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CAPITOLO 3 – DIDATTICA PER L’INCLUSIONE

La didattica inclusiva è un’azione condivisa che collocandosi al centro delle politiche educative
sociali è volta a valorizzare la tolleranza, la diversità e l’equità. L’inclusione non è solo uno status,
ma un processo i cui valori ed i cui principi evidenziano l’importante passaggio da una prospettiva
bio-medica ad un modello sociale. Emergono, in particolare, la valorizzazione delle differenze ed
aspetti quali i diritti umani, la responsabilità collettiva, la dignità, le pari opportunità, le esigenze
individuali degli alunni, lo sviluppo professionale e la progettazione educativa. Il termine inclusione
mira ad offrire reali opportunità di apprendimento, garantendo la piena partecipazione di tutti gli
studenti, indipendentemente da abilità, sesso, lingua, origine etnica o culturale, ai contesti scolastici
e sociali. Infatti, sono interessati la totalità degli allievi e non solo quelli in difficoltà di
apprendimento. Questa visione più ampia comprende studenti con svantaggio sociale e culturale,
disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non
conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. Il focus non si
basa sulla misurazione della distanza da un preteso standard di adeguatezza, ma sull’individuazione
di fattori predisponenti di tutti gli alluni, coerentemente con la prospettiva bio-psico-sociale del
modello diagnostico dell’ICF delineato dall’OMS dal 2001.

3.1 La didattica per l’inclusione e l’apprendimento


La classe dovrebbe essere per tutti il contesto nel quale sperimentare le proprie potenzialità e vivere
le relazioni indispensabili per costruire una identità bilanciata tra limiti e possibilità. L’insegnante
dovrebbe saper mettere in relazione i bisogni degli alunni con la proposta di apprendimento,
sollecitando una produttiva e significativa azione di mediazione tra alunni e il processo di
apprendimento. Incoraggiare il lavoro tra coetanei, promuovere gruppi cooperativi di
apprendimento sono compiti dell’insegnante, il quale deve saper gestire le componenti meta
cognitive che condizionano l’apprendimento ovvero la motivazione, le convinzioni che lo studente
ha di se stesso e della propria intelligenza e delle proprie abilità. Questi fattori motivazionali e
attributivi incidono nel processo di apprendimento e modellano l’identità. Sviluppo, crescita,
appartenenza sono aspetti costitutivi dei processi di inclusione.
Il balzo della didattica verso una dimensione inclusiva dell’apprendimento si basa su presupposti
che l’avvicinano a quelle teorie dell’apprendimento, superando il comportamentismo, accostandosi
all’approccio costruttivista, la quale sulla base di una visione olistica della persona, ha definito il
soggetto in apprendimento come costruttore di significati. L’approccio costruttivista ha avuto il
merito di offrire un modello dell’apprendimento che ha reso evidente l’interazione tra il soggetto il
contesto. All’apprendimento vengono assegnate tre caratteristiche: costruttivo, strategico e
interattivo. Quindi l’apprendimento si realizza attraverso una co-costruzione, un’azione condivisa,
per cui la conoscenza viene costruita, piuttosto che registrata o semplicemente recepita. Vygotskij,
attribuiva all’interazione con gli altri la forza di promuovere la crescita nella zona di sviluppo
prossimale, ovvero l’apprendimento ha quella potenzialità di attivare processi evolutivi che possono
agire solo quando il soggetto in apprendimento interagisce con i coetanei e con chiunque che
partecipi nel contesto dell’apprendimento. Quindi vi è la necessità di predisporre contesti di
apprendimento che favoriscano una costruzione cooperativa della conoscenza attraverso interazioni
sociali tra i componenti della classe.

