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CAPITOLO 1: TRAIETTORIA DI SVILUPPO E CORSO DI VITA: RAPPRESENTAZIONI DELLA PERSONA CON

DISABILITA’.

Introduzione. Per una pedagogia dell’inclusione


Con la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (2006), gli Stati Parti si preoccupano di garantire
la rimozione di ogni forma di discriminazione e realizzazione dei diritti umani. Gli Stati dovranno infatti
modificare o abrogare qualsiasi legge sia causa di discriminazione. Il riconoscimento dei diritti richiede
l’elaborazione di modelli culturali alternativi; contrapposti a quelli esistenti con pensieri antichi. Con la
convenzione c’è un cambio di paradigma; che coinvolge il welfare stesso: la persona disabile non è più il
soggetto debole, ma una persona con pieni diritti. Il concetto di disabilità è in evoluzione e si configura
come un’interazione tra persone con deficit e barriere attitudinali. Il problema allora si prospetta nel
trovare un dispositivo trasformativo e formativo, che si individua nelle narrazioni: contenitori di sensazioni,
storie, vite etc. Cambiando la narrazione è possibile trasformare la realtà rappresentata che le persone
costruiscono nell’interazione. La teoria delle rappresentazioni sociali, permette di analizzare e riflettere
sulle percezioni e gli atteggiamenti sulla disabilità; perché attraverso esse si rende condiviso l’elemento
percepito. Carlo Lepri, in un suo recente libro, ripercorre le principali rappresentazioni sociali della persona
con disabilità; infatti sono percepiti come errori, figli del peccato Etc. E le diverse rappresentazioni segnano
le persone con disabilità in due modi: 1) Rapporto diretto tra l’immagine che la persona ha del disabile e i
comportamenti che attiva con quest’ultima; e l’insieme di questi comportamenti interpone barriere o
facilitatori al processo di crescita della persona con disabilità. 2) Queste rappresentazioni influenzano la
costruzione dell’identità dell’altro, che si rispecchia, modellandosi di conseguenza. Per favorire una
rappresentazione sociale, che identifichi la persona con disabilità come persona, occorre riconoscere e dare
adeguate risposte ai bisogni di “normalità” del soggetto; ancor prima di valutare i suoi bisogni “speciali”.
Si delineano 3 ambiti fondamentali che descrivono la traiettoria della persona con disabilità; con
riferimento alla transizione, alla vita adulta e alla promozione di scelte di vita, il più possibile
autodeterminate. Il primo passaggio è a carico della famiglia, cui spesso appartiene la rappresentazione
sociale dell’eterno bambino; il cui processo di crescita, è fonte di angoscia e quindi frenato. Il ruolo
genitoriale richiede forme di accompagnamento e la famiglia reti di relazioni e sostegni.
Un ruolo centrale nella formazione identitaria del soggetto è svolto dalla scuola; che ha spesso favorito una
rappresentazione sociale classificatoria, quindi occorre prendersi cura in quanto persona dipendente, non
autonoma, a cui occorre fornire degli aiuti; attraverso la figura dell’insegnamento di sostegno.
Per la transizione alla fase adulta sono essenziali i servizi, le politiche sociali e il mondo del lavoro; che
favorisce il cambio di questo paradigma. Inoltre, è necessaria un’analisi e un’esplicitazione delle
epistemologie impliciti alle quali sono ispirati, e la volontà di porsi in un atteggiamento di esplorazione per
individuare nuovi percorsi.
Sfida dell’inclusione: affermare le differenze come cifra esistenziale.
2. La famiglia: sostegni ad un accompagnamento competente:
La pedagogia indaga e promuove il ruolo educativo e formativo dei genitori verso i figli. Solo recentemente
la famiglia è stata ri-conosciuta come agenzia formativa fondamentale per l’inclusione. La famiglia è un
sistema complesso, dinamico che accoglie l’intero sistema emozionale di almeno 3 generazione.
Nella complessità del post-moderno, si deve porre l’accento sulla pluralità delle forme familiari, legate al
relativismo culturale. La famiglia è il centro della storia individuale che si intreccia ad altre storie in un
sistema complesso, in continua trasformazione. Le trasformazioni accolgono bisogni evolutivi dei singoli
componenti in relazione alle loro peculiarità e differenze, ma allo stesso tempo favoriscono il senso
dell’identità. La famiglia difronte alle perturbazioni che la disabilità caffronta in maniera diversa il processo
di riorganizzazione. Nella coppia genitoriale si strutturano ruoli diversi; e la famiglia accoglie la disabilità
non necessariamente è problematica. L’expertise genitoriale, prevede capacità di pianificazione,
indipendenza di fronte agli eventi critici. Inoltre, la consapevolezza delle proprie possibilità supporta
l’intenzionalità e l’impegno individuale verso obiettivi comuni; rendendo la famiglia autonoma di fronte alle
decisioni degli esperti. Le modalità di adattamento e reazione di ogni famiglia sono differenti per ciascun
nucleo; e sono influenzate dall’interazione di diverse variabili endogene ed esogene. Attraverso le
narrazioni possono maturare nuove modalità di formazione, osservazione e ricerca. La nascita di un figlio
comporta sempre un cambiamento e il momento della diagnosi costituisce spesso il primo impatto con la
disabilità. Infatti essa è un avvio di un processo complesso e di delicata gestione che necessita diversi
incontri per individuare i bisogni specifici di ciascuna famiglia e valutare l’attivazione di supporti e servizi. I
genitori vivono una sorta di lutto; perché è la perdita di una presenza immaginata come perfetta; e
inizialmente genera shock. Sul processo di accettazione incidono diverse variabili: la specificità e la severità
del deficit, le caratteristiche individuali che le persone coinvolte manifestano di fronte all’evento stressante.
In caso in cui le fasi dell’elaborazione non siano correttamente sviluppate, possono insorgere reazioni
disadattive. Un’altra riguarda la negazione del deficit; che può portatore a una totale negazione della realtà;
e questa negazione necessità di cure. Inoltre è necessario valutare le conoscenze e le abilità all’interno del
nucleo: lo stile di attaccamento, le caratteristiche della relazione di coppia, relazione genitore-figlio. Una
corretta comunicazione della diagnosi, dovrebbe comprendere un’accurata descrizione della situazione.
L’informazione deve essere accompagnata e la coppia coinvolta attivamente nella cocostruzione del
progetto di vita; ma anche sostenuta e resa partecipe delle decisioni.
Legge 104/92: coinvolgimento della famiglia da parte degli operatori nell’iter diagnostico, riabilitativo ed
educativo. Per questo è importante attivare progetti di orientamento che implichi supporto educativo e
psico-sociale all’interno del nucleo. Il ruolo dell’educatore risulta fondamentale nei processi di facilitazione
adattiva e come mediatore nelle relazioni, nel prendersi cura della famiglia con intervento precoce e
puntuale. L’educatore opera come abilitatore del ben-essere di ogni membro della famiglia che convive con
la disabilità di uno dei componenti. L’aver cura implica il supporto dei familiari, evitando deleghe
deresponsabilizzanti e dipendenza.
Le politiche di welfare dovrebbero essere orientate a un sostegno reale delle famiglie e delle persone
adulte con disabilità per poter dare loro continuità e implementare i processi di inclusione sociali,
3. La scuola: imparare ad avere voce. Le voci degli studenti con disabilità sono spesso quelle meno ascoltate
nel processo di pianificazione educativa. Decreto Legislativo 66/2017: coinvolgere attivamente gli studenti
all’interno del Gruppo di Lavoro Operativo, per la redazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI), nel
rispetto del diritto di autodeterminazione. Secondo Wehmeyer un atto è autodeterminato quando risponde
a 4 caratteristiche: I. Autonomia. Autoregolazione. Empowerment psicologico. Autorealizzazione. Il
costrutto di autodeterminazione evidenzia la centralità della dimensione educativa nel favorire
l’apprendimento delle abilità e competenze richieste ma richiede anche che tutti gli ambienti garantiscano
opportunità tali da favorire scelte autodeterminate.
La didattica deve farsi più orientativa, aperta, lasciando agli studenti lo spazio di scelta; e favorire
l’autodeterminazione del proprio percorso di apprendimento. È importante che agli alunni con disabilità sia
garantita la massima partecipazione alle diverse attività scolastiche e che tale dimensione diventi oggetto di
monitoraggio e valutazione. Acquisire e applicare in modo efficace le Life skills, può influenzare il modo in
cui il soggetto percepisce sé stesso e gli altri, e il modo in cui quest’ultimi percepiscono il soggetto,
contribuendo allo sviluppo del senso di autoefficacia. Le life skills giocano un ruolo importante nella
promozione del benessere mentale, favorendo il prendersi cura di sé stessi e degli altri.
4. La transizione alla vita adulta. L’adultità è connessa all’assunzione di un ruolo e un’identità sociale. Il
costrutto riferito alla persona con disabilità diventa più complesso e mette in gioco la dimensione
individuale. Con le evoluzioni e i cambiamenti si è adulti solo in ragione della capacità di fronteggiare
compiti sessuali e professionali; ma il percorso verso l’adultità segue sentieri molto soggettivi; infatti sono
presenti più adultità. L’aspetto che favorisce la percezione dell’adultità della persona con disabilità
intellettiva è il ruolo lavorativo; un elemento fondamentale in tutte le società; per l’affermazione di sé nel
contesto. Far parte del mondo del lavoro significa essere riconosciuti adulti in grado di assolvere compiti. Il
lavoro è uno strumento che permette di contribuire all’organizzazione sociale, costruzione del senso di sé e
del proprio essere al mondo. Alimenta le relazioni.
L’inclusione lavorativa non delinea l’intero progetto di vita, ma consente di affermare la capacità di essere
produttivi e non passivi destinatari di assistenza. L’intervento educativo rappresenta uno strumento per la
qualità della vita delle persone con disabilità, ma anche per l’affermazione di un’organizzazione sociale
equa e solidale. Ogni provvedimento normativo è vano se non si abbatte la discriminazione in ogni sua
forma.

