, o altro ma richiede essendo complesso
una prospettiva di analisi integrata che ricostituisca il senso e il reale significato di questo sviluppo.

Per quanto attiene il lavoro di natura pedagogica, fonda nel 1899 i cosiddetti asili scuola a Roma che hanno
una impostazione di carattere formativo 8elemento che caratterizzerà tali contesti. E li distinguerà da quelli
precedenti che nascevano come contesti separati in cui contenere le persone con disabilità. Invece con
Sante de sanctis si caratterizzeranno per un impostazione di tipo formativo, quindi avranno come finalità
quella di educare e formare i bambini con disabilità a quella che è l vita sociale, professionale e tale
elemento si collega anche al discorso sull’integrazione e a quei principi pedagogici di seguin.

All’interno degli asili scuola vengono insegnate una serie di discipline, offerta un istruzione di base,
insegnata la lettoscrittura e una serie di mansioni pratiche che possono emancipare, rendere maggiormente
autonomo il bambino con disabilità intellettiva e consentirgli anche di acquisire quelle competenze che
potrà in futuro spendere anche dal punto di vista sociale e lavorativo.

In riferimento al dominio di lavoro di sanctis, egli ha il merito di ridefinire la neuropsichiatria infantile


distinguendola da quella adulta. E la neuropsichiatria infantile si configura come quella disciplina che si
occupa di patologie in soggetti da 0 a 18 anni, e da uno sguardo di tipo medico si riunisce il punto di vista di
quello psicopedagogico. E in effetti la figura del neuropsichiatra infantile in qualche modo recepisce
l’esigenza dello sguardo può ampio e complesso a quello che sono le patologie e per questo il
neuropsichiatra tuttora contribuisce nella diagnosi di disabilita anche dal punto di vista educativo e
didattico a redarre dei documenti che in ambito scolastico possono essere elaborati per supportare il
percorso dello studente con disabilità. Quindi offre delle chiavi interpretative della patologie necessarie alle
varie figure professionali che si occupano del bambino con disabilità e chiavi che sono indispensabili per
consentire l’implementazione di strategie, strumenti approcci, finalizzati all’inclusione del bambino con
disabilità.

Egli fa un importante distinzione tra i falsi anormali e i veri anormali. I falsi anormali sono coloro che
avendo vissuto condizioni di disagio, povertà e deprivazione culturale presentano die ritardi a livello
cognitivo che però non sono riconducibili alla presenza di una disabilità reale ma sono una conseguenza di
quella condizione socioculturale, socioeconomica. E quindi falsi perché il loro ritardo non p legato alla
presenza di un deficit reale ma a una condizione di vita disagiata, deprivata e per tali soggetti de sanctis egli
li indirizza verso le classi differenziali. I veri anormali sono quei bambini che presentano un reale disturbo a
livello psichico, intellettivo, legati alla presenza di un reale trauma, lesione dal punto di vista organico per i
quali è possibile prevedere degli appositi istituti di educazione. Egli ha questo tipo di impostazione che
riflette anche il contesto storico e culturale specifico.-> c’erano istituiti e scuole speciali con classi
differenziali all’interno delle scuole ordinarie e lui fa questo tipo di distinzione perché si rende conto che il
bambino che presentava un ritardo nello sviluppo non dovuto a una patologia ma al contesto non era
giusto e utile dal punto di vista educativo che fosse indirizzato all’istituto speciale, ma poteva fare un
percorso di recupero all’interno della scuola ordinaria e quindi della classe differenziale

Questo tipo di distinzione farà si che ci potesse essere questo orientamento verso le classi differenziali nel
primo caso e gli istituti specializzati nel 2°.

Egli offre anche una serie di riflessioni fra il rapporto tra filosofia e psicologia, si occuperà anche degli studi
di criminologia che erano molto diffusi a quel tempo, anche in riferimento a quelli che erano gli studi di tipo
antropometrico, e in quella 1° metà dell 900 era molto diffusa l’analisi antropometrica della persona per
riferire determinate caratteristiche, si pensava che i criminali avessero una particolare conformazione fisica,
facciale e che il loro cervello avesse una specifica formazione.

Lo stesso si pensava della disabilità, cioè che avessero delle determinate caratteristiche.

Egli si inserisce all’interno di questo dibattito e approfondendo gli studi di criminologia e posizionandosi
rispetto a quello che è il ruolo dell’ambiente anche nello sviluppo di alcune inclinazioni e patologie. Egli
riconosce il ruolo che può giocare l’ambiente anche nell’indirizzo verso la criminalità, quindi si contrappone
a coloro che sostengono che chi nasce in una famiglia che delinque possa seguire a livello genetico, per
eredità tale orientamento, mentre lui valorizza l’elemento ambientale contestuale, cioè come gli stimoli
contestuali hanno un’influenza anche in questo tipo di orientamento .

È importante Il contributo che de sanctis offre per l’educazione dei deficenti mediante il testo’educazione
dei deficenti’ nel 1915 in cui offre una serie di sunti di riflessioni e indicazioni metodologiche per supportare
educatori in questo compito di educare i bambini con disabilità intellettive e quindi cerca di favorire e di
promuovere delle buone prassi dal punto di vista pedagogico e didattico. E quindi in tale testo si propone di
offrire una guida utile ai maestri, educatori per conoscere le varie tipologie di disabilità. Egli parte dal
presupposto che per lavorare con il bambino con disabilità l’insegnante deve conoscere quel tipo di
disabilità e nella 1° parte di tale lavoro descrive le varie tipologie di deficit e ciò consente di impostare
l’educazione dei cosiddetti deficienti intellettivi. Egli illustra analizza quelle che sono le fondamenta
psicologiche, fisiologiche e sociologiche sulle quali poi poter sviluppare un approccio pedagogico e anche
quelli che poi saranno degli interventi di natura didattica. Il presupposto da cui muove de sanctis è che
molti lavori pubblicati in precedenza sui deficienti trascurano una serie di aspetti importanti_ come lo
sviluppi fisico- rispetto alle varie aree di sviluppo, quali sono le modalità e le implicazioni , le difficoltà legate
alla presenza della disabilità nello sviluppo fisico del soggetto;-i caratteri fisiologici e psicologici che sono
differenti (sviluppo tipico e atipico-così si parla oggi per sottolineare che ci sono delle differenze in termini
di tempi e modalità di sviluppo che sono differenti.) Inoltre punta l’attenzione sull’inclinazione che
presentano tutti i soggetti con disabilità intellettiva verso le attività pratiche, quindi lo sviluppo verso un
pensiero pratico piuttosto che uno astratto quindi dal punto di vista didattico è importante impostare
attività che tengano conto di tale caratteristica. A partire dal fatto che per impostare il lavoro educativo e
didattico è necessario avere una conoscenza approfondita del deficit e delle implicazioni che il deficit ha
sulle varie parti dello sviluppo, Egli sottolinea nel libro che solo la collaborazione tra le varie discipline le
diverse figure professionali consente di comprendere meglio il complesso sviluppo del soggetto con
disabilitò che prevede una lettura multidisciplinare. In questo modo egli anticipa quella che è
l’impostazione odierna dell’intervento didattico con studenti disabili. Infatti oggi sappiamo che in presenza
di una disabilità certificata interviene un equipe multidisciplinare-(medici, insegnanti, genitori, asl,
locopedisti, psicologi ecc)

È un elemento che de sactis che già nel 1915 mette in evidenza rivelandosi un anticipatore di questi temi.
Proprio per consentire lo sviluppo di questo tipo di conoscenze da parte dei maestri egli fa una distinzione
tra le varie forme di disabilità intellettiva. Fa una differenza tra quelli cerebroatici, biopatici e
biocerebropatici. È importante che lui pone l’attenzione su questo tipo di conoscenza, inquadramento
diagnostico , sapere che l’insegnante deve conoscer per andare a individuare e distinguere in maniera
corretta le varie disabilità intellettive.

Fonda i primi asili scuola a Roma che si configurano come contesti che hanno la finalità formativa ed
educativa, per cui all’interno dell’opera egli fornisce anche una serie di indicazioni rispetto a quelli che
devono essere gli ambienti, gli allestimenti e le forme di accoglienza previste all’interno di questi asili-
scuola. La decorazione della scuola deve essere uno stimolo. ->valore artistico e morale che ha l’ambiente
educativo

“La decorazione degli ambienti scolastici potrà offrire motivi educativi del senso artistico e del senso
morale. Se la scuola dei normali deve essere gaia, luminosa abbellita da sobrie ma squisite note di bellezza,
quanto più dovrebbe esserlo la scuola che accoglie questi infelici provenienti da classi sociali dove la
nettezza e la bellezza sono cose ignorate e viventi in una miseria spirituale orrenda! Tutto nella scuola ,
dalle grandi alle piccole cose, dovrebbe gettare fasci di luce sulle anime oscure degli alunni.

Parte dal presupposto che proprio perché molti di questi bambini provengono da contesti deprivati devono
trovare a scuola UN contesto sereno, pulito, dinamico che possa appunto avviare questo percorso
educativo e riabilitativo anche dal punto di vista della predisposizione degli ambienti. Qualsiasi elemento
dell’ambiente deve poter essere un elemento che mette a proprio agio il bambino e che incentiva il
desiderio di apprendimento e sviluppo del bambino. All’interno del libro l’educazione dei deficienti
troviamo anche indicazioni, l’educazione pedagogiche legate alla definizione di alcuni documenti specifici,
ovvero la carta biografia e reattivi mentali. La carta biografia è un documento redatto in maniera congiunta
dall’insegnante e dal medico scolastico, perché questi asili-scuola prevedevano la presenza di un medico
scolastico trattandosi di contesti che accoglievano bambini con diverse patologie la figura del medico era
necessaria e si intrecciava a quello dell’insegnante. La carta biografica era utile alla stesura di un profilo
personale degli allievi (è una sorte di antesignano dei documenti utilizzati attualmente - cioè il profilo di
funzionamento che raccoglie informazioni dal punto di vista medico e di quelle che sono le potenzialità e
capacità dello studente. ) questa biografia si costituiva attraverso una serie di reattivi montai-mentali, cioè
una serie di domande chiare e dirette al bambino che costituivano una sorta di percorso, di guida per
insegnante e il medico per valutare proprio i livelli di disabilità intellettiva. C’era la carta biografica che
raccoglieva le informazioni dal punto di vista della diagnosi ma anche dei punti di forza e debolezza del
bambino, e poi i reattivi mentali aiutavano l’insegnante e il medico a capire quale poteva essere il livello di
sviluppo intellettivo e d questo cercare di capire da dove andare a lavorar per promuovere lo sviluppo del
bambino. Si tratta di strumenti che consentono di individuare l’unicità e la diversità di ciascun allievo , e a
seconda delle attitudini e delle capacità, indirizzarlo nella scuola comune , nelle classi differenziali o
nell’asilo-scuola. Quindi diventavano una sorta di guida, documento di orientamento anche per il percorso
da far intraprendere al singolo bambino.

Per quanto concerne gli asili-scuola, de sanctis fornisce una serie di indicazioni per quella che è la
formazione e le competenze didattiche dei maestri per poter intervenire in presenza dei soggetti con
disabilità intellettiva. –

In questa riflessione troviamo le caratteristiche e le competenze dell’insegnante di sostegno.

