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La didattica inclusiva è un’azione condivisa che collocandosi al centro delle politiche educative
sociali è volta a valorizzare la tolleranza, la diversità e l’equità. L’inclusione non è solo uno status,
ma un processo i cui valori ed i cui principi evidenziano l’importante passaggio da una prospettiva
bio-medica ad un modello sociale. Emergono, in particolare, la valorizzazione delle differenze ed
aspetti quali i diritti umani, la responsabilità collettiva, la dignità, le pari opportunità, le esigenze
individuali degli alunni, lo sviluppo professionale e la progettazione educativa. Il termine inclusione
mira ad offrire reali opportunità di apprendimento, garantendo la piena partecipazione di tutti gli
studenti, indipendentemente da abilità, sesso, lingua, origine etnica o culturale, ai contesti scolastici
e sociali. Infatti, sono interessati la totalità degli allievi e non solo quelli in difficoltà di
apprendimento. Questa visione più ampia comprende studenti con svantaggio sociale e culturale,
disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non
conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. Il focus non si
basa sulla misurazione della distanza da un preteso standard di adeguatezza, ma sull’individuazione
di fattori predisponenti di tutti gli alluni, coerentemente con la prospettiva bio-psico-sociale del
modello diagnostico dell’ICF delineato dall’OMS dal 2001.
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Sul piano psicologico il rapporto che, in un contesto di apprendimento, l’alunno con disabilità vive
con gli altri contribuisce a definire un’immagine di sé contraddistinta da caratteristiche di efficacia
ed è in grado di stimolare l’autostima, l’autodeterminazione, la motivazione ad apprendere di più,
allontanando l’alunno con disabilità dalla prospettiva di assumere un’idea di sé legata a giudizi di
incapacità e di non efficacia. Sul piano didattico occorre promuovere una didattica meta cognitiva
composta da dimensioni in interazione reciproca come quella cognitiva, quella meta cognitiva,
quella strategica, quella motivazionale, quella attributiva e quella emotiva. Il compito della didattica
è quella di costruire, consolidare e valutare contesti di apprendimento che sono frutto di integrazioni
di aspetti culturali, normativi, tecnologiche e relazioni umane. L’apprendimento è efficacemente
sollecitato dalla didattica, la quale sostiene e coordina tre sistemi: il sistema dei saperi, il sistema
delle tecniche e il sistema alunno. I processi di apprendimento si reggono su strategie di sostegno e
di guida, definito scaffolding, che implementano gli intrecci tra questi tre sistemi. I compiti dello
scaffolding riguardano il reclutamento del bambino al compito, il mantenere la direzione
dell’attività verso il problema da risolvere, semplificare le componenti del compito, mostrare
possibili soluzioni ecc.
L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è maturata superando l’idea iniziale che la vedeva
prevalentemente mirata ad obiettivi di socializzazione, spostando il focus sui compiti di
apprendimento. L’equilibro e la sinergia tra apprendimento e socializzazione accompagna l’ipotesi
di una didattica per l’inclusione che non sostiene in maniera specialistica ed esclusiva le azioni per e
con l’alunno con disabilità, ma che predispone azioni didattiche che salvaguardano le esigenze di
ciascuno del gruppo classe e viceversa. In questo modo l’apprendimento nasce, si evolve, si fissa
come co-costruzione perché l’apporto del singolo sorge da una condivisione diffusa con l’altro e
con gli altri.
Il compito della Didattica per l’inclusione consiste nel promuovere l’apprendimento attraverso
l’attivazione e la gestione di processi inclusivi idonei a sollecitare un protagonismo condiviso che
tuteli l’azione autonoma del singolo che apprende, situandola in un contesto partecipativo e
relazionale allargato a tutta la classe. Per Damiano tramite i mediatori didattici si attiva l’azione
didattica, dove per mediatori didattici sono sostituti della realtà, con il compito non solo di
collocarsi al suo posto, ma anche di effettuare il trasferimento della conoscenza. Secondo Damiano,
l’azione di insegnamento interviene sia sull’oggetto culturale che sul soggetto in apprendimento e i
mediatori stabiliscono l’interazione tra il soggetto e l’oggetto culturale. I mediatori didattici sono di
quattro tipologie: attivi (prossimi alla realtà, iconici (fotografie, carte geografiche), analogici
(simulazione, gioco, roleplay), simbolici (codici convenzionali e universali).
