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RIASSUNTI PEDAGOGIA

CAPITOLO 1

Con la parola educazione nel corso della storia si sono indicati fenomeni diversi come:
- il processo di trasmissione culturale, diverso per ogni situazione storicamente e culturalmente
determinata, mediante il quale, all’interno di alcune istituzioni sociali viene strutturata la
persona umana e integrata nella società
- l’organizzazione di un sistema finalizzato agli scopi di cui sopra
- l’acquisizione dell’identità personale
- la promozione delle capacità personali fino alla loro piena manifestazione
- l’azione degli adulti verso i minori nel duplice senso della cultura materiale e dell’intervento volto
a “far crescere” e “provvedere all’altro”
- il risultato raggiunto attraverso le attività predisposte a scopi di sviluppo e crescita degli
individui

Quando parliamo di educazione è quasi spontaneo riferirci sia all’insieme dei valori, delle norme e
delle istituzioni di cui una società dispone per il suo ordinato sviluppo e sia ai rapporti
interpersonali attraverso i quali si realizza lo scambio di conoscenze, esperienze e sentimenti che le
giovani generazioni stabiliscono con il mondo adulto.

Resta comunque ancora valido un approccio all’agire educativo scandito da tre principali modalità
tra loro interattive:
1. una prima basata sulla necessità di PREPARARE L’INDIVIDUO IN VISTA DELL’INSERIMENTO SOCIALE, il
che significa tenere conto delle norme e forme di vita comuni e della trasmissione del
patrimonio culturale e del bisogno di provvedersi di conoscenze e competenze necessarie
2. la seconda centrata sullo SVILUPPO PERSONALE e dunque impegnata a promuovere tutte le
potenziali capacità dell’individuo, a garantire la formazione del senso personale, a contrastare
le forme palesi ed occulte di autoritarismo
3. La terza centrata sul PRINCIPIO DELLA RECIPROCITÀ TRA ADULTO E MINORE: l’educazione si svolge
infatti nella prospettiva dinamica e interattiva tra la responsabilità di un adulto che fa proprio il
compito di crescere un’altra persona e un minore che, ancora incapace e bisognoso, deve
“imparare a vivere”

Ma è possibile l’educazione? La prima questione da affrontare è l’educabilità dell’essere umano:


l’educabilità è in funzione di ciò che pensiamo siano l’uomo, il suo destino e la sua felicità.

L’educabilità costituisce un valore originario irrinunciabile. La sua realizzazione dipende ed è legata


al tempo stesso, alla constatazione che il soggetto in formazione cambia e si trasforma sia in
rapporto al trascorrere del tempo sia in relazione allo spazio e agli adulti che lo abitano.
Attraverso tali esperienze egli conquista la sua condizione ddi adulto capace di libertà e di
responsabilità.

L’educabilità si può dunque descrivere come una condizione propria della condizione umana che si
distende secondo modalità personali.
L’educabilità è quindi il processo che media la valorizzazione delle risorse originarie di ciascuna
persona e la consapevolezza che essa deve fare i conti con la dimensione della finitezza.
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GLI STILI EDUCATIVI:
Si indica una modalità stabile di comportamento e di relazione tra educatore e soggetto in
formazione che definisce il clima del contesto entro il quale si svolge l’azione educativa.
Kurt Lewin individuò tre principali categorie di stili nella vita dei gruppi: quello autoritario, lo stile
laàissez-faire e lo stile democratico.; ma soltanto lo stile democratico poteva ritenersi pienamente
educativo.

LO STILE DIRETTIVO O DELL’AUTORITÀ: ha come caratteristica la capacità di persuasione, si da grande


rilievo all’autorità intesa come autorevolezza e non come autoritarismo.
Però quando l’autorità diventa autoritarismo il modello direttivo perde la sua efficacia e si rivela
dannoso.

LO STILE NON DIRETTIVO O DELLA LIBERTÀ: si considera lo sviluppo dell’io personale a partire dalla
piena e autonoma valorizzazione delle risorse proprie della persona umana.
L’educatore è visto come organizzatore di esperienze.
C’è il rischio se la libertà è semplicemente l’esito di trascuratezza familiare o scolastica lo stile non
direttivo diventa una forma educativa incapace di sostenere la crescita della persona.

LO STILE RELAZIONALE O DELLA COOPERAZIONE: l’attenzione si concentra sull’autenticità e reprocità


del rapporto tra i due soggetti dell’azione educativa.
I rischi si verificano quando si verifica la confusione dei ruoli es. adulto che per farsi accettare
diventa amico.

I processi educativi dipendono dalle situazioni e dai luoghi in cui essi si svolgono.
Situazioni e luoghi possono essere intenzionali o formali, non formali e informali.

Parliamo di CONTESTI EDUCATIVI FORMALI quando ci si riferisce a ambienti per loro natura desinati
all’educazione come ad esempio la famiglia o la scuola.
Il progetto educativo è solitamente esplicito.

I CONTESTI EDUCATIVI NON FORMALI sono connotati dalla loro collocazione esterna ai sistemi di
istruzione e di formazione, dal perseguimento di scopi non intenzionalmente educativi e spesso
essi sono scelti di proposito dagli interessati.

L’EDUCAZIONE INFORMALE si compie nella realtà quotidiana ed è il frutto di conoscenze pratiche e


contestuali alla vita personale e associata ma scaturisce dalla necessità di risolvere problemi
quotidiani.
Un esempio è quella legata all’impiego dei mezzi di comunicazione tecnologica e alla partecipazione
della vita in rete.