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Sul piano psicologico il rapporto che, in un contesto di apprendimento, l’alunno con disabilità vive
con gli altri contribuisce a definire un’immagine di sé contraddistinta da caratteristiche di efficacia
ed è in grado di stimolare l’autostima, l’autodeterminazione, la motivazione ad apprendere di più,
allontanando l’alunno con disabilità dalla prospettiva di assumere un’idea di sé legata a giudizi di
incapacità e di non efficacia. Sul piano didattico occorre promuovere una didattica meta cognitiva
composta da dimensioni in interazione reciproca come quella cognitiva, quella meta cognitiva,
quella strategica, quella motivazionale, quella attributiva e quella emotiva. Il compito della didattica
è quella di costruire, consolidare e valutare contesti di apprendimento che sono frutto di integrazioni
di aspetti culturali, normativi, tecnologiche e relazioni umane. L’apprendimento è efficacemente
sollecitato dalla didattica, la quale sostiene e coordina tre sistemi: il sistema dei saperi, il sistema
delle tecniche e il sistema alunno. I processi di apprendimento si reggono su strategie di sostegno e
di guida, definito scaffolding, che implementano gli intrecci tra questi tre sistemi. I compiti dello
scaffolding riguardano il reclutamento del bambino al compito, il mantenere la direzione
dell’attività verso il problema da risolvere, semplificare le componenti del compito, mostrare
possibili soluzioni ecc.
L’inclusione scolastica degli alunni con disabilità è maturata superando l’idea iniziale che la vedeva
prevalentemente mirata ad obiettivi di socializzazione, spostando il focus sui compiti di
apprendimento. L’equilibro e la sinergia tra apprendimento e socializzazione accompagna l’ipotesi
di una didattica per l’inclusione che non sostiene in maniera specialistica ed esclusiva le azioni per e
con l’alunno con disabilità, ma che predispone azioni didattiche che salvaguardano le esigenze di
ciascuno del gruppo classe e viceversa. In questo modo l’apprendimento nasce, si evolve, si fissa
come co-costruzione perché l’apporto del singolo sorge da una condivisione diffusa con l’altro e
con gli altri.
Il compito della Didattica per l’inclusione consiste nel promuovere l’apprendimento attraverso
l’attivazione e la gestione di processi inclusivi idonei a sollecitare un protagonismo condiviso che
tuteli l’azione autonoma del singolo che apprende, situandola in un contesto partecipativo e
relazionale allargato a tutta la classe. Per Damiano tramite i mediatori didattici si attiva l’azione
didattica, dove per mediatori didattici sono sostituti della realtà, con il compito non solo di
collocarsi al suo posto, ma anche di effettuare il trasferimento della conoscenza. Secondo Damiano,
l’azione di insegnamento interviene sia sull’oggetto culturale che sul soggetto in apprendimento e i
mediatori stabiliscono l’interazione tra il soggetto e l’oggetto culturale. I mediatori didattici sono di
quattro tipologie: attivi (prossimi alla realtà, iconici (fotografie, carte geografiche), analogici
(simulazione, gioco, roleplay), simbolici (codici convenzionali e universali).
Nel caso di alunni disabili la mediazione didattica sul processo di apprendimento assume un peso
rilevante perché deve saper gestire questo processo e deve saperlo attivare anche quando la fragilità
del funzionamento biopsicosociali dell’alunno indurrebbe a negarlo. Si prospetta l’uso di una
didattica individualizzata e personalizzata, l0introduzione di strumenti compensativi, compresi i
mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, e di misure dispensative. L’uso
delle facilitazioni e delle semplificazioni deve necessariamente incrementare nell’alunno con
disabilità la spinta a tentare e a farlo agire nella zona di sviluppo prossimale.
Occorre tenere conto di due diritti innegabili, il diritto all’uguaglianza e quello alla diversità e per
attuarli è necessario non escludere nessuno dei due ma cercare invece di compenetrarle. In
apprendimento occorre avanzare proposte rivolgendosi a tutti e contemporaneamente favorire lo

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sviluppo di potenzialità individuali. In questa combinazione che si concentra l’inclusione scolastica
degli alunni disabili.