Nel caso di alunni disabili la mediazione didattica sul processo di apprendimento assume un peso
rilevante perché deve saper gestire questo processo e deve saperlo attivare anche quando la fragilità
del funzionamento biopsicosociali dell’alunno indurrebbe a negarlo. Si prospetta l’uso di una
didattica individualizzata e personalizzata, l0introduzione di strumenti compensativi, compresi i
mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, e di misure dispensative. L’uso
delle facilitazioni e delle semplificazioni deve necessariamente incrementare nell’alunno con
disabilità la spinta a tentare e a farlo agire nella zona di sviluppo prossimale.
Occorre tenere conto di due diritti innegabili, il diritto all’uguaglianza e quello alla diversità e per
attuarli è necessario non escludere nessuno dei due ma cercare invece di compenetrarle. In
apprendimento occorre avanzare proposte rivolgendosi a tutti e contemporaneamente favorire lo
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sviluppo di potenzialità individuali. In questa combinazione che si concentra l’inclusione scolastica
degli alunni disabili.
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3.3 La metodologia laboratoriale
La metodologia laboratoriale rientra in un’idea dell’apprendimento come ricerca, costruzione e
scoperta autonoma, si svolge nelle dimensione dell’esperienza personale e sociale ed è aperta a tutti.
Essa prevede il raggiungimento di conoscenze e competenze tramite un’esperienza diretta. La
conoscenza come costruzione attiva del soggetto rimanda al pensiero pedagogico di Dewey che
mette l’alunno al centro del processo educativo. Frabboni definisce il laboratorio come officina di
metodo che consiste in tre specifiche azioni sulle conoscenze:
- la ri-produzione delle conoscenze, essa riguarda l’acquisizione e ri-produzione di alfabeti di
base delle discipline che permettono alla persona di comunicare, osservare e capire;
- la ri-costruzione delle conoscenze, essa si riferisce al momento in qui l’allievo intende
approfondire le conoscenze acquisite svolgendo indagini sui saperi raccolti;
- la re-invenzione delle conoscenze, essa consiste in una nuova formulazione di quanto
acquisito attraverso la ri-produzione e la ri-costruzione meta cognitiva.
In questo modo il soggetto è protagonista attivo che utilizza la ragione per creare un equilibrio tra il
proprio sé e l’ambiente circostante, partendo dai propri bisogni. Tramite una metodologia
laboratoriale attiva centrata sugli alunni, gli allievi agiscono e sperimentano, mentre gli insegnanti
concordano un progetto, creano motivazione, sollecitano bisogni, interessi e curiosità. Incentivano
la partecipazione e il recupero delle acquisizione pregresse, sollecitano l’elaborazione critica e
creativa delle conoscenze.
Non si deve ridurre la didattica laboratoriale solo al luogo o allo spazio attrezzato di materiali e
strumenti per le attività artistiche, scienze, musica ecc, perche l’attività laboratoriale è un approccio
che si sostiene sulla metodologia della ricerca, secondo la quale l’apprendimento è il risultato di un
processo che si fonda sul fare, sull’esperienza diretta, sull’attività, sulla sperimentazione concreta.
Tale metodologia è riferita a tutte le discipline.
Le caratteristiche della metodologia laboratoriale che fondono la dimensione operativa e progettuale
costringendo il soggetto in apprendimento a imparare scoprendo, e che sollecita aspetti che
appartengono alla sua sfera emotiva e relazionale compensando eventuali squilibri rispetto
all’autostima e alle capacità relazionali, sono di fondamentale interesse per quegli alluni che nella
classe possono presentare difficoltà di apprendimento. Questa metodologia che da la possibilità
all’alluno di poter esprimere favorisce un’autonoma spinta ideativa, espressiva e progettuale che
attraverso i feedback che giungono alle insegnanti e dal gruppo dei pari, diventa possibilità di
conoscenza interiore delle proprie potenzialità e dei propri interessi delle personale azione di
orientamento.
I tratti caratteristici della didattica laboratoriale si sintonizzano con le opportunità offerte dalle
tecnologie come word processor, internet, software didattici che possono favorire una elaborazione
metacognitiva delle informazioni e dei contenuti. Per esempio, la lavagna informatica, LIM,
garantisce il costituirsi di un ambiente nel quale tra insegnante, allievi e tecnologia si stabiliscono
scambi continui sollecitando un apprendimento dinamico, flessibile e personalizzato. La LIM può
esaltare la dimensione cooperativa dell’insegnamento-apprendimento attivando processi cognitivi
stimolando il confronto e la condivisione tra docenti e studenti.