I caratteri specifici dell’educazione


L’educazione intenzionale o formale in questo ambito ha alcuni vincoli intorno ad alcuni aspetti:
a. il concetto di oltrepassamento e di divenire nel senso che qualsiasi intervento educativo
presuppone scavalcare un confine
b. l’intenzione educativa intesa come deliberato proposito di creare le condizioni e di porre in atto
iniziative volte a promuovere la personalità di un soggetto non ancora autosufficiente oppure
già adulto ma desideroso di essere aiutato ad impadronirsi di ulteriori conoscenze
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c. la processualità, l’intervento educativo non si esaurisce in un atto singolo o in un’azione di
breve durata. Tra i processi educativi primari rientrano:
- la costruzione dell’identità personale
- l’elaborazione del senso personale
- il dimensione dell’apparenza
- la partecipazione operativa attiva
d. La gradualità predispone le attività in modo da evitare sia fenomeni di aduliamo sia fenomeni di
ritardismo

COSA NON È L’EDUCAZIONE


1. L’educazione non è sinonimo di sviluppo. Lo sviluppo è un concetto che appartiene alla cultura
biologica e psicologica
2. L’educazione non è riconducibile al concetto di socializzazione
3. L’educazione non è assimilabile neppure ai servizi in favore della persona, ma resta pur sempre
una profonda differenza tra il servizio alla persona e l’educazione
4. L’educazione è un’esperienza diversa dalla cura. La categoria della cura è legata alla mancanza e
al bisogno e all’idea di uomo debole, incapace in trovare in se stesso le capacità fondamentali
per la propria realizzazione.
5. L’educazione non è un’azione di addestramento, espressione con la quale si indica l’insieme di
azioni volte a far acquisire destrezza, comportamenti standardizzati in determinate situazioni e
capacità concrete di intervenire in situazioni che si ripetono con caratteristiche molto simili,
soffocando qualsiasi iniziativa del soggetto.

FORMAZIONE
Il suo significato originario ha subito una profonda trasformazione.
Particolare attenzione fu riservata all’aggiornamento professionale e tecnico di grandi masse di
adulti, ed era necessario avviare processi di formazione permanente e ricorrente per garantire il
massimo di conoscenze possibili lungo tutta la vita.

L’irrompere della formazione nel senso appena descritto - ossia con uno stretto rapporto con i
contesti economici e professionali - ha prodotto alcune importanti novità:
a. la necessità di pensare la vita adulta come uno spazio di continuo arricchimento della
condizione personali (lifelong learning)
b. la definizione di una nuova disciplina per la realtà adulta
c. il riconoscimento che il lavoro è un’esperienza importante per la maturità della persona
d. si preferisce l’introduzione a un ampio spettro di competenze
e. l’esigenza che la scuola sia interattiva con gli ambienti professionali
f. iniziative rivolte ad adulti e anziani

I rapporti tra educazione e formazione sono, dunque, passati dalla sostanziale identificazione a una
più netta distinzione
Risulta dunque più utile individuare le analogie e sinergie che coinvolgono interattivamente
educazione e formazione allo scopo di considerarli non come momenti distinti ma come aspetti di
uno stesso problema a cui ciascuna parte offre qualcosa di significativo:
- prospettiva intenzionale
- l’accoglienza e la risposta ai bisogni del soggetto
- l’incidenza delle esperienze relazionali
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- il rapporto con l’etica
- la costruzione della cittadinanza intesa come modalità della convivenza e come tensione verso il
perseguimento del bene comune

L’ISTRUZIONE
È impiegata per designare l’attività mediante la quale si impartiscono e si apprendono nozioni,
conoscenze e abilità e sono legate le nozioni di apprendimento.
La nozione di apprendimento è più ampia e complessa di quella relativa all’istruzione. L’essere
umano apprende infatti in vari modi nel corso del suo sviluppo.

È però aperto un dibattito: alla scuola spettano anche compiti educativi oppure la sua funzione è
strettamente legata alla trasmissione del sapere?
Non vi può essere istruzione senza che essa sia intrinsecamente educativa.
Inoltre la scuola sarebbe il primo e fondamentale laboratorio nel quale si vivono le regole che,
seguito, guideranno la partecipazione alla vita sociale.
L’istruzione in altre parole si dovrebbe configurare come un sapere misurabile, sperimentale e
programmabile di natura diversa dai processi educativi aperti.

La scuola tradizionale si trova sotto attacco anche dalle risorse online per due ragioni:
a) la rete offre una quantità inimmaginabile di dati
b) il modo di avvalersene è molto più accattivante della normale vita d’aula

La necessità di “saper scegliere” tra le offerte della rete implica la capacità di attivare processi
idonei a sperimentare forme di apprendimento problem solving e a stabilire gerarchie di qualità
nelle informazioni apprese.
Il web è semplicemente un’opportunità e uno strumento di lavoro, e come tale è una possibile
risorsa da valorizzare.

Un altro grande dibattito è se la scuola così come è organizzata oggi (la cui origine è da far risalire al
600/700) è ancora funzionale alle esigenze delle società attuali.

Secondo alcuni studiosi sarebbe rischioso puntare tutto sulla riforma della scuola:
come dovrebbero essere ri-professionalizzati i milioni di docenti che operano attualmente
nell’insegnamento scolastico? A chi competerebbe certificare i risultati acquisiti in forma libera
attraverso l’eventuale auto organizzazione della conoscenza?

Il lavoro pedagogico indaga e da sistemazione alle azioni pratiche che si svolgono nei luoghi
dell’educazione, della formazione e dell’istruzione/apprendimento. I suoi oggetti di studio sono:
- le finalità dell’intervento educativo
- le modalità attraverso cui perseguirlo
- le relazioni che si stabiliscono
- le condizioni di tempo e di luogo
- i contesti nei quali esse si svolgono
- la gradualità e la natura culturale dei contenuti veicolati

Perché studiare pedagogia? Per rispondere a questa domanda occorre in primo luogo riflettere
sulla natura propria dell’approccio pedagogico all’educativo.
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Il pedagogista infatti non si limita a stabilire come “stanno le cose” ma cerca di rispondere, per un
verso, agli interrogativi legati al “perché agire” e si prefigge di indagare il “come agire”.