3.2 L’interdipendenza, fulcro della Didattica per l’Inclusione


Secondo Canevaro, la rappresentazione delle persone in situazioni di bisogno non è
necessariamente circoscritta a prospettive di svantaggio o dipendenza, ma ad immagini rivolte ad
esaltare un possibile protagonismo e un riscatto personale che si esprime quando per esempio una
persona disabile offre aiuto agli altri. Nel caso della disabilità, la realizzazione della propria
intenzionalità può richiedere la mediazione di qualcuno (l’insegnante specializzato o un familiare) o
di qualche mediatore materiale (sintesi vocale, LIM) che hanno il compito di non impedire un fare
intenzionale a autonomo, evitando di fornire supporto anche quando non è necessario. Infatti,
l’insegnante specializzato è un tecnico della mediazione pedagogica che favorisce lo sviluppo della
potenzialità dell’alunno disabile,creando situazioni di apprendimento che educano tutti gli alunni
alla relazione con l’altro diverso da sé e alla società. Tale relazione è l’interdipendenza positiva
(concetto chiave del Cooperative Learning) perché ci permette di comprendere l’importanza dei
legami sociali per l’apprendimento, quando si basano su effettive possibilità di manifestare agli altri
la propria determinazione. L’interdipendenza lega le persone attraverso un obiettivo comune da
raggiungere e va oltre al semplice stare insieme. L’attenzione va verso tre aspetti: l’ambito della
responsabilità personale, la strutturazione di relazioni positive basate sulla cooperazione e
un’adeguata scelta degli oggetti di apprendimento. La cooperazione è una fare insieme ed è un
mezzo di apprendimento. L’interdipendenza positiva specifica una condizione nella quale gli
individui sono legati in modo tale che vi è una correlazione positiva tra il conseguimento
dell’obiettivo di un individuo e quello degli altri. L’interdipendenza negativa è la condizione nella
quale gli individui sono legati l’uno all’altro in modo tale che vi è una correlazione negativa tra il
conseguimento dell’obiettivo di un individuo e quello degli altri. L’impegno quindi diventa sforzo
reciproco che richiede il dover condividere le proprie difficoltà e limiti ed accoglier quelle degli
altri e di conoscere ed accogliere le potenzialità e i limiti di coloro che incontriamo. Di
conseguenza, ciascuno acquisisce effetti positivi sul piano psicologico, impara ad affrontare le
difficoltà, impara a chiedere aiuto, aumento la propria autostima, comprende e si apre agli altri.
Le opportunità e i principi teorici di Cooperative Learning offrono utili indicazioni al rapporto di
interscambio che gli alunni con disabilità dovrebbero attuare nell’ambito del gruppo classe. E’
auspicabile garantire un’appartenenza cooperativa partecipativa significativa.
Nei gruppi di Cooperative learning si evidenziano i seguenti elementi: alto livello di
interdipendenza positiva, leadership condivisa, tutti sono responsabili di tutti, si enfatizza il compito
e la qualità dei rapporti, le competenze sociali sono direttamente insegnate, l’insegnante osserva ed
interviene, i gruppi controllano la loro interazione mentre lavorano, la valutazione individualizzata e
di gruppo con riferimento al gruppo.
Nei gruppi tradizionali o spontanei di apprendimento si evidenziano i seguenti elementi: nessuna
attenzione particolare o basso livello di interdipendenza, un unico leader scelto e formale, ognuno è
responsabile solo di stesso, si enfatizzano solo il compito e i risultai, le competenze sociali sono
supposte o ignorate, l’insegnante si disinteressa o interviene solo in caso di comportamenti negativi,
i gruppi non si controllano nella loro interazione mentre lavorano, poca attenzione alla valutazione
di gruppo.