2. COMPLESSITA’ E PROSPETTIVE INCLUSIVE. SCENARI POSSIBILI OLTRE LE RESISTENZE SOCIALI

Scegliere cornici complesse contro le derive della post-modernita’.


Studi in ambito sociologico ed antropologico, hanno tentato di delineare alcune caratteristiche di questo
tempo, che sembrano alimentare la cultura dell’individualismo, delle separazioni, che stonano con uno
sfondo inclusivo. Termine inclusivo usato per la prima volta nel 1994 con la Dichiarazione di Salamanca,
dove a partire dalla consapevolezza della diversità di ognuno, si riconosce il diritto di tutti i bambini in
situazione di disabilità e/o in situazioni di svantaggio di essere educati in contesti ordinari. La Carta di
Lussemburgo (1996), La dichiarazione di Madrid (2002), La Convenzione sui diritti delle persone con
disabilità (ONU, 2006); hanno alimentato questo orizzonte, legandolo al tema dei diritti.
L’European Agency for Development in Special Needs Education nel 2015; ha delineato 5 messaggi chiave
per l’educazione inclusiva.
Ancora oggi si rischia di non incidere in termini culturali; perché alcuni interventi messi in campo hanno
poco a che fare con l’educazione. Nell’epoca della post-modernità; l’inclusione rischia di essere inghiottita
da meccanismi di superstizione e presunzione; che vogliono farci credere che l’altro; soprattutto in
condizione di disabilità, sia riducibile ad una somma di eventi e che la qualità di vita sia dato solo dal
funzionamento.
Affacciarsi in ambito educativo all’orizzonte del progetto di vita significa attivare una dialettica costante tra
debolezze e forze, limiti e risorse, mettersi in una logica che supera la convinzione che un progetto sia
degno di essere definito tale solo se capace di tradursi nelle facoltà di governarsi e reggersi da sé,
L’autonomia è quindi la possibilità di chi si trova a viere una situazione di svantaggio, perché essenziale alla
propria auto-organizzazione e alla propria identità, e l’essere in continua coevoluzione con il proprio
ambiente. I termini autonomia e autosufficienza sono concetti diversi e differentemente implicati; anche
per chi vive in una situazione di svantaggio. Infatti ci sono persone che non potranno mai diventare
autonome (sapersi dare delle regole, coglierle e farle proprie del contesto), o autosufficienti. Ma l’essere
insufficiente a sé stesso per la realizzazione del progetto di vita, non preclude la possibilità di sperimentare
la propria autonomia, che porta a chiedere come scegliere le direzioni della propria esistenza. L’autonomia
è una funzione che va esercitata e si può realizzare attraverso diverse modalità, che permettono l’esercizio
di certi diritti: scolarizzazione, riconoscimento di una sessualità più matura etc. E il poter esercitare i propri
diritti richiede una struttura di rete di relazioni formali e informali, che dovranno co-partecipare.
Quindi l’educazione gioca un ruolo chiave nell’acquisizione dell’autonomia, dato che permette di orientare
la vita della persona con disabilità senza doversi affidare alla delega etc.
Costrutto dell’autodeterminazione sostenuto dal capability approach: secondo questo approccio, la qualità
di vita non dipende dai mezzi che ciascun soggetto dispone; al contrario è dato dalla capacità di trasformare
queste disponibilità in traguardi potenzialmente raggiungibili. L’autodeterminazione, diventa la capacità di
scegliere quali azioni per le proprie mete. La prospettiva educativa dovrebbe essere orientata al
potenziamento delle capacità individuali e alla costruzione di ambienti di vita e di apprendimento , che
forniscano opportunità contestuali e che consentano di sperimentare comportamenti autonomi e
autodeterminati. Si deve diventare attore della propria cura, delle proprie scelte, liberandosi dei retaggi e
delle incapacità sperimentate.
I bisogni come “sentinelle”: In italia i BES sono nati per dare visibilità a una popolazione scolastica a rischio
di insuccesso formativo. Esso consiste in un funzionamento problematico come risultante
dell’interrelazione reciproca tra i 7 ambiti definiti dall’ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Da una
parte ha maturato la consapevolezza di un’osservazione sistematica e costante, ma dall’altra ha portato
alcune derive, tutt’altro che inclusive. In alcuni casi, le istituzioni scolastiche hanno spostato il binomio
bisogno-problema in una prospettiva riparatoria, che ha spostato l’intervento su un piano riabilitativo,
piuttosto che educativo. il BES è letto come portavoce di problematicità. L’etimologia della parola
“bisogno”, non indica solo un impedimento o una mancanza, ma anche la necessità di realizzare la propria
sollecitudine personale. Quindi può esprimere anche la necessità nei confronti di sé stesso e degli altri che
partecipa anche al riconoscimento dell’identità di chi lo manifesta. Ogni soggetto è portatore di bisogni
specifici che riguardano il proprio percorso educativo e gli stessi bisogni possono essere considerati come
delle sentinelle di funzionamento. Proprio per questo nei BES, i bisogni per essere soddisfatti necessitano di
un intervento specifico, spesso individualizzato e personalizzato. Inoltre anche la parola compensazione
assume una nuova prospettiva, dove leggere la compensazione non solo centrata sul soggetto, ma anche su
quali condizioni ambientali e contestuali ne hanno permesso lo sviluppo. Quindi non solo una
compensazione del disturbo, ma anche sull’ambiente di vita e di apprendimento. Compensare diventa
un’occasione per pensare insieme contesti più accessibili.
4. A partire da se’ con semplcita’: Quindi una prospettiva inclusiva ha il merito che ognuno di noi ne possa
guadagnare in civiltà e umanità. L’incontro con l’altro, anche in situazione di difficoltà e sofferenza,