La pedagogia rientra in quei saperi pratici che non si nutrono soltanto di analisi teorica.

I valori sono esterni all’uomo. I valori possono svolgere un ruolo importante, ma solo se essi vivono
in un’esperienza visiva e se gli adulti per primi sono capaci di tradurli in azioni concrete.

La pedagogia come costruzione di un sistema di relazioni.


Questo significa che il soggetto in formazione ha bisogno di sperimentare una relazione
accogliente nella quale si è accompagnati ed attivati sia sul piano della vita affettiva sia in ordine
alla vita intellettuale come capacità di ascolto e di comprensione, di interpretazione e di giudizio.
Questo tipo di relazione umana è definita “generativa” nel senso che da vita e significato alle
esperienze di volta in volta compiute.
Il presupposto dell’agire educativo è infatti la dimensione generativa umana.
In altre parole l’educazione ha bisogno di relazioni semplici e buone attraverso le quali si crea un
reciproco scambio fatto di vicinanza e di emozioni positive il cui prototipo è l’agire.

La pedagogia intesa come “sapere pratico” evita due rischi tra loro opposti:
a) considerare la pedagogia niente più che una filosofia applicata
b) semplificare/ridurre la pedagogia a metodologia ed esercizio didattico

Un duplice scopo: studiare pedagogia e saper fare pedagogia


Questo libro è finalizzato a studiare pedagogia e non a saper fare pedagogia.

CAPITOLO 2

La valorizzazione delle risorse intellettive e il miglioramento delle modalità attraverso le quali


l’uomo s’impadronisce del sapere, costituisce da sempre un oggetto privilegiato della riflessione
pedagogica.
La conoscenza è infatti una qualità costitutiva dell’esistenza umana e la sua acquisizione richiede
l’esercizio di apposite abilità da parte di chi insegna e specifiche disposizioni da parte di quanti
apprendono.
Insegnare e apprendere costituiscono le due facce di un medesimo problema: come favorire e
potenziare le conoscenze dell’uomo.

Nell’ambito della cultura psicopedagogica statunitense si svilupparono due linee di tendenza:


La prima, nata dalla cultura comportamentismo, si concentrò nella ricerca di strategie più
efficaci per migliorare la qualità dell’insegnamento, puntando alla razionalizzazione e
programmazione dei processi didattici.
La seconda, di matrice cognitivista, privilegiò invece il rafforzamento delle potenzialità
conoscitive, esaltandone le capacità di autoapprendimento e di trasferimento del sapere.

Gli esponenti più emblematici sono Skinner e Bloom da una parte e Bruner e Ausebel all’altra.
I primi si impegnarono principalmente a pianificare le condizioni esterne dell’apprendimento, i
secondi si interessarono soprattutto all’indagine delle strutture mentali attraverso cui
l’apprendimento si svolge.
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L’attenzione di Skinner e Bloom si rivolge soprattutto alle pratiche d’insegnamento.
Si tratta di organizzare i contenuti in forme sequenziali costruite attraverso la concatenazione di
cause/effetti in vista del conseguimento di un obiettivo generale.

Su questa base teorica Skinner innesta la teoria dell’istruzione programmata, dove gli studenti
apprendono in modo graduale, lineare e sequenziali, iniziando con la soluzione di un problema
semplice e progredendo fino a compiti più complessi.

Bloom, a sua volta, parte dal presupposto che le capacità potenziali del soggetto che apprende sono
condizionate soprattutto da tre fattori: tempo, assistenza didattica e i controlli che si mettono in
atto durante l’insegnamento.
La padronanza di ciò che si apprende dipende cioè più dalle forme con cui si attua l’insegnamento
che dalle disposizioni personali. Tali forme sono individuate:
a. in un modello organizzato per unità didattiche stabilite in funzione di obiettivi
b. in batterie di prove di verifica da somministrare agli alunni per individuarne ritardi e lacune e
predisporre specifiche attività di recupero

Bruner e Ausebel rivolgono la loro attenzione all’analisi strutturale della conoscenza,


soffermandosi in particolare sui processi di connessione e di derivazione che fanno scaturire
un’idea dall’altra.
Si definisce “scatola nera” la mente umana, e Bruner e Ausebel sono interessati ai processi che
governano quanto entra nella scatola nera e quanto ne esce.

Per Bruner la conoscenza più efficace è perciò quella che riproduce il processo di scoperta
scientifica mediante l’attivazione di uno sforzo induttivo con il quale si procede “oltre”
l’informazione fornita in modo diretto.

La capacità o meno di “trasferire” una conoscenza costituisce la spia che rivela se l’apprendimento è
avvenuto oppure no.
Mentre Bruner individua diverse modalità cognitive che possono essere autonome fra loro,
Ausebel privilegia l’aspetto della conoscenza pragmatica sottolineando la superiorità del
ragionamento formale rispetto ad altre forme di pensiero.

Nella teoria di Ausebel risulta infatti fondamentale la nozione di “struttura cognitiva” intesa come
l’insieme delle conoscenze che sono possedute dal soggetto in un determinato momento e
influenzano il senso dei contenuti appresi.
Per imparare in modo significativo occorre poter collegare la nuova informazione con proposizioni
già possedute, attraverso un lavoro di selezione e identificazione dei concetti principali che si
esplica attraverso i due processi complementari dell’analisi e della sintesi.