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3.3 La metodologia laboratoriale
La metodologia laboratoriale rientra in un’idea dell’apprendimento come ricerca, costruzione e
scoperta autonoma, si svolge nelle dimensione dell’esperienza personale e sociale ed è aperta a tutti.
Essa prevede il raggiungimento di conoscenze e competenze tramite un’esperienza diretta. La
conoscenza come costruzione attiva del soggetto rimanda al pensiero pedagogico di Dewey che
mette l’alunno al centro del processo educativo. Frabboni definisce il laboratorio come officina di
metodo che consiste in tre specifiche azioni sulle conoscenze:
- la ri-produzione delle conoscenze, essa riguarda l’acquisizione e ri-produzione di alfabeti di
base delle discipline che permettono alla persona di comunicare, osservare e capire;
- la ri-costruzione delle conoscenze, essa si riferisce al momento in qui l’allievo intende
approfondire le conoscenze acquisite svolgendo indagini sui saperi raccolti;
- la re-invenzione delle conoscenze, essa consiste in una nuova formulazione di quanto
acquisito attraverso la ri-produzione e la ri-costruzione meta cognitiva.
In questo modo il soggetto è protagonista attivo che utilizza la ragione per creare un equilibrio tra il
proprio sé e l’ambiente circostante, partendo dai propri bisogni. Tramite una metodologia
laboratoriale attiva centrata sugli alunni, gli allievi agiscono e sperimentano, mentre gli insegnanti
concordano un progetto, creano motivazione, sollecitano bisogni, interessi e curiosità. Incentivano
la partecipazione e il recupero delle acquisizione pregresse, sollecitano l’elaborazione critica e
creativa delle conoscenze.
Non si deve ridurre la didattica laboratoriale solo al luogo o allo spazio attrezzato di materiali e
strumenti per le attività artistiche, scienze, musica ecc, perche l’attività laboratoriale è un approccio
che si sostiene sulla metodologia della ricerca, secondo la quale l’apprendimento è il risultato di un
processo che si fonda sul fare, sull’esperienza diretta, sull’attività, sulla sperimentazione concreta.
Tale metodologia è riferita a tutte le discipline.
Le caratteristiche della metodologia laboratoriale che fondono la dimensione operativa e progettuale
costringendo il soggetto in apprendimento a imparare scoprendo, e che sollecita aspetti che
appartengono alla sua sfera emotiva e relazionale compensando eventuali squilibri rispetto
all’autostima e alle capacità relazionali, sono di fondamentale interesse per quegli alluni che nella
classe possono presentare difficoltà di apprendimento. Questa metodologia che da la possibilità
all’alluno di poter esprimere favorisce un’autonoma spinta ideativa, espressiva e progettuale che
attraverso i feedback che giungono alle insegnanti e dal gruppo dei pari, diventa possibilità di
conoscenza interiore delle proprie potenzialità e dei propri interessi delle personale azione di
orientamento.
I tratti caratteristici della didattica laboratoriale si sintonizzano con le opportunità offerte dalle
tecnologie come word processor, internet, software didattici che possono favorire una elaborazione
metacognitiva delle informazioni e dei contenuti. Per esempio, la lavagna informatica, LIM,
garantisce il costituirsi di un ambiente nel quale tra insegnante, allievi e tecnologia si stabiliscono
scambi continui sollecitando un apprendimento dinamico, flessibile e personalizzato. La LIM può
esaltare la dimensione cooperativa dell’insegnamento-apprendimento attivando processi cognitivi
stimolando il confronto e la condivisione tra docenti e studenti.