De Sanctis sostiene che il maestro deve essere colto in psicologia anormale e pedagogia emendativa ( cioè
la pedagogia speciale) , aver vissuto esperienze in istituti o scuole per anormali (sorta di esperienza
pregressa con la disabilità), deve possedere l’ingegnosità o la genialità di modificare il sussidio didattico o
addirittura crearlo, cioè deve avere competenze di progettazione didattica, individuare strategie e
strumenti da utilizzare e modificarli in base a quelle che sono le specifiche caratteristiche e capacità dello
studente e deve avere una forte capacità anche di adattamento, deve essere flessibile rispetto alle
situazioni e condizioni specifiche.d eve possedere energia comunicativa per i deboli di mente e freddezza
per gli anormali affettivi, cioè visto che lui parte al fatto che il maestro deve avere una conoscenza dei vari
tipi di disabilità, sostiene anche che l’approccio relazionale e comunicativo con i soggetti con varie disabilità
deve essere diverso.

I maestri devono conoscere bene l’alunno da solo e operante nella collettività scolastica( oggi si valuta
come il bambino lavora da solo ma anche in gruppo), scendere a livello di ciascuno ( cioè cercare di creare
quella relazione educativa che pur nel rispetto die ruoli specifici di insegnante e alunno, ma sappia mettersi
in relazione dell’altro e a livello dell’altro). e tenere uniformità di contegno verso l’alunno instabile( ci sono
forme di disabilità che prevedono anche la presenza di comportamenti problematici, aggressivi e quindi è
importante che l’insegnante abbia una personalità forte per contenere tali manifestazioni) –

All’interno dell’opera l’educazione dei deficienti e degli asili-scuola, da come abbiamo visto dalle
caratteristiche analizzate emerge un primo profilo di quello che è oggi l’insegnante di sostegno che deve
avere competenze non solo di natura pedagogica e didattica , ma anche di ambito psicologico, legislativo,
normativo, studio delle discipline psicologiche deve avere una formazione ad ampio aspetto e delle
conoscenze di neuropsichiatria (studio della neuropsichiatria infantile): ritroviamo anche in quello che è il
profilo attuale dell’insegnante di sostegno molte delle riflessioni e considerazioni che de sanctis introdusse
nei primi del 1900.

Pone l’attenzione sull’educazione intellettuale e morale dei cosiddetti deficienti , un educazione finalizzata
non solo allo sviluppo intellettivo per istruire, ma anche di tipo morale, attenta anche agli aspetti etici
dell’educazione e dell’istruzione. Negli asili-scuola abbiamo l’implementazione di percorsi complessi e
completi di apprendimento, perché si insegnano una serie di discipline come l’educazione fisica e
lavorativa, ortofonia e canto, lettura, scrittura e calcolo, e educazione sensoriale. Quindi si cerca di favorire
uno sviluppo che sia olistico integrato del bambino con disabilitò andando a lavorare su differenti discipline.

De sanctis definisce questo tipo di approccio pedagogico come pedagogia emendativa (oggi la pedagogia si
è evoluta e si è modificata in relazione ai cambiamenti storico culturali e oggi a partire dagli anni 60 si è
affermata la pedagogia speciale. La pedagogia emendativa era intesa da de sanctis come quella pedagogia
che è legata alle specificità del deficit, cioè emendativa nel senso che l’educazione del bambino con
disabilità ha le stesse finalità dell’educazione del bambino senza deficit, quindi si cerca di farlo arrivare a un
determinato livello di autonomia, di competenza ecc, ma l’istruzione del bambino con disabilità presenta
delle specificità, aspetti peculiari che vanno ad emendare la pedagogia generale con indicazioni speciali
legate al deficit e per questo emendativa- perché emenda la pedagogia generale con una serie di indicazioni
e orientamenti che sono legati proprio alle varie tipologie di deficit e quindi alla specifica condizione di
sviluppo che si genera.
-de sanctis- CAP 4

15° lezione: 29/04/22

Autismo:cause, approcci, ipotesi

è un modo di funzionare diverso= autismo, rispetto a quello solito.

Prospettiva della neurodiversità- autistche- persone non che hanno una disabilità, ma persone che
presentano un funzionamento diverso (prospettiva attuale)

Solo nella 2° metà del novecento è stato inquadrato dal punto di vista diagnostico tale disturbo, ma ci sono
dei cenni storici molto in là del tempo che sono stati recuperati

Si pensa infatti che ci sia un riferimento specifico all’autismo in alcune favole di antica tradizione che
narrano di bambini considerati stregati o che presentavano anomalie, caratteristiche particolari, e si
pensava che fossero stati sostituiti nella culla o che avessero subito una sorta di stregonerie e da ciò
avessero assunto un comportamento anomalo. Il 1° caso documentato di autismo/ la 1° descrizione che
possiamo rintracciare nelle fonti storiche è un caso riportato negli atti di un processo del 1747 che descrive
la storia di un giovane ragazzo scozzese che presenta quelli che oggi sappiamo essere dei tratti autistici-
cioè l’aderenza delle routine particolari, comportamenti stereotipati,. tendenza all’isolamento, quindi una
serie di comportamenti che fanno pensare a una persona con autismo

Il termine autismo fu utilizzato per la 1° volta dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuer nel 1911 per indicare
non quello che oggi intendiamo con il termine aurtismo ma per individuare una particolare forma di
schizofrenia, per cui la tendenza delle persone autistiche a isolarsi e a vivere in un proprio mondo fece
pensare he si trattasse di una forma d schizofrenia. Mentre nel1943 fu lo psichiatra viennese Leo Kanner
che per la 1° volta descrisse la sindrome autistica in maniera dettagliata andandola a distinguere da
quell’insieme generico di patologie che erano legate alla disabilità intellettiva, o al ritardo mentale o alla
schizofrenia. Per cui andando a individuare queste specifiche caratteristiche individuò l’autismo dal punto
di vista diagnostico distinguendolo dalle altre patologie e dalle altre forme di disabilità e schizofrenia.

Andò ad inquadrare tale condizione facendo riferimento soprattutto a 3 elementi particolari:- isolamento
autistico, il desiderio di ripetitività, e gli isolotti di capacità

Per Kanner Isolamento affettivo fa riferimento all’incapacità dei bambini con cui aveva lavorato di
rapportarsi nel modo usuale, accettabile alla gente e alle situazioni sin dai primi momenti di vita, mentre
dall’altro lato se avevano difficoltà a interagire con le persone, mostravano una buona capacità di
relazionarsi con gli oggetti inanimati. Tale elemento nel corso del tempo ha costituito uno degli elementi
principali del disturbo dello spettro autistico. Il desiderio di ripetitività si riferisce alla tendenza di questi
bambini a ripetere in maniera monotona e ossessiva delle particolari espressioni verbali, oppure dei
movimenti o dei suoni, quindi a riprodurle con una certa cadenza e una certa ossessitività- poi andò a
evidenziare questa tendenza, inclinazione alla ripetitività, alla rutinarietà.

Infine analizzò quelli che definì isolotti di capacità- cioè a fronte di queste difficoltà che riscontravano in
queste aree, alcuni bambini mostravano delle capacità sorprendenti in altre aree. Ad esempio alcuni
avevano un vocabolario particolarmente ricco e sofisticato, altre presentavano un eccellente memoria per
delle date, il calcolo, eventi passati e questi elementi erano indizio di uno sviluppo intellettivo nella norma
ma a volte anche al di sopra della norma.
Agli studi di Kanner, si affiancarono nello stesso periodo gli studi di Hans Asperger , che diede nome anche
alla sindrome di Aperger poiché ne definì alcuni tratti essenziali. Anche Asperger inizia a riportare dalle
osservazioni dei comportamenti dei suoi pazienti alcuni elementi che si ripetono e che caratterizzano il
comportamento di questi bambini. Ad esempio rispetto all’osservazione dei fenomeni comportamentali ed
espressivi di questo soggetto di cui viene riportata la condotta, bambino di 6 anni, asperger sottolinea che
manca il contatto visivo nella comunicazione, interazione dell’altro, il linguaggio è poco musicale, sembra
innaturale quasi meccanico, presenza di movimenti stereotipati, un interesse nel caso specifico nei calcoli,
quindi questa spiccata intelligenza nell’ambito del calcolo, e una sfera emotiva difficile da comprendere.

Oggi sappiamo che questi aspetti sono tutti elementi che caratterizzano la sindrome dello spettro autistico.
Asperger ha dato nome a quello che è un tipo di funzionamento che abbiamo nell’autismo, che si distingue
per una modalità a basso funzionamento e una ad alto funzionamento.

Quello a basso prevede la presenza di un deficit, ritardo a livello cognitivo che rende piu complessa la
sindrome autistica. Mente in quella ad alto funzionamento ci si presenta la driade sintomatologica quindi in
termini di deficit nell’interazione sociale e interessi ristretto, e comportamenti stereotipati ma c’è un
funzionamento cognitivo nella norma o superiore alla norma. Cioè ci sono delle capacità che si sviluppano
in maniera straordinaria e che quindi determina la condizione di autismo ad alto funzionamento.

Il lavoro di asperger è importante perché offre una serie di spunti per inquadrare in maniera specifica
questa condizione, e inoltre nel suo lavoro offre delle indicazioni importanti pedagogiche per l’educatore.
Cioè nonostante abbia una formazione di tipo medico, comprende quanto sia importante l’approccio
pedagogico a questa sindrome e definisce una serie di orientamenti e indicazioni per gli insegnanti ed
educatori. Sottolinea quanto sia importante che l’educatore assuma un determinato atteggiamento che
abbia un comportamento controllato, che sia in grado di mantenere la calma perché naturalmente alle
varie manifestazioni della sindrome si accompagnano anche in alcuni casi dei comportamenti
particolarmente bizzarri o aggressivi per cui l’approccio dell’educatore deve essere pacato, controllato, i
grado di gestire questo tipo d comportamenti. Anche il distacco rispetto a quelle che possono essere le
difficoltà manifestate dal bambino e una sorta di capacità di gestione che è essenziale in presenza di
soggetti con questo particolare disturbo. Dal momento in cui viene inquadrata questa particolare sindrome,
proprio per l’ampiezza delle manifestazioni e per questa natura che non riesce ad esser ben compresa dagli
studiosi, dagli anni 60 70 iniziano a emergere una serie di ipotesi eziologiche cioè legate a ciò che
causerebbe la condizione autistica. Quindi nel corso del tempo si susseguono una serie di teorie che
cercano di spiegare l’autismo da punti di vista differenti e prospettive disciplinari differenti.

Le prime sono le teorie psicodinamiche che intendono indagare la sindrome autistica a partire da quella che
secondo i suoi teorici è l’alterazione del rapporto madre-figlio, cioè gli studiosi afferenti a questo filone di
pensiero sostengono che l’autismo sia riconducibile a una alterazione nella relazione madre figlio e ogni
studioso ne darà una prospettiva diversa. In particolare Sono 3 i teorici che hanno dato un contributo in
questo senso: margaret Mahler, bruno Bettelheim e Frances Tustin.

Margaret Mahler sostiene che la condizione autistica sia la conseguenza di un mancato sviluppo del
processo evolutivo del bambino. Lei parte dal presupposto che lo sviluppo del bambino soprattutto nei
primi anni di vita è legato a una serie di tappe. I primi mesi in particolare vengono definiti fase autistica,
cioè fase in cui il bambino non ha un reale rapporto né con la madre né con le principali figure di
riferimento perché il suo obiettivo è quello di soddisfare i suoi bisogni primari, per cui è come se non
comprendesse realmente quella che è la relazione con la madre o con le figure di attaccamento principale.
È una condizione dei primi mesi di vita che poi il bambino dovrebbe superare per approdare alle fasi
successive. Malher partendo da questa condizione presuppone che la sindrome autistica preveda nel
bambino che la presenta l’impossibilità di uscire da quella fase di sviluppo , cioè secondo lei il bambino con
autismo non riesce ad uscire da quella fase autistica non riesce a progredire nel suo percorso si sviluppo per
cui on riesce a comprendere i legami e la relazione con la madre. Non riesce a comprendere quelle che
sono le cure materne perché è come se rimanesse in questa tappa dello sviluppo e non riuscisse ad andare
oltre.