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3.4 La classe come contesto di apprendimento
L’utilizzo di un approccio cooperativo e attivo (metodologia laboratoriale) prevede che l’insegnante
proponga compiti, richieste che comportano la collaborazione tra alluni e gli insegnanti, attraverso
una condivisone dell’esperienza di apprendimento, il confronto e la co-costruzione attiva delle
conoscenze. Il rapporto dell’alluno con disabilità con i compagni di classe non può declinarsi su
limitate e improvvisate interazioni, ma su autentiche occasioni di scambio reciproco. La relazione
tra compagni dovrebbe reggersi su un effettiva cooperazione sollecitata anche dall’offerta di
apprendimenti condivisi. La cooperazione diventa strategica per diffondere un0idea di relazione con
il compagno con disabilità che evita atteggiamenti buonistici preferendo modalità relazionali
naturali e solidali. Si tratta di riconoscere una opportunità inclusiva che attiva la prosocialità,
sostenuta a sua volta da presupposti di equità e giustizia. La prosocialità non va confusa con
l’altruismo e con la disponibilità emotiva e sentimentale all’altro. La pro socialità va intesa come
una propensione ad agire in modo che sortiscono effetti positivi per l’altro. Nell’esperienza
educativa , l’altruismo e la prosocialità necessitano di un’attivazione formativa in modo da
predisporre l’individuo a vivere in sintonia autentica con gli altri. Quindi è necessario rispondere ad
un bisogno che si articola in due dimensioni: quella della convivenza sociale e quella della
formazione di ogni singolo alluno in direzione della pro socialità, dell’altruismo e della solidarietà.
Quest’ultima dimensione è importante perchè l’apprendimento è costruzione sociale e perché la
reciprocità permette all’alluno di sviluppare la propria personale autoderminazione. L’azione degli
insegnanti deve essere tale da promuovere la partecipazione all’esperienza a l compito di
apprendimento per poter sviluppare e arricchire l’autodeterminazione.
La combinazione apprendimento e socializzazione porta al nodo centrale dell’azione inclusiva della
scuola, che dipende anche dall’effettivo tempo che l’alunno con disabilità trascorre nella classe con
i compagni. Ad oggi ci sono tre tipologie di percorsi integrativi dentro la classe:
- l’alunno con disabilità trascorre tutto il tempo con i propri compagni;
- l’alunno sta con i compagni e , in altri momenti, viene portato fuori dal gruppo o dalla
classe;
- l’alluno sta sempre fuori dal proprio gruppo o dalla classe.
La prima è la modalità più diffusa. Negare o solo limitare la presenza in classe dell’alluno con
disabilità significa circoscrivere un’opportunità di crescita educativa indirizzata a stimolare una
valorizzazione delle differenze individuali.
La scuola ha la possibilità di alimentare e promuovere negli alluni la disponibilità all’accoglienza,
alla relazione con il compagno disabile e di evitare che certe percezioni negative si trasformino in
certezze distorte che possono promuovere l’allontanamento e il rifiuto. Conoscere le percezione che
gli alluni hanno del loro compagno con disabilità è importante per comprendere le barriere che si
pongono all’interno delle classi e ostacolano le relazioni e la partecipazione. Questi aspetti legati
alla dimensione delle relazioni e dell’emotività, riferiti agli alluni con disabilità e ai loro compagni,
devono essere conosciuti e monitorati dagli insegnanti. L’idea che sia un bene che nelle classi ci sia
una compagno disabile non sorgere dalla sola solidarietà, perchè la presenza di quel compagno deve
assumere un significato progettuale in grado di esaltare il contributo che lo studente può dare,
proporzionato le sue potenzialità. Nelle classi devono essere intensificate le occasioni di interazione
tra compagni e le proposte didattiche devono essere effettuate tramite una condivisone di attività
operative. La relazione non deve basarsi esclusivamente su motivazioni legate all’aiuto, concepito
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come semplice assistenza dettata dalla solidarietà. E’ necessario condividere un autentico fare,
libero da ogni manipolazione esterna.
Vi sono due griglie per la rilevazione e lo studio delle azioni relazionali tra gli alluni e gli
insegnanti:
- Griglia per l’osservazione delle interazioni, della partecipazione, della sollecitazione. Essa
permette la rilevazione dei comportamenti comunicativi avviate dall’insegnante di classe e/o
da quello specializzato per il sostegno e diretto all’alluno con disabilità e ai compagni; dei
comportamenti comunicativi avviati dall’alluno disabile e diretti agli insegnanti e ai
compagni; dei comportamenti comunicativi avviati dagli alluni e diretti agli insegnanti a al
compagno disabile.