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3.4 La classe come contesto di apprendimento
L’utilizzo di un approccio cooperativo e attivo (metodologia laboratoriale) prevede che l’insegnante
proponga compiti, richieste che comportano la collaborazione tra alluni e gli insegnanti, attraverso
una condivisone dell’esperienza di apprendimento, il confronto e la co-costruzione attiva delle
conoscenze. Il rapporto dell’alluno con disabilità con i compagni di classe non può declinarsi su
limitate e improvvisate interazioni, ma su autentiche occasioni di scambio reciproco. La relazione
tra compagni dovrebbe reggersi su un effettiva cooperazione sollecitata anche dall’offerta di
apprendimenti condivisi. La cooperazione diventa strategica per diffondere un0idea di relazione con
il compagno con disabilità che evita atteggiamenti buonistici preferendo modalità relazionali
naturali e solidali. Si tratta di riconoscere una opportunità inclusiva che attiva la prosocialità,
sostenuta a sua volta da presupposti di equità e giustizia. La prosocialità non va confusa con
l’altruismo e con la disponibilità emotiva e sentimentale all’altro. La pro socialità va intesa come
una propensione ad agire in modo che sortiscono effetti positivi per l’altro. Nell’esperienza
educativa , l’altruismo e la prosocialità necessitano di un’attivazione formativa in modo da
predisporre l’individuo a vivere in sintonia autentica con gli altri. Quindi è necessario rispondere ad
un bisogno che si articola in due dimensioni: quella della convivenza sociale e quella della
formazione di ogni singolo alluno in direzione della pro socialità, dell’altruismo e della solidarietà.
Quest’ultima dimensione è importante perchè l’apprendimento è costruzione sociale e perché la
reciprocità permette all’alluno di sviluppare la propria personale autoderminazione. L’azione degli
insegnanti deve essere tale da promuovere la partecipazione all’esperienza a l compito di
apprendimento per poter sviluppare e arricchire l’autodeterminazione.
La combinazione apprendimento e socializzazione porta al nodo centrale dell’azione inclusiva della
scuola, che dipende anche dall’effettivo tempo che l’alunno con disabilità trascorre nella classe con
i compagni. Ad oggi ci sono tre tipologie di percorsi integrativi dentro la classe:
- l’alunno con disabilità trascorre tutto il tempo con i propri compagni;
- l’alunno sta con i compagni e , in altri momenti, viene portato fuori dal gruppo o dalla
classe;
- l’alluno sta sempre fuori dal proprio gruppo o dalla classe.
La prima è la modalità più diffusa. Negare o solo limitare la presenza in classe dell’alluno con
disabilità significa circoscrivere un’opportunità di crescita educativa indirizzata a stimolare una
valorizzazione delle differenze individuali.
La scuola ha la possibilità di alimentare e promuovere negli alluni la disponibilità all’accoglienza,
alla relazione con il compagno disabile e di evitare che certe percezioni negative si trasformino in
certezze distorte che possono promuovere l’allontanamento e il rifiuto. Conoscere le percezione che
gli alluni hanno del loro compagno con disabilità è importante per comprendere le barriere che si
pongono all’interno delle classi e ostacolano le relazioni e la partecipazione. Questi aspetti legati
alla dimensione delle relazioni e dell’emotività, riferiti agli alluni con disabilità e ai loro compagni,
devono essere conosciuti e monitorati dagli insegnanti. L’idea che sia un bene che nelle classi ci sia
una compagno disabile non sorgere dalla sola solidarietà, perchè la presenza di quel compagno deve
assumere un significato progettuale in grado di esaltare il contributo che lo studente può dare,
proporzionato le sue potenzialità. Nelle classi devono essere intensificate le occasioni di interazione
tra compagni e le proposte didattiche devono essere effettuate tramite una condivisone di attività
operative. La relazione non deve basarsi esclusivamente su motivazioni legate all’aiuto, concepito