Un ulteriore ipotesi che avanza Bruno bettelheim è legata alle cosiddette madri frigorifero, cioè alla
convinzione che il bambino maturi questa condizione autistica in relazione a quello che è un atteggiamento
particolare freddo e distaccato da parte della madre per cui questa sorta di freddezza emotiva genererebbe
nel bambino questa chiusura in un proprio mondo e genererebbe la condizione autistica. Partendo da
questo presupposto, l’autismo si configurerebbe come una forma di difesa rispetto a un contesto
relazionale che viene percepito come ostile. In considerazione di ciò lo studioso presuppone che alla base
dell’autismo ci possa essere questo meccanismo di difesa da parte del bambino nei confronti della madre
frigorifero, fredda distaccata con cui non riesce a instaurare una relazione, rapporto che possa essere
adeguato. Queste ipotesi e soprattutto quella della madre frigorifero che per un certo periodo è stata
l’ipotesi maggiormente accreditata e ha avuto una grande ricaduta dal punto di vista delle madri e delle
famiglie che vivevano questa esperienza, ma anche rispetto agli interventi messi in campo. In virtù di
queste teorie ai bambini a cui veniva diagnosticata una forma di autismo venivano allontanati dalle madri,
dalle famiglie e portati in centri di riabilitazione e educazione perché si partiva dal presupposto che il
rapporto con la madre potesse soltanto contribuire a un peggioramento, per cui ha rappresentato un
momento storico particolarmente anche triste da questo punto di vista. Le ipotesi di natura psicodinamica
sono state ampiamente superate grazie agli studi.

L’ultima studiosa che si rifà alla corrente psicodinamica è francis tutin che avanza l’ipotesi che il bambino
con autismo viva una sorta di depressione post partum come la madre. Ella suppone che così come le madri
vivono questa condizione depressiva legata a un trauma di un cambiamento così radicale anche il bambino
può vivere tale depressione legata anche al distacco fisico dal grembo bambino, per cui i bambini ch non
riescono a superare questa sorta di trauma, si creerebbe questa particolare condizione. Lei offre un
ulteriore lettura in chiave psicodinamica. Sono 3 teorie che partono dal presupposto che l’autismo sia
legato dal punto di vista psicologico dal rapporto madre figlio ma sono state ampiamente superate a partire
dagli anni 70, perché alle teorie psicodinamiche man mano si affiancano gli approcci organicisti. In
particolare nel 1964 il neurologo statunitense bernard Rimland ribalta completamente la teoria della madre
frigorifero, confermando che .l’autismo non sia riconducibile a un Meccanismo psicologico di difesa, ma
alla base del disturbo c’è un problema di natura biochimica che si realizza durante la formazione reticolare
del tronco cerebrale. Questo problema biochimico comporterebbe poi il disturbo autistico. Avanza l’ipotesi
che l’autismo non sia un problema di natura psicologica ma che riguarda i meccanismi che sono alla base
della formazione e dello sviluppo fisico, quindi che ci sia un natura biologica alla base.

Nel frattempo negli anni 80, un’altra teoria che prende piede è quella legata alla teoria della mente. Questi
studiosi -i principali sono: alan leslie, simon barin cohen e uta frith , ipotizzano che all’origine dell’autismo
ci sia un’assenza della teoria della mente. La teoria della mente è la capacità che dovrebbe appartenere a
tutti gli esseri umani di decodificare quelli che sono gli stati d’animo, sentimenti, emozioni dell’altro quindi
quel meccanismo alla base dell’interazione con l’altro. Questa condizione intersoggettiva ci consente anche
di relazionarci in modo adeguato all’altro, mentre secondo tali studiosi alla base dell’autismo c’è un deficit
della teoria della mente. Le persone con autismo non sarebbero in grado di decodificare gli stati mentali
degli altri, sarebbero incapaci di attribuire agli altri degli stati mentali. Ciò comporta una serie di difficoltà-
innanzitutto il comprendere, codificare sentimenti, stati d’animo, intenzioni e motivazioni degli altri (se
immagino cio che l’altro sta pensando, riesco ad anticiparne l’azione) quella decodifica dello stato d’animo
del sentimento dell’altro mi consente di capirne e anticipare le intenzioni e i comportamenti.-.il deficit della
teoria della mente implica questa difficoltà, ma anche una difficoltà dell’associazione delle risposte a delle
domande specifiche perchè se non comprendo quale sia la motivazione alla base di una domanda non sono
nemmeno portato a rispondere e comprenderla. Comporta una Difficoltà nell’intuire ciò che gli altri sanno
o pensano, difficoltà nel comprendere quelli che sono i messaggi impliciti da parte dell’altra persona e che
fanno parte anche della sfera non verbale della comunicazione, una difficoltà nella capacità di anticipare il
pensiero e il comportamento degli altri, e difficoltà nell’interpretazione delle informazioni e nella
generalizzazione e simbolizzazione..

Ognuno da un senso al comportamento mediante un ossatura intenzionale, cercando di inferire le


intenzioni dell’altra persona. Invece le persone autistiche non si pongono il problema di capire le intenzioni
degli altri. Senza un ossatura mentalistica una persona cieca mentalmente si affida a descrizioni fondate
sulla regolarità temporale. Le persone con autismo secondo tale teoria non avrebbero questa ossatura
mentalistica, cioè questa capacità di codificare le intenzioni e le motivazioni sottese al comportamento
degli altri, per cui fa riferimento a quelli che sono degli elementi propri della personalità del soggetto
autistico, come l’aderenza alle routine cioè il fatto che i soggetti autistici hanno bisogno di ripetere delle
azioni quotidianamente e a orari stabiliti e questo tipo di comportamento porta la persone con autismo non
a inferire le intenzioni e motivazioni dell’altro, ma a pensare che l’altro abbia la stessa necessità di aderire
alla routine.

-Ipotesi eziologiche di tipo neurobiologico-

Con l’avanzare del tempo progrediscono anche gli studi e le ricerche sull’autismo e quindi anche le
neuroscienza offrono un contributo importante grazie anche alla scoperta dei neuroni specchio, mirror che
sono quei neuroni che si attivano quando compiamo un azione e quando vediamo compiere l’azione ad un
altro. Uno degli esempi è che se vediamo una persona sbadigliare, lo facciamo anche noi, perché siamo
portati a simulare mentalmente e anche fisicamente quell’azione. La scoperta di questi neuroni specchio ha
portato molti studiosi a ipotizzare che alla base dell’autismo ci sia una disfunzione di questi neuroni. Perché
in effetti i neuroni specchio sono anche alla base dei meccanismi di empatia, cioè la capacità di decodificare
gli stati d’animo dell’altro facendoli propri, quindi c’è questa sorta di cambio di prospettiva, di abbandono
del mio punto di vista per assumere quello dell’altro. Quindi alla base secondo questa ipotesi di alcuni
elementi dell’autismo potrebbe esserci un deficit relativo ai neuroni specchio.

Si tratta sempre di ipotesi perché oggi non c’è una certezza assoluta su quello che causa l’autismo,
sicuramente avviene qualcosa dal punto di vista neurobiologico ma non sappiamo quale sia la causa.

Nel corso del tempo ci sono state anche ulteriori ipotesi a partire dagli anni 70 a oggi, ci sono stati studi
minori, che hanno avuto una minore risonanza dal punto di vista scientifico e sociale. Ad esempio abbiamo
l’ipotesi dello psicologo americano Cal delacato negli anni 70 che supponeva che i fatti autistici fossero
legati a dei danni celebrali che comportavano nel bambino con autismo la presenza di gravi problemi
sensoriali. Molte persone autistiche presentano una ipo o iperfunzionamento a livello sensoriale, cioè una
capacità intercettava a livello sensoriale che può essere o molto forte o molto debole. È il motivo per cui
secondo alcuni studiosi ci sono dei soggetti con autismo che rifuggono gli stimoli visivi, anche ad esempio il
contatto oculare saerebbe legato al fatto che la persona con autismo ha un iper funzionamento a livello di
percezioni visive ed è come se percepisse quello che vede a poca distanza in maniera amplificata e questo
gli desse fastidio e lo porterebbe a distogliere lo sguardo

Questa idea si collega all’iperfunzionamento percettivo. Ad esempio anche il fatto che alcune persone con
autismo tendono a rifuggire alcuni suoni molto forti e a coprirsi costantemente le orecchie, come se anche
il solo parlare fosse amplificato (in realtà non c’è un evidenza scientifica che mostra questo tipo di dato, ma
l’autismo quasi sempre si accompagna ad anomalie sensoriali diverse, e la difficoltà di tale disturbo è che
non c’è mai una forma di autismo identica a un'altra e si parla di disturbo dello spettro autistico, perché la
parola spettro indica una gamma di manifestazioni che è molto ampia, eterogenea, per cui è anche difficile
comprendere l’autismo.
Ognuno cerca di spiegare un determinato aspetto dell’autismo., ogni prospettiva indaga una particolare
condizione dell’autismo. (La teoria della mente cerca d spiegare il deficit nell’area sociale, quella percettiva
cerca di spiegare le anomalie sensoriali ecc)

Oggi sappiamo che a partire dai dati provenienti dall’immagine della struttura e attività del sistema
cerebrale sappiamo che l’autismo può essere dovuto a base genetica o a una mutazione somatica causata
da tossine, infezioni o altri fattori ambientali.

Per quanto riguarda l’inquadramento dal punto di vista diagnostico c’è stata un’evoluzione nella diagnosi
dell’autismo. C’è stato il passaggio del DSM IV del 1994 in cui il disturbo veniva percepito come disturbo
pervasivo dello sviluppo a una nuova definizione che ritroviamo nel DSM 5 del 2013 in cui c’è questo
cambio di denominazione, per cui oggi si parla di disturbi dello spettro autistico che comprendono il
disturbo autistico, il disturbo di Asperger, il disturbo disintegrativo dell’infanzia, e il disturbo pervasivo dello
sviluppo non altrimenti specificato, cioè tutte quelle forme che non rientrano in una delle condizioni
precedenti ma che hanno dei tratti autistici.

Questo passaggio è importante perché oggi abbiamo una diagnosi che viene effettuata sulla base di una
diade e non piu triade sintomatologica. Nel DSM IV avevamo una triade sintomatologica che annoverava il
deficit nell’interazione sociale, nella comunicazione e il deficit dell’immaginazione con interessi ristretti e
stereotipati . Poiché l’interazione sociale e la comunicazione sono aspetti molto legati che è impossibile
separarli sono stati accorpati in un unico criterio per cui oggi abbiamo una diade sintomatologica in
riferimento al deficit socio-comunicativo (componente sociale) e interessi ristretti e comportamenti
ripetitivi. Quindi abbiamo una componente sociale e non sociale del disturbo e ciò che cambia è anche
l’approccio del manuale diagnostico.

16° lezione: 05/05/22

Classificazione nosografica dell’autismo

Nel 2013 abbiamo il passaggio di denominazione dai disturbi pervasivi dello sviluppo ai disturbi dello
spettreo autistico che trovisamo nel DSM 5, e comprende varie forme di autismo.

Questo passaggio è stato importante non solo in rifeiremnto alla denominazine di questa sindrome perché
il cocnetto di spettro rimanda alla profonda eterogeinità delle forme e tipologie di autismo che sono diverse
e alla diade sintomatologica che caratterizza il disturbo.