LE PEDAGOGIE DELL’INSEGNAMENTO
Le psicologie dell’educazione di cui si è detto fin qui sono dominate da un approccio che valorizza
soprattutto la razionalità cognitiva.

LE PEDAGOGIE DELL’APPRENDIMENTO
L’attenzione si trasferisce dalle procedure ai processi, dai risultati intesi in termini di contenuti alla
promozione della capacità soggettiva di apprendimento.
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Le finalità di queste pedagogie è in sostanza quella di portare l’allievo alla capacità di apprendere in
modo personale.

Cambiano anche gli strumenti valutativi, non più di natura quantitativa, ma a struttura descrittivo-
comprensiva.

La didattica della ricerca spesso ordinata nella forma del problem solving si propone di far
sperimentare all’allievo i passaggi essenziali dell’indagine scientifica.

I saperi crescono e l’individuo presenta limiti cognitivi. Da qui l’esigenza di individuare idee generali
della disciplina da impiegare come architravi per la lettura dei fenomeni ad essa riconducibili.

Da un lato i saperi vanno ricostruiti nei loro elementi generativi e disegnati secondo il loro ordine
costitutivo (strutture disciplinari) dall’altro il soggetto va orientato a esercitare attivamente i
processi mentali più potenti ed economici (strutture cognitive).
L’insegnamento si configura come un’attività che offre occasioni di tirocinio dalle strutture
cognitive attraverso la mediazione delle strutture disciplinari, rappresentandole secondo i codici
congrui con le fasi evolutive del soggetto.

Secondo lo strutturalismo didattico non conta insegnare e apprendere molte cose ma conta
piuttosto capire come i prodotti della cultura sono stati raggiunti.

Bruner propone un’immagine della mente umana soprattutto come capacità di riflessione e di
discorso e non soltanto come funzione per la costruzione di associazioni mentali e problemi da
risolvere.
Comprendere significa quindi cogliere il posto occupato da un’idea, ovvero saper attribuire un
significato rispetto ai sistemi culturali di riferimento.

L’APPROCCIO COSTRUTTIVISTA
Nel settembre del 2000 a Ginevra si è svolto il simposio internazionale durante il quale
postpiagetiani europei e statunitensi hanno approfondito i processi educativi e i rapporti fra le
varie declinazioni del costruttivismo.

Il costruttivismo è una teoria del soggetto che si autocostruisce integrando contemporaneamente i


prodotti culturali e i processi mentali.
Il costruttivista è del tutto a-realista. poiché non ammette che esista qualcosa nella mente
definibile come una rappresentazione del mondo “la fuori”.

La cognizione è un adattamento interno dello stato psicofisico del soggetto e cioè la


riorganizzazione delle proprie esperienze che non pretendono in alcun modo di rappresentare lo
stato del mondo.
Pensare significa eseguire un’azione sugli oggetti e una trasformazione degli oggetti.
Il pensiero è uno strumento che permette all’individuo di adattarsi a nuove circostanze.
Il centro di controllo risiede all’interno delle persone e gli atteggiamenti/comportamenti vengono
costruiti di volta in volta in modo originale.

Non esiste quindi una realtà fuori di noi e un’altra dentro di noi.
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Conoscere non significa quindi osservare la realtà rispecchiandola, scoprirvi relazioni e nessi, bensì
piuttosto costruire ipotesi interpretative valide ed efficaci per sapersi orientare nelle diverse
situazioni.
Il soggetto da semplice scopritore diventa inventore della realtà.
Ogni conoscenza si configura valida fino a quando risponde agli obiettivi di adattamento richiesti al
sonettò dell’esperienza. Solo quando le strutture di conoscenza si manifestano inadeguate, si attiva
un nuovo processo costruttivo.

Questa impostazione centrata sui processi individuali è stata poi arricchita da costruttivismi sociali
che hanno sottolineato come la conoscenza si svolga sempre entro un contesto che essa influenza e
da cui è influenzata.

La realtà e i prodotti di conoscenza sono interpretati come risultanti da processi di scambio,


dialogo e negoziazione sociale.
Sulla base di questi presupposti generali scaturiscono alcune linee guida circa la gestione
pedagogica e delle attività didattiche:
a. principio della negoziazione: la costruzione della conoscenza è basata sia su una modalità di
“negoziazione interna” (ovvero sull’articolazione di modelli mentali che vengono impiegati per
spiegare, predire, riflettere sulla loro utilità) sia su forme di “negoziazione sociale” perché la
conoscenza non è mai fine a se stessa
b. principio della riproduzione: il processo di apprendimento non è efficace se non sfocia in forme
di conoscenza, sempre più varie e complesse
c. principio del contesto: l’apprendimento è favorito dall’immersione entro contesti di vita reale
d. principio della padronanza degli strumenti cognitivi: la conoscenza risulta più efficace quando è
si è consapevoli della strumentazione concettuale a disposizione
e. principio della collaborazione tra chi apprende e l’insegnante: a cui spetta non solo
sovrintendere sull’acquisizione degli apprendimenti, ma predisporre gli ambienti più consoni
allo scopo

Von Glaserfeld ha nominato questi cinque punti come i comportamenti virtuosi degli insegnanti
che intendono opporre il sapere concettualizzato.
Perché gli allievi siano attivi occorre aiutarli a ricostruire i percorsi mentali che li hanno portati a
determinate conclusioni: è più importante saper ragionare che apprendere nozioni astratte.
Occorre che gli insegnanti impieghino un linguaggio comprensibile e non specialistico.
Nella prospettiva costruttivista il ruolo del soggetto che apprende costituisce un imprescindibile
punto di partenza.
Egli viene concepito come l’attore principale capace di costruire e interpretare il mondo per
adattarsi ad esso non in forma statica ma attiva.