ridimensiona rispetto al proprio stare al mondo, regalando dignità a una serie di vissuti ed emozioni.
Investire su un orizzonte inclusivo, è un guadagno personale, che serve a regalare maggiore comprensione
di sé e delle nostre possibilità fuori e dentro le relazioni. Diventare inclusivi significa fare i conti con sé, con
le proprie idee e i propri valori e permettere di farsi contaminare da chi vive situazioni di specialità.
Nell’epoca della complessità si torna a riscoprire la semplicità.

4. L’INCLUSIONE A SCUOLA, OBIETTIVO RAGGIUNTO?

La scuola è ancora l’unico luogo in cui la diversità accade e perciò si entra in conflitto. Dopo 40 anni dalla
legge 517, si possono tirare le somme, e manipolare i dati con la certezza che rimandino allo stesso sistema
di riferimento. Il discorso è ampio e richiede due accorgimenti prospettici: 1) Visione evolutiva; di
dinamiche inclusive nella società post-complessa 2) Visione complessa e multi-prospettica; che abbraccia il
tema della disabilità, ma pone accanto tante forme di diversità e alle possibilità di esclusione che la scuola e
la società attuale sperimentano.
Disabilità: l’italia è il paese che vanta il primato di aver preso la strada dell’integrazione scolastica da molti
considerato un sistema evolutivo modello. Ma ci sono alcuni problemi noti come le micro-esclusioni degli
alunni con disabilità nel contesto classe, fenomeni di push e pull out, scarsa collaborazione tra docenti e
insegnanti di sostegno etc. E’ lecito interrogarsi su che cosa non abbia funzionato e che tuttora non sta
funzionando. Si cerchera di esaminare il problema distinguendo ma anche intrecciando tra loro 4 livelli
differenti: I) Principi e norme II) Pratiche organizzative III) Didattica IV) Culture inclusivi.
Il testo approvato nel 2019 non ha sfumato l’etichetta attribuita alla persona, proponendo “certificati”, al
posto della dicitura “persona con disabilità’’. Il fatto che i BES dovessero essere individuati dal docente
senza il bisogno di certificazioni sembrava riconoscere che il bisogno non è interno alla persona, ma nasce e
si situa nel rapporto tra il soggetto e i contesti, che possono configurarsi sia come barriere, sia come
facilitatori. Mentre per la didattica, il progetto personalizzato, è elaborato essenzialmente in termini di
ricalibrazione degli obiettivi sui livelli minimi. Con la recente normativa sui DSA e i BES, rilevano Ianes,
Zambotti e Demo, la strada per l’inclusione in Italia, sembra condurre da una categoria problematica
all’altra senza concentrarsi sul cambiamento che l’accoglienza della diversità impone alla scuola a tutti i suoi
livelli. La criticità è interna al nuovo paradigma sociale. Rispetto alle pratiche organizzative, un altro aspetto
di criticità è quello che riguarda la progettazione integrata degli interventi per la disabilità, in un’ottica di
progetto di vita.
Un altro aspetto è quello del ruolo dell’insegnante di sostegno; infatti esso viene assegnato in base alla
presenza di alunni con certificazione di disabilità. Esso invece rappresenta la figura che veicola il processo
inclusivo. Un modo per valorizzare questo ruolo è quello di favorire l’innovazione didattica e la pratica del
co-teaching (adozione di metodologie didattiche che richiedono spazi e tempi)
Una buona inclusione richiede la preparazione specifica di tutti gli insenanti; si richiede la formazione,
iniziale e in servizio, dei temi della pedagogia e didattica inclusiva per tutti i docenti.
2. Il ruolo della didattica: L’aspetto su cui gli insegnanti devono lavorare per accogliere e includere tutti gli
alunni è l’attuazione di una didattica innovativa; in quanto secondo Ianes e Demo, quella ordinaria ha
impedito una buona integrazione nella scuola e dove prevale il modello trasmissivo, predominano
fenoomeni di push out. Tra le proposte e strategie più efficaci, gli insegnanti indicano il cooperative
learning, l’uso delle mappe, l’individualizzazione, la flipped classroom, attività laboratoriali e proposte che si
rifanno a contesti che fanno uso di compiti autentici. Ma non sono menzionante forme di differenziazione
della didattica; che invece possono rendere efficaci i metodi sopra menzionati.
Questo perché da una parte gli insegnanti non hanno avuto questo tipo di formazione; dato che è alquanto
recente; e poi perché la legislazione scolastica, ha diffuso un diverso concetto di differenziazione, legando i
termini “individualizzazione” e “personalizzazione”, solo a determinate categorie di alunni. Questo porta ad
un mancato riconoscimento del diritto alle differenziazioni per tutte le differenze individuali.
Una soluzione differenziartici secondo Sabine Kahn (2010), è quella di produrre differenza invece che
accoglierla e valorizzarla. È il problema di fondo individuato, infatti la delega al docente di sostegno, la
predisposizione di piani educativi individualizzati o personalizzati etc; hanno favorito la sopravvivenza di
una visione unitaria dei modelli didattici, impedendo l’affermazione di principi di personalizzazione. E’ un
problema strutturale che i singoli atti normativi non riescono a scalfire.
3.Le culture inclusive e l’Educazione per tutti DIMENSIONE CULTURALE DELL’INCLUSIONE: Quello che la
scuola non ha ancora interiorizzato è il passaggio da una visione dell’inclusione come risposta indirizzata in
maniera specifica alla disabilità, alla visione dell’inclusione intesa come mezzo il cui fine è l’educazione per
tutti. Educazione per tutti: forse è proprio questo il passaggio che la scuola italiana deve fare di nuovo.
Alla luce di questo occorre un ripensamento delle modalità didattiche e soprattutto delle modalità di
valutazione degli alunni. Occorre una scuola che per non essere produttrice di differenze, sappia attivare
una “discriminazione positiva’’.