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come semplice assistenza dettata dalla solidarietà. E’ necessario condividere un autentico fare,
libero da ogni manipolazione esterna.
Vi sono due griglie per la rilevazione e lo studio delle azioni relazionali tra gli alluni e gli
insegnanti:
- Griglia per l’osservazione delle interazioni, della partecipazione, della sollecitazione. Essa
permette la rilevazione dei comportamenti comunicativi avviate dall’insegnante di classe e/o
da quello specializzato per il sostegno e diretto all’alluno con disabilità e ai compagni; dei
comportamenti comunicativi avviati dall’alluno disabile e diretti agli insegnanti e ai
compagni; dei comportamenti comunicativi avviati dagli alluni e diretti agli insegnanti a al
compagno disabile.
- Griglia per l’osservazione delle interazioni in aula - descrizione narrative. Essa permette di
riportare, in modo narrativo, i comportamenti diretti all’alluno con disabilità e avviati
dall’insegnate, dall’insegnanti di sostegno e dai compagni e le conseguenti risposte che
l’alluno con disabilità dà a queste richieste di interazione. Inoltre, la griglia permette la
descrizione , sempre in stile narrativo, dei comportamenti diretti all’insegnate, all’insegnante
di sostegno e ai compagni promossi dall’alluno con disabilità.
Può essere utile per predisppore un’adeguata accoglienza dell’alluno con disabilità dare
informazioni ai compagni circa le attività che l’alluno con disabilità potrà realizzare perché ciò può
favorire atteggiamenti positivi ed incentivare azioni comunicative adeguate. Fornire, invece,
informazioni ai compagni circa le difficoltà e il tipo di aiuto necessario tende a favorire nei
compagni atteggiamenti negativi. Le interazioni tra i compagni e l’alluno disabile dovrebbe riferirsi
soprattutto ai compiti di scuola e all’ambito di esperienze di apprendimento (studiare, leggere,
scrivere, fare esercizi ecc) e non solo durante i momenti ricreativi, durante il gioco. In questo modo
anche l’alluno disabile può fare emergere le sue competenze.
E’ necessario strutturare reciproche relazioni che esaltino ciascun alluno e nelle quali le differenze
vengono apprese, rispettate e esaltate e non nascoste e rifiutate. Il riconoscimento della diversità di
ciascuno servono per avviare identità sane e basate su una conoscenza reale del sé. Il
fraintendimento attorno alla dimensione della socializzazione su qui si declina la disabilità risalgono
agli anni’80 quando sono stati contrapposto i termini di socializzazione e apprendimento.
Inoltre, occorre non sottovalutare a livello scolastico la pressione che il gruppo dei pari può
esercitare sugli individui. Il bisogno dell’alluno con disabilità di essere accolto, di essere
considerato parte del gruppo, richiede un monitoraggio constante dei comportamenti, dell’alluno
disabile e dei compagni, perché il desideri di appartenenza potrebbe spingere , soprattutto l’alluno
più vulnerabile a conformarsi per poter stare con la maggioranza. E il conformismo può significare,
quando si ha una disabilità, abbandono agli altri e ciò potrebbe corrispondere ad una perdita di
autonomia. Le relazioni in classi devono favorire l’autonomia, l’interdipendenza, e la
sperimentazione di scambi tra pari contraddistinti anche da contrasti. In classe vanno sollecitate la
negoziazione, la cooperazione, la costruzione condivisa. Queste si realizzano quando ciascuno può
fare parte del gruppo classe perché gli è riconosciuta un‘autentica , significativa possibilità di
partecipazione che si attua attraverso il contributo che ciascuno offre al gruppo.
L’ICF ha insegnato a leggere la disabilità non solo in riferimento a funzioni e a strutture corporee,
ma anche ad attività e a partecipazione che deve correlarsi a fattori contestuali (ambientali e
personali). La partecipazione rappresenta il coinvolgimento della persona e indica prospettiva
sociale del funzionamento.

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Secondo L’OMS le life skills education in schools sono: decision making, problem solving,
pensiero critico, comunicazione efficace, capacità di relazione interpersonali, autoconsapevolezza,
empatia, gestione dello stress.