Nella modalità costruttivista l’apprendimento si svolge all’interno di progetti bene articolati


piuttosto che in forma di problemi isolati; gli studenti vanno orientati non solo al problem solving
ma anche al problem finding e cioè alla scoperta di problemi emergenti a mano a mano che la
situazione si dipana.

PEDAGOGIA DIFFERENZIATA = anziché muovere dalla ricerca del metodo più funzionale, si sono
esplorate le diverse caratteristiche della mente umana.

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Il fulcro della pedagogia differenziata e del “contratto” consiste da un lato nell’ordinare il lavoro
scolastico a misura degli allievi secondo pratiche e tecniche individualizzanti ormai consolidate e
nella moltiplicazione dei metodi e delle prassi didattiche in funzione delle differenze esistenti fra gli
allievi stessi.
Dall’altro è previsto che gli allievi sottoscrivano un vero e proprio contratto che si impegnano ad
onorare.
Lo scopo è associato alla responsabilizzazione personale.
La creazione di contesti di apprendimento individuali o a piccoli gruppi, ha lo scopo di favorire il
rispetto e la valorizzazione delle diversità cognitive degli allievi.
Questo principio si traduce sul piano pratico a) nell’organizzazione flessibile della classe con
molteplici percorsi di apprendimento b) nella riflessione sulle strategie di apprendimento e c) nel
potenziamento delle capacità personali.

a. La differenziazione riguarda l’impiego di varie prassi di lavoro didattico predisposte in rapporto


alle diverse situazioni di apprendimento
b. La costruzione personale del sapere richiede anche l’elaborazione progressiva e continua di
strategie personali di apprendimento
c. Il potenziamento delle capacità cognitivi: è possibile che si creino condizioni positive, e lo scopo
è quello di organizzare e definire un “progetto comune” nel quale gli obiettivi non sono
aprioristicamente predeterminati ma costruiti in ragione delle difficoltà incontrate.

Howard Gardner afferma che ogni individuo fa uso in modo prevalente di un’intelligenza o di una
combinazione di intelligenze attraverso cui seleziona, organizza e memorizza gli apprendimenti.
Ciascun soggetto, in altre parole, è connotato dall’intreccio di diverse intelligenze presenti in grafo
differente e in rapporto l’una con l’altra.

Gardner critica l’impiego dei test per misurare l’intelligenza e gli apprendimenti perché volti a
rilevare solo due tipi di intelligenza, quella linguistica e quella logico-matematica.

Per attrezzare l’uomo a queste nuove sfide Gardner individua tre principali esigenze: saper gestire
un ambito della conoscenza e del lavoro; razionalizzare le informazioni e esercitarsi nel pensare
fuori dagli schemi per produrre nuove idee e nuovi modi di operare.

La personalizzazione punta a formare persone capaci di essere autosufficienti, attive e creative


nella valorizzazione delle caratteristiche personali.
I principali punti di riferimento pedagogici della personalizzazione sono i seguenti:
- piena sintonia con il paradigma cognitivo-costruttivista: stretto rapporto tra l’efficacia del
sapere, la padronanza delle competenze e le modalità con cui esse sono direttamente elaborate
- valorizzazione dei processi di comprensione
- formazione di buone abitudini utili all’individuo per apprendere lungo tutta la vita e per
partecipare, discutere e condividere con gli altri le sorti della società

Più le persone hanno coscienza di ciò che si richiede loro, più si pongono le condizioni perché il loro
apprendimento sia efficace.
La personalizzazione ambisce a modificare anche il “fuori della scuola”

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Il futuro dei sistemi d’istruzione andrebbe disegnato in forme meno scuolacentriche e più
policentriche.
Lo scopo è quello di far interagire formale e non formale.
Così considerati i processi educativi risultano da un lato l’esito dell’interazione di istituzioni e
agenzie che agiscono nell’educativo/formativo e dall’altro, sono espressione di un sistema sociale
vitale, capace di rispondere con pertinenza e concretezza alle aspettative educative.

Due tesi:
Nella prima si ritiene che la mente è riducibile a un puro dato biologico: non ci sarebbe più
spazio per la coscienza come un tratto essenziale della persona umana
La seconda ritiene invece che l’identificazione mente/cervello sia una indebita e non
giustificata semplificazione.

A questo riguardo occorre distinguere:


a. le indicazioni generali che scaturiscono dagli studi sulla mente e forniscono alcuni criteri di cui
tenere conto nell’agire comunicativo
Si possono segnalare:
- la plasticità del cervello intesa come la capacità continua di ristrutturazione del
rapporto con l’ambiente
- la mente incorporata nel senso che mente e corpo costituiscono un tutt’uno e
razionalità ed emotività si influenzano reciprocamente. Le emozioni inoltre
costituiscono un modo di arricchire le nostre conoscenze.
- mente estesa
- inconscio cognitivo

b. questioni più specifiche legate a singoli problemi come ad esempio le diagnosi precoci delle
difficoltà di lettura ecc..

COOPERATIVE LEARNING
È l’apprendimento cooperativo e si basa sulla naturale disposizione dell’essere umano alla
socializzazione sulla quale far leva non solo per favorire l’inserimento nella vita sociale ma anche
per agevolare l’apprendimento e migliorare le competenze cognitive.
Inoltre si basa sul presupposto che l’apprendimento si possa compiere in forma diretta e
asimmetrica anche in forme orizzontali e simmetriche.