Da dove ripartire? Le discriminazioni tra i giovani avvengono nella maggior parte dei casi a scuola,
identificata come “luogo del conflitto”. Perciò la scuola deve essere in rado di rimettere al centro la
relazione autentica; ecco il compito degli insegnanti. Inoltre, di fronte alle sfide della post-modernità è
necessario interrogarsi sul paradigma della formazione dei giovani e la possibilità di cambiarlo; quindi una
scuola che orienti alla solidarietà sociale e che sappia ricostruire il senso del collettivo, attraverso il
reciproco aiuto, i lavori di gruppo etc. I principi guida per promuovere la qualità della scuola inclusiva
esistono e sono forniti dall’Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili (2009).
L’obiettivo fondamentale per ogni scuola è quello di piena partecipazione e pari opportunità educative di
tutti gli studenti suscettibili di esclusione. L’inclusione quindi non deve riguardare solo gli studenti con
certificazione, ma tutti quelli che rischiano di essere esclusi. Dove esiste un PEI, si deve tendere a
massimizzare l’autonomia degli studenti e la loro partecipazione scolastica, favorendo la collaborazione con
genitori e famiglie. Infine, per quanto riguarda la didattica, quest’ultima deve saper accogliere le diverse
necessità degli studenti senza etichettare.

5. OLTRE LA SCUOLA: SERVIZI INTEGRATI, ALLEANZE, PRESA IN CARICO PER LA PERSONA ADULTA CON
DISABILITA’ SEVERA.

1. Presa in carico, progetto di vita e qualità di vita. Il progetto di vita è uno strumento necessario per
migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità. Da ciò, la rete dei servizi che si occupa del soggetto
e della sua famiglia riveste un ruolo fondamentale per la conduzione e la realizzazione del progetto
esistenziale. Nel momento in cui si individuano i bisogni del soggetto, si concretizza il progetto di vita.
I servizi si assumono così la responsabilità del soggetto attraverso la Presa in Carico: insieme di azioni che
permettono di programmare e offrire interventi sociali e sanitari. La presa in carico tiene in considerazione
le individualità del soggetto, le attività che più gli interessano e le relazioni che lo circondano. Il punto
centrale riguarda quindi la persona, la sua dignità, i suoi interessi e il legame con la comunità e famiglia. Ci
si prende quindi cura della collettività e della rete al suo fianco per aver cura della persona in quanto tale,
superando una visione di mera assistenza. Per ovviare alle difficoltà che vive la famiglia e il soggetto con
difficoltà è nata nel 1980 una comunità diurna che coinvolgeva adulti con alti livelli di deficit. Vennero così
proposti servizi domiciliari, diurni o residenziali che permettevano una presa in carico globale del soggetto,
un supporto costante. Oggi la normativa nazionale permette l’accesso a vari servizi, la maggior parte delle
volte finanziati, anche se le poche risorse economiche disponibili non permettono di dare una risposta
adeguata ai bisogni espressi.
Tipologie di servizi socio-sanitari attualmente presenti nella regione Marche.
RESIDENZA SANTIARIA RIABILITATIVA INTENSIVA PER DISABILI: struttura che effettua prestazioni
diagnostiche, terapeutiche, riabilitative in regime residenziale che necessitano di una riabilitazione
intensiva. Riguarda persone non autosufficienti, con disabilità importanti. Max 30 posti letto, con durata 45
giorni prorogabili. Personale: due medici, infermieri, oss e professionisti educativi.

UNITA’ SPECIALE RESIDENZIALE: struttura residenziale per soggetti a responsività minimale: disabilità gravi
in età adulta, tratti autistici ecc.

RESIDENZA SANITARIA RIABILITATIVA ESTENSIVA PER DISABILI: struttura residenziale che effettua
prestazioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative per persone con disabilità grave e gravissima, disturbi
psichici non autosufficienti. Le patologie di base sono a carattere evolutivo. La durata è di 60 giorni
prorogabili. Max 30 posti letto.

CENTRO DIURNO RIABILITATIVO PER DISABILI: struttura che garantisce trattamenti di riabilitazione a
persone con disabilità psico fisico sensoriali non autosufficienti ma recuperabili. Durata max 30 giorni.

