UNITÀ DIDATTICA:
“FORMAZIONE E APPRENDIMENTO”
La pedagogia è andata, da sempre, specificandosi più che come “arte del condurre l‟allievo” alla
maturazione del pensiero (funzione che le apparteneva, anche per discendenza etimologica), come
“attività di riflessione sul fatto educativo” che ha lo scopo sia di permettere alla persona di evitare
errori (funzione di guida), che di renderla capace di percorrere nuove strade, in risposta alle
esigenze o alle sfide dei cambiamenti della società (funzione di ricerca).
Si è passati, quindi, dalla riflessione sulle varie forme di educazione capaci di traghettare alla
“maturità”, collocabile al crocevia del periodo della vita che porta all‟ingresso nel mondo della
produzione (lavoro) e dell‟assunzione di responsabilità sociali (in primis, della costruzione di una
cellula familiare), alla necessità di riflettere sulle educazioni che accompagnano la persona per tutto
l‟arco della vita.
Un altro cambiamento è rappresentato dal passaggio dalla riflessione sui percorsi e sui processi che
accadono all‟interno dei contesti formali di insegnamento e di apprendimento (famiglia, scuola,
università), alla riflessione su ciò che avviene, in termini di pratiche di accrescimento della
conoscenza e di costruzione dell‟identità personale e sociale, all‟interno dei contesti educativi
informali e non formali (gruppo dei pari, varie forme di strutture associative, mass-media, agenzie
formative specializzate, contesti di lavoro, etc.).
Questi “allargamenti” di confine hanno dovuto lasciare il passo alla necessità del confronto,
orientato alla costruzione di paradigmi gradualmente più ampi di pensiero e di vita.
Se, quindi, lo sforzo della riflessione e della ricerca pedagogica è stato, da sempre, orientato alla
ricerca di “modelli” capaci di misurare quella che, oggi, diremmo la “qualità” della formazione di
base, culturale o professionale che sia, la tendenza sempre più riconosciuta, anche in campo
pedagogico, risulta essere quella orientata al “confronto di pratiche”. In questa Unità Didattica
rifletteremo proprio intorno a questi cambiamenti.
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I modelli educativi
Secondo Pellerey, il fine ultimo di tutta la ricerca pedagogica è quello di costituire modelli di
intervento educativo spendibili nella pratica educativa immediata. Per fare questo, la pedagogia
rivisita e rielabora modelli di intervento già proposti e/o attuati, ed esamina e valuta risorse,
strumenti e contesti già disponibili per progettare e attuare un intervento educativo.
Cosimo Scaglioso, a tale proposito, nel ribadire che lo scopo della pedagogia non starebbe nella
formulazione teorica, ribadisce che, grazie alla progettazione, la pedagogia arriva a formulare le
basi di un intervento educativo riferito, però, ad uno specifico contesto: non si può generare un
progetto educativo unico, ma ci si fa carico dell'analisi di ogni problematica presente, progettandone
una possibile risoluzione.
Per “modello” si può intendere una rappresentazione di una certa realtà, caratterizzata dalla
somiglianza o dall'analogia con ciò che intende rappresentare. Il modello è astratto, riassuntivo e
riproduce gli aspetti strutturali di ciò a cui si riferisce. La trasmissione dei modelli educativi dipende
dal loro essere parte integrante di una cultura in quanto saldamente collegati alle concezioni e alle
forme di organizzazione sociale di ciascuna società. Secondo alcuni studiosi, come Jerome Bruner, i
modelli educativi sono “culturalmente condizionati e condizionanti”, nel senso che tendono a creare
la realtà che descrivono. Lo stesso Bruner ne "La cultura dell'educazione" (1996) sostiene che, alla
base dell'azione formativa, stanno precisi "modelli della mente" e dell'apprendimento, dotati di
conseguenze altrettanto riconoscibili sulle pratiche di insegnamento e sulle modalità di
apprendimento degli alunni.
Questi modelli sarebbero sostanzialmente i seguenti:
i bambini apprendono per imitazione: questo modello si basa sull'atto del mostrare da parte
dell‟educatore o dell‟adulto significativo e presuppone la motivazione, la capacità di
riconoscere gli obiettivi e i mezzi e di riprodurli; si tratta di un modello tipico delle società
tradizionale e dell'apprendistato, basati su una scarsa distinzione fra il "cosa" e il "come"
dell'apprendimento e sulla convinzione che ciò che conta è soprattutto il "saper fare"
piuttosto che il "conoscere" o "comprendere";
i bambini apprendono per esposizione didattica – ciò presuppone la "passività" del discente,
la presenza della conoscenza, già costituita, "fuori" di lui e la necessità che fatti, regole e
principi vengano esposti dal docente, in modo che gli sia possibile impararli e usarli; il
sapere "cosa" (ossia le cosiddette conoscenze proposizionali) diventa il preliminare
fondamentale per il "sapere come" (le conoscenze procedurali) e lo sopravanza nettamente;
i bambini apprendono come “pensatori”: si ritiene che i bambini siano costruttori attivi di
un modello del mondo, che deve essere mediato e ampliato nello scambio intersoggettivo
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dell'attività formativa. Chi insegna, si sforza di penetrare il modo in cui il bambino pensa e
di dialogare con esso; la conoscenza non è più considerata esistente di per sé e oggettiva,
quanto piuttosto come un insieme di credenze che devono essere giustificate e argomentate
all'interno di una comunità.
Nell‟analisi storica dei modelli educativi, si è soliti contrapporre due tipologie di modelli, uno
basato sull'individuo (con riferimento a Kant e Rousseau) ed uno sulla società (con riferimento a
Durkheim). La teoria kantiana è basata su una valorizzazione della positività dell'uomo: la fiducia
nell'essere umano lo porta a vederlo come artefice di un miglioramento della stessa sfera sociale.
L'educare il fanciullo, evitandogli ogni rapporto con la realtà, lo porterà a cambiare in meglio la
società in cui egli vive.
Rousseau, nell'Emilio o dell'educazione, tratta anch'egli di un'educazione del fanciullo fuori dalla
società, avente molte analogie con la teoria kantiana. L'educatore può insegnare ad Emilio tutto ciò
che riguarda i costumi e le leggi sociali, ma rimanendo solamente nella sfera teorica. La pratica è
tutta un'altra cosa che, senza una diretta esperienza, non può portare ad alcun successo nella società.
Durkheim è contrario ad educare in completa separazione dalla realtà sociale, poiché ciò porterebbe
ad una ritorsione dei costumi contro il soggetto, se questi non li rispettasse. Ogni società ha delle
regole che, se non conosciute, vengono ignorate, causando situazioni "illecite" che possono
ritorcersi contro l'autore.
La prospettiva fenomenologica husserliana vede l'educando calato nel suo contesto di vita e
considera l'agire educativo in dimensione ecologica, esaminando i vari fattori che modificano lo
sviluppo generale dell'educando, attribuendo poco peso agli eventi pregressi che hanno segnato la
sua vita e tendendo a portare l'educando ad un rinnovamento della sua personalità e del suo agire.
Mounier (personalismo) vede l'educando nella sua interezza di persona, assumendo come
fondamentale il suo percorso di vita indipendentemente dal contesto e prendendo, come oggetto
della riflessione pedagogica, la sfera etica del comportamento, unitamente alla dimensione
biografica del suo pensiero.
L'analisi dei modelli educativi è, oggi, particolarmente complessa a causa della transizione
fondamentale che caratterizza la società contemporanea dalla “società industriale” alla società
genericamente definibile come “postindustriale”. Secondo la visione del modello educativo proprio
della società industriale, l'educazione è efficace quando viene gestita con le stesse modalità di un
processo produttivo in campo economico, con il rigore scientifico-tecnologico che ha
contraddistinto l'esplosione industriale del 900. I fini del processo educativi sono, quindi, la
formazione di soggetti dotati di capacità funzionali, ovvero specialisti capaci di dominare un sapere
in particolare. Il modello educativo dello "specialista" viene perciò ritenuto non solo adatto ad una
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positiva integrazione ma, anche, capace di promuovere “uguaglianza di opportunità”, obiettivo
fondamentale della politica democratica del XX secolo.
Oggi, bisogna, però, riconoscere che il paradigma scientifico-tecnologico e moderno-industriale è
ormai in crisi. La pianificazione sociale ed educativa in nome dell'uguaglianza e dell'emancipazione
non è stata mai compiutamente realizzata o è addirittura fallita. Il cosiddetto paradigma post-
moderno chiede una trasformazione corrispondente dei modelli educativi, capaci di integrare anche
aspetti di relazionalità, emotività ed espressività. Sorge, dunque, secondo alcuni, la necessità di un
nuovo modello educativo quello rappresentato dall‟"l'uomo polivalente". L'uomo polivalente è
anzitutto l'uomo che non accetta passivamente il dato della tradizione, ma se ne appropria con una
personale ricerca critica.
Un approccio particolarmente critico con le istituzioni educative è quello che Ivan Illich espone nel
suo Descolarizzare la società del 1971, in cui sostiene, tra l'altro che:
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– I Unità Didattica – Lezione 2
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Non pochi docenti auspicano che gli allievi non si limitino a realizzare un apprendimento ricettivo,
passivo e meccanico, ma che attuino, al contrario, un apprendimento attivo, inteso come
elaborazione di informazioni, basato sull'uso di strategie, sulla verifica di ipotesi e sulla tendenza a
superare i limiti cognitivi andando oltre l'informazione data.
Non si può perseguire finalità educative fondamentali, intervenendo senza aver sufficientemente
compreso dinamiche, meccanismi, bisogni sottesi.
L'elaborazione di qualsiasi intervento educativo valido non può non passare attraverso la
comprensione efficace e funzionale. Occorre incoraggiare gli educatori a formulare ipotesi relative
a cosa c'è dietro un comportamento, ed inferire cosa vive, pensa, sente l'allievo costituisce una
finalità fondamentale e sempre attuale.
I processi cognitivi, in particolare, che non risultano direttamente osservabili, si possono studiare
soltanto in maniera indiretta, seguendo l'agire di un soggetto.
Si parte da fatti direttamente osservabili e constatabili e si risale fino alle cause, ai processi, ai
fattori sottesi. Si può osservare, registrare e misurare direttamente solo: movimenti, parole, reazioni,
risposte orali e scritte. I processi sottesi, invece, quali la formazione dei concetti, l'uso di relazioni,
l'induzione, l'inferenza, l'astrazione e il ragionamento, che conduce alla soluzione di un problema, si
possono studiare soltanto “risalendoli” e si possono inferire partendo dalle azioni manifeste
(Calonghi 1985).
Se s'invita un alunno a scegliere i triangoli, partendo da un gruppo di figure date e si constata che
riesce a raggrupparli, è facile concludere che possiede un certo concetto di triangolo.
In pratica, non si aggiunge nulla di arbitrario né al comportamento dell'allievo, né alle operazioni
che esegue; semplicemente, si riconducono i comportamenti alle loro cause ed ai processi sottesi.
L'insegnante che procede in tal senso, sostanzialmente, si trova a seguire i metodi impiegati dai
ricercatori o dagli psicologi: somministra uno stimolo ad un allievo (es. una domanda o un
problema); ne osserva la reazione; classifica i comportamenti raccolti; risale dagli atti ai processi
interni (Coggi-Ricchiardi 2005).
L'iter descritto giustifica il processo di inferenza e richiama il metodo impiegato dagli psicologi, ma
anche quello dei ricercatori, in quanto entrambi si basano sul metodo induttivo, che implica:
a. l'osservazione preliminare;
b. l'ipotesi;
c. la verifica;
d. la deduzione.
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Dall’osservazione preliminare all’osservazione sistematica
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A chi osserva a scopo di ricerca si richiede il massimo di scientificità, di rigore, di affidabilità, di
garanzia.
Al docente, a cui non è richiesto di esorbitare dalla sua attività ordinaria, si chiede di giungere ad
osservazioni e verifiche “informali, ma valide” (Calonghi 1984).
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– I Unità Didattica – Lezione 3
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quelle conoscenze e competenze culturali „minime‟ che i singoli gradi scolastici pongono a
obiettivo dei loro processi di istruzione. Per conseguire detto traguardo, tale procedura didattica
gioca su due piani: il primo, è quello del rispetto dei „ritmi‟ e dei „tempi‟ di „assorbimento‟ dei
contenuti culturali da parte di ciascun allievo (per cui sono previste nel suo percorso didattico degli
stop, delle verifiche e delle fasi di recupero); il secondo, è quello che impegna i docenti a
pianificare la propria „disciplina‟ mediante un rigoroso censimento dei contenuti „essenziali‟ e
„significanti‟ che si intendono promuovere.
Più in dettaglio, le fasi del “mastery learning” sono:
Proprio in considerazione del tempo didattico come variabile indipendente, il rapporto fra
suddivisione dei contenuti e unità di tempo è quello che intercorre tra gli elementi suddivisi e la
lezione: unità didattica, quindi, come porzione omogenea di contenuti ben definiti.
Ulteriore specificazione riguarda la connessione tra tecniche di “mastery” e insegnamento
individualizzato/socializzato. Posto che un insegnamento individualizzato può attuarsi solo con un
buon rapporto tra tempo didattico e numero di allievi (con un numero di allievi non molto elevato e
un tempo sufficiente a garantire differenziazioni delle procedure metodologiche), una alta qualità,
in termini di efficacia dell'insegnamento, è favorita dall‟organizzazione didattica che preveda una
utilizzazione degli insegnanti di una stessa scuola o delle medesime classi di una scuola, in team
teaching. Esso consiste in un complesso e variato lavoro di gruppo per il quale tutti gli insegnanti
operano con tutti gli alunni, utilizzando così al meglio le rispettive competenze, oppure ciascun
insegnante opera con un gruppo di allievi (di solito distinti per livello) dopo che essi abbiano
assistito ad un medesimo intervento didattico.
La didattica che si ponga come fine l'apprendimento significativo, veicolo all'autoapprendimento
non può porsi in funzione della successione dei contenuti (unità didattiche-frames-items), del loro
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rendersi „adeguati‟ ai cicli-fasi dell'apprendimento, agli stili cognitivi mutevoli e cangianti dei
discenti, perché ciò riprodurrebbe solo la „retorica‟ dell'esemplificazione e della riduzione. Le
strategie vanno pianificate innanzitutto in funzione dei tipi di apprendimento (loro tipologia e
grado qualitativo) e in rapporto ad una scala tassonomica che si organizza in base alla stessa
attività didattica produttrice di modalità di apprendimento graduali.