Il Cooperative learning è una corrente pedagogica nella quale confluiscono esperienze maturate in
contesti ambientali e culturali diversi.
Il gruppo cooperativo è tenuto insieme innanzi tutto dalla condivisione di un obiettivo comune e
deve soddisfare alcune altre caratteristiche tenute insieme dal principio dell’interdipendenza
positiva:
- essere percepito da ogni componente come vitale
- essere accettato o condiviso da tutti i membri del gruppo
- indurre alla sfida: il gruppo va percepito come necessario rispetto all’obiettivo da conseguire

Un altro punto qualificante del Cooperative learning è il cosiddetto “clima” entro cui si svolge
l’esperienza. Il clima può essere immaginato come una condizione distribuita a vari livelli.

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Il clima nasce per lo più da occasioni informali e occasionali come, per esempio, i comportamenti
che esprimono atteggiamenti di stima, rispetto e accettazione reciproca. Esso si alimenta
attraverso l’assistenza. e il clima potrebbe essere definito come lo “stile” relazionale che consente
di mettere a proprio agio gli altri, soprattutto i compagni di lavoro e di “sentirsi e stare bene” con
loro.
L’efficacia del lavoro cooperativo dipende infine dallo sviluppo di competenze sociali adeguate.

Una delle osservazioni critiche ricorrenti a proposito del Cooperative learning riguarda il rischio di
attenuare la responsabilità individuale.

Edgar Morin afferma che la vita, l’evoluzione, il cambiamento e l’apprendimento nascono e si


sviluppano in forme perturbate, all’interno di situazioni instabili e di turbolenza.

Morin sottolinea che la società contemporanea è a-centrica senza gerarchie prestabilite.


L’uomo deve imparare dunque a convivere all’interno delle reti, dei sitemi complessi e delle rotture
simmetriche.

La vitalità del pensiero umano risiederebbe perciò nella sua capacità di muoversi come mente
ecologica e dunque nella possibilità e nella capacità di reagire, inviare e ricevere messaggi, di essere
interattiva, di imparare dall’errore.

Il nostro tempo sarebbe scandito, secondo Morin, da alcune sfida cognitive ed educative che
rimescolano le carte rispetto al passato.

L’ATTITUDINE GENERALE
La “riforma di pensiero” in grado di assicurare “teste ben fatte” è affidata alla formazione di due
fondamentali “attitudini”. In primo luogo Morin parla dell’attitudine generale.
Si tratterebbe di incoraggiare e spronare l’esercizio del dubbio.

Saper convivere e saper gestire l’incertezza si intreccia con la consapevolezza di una condizione
umana e costituisce una delle condizioni per il successo educativo.

L’ATTITUDINE A CONTESTUALIZZARE
Riguarda la “padronanza dei processi di contestualizzazione”. Morin si affida all’immagine del
“pensiero ecologizzante”. Infatti situa ogni evento, informazione e conoscenza in una relazione di
inseparabilità con l’ambiente culturale, sociale ed economico.
La conoscenza isolata dei dati e delle informazioni non è sufficiente; perché essi abbiano senso
vanno situati in un contesto.

Il pensiero diventa così anche “pensiero del complesso” perché si tratta di ricercare sempre le
relazioni e le inter-retroazioni tra ogni fenomeno e il suo contesto, le relazioni reciproche tutto-
parti.

IL PENSIERO CHE INTERCONNETTE


Esso postula nuove modalità e forme organizzative dell’apprendimento.
L’impianto disciplinare corrisponde a una concezione del sapere relativamente stabili nei loro
paradigmi essenziali, anche se in continuo accrescimento quantitativo.

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I processi di apprendimento dovrebbero invece svolgersi in modo tale da garantire
l’intercomunicazione tra differenti campi di conoscenza.

UN APPRENDIMENTO FATTO DI RELAZIONI


Per raggiungere questo scopo occorre mettere in atto processi di costruzione in grado di
promuovere saperi senza chiusure definitive.

L’apprendimento sarebbe perciò l’esito di un’esperienza contestuale/ecologica.


Soltanto attraverso la riforma del “pensiero che interponete” si può rispondere a problemi globali
del nostro tempo.

Morin individua infine due super-saperi per il futuro dell’umanità: l’educazione alla comprensione e
la formazione all’”identità” e alla coscienza terrestre intesa come consapevolezza di un comune
destino che unisce tutti gli uomini del pianeta.

TEORIE DELLA FORMAZIONE


Sono centrate sulle condizioni e le prassi riguardanti l’apprendimento in età adulta.
È cresciuto in seguito a una duplice spinta:
- la constatazione che l’uomo si modifica in modo permanente, compie esperienze, attraversa ruoli
diversi e, dunque, può essere soggetto di educazione per l’intero ciclo della vita
- le esigenze del mondo del lavoro e delle professioni che sollecitano sforzo continuo di
riallineamento delle competenze

Un primo contributo alla definizione delle teorie della formazione giunse negli anni 50 con
l’alfabetizzazione.
Il concetto di alfabetizzazione fu tuttavia rapidamente superato in favore a quello di “educazione
permanente”.
Si cominciò a pensare alla formazione come a un processo disteso per tutto il corso della vita-
Queste ambiziose visioni del futuro si intrecciarono con il rinnovamento delle strategie e dei
metodi formativi in campo produttivo e aziendale.

Il lifelong learning è un’educazione volta alla piena realizzazione personale e/o un’attività piegata
nel senso delle esigenze di aggiornamento delle comunità.

Kurt Lewin ⟶ teoria del campo


Il concetto di campo è inteso come la totalità dei fattori coesistenti considerati come
interdipendenti ed è di fondamentale importanza il ruolo dell’ambiente.
L’intreccio unitario di ambiente e persona delimita lo spazio di vita.

La teoria del campo è al tempo stesso un metodo per analizzare le relazioni causali e un’insieme di
costrutti per descrivere e interpretare i fenomeni psicologici e sociali.

