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Il tema dell’autonomia nella realtà urbana è dominato dalla paura di non avere
sufficiente sicurezza. Questo perché essere autonomi significa essere slegati
dall’aiuto e dal sostegno altrui, quindi si pensa di non avere abbastanza
sicurezza quando si è autonomi proprio per la mancanza di un altro individuo
che eventualmente potrebbe proteggerci in situazioni di pericolo.
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Nei percorsi di crescita all’autonomia è importante il rapporto tra controllare
ed essere controllato: “so controllare quindi non ho bisogno che altri
controllino per me”. È importante la possibilità di accedere al controllo delle
informazioni al fine di individuare quelle giuste per realizzare il proprio
compito.
L’ostacolo obliquo è un ostacolo che si presenta in maniera tale per cui colui
che deve saltare l’ostacolo può misurarsi secondo le proprie capacità e non
secondo uno standard livellato ad una certa altezza.
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Le cure ricorsive fanno riferimento all’organizzazione della quotidianità.
Introduzione
Con l’allungamento dell’aspettativa di vita, il numero dei disabili adulti in Italia
è cresciuto moltissimo. Questo fenomeno comporta la necessità di prestare
maggiore attenzione ai bisogni dell’età adulta, ma anche la richiesta di
guardare i bambini di oggi come adulti di domani per aiutarli a conquistare
un’autonomia utile nel futuro. Nel 1989, con questo obiettivo, è nato a Roma,
presso l’associazione italiana persone Down (AIPD), il primo corso di
educazione all’autonomia per adolescenti con la sindrome di Down. Il
progetto e il metodo che caratterizza questo corso è stato sperimentato anche
con ragazzi che avevano altre disabilità intellettive, dimostrando in un’efficacia
più generale.
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seguire indicazioni stradali, trovare punti di riferimento, riconoscere le fermate
dell’autobus e altro. A questi soggetti non è possibile proporre l’uso di mappe,
ma è possibile lavorare sull’orientamento tramite il chiedere informazioni e
seguire indicazioni, usando adeguati punti di riferimento nella realtà.
3) Comportamento stradale: fondamentale per l’autonomia all’esterno e
l’assunzione di comportamenti adeguati che permettono di muoversi da soli
prestando la dovuta attenzione ai veicoli in arrivo e ai vari segnali pedonali. È
necessario acquisire coscienza sulla necessità di tenere un atteggiamento che
permetta di prevenire eventuali pericoli di mantenere buone relazioni con gli
altri. Spesso, le persone disabili, anche in età adulta, vengono tenute per mano
dei propri accompagnatori, ma questo atteggiamento va eliminato perché
conferma il soggetto bambino e questo va contro la conquista dell’autonomia.
4) Uso del denaro: l’obiettivo è permettere ai ragazzi di utilizzare il denaro per
fare acquisti autonomamente. Questo processo ha delle fasi: capire il significato
e l’uso del denaro, riconoscere i diversi tagli di monete e banconote, contare i
soldi, conoscere a grandi linee il valore dei principali articoli di uso più
consueto, leggere i prezzi, fornire il denaro richiesto, comprendere quando si
deve ricevere il resto e saperlo verificare. Per sviluppare queste abilità si devono
proporre occasioni di acquisto.
5) Uso dei servizi e dei mezzi di trasporto: per cavarsela nella realtà è
necessario imparare a riconoscere e a utilizzare adeguatamente e con
dimestichezza i negozi servizi di uso più comune. Per quanto riguarda i negozi,
si tratta di saper individuare gli esercizi commerciali utili all’acquisto dei vari
prodotti. Tra gli altri servizi troviamo l’uso dei principali uffici pubblici e i
luoghi di divertimento, ognuno dei quali ha delle proprie regole che devono
essere rispettate. Infine, è importante anche sapere usufruire dei mezzi di
trasporto, per i quali sono necessarie capacità di orientamento nello spazio
(percorsi) e nel tempo (orari).