Tipologie di apprendimento
I tipi di apprendimento scolastico distinti da Ausubel sono:
a. “apprendimento meccanico per ricezione”, come tipo di apprendimento di livello
iniziale (per i cicli-fasi o carenza di pre/requisiti), comunque basato sulla
memorizzazione in quanto tecnica temporanea di ritenzione non significativa;
b. “apprendimento meccanico per scoperta”, come tipo di apprendimento di livello
medio-basso, basato sull'intuizione temporanea con scarsa astrazione logica e
generalizzazione;
c. “apprendimento significativo per ricezione”, come tipo di apprendimento medio-alto,
che garantisce la padronanza di significati essenziali, ha un buon grado di
generalizzazione, ma ritenzione temporanea;
d. “apprendimento significativo per scoperta”, come tipo di apprendimento alto, veicolo
di autoapprendimento, che garantisce ritenzione non temporanea e transfer.
Le modalità apprenditive nella struttura cognitiva sono guidate dalle strategie didattiche finalizzate
ai tipi di apprendimento: così la differenziazione progressiva, il procedere dal semplice al
complesso per via analitica, l'esemplificazione e riduzione per diminuire la resistenza
all'apprendimento, la coerenza interna per abbassare lo spettro di incongruità del nuovo materiale
da apprendere, trovano un itinerario proprio in virtù dei livelli qualitativi e non della sola struttura
logica della disciplina.
La scala tassonomica di Gagnè struttura questi livelli e stabilisce la classificazione come
successione graduale di pre/requisiti:
a. “apprendimento di segnali”, in cui è prevalente la risposta genetica e non di
condizionamento operante;
b. “apprendimento stimolo-risposta”, concatenazione, associazione verbale, in cui diventa
sempre più consistente l'intervento dei fattori condizionanti esterni fino
all'apprendimento di tecniche specifiche come i codici linguistici e i rapporti
significanti-significati;
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c. “apprendimento di discriminazioni, di concetti, di regole”, in cui cresce la
progressività complessa dell'astrazione generalizzante fino alla strutturazione regolativa
delle condotte;
d. “apprendimento per problem-solving”, in cui non solo l'impostazione corretta, ma la
risoluzione dei problemi sollecita continuamente la creatività operante dell'intelligenza,
come capacità di “leggere dentro” i fenomeni e le cose, i concetti e l'apparenza.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– I Unità Didattica – Lezione 4
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Questi due principi didattici sono alla base della scelta strategica di non abbandonare mai l'allievo a
se stesso: una semplice lacuna, con lavoro didattico appropriato, può essere superata e, se essa è
all'origine del rallentamento apprenditivo, la sua eliminazione porterà al recupero del cosiddetto
“tempo medio” e assicurerà, quantomeno, i pre-requisiti all'apprendimento successivo.
Molto conta la “disponibilità ad apprendere” e, quindi, diventano rilevanti i fattori non cognitivi
dell‟apprendimento, ma quelli socio-affettivi, di natura relazionale e psicologica: questione evidente
nell'età evolutiva, meno evidente nell'età adulta. L'apprendimento è, dunque, sempre mediato dal
mondo interno del soggetto che apprende.
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Secondo Demetrio, “L'uso didattico del ciclo emozionale può aiutare a ritrovare in talune vicende
fondamentali della vita quelle variazioni emozionali che costellano un tragitto conoscitivo. (..) Si
tratta di pensare a una formazione che sappia maggiormente 'iniziare' alla vita progettando
apprendimenti che soltanto se sperimentati come emozioni si renderanno duraturi nel tempo.”
In definitiva, le strategie didattiche non possono essere tecniche neutre applicabili nonostante le
variabili che intervengono nel processo.
Per training possiamo intendere sia “allenamento” sia “l’insieme degli insegnamenti pratici e degli
esercizi fatti compiere da un alunno perché completi la sua preparazione e il suo addestramento: in
questo senso sta anche per tirocinio” (Bertolini, 2001). Nel nostro caso, “training” va inteso come
prassi educativa costante da parte degli operatori dell'istruzione, sia in sede di comunicazione
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didattica programmata, sia in sede di formazione nella quale si verificano le progettazioni e se ne
mettono a punto delle nuove.
Le strategie didattiche, che finalizzeranno ogni metodo alla liberazione e alla creatività, saranno le
strategie che efficacemente condurranno alla tappa più importante della conoscenza: l'autonomia
creativa. Dunque, insegnare ad apprendere per imparare ad imparare.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– I Unità Didattica – Lezione 5
«Non mi piace definire un bambino "autistico" o "dislessico"; preferisco dire che si trova in una
condizione di autismo, o di dislessia, che quindi può essere cambiata».
L‟idea ottimistica della natura umana, in generale e del bambino, in particolare, informa di sé
l‟enunciato in questione e dovrebbe animare l‟operato di tutti coloro i quali si trovano a lavorare
con soggetti impegnati in percorsi educativi e/o rieducativi; essa costituisce la caratteristica che, più
delle altre, contraddistingue la disciplina pedagogica nel vasto campo delle scienze umane, in
quanto ne anima la stessa intenzionalità.
Se la pedagogia deve differenziarsi nel vasto panorama delle scienze dell‟educazione, essa può
sicuramente farlo rivendicando la propria identità di scienza progettuale, di conoscenza di ordine
poietico saldamente ancorata alla teoria che, tuttavia, si sviluppa ed è sempre finalizzata a quella
particolare azione che è l‟educ-azione.
Si potrebbe, infatti, obiettare che, a differenza di altri ambiti, qui la progettualità, intesa come
anticipazione del risultato di un‟azione, riguarda comportamenti e tratti della personalità di soggetti
che, nel loro divenire, sono in continua mutazione e, dunque, continuando in questo discorso,
„anticipare‟ vorrebbe dire omologare e condizionare.
Per ovviare a questo problema, il fine pedagogico deve costituire l‟asse portante del progetto; poi,
considerate caratteristiche e contesto interattivo della specifica situazione educativa, il percorso-
progetto si arricchisce di tappe intermedie, per affrontare le quali si attinge dalle altre scienze
dell‟educazione.
Ne deriva un modo di guardare all‟educazione come ad un progetto di vita, e alla pedagogia come
ad una teoria dell’educazione che si pone in termini di conoscenza, che riflette sul fatto educativo e
che, più di ogni altra disciplina, si misura con il futuro in un anelito di trascendenza.
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In questo contesto, si pongono, i sistemi di pensiero di Maria Montessori e di Frankle: ambedue alla
ricerca di un senso del compito e dei valori che, nel momento stesso in cui vengono realizzati,
permettono di trovare il senso della vita di ogni individuo.
Sarebbe interessante non tanto esplicitare ed esaltare l‟approccio di Maria Montessori alla
psicoanalisi, né sottolineare l‟eco significativa del pensiero frankliano nell‟ambito della pedagogia,
quanto verificare se la pedagogia scientifica montessoriana e l‟analisi esistenziale frankliana si
fondino sulla stessa visione di tipo antropologico.
Non a caso, infatti, questo ipotesi prende il via dall‟idea stessa di educazione, alla base della pratica
pedagogica montessoriana e del metodo psicoterapeutico frankliano, esaminandola nella sua
accezione di educazione alla responsabilità intesa come capacità personale di rispondere, in modo
originale e critico, alle varie situazioni della vita e alle sfide che essa ci pone.
L‟educazione così intesa risulta decisiva riguardo al problema della alienazione dell‟individuo nella
società e dell‟educazione all‟integrazione comunitaria, alla tolleranza e alla pace.
Il termine responsabilità appare, sia nell‟approccio pedagogico montessoriano, che in quello
psichiatrico frankliano, collegato ai valori della libertà e dell‟autonomia individuale.
La libertà, principio cardine e più osteggiato della metodologia non-direttiva, va correttamente
intesa al fine di non incorrere in fraintendimenti che hanno molto spesso generato dei malintesi,
facendo oscillare l‟impostazione pedagogica tra i due estremi dell‟autoritarismo da una parte e del
permissivismo radicale dall‟altra.
La libertà va intesa non come assoluta, bensì come adeguata alla capacità effettiva di assumerla
responsabilmente e di gestirla in un contesto ambientale e relazionale, che non è di abbandono o di
indifferente tolleranza, ma di non-intervento e di atteggiamento non coercitivo nei confronti del
soggetto.
L‟assoluta fiducia nei confronti delle opportunità e dei valori che l‟individuo sa cogliere
nell‟ambiente intorno a sé caratterizza, poi, la figura dell‟educatore montessoriano e frankliano, che
deve fare di sé una “guida”, un pace-maker, per porre il soggetto, educando o paziente, “a confronto
con i valori e con i significati”.1 Lungi dall‟essere un peace-maker, letteralmente “fautore di pace”,
che tenta di evitare ogni confronto con l‟individuo, lontano da ogni principio omeostatico,
l‟educatore deve riuscire a tenere sempre accesa la fiamma della “sana tensione” tra l‟individuo che
ha di fronte ed uno scopo da raggiungere.
La pedagogia montessoriana nasce come pedagogia speciale e, solo in un secondo momento,
ritenendo che non ci fossero differenze tra le leggi di sviluppo seguite dal bambino disabile e quelle
1
V.E. FRANKL, Logoterapia ed analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia 1953- 1977, p.105.
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del bambino normale, la Dottoressa Montessori applica i principi adottati per l‟educazione dei
«deficienti» all‟educazione dei bambini normali.
V. E. Frankl, invece, nonostante l‟accezione chiaramente pedagogica della logoterapia, non entra
mai nel merito dell‟argomento anche se, quando afferma che «Ogni oggettivazione dell‟essere
umano…riguarda soltanto l‟essere in un dato modo, ma non l‟esser-ci» lascia intravedere
un‟ennesima potenzialità: far sì che gli insegnamenti della logoterapia costituiscano un valido aiuto
per tutti coloro i quali sono impegnati nell‟elaborazione dei piani educativi individualizzati e per
l‟elaborazione del Progetto di vita.
Questo tipo di programmazione individualizzata, che si rivolge ai soggetti con bisogni educativi
speciali, è molto attenta a quella che Frankl definisce unicità e singolarità del soggetto, al fine di
farsi sensibile alle differenze e ai bisogni di ognuno.
L‟unità integrale dell‟uomo a cui si fa riferimento è la stessa dell‟antropologia dimensionale di
Frankl, secondo la quale prendere in considerazione un‟unica dimensione dell‟uomo non basta a
spiegarne la complessa totalità e il suo agire; è la stessa di Montessori che, nelle sue opere,
sottolinea l‟importanza di considerare biologico, sociologico e psicologico come aspetti in stretta
concomitanza tra loro.
I Nostri hanno insegnato come l‟uomo, essere «condizionatamente incondizionato», 2 conservi
sempre e comunque la sua libertà di agire, e quanto sia importante, a tal proposito, l‟intervento
dell‟educatore che, superando ogni tipo di determinismo, nel rispetto di un essere riconosciuto
fondamentalmente libero, pone in essere un processo di formazione del carattere che è espressione
dell‟autonomia di un‟esistenza spirituale.
Le caratteristiche positive della comunità, sottolineate sia dalla pedagogista Montessori che dallo
psichiatra Frankl, riguardano anche la comunità scolastica che deve promuovere il ruolo attivo di
tutti, primo fra tutti quello degli alunni.
Da qui, l‟uso di quelle strategie di insegnamento, tra i quali lavori in gruppi di apprendimento
cooperativo, il tutoring, il mutuo aiuto che, nella loro essenza, erano già stati messi in atto nel
momento in cui, secondo il metodo montessoriano, bambini dai tre ai sei anni venivano tenuti
insieme. La letteratura pedagogica ha ampiamente dimostrato che uno schema come questo fornisce
vantaggi sia ai più piccoli, offrendo loro un‟ampia varietà di modelli da imitare, che ai bambini più
grandi, i quali nel rapporto io-tu trovano un‟occasione per sperimentare sé stessi e l‟altro in quanto
come afferma Frankl: «l‟Io diventa tale solamente mediante un Tu». 3
2
V.E. FRANKL, Uno psicologo nei lager, trad. it. Ares, Milano 2005, 17a edizione, p.114.
3
V.E. FRANKL, Senso e valori per l’esistenza. La risposta della Logoterapia, trad. it. Città Nuova, Roma 1998, p. 27.
19
Montessori insegna che il bambino è “padre dell‟uomo”, “operaio d‟umanità”, che, in modo
indefesso, lavora al progetto dell‟uomo che sarà; Frankl insegna che l‟uomo, essere libero orientato
dalla sua responsabilità, è volto alla realizzazione di un progetto esistenziale e personale: «l‟uomo
come dovrebbe essere “anticipa” l‟uomo come è».4
La pedagogia montessoriana e la logoterapia frankliana sono accomunate da una chiara valenza
preventiva in quanto offrono al soggetto un valido aiuto a trovare quella strada da percorrere, quel
senso della vita per portare avanti nel migliore dei modi il proprio cammino.
L‟educazione così intesa coincide, nella sua più ampia e fondamentale accezione, con una continua
ricerca di senso e di significati e permette di riconoscere la natura noetica di alcune manifestazioni
definite come „problematiche‟ dalle famiglie e dagli operatori del settore.
Sono tanti i problemi che possono essere letti come manifestazioni di un disagio complessivo
dell‟individuo e della sua intenzionalità, nell‟accezione fenomenologica del termine, da quelli che
riguardano lo sviluppo dell‟intelligenza, alle problematiche esistenziali propriamente dette. Inoltre,
emergono sempre con maggiore frequenza, specie nell'età adolescenziale e giovanile, forme di
"disabilità" che si traducono nel non-agio (disagio) a vivere una vita soddisfacente e significativa, a
causa della perdita del "senso della vita".
Sovente tutto ciò è causa e, allo stesso tempo, conseguenza, di una vita condotta in assenza di un
logos per cui vivere, o almeno della chiarezza del perché e del cosa si sta facendo in un determinato
momento.
In un momento storico in cui la mancanza di un senso della propria vita rappresenta una "nevrosi
sociale e collettiva", è importante porre in essere un tipo di azione educativa che si ponga come un
intervento psico-profilattico-educativo teso ad aiutare chi soffre per il proprio disagio, anche
quando questo é legato a costrizioni ereditarie, biologiche o traumatiche.
4
V.E. FRANKL, Homo patients. Soffrire con dignità, op. cit. , pp.112-113.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
–I Unità Didattica – Lezione 6
Il “confronto di pratiche”
Come dicevamo in apertura di questa prima Unità Didattica, la tendenza attuale nell‟ambito della
riflessione e della ricerca pedagogica è quella orientata al “confronto di pratiche”, alla ricerca di
quelle definibili come “best” o “gold”, capaci di produrre risultati sempre più accettabili (in termini
di risposte consapevoli a problemi emergenti) in contesti anche differenti rispetto a quelli in cui
sono state inizialmente „praticate‟.