Nel dsm 5 che adotta un approccio dimensionale che si sostituisce a quello categoriale, abbiamo una diade
sintomatologica- ossia il deficit socio comunicativo- ossia il deficit nella componente sociale e la seconda
che riguarda nteressi ristretti e comportamenti ripetitivi. 2.3

La complessità di questa sindrome è dovuta al fatto eziologico che ci sono varie ipotesi che cercano dis
piegare le varie manifestazioni che caratterizzano l’autismo, e a ciò si aggiunge anche il fatto che il profiloo
di funzioanmento dlele persone xon autismo è molto diversificarto 3.5 la varietà di manifestazioni è
enorme. È possibile distinguere tra un autismo ad alto e basso funzioanmento e la differenza sta
nell’elemento legato agl aspetti cognitivi. Basso funzioanmento si associa anche un deficit a livello
intelelttivo 4.32

Tipico o sopra la norma-

A questa diade possono associarsi altre manifestazioni tipche, per cui volendo individuare le principali
manifestazooni abbiamo un deficit a livello comunicativo, sociale, di immaginazioe e altre manifestazioni
legate alla presenza di disturbi depressivi o ansia 5 ci puo esser euna iposensorialoità o un funzionamento
ipo o iper, ossia una capacità di elaborazioen sensoriale molto bassa o molto alta che ha degli effetti sulla
percezioen a lievvlo visivo uditivo ecc, ma anche a livllo comportamentale. Altre manifestazioni sono legare
aòla presenza di deficit 6.3 attenzione congiunta ossia la capacità che caratterizza l’esser umano di dirigere
l’attenzione verso un oggetto, perosna situazione, congiuntamente a un'altra persona. È il meccanismo alla
base dell’iper soggetttività.

Deifcit comunicativo- abbiamo problemi a piu liveòli, ossia sia nella produzione linguistica che nella
comprensione linguistica.

Per quando riguarda i problemi legati alla comprensione liguistic,a possiamo avere difficoltà per wuanto
riguarda la pragmatica linguistic,a ossia 7 la capacità di comprndere quale è il linguaggio piu adatto a livello
di stile, approccio e quindi individuare il comportamneto linguistico piu adeguato all’interno di un
determinato contesto. (Comportamenti che risultano decontestualizzati a chi li vede da fuori)

Possiamo avere delle anomalie del linguaggio che si presnetan o nell’inversioen prnominale, nell ecolalia
(ossia fenomeno molto diffuso nelle persone con autismo e si riflette nella ripetizione letterale di frasi,
parole periodi sentiti da altri e che vengono ripetuti anche appare ntemente senza motivo all’ijterno di una
situazione). Ci può essere una articolazione atipica del linguaggio, 9.5 o che non varia per dare intonazione
e significato a delle frasi particolari. ( linguaggio poco musicale, quasi meccanico legato a una mancata
variazione del registro, regolazione dell’intonazione ecc per veicolar eun detrminato significato)

Un altro elemnto può essere il mancato uso della gestualità, ossia le perosne autistiche tendono a parlare
usando lo stesso tono di voce e senza utilizzare la mimica faciae o getsi che possono supportare quella
comunicazione.

Ci sono problemi anche della comprensione linguistica. Si la ha mancata comprensione non solo di alcune
parole o frasi, ma anche dell’intenzione comunicativa che veicola quel particolare messaggio. Ci può essere
un interpretazione letterale del linguaggio (quindi frasi sarcastiche e ironiche non vengono intese così da
persone con autismo ).- anche il linguaggio metaforico può essere un elemento di incomprensione
linguistica perché può portare la persona con autismo a non comprendere essenzialemnte ciò che stiamo
dicendo. Infine si ha una mancata comprensione della gestualità, tutto quello che riguarda la corporeità
della comunicazione che rimanda a una determinata 14 c’è un deficit a livello di codifica degli stati di
animo, intenzioni.. per cui quel deficit e impossibile di decodificare uno stato emotico, sentimento, porta la
perosna ad avere difficoltà a comprendere la getsualitò che accompagna un comportamento e 14.5

Deficit sociale- che si traduce in quella che è la mancanza di reciprocità sociale, cioè quella dimensione per
la quale all’interno della dimensione intersoggettiva una o puu persoen riescono a codnividere dei
significati e a interagire sulla abse di una componente comunicativa implicicta che è fatta di sguardi,
attenzioen condivisa e elemnti che sono alal abse dle rapproto interssoggetivo. Questo rtipo di mancanza
della reciprocità sociale si gtarduce in una difficoltà dnel riconosicemnto delle interaziuoni sociale, difficoltà
nell’interpretazione di tali interazioni, risposte inadeguate (s enon si comprende il comportamernto
dlel’altro si danno rispsote inadeguate) e infine mancata motivazione a rispondere. 17

(-ciò che non capiamo a un certo punto non ci interessa piu poiché ci demotiva.)
Queste difficoltà sono collegate all’incapacitò della perosna con autismo di decodificare la diensione
intersoggettiva, tutto cio che è alla base dlel’interazione con gli altri. Rispewtto al deficit sociale possiamo
avere delle anomalie nell’orientamento e nell’attenzione verso gli altri (le perosne con autismo smebrano
non interessate ad agire con gli altri, sembrano chiuse in un loro mondo èarticolare e quetso èerchè non c’è
questo stimolo alla slocializzazione).

Questo tipo di anomalia si riflette anche in un comportamento visivo anomalo, cioè le persone con autismo
non mantengono lo sguardo 9 anche se ci ascoltano e stanno registrando ciò che diciamo, sembrano
concentrati in un'altra attività ma in realtà registrano tuto cil che stiamo dicendo. Però c’è un anomalia
perchè non c’è il costante sguardo, scambio di sguardi ecc.

Poi c’è una mancanza di comportamenti pro-sociali. Cioè comportamenti che favoriscono 20 capacità di
leggere il comportamento degli altri. Quindi difficoltà nel porre attenzione a ciò che stanno dicendo gli altri
o facendo gli altri, e una difficoltà nel capire cosa fanno gli altri.

Deficit di immaginazione che consiste in due elementi: rigidità che si traduce poi in una resistenza al
cambiamento, in un ancoraggio alle routine, e nell’elemento della ripetitività, ossia nel concentrare
l’attenzione verso un numero ristretti di interessi, persone, situazioni (c’è un attenzione molto ristretta
verso alcuni aspetti della vita della persona con autismo che possono variare)

Il deficit dell’immaginazione come si manifesta?. Resistenza al cambiamento si manifesta nell’assunzione di


abitudini rigide, routine ben precise, linguaggio spontaneo e monotematico (23 ) e dal punto di vista anche
motorio, dà vita alla presenza di comportamenti motori stereotipati (ad esempio, tic- muovere la mano o in
piedi in un certo modo, andare avanti e dietro., ma c’è anche equi una estrema variabilità.)

Altre manifestazioni che si possono presentare sono ansia e la regolazione emotiva, quindi la capacitò di
gestire in maniera competente le proprie emozioni.

Difficoltà nel riconoscere le emozioni degli altri, e difficoltò ad adattare il proprio comportamento alle
circostanze. Questo è l’elemento che avevano evidenziato anche tanner e sperger, per cui i bambini con
autismo sembravano avere un maggior feeling, con oggetti rispetto alle persone 25

La persona con autismo sa che l’altro ha una certa aspettativa , un comportamento e una risposta specifica
che però non si riesce a generare e a comprendere .. e la necessitò, tendenza a relazionarsi con gli oggetti
piuttosto con le persone è dovuta al fatto che gli oggetti non hanno questo tipo di aspettativa emotiva.

Anomalie sensoriali legate al deficit a livello di pers n26 a difendersi alle sensazioni sensoriali nel caos di un
iperfunzioanmento sensoriale, o nel ricercare determinate sensazioni sensoriali laddove abbiamo un ipo
funzionamento sensoriale per cui abbiamo bambini che ricercano costantemente delle sensazioni gustative
26.5 poi bambini che tendono a coprirsi le orecchie e a fuggire da suoni e rumori particolarmente forti per
l’iper funzionamento sensoriale che amplifica la percezione e porta la persona a difendersi sa questa
sensazione sensoriale.

Altre manifestazioni sono legate al deficit delle funzioni esecutive 27.5 difficoltà nell’organizzare il
comportamento. Nel modificare il proprio comportamento all’interno di una situazione o circostanze che si
modificano (c’è un ancoraggio alle routine) difficoltà nel gestire il cambiamento, anche minimo e una
difficoltò in alcuni casi nell’inibizione di risposte prepotenti- si possono verificare dei comportamenti che
possono risultare 28 che consente di inibire l’espressione di quel comportamento.

Possiamo avere altre manifestazioni legate all’anomalie dell’attenzione. Si hanno tempi di attenzione molto
brevi, difficoltò nello spostate l’attenzione da uno stimolo all’altro e 29, preferenza verso i dettagli
(elemento da tenere in considerazione in ambito didattico educativo- stil cognitivi-riferimento allo stile
analitico che si contrappone a quello globale e predilige l’attenzione verso il dettaglio e consente ala
persona con autismo di interpretare e percepire una situazione a partire dai dettagli e non da una visione di
insieme e vuol dire che l’apprendimento deve avvenire in maniera analitica. Dal particolare e non dal
globale.

Abbiamo poi una carenza nell’uso sociale dell’attenzione , ossia nel momento in cui ci troviamo in un
contesto con altre persone mancano i giochi di sguardi o porre l’attenzioen verso un elemnto comune sul
quale poi si inizia una comunicazione ecc.

Tutte queste altre manifestazioni al di fuori della diade sintomatologica possono eserci, in parte o molto
sviluppate perché c’è una enorme varietà nelle manifestazioni dell’autismo me si parla di spettro.

Con l0avanzare degli studi neuroscientifici, ricerche sul funzionamento dl cervello ecc si è sviluppato un
filone di studi che indaga anche la sindrome come l’autismo 32 neurodiversità. Cioè si parte dal
presupposto che l’autismo, soprattutto quando si pre eta i n un certo odo non è da intendersi come una
patologia ma come un modo diverso di funzionare e ciò spiegherebbe come le persone con autismo ad alto
funzionamento riescono a inserirsi 33 ma quel disturbo non viene inteso cime una disabilità o
funzionamento atipico, ma come un modo diverso di funzionare.

Video-10 miti da sfatare sull’autismo

ORIENTAMENTI EDUCATIVI. Indicazioi e strategie che è possi bile osservare rispetto alla presenza di
bambini con sitrubo di prettro autistico-

Hanno bisogni educativi nella sfera sociale in priis.

I bisogni educativi in questo senso sono legati all’apprendere le regole che sono alla abse del’interazioen
sociale, del vivere con gli altri, che ci consetono di partecipare agli cambi sociali 2. 33 svilppare quella
capaitò di interpretare ol comprotamento degli altri nonostnte possa esserci un disturbo in quets’area,
sviluppare le capacità di intreprendere il comportamento sociale degli altri (rispettare i turni di paroke-
regola implicita del contesto sociale che viene in automatico, ma in presenza di ondizone di autismo tali
elementi devono essere attenzioanli) apprendere le abilitò relative alla…

Infine lo sviluppo di abilità do problme solving 3

Gli approcci e le metodologie piu utilizzate in ambito eductavo sono quelel di tipo osngitivo
comprotamentale, che mettono isnieme le teorie di stampo comprotamentista e cognitvista.
Dall’interazione di questi approcci si sonos viluòppate nel corso del tempo alcuni approcci finalizzati a fr
acquisire alla persone con spettro autistico delle competenze sociali che 4.5

Attenzione alla sfera sociale perché qando si parla di inclusione, lo sfundo teorico sii basa essenzialemnte su
alcuni concetti chiave, tra cui quello di aprtecipazione promuover el’nclusione vuol dir consentire la
aprtecipazione a tutti i contesti di vitta 5

Il processo di inclusione può esere ostacolto dalal rpsena di questa tipologia di disturbo. L’ttenione alla
coppnente sociale del deficit è necessaria del arginare delel forme di esclusione generate dalla presenza di
questo disturbo. Si soo sviluppate, delineate deficinte nel coros del tmpo molte metodologie.