Autonomia non vuol dire solo acquisire alcune competenze, ma riconoscersi
grandi e sentirsi tali: non basta “saper fare” le cose da grandi per sentirsi
grandi, ma è necessario intervenire anche sulla costruzione di un’identità di
adolescente e poi adulto, sul “saper essere” una persona grande. Per questo è
importante lavorare sia sul possesso di abilità sia sulla percezione di se stessi.
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questo corso si è espanso in tutta Italia. Il clima che regna in questo corso è
quello di fiducia e di rispetto nei confronti del ragazzo, il quale riesce a trovare
qui maggiore motivazione a imparare e può crescere più globalmente come
persona. Vengono proposti apprendimenti a loro misura per potersi poi integrare
come singoli o come piccolo gruppo fra la gente del quartiere, delle strade, della
realtà. Infatti, la maggior parte delle attività si svolgono in strada, sui mezzi, nei
luoghi pubblici, in mezzo agli altri con i quali si impara a relazionarsi in modo
sempre più adulto e autonomo. Questa esperienza “speciale” serve per acquisire
abilità e assumere anche maggiore consapevolezza di sé e potersi, grazie a
questa, integrare meglio nella realtà. Questo cammino verso l’autonomia non è
importante solo per la conquista di nuove abilità, ma come conquista di
dignità e acquisizione di identità, nella convinzione che esista un’autonomia
possibile per tutti e per ciascuno.
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I nodi che devono ispirare l’intero stile di lavoro sono quattro.
1) Rapporto basato sulla verità e sulla motivazione: la motivazione viene
usata come stimolo per ogni apprendimento (esempio: contare i soldi per andare
a fare merenda al fast-food). La motivazione funziona solo se si scelgono
motivazioni reali e non fittizie. Inoltre, tanto più la situazione sarà vera tanto più
ragazzi si sentiranno coinvolti, importanti e spinti ad agire (esempio: se un
ragazzo chiede ad una operatrice “mi vuoi sposare?” questa non risponderà
“conosciamoci meglio”, ma dirà “non sono innamorata di te, però possiamo
essere amici”).
2) Coinvolgimento attivo dei ragazzi nelle scelte e nella gestione delle
attività: i ragazzi devono essere sempre più protagonisti delle varie attività.
Protagonismo vuol dire essere al centro della situazione con assunzione di
responsabilità. I disabili, invece, sono spesso al centro dell’attenzione, ma quasi
mai con assunzione di responsabilità. Infatti, anche se nella vita spesso gli viene
proposto un ruolo attivo, questo è sempre sotto forma di aiuto (esempio: mi aiuti
a cucinare?) come accade per i bambini. È per tale motivo che i ragazzi con
disabilità si mostrano poco disponibili (esempio: perché devo farlo se ci sei tu e
io non sono necessario?).
3) Riconoscimento esplicito del loro essere grandi come rinforzo per
l’acquisizione di ulteriori autonomie: il riconoscimento del ruolo di queste
persone si realizza attraverso il linguaggio, i gesti e i contesti. È importante
mantenere un linguaggio semplice, ma non infantile e non utilizzare gesti come
il prendere per mano che per un adolescente, se non si è fidanzati, vuol dire solo
“sei un bambino, ti guido io”. Anche le attività devono essere adeguate al loro
essere adolescenti e devono ricevere fiducia da parte degli adulti perché questo
li stimola ad avere maggiore iniziativa e coraggio nel fare le cose. Le
conversazioni devono essere reali, non devono assecondare fantasie impossibili
e si deve parlare con i ragazzi dei loro desideri e dei progetti per il futuro.
4) Percorsi e strategie personalizzate: per ogni ragazzo, a partire dall’analisi
dell’abilità già possedute, vengono posti ogni hanno obiettivi individualizzati.
Infatti, dopo due o tre mesi di attività, ad ogni ragazzo vengono proposti cinque
obiettivi concreti da raggiungere per diventare “ragazzi in gamba“. Inoltre, per
ogni ragazzo, vengono individuate delle strategie per renderlo autonomo e
talvolta vengono usati anche strumenti facilitanti che possono facilitare
l’esecuzione di alcuni compiti e fungere da ausili per il raggiungimento degli
obiettivi di autonomia (esempio: si sceglie di dare ai ragazzi un marsupio perché
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permette di avere entrambe le mani libere per estrarre e conteggiare il denaro
con più facilità).