E‟ anche questo, forse, un nuovo modo di intendere il “modello”, all‟interno di culture che non
possono più pensare di crescere in maniera autoreferenziale e all‟interno di un pensiero che si fa,
per dirla con Morin (1999), sempre più complesso.
Il pensiero di Edgar Morin traccia un singolare percorso filosofico e teoretico che delinea il
passaggio da una concezione fondata sul paradigma riduzionistico della natura umana e del metodo
di studio di qualsiasi scienza, ad una conoscenza che recupera, sulla base del paradigma della
complessità, l‟identità umana, cosmica e planetaria, compito di cui dovrà farsi carico la riforma
dell‟insegnamento e la multidisciplinarietà che contraddistingue l‟epoca della mondializzazione.
Il grande pedagogista contemporaneo, che ha dedicato gran parte della sua opera ai problemi della
necessità di riformare il pensiero, si rende conto che occorre far maturare una nuova conoscenza che
superi la separazione dei saperi presente nella nostra epoca e che sia capace di educare gli stessi
educatori ad un pensiero della complessità, distinguendo tra civilizzazione e cultura.
LA CULTURA È DA CONSIDERARE L'INSIEME DELLE CREDENZE E DEI VALORI CARATTERISTICI DI UNA DETERMINATA
COMUNITÀ.
LA CIVILIZZAZIONE È, INVECE, CIÒ CHE PUÒ ESSERE TRASMESSO DA UNA COMUNITÀ ALL'ALTRA: LE TECNICHE, I
SAPERI, LE SCIENZE.
È necessario umanizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza: questo è un problema
da affrontare già nei primi anni di scuola e deve proseguire lungo tutto il percorso degli studi e
lungo tutto l‟arco della vita.
Una conoscenza priva di contestualizzazione è una conoscenza povera.
E, per far ciò, serve un “pensiero complesso” che permetta di unire ciò che è separato, serve un
“nuovo umanesimo”. “Nuovo” perché il primo umanesimo fu “virtuale”: non c‟erano problemi che
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riguardavano tutta l‟umanità, mentre, oggi, nel mondo globalizzato, i problemi, ad esempio, del
fanatismo razziale e religioso o quello dell‟inquinamento della biosfera accomunano tutta l‟umanità.
Un umanesimo concreto che consenta di apprendere a vivere, un nuovo umanesimo globale che
sappia affrontare i temi della persona e del pianeta.
E siamo a quella “riforma di pensiero” che - sempre per seguire Edgar Morin - consentirebbe il
pieno impiego dell‟intelligenza, per rispondere alle sfide del mondo d‟oggi, riconoscendo quanto sia
attuale il richiamo all‟affermazione di Montaigne: "E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben
piena", una “testa” che si coniuga con un‟attitudine generale a porre e a trattare i problemi, che
utilizza principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro un senso, rispetto
ad una testa nella quale il sapere è accumulato e che non dispone di principi di selezione e di
organizzazione capaci di fornire senso al sapere stesso.
Per Edgar Morin, l‟intelligenza che sa soltanto separare spezza il complesso del mondo in
frammenti disgiunti, fraziona i problemi, unidimensionalizza il multidimensionale. Atrofizza le
possibilità di comprensione e di riflessione, eliminando le possibilità di un giudizio correttivo o di
una visione a lungo termine. L‟inadeguatezza dell‟intelligenza a trattare i problemi più gravi
costituisce una delle difficoltà maggiori che dobbiamo affrontare. Infatti, più i problemi diventano
multidimensionali, più si è incapaci di pensarli in tal modo. Più la crisi progredisce, più progredisce
l‟incapacità a pensarla, più i problemi diventano planetari, più diventano impensati. Il pensiero che
taglia, che isola, permette agli specialisti di ottenere risultati eccellenti nei loro settori e di cooperare
efficacemente in settori non complessi di conoscenza (per es., quelli relativi al funzionamento delle
macchine artificiali), ma, purtroppo, tale logica viene estesa alla società ed alle relazioni umane,
ignorando tutto ciò che è soggettivo, affettivo, libero e, quindi, creatore. Tale forma di
insegnamento fa perdere ai giovani l‟attitudine a contestualizzare i saperi e a saperli integrare nei
loro insiemi.
E‟ dunque assolutamente necessario considerare:
22
Ad un pensiero che isola e separa si dovrebbe sostituire un pensiero che distingue e unisce, ad un
pensiero disgiuntivo e riduttivo occorrerebbe sostituire un pensiero complesso.
E mentre il tentativo della ricerca di “modelli” si rivela, anche in pedagogia, sempre meno fruttuoso
(se mai lo è stato), quello del “confronto di pratiche” sembra rappresentare la sola strategia capace
di dare senso alla stessa riflessione pedagogica.
Capire le ragioni per le quali una pratica educativa, in un determinato contesto, formale o non,
caratterizzato culturalmente, abbia contribuito all‟accrescimento delle possibilità di risposta
dell‟uomo ai problemi della sua esistenza concreta e alla stessa umanizzazione dei suoi ambienti di
vita e di lavoro, consente di verificare se, come e quanto sia “esportabile”, con analoghi risultati, in
altri contesti, anche di differente cultura.
E apre la via a quella “coniugazione delle differenze” che rende significativo l‟abbattimento delle
frontiere, culturali, prima che fisiche e politiche, tra Stati ed etnie, in vista della costruzione di
condizioni di vita umana sempre più allargate, in cui non ci sia spazio per nuove colonizzazioni
omologanti, quanto piuttosto si affermi con forza l‟importanza di scelte che valorizzino le
differenze dei popoli che, insieme, saranno in grado di garantire la stessa possibilità di
sopravvivenza alle future generazioni o, insieme, saranno destinati a segnare la fine della vita sul
nostro pianeta.
Il “confronto di pratiche” è alla base della stessa politica culturale della Comunità Europea come
linea di metodo e come principio ordinatore anche per rendere dignitoso lo stesso ingresso di
sempre nuove realtà statuali che portano ad allargarne progressivamente i confini.
Alcuni leggono questa prospettiva come velata da un rischio di snaturamento della cultura che
sarebbe alla base della stessa Comunità ma costoro sono, poi, coloro che, di fronte alla necessità di
trovare un ancoraggio in grado di definire i caratteri di questa ipotetica cultura europea, capace di
“tipizzarne” i cittadini, vedono naufragarne i tentativi.
Il “confronto” è, per definizione, incapace di subire limitazioni di alcuna natura, né temporali né,
tanto meno, spaziali. Il confronto è apertura, dialogo, superamento continuo di barriere ed ostacoli
verso la costruzione, oggi, dell‟uomo europeo e, domani, del cittadino del mondo.
E il “confronto di pratiche” non può essere limitato dalla abusata scelta che, il più delle volte, risulta
infruttuosa o fallimentare, di trovare modelli o, almeno, linee di tendenza comuni per orientare
politiche culturali o sociali in contesti differenti.
La dimensione stessa dei contesti potrebbe indurre ad ammettere il fallimento dei tentativi che si
vanno ad operare in tale direzione: agire in un senso, in un contesto, assume un senso, non sempre
linearmente esportabile in un contesto differente.
23
E‟, piuttosto, andata emergendo, in tutta la sua complessità, la considerazione di come il “confronto
di pratiche” vada accrescendo la consapevolezza delle possibilità che si aprono all‟interno di una
costruzione condivisa di regole e modi di vivere, alla luce di una nuova cultura del confronto che si
arricchisce di modalità rispettose delle diversità e “vaccinata” rispetto alle tendenze di
omologazione che rendono matura la civile convivenza e l‟appartenenza ad identità tendenti al
progressivo e non limitabile allargamento. Laddove la tendenza alla ricerca di modelli tradisce la
volontà stessa di uniformare linee e scelte di politica a quei modelli, negando la ricchezza euristica
che emerge proprio dal “confronto di pratiche”.
24
Pedagogia dei processi formativi e didattici
–I Unità Didattica – Bibliografia
25
E. Morin, Educare gli educatori. Una riforma del pensiero per la democrazia cognitiva, trad. it.
EdUP, Roma 1999.
E. Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, trad. it. Raffaello Cortina, Milano,
2001.
P. Mottana, Formazione e affetti. I contributi della psicoanalisi allo studio e alla elaborazione dei
processi di apprendimento, Armando, Roma, 1993.
F. Pinto Minerva, R. Gallelli, Pedagogia e post-umano. Ibridazioni identitarie e frontiere del
possibile, Carocci, Roma 2004.
Morin e, LA TESTA BEN FATTA. RIFORMA DELL’INSEGNAMENTO E RIFORMA DEL
PENSIERO, Raffaello Cortina editore, Milano 2000
26
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– II Unità Didattica – Lezione 1
UNITÀ DIDATTICA:
“PROBLEMATICHE FORMATIVE”
27
creare “impalcature di sostegno” nell’area di sviluppo prossimale, dove chi è in
situazione di diversità sia pensato come parte del gruppo-classe e del percorso, con
attenzione ai suoi specifici bisogni formativi (vedasi le ricerche più recenti di
approccio interattivo-costruttivita e contestualista e il filone di ricerche sulla
socializzazione di gruppo);
potenzia la metacognizione. Nell’apprendimento dalla differenza, si realizza un duplice
processo di elaborazione cognitiva e affettiva attraverso il confronto e la riflessione,
che permette di riconoscere e di elaborare l’ambivalente, complesso e spesso
inconsapevole sentimento di attrazione/repulsione per tutto ciò che viene vissuto come
differente e dissimile da sé e dai propri schemi comportamentali. Occorre sottolineare
come il confronto con la differenza richieda sia il riconoscimento della diversità altrui,
ovvero la differenza dell’altro, sia il riconoscimento della propria diversità, ovvero la
differenza dall’altro. Questo duplice livello di comprensione sottende un meta-
apprendimento importante in cui si riconosce che l’altro/a è diverso/a da me perché io
sono diverso da lui/lei, e comporta un continuo decentramento in cui è possibile
guardarsi con gli occhi dell’altro. Altrettanto, il confronto con le differenze culturali
chiama in causa significati spesso remoti e profondi, che si sono storicamente
sedimentati, e che richiedono uno sforzo di avvicinamento e comprensione lento e
graduale, un apprendimento che, se si realizza, ha un valore decisivo per la crescita
personale: sembra, infatti, che la scoperta e l’incontro con culture differenti si
accompagni ad una maggiore acquisizione di “forza” e di fiducia nelle proprie
personali capacità di avvicinarsi e scoprire il nuovo;
sviluppa le competenze individuali, le specifiche attitudini e talenti personali. Ciò è
possibile attraverso strategie individualizzate, che possono prevedere compiti,
materiali, ruoli, percorsi diversificati, facilitati o arricchiti e accelerati: le ricerche più
recenti d’approccio interattivo-costruttivista e contestuali vanno evidenziando come i
gruppi fra coetanei, impegnati in attività di laboratorio offrano preziose occasioni di
confronto di idee e concezioni, di processi di pensiero (metodo induttivo, deduttivo,
messa a punto schemi di sintesi, di strategie argomentative e di intervento), di co-
costruzione e scoperta, di socializzazione di differenti modi per reagire a situazioni-
problema o per esprimere/controllare affetti e sentimenti. Ed è possibile sviluppare le
28
competenze individuali e i talenti personali attraverso attività facoltative dentro scuola
oppure nelle offerte intenzionalmente formative del territorio.
… Ma il guadagno vero è che un gruppo-classe/sezione, una scuola, in quanto contesti di interazioni e
relazioni (simmetriche e asimmetriche ), di gioco e di lavoro, di proiezioni e di identificazioni, hanno
il privilegio di poter essere una vera e propria fabbrica di competenze e di umanità: attraverso
l’esempio e l’esperienza di essere ascoltati e di ascoltare le figure adulte di riferimento e i compagni,
di confrontarsi con il modo di vedere e di percepire degli altri la relazione interpersonale e
interculturale può divenire una ineliminabile fonte di apprendimento per sé.
Il massimo potenziale di apprendimento di un gruppo-classe/sezione, di una scuola sta nel fatto di
essere un contesto sociale “quasi naturale” in cui si possono costruire reti sociali tra pari e si può
attivare e coltivare quel delicato, prezioso processo di elaborazione cognitivo/affettiva e di
attribuzione di valore e di significato che rende la diversità una risorsa.”
Nello stesso ragionamento della Dozza, tuttavia, è possibile ritrovare gli elementi di disgregazione del
quadro di produzione e di attribuzione della funzione “risorsa” alla diversità. Soprattutto quando, al di
fuori del campo rappresentato dalla famiglia e dal gruppo dei pari, entrando nel campo dalla scuola, la
dimensione culturale che richiama l‟ampio intreccio dei sistemi dei segni, dei gesti, dei riti, degli usi e
dei costumi, oltre a quelli della lingua, dei valori e della fede, troppo influenzati dai contesti di
appartenenza, incidono su azioni e comportamenti, in modo da costituire barriere ai processi di
inclusione.
Ogni bambino – come correttamente sottolinea la stessa Dozza – può raggiungere risultati formativi
positivi sia a livello cognitivo, sia a livello affettivo-emotivo e sociale (di autonomia e di fiducia nelle
proprie risorse) sole se e a condizione che il curricolo scolastico si ponga obiettivi che guardino al
raggiungimento di progressivi livelli di inclusione che, aggiungiamo noi, supporta e sostiene la ricerca
dello stesso “senso” di trovarsi in quel contesto formale di apprendimento e proprio per apprendere,
che abbia un “senso” per la vita.
L‟inclusione dovrebbe contestualmente scaturire dal coltivare la normalità quanto la specialità. La
prima risponde ed è funzionale alla risposta al bisogno di appartenenza e, al tempo stesso, di
riconoscibilità dell‟identità personale; la seconda, la specialità, risponde al bisogno di percepire quanto
la propria diversità (rispetto agli altri) sia riconosciuta come un valore, una condizione di guadagno
per la crescita individuale e del gruppo.
Ed occorre ricordare quanto in campo pedagogico, di riflessione sul fatto educativo, l‟attenzione alla
persona e alla sua specialità irripetibile è divenuta un‟idea-guida soprattutto grazie ai principi della
29
scuola “attiva”, alle esperienze americane della prima metà del novecento (dal Metodo dei progetti di
Kilpatrick, al Piano Dalton di Helen Parkurst, al Piano Winnetka di Carleton Washburne, alla Scuola
Laboratorio dell’Università di Chicago di Henry C. Morrison), alla diffusione del Movimento di
Cooperazione Educativa e, infine, agli orientamenti del personalismo tanto cristiano quanto laico.