Malcolm Knowles ha ridefinito il quadro teorico della formazione adulta situandolo in una nuova
disciplina: l’andragogia

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La prospettiva andragogica è connotata soprattutto dalla convinzione che gli adulti abbiano
interessi e capacità diversi da quelli dei soggetti in era evolutiva e che l’approccio formativo debba
svolgersi secondo linee centrate sull’esperienza e con modalità meno direttive.

Questa tesi poggia su alcuni presupposti che Knowles individua nei seguenti punti:
- il bisogno di conoscere
- il concetto di sé come discendente: gli adulti desiderano essere considerati e trattati come
persone in grado di gestirsi in modo autonomo
- il ruolo dell’esperienza: con un’esperienza personale che costituisce un fattore determinante per
il successo/insuccesso degli apprendimenti
- disponibilità ad apprendere in funzione di bisogni reali
- importanza delle motivazioni

Il modello andragogico assegna inoltre particolare rilevanza al contesto nel quale si svolge
l’apprendimento. I fattori che determinano il buon esito sono così individuati:
- un clima favorevole
- la progettazione comune d’intesa tra i formatori e i discenti
- l’individuazione di obiettivi
- la disponibilità di esperienze di apprendimento in cui esercitarsi in forma attiva
- la gestione comune del programma intesa come facilitazione del processo di apprendimento
- la valutazione finale rappresentata come la verifica del raggiungimento o meno di nuovi livelli di
competenze

LA CRITICA …
Presentare l’andragogia come il momento dell’educazione autorietta e attiva e la pedagogia la fase
dell’educazione eterodiretta e passiva si configura come una lettura troppo schematica che
sottovaluta l’incidenza della pedagogia attiva che, come è noto, valorizza molto l’iniziativa
dell’allievo.

… LA RISPOSTA
Il modello pedagogico ne costituirebbe la fase iniziale e il modello andragogico andrebbe
identificato come la fase matura e attiva.

Jack Mezirow afferma che è fondamentale imparare a riflettere sulla propria esistenza
Emancipatory learning = processo in senso ricostruttivo non solo della quantità delle conoscenze,
ma soprattutto degli schemi mentali su cui esse si poggiano.

Mezirow propone una drastica alternativa tra l’uomo della risposta e l’uomo della domanda.
L’uomo della risposta ha bisogno di certezze, è a suo agio solo nella sicurezza, cerca ripari e
rifugi, più risposte ha a sua disposizione più si sente ricco ed equipaggiato. L’uomo della risposta
invece si appella alla logica per dimostrare la verità.
L’uomo della domanda non ha certezze, sa che non esiste altra sicurezza che la capacità e la
forza d’animo necessarie per affrontare situazioni e problemi con la dovuta competenza e che tutte
le altre sicurezze sono illusorie.

Donald A. Schon affronta il tema della preparazione dei professionisti.

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In questi casi la formazione va vista come un processo che esalta l’autonomia e l’iniziativa del
professionista stesso.
Segue il modello della razionalità pratica, basato cioè sulla capacità riflessiva ovvero di far tesoro
delle esperienze.

Il repertorio delle pratiche forma il bagaglio esperenziale del professionista.


Naturalmente questo bagaglio si può rivelare anche controproducente, se, anziché essere una base
per l’ulteriore arricchimento, si manifesta nelle forme di un repertorio scontato, rigido e ripetitivo.

Per scongiurare un tale pericolo occorre assicurare una formazione capace di rinnovarsi:
- capacità di scomporre le strutture della realtà e di ricercare modi alternativi di organizzarla
- sistemazione ordinata e organica di casi da cui attingere per affrontare i problemi e le situazioni
nuove
- conoscenza delle principali teorie di ciascun sapere professionale per orientarsi in campi non
ancora esplorati o che si presentano con tratti inediti
- comprensione della riflessione nel corso dell’azione

Apprendimento organizzativo = basato sul presupposto che la sede dell’apprendimento è la realtà


organizzata nella quale agiamo.

L’apprendimento organizzativo si caratterizza per la capacità di comprendere e far emergere la


creatività dei singoli.
Si articola intorno a tre fasi successive e concatenate:
- trasformazione dell’informazione in conoscenza (fase di arricchimento personale)
- trasformazione delle conoscenze in sapere (passaggio dalla conoscenza individuale alla
padronanza del sapere da parte dell’organizzazione)
- trasformazione del sapere in comportamenti operativi

L’apprendimento organizzativo rappresenta perciò il principale veicolo attraverso cui è possibile


favorire l’accrescimento delle risorse cognitive esperenziali e culturali che consente alle
organizzazioni sopravvivenza e sviluppo.

Muta dunque il modo di guardare le competenze, che assumono sempre più una dimensione
socializzata.

Etienne Wenger dedica alcuni studi alla comunità di pratica, che ha una visione meno
efficientissima con una più forte sottolineatura degli interessi individuali e dell’intensità delle
relazioni interpersonali.
Per comunità di pratica di intende un gruppo di persone che è impegnato in una impresa condivisa e
allo scopo di raggiungere il migliore risultato per far circolare conoscenze e competenze.

La comunità di pratica è perciò al tempo stesso partecipazione e reificazione. Con la prima


espressione s’indicano i processi di socializzazione tra i partecipanti, per reificazione s’intende il
processo con cui si da forma all’esperienza, producendo vere e proprie “entità materiali” prodotte
dall’esperienza nelle quali si da forma a un’idea.

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Qualunque comunità di pratica è l’esito di un’intreccio di relazioni interpersonali, di nozioni
esplicite e tradotti in attività concrete.