RESIDENZA SOCIO SANITARIA ASSISTENZIALE PER DISABILI: struttura residenziale a carattere comunitario
per maggiorenni con disabilità e poca autonomia. Non richiedono interventi sanitari continuativi. Sono
soggetti privi di sostegno familiari. La finalità è il recupero o il mantenimento di abilità funzionali. Max 20
posti.

CENTRO DIURNO SOCIO EDUCATIVO RIABILITATIVO PER DISABILI: struttura semiresidenziale che
garantisce trattamenti socio riabilitativi di recupero e mantenimento delle abilità. soggetti non
autosufficienti con disabilità varie e per i quali non è prevedibile un percorso lavorativo. L’obiettivo è il
miglioramento della QdV. Max 25 persone.

GRUPPO APPARTAMENTO PER DISABILI: struttura residenziale a bassa intensità riabilitativa rivolta a
soggetti con disabilità fisica, intellettiva o sensoriale in uscita da servizi residenziali. Soggetti con una buona
funzionalità sociale, infatti si cerca di mantenere le abilità funzionali residue. Offre accoglienza abitativa e
promuove la massima autonomia personale. Max 10 posti letto. Senza limite di tempo.

Nonostante la normativa nazionale, in Italia si è ancora portati a credere che questi soggetti abbiano
bisogno di servizi meramente sanitari e assistenziali. In realtà è fondamentale promuovere il benessere
globale del soggetto, come una buona qualità di vita e il mantenimento delle autonomie funzionali e sociali.
Per favorire il benessere individuale è quindi importante non trascurare il fattore educativo e sociale
dell’intervento, soprattutto attraverso un intervento coordinato. Da ciò, diventa necessaria una continuità
nella presa in carico del soggetto tramite progetti interdisciplinari integrati e coerenti caratterizzati da un
progetto individualizzato di presa in carico globale tra i vari servizi. Nel momento in cui tutto ciò non
avviene si generano situazioni di esclusione con esiti drammatici.
6. LA PERSONA ADULTA CON DISABILITA’. AFFETTIVITA’, SOCIALITA’ AMORE E SESSUALITA’.

1. Sessualita’ e disabilita’: scenari, possibilita’: Il tema della sessualità nella disabilità incontra ancora tante
resistenze, seppure se ne incominci a discutere. Per l’OMS, la sessualità è la modalità globale di essere della
persona nell’intreccio delle sue relazioni, inoltre afferma che per “sessualità”, si intende un “aspetto
centrale dell’essere umano nel corso della vita che comprende sesso, identità, ruoli di genere etc.
Nell’immaginario comune questo concetto rimanda alla dimensione biologica e genitale, non cogliendo
l’interpretazione di un fenomeno molto più complesso che non si riferisce solo alla parte corporea, ma alla
globalità della persona. La sessualità prende avvio con la vita e si modella ed evolve durante tutto il suo
corso di vita. L’aspetto culturale e sociale incide sui comportamenti e le percezioni determinando credenze
e atteggiamenti fortemente legati ai contesti storico-politici,religiosi e scientifici. La disabilità e
l’omosessualità sono due connotazioni estremamente incisive che possono produrre una doppia
discriminazione con conseguente malessere esistenziale o generare sicurezza di sé.
Il coming out pi difficile è quello intrafamiliare; e inoltre per la persona con disabilità non autonoma è
difficile frequentare ambienti omosessuali senza esplicitarlo agli accompagnatori e questo lede la loro
privacy.
La salute sessuale richiede un approccio positivo e rispettoso alla persona; e i suoi diritti devono essere
rispettati, protetti e garantiti. Infatti l’OMS, esplicita la connessione esistente tra diritti umani e salute.
Non esiste una sessualità disabile, ma il setting esistenziale della persona con disabilità è reso più
complesso dall’interazione di diversi operatori che spesso trasformano la persona in oggetto di studio-
intervento sul piano tecnico. Vediamo che ci sono diversi fattori che ostacolano l’espressione della
sessualità nella persona disabile: in primo luogo abbiamo i confini sociali ristretti, che limitano l’esperienza
relazionale; infatti le basse aspettative da parte della famiglia e del contesto portano alla negazione degli
aspetti ad essa relativi, e quando emergono vengono rattati come sintomi da curare.
Emerge l’importanza dell’analisi dei contesti che la persona disabile frequenta. In Italia, da diversi anni, è
stato avviato un processo di de-istituzionalizzazione che ha portato alla chiusura di spazi chiusi (orfanotrofi,
scuole speciali) con la conseguente abolizione della logica segregazionista in favore di quella inclusiva.
Alla persona con disabilità non viene quasi mai riconosciuto il diritto a spazi di intimità e decisione
personale.
2. Identita’ sessuale come costrutto multidimensionale: Viene delineata l’importanza dell’identità sessuale
come caratteristica che incide sulle prospettive educative che implicano piena partecipazione inclusiva a
prescindere da ogni forma di diversità. Ma l’educazione sessuale non trova spazio nel nostro Paese; in
quanto è confinata in uno stato di latenza e ambiguità; che non permette un adeguato riconoscimento ed
esplicitazione nei progetti educativi e nel progetto di vita. La sessualità delle persone disabili è condizionata
dal contesto psicosociale e diverso è il modo di interpretarla e viverla. Quindi l’identità di genere è uno
degli aspetti basilari del processo di costruzione dell’identità non solo sessuale ma personale globale; un
processo dinamico, complesso, che determina un modo di vedere se stessi in relazione alla società.
L’identità sociale può essere definita come riconoscimento del proprio orientamento sessuale implicando
l’autoconsapevolezza e la scelta di appartenenza a un gruppo e una cultura caratterizzati da modelli
comportamentali. La sessualità è quindi un aspetto complesso, influenzato da molteplici fattori. Molti
confermano che non si possa perpetrare ancora la credenza di una sessualità normale e una disabile; ne
esiste solo una che è patrimonio dell’uomo con o senza disabilità. Per fare ciò si deve rivoluzionare una
cultura inautentica, basata su stereotipi stigmatizzanti.
3. Disabilita’ e sessualita’: narrazioni plurali. Attraverso la sessualità, il corpo si appropria del suo esistere.
Il corpo della persona disabile viene de-sessualizzato e l’organizzazione sociale erige barriere per impedire
l’accesso alla sessualità. La narrazione biografica della sessualità diventa il dispositivo di comprensione e
consapevolezza di sé, la fonte della parte più intima e soggettiva della persona. La disabilità ha un rapporto
speciale con la narrazione, in quanto le esperienze che genera sembrano trame che esigono di essere
raccolte e narrate. L’approccio narrativo conduce verso una lettura della disabilità dinamica e discorsiva,
ancorata alla persona che la vive e non affidata soltanto a chi la racconta da fuori. Il fulcro sta nel
riconoscere che l’esperienza della disabilità non è ancorata a una immutabile identità stabile. L’obiettivo è
quello di una vision inclusiva.
La disabilità fisica e cognitiva inoltre, comportano esigenze, bisogni e risposte del tutto diverse. Nel primo
caso i problemi sono relativi ai limiti dell’agire che il deficit fisico comporta, mentre nel secondo si tratta di
limiti diversi, inerenti la consapevolezza della comprensione. All’assenza di un’educazione sessuale si
sommano le barriere legate all’accessibilità negata nello spazio, nel movimento.
4. Barriere culturali, soluzioni educative. Un confronto sul campo: Anche il comportamento sessuale è
oggetto di apprendimento; ed è quindi possibile apprendere la sessualità come libertà di essere capaci di
vivere accettando se stessi. Educare significa abbandonare i moralismi sterili e considerare il desiderio di un
diritto di tutti, raggiungere una maturità affettiva. L’educazione affettiva, sessuale ed emotiva dovrebbe
essere avviata già dalla prima infanzia, con il dialogo che costruisce un legame affettivo di attaccamento con
le figure genitoriali. Un dialogo che passa attraverso il corpo e il suo linguaggio. Con la maturazione
evolutiva, anche nelle altre fasi, l’approccio educativo deve essere accogliente e non discriminante.
Il passaggio adolescenziale diventa determinante in relazione alla transizione all’età adulta, che comporta
nuovi compiti di sviluppo: legami duraturi, scelte familiari, autonomie etc. E l’età adulta risente del
percorso attivato nelle fasi precedenti.