Ma il contesto formale di apprendimento per eccellenza, la scuola si è lasciata “intorpidire” dalle
pratiche trasmissive che mortificano l‟originalità e la differenza, soffocano il confronto e la
discussione, appiattiscono la diversità riportandola nella dimensione del limite invalicabile,
dell‟ostacolo per le prassi omologanti, chiuse nel verbalismo asfittico dei linguaggi per lo più verbali
che impediscono il dialogo e il decentramento dell‟“io” (Franca Pinto Minerva).
L‟apprendere facendo, con le mani e con la mente, comunicando con il corpo, con i gesti, con la
musica, a livello individuale, di coppia, di piccolo e grande gruppo sembra restare una specificità dei
contesti non formali ed informali di apprendimento, da cui la scuola non riesce a mutuare metodi e
forme di insegnamento efficace quanto gradito.
E tutto questo senza ancora aver considerato il “peso” della diversità degli approcci culturali e dei
linguaggi rispetto agli stessi contenuti disciplinari; terreno sul quale gli etnocentrismi scaricano tutta la
loro forza distruttiva legata agli integralismi. Più si rimarcano le differenze, più si crea terreno di
coltura per pregiudizi, stereotipi e a-priori che rendono invivibile il contesto - classe e minano alla
base ogni tentativo di inclusione capace di costruire identità plurime ed apprendimenti efficaci.
Nonostante, quindi, tutti gli sforzi di teorizzazione dell‟importanza del considerare la diversità come
una risorsa e le relative dimostrazioni quasi assiomatiche, le tante esperienze concrete, attuate sul
campo, in presenza di una crescita esponenziale del numero di studenti appartenenti a “culture altre”
nelle realtà scolastiche di accoglienza, i fallimenti che scaturiscono dalle difficoltà, a volte
insormontabili, nell‟apprendimento scolastico e nello sviluppo della stessa dimensione relazionale,
non possono che preoccupare.
30
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– II Unità Didattica – Lezione 2
31
conoscenze di cui le persone hanno bisogno per svolgere il loro lavoro vengono apprese per le vie
“informali”.
Nella seconda metà del secolo scorso si era assistito alla formazione spontanea di una sorta di doppio
canale educativo che riconosceva nell‟azione della scuola e della famiglia l‟apporto legittimo, e nei
mass media ed in tutte le occasioni sportive, ricreative o formative frequentate un secondo canale
parallelo.
L‟esperienza educativa scolastica non possedeva dunque nessuno dei caratteri che contraddistinguono
quella extrascolastica caratterizzata dalla concretezza, dall‟interrelazione, dal coinvolgimento emotivo
ed affettivo, mentre questo “secondo canale” consente un apprendimento in situazioni motivate,
correlate ad esigenze precise e funzionali al raggiungimento del risultato immediato.
Nella società si impara per l‟ ”oggi” e per il “subito” mentre a scuola si impara per il “domani” per il
“dopo”. Se si considerano poi le diverse modalità d‟apprendimento che differenziano queste esperienze
risulta evidente quanto quelle concrete siano motivanti e quanto quelle scolastiche fossero per lo più
teoriche, scollegate dal vissuto dei giovani e prive di situazioni problematiche.
Le attività di questo “doppio fondo” costituiscono, quindi, le occasioni più felici dell‟apprendimento
significativo. Si tratta, allora, di tentare di portare i vantaggi degli apprendimenti formali a livello degli
apprendimenti informali, o mettere in atto strategie didattiche che favoriscano un continuo scambio fra
questi due livelli di apprendimento, una intercomunicazione, un‟interferenza, che consenta la massima
valorizzazione ed una sorta di traino da parte delle modalità che risultano più efficaci per apprendere.
La prima analisi di queste speciali interferenze da promuovere anche nei contesti formali (scuola) di
apprendimento si deve a Poggeler che individuò una sorta di permeabilità dei due livelli che può essere
espressa come “effetto doppio fondo”.
32
c. l‟informazione che preme far passare, collegata ad un‟attività, procura e stimola delle funzioni e
il loro esercizio e, una volta appresa, viene riproposta in forme di esercizio similari;
d. la ripetizione verbale dell‟informazione - quando necessaria - viene richiesta come
verbalizzazione e, dove possibile, come racconto di ciò che il soggetto compie operativamente,
ancora meglio se l‟informazione è funzionale allo scambio informativo nel gruppo.
In questo modo, anche gli apprendimenti del “primo fondo” si strutturano alla maniera degli
apprendimenti del “secondo fondo” che sono poi gli apprendimenti più interessanti, quelli che più
incidono sullo sviluppo della persona e la sostengono nella crescita.
In mancanza di tale aggancio, l‟apprendimento rischia di risolversi nel classico nozionismo o in un
addestramento meccanico.
Altre due considerazioni sono da fare in riferimento alle resistenze ai nuovi saperi e alla capacità di
autodeterminarsi. Per il primo aspetto, va sottolineato come, quando il soggetto in formazione
interiorizza affettivamente e cognitivamente il portato rappresentazionale dei contenuti e dei saperi
precedentemente appresi, la resistenza ai nuovi saperi aumenta, soprattutto nel momento in cui essi
contrastano con il sistema dei valori di cui il soggetto è portatore. Si registrano quindi, delle
interferenze “negative” che rinforzano le resistenze al cambiamento. E‟ importante controllare e ridurre
tale tipo di interferenze.
Accanto ad interferenze “negative”, vi sono anche interferenze “positive” che possono facilitare gli
apprendimenti ed essere utilizzate anche per rimuovere resistenze e pregiudizi.
Al raggiungimento della formazione prevista dal sistema formativo integrato concorrono tre
fondamentali categorie di apprendimento diversamente orientate:
• l’apprendimento formale che si svolge negli istituti d‟istruzione e di formazione e porta
all‟ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;
• l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture d‟istruzione e di
formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. L‟apprendimento non formale è dispensato sul
luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile (associazioni
giovanili, sindacati o partiti politici). Può essere fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a
complemento dei sistemi formali (quali corsi d‟istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati
per la preparazione degli esami);
• l’apprendimento informale è il corollario naturale della vita quotidiana. Contrariamente
all‟apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può pertanto non
essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze.
33
Una caratteristica degli apprendimenti informali è la triplice valenza come elementi del sapere e, nello
stesso tempo, come espressione del potere della persona (poter fare, poter agire, poter essere) e come
connotazione del volere (attitudine della persona ad autodeterminarsi).
Se gli apprendimenti formali giungono esclusivamente al sapere, lasciando aperta la strada ad una
personale ed autonoma elaborazione in direzione del potere e del volere, è evidente che il “luogo” della
possibile interferenza fra i due livelli degli apprendimenti formali e degli apprendimenti informali è
dato dallo spazio che si frappone fra sapere (scolastico), da una parte e potere e volere (della esperienza
informale) dall‟altro.
«Con l‟accoglimento del concetto di lifelong learning, che valorizza l‟apprendimento lungo l‟intero
arco della vita, gli apprendimenti non formale e informale vengono riconosciuti facenti parte del
processo di “istruzione e formazione permanente”, e con l‟autonomia entrano a far parte a pieno titolo
del processo di formazione scolastico integrandone di fatto i diversi settori nel complessivo sistema
d‟istruzione. La complementarietà degli apprendimenti mette in luce quanto le attività legate
all‟insegnamento-apprendimento riguardino ogni aspetto della vita e possano ricoprire ruoli
intercambiabili a seconda delle situazioni e dei luoghi. Evidenzia inoltre come le conoscenze possano
essere acquisite nei contesti più vari, nell‟ambito della famiglia o nella società civile, in situazioni
gradevoli o sgradevoli, nelle attività del tempo libero (visitare un parco giochi o un ospedale
costituiscono l‟esempio di situazioni gradevoli e sgradevoli che comunque costituiscono fonti di
preziose informazioni utili anche all‟adozione di comportamenti corretti). L‟apprendimento informale
appartiene al naturale svolgersi delle attività quotidiane e non essendo necessariamente intenzionale ma
considerato casuale non sempre viene riconosciuto; questo ambiente è invece fonte di continui spunti
per nuovi saperi e dovrebbe rappresentare un‟occasione di riflessione e d‟innovazione delle prassi
d‟insegnamento»1.
La possibilità di successo, in termini di acquisizione di apprendimenti significativi, sarà, quindi, legato
alla possibilità di far passare gli apprendimenti formali attraverso attività, esperienze, iniziative
operative che possano rappresentare, per il soggetto in formazione, modalità di acquisizione di
“potere”, come capacità di agire nel mondo e, nello stesso tempo, come risorsa di autodeterminazione,
ossia come “volere”.
1
C. Alloggio, Didattica di Educazione Tecnica, 2011, in
www.cird.unive.it/dspace/.../2/SCUOLA%20ed%20EXTRASCUOLA.pdf
34
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– II Unità Didattica – Lezione 3
Pedagogia ed empowerment
Quanto affermato in chiusura della precedente Unità Didattica parte dal presupposto che le competenze
sono presenti nei soggetti, almeno allo stato potenziale; considera lo scarso funzionamento come
risultato dell‟interazione degli individui con la struttura sociale e della mancanza di risorse che
impediscono alle competenze disponibili di essere spese efficacemente. Per tale ragione il concetto di
empowerment risulta centrale.
L‟empowerment è stato definito, per la prima volta (1981), da J. Rappaport come:
“Un processo intenzionale che continua, centrato sulla comunità locale che implica il rispetto
reciproco, l’elaborazione critica, il prendersi cura di e la partecipazione del gruppo”. In
un’accezione generale, empowerment può essere inteso come “accrescere la possibilità dei
singoli e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita”.
E‟ un termine inglese, che deriva dal verbo “to empower” e significa letteralmente, “attribuire potere”,
incrementare in un soggetto la percezione di controllo su ciò che accade; esso ha anche il significato di
“autorizzare, permettere, mettere nelle condizioni di”, rimandando in quest‟ultima accezione, all‟azione
dello sviluppo, del dispiegarsi di ciò che si trova, in un momento dato, ad uno stato latente, potenziale.
Empowerment include una duplice sfumatura di significato, intendendo sia il processo operativo per
raggiungere un certo risultato, sia il risultato stesso, vale a dire lo stato “empowered” del soggetto. Esso
indica sia un concetto sia un processo che permette di raggiungere gli obiettivi, e si basa su due
elementi principali:
a. la sensazione di poter compiere azioni efficaci per il raggiungimento di un obiettivo;
b. il controllo, la capacità, di percepire l‟influenza delle proprie azioni sugli eventi.
Le azioni e gli interventi centrati sull‟empowerment mirano a rafforzare il potere di scelta degli
individui, migliorandone le competenze e le conoscenze in un‟ottica non sola di carattere teraupetico-
riparativo ma, anche, politico-emancipatorio.
La confusione attuale che caratterizza l‟uso del termine empowerment, deriva dal suo essere stato
adottato per identificare, contemporaneamente, un modello culturale (un set di valori, principi, ecc.), un
35
costrutto psicologico (una caratteristica del soggetto), un processo operativo e un approccio applicativo
(una guida metodologica all‟intervento operativo).
Il concetto di empowerment contiene in sé sia il riferimento all‟auto-determinazione individuale, sia
alla partecipazione alla vita di comunità; esso si traduce dunque, tanto nel senso di controllo personale
quanto nell‟influenza sociale.
Per comprenderne il significato occorre, pertanto, andare oltre l‟individuo, considerando come sia
intrinsecamente implicata nel concetto di empowerment una relazione di potere/influenza con
l‟ambiente, con l‟altro, con la comunità. Per tale ragione, una teoria dell‟empowerment è per
definizione “ecologica”, orientata ad una comprensione contestuale e relazionale, piuttosto che
intrapsichica, dei fenomeni. Ricorrono, nella letteratura psicologica, molte definizioni di
empowerment, ma tutte concordano nel considerarlo qualcosa di più e di diverso da alcuni dei costrutti
psicologici tradizionali con i quali viene talvolta confuso (autoefficacia, autostima, locus of control,
ecc.). Tra le definizioni più diffuse ricordiamo quelle di:
PINDERHUGES (1983)
E’ lo sviluppo delle abilità e delle capacità di far fronte in maniera costruttiva alle forze che minano
la capacità di lottare per il raggiungimento di un controllo ragionevole di ciascuno di noi sul proprio
destino.
KEIFER (1984)
Un concetto ampiamente politico, così come psicosociale, che richiede una distinzione tra
empowerment come sviluppo di capacità empowering e empowerment come raggiungimento di
un’abilità di partecipare.
DUNST, TRIVETTE (1987)
Include gli assunti che: le persone sono già competenti hanno la capacità di essere competenti; il
fallimento nel mostrare queste competenze è dovuto a mancanza di opportunità sociali, non è
fallimento della persona; gli individui devono attribuire i cambiamenti del proprio cambiamento alle
loro azioni se vogliono raggiungere un senso di controllo.
BRUSCAGLIONI (1994)
Il concetto di empowerment è connesso strettamente al concetto di “possibilità” (livelli di
empowerment) e al concetto di “aumento delle possibilità” (processo di aumento dell’empowerment).
Il “livello di empowerment” di un soggetto (individuale o collettivo) è l’ampiezza del ventaglio di
possibilità tra le quali il soggetto può “scegliere” quella da privilegiare e praticare nell’operatività.
ZIMMERMANN (2000)
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E’ un costrutto multilivello che ci richiede di pensare in termini di promozione della salute, auto e
mutuo aiuto e molteplici definizioni di competenza. E’ un costrutto a livello individuale quando
riguarda variabili intrapersonali e comportamentali; un costrutto di livello organizzativo quando
riguarda la mobilitazione di risorse e le opportunità di partecipazione ed è - un costrutto di livello
comunitario quando riguarda le strutture sociopolitiche e il cambiamento sociale.
Tutte le definizioni si richiamano o, comunque, sono coerenti, con la definizione fornita dal Cornell
Empowerment Group (1989), che così si esprime: “un processo internazionale e permanente fondato
nella comunità locale, che implica mutuo rispetto, riflessione critica, cura e partecipazione di gruppo,
attraverso il quale le persone che non hanno a disposizione una quota di risorse di valore pari a quelle
degli altri guadagnano maggiore accesso e controllo su di esse”.
Oltre ad essere un modello teorico, l‟empowerment è altresì un valore o, più precisamente, una
concezione dell‟uomo e della realtà, una weltanschauung, una cultura, che ha rimpiazzato, in psicologia
di comunità, la filosofia dell‟intervento ispirata alla prevenzione e all‟advocacy. La prima si fonda sul
principio della soddisfazione di bisogni dei soggetti per definizione in stato di dipendenza, la seconda
sul rispetto dei diritti dei cittadini, adulti ma pur sempre bisognosi.
In entrambi i casi, il potere della competenza è attribuito al professionista secondo il modello
tradizionalmente asimmetrico del rapporto esperto – profano.