3.5 L’alleanza con la famiglia


Se i compagni appaiono direttamente implicati nei processi inclusivi, la famiglia riscopre compiti di
rinforzo dell’azione inclusiva e di apprendimento promossa dalla scuola. La famiglia deve diventare
risorsa per la scuola e dall’altra nell’ipotesi dell’aiuto che la scuola può dare alla famiglia affinché
possa farsi essa stessa risorsa per il figlio con disabilità, accompagnandolo nella ricerca di una piena
e adeguata realizzazione di sé. La scuola occorre che attivi delle azioni dirette alla collaborazione e
all’accompagnamento dei genitori che se pur circoscritto nel contesto scolastico, necessariamente
segna i tratti costitutivi del progetto di vita. I genitori dovrebbero saper comprendere l’esperienza
scolastica come opportunità costitutiva della piena realizzazione del loro figlio disabile. Nella
prospettiva inclusiva, la famiglia va riconosciuta come interlocutrice indispensabile, essendo essa il
contesti nel quale la persona con disabilità sperimenta fondamentali esperienze evolutive. Deve, a
sua volta, essere prospettato gradualmente il distacco dalla famiglia per lasciare spazio
all’autonomia e all’indipendenza dell’alluno con disabilità. La partecipazione della famigli al
sistema di istruzione favorisce la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei
ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno. Il supporto della scuola alla
famiglia rientra tra i sostegni formali e i dati di ricerca di diversi studi evidenziano che i livelli di
stress dei caregiver diminuiscono quando aumentano sul territorio i servizi in grado di offrire alla
famiglia un sostegno funzionale ai suoi bisogni emergenti. Il supporto sociale può moderare lo
stress, mentre l’isolamento sociale e una riduzione delle relazioni producono disadattamento.
Il modello Double ABCX di resilienza allo stress familiare e di adattamento, dove A(l’evento
stressante) interagisce con B (le risorse della famiglia) che a sua volta interagisce con C (la
percezione dell’agente di stress), ci indica che l’adattamento sarà possibile se si creerà una
situazione in cui le richieste saranno bilanciate con le risorse altrimenti si produrrà un effetto di crisi
a cui la famiglia risponderà con azioni e strategie (coping). Tale modello induce a dare un peso
significativo alle proposte che possono giungere dalla scuola indirizzate a promuovere le relazioni
con e tra i genitori della classe, compresi quelli dell’alluno con disabilità. La partecipazione alle
riunioni, gli incontri con gli insegnanti della classe,potrebbero avviare opportunità di contatto con i
genitori dei compagni del figlio con disabilità che facilitano l’apertura del figlio stesso a possibili
relazioni con i compagni anche nel dopo scuola. Va potenziata interno alla famiglia l’abitudine ad
ascoltarsi e a comunicare perche la comunicazione genitori-figli è essenziale ed è una forma della
relazione stessa. Il rischio della negazione del’autonomia a favore della dipendenza è ancora più
marcata quando la disabilità costringe i genitori ad interagire con il figlio esclusivamente attraverso
una perene assistenza e protezione. La presa d’atto, il riconoscimento del figlio da parte dei genitori
dovrà essere una graduale, lenta, faticosa e dolorosa acquisizione delle condizioni reali del figlio.
La disabilità è per i genitori un evento drammatico che assume, nei momenti iniziali, i toni della
tragedia e richiede un riconoscimento che possa aprire a sentimenti di speranza. Tuttavia,a occorre
tutelarsi da due possibili atteggiamenti distorti che corrispondono o ad una negazione della
condizione presente o ad una sua sopravvalutazione che consiste in una cecità che impedisce di
vedere i deficit. Nelle scuole è diffusa la pratica di attivare corsi di formazione per i genitori degli
alluni, ma tali percorsi dovrebbero essere configurati come percorsi con i genitori, mirando ad un

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accompagnamento che faciliti la progressiva attenuazione di auto-percezione di inadeguatezza del
proprio ruolo parentale. Quindi occorre che la scuola crei un’alleanza con la famigli, soprattutto
quando i figli hanno una disabilità complessa e/o pluridisabilità. Perché in questi casi la famiglia
rischia di vivere in assoluta solitudine e risulta necessario attivare percorsi di accompagnamento
abbinati a supporti psicologici e a sostegni educativi. E’ dalla comunicazione della diagnosi di
deficit e di disabilità che si pongono le basi per una adeguata azione di accompagnamento alla
famiglia. Le Linee guida del 2009, per l’integrazione scolastica degli alluni con disabilità, utilizzano
il termine di governance utilizzato nei rapporti interistituzionali per coordinare e orientare l’azione
dei diversi attori del sistema sociale e formativo.
Su un piano legato alla progettualità che la scuola idealizza e realizza per l’alluno con disabilità, il
rapporto con gli specialisti o con gli altri attori coinvolti nelle azioni di abilitazione e/o
riabilitazione, è stato delineato nella Legge 104/1992 e D.P.R. del 1994 che aveva stabilito i compiti
delle unita sanitarie e/o socio-sanitarie locali, che si collocano all’ambito diagnostico
(individuazione della situazione di disabilità e stesura della diagnosi funzionale) a all’azione di
supporto all’intervento della scuola (stesura del Profilo Dinamico Funzionale e del Paiano
Educativo Individualizzato).

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