Affinché il lavoro degli educatori sia efficace, il progetto deve essere condiviso
con i genitori, quindi deve esserci un’alleanza famiglie-educatori. Queste due
parti devono collaborare, nel rispetto dei reciproci ruoli, a camminare nella
medesima direzione, infatti per consentire ai ragazzi di diventare adulti è
necessario che anche i genitori comincino a considerarli tali.
Gli obiettivi sono: coinvolgere i genitori nella crescita dei propri figli
adolescenti, aiutarli a osservarli e a scoprirli; a capire ad esempio che uno può
non essere rifiuto chiusura, bensì desiderio di indipendenza; ad avere maggiore
fiducia nei loro figli e in se stessi; a scoprire nuovi spazi di autonomia nella vita
di tutti i giorni.
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Gli incontri con i genitori possono essere: di grande e piccolo gruppo, colloqui
individuali, contatti telefonici oppure lettere. Ci sono scambi costanti di poche
parole al termine del pomeriggio e viene usata la comunicazione epistolare per
comunicare, ad esempio, un appuntamento per raccontare un’attività, inoltre al
termine dell’anno di corso i genitori ricevono una lettera dove si relaziona sulle
conquiste sui cambiamenti ottenuti per rendere conto del cammino fatto dal
ragazzo.
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8) Le “buone abitudini” prima di uscire (documenti, portafoglio, chiavi): è
bene iniziare ad esempio con “mentre io parcheggio tu vai in casa che hai le
chiavi” fino a far diventare l’avere questi oggetti un’abitudine.
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I percorsi che si realizzano sono due: il percorso del gruppo e il percorso
individuale. Questi si intrecciano perché il miglioramento del singolo porta
anche ad un miglioramento del gruppo in cui è inserito e viceversa.
Il corso deve finire, altrimenti non si riconosce mai esplicitamente ai ragazzi di
essere grandi e si restituisce un messaggio di perenne inadeguatezza.
Al termine dei tre anni si arriva a sperimentare il “tornare da un posto
sconosciuto” che è l’occasione per verificare la capacità di mettere insieme le
varie abilità acquisite al corso.
Nel lavoro degli operatori la documentazione è importante per imparare a
rileggere la propria esperienza e per renderla trasferibile. È indispensabile tenere
un verbale delle riunioni di staff, organizzare e aggiornare le cartelle individuali
dei ragazzi e talvolta usare riprese video per le attività.
Le attività
Ogni attività nasce dall’incrocio degli obiettivi educativi con le opportunità
offerte dal territorio, dal calendario, dalla storia e dagli interessi dei ragazzi. Il
lavoro di progettazione svolto dagli operatori parte dall’individuazione delle
opportunità utilizzabili per poi poterle usare ogni qualvolta è necessario
decidere che cosa fare nel pomeriggio. Se, ad esempio, è il compleanno di
Alessandro, si può sfruttare quest'occasione per preparare una festa chiedendo
ad alcuni ragazzi di fare le proprie proposte per l’organizzazione
(comunicazione), ad altri di andare a comprare il regalo (uso dei servizi del
denaro), ad altri ancora di cercare una gelateria una pasticceria chiedendo
informazioni e indicazioni stradali ad altre persone (comunicazione,
orientamento, uso dei servizi) ecc.
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2) Traccia di osservazione iniziale: è una traccia aperta di osservazione che
viene compilata dagli operatori dopo il primo incontro di conoscenza con i
ragazzi nuovi.
I dati raccolti con questi due strumenti vengono analizzati insieme dallo Stato
per la costruzione di un profilo iniziale dei ragazzi e anche per orientare la
composizione dei gruppi di lavoro e la scelta delle prime attività da proporre.
3) Scheda di osservazione: viene compilata dagli educatori almeno due volte
nel corso dell’anno e serve a valutare i cambiamenti (analisi) e a indirizzare
l’azione dell’educatore (programmazione).