La cultura dell‟empowerment, al contrario, parte dal presupposto che le competenze sono presenti nei
soggetti, almeno allo stato potenziale; considera lo scarso funzionamento come risultato
dell‟interazione degli individui con la struttura sociale e della mancanza di risorse che impediscono alle
competenze disponibili di essere spese efficacemente.
Prevenzione ed empowerment implicano, inoltre, concezioni diverse della giustizia sociale: distributiva
la prima, fondata sull‟allocazione delle risorse in base ai bisogni; procedurale la seconda, imperniata
sull‟importanza della partecipazione e del controllo sulle scelte di interesse collettivo.
Il costrutto dell‟empowerment appare, nella letteratura, tra gli anni sessanta e settanta, ma si sviluppa,
diventando principale oggetto d‟interesse della psicologia di comunità, soprattutto nella seconda metà
degli anni ottanta.
Secondo Piccardo (1995), il costrutto dell‟empowerment è presente, a partire dagli anni sessanta, in
almeno quattro diverse aree: area politica, area medica e psicoteraupetica, area pedagogica, area di
psicologia di comunità.
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Il concetto di empowerment fa riferimento alla possibilità, da parte dei più deboli, svantaggiati,
emarginati di emanciparsi da una situazione di assistenza pubblica, la quale consente loro l‟accesso a
risorse sociali per la propria sussistenza ma è alla base della loro passività e dipendenza che non
rendono possibile l‟attivazione delle loro autonome risorse.
Nel termine stesso empowerment è nascosta una parola ingombrante: potere (power). Piuttosto che
all‟accezione comune di avere «potere su» qualcosa o qualcuno, bisogna pensare ad un potere inteso
come capacità personale, forza, energia, autopotenziamento, incremento delle proprie possibilità, il
«potere di» fare, di essere. Questo «potere di» è contemporaneamente improntato all‟emancipazione
dell‟altro, alla solidarietà e all‟interdipendenza con l‟altro, è immediatamente un «potere con» l‟altro.
Il concetto di empowerment è articolabile con riferimento soprattutto alla teoria della learned
helplessness (depressione appresa) e della self–efficacy (autoefficacia).
Il primo concetto è traducibile in termini di “passività appresa”, sentimento di sfiducia e sconforto:
l‟interesse, per noi, è alto, in quanto identifica la condizione opposta rispetto ad una condizione di
empowerment.
Il costrutto dell‟empowerment è presente nella letteratura pedagogica degli adulti, nell‟ottica di
promuovere lo sviluppo della crescita e l‟apprendimento nel corso di tutto l‟arco della vita individuale
di emancipare il discente dalla dipendenza del docente; integrare le minoranze; valorizzare il
bilinguismo.
In quest‟area, alcuni lavori sono volti a studiare le modalità didattiche esperienziali, attraverso le quali
ridurre il ruolo del docente e stabilire una dinamica relazionale che ha l‟obiettivo di rendere l‟individuo
autonomo nel suo futuro processo di crescita che è considerato continuo nell‟arco della vita.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– II Unità Didattica – Lezione 4
L’apprendimento permanente
Un apprendimento comporta sempre una trasformazione intenzionale, capace di generare nuovi stili di
vita. Il nesso tra “apprendimento adulto” e “formazione” non è solo dato dall‟applicazione di teorie
dell‟apprendimento adulto alla pratica formativa ma ne rappresenta anche un necessario collegamento.
Possiamo guardare a tale tipologia di apprendimento, da almeno tre punti di vista corrispondenti a tre
possibili correnti di studio e di approfondimento:
1. approccio psicologico, con cui vengono richiamati gli studi di natura cognitivista e
neocognitivista sui processi di memorizzazione, concettualizzazione e sul rapporto tra
conoscenza ed esperienza;
2. approccio psico-sociale, che interpreta l‟interazione tra sviluppo cognitivo e ruoli sociali,
includendo i processi di comunicazione, riconoscimento sociale e sviluppo
dell‟immaginario;
3. approccio antropologico-sistemico, che valorizza le motivazioni di chi vive un‟esperienza di
apprendimento e di formazione; quindi, stabilisce le possibili connessioni tra evoluzione
globale dell‟adulto e condizioni dell‟apprendimento, soprattutto partendo dai momenti
significativi dell‟esperienza quotidiana.2
Oggi, si ritiene di poter parlare di “sviluppo per l‟intero corso della vita”, in quanto anche l‟adulto può
cambiare ed evolvere, nel corso dell‟“età adulta”, attraverso interventi educativi o formativi; anche se,
in una società in continua evoluzione, ci si può imbattere nell‟illusione del cambiamento: c‟è chi è
costretto a cambiare adeguandosi allo sviluppo tecnologico per non perdere il lavoro e/o lo status
sociale e/o lavorativo; chi deve cambiare mentalità per non diventare un “estraneo” al proprio mondo,
ma c‟è anche chi persegue il cambiamento per realizzarsi. In tutto questo, bisogna comunque vedere
quanto si riesca a cambiare e, in particolar modo, se il cambiamento sia effettivo.
La formazione si può inserire nei processi di cambiamento, favorirli e aiutare i soggetti ad individuare i
compiti evolutivi della fase in cui si trovano; quando un cambiamento è vicino, la formazione può
essere molto efficace, perché aiuta l‟individuo a portare avanti nel modo migliore il cambiamento
2
Cfr, V. Gallina, M. Lichtner, L’educazione in età adulta. Primo Rapporto nazionale, Franco Angeli, Milano, 1996, pp. 15-
20.
39
stesso. 3 In ogni fase della vita ci sono “compiti evolutivi” che possono essere eseguiti “bene o male”,
la funzione della formazione è aiutare l‟individuo nel suo “lavoro evolutivo”.4
La formazione risulta “valida” nel momento in cui identifica quello che, per i singoli soggetti,
corrisponde ad un “compito evolutivo”, fornendo strumenti e risorse validi per migliorare il proprio
essere; per cui la sua efficacia dipende dal significato che i soggetti possono attribuirvi rispetto al loro
iter maturativo. All‟interno della formazione, un “apprendimento significativo” è quello che si
relaziona con l‟apprendimento esterno dove gli individui sono abitualmente impegnati: si “apprende
facendo”, partecipando alle attività sia nel lavoro e sia nel sociale; l‟intervento formativo non solo deve
valorizzare l‟esperienza del soggetto, ma deve tener conto delle modalità di questo apprendimento
esterno. Esso dovrebbe mettere in grado di “imparare ad apprendere” dalle attività quotidiane e nella
rete delle relazioni in cui si vive, all‟interno dei progetti di autoistruzione.
Oggi, si parla molto dell‟imparare ad apprendere come fondamentale obiettivo educativo. Sono
riportate nella tabella seguente alcune importanti caratteristiche dell‟apprendimento in situazioni reali,
in contrapposizione alle modalità di apprendimento in contesti di tipo formale, come quello scolastico.
3
Cfr., M. Lichtner, La qualità delle azioni formative. Criteri di valutazione tra esigenze di funzionalità e costruzione del
significato, Franco Angeli, Milano, 1999, pp. 229-232.
4
Ivi, pp. 233.
40
partecipando ad attività sociali, realizzando cose insieme ad altri ed è, comunque, vero che, spesso,
dalla partecipazione ad attività sociali non si impara quasi nulla, in quanto è un dato di fatto che, nelle
interazioni con gli altri, alcuni apprendono di più e altri di meno; per cui, oggi, è necessario avere
capacità individuali per partecipare e imparare dagli altri, di risolvere problemi sia con gli altri che da
soli.
Lo sviluppo del sistema di lifelong learning ha avvicinato i due ambiti, l‟istruzione e la formazione
professionale degli adulti, da progettare e realizzare in un unico continuum.
L‟istruzione e la formazione sono un mezzo indispensabile per promuovere la coesione sociale, la
“cittadinanza attiva”, la realizzazione personale e professionale, l‟adattabilità e l‟occupabilità.
L‟apprendimento permanente agevola la libera circolazione dei cittadini e consente di conseguire le
aspirazioni le aspirazioni individuali; dovrebbe consentire a tutti di acquisire le conoscenze necessarie
per partecipare come cittadini attivi alla società della conoscenza e al mercato del lavoro.
A tal proposito, è importante il ruolo svolto da quella che è definita la “formazione invisibile” che è,
per esempio, quella che avviene sul posto di lavoro, denominata Work Learning Place e che sottolinea
l‟opportunità di riunire lavoro e apprendimento in un unico “punto” spazio-temporale; ciò porta a
concentrarsi sui luoghi, i momenti, le modalità più opportune per poter accelerare il processo di
apprendimento naturale delle persone.
In questo senso, la formazione deve diventare un sistema ricco di proposte e risorse formative
personalizzabili, che si auto-aggiorna nel tempo e che sia in grado di creare sempre delle relazioni tra le
persone che sentono il bisogno di diffondere sempre nuovi apprendimenti. Da un lato, quindi,
l‟apprendimento dell‟individuo (desideri e doveri) e, dall‟altro, la capitalizzazione delle competenze da
parte di strutture sociali e produttive (opportunità e bisogni).5
C‟è chi ha sostenuto che l‟educazione non è una “sostanza”, ,a piuttosto un‟“apparenza soggettiva”
che, da un lato, descrive un comportamento (educato-maleducato) e dall‟altro descrive un processo
(educativo-diseducativo). Duccio Demetrio, nel suo saggio “Educatori di Professione”, sostiene:
“l’educazione non esiste, ma esistono gli educatori. In carne ed ossa: ed è il loro lavoro che
può costituire, allora, un ambito di ricerca scientifica e cioè ciò che fanno, dicono, promettono,
5
Cfr, S. Paneforte, Il processo di apprendimento individuale e organizzativo. La formazione nella società della conoscenza,
Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 50-52
41
disciplinano. I gesti, le parole, gli esempi, le regole, creano ciò che chiamiamo educazione: e,
da questi fatti, occorrerebbe allora partire per parlare di scienza”.6
L‟educazione è una rappresentazione delle modificazioni che coinvolgono singoli individui o gruppi di
individui; queste rappresentazioni sono modificabili e cambiano sia da soggetto a soggetto che da
cultura a cultura; l‟educazione, quindi, designa un processo di mutamento.
Il cambiamento necessita di una formazione continua che non solo dovrebbe adottare metodologie
innovative ma deve anche raggiungere degli scopi, quali la motivazione e il “sostegno ad apprendere”,
il valorizzare le differenze, sostenendo, quindi, l‟integrazione.
Dunque, la formazione funge da supporto ai processi di apprendimento e di uso della conoscenza
all‟interno delle organizzazioni; in tal senso, può avere caratteristiche di:
a. formazione-intervento dove i soggetti in formazione, per poter affrontare un problema,
esternano i propri valori, pregiudizi e competenze, al fine di risolverlo; in questo caso,
bisognerebbe partire dall‟esame dei diversi punti di vista per far emergere il contributo
individuale verso il valore collettivo di un progetto condiviso;
b. formazione continua implica che abilità, competenze, conoscenze, esperienze di lavoro siano
integrate, favorendo l‟apprendimento continuo, costituito da processi di auto-valutazione delle
esigenze formative, di auto-gestione dei contenuti e delle aree di miglioramento;
c. formazione permanente dove vi è lo sviluppo continuo della conoscenza, per cui importante
sarebbe l‟interiorizzazione e la ricerca del “nuovo”, senza però trascurare ciò che di buono c‟è
nell‟esperienza pregressa.
6
Cfr, D. Demetrio, Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-scolastici, La
Nuova Italia, Firenze, 1990, pp. 23.
42
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– II Unità Didattica – Lezione 5
43
Oggi il WBL si pone come strategia didattica e formativa di riferimento in relazione a varie condizioni:
a. necessità di un'alfabetizzazione infotelematica di tutta la popolazione;
b. necessità del riconoscimento legale dei titoli di studio ottenuti con modalità a distanza;
c. necessità che nei contesti formali della formazione (scuole e università) l'utilizzo del web a
scopo di studio divenga prassi normale per tutti gli insegnanti oltre che per gli studenti.
Il WBL ha una serie di campi specifici di utilizzo:
l‟istituzione scolastica;
l‟e-learning nelle grandi organizzazioni;
la formazione professionale;
l‟apprendimento informale.
L‟istruzione scolastica: le scuole secondarie e quelle del ciclo dell'obbligo producono regolarmente
materiali didattici su internet o su CD-ROM, ma non ancora percorsi di studio che integrino
strutturalmente studio a distanza con presenza in aula. Mancano in tal senso precise politiche educative.
Proliferano i siti rivolti agli studenti, con tentativi di avviare forme di studio collaborativo attraverso
scambi di appunti, notizie su corsi e professori, di offrire assistenza allo studio per gli studenti, a
pagamento, specialmente per gli studenti universitari. Ciò è sintomo di un bisogno di assistenza
personalizzata allo studio che la scuola pubblica non riesce ancora ad offrire.
L‟e-learning nelle grandi organizzazioni: le aziende sono state le prime a capire i vantaggi della
formazione a distanza e a sperimentarne l'utilizzo, per evidenti ragioni di natura economica e
organizzativa. La FAD ha un costo di prima implementazione più alto rispetto ai corsi d'aula, perché i
materiali didattici e l'ambiente di interazione on line devono entrambi essere progettati accuratamente,
ma l'investimento si ripaga ampiamente se il numero degli allievi previsti è sufficientemente alto. In
questo scenario, operano diverse Learning Company che agiscono liberamente sul mercato fornendo
formazione WBT sia ai dipendenti delle aziende committenti che a chiunque voglia accedervi.
La formazione professionale: nella formazione professionale, le possibilità di utilizzare metodologie
web based è, ad oggi, ancora ridotta. Il principale motivo è forse nel fatto che l'impianto delle verifiche
amministrative che serve a controllare il corretto impiego dei fondi erogati, è centrato sulle ore di
presenza degli allievi in aula. Le strategie WBL si fondano, invece, sulla verifica degli apprendimenti
raggiunti, ma non sono vincolate a luoghi e tempi di erogazione e di studio.
L‟apprendimento informale: con questo termine si intendono tutte quelle forme di apprendimento che
avvengono al di fuori di canali istituzionali (scuole, università) e organizzativi (aziende) ma che si
attivano in contesti che non hanno come missione fondamentale l‟erogazione di formazione. Esiste,
44
quindi, un problema relativo al riconoscimento "pubblico" delle competenze maturate in questo modo,
in termini di curricola certificati, capaci di avere „valore‟ da spendere sul mercato del lavoro.