7. VITA INDIPENDENTE E DISABILITA’ INTELLETTIVE: UNO STUDIO DI CASO

L’adultità delle persone con disabilità rappresenta un tema cardine della riflessione della pedagogia
speciale.
Disabilita’ intellettive e vita adulta: criticita’ e prospettive. Janicki (2009), evidenzia come la popolazione con
tale disabilità, abbia avuto una crescita esponenziale, sia per l’allungamento della vita media che per le più
ampie possibilità di sopravvivenza alla nascita. Una delle sfide del 20° secolo è quello di progettare adeguati
servizi che si occupino della presa in carico di adulti con disabilità, nonché la formazione degli operatori che
lavorano con essi. Sono i periodi della transizione dall’adolescenza all’età adulta verso l’invecchiamento, a
rappresentare gli step più impegnativi. Per tutte le persone questi passaggi transitori creano
disorientamento e confusione, ma per quelle con disabilità intellettive vi sono i rischi.
In questo caso, la presa in carico di una persona con disabilità intellettiva, necessità di un ripensamento del
progetto di vita, verso traiettorie esistenziali significative per il soggetto stesso.
3. Verso l’adultita’: il ruolo dell’autodeterminazione. È fondamentale realizzare un progetto di vita verso
l’adultità e realizzare questa prospettiva significa predisporre interventi educativi in cui il soggetto partecipi
e che implementino la sua capacità di autodeterminarsi. L’autodeterminazione diviene uno dei fattori
dominanti fondamentali per il raggiungimento di elevati livelli.
4. “Civico 34”: la parola ai protagonisti. Il progetto viene reso operativo dal 2018, e diviene
l’esemplificazione concreta di come un progetto di vita possa divenire un tassello fondamentale per la
Qualità della Vita di adulti con disabilità intellettive. L’associazione maceratese riesce a mettere a
disposizione di persone con disabilità un appartamento in cui sperimentare un percorso di
autodeterminazione e vita dipendente, che prenderà il nome “Civico 34”. L’abitazione viene progettata
seguendo specifici criteri di accessibilità. I protagonisti di questa esperienza sono 4 uomini con disabilità
intellettiva che già frequentavano il centro diurno e dopo uno specifico training, per implementare le
competenze di autodeterminazione, hanno potuto prendere parte ad un progetto di vita indipendente.
L’Anffas ha messo in campo una équipe specializzata sui programmi di autodeterminazione vita
indipendente.
Riflessioni pedagogiche: si è vista una grande attenzione a promuovere percorsi di autodeterminazione in
ambienti di vita quotidiani anche per le persone con disabilità intellettive + la ricerca consente di mettere in
luce la questione della formazione dei professionisti che operano + “Progetto di vita indipendente”:
realizzazione diretta della persona con disabilità della propria autogestione personale.
In questo caso la Qualità della Vita e l’inclusione delle persone con disabilità risultano concretizzarsi nella
ricerca di forme adeguate e sostenibili in grado di consentire a adulti e anziani sicurezza e supporto
nell’attività della vita quotidiana, promuovendo autonomia e partecipazione attiva.