Infine, la raccolta dati tramite questi strumenti consente il passaggio di
conoscenze sui ragazzi da un operatore all’altro.
I risultati possibili
Anche se con delle diversità, tutti i ragazzi che hanno terminato il corso hanno
acquisito la capacità di spostarsi in modo più autonomo, di entrare da soli e fare
acquisti nei negozi, di farsi aiutare dagli altri avendo imparato a esprimere i
propri bisogni, ma soprattutto tutti hanno acquisito maggiore fiducia in se stessi
nella propria capacità di fare le cose da soli, nella consapevolezza di non essere
degli eterni bambini, ma di essere invece diventati grandi.
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(Ag+) e i Circoli: La prima raccoglie persone la cui età supera i 35-40 anni che
spesso hanno limitato autonomie ma bisogni sempre più adulti; mentre i circoli
nascono dai ragazzi molto più autonomi che dopo aver frequentato l’agenzia del
tempo libero sentono il bisogno di esperienze nuove e di staccarsi dalla figura
degli educatori, infatti questi ragazzi condividono un appartamento di cui
ognuno ha le chiavi e dove possono recarsi quando vogliono in autonomia e
senza un diretto controllo.
Per i ragazzi che vogliono fare vacanze estive senza genitori e per i genitori che
necessitano di un momento di pausa dai figli vengono organizzate vacanze
estive, ossia occasioni per divertirsi e sperimentare la propria indipendenza. In
questo tipo di vacanza avere una casa a disposizione è preferibile rispetto ad un
albergo o ad un villaggio con animazione perché offre più occasioni di gestione
diretta da parte dei ragazzi che devono così occuparsi della spesa, delle pulizie,
della cucina, ma anche decidere a che ora mangiare o quando andare al mare.
Inoltre, i ragazzi vengono coinvolti anche nell’organizzazione della vacanza,
con la ricerca degli orari dei mezzi, l’acquisto dei relativi biglietti e la
preparazione della valigia. La vacanza è l’occasione perfetta per sperimentare in
modo sereno la separazione dei propri genitori.
Alcuni ragazzi sentono l’esigenza di andare a vivere fuori casa. Per questo, è
nata l’idea di una casa famiglia del weekend in città, dove cominciare a
sperimentare la gestione di una casa e, al tempo stesso, la separazione dalla
propria famiglia con la consapevolezza che siamo nella stessa città, ma
facciamo cose diverse e dormiamo in case diverse. Nasce così nel 1995
Casapiù, ossia un appartamento a Roma dove ogni weekend, da sabato mattina
la domenica sera, quattro adulti con sindrome di Down, un operatore due
volontari si incontrano per trascorrere insieme il fine settimana, con la
possibilità di gestirlo e organizzarlo in piena autonomia con il coinvolgimento
di tutti nelle scelte nelle attività. urante il weekend si fanno le cose che
normalmente si fanno in una casa: preparare le stanze, rifare i letti, fare la lista
della spesa, uscire per fare acquisti, cucinare e divertirsi insieme.
Conclusioni
Oggi, più di ieri, possiamo incontrare persone disabili che girano da sole, che
fanno la spesa, che lavorano o che più semplicemente sono in grado di
occuparsi della propria persona o di aiutare in casa. Per fare questo è stato
necessario insegnare loro queste cose, ma soprattutto è stato necessario credere
che fosse possibile e dare loro fiducia.
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Comune a tutti gli educatori e l’obiettivo di farsi che i ragazzi con sindrome di
Down si percepiscono siano percepiti sempre più grandi, sempre più autonomi,
sempre più persone.
Anche chi non ha la sindrome di Down ha imparato qualcosa di più e di diverso:
ho scoperto che i ragazzi possono cambiare il nostro modo di comunicare, che
possono cambiare il quartiere, obbligando le persone a guardare negli occhi a
trovare un modo per capirli e farsi capire e rendere così il quartiere più vivibile
per tutti.
La condivisione tra operatori, volontari, ragazzi e genitori è la vera forza di tutto
questo percorso verso l’autonomia.
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