- Griglia per l’osservazione delle interazioni in aula - descrizione narrative. Essa permette di
riportare, in modo narrativo, i comportamenti diretti all’alluno con disabilità e avviati
dall’insegnate, dall’insegnanti di sostegno e dai compagni e le conseguenti risposte che
l’alluno con disabilità dà a queste richieste di interazione. Inoltre, la griglia permette la
descrizione , sempre in stile narrativo, dei comportamenti diretti all’insegnate, all’insegnante
di sostegno e ai compagni promossi dall’alluno con disabilità.
Può essere utile per predisppore un’adeguata accoglienza dell’alluno con disabilità dare
informazioni ai compagni circa le attività che l’alluno con disabilità potrà realizzare perché ciò può
favorire atteggiamenti positivi ed incentivare azioni comunicative adeguate. Fornire, invece,
informazioni ai compagni circa le difficoltà e il tipo di aiuto necessario tende a favorire nei
compagni atteggiamenti negativi. Le interazioni tra i compagni e l’alluno disabile dovrebbe riferirsi
soprattutto ai compiti di scuola e all’ambito di esperienze di apprendimento (studiare, leggere,
scrivere, fare esercizi ecc) e non solo durante i momenti ricreativi, durante il gioco. In questo modo
anche l’alluno disabile può fare emergere le sue competenze.
E’ necessario strutturare reciproche relazioni che esaltino ciascun alluno e nelle quali le differenze
vengono apprese, rispettate e esaltate e non nascoste e rifiutate. Il riconoscimento della diversità di
ciascuno servono per avviare identità sane e basate su una conoscenza reale del sé. Il
fraintendimento attorno alla dimensione della socializzazione su qui si declina la disabilità risalgono
agli anni’80 quando sono stati contrapposto i termini di socializzazione e apprendimento.
Inoltre, occorre non sottovalutare a livello scolastico la pressione che il gruppo dei pari può
esercitare sugli individui. Il bisogno dell’alluno con disabilità di essere accolto, di essere
considerato parte del gruppo, richiede un monitoraggio constante dei comportamenti, dell’alluno
disabile e dei compagni, perché il desideri di appartenenza potrebbe spingere , soprattutto l’alluno
più vulnerabile a conformarsi per poter stare con la maggioranza. E il conformismo può significare,
quando si ha una disabilità, abbandono agli altri e ciò potrebbe corrispondere ad una perdita di
autonomia. Le relazioni in classi devono favorire l’autonomia, l’interdipendenza, e la
sperimentazione di scambi tra pari contraddistinti anche da contrasti. In classe vanno sollecitate la
negoziazione, la cooperazione, la costruzione condivisa. Queste si realizzano quando ciascuno può
fare parte del gruppo classe perché gli è riconosciuta un‘autentica , significativa possibilità di
partecipazione che si attua attraverso il contributo che ciascuno offre al gruppo.
L’ICF ha insegnato a leggere la disabilità non solo in riferimento a funzioni e a strutture corporee,
ma anche ad attività e a partecipazione che deve correlarsi a fattori contestuali (ambientali e
personali). La partecipazione rappresenta il coinvolgimento della persona e indica prospettiva
sociale del funzionamento.
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Secondo L’OMS le life skills education in schools sono: decision making, problem solving,
pensiero critico, comunicazione efficace, capacità di relazione interpersonali, autoconsapevolezza,
empatia, gestione dello stress.
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accompagnamento che faciliti la progressiva attenuazione di auto-percezione di inadeguatezza del
proprio ruolo parentale. Quindi occorre che la scuola crei un’alleanza con la famigli, soprattutto
quando i figli hanno una disabilità complessa e/o pluridisabilità. Perché in questi casi la famiglia
rischia di vivere in assoluta solitudine e risulta necessario attivare percorsi di accompagnamento
abbinati a supporti psicologici e a sostegni educativi. E’ dalla comunicazione della diagnosi di
deficit e di disabilità che si pongono le basi per una adeguata azione di accompagnamento alla
famiglia. Le Linee guida del 2009, per l’integrazione scolastica degli alluni con disabilità, utilizzano
il termine di governance utilizzato nei rapporti interistituzionali per coordinare e orientare l’azione
dei diversi attori del sistema sociale e formativo.
Su un piano legato alla progettualità che la scuola idealizza e realizza per l’alluno con disabilità, il
rapporto con gli specialisti o con gli altri attori coinvolti nelle azioni di abilitazione e/o
riabilitazione, è stato delineato nella Legge 104/1992 e D.P.R. del 1994 che aveva stabilito i compiti
delle unita sanitarie e/o socio-sanitarie locali, che si collocano all’ambito diagnostico
(individuazione della situazione di disabilità e stesura della diagnosi funzionale) a all’azione di
supporto all’intervento della scuola (stesura del Profilo Dinamico Funzionale e del Paiano
Educativo Individualizzato).