8. MADRI INVISIBILI: DONNE CON DISABILITA’ INTELLETTIVA E MATERNITA’.

La famiglia è un sistema che genera sistemi. La generatività è un concetto complesso che si riferisce al
processo di creazione e di produzione di qualcosa. Il tema della genitorialità di fronte alla disabilità del figlio
è centrale nella pedagogia speciale. Secondo alcuni studi, i domini e gli indicatori essenziali per la Qualità
della Vita risultano essere: L’inclusione sociale, intesa come piena partecipazione alla vita della comunità e
all’accettazione + Le relazioni interpersonali; dove rientrano i rapporti con la famiglia, amici, lavorativi etc. +
Il benessere emotivo, la soddisfazione, il concetto di sé etc. + L’autodeterminaizone, come la possibilità di
perseguire obiettivi, prendere decisioni etc. + Lo sviluppo personale, realizzazione di sé, arricchimento
personale.
Quindi la genitorialità si inserisce all’interno dei domini della Qualità della Vita, anche se va considerata
come dimensione umana e universale. Secondo recenti ricerche, le madri con disabilità intellettiva sono
state considerate inidonee a prendersi cura dei propri figli. Ma nonostante il contributo legislativo, le
persone con disabilità che diventano genitori non incontrano un’adeguata rete in grado di supportare e di
dare riscontro al proprio desiderio. E questo può influenzare il modo in cui le madri con disabilità
interpretano la propria maternità e costruiscono il senso di sé.
2. Il desiderio di maternità tra cura e dipendenza. Le donne con disabilità, sia fisica, sensoriale o
intellettiva, vivono la difficoltà di abitare la sfera relazionale degli affetti, specialmente quella sessuale. La
femminilità è legata alla sessualità, ma è spesso offuscata dalla menomazione fisica o dalle difficoltà
cognitive. La dimensione più intima delle relazioni di coppia ha un forte collegamento con il dominio
dell’autonomia.
A fronte di ciò, fortunatamente, la normativa si è mossa con maggiore riguardo, tutelando la cosiddetta
autodeterminazione sessuale, con la Legge 66/1999. Interessante documentario proprosto dalla BBC, ci
mostra la storia di due donne con disabilità; e ci fa comprendere come la condizione di disabilità non si
sperimenta in relazione all’evento di maternità, quanto più alle pressioni ricevute dall’esterno.
Possiamo vedere come i bisogni dei genitori con disabilità, come un reddito adeguato, alloggi sicuri etc, non
sono diversi da quelli dei genitori non disabili. Anche se i primi trovano spesso più difficoltà ad accedere a
tali fonti di supporto per ragioni come: ambienti inaccessibili, atteggiamenti negativi e svantaggio
strutturale.
Le donne con disabilità che incontrano la maternità; durante il loro percorso ricostruiscono il proprio sé,
rimodellano e reindirizzano le loro vite. Il contributo pedagogico in questo senso deve essere orientato ad
una sinergia con il mondo clinico, in particolare con i servizi ginecologici ed ostetrici, per accompagnare le
donne.
3. Oltre l’invisibile: il racconto dei figli di una madre con disabilità intellettiva. Una ricerca australiana sui
figli dei genitori con disabilità intellettiva ha analizzato la possibile associazione tra la disabilità dei genitori
e i risultati del bambino in termini di crescita. Alcuni risultati suggeriscono che la bassa capacità intellettiva
dei genitori può avere un impatto negativo sulla crescita del bambino, altri credono che lo sviluppo del
bambino si avvicini alla norma della popolazione. Inoltre, la rimozione dell’assistenza parentale emerge
come un rischio significativo per questo gruppo di bambini.
Attraverso l’intervista semi-strutturata, è stato chiesto ai figli di una donna con psicosi cronica e
schizofrenia di raccontare la propria esperienza di relazione con la madre per evidenziare le dimensioni
significative dell’intero processo relazionale. Il figlio di 36 ha vissuto il peggioramento della madre, mentre
la figlia di 31 anni, ha sempre conosciuto le condizioni psicofisiche della madre. çe divergenze della
percezione della propria madre, potrebbero essere riconducibili all’appartenenza di genere; infatti
sembrano parlare di due persone diverse. Nel figlio traspare una rabbia interiore non ancora sopita, mentre
la figlia la descrive come una madre presente.
3.3 L’eta’ adulta. La crescita dei figli ha seguito di riflesso le percezioni sperimentate nell’infanzia. Per il
figlio, l’insofferenza nei confronti della malattia, potrebbe essere interpretata come una riconferma della
difficoltà di accettare la sua condizione. L’esperienza che hanno vissuto li ha fatti crescere prima del
previsto e questo ha influito anche sulla loro relazione fraterna, che risulta essere molto forte. Il bisogno di
una rete sociale in grado di supportare le difficoltà della madre, è stato percepito dai figli, come risorsa e
ostacolo allo stesso tempo. Quindi vediamo che il disagio sperimentato dai figli si rintraccia nella
discrepanza tra madre reale e ideale.
4. Conclusioni e prospettive di ricerca. L’accesso alla genitorialità per le persone con disabilità non va
inteso solo come un diritto, ma come impegno per la comunità intera. Il contributo della pedagogia sociale
riveste un ruolo cruciale nella diffusione di buone prassi e di costruzione di progetti di vita. Mentre dal
punto di vista della ricerca scientifica c’è ancora molto lavoro. Il tema della genitorialità, ha anche una
dimensione culturale: infatti rientra come uno dei tanti tabù da smascherare per garantire inclusione.