I due metodi che sono molto semplici da utilizzare che prevedoo una competenza specifica nell’uso, ma
rispetto ad altri approcci e metodologie che hanno una dimensione un po' piu terapeutica , le storie sociali
e il video modeling soo delle tecniche spendibili nei vari contesti educativi e sono piu immediati e semplici
da utilizzare,
Video modeling-si fa riferiemnto a qiella tecnica che si pasa sul modeling, ossia allprendimento per
imitazione. È l’approccio basato sull’acquisizione di abilità e competenze basato 8 che si assume come
modello e che dece essere un modello competenete..

Per imitazione il soggetto osservado quel modello apprende e costruirsce quella competenza. Il modeling
prevede l’utilizo della tecnologia video, uindi il processo di imitazione avviene mediante 8.5oppure
illustrano quella che è la corretta. Esecuione di un azione o di un compito.

Attraverso la visione di un video/film (che deve esser breve) -visione reiterata( ossia ripetere questo tipo di
tecnica)

Registrayione di un breve video o filmato che utiliyyi un modello che deve essere significativo, che ha un
significato agli occhi della persona con autismo (10..

La visione individuale del filmato da parte del bambino con autismo e lßimitayione del comportamenti
osservati nel filmato. 10

Consente quella routine che ü alla base dell’autismo, quella tendenza a reiterare determinate azioni e
situazioni per cui la possibilitò di vedere anche all’infinito quel filmato e mette la persona con autismo in
una condizione di serenità perché può diventare una outine. L’uso della tecnologi video permette di 11
sono dei visual lerners, degli apprendenti visivi cioè processano in maniera efficace le .. in maniera visiva.
Per cui lo stiumolo visivo accompagnato a quello verbale dovebta sempre piu efficce.12 perché dal pnto di
vista verbale ci possono essere sempre delle 12 in maiera errata è sempre bene supportare lo stimolo
verbale d auno stimolo visivo. Lo’enfasi posta sul processamento del contenuto visio e la mancata
interazione diretta tra bambino o persona con autismo e l’interlocutore perché l’interazione è mediata dal
mezzo (pc, video, tv) e questo geenra meno ansia nella persona con autismo perché l’interazione avviene
con un oggetto e c’è maggiore serenità nella persona con autismo. Metodo utilizzato per fargli acqusiire
determinate abilitò e determnati comportamenti d aavere in contetsi sociali.

Altrometofo è quello delle storie socili che si utilizza molto nel periodo dell’infanzia e nella scuola primaria,
che prevede l’utilizzo di storie sociali, osia brevi racconti che 14 che mirano a descrivere una sitruazione
sociale e che aiutano a far compendere al bambino quali sono le motivazioni 15

Non le capisce quinds e comprende eprhcè bisogna comprotamris in un certo modo all’interno di un
contetso lo aiutamo a far capire non perché lo deve fare quindi un imposizione, ma attraverso le
motivazioni. Le storie sociali in mnaiera molto semplice e accattivanti dal punto i vista della presnetazione
della sotria, ci consentono di descrivere que 16 adeguate. La storia sociale mira a far acquisire alla persona
con autismo una routine che sia legata a un comportamento che viene realemente compreso dala perosna
e viene messo in atto grazi al fatto che vengono compresi i prncip alal abse di quel comportamneto.

L’efficacia dimostrata delle storie sociali è legata alla caratteristica della routinarietà, a quell’elemento che
molti bambini e ragazzi con autismo presentano, cioè quello dell’aderire in maniera molto forte 17
possibilità di attivare, metter ei atto quel comportamento .. può aiutare il bambino a stabilire una regola,
routine che poi andrà ad applicare nella situazione reale (acquisire una rputine che possa realizzare nella
quotidianità)

L’idea è quella di definire un obietti (insegnare ad aspettare al bambinp il proprio turno- a scuola, al parco
giochi) – alla narrazione verbale si accompagna sempre lo stimolo visivo.

Frasi direttive che indirizzano il bambino verso quel determinato9 comportamento.

Linguaggio molto semplice- 1° o 3° persona al tempo presente o futuro. Frasi brevi e semplici perché non ci
deve essere la possibilità di incomprensione da parte della persona con autismo quando è piccola e il senso
è quello di far assumere al bambino una routine in questo caso rispetto a rispettare il proprio turno
all’interno ad esempio del parco giochi.

17° lezione: 06/04/22

Pedagogia delle differenze

Cap 8-strategie e intervento per promuovere l’inclusione con l’aiuto di alcuni studiosi che hanno offerto
una prospettiva rispetto al tema del gruppo e come il gruppo può diventare l’elemento di mediazione che
consente alla persona in generale quell’inclusione piena in termini di partecipazione e valorizzazione delle
differenze individuali nei vari contesti di educazione. (Non solo a scuola ma in tuti gli spazio
dell’educazione)

approccio pedagogico della cooperazione cioè basata proprio sul gruppo , in quanto elemento che
contribuisce a favorire non soltanto lo sviluppo e la maturazione dei singoli individui che fanno parte del
gruppo ma che appunto nell'ottica dell'inclusione favorisce la partecipazione attiva di ciascun componente
e quindi contribuisce a promuovere i processi inclusivi. Per cui il gruppo si configura in effetti proprio come
quella sorta di sfondo accogliente e inclusivo, cioè il contesto in cui può realizzarsi il processo di inclusione
e in questo senso il gruppo funziona come una zona o uno spazio transnazionale, così lo definisce John
dewey uno dei più grandi pedagogisti, studiosi del 900 che appunto interpreta il gruppo come quel
contesto in cui è possibile per ciascun soggetto vivere, sperimentare anche quindi elaborare una situazione
di cambiamento ritrovando una sorta di nuovo equilibrio in quello che è il proprio percorso di vita. Quindi
transazionale perché costituisce proprio un momento di transizione, il contesto in cui si realizzano tutte le
transizioni personali dei singoli componenti del gruppo, transizioni intese proprio come momenti di
passaggio, di cambiamento da una situazione ad un'altra da un contesto ad un altro, da un approccio
all'altro. Partendo diciamo da questa considerazione il gruppo si configura anche come quella sorta di zona
di sviluppo prossimale che è un concetto che abbiamo incontrato quando abbiamo parlato di Vigoskij
proprio perché abbiamo visto che la zona di sviluppo prossimale riguarda proprio quell'area di sviluppo che
potenzialmente può incrementarsi attraverso il supporto però di qualcun altro, di una persona
maggiormente competenti oppure in questo caso di un contesto che mette nelle condizioni la persona
appunto di potersi sviluppare. Il gruppo in questo senso si configura zona di sviluppo prossimale proprio
perché offre quindi occasioni di mediazione che sono utili importanti per realizzare il processo di crescita e
di adattamento individuale . Nell’ambito delle le riflessione, le concettualizzazioni sul concetto e ruolo del
gruppo soprattutto nei processi educativi, occorre fare riferimento al contributo e all'esperienza di alcuni
studiosi che appunto hanno costruito sul concetto di gruppo proprio tutta la loro elaborazione teorica. Uno
dei primi e più importanti autori che mette il gruppo al centro della propria riflessione è celestene
Frene,pedagogista francese che nella prima metà del 900 , nel sud della Francia, dà vita ad un'esperienza
che poi prenderà il nome di movimento di cooperazione educativa che è basata proprio sul ruolo,
sull'importanza che riveste il gruppo all'interno dei processi educativi. Queste riflessioni sulla pedagogia,
sull’importanza della cooperazione quindi su un approccio che pone al centro le attività di tipo cooperativo,
questo tipo di approccio nasce proprio all'interno di quel filone pedagogico che si delinea a partire dai primi
anni del 900 e che prende il nome di movimento delle scuole nuove, cioè questi movimenti che prendendo
sicuramente le mosse da quella riflessione che viene elaborata all'interno del filone dell'attivismo
pedagogico, si discosta, cioè assume delle caratteristiche peculiari perché concentra l'attenzione proprio su
questa nuova l'idea scuola maggiormente aperta e maggiormente flessibile in cui appunto le attività
cooperative assumono un ruolo di primo piano e quindi dal punto di vista teorico siamo ci muoviamo
all'interno del movimento delle scuole nuove e nello specifico il movimento di cooperazione educativa che
viene introdotto da celesten Frene parte proprio dal presupposto che non soltanto gli spazi anche fisici
dell'educazione, anche proprio della scuola, devono essere in qualche modo riconfigurati, devono essere
pensati in un modo nuovo ma anche proprio le relazioni e le interazioni all'interno dell'aula, della classe
devono essere assolutamente riviste e riconcettuallizate. Si chiama scuola nuova questo movimento
proprio perchè propone un'idea del fare scuola diverso, che investe sia la progettazione degli spazi ma
anche la progettazione delle attività. Quindi all'interno di questa logica, l l'approccio collaborativo e quindi il
gruppo assume un ruolo importantissimo. Gli elementi alla base di questo tipo di movimento sono nel caso
specifico del movimento di cooperazione educativa, sono l'aiuto reciproco o mutuo aiuto, cioè l'aiuto tra
pari, la riorganizzazione dello spazio fisico( infatti lo spazio aula tradizionale viene totalmente riorganizzato,
viene abolita la cattedra proprio per dare al processo educativo questa sorta di circolarità per consentire
anche un approccio maggiormente orizzontale). Con l'attivismo e quindi anche con il movimento delle
scuole nuove subentra una nuova missione del processo educativo e quindi anche del processo di
insegnamento apprendimento che mette al centro del processo proprio il bambino, lo studente diventa un
approccio di tipo puerocentrico , per cui celestene fRENè parte dal presupposto che innanzitutto lo spazio
fisico dell'aula debba essere riorganizzato in modo che non ci sia più un approccio una relazione di tipo
verticale tra insegnante e studente, perché l’insegnante nella visione adultocentrica era in qualche modo
colui che deteneva questo sapere e doveva trasmetterlo agli studenti che poi lo ricevevano in maniera
passiva, e quindi si ribalta questa concezione. Egli parte dal presupposto che anche fisicamente si deve in
qualche modo dare spazio a una relazione di tipo orizzontale tra insegnanti e studenti e non di tipo
verticale quindi il primo elemento che viene eliminato è proprio la cattedra che consente questa circolarità
delle relazioni e poi un'altro diciamo elemento che sicuramente caratterizza proprio l'esperienza portata
avanti da celestene frenè nel sud della Francia è l’ istituzione del consiglio cooperativo, una sorta di
organismo che contribuisce alla gestione all'organizzazione delle attività didattico educative che si forma
attraverso il contributo individuale degli studenti e quindi viene democraticamente istituito dagli studenti e
che ha questa funzione di monitoraggio e di gestione e organizzazione delle attività educative per
consentire una reciprocità e una sorta di scambio continuo tra quelli che sono gli attori coinvolti all'interno
del processo educativo, quindi studenti e insegnanti. Sulla scia diciamo di questa importantissima
esperienza portata avanti da frenè, si colloca anche un'altro contributo che fa riferimento a quella che poi è
stata definita la pedagogia istituzionale. È un approccio che viene introdotto da fernando Rinè ?, che è un
allievo di di Frene e quindi che insomma recupera questa sua impostazione, quindi recupera i principi
pedagogici che sono alla base del movimento educativo di cooperazione. La pedagogia istituzionale è una
pedagogia che consente di interiorizzare quelle che sono le istituzioni, le istituzioni in questo caso vanno
intese come tutte quelle regole, quei principi, quelle responsabilità che appunto gli studenti devono
apprendere e riconoscere all'interno del processo educativo, che devono appunto fare propri e quindi
interiorizzare. Per fare questo naturalmente l'elemento che in qualche modo favorisce questo processo è
proprio il gruppo perché è inteso come quello spazio e quello strumento che consente all'interno del
sistema di relazioni che si viene a creare nel processo educativo serve proprio a far emergere tutta quella
dimensione implicita, quella dimensione del non detto che non viene appunto che non si esprime in
maniera palese, in maniera chiara ma che ha un peso specifico proprio della costruzione dei ruoli, perché il
sistema di relazioni si costruisce non soltanto rispetto all'elementi dichiarato a quello che appunto si dice
chiaramente , ma si costruisce all'interno di un gruppo). Nonsempre si capisce in maniera esplicita quali
sono i diversi ruoli che ognuno viene ad assumere all'interno del gruppo, molto spesso si tratta di
dinamiche implicite per cui ognuno a seconda di quelle che sono le sue caratteristiche, le sue inclinazioni
tende ad assumere un ruolo, una posizione all'interno di quel gruppo senza necessariamente dover
esplicitare quel ruolo, quindi quel posizionamento all'interno del gruppo. In questo senso il lavoro
attraverso le attività tipo cooperativo quindi una pedagogia basata su questi presupposti consente di
andare ad indagare quindi di far emergere tutto quel sistema latente, per così dire tutta quella dimensione
implicita che invece caratterizza costantemente la costruzione del gruppo in termini proprio di ruoli sociali
che ciascun membro assume all'interno del gruppo stesso. Secondo questo approccio e nell'ambito della
pedagogia istituzionale che viene introdotta da Roniè nel gruppo e attraverso il gruppo si praticano si
mettono in campo alcuni principi fondamentali di quella che poi in effetti oggi è la logica dell'inclusione-
per cui si pratica l'accoglienza, intesa proprio come atto pedagogico con finalizzato appunto a cogliere
l'altro all'interno di un contesto di un gruppo , poi l’ascolto come quel processo finalizzato a citare le basi
per quello che sarà, vedremo poi anche attraverso il contributo di Carlo Rogers, l'importanza che riveste
appunto l'ascolto che Carl Rogers definisce attivo proprio perché finalizzato a creare le basi per quello che
sarà il confronto il dialogo. Poi abbiamo la dimensione dei conflitti ma anche la gestione dei conflitti, la
gestione educativa dei conflitti all'interno di un gruppo, la realizzazione di quello che è il processo di
cooperazione tra pari, l'individuazione di quelli che sono i percorsi, itinerari soggettivi individuati anche
proprio in termini di tempi, ritmi di modalità attraverso le quali ciascuno apprende, cresce all'interno del
gruppo in maniera assolutamente differente dall'altro. L’elemento dell'arricchimento cioè si percepisce che
è la cooperazione che arricchisce il singolo, cioè nel momento in cui il singolo vive la cooperazione come
momento di arricchimento ,allora quella cooperazione avrà una valenza educativa reale. Infine l'importanza
di quello che è il confronto lo spazio di discussione, l'attività collettiva che consente appunto di condividere
quelli che sono punti di vista, prospettive, disposizioni, modalità di agire diverse e diversificate in base a
quelle che sono le caratteristiche e le peculiarità individuali. Quindi una pedagogia istituzionale è basata
proprio su questi elementi ed è istituzionale perché parte da quel processo di interiorizzazione delle
istituzioni sono sono intese in questo senso come regole, principi, norme, valori, respondabilità che sono
alla base del processo educativo. Poi abbiamo il contributo di un'altro grande studioso, che è lo psicologo
americano Carlo Rogers che però ha offerto degli spunti di riflessione importanti anche in ambito
pedagogico e alle sue teorie , sue riflessioni si rifà anche uno dei più grandi pedagogisti italiani che si
chiama Roberto zavallon ( che ottenne la prima cattedra di pedagogia speciale nel 1964). Carl Rogers è uno
psicologo americano che è ricordato soprattutto in riferimento alla sua terapia non direttiva o centrata sul
cliente, cioè un approccio terapeutico, psicologico che metta al centro la persona e soprattutto è finalizzato
a creare le condizioni anche contestuali affinché la persona possa esprimersi al meglio quindi esprimendo
appieno quelle che sono le sue capacità e le sue potenzialità. Carl Rogers parte dal presupposto che
all'interno di quelli sono i training Group, cioè i gruppi di formazione , egli tende a mettersì proprio in una
posizione di ascolto assoluto della singola persona all'interno del gruppo perché soltanto in questo modo il
singolo riuscirà a individuare quelle che sono le possibili strade, i possibili percorsi di sviluppo e di
miglioramento soprattutto in relazione ai rapporti interpersonali, quindi alla comunicazione, alla relazione
con l'altro proprio delle attività quindi delle esperienze dirette e partecipate. Egli parte dal presupposto che
per supportare dal punto di vista psicologico una persona è necessario mettersi in una posizione di ascolto
assoluto per comprendere quelle che sono non soltanto le esigenze specifiche ma anche quelle che
possono essere le sue aspirazioni ,le sue caratteristiche, peculiarità perché poi all'interno del gruppo la
dimensione individuale si trasforma , si modifica proprio entrando in contatto con la dimensione collettiva.
– 25.