Bertrand Schwert afferma che le prospettive del lifelong learning vanno orientate ad assicurare
maggiore equità nella fruizione dei diritti educativi ed a creare una democrazia autentica e cioè
solidale.
Lo studioso rifiuta la tesi della fatalità dell’esclusione e dimostra che si possono trovare soluzioni
idonee a riconciliare i soggetti trascurati dalla scuola con la conoscenza e il lavoro fino a rimetterli
nel circuito produttivo.

Schwartz lamenta inoltre la persistenza di alcuni pregiudizi che condizionano ulteriormente


l’efficacia della formazione dei soggetti deboli.

L’apprendimento non può essere standardizzato ma va commisurato alle capacità e alle aspettative
dei soggetti coinvolti.
Inoltre afferma che non si può separare la formazione dall’ambiente.

LA FORMAZIONE IN RETE
È inoltre importante analizzare il rapporto tra apprendimento e nuove tecnologie.
Con il mutare dell’informazione ci sono nuove modalità di produrre, e le protagoniste dei
mutamenti in corso sono le reti infotelematiche.
Accanto alla società dell’informazione si è infatti sviluppata la società della rete.
La rete ha assunto la fisionomia del modello organizzativo predominante nel quale l’ampiezza e la
novità dei mezzi tecnologici si manifestano marginalizzando i fini.

Nel modello a rete ciascun fruitore rappresenta un nodo nel quale affluiscono da diverse direzioni
materiali e informazioni e dal quale defluiscono in altre direzioni altri materiali e informazioni.

Secondo alcuni la tecnologia agirebbe in termini quasi salvifici garantendo una società
completamente trasparente, per altri invece lo sviluppo e la diffusione della nuova tecnologia non
avrebbero introdotto nessun principio veramente innovatore.

L’impiego dei nuovi media genera negli utenti rilevanti modificazioni nel modo di recepire le
informazioni, trasmetterle, trattenerle e organizzarle, così come nel modo di strutturare la
comunicazione verso l’esterno e verso altre persone.
Il soggetto sviluppa nuove abilità e sperimenta un diverso modo di mettersi in rapporto con la
realtà.

Marc Prensky ha coniato l’espressione digital natives per quelli che crescono in un ambiente
segnato dalla presenza dei media digitali, mentre Derrik de Kerckhove ha coniato il termine
cyperception, che ha una percezione del tutto differente rispetto a quella del mondo fisico o a
quella di natura introspettiva.

L’esternalizzazione della memoria è la possibilità di archiviare dati concreti in un posto che non è la
nostra testa.

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L’uomo cibernetico si aggira nel mondo secondo modalità del tutto nuove. Egli riposiziona la
connessione fra il suo io e il mondo modificando i confini, il dentro e il fuori del sé.

Il computer in questa prospettiva si comporta non solo come un’opportunità didattica di


apprendimento e di autoapprendimento, ma si configura come uno strumento particolarmente
idoneo a favorire l’interazione dei diversi livelli e contesti di conoscenza.

Seymour Papert parla del computer come di una vera e propria learning machine, e cioè di uno
strumento che il soggetto può gestire in modo flessibile e originale all’interno del nuovo spazio
della conoscenza reso possibile dalla rete.

Il problema centrale non è più soltanto quello di aiutare individui e gruppi ad assorbire nuove
conoscenze nel modo più efficace possibile, ma quello di metterli in condizione di poter eseguire la
massima quantità di raccordi o passaggi da una conoscenza all’altra secondo una logica reticolare.

Ci sono due rappresentazioni culturali e pedagogiche della rete: da un lato una visione critica,
preoccupata di una possibile manipolazione delle menti e di una diffusa solitudine; dall’altro una
prospettiva rovesciata e disposta a valorizzarne tutte le intrinseche potenzialità facendone uno
strumento indispensabile per la formazione del sapere personale.

La rete si presenta piuttosto come un’entità comunicativa ad alta intensità interattiva cui è
possibile attribuire un’indeterminata varietà di significati.
Ne risulta che la rete non può essere pensata se non come un oggetto culturale della cui realtà sono
parte integrante proprio quelle negoziazioni cui essa da occasione.

Vivere la multimedialità significa semplicemente prendere atto e imparare a convivere con una
nuova realtà che si manifesta con finalità, strumenti e regole sue proprie.

Gli studi e le ricerche nel campo dell’educazione alla multimedialità si snodano intorno a tre nuclei
principali:
- l’acquisizione di abilità e conoscenze nell’uso degli strumenti multimediali
- la definizione degli ambienti di apprendimento e delle condizioni educative entro cui il loro
impiego si può svolgere in condizioni ottimali
- la formazione del senso critico e della capacità di discernimento

4 abilità:
- abilità di tipo tecnico (capacità di utilizzare lo strumento tecnologico)
- abilità relative all’accesso e alla comprensione dei contenuti
- abilità riguardanti la pianificazione delle attività nel tempo
- abilità di interazioni

In sintesi: la semplice abilità strumentale va progressivamente implementata con l’acquisizione di


livelli di padronanza più complessi mediante la familiarità con più linguaggi comunicativi da
impiegare contemporaneamente.

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Tutto ciò presuppone l’organizzazione di adeguati ambienti di apprendimento dove sperimentare le
modalità di acquisizione delle abilità cognitive, cooperative ed emotive necessarie per il dominio
personale degli strumenti telematici.

Ci sono delle ricerche congeniali al mondo delle tecnologie:


a. Il costruttivismo, che si affida infatti a tre principi coerenti con l’uso del computer e della rete
b. Il cooperative learning: le pratiche proprie dell’apprendimento cooperativo che consentono di
rafforzare la dimensione dell’intersoggettività e della collaborazione in rete, contrastando il
rischio dell’impiego individualistico degli strumenti informatici.

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