9. IL VALORE E IL POTENZIALE INCLUSIVO DELL’ESPERIENZA MOTORIA E SPORTIVA

La competizione sistemica in un contesto di agonismo può generare pericolose derive, quali intolleranza e
marginalizzazione del diverso. La conquista all’accessibilità delle pratiche motorie e sportive è recente,
favorita dall’inclusione scolastica e dalla nascita di organizzazioni internazionali dedicate.
Alle persone con disabilità viene negato l’accesso ad aree comuni, creando settori separati, che risultano
non essere inclusivi, limitando la possibilità di confronto. La pedagogia speciale si propone l’impegno di
costruire un modello autenticamente inclusivo, sia nello sport professionale, sia in quello amministrativo.
Le prime forme di attività sportive per persone con disabilità risalgono ai primi anni del ‘900; quando a
Parigi si svolsero i primi Giochi Internazionali per sordi. Inoltre, dopo la 2° Guerra Mondiale, le attività
agonistiche si estesero ad altre forme di disabilità. Il neurochirurgo Guttman inaugurò nel 1944, uno dei
primi centri europei per la cura e la riabilitazione di persone con lesione spinale; per poi capire che lo sport
e il movimento promuovevano miglioramenti della qualità della vita. Negli anni successivi, Guttman, decise
di portare le Paralimpiadi a Roma, sede delle Olimpiadi del 1960.
L’Adapted Physucal Activity (APA), rappresenta un’area interdisciplinare che comprende le discipline
sportive, la riabilitazione funzionale e le scienze motorie, al servizio delle persone con difficoltà. Il suo
adattamento consiste nel trovare soluzioni alternative, per raggiungere gli scopi prefissati.
2. La competenza motoria, corpo e cognizione. Il termine competenza, si riferisce all’abilità e all’esperienza
maturate in uno specifico settore d’attività. In ambito motorio prende in considerazione aspetti differenti
dell’individuo; infatti si definisce la competenza motoria come l’interazione strutturata di competenze,
abilità motorie e comportamenti sulla base delle capacità persona e sono utili al proprio adattamento
all’ambiente. In ogni competenza motoria, interagiscono 3 dimensioni: I. Cognitiva II. Operativa III. Emotivo-
affettiva. Per essere considerati competenti in ambito motorio, è necessario integrare e mobilitare saperi
diversi, e riuscire ad applicarli a contesti differenti. Recentemente si è ripensato il ruolo del corpo e
dell’ambiente in relazione ai processi cognitivi teorizzati dall’embodied cognition, fondata sul fatto che la
cognizione è embodied, legata al corpo. L’approccio embodied è compreso nella corrente costruttivista e si
radica nell’epistemologia biologica.
Per una persona con disabilità l’aspetto motorio è importante: da una parte è capace di muoversi
correttamente nello spazio, gestendo le competenze di organizzazione spazio-temporale e migliorando
l’autonomia motoria. Mentre a livello psicologico l’atleta acquisisce maggiore sicurezza nell’ambiente
rafforzando la fiducia in sé. La competizione insegna a gestire la fatica individuando e sfidando i propri
limiti. Inoltre, si rileva una stimolazione cognitiva e attività di problem solving. Inoltre la pratica educativa
agisce positivamente sulle capacità di adattamento e socializzazione. L’attività motoria, quindi, accoglie la
persona, la sua storia,e la intreccia con altre.
3. Il corpo e il movimento nell’educazione inclusiva. Educare il corpo significa favorire lo sviluppo fisico,
intellettuale e sociale della persona. La conoscenza della propria corporeità, attraverso il movimento si
attua con l’acquisizione della capacità di controllo e coordinamento. Anche la scuola si è appropriata di
questa prospettiva: le Indicazioni Nazionali per il curricolo sottolineano l’importanza del movimento come
mezzo espressivo che accresce la sicurezza in sé e costruisce il senso del benessere. L’esperienza motoria se
svolta collettivamente, realizza il desiderio individuale di appartenere ad un gruppo. Questo dimostra come
sia possibile, attraverso l’esperienza motoria, apprendere cooperando, collaborando.
E’ importante però, valorizzare l’unicità di ognuno e che ogni proposta sia adeguata alle esigenze
individuale rispetto ai bisogni educativi di tutti. E’ importante sottolineare la dimensione ludica della pratica
motoria, in quanto il gioco non è solamente un mezzo, ma è anche uno strumento terapeutico e didattico
che aiuta a sviluppare abilità sociali. Con l’attività motoria, organizzata in gruppo, sia ludica che sportiva, si
possono creare ambienti di apprendimento stimolanti e coinvolgenti, e la disabilità può rappresentare
all’interno del gruppo, un’originale occasione di crescita per tutti.
4. Esperienza motoria, progettazione educativa integrata e orientamento. L’esperienza attraverso il corpo
accompagna da sempre la crescita persona umana. Sin dai primi anni di vita il bambino utilizza il corpo per
entrare in contatto con l’altro e con ciò che lo circonda. Attraverso il corpo il bambino esplora, scopre e
afferma la propria identità. Nella società post-moderna occidentale, il movimento è confinato in settori
rigorosamente organizzati: è difficile per i bambini giocare all’aria aperta, attivando una creatività
autonoma della dimensione ludica e sperimentando schemi motori di base. La dimensione sportiva e
motoria deve essere situata in un sistema integrato di welfare society, che propone il benessere individuale
e collettivo come obiettivo da perseguire congiuntamente. Lo sport rappresenta uno strumento educativo e
formativo che dovrebbe coniugare l’intenzionalità educativa alla tecnica della disciplina sportiva in un
frame pedagogico e valoriale. Lo sport è una delle pratiche sociali più importanti dell’età moderna, in
quanto non è solo veicolo per la costruzione dell’identità ma è anche lo strumento più significativo per
l’apprendimento e lo sviluppo di comportamenti sostenibili.
Il diritto delle persone disabili di godere della partecipazione alle attività sportive è sancito da vari
documenti:  Il World Programme of Action Concerning Disabled Persons,  Standard Rules on the
Equalization of Opportunities for Persons with Disabilities (United Nations, 1993)  Convention on the
Rights of Persons with Disabilities (United Nations, 1994) Gli ultimi due hanno aggiunto che gli Stati
dovrebbero intraprendere misure per rendere acccessibili gli impianti sportivi e le strutture ricreative.
Le esperienze vissute nel gioco e nello sport sono una variabile profondamente incisiva nel vissuto
individuale della persona con disabilità. L’imprevedibilità che l’azione motoria comporta caratterizzano la
ricostruzione dei confini del proprio mondo e favoriscono la capacità di gestire situazioni sempre diverse.

10. RIFLESSIONI E ULTERIORI RICERCHE

Tutti i contributi presente nel volume, orientano la riflessione in riferimento alla Disabled by society; ovvero
il modello sociale della disabilità in base al quale si sono evidenziate le discriminazioni ancora oggi presenti
a causa dell’azione dis-abili-tante che i contesti attuano e perpetuano. Il modello sociale è fondamentale
per chiunque voglia combattere la diseguaglianza e individuare le barriere che dis-abilitano, consente di
focalizzare l’attenzione sulle cause che impediscono l’affermazione dei diritti umani e civili e sulle azioni da
intraprendere. I diversi contributi hanno affermato l’importanza dell’autoaffermazione e
dell’autodeterminazione attraverso l’eliminazione di barriere fisiche, sociali e culturali.
Si pone quindi, una prospettiva di progetto, che va oltre la diagnosi e l’accertamento del deficit; e questa
prospettiva coinvolge le varie dimensioni educative, in famiglia e a scuola, sanitario e sociale, proponendo
una prospettiva paradigmatica che incide in tutti i contesti professionali e pluridisciplinari.
Rifondazione del modello sociale, mantenendo però il focus sui fattori ambientali. Necessità di consolidare
un’identità politica delle persone con disabilità attraverso l’empowerment che favorisca e legittimi il ruolo
sociale attivo e responsabile. La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità
continua ad essere un imprescindibile riferimento internazionale nella definizione di un modello di
disabilità strettamente connesso al processo inclusivo. L’inclusione non è soltanto insistere sulla
riabilitazione, ma accogliere lo smarrimento, il bisogno di condivisione. Si avverte il bisogno di correggere
l’idea di normalizzazione, caratteristica della prospettiva medica e medicalizzante, modificando culture
stigmatizzanti non coerenti con il riconoscimento dell’inclusione. L’inclusione si prospetta sia come fine, sia
come mezzo per la valorizzazione della persona. E’ utile quindi affermare l’accessibilità in ogni sua
declinazione: infatti questo termine non può appartenere solo a un sapere tecnico. Il senso del volume
abbraccia l’ottica evolutiva e trasformativa, narrando percorsi e riflessioni, ma soprattutto aprendo nuove
piste di ricerca, volte a sondare universi ancora inesplorati e misteriosi, come misteriosa resta l’essenza
dell’umano con o senza disabilità.

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