Secondo Carl Rogers proprio nella impostazione di questi gruppi di formazione occorre partire sempre da
un gruppo non strutturato cioè sembra non avere un obiettivo specifico perché questo tipo di condizione
situazione e genera ansia, quello creativo non genera disagio nel singolo cioè il lo stare all'interno di un
gruppo senza che questo gruppo abbia una propria finalità e gli obiettivi specifici cioè senza che questo
gruppo sia strutturato genera quel sentimento diciamo di disagio che poi davvero giusto utilizza affinché poi
la diciamo la persona possa in effetti esplorare quelle che sono le sue come dire i suoi Stati d'animo i suoi
sentimenti le sue emozioni piu profonde per poterle poi condividere con l'altro quindi qual è il resto del
gruppo-

sull'approccio di darla Rogers si basa anche il concetto di counseling oggi sentiamo tanto parlare di tante
lingue psicologico abbiamo anche qui all'università centro non in ausili che sono in realtà di come dire di di
spazi presenti un po no ormai un po dovunque quantomeno ride essere possibile proprio il concetto di
counseling nasce si sviluppa in seno a quella che l'esperienza di Carlo Rogers perché è basato sull'ascolto il
lo sportello di counseling —> l'attività principale si mette in pratica è proprio quella dell'ascoltare l'altra
persona quelli che sono i problemi che sono i suoi dife, le sue preoccupazioni che a partire da quell'ascolto
poi provare a individuare strade possibili per superare quella situazione difficoltosa e quindi a carl Rogers
dobbiamo quella che è la creazione di contesti empatici ovvero quei contesti in cui la persona riesce a
appunto a esprimere se stessa senza timore presenza non c'è timore di essere giudicato comunque ma
contesto empatico anche perché all'interno di quel contesto la persona si sente capita ascoltata –

diciamo questo tipo di approccio di Rogers e effetti AGI gettare in base al dettato l'infanzia anche per lo
sviluppo di quella rete delle dimensioni fondanti della medaglia speciale della pedagogia delle differenze
ovvero la relazione del tutto nell'ambito della pedagogia speciale quella relazione che si viene a stabilire
proprio tra persona e è una condizione diciamo che porto perché facilita venerabilità particolare nel
momento in cui quella personalità in relazione al rapporto con una persona invece offre il proprio aiuto il
proprio supporto per consentire alla persona in questione di superare quel momento di difficoltà questo
tipo di relazione appunto viene definita relazione d'aiuto e di cura ed è alla base proprio della pedagogia
speciale e proprio quello Carlo Rogers in un suo diciamo scritto del 1951 offre una azione di relazione
d'aiuto , cioè quella relazione in cui almeno uno dei due delle due persone uno dei due protagonisti cerca di
promuovere nell'altro la crescita lo sviluppo la maturità o comunque il superamento di una situazione
difficoltosa problematica - l'altra naturalmente può essere sia un medico siamo un gruppo per cui la
relazione d’aiuto può essere definita secondo Carla Rogers proprio come una situazione in cui uno dei
partecipanti cerca di favorire in una o in varie diciamo componenti del gruppo quella che è una
valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità di espressione cioè
perché la logica che all'interno della quale si muove la relazione d'aiuto è proprio una logica di crescita, di
sviluppo non soltanto della persona che vive quella condizione di fragilità di difficoltà ma in realtà quel
momento di crescita diventa un momento di crescita di tutto, Cioèla relazione d'aiuto sì diciamo come si
realizza appieno proprio quando lo sviluppo la maturazione la crescita avviene soprattutto non soltanto per
la persona in difficoltà ma anche per la persona che offre il suo aiuto e soprattutto è quello spazio
relazionale in cui appunto la persona possa esprimere al meglio come dicevamo prima le proprie possibilità
e le proprie capacità e naturalmente ci sono degli elementi che sono alla base della relazione d'aiuto e sono
all'interno del testo individuati ci si sofferma soprattutto su tre elementi in particolare che sono la
congruenza la comprensione empatica nell'ascolto laurenza fare riferimento a a innanzitutto è una
congruenza dell'individuo all'interno della relazione cioè far riferimento al 9 cui la persona è prendere
l'azione mantenendo la propria e proprie caratteristiche la propria soggettività cioè alla Rogers parte dal
presupposto che nel momento in cui ci relazioniamo agli altri dobbiamo essere congruenti con noi stessi
cioè non dobbiamo modificando quello che siamo per diciamo relazionarci all'altro perché se c'è questa
trasformazioni questa modifica vuol dire che in qualche modo non ci sentiamo pienamente liberi di
esprimerci perché vi sarà capitato nella vita che qualcuno vi abbia detto ma tu quando ti rapporti con
quell'altra persona sei diverso oppure in presenza di quella persona sei diverso questo che dovrebbe fare
nel senso che qual è il termine in relazione con un'altra persona se quella relazione necessità e per noi cioè
lì come dire ci conduce a modificare quello che siamo il modo in cui ci comportiamo il modo in cui
pensiamo e quindi ci impone un cambiamento probabilmente vuol dire che in quello spazio relazionale ci
sentiamo per il di poterci scrivere come come siamo e quindi dobbiamo modificarci il ragione di quella che
è l'altra persona quindi chi sono le altre persone e quindi l’influenza, l'avviamento della congruenza fa
proprio riferimento al fatto che nella relazione soprattutto nella relazione d’aiuto chi offre il proprio aiuto e
soprattutto chi ha bisogno di aiuto deve potersi sentire libero di esprimersi come ritiene appunto utile
esprimersi – infatti la congruenza fa riferimento a quella condizione che è sperimentata dal soggetto che gli
consente di essere liberamente se stesso nel corso della relazione e del colloquio. Cioè l’altra persone non
deve sentirsi né limitato , né costretto a dover modificare il proprio comportamento o pensiero in relazione
del rapporto che ha con l’altro. 1° elemento congruenza.