Esistono una serie di innegabili vantaggi che l‟utilizzo delle strategie di WBL produce:
1. ECONOMICITÀ - una strategia formativa web based consente di realizzare interessanti economie di
scala quando si progettano attentamente gli interventi dimensionando le risorse necessarie in
modo da tenere conto delle effettive necessità degli utenti. Spesso, anche per interventi
complessi, è sufficiente utilizzare un semplice sito web, la posta elettronica, un forum, una
mailing list e materiali didattici anche semplici ma scelti o costruiti in modo coerente con una
precisa strategia formativa.
2. VANTAGGI LOGISTICI - i paesi che, per primi, hanno sviluppato, su scala nazionale, sistemi di
formazione a distanza sono stati quelli caratterizzati da una popolazione distribuita su un territorio
molto ampio e disagiato. Nella formazione permanente, degli adulti e nella formazione universitaria
esiste, poi, la necessità di diversificare il sistema dei luoghi fisici per l'erogazione di corsi di
formazione.
3. AGGIORNABILITÀ - oggi la produzione di informazioni procede a ritmi esponenziali e anche chi
opera in campi di specializzazione ristretti difficilmente riesce a mantenersi aggiornato. La facile
aggiornabilità dei contenuti della formazione distribuiti via web rappresenta, quindi, un vantaggio
non solo di ma una necessità assoluta per mantenere elevata la qualità dei percorsi formativi.
4. VANTAGGI DIDATTICI - l‟utilizzo congiunto di diverse modalità percettive nelle attività di studio,
secondo una recente ricerca curata dalla Forrester Research per Cognitive Science e ripresi in Italia
da Trentin e "Il Sole 24 Ore", produce risultati migliori rispetto all'utilizzo di una modalità
tradizionale. Anche solo una voce che legge un documento migliora radicalmente, dal 10% al 50%,
la memorizzazione dei contenuti che si vogliono veicolare. Quando gli allievi sono coinvolti in
attività di collaborazione e impegnati nell'affrontare problemi concreti aumenta l‟efficacia
dell‟apprendimento.
5. LO SVILUPPO DI ABILITÀ META COGNITIVE - la velocità delle trasformazioni del mondo in cui viviamo
rende inutile il „possesso‟ della conoscenza a favore delle abilità consistenti nel saperla cercare,
utilizzare e abbandonare. Questo passaggio dal sapere al saper cercare, dall'apprendere
all'apprendere ad apprendere, rappresenta una rivoluzione per la nostra mente. Nel web si
possono trasmettere testi, da stampare e leggere, ma il linguaggio specifico dei materiali è
ipertestuale, multimediale e collaborativo. L'utilizzo del web stimola nelle persone un
45
atteggiamento autonomo ed esplorativo nei confronti del sapere. L'attività di studio si trasforma
in attività di ricerca, selezione, valutazione critica e produzione critica di conoscenza.
46
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– II Unità Didattica – Lezione 6
47
chiamati a svolgere, appare particolarmente delicata e impegnativa. Tra le varie competenze,
indispensabili per i professionisti della formazione/orientamento, vengono privilegiate l‟elasticità e la
flessibilità di pensiero accanto alla sensibilità organizzativa, l‟intraprendenza accanto alla capacità
relazionale, la conoscenza di più linguaggi accanto alle capacità di problem solvine, problem making e
decision making. La performance del formatore fa riferimento al possesso di una serie di capacità:
capacità di diagnosticare e comprendere il contesto dove si svolge il lavoro di
formazione;
capacità di definire gli obiettivi di un processo formativo in coerenza con le molteplici
variabili del contesto organizzativo;
capacità di lavorare non solo esecutivamente, cioè bisogna farsi carico delle diverse
variabili tecniche, metodologiche, umane, economiche;
capacità di gestire la sequenza delle fasi di un intero processo formativo in modo
funzionale;
capacità di mantenere effettive relazioni distinte e chiare tra ruoli.7
La comunicazione empatica
La professionalità dell‟operatore della formazione appare direttamente finalizzata all‟obiettivo di
ottimizzazione e facilitazione dei processi di apprendimento di soggetti adulti, attraverso un‟accurata
gestione della dimensione organizzativa e progettuale dell‟intervento formativo, attraverso il possesso
di una buona capacità di comunicazione/relazione, sia rispetto all‟èquipe di lavoro nella quale è
inserito, sia rispetto agli utenti destinatari della propria performance professionale.
Fondamentale è la capacità di comunicazione empatica, ossia realmente disponibile e aperta e di
ascolto attivo. L‟operatore predispone un‟azione orientativa atta a sostenere tre aspetti psicologici
importanti in chi si trova a doversi orientare e ri-orientare, soprattutto se ciò avviene in età adulta.
Innanzitutto, l‟autostima: in particolare, in quei soggetti con basso livello di scolarità o scolarità non
brillante, i quali non trovano in se stessi il sostegno emotivo per uscire dalle difficoltà.
In secondo luogo, l‟autoefficacia, che mette in risalto la capacità di svolgere compiti in modo
autonomo. Per tale obiettivo, il lavoro del formatore deve essere indirizzato a valorizzare le modalità
individuali di apprendimento e di utilizzare modalità cooperative di lavoro.
7
Cfr, I. Loiodice, Non perdere la bussola. Orientamento e formazione in età adulta, Franco Angeli, Milano, 2004, pp. 138-
139
48
In terzo luogo, un‟adeguata motivazione da parte del soggetto in apprendimento: fondamentali, in tale
direzione, appaiono sono le strategie di “apprendimento cooperativo” come moltiplicatori delle
motivazioni e degli interessi dei singoli, facendo quindi leva sulla forza costruttiva del gruppo,
mediante la condivisione e la co-costruzione delle conoscenze e delle competenze, coinvolgendo così i
soggetti più timidi e favorendo il superamento di taluni pregiudizi.
Un operatore della formazione può anche fungere da negoziatore e mediatore tra domanda e offerta
formativa. Tali figure sono presenti nei diversi organismi educativo/formativi pubblici e privati, quelli
relativi al terzo settore e le infrastrutture delle amministrazioni pubbliche. Le loro attività si
differenziano in base ai centri in cui operano:
formativo-educative, attività educativo-formali, quali corsi di alfabetizzazione, di
aggiornamento/riqualificazione, di specializzazione… svolte presso i centri di formazione
professionale e i Centri territoriali permanenti;
socio-assistenziali e sanitarie, svolte presso le associazioni di volontariato sociale e strutture
comunali;
culturali, sportive e ricreative, presso associazioni e altre infrastrutture culturali;
tutela e promozione dei diritti, svolte presso il cosiddetto “terzo settore”.
La figura del formatore assume una personalità multiforme ma, nello stesso tempo, non è facile definire
con certezza il suo ruolo nell‟ambito del proprio settore di attività e, quindi, la sua complessità è legata
ai diversi settori nei quali si trova ad operare.
Infatti, esso ha tre componenti fondamentali:
1. di contenuto attinente alla competenza nella materia che viene insegnata nell‟oggetto proposto
all‟apprendimento;
2. di campo: è essenzialmente la competenza sulla organizzazione in cui lavorano i destinatari
delle azioni formative;
3. di metodo e processo: è soprattutto la competenza sui metodi e sui processi che influenzano i
reali risultati dell‟apprendimento e sulle dinamiche attraverso cui avviene il fenomeno
dell‟apprendimento nelle persone, nei gruppi…8
Tra le varie figure professionali operanti nella formazione è possibile distinguere il docente
disciplinarista; il formatore e il progettista di formazione; il operatore di orientamento.
8
Cfr, M. Bruscaglioni, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano, 1992, pp. 36-39
49
Il docente disciplinarista svolge attività riguardanti prevalentemente l‟alfabetizzazione degli utenti con
livelli via via sempre più alti (dal conseguimento della licenza elementare a quella del diploma di
scuola superiore).
Il formatore e il progettista di formazione sono in possesso sia di competenze di tipo gestionale-
organizzativo e di gruppo sia di competenze di pianificazione/progettazione/ valutazione dei percorsi di
apprendimento.
L‟operatore di orientamento che svolge le seguenti funzioni: informativa dell‟orientamento; formativa
(con riferimento alle figure di tutoring, coaching, mentoring…); consulenziale (con compiti di
counseling orientativo, di consulenza alla scelta, alla persona…); gestionale-organizzativa
(responsabile di progetto, di centri e strutture di orientamento…).
50
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– II Unità Didattica – Bibliografia
H. Bhabha (1994), I luoghi della cultura, trad it. Meltemi, Roma, 2001.
M. Bruscaglioni, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano, 1992.
Calvani, Manuale di tecnologie dell‟educazione, Edizioni ETS, Pisa, 2000.
C. Converso, C. Piccardo, Il profitto dell‟empowerment: formazione e sviluppo organizzativo nelle
imprese non profit, Raffaello Cortina, Milano, 2003 .
L. Dallago, Che cos‟è l‟Empowerment, Carocci, Roma, 2006.
D. Demetrio, Educatori di professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi extra-
scolastici, La Nuova Italia, Firenze, 1990.
F. Frabboni, Manuale di didattica generale, Laterza, Roma-Bari, 2004.
V. Gallina, M. Lichtner, L‟educazione in età adulta. Primo Rapporto nazionale, Franco Angeli, Milano,
1996.
L. Guerra (a cura di), Educazione e tecnologie. I nuovi strumenti della mediazione didattica), Edizioni
junior, Bergamo, 2002.
M. Lichtner, La qualità delle azioni formative. Criteri di valutazione tra esigenze di funzionalità e
costruzione del significato, Franco Angeli, Milano, 1999.
I. Loiodice, Non perdere la bussola. Orientamento e formazione in età adulta, Franco Angeli, Milano,
2004.
A. G. Lopez, Empowerment e pedagogia della salute, Progedit, Bari, 2004.
M.T. Mannarini, Comunità e partecipazione, Franco Angeli, Milano, 2004.
E. Morin, I sette saperi necessari all‟educazione del futuro, Cortina, Milano, 2001.
S. Paneforte, Il processo di apprendimento individuale e organizzativo. La formazione nella società
della conoscenza, Franco Angeli, Milano, 2005.
N. Paparella, L‟effetto doppio fondo e il trasfert operativo nella formazione degli adulti a bassi livelli di
scolarità, in: SIRD – Atti del IV Congresso Scientifico (a cura di H. Bardulla e N. Paparella), Monolite
Editrice. Roma, 2005.
F. Pinto Minerva, Pluralità degli alfabeti e nuovi modelli della formazione, in: A. Perucca (a cura di),
Dalla società educante alla società interculturale, Pensa, Lecce, 1998.
C. Pontecorvo, L. Fusè, Il Curricolo: prospettive teoriche e problemi operativi, Loescher, Torino,1983.
51
M. Santerini, Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma,
2001.
A. Surian, Lavorare con la diversità culturale, Erickson, Trento, 2009.
52
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– III Unità Didattica – Lezione 1
UNITÀ DIDATTICA:
53
Tale didattica non deve essere attuata da insegnanti specializzati bensì da insegnanti curricolari
adeguatamente formati e aperti alle possibilità di didattiche alternative complementari a quella
ufficiale e tradizionale e può essere realizzata sin dalla scuola dell‟infanzia e fino a quella
secondaria ed oltre, nella formazione universitaria, professionale e degli adulti.
Accanto agli educandi con aspetti patologici nello sviluppo e/o nell‟apprendimento, sono presenti
soggetti che presentano un apprendimento difficile ed uno scarso rendimento scolastico legati a
svariate motivazioni: alunni con varie difficoltà di natura emozionale (legate a manifestazioni di
timidezza, ansia, collera, inibizione..); ma, anche, soggetti con difficoltà motivazionali, disturbi
dell‟immagine di sé, insicurezza, deficit di autostima; ancora, alunni che mostrano difficoltà
comportamentali, a partire dal comportamento “semplicemente” aggressivo, sino ad atti
autolesionistici, a forme conclamate di bullismo, a disturbi della condotta, con comportamento
oppositivo provocatorio, ad uso di droghe; sono presenti, inoltre, allievi con difficoltà rivolte
all‟interno dell‟ambito psico-affettivo (bambini isolati, eccessivamente dipendenti, passivi).
L‟ambito familiare può essere anch‟esso generatore di notevoli difficoltà: famiglie patologiche,
disgregate, famiglie in cui i minori subiscono abuso e/o maltrattamenti, oppure i cui membri hanno
vissuto o vivono episodi e condizioni legate carcerazioni o lutti; o, comunque, famiglie con alto
livello di conflittualità; famiglie in cui sono presenti povertà, deprivazione culturale, difficoltà
lavorative ed esistenziali.
Vivendo, poi, nell‟epoca della globalizzazione, che genera flussi di movimenti planetari di singoli e
popoli, superiori agli stessi esodi biblici, gli allievi immigrati, presenti nelle classi comuni delle
istituzioni scolastiche e formative, continuano ad aumentare e diventa sempre più usuale incontrare
studenti provenienti da ambiti culturali e linguistici anche molto diversi da quelli degli autoctoni.
Ciò che caratterizza i comportamenti di questi allievi non è certo legato ad una diagnosi medica o
psicologica, ma sono rilevabili, comunque, difficoltà che richiedono interventi individualizzati e/o
conoscenza ed impiego di tecniche metodologiche e didattiche specifiche. Essi costituiscono una
parte considerevole di quei soggetti con Bisogni Educativi Speciali (sempre intesi in senso ampio e
non riferibile alla sola dimensione dell‟handicap certificato) i quali vivono situazioni particolari che
li ostacolano nell‟apprendimento e nello sviluppo, a livello organico o biologico o sociale o
ambientale o contestuale e che necessitano di una didattica realmente inclusiva e integrante che si
occupi del funzionamento globale del soggetto, della sua salute intesa in senso complessivo; una
didattica capace di individuare i limiti dell‟azione educativa e gli strumenti per poter operare
nell‟ottica della scuola per tutti.
54
La pedagogia integrante
La pedagogia che si occupa della formazione è chiamata, dunque, a ricercare le strategie didattiche
non solo in presenza di situazioni “normali” e in quelle di “disabilità” bensì, per dirla con Don
Milani, in relazione a tutti gli alunni che hanno diritto a risposte adeguate alla loro condizione
perché “non è giusto far parti uguali fra disuguali”. I docenti che hanno a cuore tali condizioni ed
avvertono l‟esigenza di attivare interventi utili a promuovere il massimo successo formativo
consentito ad ogni soggetto, devono imparare dapprima a riconoscere i bisogni educativi
differenziati non certo per rispondere ad una funzione di etichettamento emarginante, ma al fine di
essere consapevoli delle difficoltà che i soggetti incontrano cui poter rispondere in maniera
adeguata.
Tale impostazione “ideologica” è supportata anche dall‟OMS secondo cui, durante il percorso
formativo, è possibile che intervengano diverse difficoltà di “funzionamento” dei meccanismi di
apprendimento e di formazione dell‟identità personale e sociale, non solo quelle tradizionali
(alterazioni di strutture corporee, condizioni fisiche problematiche, deficit funzionali …), ma anche
altre derivanti da problemi contestuali, ambientali, di capacità e di partecipazione sociale, dovuti a
discriminazione. Secondo l‟OMS, infatti, “una persona funziona bene se partecipa socialmente, se
riveste ruoli nella società in maniera attiva e integrata”. Il soggetto che viene emarginato,
ostacolato, isolato, rifiutato, ha bisogno di interventi speciali attraverso procedure didattiche
alternative e soluzioni organizzative diversificate all‟interno dello stesso gruppo classe che mettano
in primo piano e valorizzino il ruolo attivo dei soggetti, ed attivino lo sviluppo di reti di rapporti di
amicizia e di aiuto.
È opportuno conoscere un repertorio ampio di modelli di lavoro che indubbiamente andranno, poi,
adattati in base alle esigenze particolari dell‟allievo e/o del gruppo classe. Occorre sviluppare
programmi, che fanno leva su metodologie educativo-didattiche interdisciplinari, legate all‟opzione
costruttivista e all‟apprendimento significativo, oppure riferirsi ai costrutti della didattica
metacognitiva, che opera “per problemi” e promuove la valorizzazione delle differenze individuali.
Parallele saranno le tecniche metodologiche che scaturiscono dall‟apprendimento cooperativo, dal
tutoring o dalla mediazione fra pari.
All‟interno della presente unità didattica verranno prese in considerazione alcune metodologie
didattiche alternative e tipologie di interventi che agiscono su abilità cognitive e metacognitive.
Certi della necessità di considerare globalmente le diverse dimensioni dell‟essere umano, quella
logico-razionale e quella affettivo-emotiva come inscindibili in qualsiasi intervento, verrà, inoltre,
sviluppata l‟applicabilità dell‟educazione razionale emotiva, come esempio di programma da
inserire nel normale orario di didattica curricolare.
55
Come substrato utile a tale settore pedagogico, occorrerà tenere in considerazione le differenze
individuali e le molteplici abilità e i “punti di forza” propri di ogni soggetto. Studi recenti
evidenziano come esistano intelligenze multiple (Gardner: logico-matematica, linguistica o verbale,
spaziale, musicale, grafico-pittorica, cinestetica-corporea, intrapersonale, interpersonale o sociale,
naturalistica, filosofica) e come lo sviluppo di queste vari notevolmente da un soggetto all‟altro e
sia di fondamentale importanza l‟identificazione e lo sviluppo non solo di quelle tradizionalmente
conosciute e ritenute superiori ma di tutte le possibili alternative. Confermato il superamento della
visione piagetiana che prevedeva lo sviluppo individuale delle strutture generali prima della
possibilità di crescita degli apprendimenti scientifici, è opportuno promuovere lo sviluppo dei
processi generali di rappresentazione e simbolizzazione determinanti per lo sviluppo
dell‟intelligenza. È compito dell‟insegnante strutturare un ambiente complessivamente stimolante
per qualsiasi intelligenza e prevedere diversi interventi che possono essere attuati sia direttamente
sul singolo sia, soprattutto, utilizzando il gruppo classe nella sua articolazione di dinamiche
relazionali complesse.
56
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– III Unità Didattica – Lezione 2
57
cambia frequentemente le modalità di presentazione dei contenuti, dal linguaggio verbale alle forme
visuospaziali a quelle musicali e così via, coinvolgendo creativamente le diverse intelligenze.
Esistono prove convincenti dell'esistenza di varie competenze intellettive umane relativamente
autonome, in particolare sono state individuate i seguenti sei tipi di intelligenze, relativamente
indipendenti l'una dall'altra, che possono essere plasmate e combinate da individui e culture in una
varietà di modi adattivi e che cooperano in modo armonico nella vita comune:
• intelligenza linguistica
• intelligenza musicale
• intelligenza logico-matematica
• intelligenza spaziale
• intelligenza corporeo-cinesica
• intelligenza personale.
Diversificare e personalizzare gli apprendimenti all‟interno dello stesso contesto classe è una
necessità che, concretamente, può presentare delle difficoltà di applicazione, soprattutto se non
cambia la metodologia di base rispetto alle strategie organizzative; al contrario, metodologie
alternative fondate, ad esempio, sul riconoscimento delle intelligenze multiple rappresentano
presupposto ideale per il raggiungimento di obiettivi gratificanti per docenti e discenti. Secondo vari
studi di Armstrong, Dewey, Gardner, solo per citarne i più noti, ogni persona possiede varie
modalità di sviluppo dell‟intelligenza o, comunque, ha abilità connesse a ciascuna di esse, anche se
poi queste funzionano in maniera diversa da persona a persona per cui alcuni possono avere alcune
forme di intelligenza molto sviluppate e altre meno. Il primo passo è scoprire la combinazione delle
intelligenze, per così dire dominanti, in ogni alunno, attraverso l‟osservazione di comportamenti,
tendenze e abilità con le quali le intelligenze si manifestano. In questo senso, la scuola dell‟infanzia
si presenta come il contesto privilegiato, poiché offre l‟opportunità di osservare l‟allievo nelle sue
diverse dimensioni, grazie all‟utilizzo accentuato di metodologie ludiche e all‟organizzazione degli
spazi che prevedono vari angoli – laboratorio con attività che i bambini scelgono liberamente. Si
vengono, in tal modo, a creare sia situazioni di attività individuale che esplicitano le intelligenze del
bambino a seconda delle attività che predilige, sia situazioni di lavoro in piccoli gruppi che
costituiscono, in effetti, una modalità efficace per veicolare modi diversi di costruire conoscenza.
Tale struttura è da tenere in considerazione anche per gli ordini di scuola successivi come criterio di
base, sia pur con le modifiche che l‟età degli alunni richiederà. Non necessariamente ogni contenuto
dovrà essere proposto in un approccio comune per tutte le intelligenze poiché, per alcuni contenuti,
potrebbe essere una forzatura; sarà l‟insegnante a valutare, nella specificità dei casi, quante e quali
intelligenze attivare ma, alternando, comunque, modalità di trattazione dei contenuti, ci sarà sempre
58
un momento in cui l‟attività in classe coinvolgerà le intelligenze di ciascuno studente. Una scuola
attenta alle differenze individuali potrà offrire a tutti i soggetti che ne beneficiano non solo
un‟immediata adeguata alfabetizzazione in ambito strettamente scolastico ma le basi per la
realizzazione di un individuo e per una sua soddisfacente integrazione nel tessuto sociale. Una
valutazione efficace dovrebbe concentrarsi sulla verifica non della condizione che uno studente
abbia acquisito o meno determinate conoscenze, bensì se egli abbia appreso e sia in grado di
utilizzare le diverse abilità e strategie prospettate. Una valutazione, quindi, che superi il semplice
riscontro di conoscenze e consideri, al contrario, la capacità e la volontà di utilizzare nozioni e
abilità sarà certamente più utile all‟alunno; si rende, pertanto, necessario impostare un‟attività
educativa che integri apprendimento, motivazione, collaborazione e metacognizione. Una delle
funzioni che si considera fondamentale nel favorire l‟apprendimento è la capacità di ritenere per un
tempo più o meni lungo dati acquisiti: la memoria. Una delle possibili strategie per memorizzare le
informazioni è quella di collegare le nuove conoscenze con quelle già possedute. Secondo Ausubel
e la sua teoria dell‟apprendimento per assimilazione, affinché ci sia un apprendimento significativo
è importante che la persona integri, appunto, informazioni e concetti nuovi con quelli già presenti
nella sua struttura cognitiva. Chi apprende, può decidere di mettere in atto tale processo ma ciò può
anche essere insegnato, incoraggiando i propri allievi a collegare le nuove informazioni con quelle
già possedute, attraverso, ad esempio, la creazione di mappe cognitive. Queste mappe possono
essere utilizzate per rappresentare graficamente e in modo sintetico le parole chiave, le relazioni ed
i rapporti di gerarchia tra i concetti, consentendo agli studenti di riflettere sulla struttura della
conoscenza e sul processo che porta alla creazione intelligente, aiutandoli così ad acquisire un
metodo di studio efficace. Le mappe cognitive sono utili non solo a chi apprende ma, anche, agli
insegnanti poiché consente loro di valutare le capacità di concettualizzazione degli studenti e la loro
abilità di rappresentarsi graficamente e sinteticamente le conoscenze. La tecnica delle mappe
concettuali può costituire un metodo di lavoro innovativo nel contesto teorico dell‟educazione
rivolta ad aiutare i soggetti ad apprendere in modo significativo e a rendersi protagonisti della
propria costruzione di significati.
Altra metodologia che si fonda sulla teoria della pedagogia realmente inclusiva è il tutoring ovvero
una modalità di insegnamento reciproco tra alunni. La base di tale metodologia prevede che
l‟alunno tutor svolga attività di insegnamento diretto in coppia ad un altro alunno con o senza
bisogni educativi speciali. Il tutoring offre grandi risultati non solo in termini strettamente scolastici
ma, anche, nello sviluppo dei rapporti interpersonali, nella crescita della motivazione e
dell‟autostima. La collaborazione tra alunni, sia attraverso forme di tutoring sia di apprendimento
cooperativo, crea opportunità straordinarie per l‟educazione di tutti gli alunni compresi quelli
59
certificati a rischio o disabili. Questi metodi permettono un‟istruzione realmente individualizzata e
perseguono, al contempo, gli obiettivi sociali dell‟opera di inclusione / integrazione.
L‟insegnamento è realmente reciproco poiché anche l‟allievo che assume il ruolo di tutor trae
vantaggio dall‟esperienza; nel momento in cui, poi, anche un alunno con difficoltà vada a ricoprire,
a sua volta, la funzione di tutor, si comunica a lui e agli altri che è in grado di fare qualcosa e che
anche lui è parimenti degno di essere preso in considerazione. Secondo le nuove concezioni sui
processi di apprendimento della psicologia cognitiva, i programmi di tutoring offrono una specie di
impalcatura cognitiva, una struttura provvisoria di aiuto all‟alunno che deve affrontare una fase
didattica nuova o particolarmente difficile, collocata opportunamente nella sua zona di sviluppo
prossimale. Non esiste un‟unica procedura o una procedura ottimale ma varie strategie adattabili
all‟età degli alunni, alla materia da insegnare, alle diverse situazioni contingenti che l‟insegnante
individua. Alcuni esempi sono rappresentati dal tutoring in coppia nella stessa classe; dal tutoring
in gruppi della stessa classe, con un piccolo gruppo eterogeneo sotto diversi punti di vista, in una
situazione che si presenta come molto simile all‟opzione offerta dal cooperative learning in cui,
però, viene assegnata maggior enfasi al tutor; o, ancora, dal tutoring tra alunni di età diversa a
favore del discente che prevede l‟assistenza da alcuni alunni più preparati in una specifica materia
ad alunni più giovani; tutoring tra alunni di età diversa, a favore anche del tutor simile al recedente
ma con i vantaggi orientati nei confronti del tutor.
Tutte le metodologie prese in esame e le altre che saranno approfondite nelle successive unità, sono
nate per aiutare gli studenti con difficoltà specifiche di apprendimento ma si presentano come
efficaci per tutti gli studenti sia che abbiano altre difficoltà non riconosciute sia che risultino
“normali”, secondo qualsiasi parametro di valutazione.
60
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– III Unità Didattica – Lezione 3
La didattica metacognitiva
L‟andare a scuola, per molti ragazzi, è vissuto come un impegno gravoso, talvolta causa di
malessere e ansia; può capitare che anche studenti brillanti manifestino noia, disinteresse e apatia. È
necessario prevenire ed intervenire sull‟insuccesso scolastico e sviluppare un approccio che
valorizzi oltre alle variabili cognitive anche le componenti sociali dei soggetti e gli aspetti emotivi e
motivazionali legati all‟apprendimento. La didattica metacognitiva e i programmi che inseriscono
nella progettazione didattica momenti dedicati all‟educazione razionale emotiva, costituiscono
validi strumenti che rispondono, appunto, a tale “necessità”.
Una rassegna delle diverse teorie motivazionali evidenzia concetti specifici che vogliono puntare
allo sviluppo della motivazione ad apprendere. Il concetto di autoefficacia di Bandura, ad esempio,
propone una nuova concezione della mente la quale si configura come un apparato capace di
esercitare ed estendere il proprio controllo su se stessa, sull‟organismo e sull‟ambiente. L‟idea
tradizionale dell‟intelligenza suscita negli studenti la preoccupazione di non possederla in quantità
sufficiente, crea loro ansia nei confronti delle prove e delle sfide di apprendimento, portando a
credere che gli insuccessi siano le prove tangibili della misura della propria intelligenza. Credere, al
contrario, che l‟intelligenza sia incrementabile diminuisce la sensazione di ansia e può creare il
desiderio di cimentarsi in nuove acquisizioni, prendendo gli insuccessi come parte integrante
dell‟apprendimento considerati non più come dei fallimenti ma come uno stimolo per un impegno
rinnovato. Situazione parallela si presenta nei confronti dell‟abilità cognitiva della memoria
tradizionalmente ritenuta componente basilare dell‟intelligenza.