L’elemento della comprensione empatica, fa riferimento all’empatia e al ruolo che svolge nella relazione
con l’altro, e fa riferimento alla capacità di sentire, percepire il mondo dell’altro come se fosse il proprio.
Sentimento di mettersi nei panni dell’altro ma senza perdere mai di vista la condizione di come si è . Cioè
cercare di comprendere la dimensione dell’altro senza però perdere il proprio punto di vista, il proprio sé
rimanendo legati alla propria soggettività. Infine il 3° elemento è quello dell’ascolto che viene definito
ascolto attivo proprio perché l’ascolto può essere associato a una condizione passiva- chi parla è
considerato colui che agisce mentre chi ascolta assume un ruolo passivo. In realtà l’ascolto attivo fa
riferimento al fatto che la posizione di chi ascolta è una posizione di assoluta analisi, riflessione rispetto a
ciò che l’altro sta dicendo, facendo. Un ascolto che non recepisce mai quello che sta dicendo l’altro senza
rielaborarlo, ma è un ascolto finalizzato a promuovere nell’altro la crescita per cui la capacità di ascolto
attivo offre la possibilità di osservare in modo approfondito e non episodico, di creare una sorta di ascolto
sistematico, e dall’altro costituisce un’efficace modalità di sostegno affettivo perché il percepire che l’altro
sta realmente ascoltando definisce quella condizione di prossimità, di vicinanza affettiva che consente
all’altra persona di sentirsi a proprio agio all’interno di quel processo di ascolto. L’ascolto attivo si basa
sull’elemento dell’attenzione costante all’altro. Il non ascoltare l’altro attivamente genera nell’altro che vive
una condizione di fragilità e difficoltà può generare disorientamento e tale momento è legato al fatto che
l’ascolto non è attivo, basato sull’attenzione o sul reale interesse da parte di chi ascolta. Il reale interesse di
chi ascolta mette chi parla in una condizione di comunicazione autentica, cioè si sente autenticamente
ascoltato e questo è importante per una persona che vive un momento di fragilità, non solo legato a un
disturbo, ma anche a un momento di fragilità psicologica per cui la comunicazione autentica sono
fondamentali per quella persona affinché possa esprimersi realmente e aprirsi. La relazione di iuto è
finalizzata alla crescita e al supporto dell’altro ma è finalizzata soprattutto a far emergere quelle che sono le
capacità, potenzialità dell’altro e a far percepire l’altro libero di potersi esprimere realmente, ma se l’altro
non si sente bene in questo contesto relazionale non riuscirà ad avere questo tipo di libertà di espressione.

La relazione di aiuto – che è alla base del processo educativo, in quanto l’educatore è chiamato a
relazionarsi a una serie di situazione di fragilità per cui è un elemento imprescindibile del lavoro educativo e
deve avere delle caratteristiche specifiche-chi aiuta non può approfittare del bisogno di aiuto dell’altro, non
deve fare leva su quella che è la vulnerabilità, fragilità dell’altro per raggiungere uno scopo personale; chi
aiuta è tenuto a sospendere il giudizio sull’altro(elemento importantissimo per la creazione di un contesto
relazionale autentico e funzionale). Quando ad esempio si aiuta una persona che ha un problema con la
droga o con l’altro il giudizio su questa persona e la dimensione soggettiva può emergere facilmente
rispetto a quella condizione ma è un elemento che si deve sospendere perché l’altro nella relazione di aiuto
deve potersi esprimere liberamente senza dover percepire che l’altro lo sta giudicando su quello che ha
fatto e giudicare le sue fragilità- ; chi viene aiutato può e deve anche misurarsi nel ruolo di aiutante,
aiutando a sua volta, perché così si evita il rischio di crearsi dipendenze. Nelle situazioni di disabilità vi è piu
il rischio di dipendenza dall’altro perché c’è una tendenza da parte di chi aiuta a fare le cose al posto
dell’altra persona per evitarle quella difficoltà o quel compito gravoso, ma tale tendenza a sostituirsi
all’altro crea dei legami di dipendenza che non sono costruttivi e che non aiutano la persona a raggiungere
al proprio autonomia, indipendenza e autodeterminazione-capacità di operare delle scelte in maniera
autonoma. Altre caratteristiche fanno riferimento al fatto che chi aiuta deve provare a vedere nell’altro un
entità in evoluzione, un cambiamento aldilà delle stereotipie e delle immobilità. Molto spesso davanti a
delle situazioni complesse (di disabilità complessa o di dipendenze) si pensa che l’altro non possa cambiare
(se si è drogato lo farà sempre, se ha quella disabilità non può cambiare) e quindi questo stereotipo di
pensare che l’altro non possa crescere e modificare la propria condizione può influire sulla relazione di
aiuto. Per cui pensare l’altro come un entità che evolve, e in continuo cambiamento e pensare che
quell’entità evolve grazie al supporto che noi possiamo offrire affinchè quel cambiamento si realizzi è molto
importante. La relazione di aiuto non si muove con dinamiche di assolutezza ma complementarietà, e tende
a ridurre progressivamente l’asimmetria. Molto spesso una relazione di aiuto parte da una condizione di
forte asimmetria, soprattutto quando l’esigenza di supporto è molto grande e c’è una sorta di gap tra chi
aiuta e chi viene aiutato, ma questa relazione deve cercare di portare quella asimmetria a una simmetria,
cioè cercare di promuovere nell’altro il superamento di quella difficoltà, fragilità per annullare quella
asimmetria che caratterizza inizialmente la relazione. Infine l’aiuto offerto non può diventare esclusivo, la
relazione di aiuto è plurale. Vi è il rischio nel rapporto. 1 a 1 che la persona supportata si leghi in maniera
esclusiva alla persona che lo supporta (diade insegnante di sostegno e bambino con disabilità che non si
lavora nell’ottica di inclusione , si crea il rapporto di esclusività per cui il bambino tende a volere l’aiuto
dell’insegnante di sostengo mentre non riconosce nei compagni o nell’insegnante curricolare il valore di
supporto che possono offrire). La relazione di aiuto deve essere sempre plurale, non deve mai cadere nel
vincolo, limite di esclusività dell’aiuto.

Approfondire cap 8.

18° lezione: 12/04/22

L’oggetto di studio è andato ampliandosi nel corso del tempo, perché nasce come disciplina orientata a
studiare il processo di sviluppo dei bambini con disabilità ma nel corso del tempo ha ampliato il suo campo
d stampo- oggi è quella disciplina che si occupa dei processi evolutivi, di sviluppo di tutti quei soggetti che
hanno disabilità o bisogni educativi speciali, ma di tutti coloro che rischiano l’emarginazione sociale per
ragioni di varia natura e cerca di intercettare quei bisogni per dare risposte educative adeguate,

È una pedagogia fortemente aperta al dialogo, interazione con le altre discipline. Approccio inter e
transdisciplinare perché quando parliamo dell’uomo, sua natura e sviluppo, bisogna integrare prospettive
teoriche e scientifiche differenti perché le attività umane non possono essere indagate solo da una
prospettiva ma necessitano di uno sguardo integrato che sappia coniugare gli apporti derivati da altre
discipline. La pedagogia speciale è in costante dialogo con le discipline scientifiche, sociologiche,
psicologiche, filosofiche , cioè tutte quelle discipline che studiano l’uomo da DIVERSE PROSPETTIVE e si
sofferma su tutte quelle condizioni umane di vulnerabilità fragilità che possono porre l’essere umano nella
condizione di essere escluso, emarginato dalla società.

Oggi si parla delle pedagogie delle differenze, perché la pedagogia special e non si limita piu a studiare i
processi formativi e educativi delle persone con disabilità ma ha ampliato i suoi processi anche in virtù del
paradigma dell’inclusione, e la pedagogia delle differenze concentra l’attenzione sul concetto di differenza.
Che supera anche quelle situazioni riconducibili alle disabilità per abbracciare tutte quelle differenze che
caratterizzano l’uomo , non solo dal punto di vista genetico, ereditario ma anche dal punto di vista
contestuale, culturale, il bagaglio di esperienze che il soggetto vive e che influiscono sul suo percorso
evolutivo. Si cerca di analizzare tutte quelle situazioni che non sono strettamente riconducibili alla presenza
di una disabilità specifica ma che rappresentano nel percorso umano dei momenti di fragilità, vulnerabilità.
Si insiste sul concetto di differenza come tratto distintivo dell’uomo, che rende ogni esser umano unico e
irripetibile.

Poiché la pedagogia delle differenze è una pedagogia speciale che amplia il proprio campo di ricerca ma
questo ampliamento ha subito una evoluzione storica e nel corso del tempo si sono susseguite delle fasi in
cui la disabilità è stata interpretata in modo diverso.

È stato individuato un 1° periodo, il rifiuto, in cui la disabilità veniva eliminata fisicamente, i bambini che
nascevano con deformazioni o che non corrispondevano al canone ideale venivano fisicamente emarginate
e eliminate addirittura-periodo risalente all’epoca gregoromana e definito periodo del rifiuto.
2° periodo-pietismo-l’avvento del cristianesimo porta con se il sentimento di pietà, tolleranza verso le
persone con disabilità viste come figli di dio, e viene abbandonato il fenomeno dell’eliminazione fisica della
disabilità per contemplare questa sorta di pietà, tollerenza nei confronti delle persone considerate diverse
in nome di un principio cristiano della pietà

3° periodo- assistenzialismo-caratterizzerà soprattutto il secolo dei lumi, in cui si avrà un attenzione a quella
che è l’analisi, indagine, studio delle persone con disabilità per comprenderne le cause e si avrà un
approccio di tipo assistenziale, si vuole curare la persona con disabilità per portarla a una condizione
normale. Si riconosce alla disabilità come una dimensione umana, ma viene vista come una condizione che
si allontana, si differenzia da uno standard di norma e l’approccio è finalizzato a correggere quella stortura
per riportare la persona a una condizione di normalità.

Poi il 4° periodo, che è quello dell’integrazione e risale al 900 circa e poi tale concetto sfuma in un nuovo
approccio che è quello dell’inclusione.

Le radici della pedagogia speciale- cioè il contributo di alcuni grandi studiosi e le riflessioni sulla diversità e
disabilità. Uno dei quali è considerato il Fondatore della pedagogia speciale-jean marc gaspard Itard- storia
di Victor, bambino selvaggio trovato nelle foreste francesi dell aveyron e itard intraprende con lui un
percorso rieducativo e riabilitavo che possa consentire rispetto a quelli che erano gli obiettivi di itard una
sorta di ritorno alla vita del bambino. Inizia con il dargli una dignità, un nome, identità ben precisa e poi
inizia un percorso educativo che inizia con una fase diagnostica in cui itard osserva le abitudini, azioni
caratteristiche del ragazzo che gli consentono poi du definire un progetto educativo, nella fase di
elaborazione dell’attività di osservazione. Itard si pone degli obiettivi rispetto all’educazione di victor che
spaziano dalla socialità alla sensorialità, risveglio dei sensi .Agli interessi, linguaggio verbale e al pensiero,
cioè sfera dell’elaborazione cognitiva- Partendo dall’educazione sensoriale e questo tipo di impostazione
che sarà un po' il fiilo rosso che unirà tutti quelli che saranno gli interventi che seguiranno l’esperienza di
itard-da seguien e alla montessori- questa attenzione alla sensorialità al risveglio dei sensi che poi consente
anche la stimolazione dal punto nervoso e cognitivo.A partire da questa impostazione consente poi al
bambino di poter educare anche le altre dimensioni.

Poi abbiamo eduard seguin, considerato il maestro degli idioti e si concentra su bambini e ragazzi con
disabilità intellettiva-definiti in francia idioti. Egli elaborerà il cosiddetto metodo fisiologico basato sulla
stimolazione nervosa attraverso la ginnastica, esercizi fisici che consentivano a tali ragazzi di assumere
consapevolezza rispetto al proprio corpo e da lì arrivando poi alla cognizione-dimensione cognitiva. Rispetto
a tale metodo, un aspetto improtante è quello legato all’esercizione della memoria nej bambini e ragazzi
con disabilità inellettiva. Egli elabora la regola dei 3 tempi, che si articola in 3 momenti finalizzati ad attivar
ei rpocessi mnemomici nei ragazzi idioti- abbiamo la fase della fissazione in cui lo stimolo si presenta varie
volte afficnheè possa fissare nella memoria quel tipo di stimoli, poi segue il riconoscimento, attraverso
l’individuazione della risposa esatta, cioè la discriminazione dello stimolo esatto rispetto ad altri, e infine la
fase dell’evocazione che richiede di evocare los tmolo anche in sua assenza e porta a compimento il
processo di memorizzazione.

Poi abbiamo la figura di sante de sanctis, uno die padri fondatori della psicologia italiana . Gli si riconosce il
merito di separare la neuropsichiatria infantile da quella geenrale che ra concentrata sullo studio
dell’adulto, ma lui fodnerà il 1° reparto in irtalia di neuropsichiatria, fonderà a roma gli asili-scuola dedicati
all’ssistenza e rieducazione dei minori 16

Scrive un testo molto improtante-educazioen dei deficienti, in cui offre 17

Egli introduce la carta biografica e i reattivi mentali. La carta buografica è il docuemnto che anticipa i
docuemnti di oggi molto impoertanti nel eprcorso di dattico dei bambini con diabailità- la carta biografica
era un docuemnto redatto dall’insegnante e dal medico scolastico(integrazione tra due ambiti) e utile alla
stesura del profilo personale degli allievi che a sua volta cosnentiva di defire un prcoros educativo specifico
per il singolo bambino. In questa impostazione ritroviamo il cocnetto di individualizzazione a cui oggi
facciamo riferiemnto. -calibrare l’educazione facendo leva sulle capacitòà della singola persona.

Tra gli studiosi italiani che hanno contribuito agli studi della pedagogia speciale abbiamo anche la figura di
maria montessori che collabora anche con sante de sanctis e che insieme a montesano foidnerà la scuola
amgistrale ortofrenica in cui si occuperà della formazione degli insegnanti chiamati a operare in campo
educativo e didattivo in rpesenza di bambini e ragazzi con varie porblematiche. Fodnatrice anche della 1°
casa dei bambini e il suo approccio che pi diventerà un medico si basa su 3 grandei assi- asse delle
procedure, amteriali e ambienti cioè risorse funzionali che possano creare le condizoioni per un intervento
che possa essere effivcace rispetto al processo di apprendimento e di svilupppo del bambino.

Siamo nell’ambito dle moemnt pedagoguco dell’attivismo che nel 900 consente uun totale ripensamento,
riogranizzaizone die procesis educativi della didattica perché si apssa d auna visione adultocentrica a una
puerocentrica in cui il bambino e la fase dell’infanzia diventa un moemntoe ssenziale nell’educazioen dle
bambino. La montessori daà improtanza all’ambeinte poiché mediante l’ambeinte egli riesce a riodinare la
sua inetriorità— l’orne esteriore si riflette nell’orinde interiore del bambino. I materiali hanno un
importanza fodnamnetale e vengono costruiti dalla montessori sulla base di alcune caratteristiche- deve
essere anlitico cioè il bambino si deve concentrare su un aspetto alla volta per 22 , deve essere stimolante
ma che non dvee. Mai inibire il bambino ma deve sempre attivare la sua spontanea energia, curiosità.

Lke procedure si riferisocno al controllo dell’errore che epr lei ha una valenza educativa molto importante.
Per lei l’errore ha delel implicazioni educative importanti per cui i materiali devonoe ssre anche
autocorrettivi consentendo al bambino di imparare da soleo dall’errore e imparare a correggere da solo
quell’errore.

Lalteo studioso frances,e psicokogo, pedagogista emdico francese che si occupa dei bambini cosiddetti
irregolari cioè ovide decroly. L’irregolarità secondo decrolì non è 24 e assegna al contetso in cui il bambino
cresce e si sviluppa un ruolo fodnamentale. Elabora il metodo globale di apprendiemnto poihè facndo
rifeirmento ad alcuni cocnetti che vengono mutuati da alcune discipoline, inparticolare il condetto di…
intuizione,e gli aprte dal presupposto che i bambii con disabilità tendono a percepire il kondo a livello
gloibale e non analitico, quindi percepiscono il mondo globalmente senza avere la capacità inizialmente di
discriminare uno stimolo dall’altro e anche nel metodo di insegnamento si deve aprtire da questo
presuppsoto per aver eun metodo davvero efficace.

Elanbroa anche dei docuemnti che indirizzano il eprcorso di oprientamento.. eprchè il fine è primuover
el’inseriemnto non solod a un punto di vista sociale ma anche 26

Egli aprte dal fatto che è impossibile eliminare o modificare il deficit e quidi il metodo deve aiutare il
bambino a compensare o a agire in modo diverso in modo tale da trasformare la difficoltòà in potenzialità.
Altra indicazione importanate di decroly è che non bisomngna mai identificare il deficit con ò’handicap. Il
deficit fa riferiemnto al danno strutturale, mentee l’handicap è il risvolto sociale del deficit, cioè quello che
si riproduce in riferiemnto al contesto in cui vive e si riproduce il soggetto.

-percorso dell’inclusione in iTALIA. SI è PARTITI da una situazione di separazione, gino agli anni 70 in italia
c’era un sistema di sitruzioen separato, c’erano el scuole orinarie e gli istituti specilai destinati ad
axccogleire bambini con disbailitòà di varia natura. L’italia dagli anni 70 è uno tra i primi paesi nel mondo ,
con la legge 118 del 71, lehgge dell’inseriemnto si riconosce il diritto ai minori con disbailità di accedere alla
scuola comune, attarverso questa prima norma non si sentra nel merito della qualità del percorso didattico-
aldiklà delle attenzioni atrchitettoniche non c’è consabpevolezza della qualità del eprcorso educativo.
Questo merito lo si ha nel processo dell’integrazioen che parte con la legge 517 del 77 che sancisce
l’abolizioone delel classi differenziali all’interno delel sucoli comuni e che ospitavano tuti quei soggetti che
si ritrovvano indietro nel eprcorso scolasdtico. Mostravano delle lacune e venivno detsinati a queste clsssi
differenziali. Tali legge avvia il processo di integrazione grazia al fatto ch introduce la figura dell’isnegnante
di sostengo per carantire la wualità del percorso didattico educativo e si comprende l’improtanza di
affiancare all’insegnante curricolre un insegnante piu esperto e che potesse sopportare in manieara
adeguata il percorso del soggetto con disabilità- rende anche la progettualizzazioen piu flkessibile.

La legge che porta a piena maturazione, compimento il processo dell’integrazione è la legge 104 del 92,
legge ancora attuale che regola le disposizioni delle persone con diabilità e che a livello scolastico da delle
indicazioni specifiche,. Ci è una yesione verso una visione ecologica sistemica-parte dla presusìppsoot che
tutte le dimensioni dell’esistenza sono collegate, e non si può sopportare le perosne dabilit solo da un
punto di vista sociale, lavorativo o ecc, ma tutte le dimensioni deveono esser eintegrate-legge quadro

In ambito didattico si parla di strategie favorenti, favorenti cioè l’integrazione e vengono introdotte in
mabito scolastico molti approcci e metodologie basati sulla cooperazione e sul supporto tra pari, nuove
tecnologie. Siamo in un processo di continuo e costante adattamento tra individuo e mabeinte. C’è un
adattamento reciproco.

A partire dagli anni 90 del 900 inizia ad imporsi all’attrenzione il cocnetto dell’inclusione che h un respiro
piu ampio rispetto a quello dell’integrazione.

Il cocnetto di inclusione fa ruferiemnto a un processo molto piu ampio che riguarda tutti gli ambiti
dell’esistenza umana, non solo la scuola e fa riferiemnto al fatto che qualsiasi persona, a prescidneere dalal
presenza di un deficit può incontrare durante la prorpia viat delle barriere ostacoli che non gli consentono
di aprtecipare attivamente ai processi di vita. Si fodna sull’abbtimento di tutte quelle barriere
all’apprendiemntoe. Alla aprtecipazione attiva dell’idividuo. Di fonda sul cocnetto di differenza. Di parte dal
rpesupposto che ongi soggettpè l’uno diverso dall’altro, è il risulytato di fattori differenti,e le differenze che
carattrizzano ciascun essr umano definiscono la condizoone di nroma- quindi si abattono le barriere tra
noma e differenze, 37

Dal mpunto di vista didattico in iktalia al partire dal 2009-anno in cui viene ratificata la convenzione onu su
perosne con disbailità si inizia a promuovere l’inclusione mediante una serie di norme e decreti finlizati a
supportare tale processo. Abbiamo la legge 170 del 20129 degli alunni con 38

Aria dei bisogni educativi speciali- concetto che ha delle radici piu profonde e che sono legate anche al
lavoro di gulliford, studioso britannico che ha coniato la locuzione, special education needs, in riferiemnto
alal gamma di esigenze, bisogni che uno studente può mostrare durante il percorso scolatstico e che non
sono solo legate a un disturbo ma a vari fattori latenti che devono esseee individuati dall’insegnante per
poter ripsèomder in maniera efficace.

Abbiamo anche visto i vari modelli interpretativi della disabilità. Innnzitutto.c’era il modello medico-
individuali, in cui la disabilità veniva vista come una caratteristica intrinseca della erosna e c’era un
approccio curativo, senza porre l’attenzione al contesto sociale. Il 2° modello è quello sociale che fa
riferimento alle barriere che possono generare la disabilità-barriere architettoncihe, sociali, ecc e il modello
che fa sintesi a tali modelli precedenti è quello biopsico sociale che interpta la disbailità né come una.
Caratteristica dell’individuo, né come una caratteristica sociale, ma come dimensione. Che emerge
dall’interazione del soggetto con il proprio ambiente. La disabilità è ujn modo di funzionare dell’essere
umano. 41

Tema dei bisogni educativi speciali-BES- sial dal punto di vista inetrnazionale che italiano questo cocnetto di
gulliford viene riletto e interpretato e nel nostro 42 che possono manifestarsi nel eprcorso scolastico di
qualsiasi studente e che non sono necessariamente collegate a una patologia, disabilità certificata ma
legate al personale funzionamento dell’allievo che è legato alal sua storia familiar,e conetsto e sua cultura.

Differenza tra concetto di integrazione e inclusione-nel corso del tempo si è avvertita l’esigenza di
differenziale queste due prospettive e l’integrazione muove dalla premessa che è necessario fare spazio
all’alunno con disabilità all’interno dei contesti scolastici. È legato quindi alal dimensione scolastica mentre
quello di inclusione è piu ampio e riguarda tutte le dimensioni dell’esistenza.

Il paradigma a cui fa riferimento l’integrazione è quello assimilazionista fondato sull’adattamento del


soggetto disabile a un’organizzazione scolastica strutturata in funzione di alunni normali.

Invece quello dell’iclusione punta alla valorizzazione dell’ unicità e originalità intrinseca della persona.

Studiare i capitoli detti da lei per intero.

Le lezioni sull’autismo non si portano all’esame.

Partire da un argomento a piacere e poi da lì domande e collegamenti.

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