È risaputo che le abilità di memoria sono di fondamentale importanza nel percorso scolastico e
nello sviluppo degli apprendimenti. I percorsi tradizionali della didattica si basano però
esclusivamente su un apprendimento di tipo meccanico, con la trasmissione e l‟acquisizione di
conoscenze, quindi, attraverso una pura e semplice memorizzazione; di conseguenza, tale abilità,
pur importante, diviene meno vitale ai fini del successo scolastico. Questo tipo di apprendimento
può portare gli alunni a sviluppare un atteggiamento passivo nei confronti dello studio e delle
proprie possibilità poiché l‟abilità di studio e di memorizzazione è ritenuta qualcosa di innato sulle
quali non è possibile intervenire operativamente, non riuscendo, quindi, ad impadronirsi veramente
delle conoscenze. La didattica metacognitiva interviene per superare tali impedimenti e offrire un
61
metodo alternativo per rendere l‟apprendimento significativo, inducendo gli studenti ad una
riflessione attiva delle conoscenze da apprendere; con tale impostazione metodologica, l‟insegnante
aiuta lo studente a sviluppare un pensiero critico e ad affrontare lo studio in maniera autonoma e
consapevole. Un intervento efficace nel potenziamento delle abilità di memoria deve essere
collegato ad un percorso specifico di metamemoria, in quella parte cioè che riguarda
l‟autoregolazione delle suddette abilità e la consapevolezza della possibilità di intervento e di
modifica. Da diverse ricerche, in cui sono stati utilizzati i criteri fondamentali della didattica
metacognitiva, è emerso che il soggetto che riesce a sviluppare una buona metamemoria, avrà
potenziato le proprie capacità di memoria e apprendimento. È possibile calare, nella pratica
educativo – didattica, alcuni principi educativi fondamentali e favorire un modello incrementabile
di autostima; l‟insegnante punterà a mettere in risalto l‟apprendimento e le sue strategie, interpretare
gli esiti dei compiti secondo uno stile attributivo funzionale dell‟apprendimento, sottolineando il
potere personale e il ruolo attivo dell‟allievo. Sono stati messi a punto diversi programmi sia per la
scuola primaria sia per quella secondaria e, pur con caratteristiche d‟intervento utili nelle diverse
fasce d‟età, entrambi contengono sezioni che non solo stimolano nell‟alunno i fondamentali
processi cognitivi ma lo aiutano ad essere consapevole della loro esistenza, a riconoscerli, e a
saperli utilizzarli al meglio. Solitamente si parte dal riconoscimento delle funzioni fisiologiche e
psicologiche del corpo umano, delle proprie e delle altrui emozioni, in determinate situazioni, per
orientarsi verso una capacità di gestione e di superamento delle emozioni negative (per i più piccoli
può essere la paura, che si va, poi, ad identificare con ansia, sensazione di incapacità e di limiti
inaccessibili, in età avanzata …). Vengono, poi, affrontate situazioni di varia natura, per spingere il
ragazzo a distinguere le attività dove si rende necessario l‟uso della memoria da altre che non ne
richiedono altrettanto utilizzo e possono essere affrontate con altri approcci, poiché non tutte le
attività richiedono il medesimo impegno di memoria. D‟altra parte, si suggerisce all‟allievo che è
possibile dimenticare o che, al contrario, si sopravvaluta la propria memoria, che alcune
informazioni si dimenticano più facilmente di altre e che esistono delle strategie per allenarsi a
ricordare e ridurre le conseguenze negative. Si prosegue con il riconoscimento delle diverse cause
di dimenticanza e con la riflessione sul fatto che la memoria varia sia in termini qualitativi, sia
quantitativi, in base all‟età, alle capacità cognitive ma anche agli approcci strategici acquisiti. Una
maggiore consapevolezza dei processi e delle strategie di memorizzazione conduce alla coscienza
del proprio ruolo come parte fondamentale e fattore determinante nei processi di memorizzazione e
di studio. Partendo, ad esempio, dalla cognizione dei “limiti della memoria”, soprattutto in
determinate situazioni, si riflette su come la mente lavori in maniera interconnessa, su come alcune
strategie di ripetizione attiva (associazione per coppie o per gruppi, utilizzo di schemi e
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diagrammi…) servano a migliorare il ricordo del materiale e contribuiscano al recupero di
informazioni su contenuti studiati in tempi non recenti. Per approfondire le tematiche affrontate, è
opportuno utilizzare i programmi previsti nei testi indicati in bibliografia che risultano delle guide
importanti nelle applicazioni didattiche. Per citare alcuni esempi, testi utili per la scuola primaria e
secondaria sono:
Il diario del mio apprendimento di Antonietti e Vigano, nello specifico, è una guida che
accompagna lo studente della scuola secondaria di secondo grado nel percorso di apprendimento e
lo stimola a diventare autonomo nella gestione personale del metodo di studio. Il termine diario
diventa un acronimo in cui:
D si riferisce a Definizione degli obiettivi del proprio studio;
I sta per Identificazione delle strutture concettuali;
A per Azione di studio cioè rendere operative le strategie elaborate;
R per Riflessione cioè l‟osservazione di se stessi impegnati coi compiti di studio;
IO per individuazione dell’Io e del proprio stile cognitivo, Io come concretamente
responsabile di se stesso.
Il percorso proposto è interessante perché ogni modulo prevede la definizione dello scopo, delle
premesse cognitive, degli obiettivi e dei contenuti. Per gli scopi, ad esempio, il primo modulo
orienta verso la definizione degli obiettivi di apprendimento; nel secondo modulo, invece, si
prevede l’identificazione delle strutture concettuali; nel terzo, le azioni per l‟organizzazione degli
apprendimenti; nel quarto, la riflessione sull‟apprendimento e, nel quinto, (Io) l‟autoregolazione
dell‟apprendimento. Rispetto le premesse cognitive, nel primo modulo (Definisco), viene analizzato
come le strategie di apprendimento non abbiano valore assoluto ma siano funzionali al
raggiungimento di obiettivi precisi; per questo, è importante che lo studente sappia identificare il
genere di apprendimento richiesto nelle diverse circostanze. Il secondo modulo (Identifico) risulta
importantissimo, in quanto, affinché si crei una riuscita scolastica e si sviluppi una buona capacità
metacognitiva, è importante che sia l‟insegnante, sia l‟allievo abbiano delle adeguate conoscenze su
come funzionano i diversi processi cognitivi che sono alla base dell‟apprendimento, viene presa in
considerazione come una delle principali difficoltà che lo studente incontra, è la comprensione dei
63
principali nodi concettuali; pertanto, occorre attrezzarsi per saper individuare le strutture
fondamentali di studio. Per il terzo modulo (Agisco), lo studente deve imparare a costruirsi un
proprio repertorio di tecniche e accorgimenti, al fine di impostare e risolvere i problemi di studio
che incontra. Nel quarto modulo (Rifletto), l‟allievo è stimolato ad osservare se stesso per valutare
l‟adeguatezza dei propri comportamenti perché non è solo importante fare ma anche ripensare a
come le cose sono state fatte. Nell‟ultimo (IO), lo studente deve assumere su di sé la responsabilità
del proprio percorso di studio. La stessa tecnica è applicata per le sezioni degli obiettivi e dei
contenuti.
Oltre ai programmi di stimolazione metacognitiva generale, ve ne sono altri che intervengono su
determinate abilità in maniera più specifica, come “Matematica e metacognizione” di Cornoldi et
alii, utile per il secondo ciclo della scuola primaria e per l‟inizio di quella secondaria di primo
grado. Il testo ha come riferimento teorico di base il risultato delle riflessioni che le scienze
psicopedagogiche propongono rispetto alle componenti emotivo - motivazionali dell‟apprendimento
e degli studi sulla relazione tra competenze cognitive, metacognitive e abilità di problem solving
matematico. L‟obiettivo principale del programma consiste nella promozione dell‟atteggiamento
metacognitivo in matematica e dei processi di controllo superordinato sull‟esecuzione del compito.
Altri programmi specifici (“Lettura e metacognizione” – “Abilità di comprensione del testo:
l‟insegnamento metacognitivo mediato dai pari” – “Strategie per migliorare la comprensione dei
testi espositivi”) sono costituiti da proposte didattiche che aiutano la comprensione del testo poiché
molte energie si dedicano all‟acquisizione della tecnica strumentale di lettura, molte meno rispetto
la comprensione di quello che si legge, dando per scontata tale abilità in un soggetto normodotato.
Contrariamente a ciò, non tutti i soggetti acquisiscono in maniera automatica le abilità di
comprensione e, spesso, si rende necessario un intervento di insegnamento mirato che aiuti a
“leggere pensando”, che guidi lo studente a fare previsioni, individuare i contenuti principali,
costruire una mappa dei contenuti ed esporre con parole proprie.
In questi percorsi, l‟adulto deve garantire un‟assistenza adeguata, deve orientare verso attitudini e
abitudini adeguate sostenendo al contempo la motivazione al cambiamento; la sua presenza dovrà
essere dunque molto vicina soprattutto nei primi momenti per poi allontanarsi gradualmente.
Quindi, dovrà aiutare gli alunni a valorizzare se stessi e il proprio processo di apprendimento,
renderli consapevoli del proprio “funzionamento” psico-sociale ed orientare i pensieri funzionali
all‟automotivazione ma, soprattutto, creare situazioni educative in cui gli alunni possano dimostrare
la loro naturale tendenza ad imparare autonomamente ed un clima positivo di sostegno personale e
sociale in cui tutti gli alunni sono realmente stimolati e apprezzati.
64
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– III Unità Didattica – Lezione 4
65
In un progetto educativo-didattico che intenda „svegliare‟ le coscienze degli allievi per abituarli a
concentrarsi su se stessi e le proprie potenzialità, è indispensabile la cornice relazionale di un
rapporto qualitativo tra docente/alunno e alunno/alunni che inglobi metodologie didattiche quali
l‟ascolto attivo, e punti a generare l‟empatia in una relazione positiva. Una relazione si avvia a
diventare empatica quando ci si accetta profondamente per quello che si è, quando l‟altro è accolto
al di là delle sue capacità e non ha valore solo se cambia secondo le aspettative proprie, quando ci si
sente ascoltati e compresi profondamente anche negli aspetti emotivi, in un progetto di azioni
coerentemente orientate ad un obiettivo (l‟ascolto attivo implica lo sforzo di costruire insieme un
obiettivo condiviso). Introdurre una metodologia atta ad una didattica inclusiva comporta una
preparazione del contesto classe globale; è necessario creare le premesse per favorire una forma di
„resilienza‟ della classe. In altre parole far diventare la classe un luogo di relazioni, di pensieri
resilienti dove tutti i partecipanti possono aver successo in ambito emozionale, cognitivo ed
interpersonale, un luogo cioè che resiste agli urti delle difficoltà e che aiuta a migliorare
continuamente se stesso. Una realtà che spinge all‟autoefficacia e all‟autodeterminazione scolastica,
all‟autoregolazione comportamentale, che allarga le relazioni positive, coinvolgendo la famiglia e
gli altri enti coinvolti nei processi d maturazione individuale e sociale dei soggetti, in una rete
territoriale potenzialmente capace di attribuire maggiore significato, valore e durata agli
apprendimenti.
La probabilità di successo della metodologia è legata alla modalità con la quale si propone l‟adulto
che deve, più con le azioni che con le parole, mostrare un atteggiamento positivo, fornire un
modello di accoglienza e di valorizzazione reale della diversità; per promuovere lo sviluppo di un
senso positivo nella classe. Gli insegnanti devono concentrarsi sui comportamenti positivi e
trasmettere messaggi di fiducia piuttosto che spendere la maggior parte del tempo a correggere e
punire comportamenti inadeguati.
L‟apprendimento cooperativo è, quindi, un insieme di tecniche di insegnamento – apprendimento
che si basa sul lavoro di gruppo e che ha come componente fondamentale la funzione della
mediazione sociale fra gli alunni. I gruppi sono formati da pochi soggetti, quattro o cinque,
eterogenei, per etnia, sesso, abilità cognitive e sociali, in modo da formare una realtà diversificata
dove ognuno porta il proprio contributo in relazione alle proprie peculiarità. Il primo passo da
compiere, nel proporre alla classe di lavorare in gruppo, consiste nella preparazione degli alunni alla
cooperazione, in modo che sappiano come comportarsi in situazioni di gruppo, senza bisogno di una
continua supervisione. Gli studenti sono, infatti, responsabili non solo per il loro comportamento,
ma per il comportamento di tutto il gruppo e di ciò che viene prodotto grazie agli sforzi del gruppo.
Sarebbe un errore, da parte dell‟adulto, pensare che tali abilità siano naturalmente presenti nei
66
propri studenti. È necessario che gli alunni imparino come diventare consapevoli dei bisogni degli
altri membri del gruppo e si sentano responsabili nell‟aiutarli per la buona riuscita del gruppo.
L‟altro passo importante consiste nell‟insegnare agli allievi l‟equità della partecipazione, che, cioè,
vanno rispettate all‟interno del gruppo alcune regole dalle quali non si può prescindere, come la
possibilità, per tutti i componenti, di esprimere le proprie idee, confrontandosi con quelle degli altri,
di motivare le proprie convinzioni, rimanendo comunque aperti a idee diverse dalle proprie. Tale
difficile abilità viene facilitata dalla presenza di un osservatore esterno che monitora i
comportamenti e sta attento a proteggere da abusi. Soprattutto, all‟inizio, non sarà facile orientare in
forma positiva i disaccordi; spesso, potrà accadere che studenti abbiano bisogno di più tempo e
allenamento per gestire il disaccordo che, solitamente, viene espresso in forma di attacchi personali
o frasi che offendono e scoraggiano. L‟adulto, prima e, gradualmente, i componenti del gruppo più
attenti, in seguito, devono intervenire chiedendo di pensare come si potrebbe rivivere ciò che
avvenuto nel gruppo usando un‟alternativa in grado di esprimere, in modo produttivo e socialmente
accettabile, la difficoltà o il disaccordo. Successivamente, a tale periodo di „addestramento‟, gli
effetti benefici diventeranno tangibili e molteplici; molto del lavoro di regolazione dei
comportamenti svolto dagli insegnanti viene, di fatto, assunto dagli studenti: al posto di avere
l‟insegnante che sta a controllare i singoli comportamenti, gli alunni ne assumono la responsabilità
per se stessi e per gli altri. Altra differenza fondamentale dell‟apprendimento cooperativo consiste
nell‟approccio didattico basato sulla cooperazione dei soggetti che lavorano per migliorare
reciprocamente l‟apprendimento di ognuno, al contrario di ciò che avviene nell‟apprendimento
competitivo dove gli studenti lavorano individualmente per raggiungere il miglior voto rispetto agli
altri compagni e in quello individualistico dove gli studenti lavorano da soli per raggiungere
obiettivi di apprendimento indipendenti da quelli degli altri. Gli studenti devono abituarsi, con la
guida dell‟insegnante, a tenere sotto controllo l‟ attività del gruppo in relazione alle competenze
sociali che si vogliono esercitare, allo sviluppo dell‟interdipendenza positiva, alla realizzazione
degli obiettivi conoscitivi e cognitivi legati al lavoro ecc. Si esamina inoltre il processo di
apprendimento, ricavando informazioni utili dall‟esperienza effettuata e facendo ipotesi su come
eventualmente migliorarla in seguito. Questa riflessione – revisione che può esser condotta in
itinere e/o alla fine di ogni attività si è dimostrata una variabile importante nel miglioramento dei
risultati. Varie ricerche dimostrano come l‟apprendimento cooperativo permette risultati migliori
sotto diversi punti di vista: tutti gli studenti ottengono migliori risultati scolastici; si sviluppano
relazioni più positive tra gli studenti che vivono un maggiore benessere psicologico. Da queste note
introduttive al cooperative learning, già si evidenzia come sia una metodologia didattica altamente
efficace ma che non può essere improvvisata e che necessita, altresì, di una programmazione ben
67
strutturata. L‟idea di lavorare insieme non è certo nuova nella storia dell‟umanità, ma mai come in
questo periodo il saper collaborare appare indispensabile e difficile.
Indispensabile, se si considera l‟accelerazione spaventosa in cui in questi ultimi decenni è cresciuto
il numero di informazioni tecniche e scientifiche a fronte di una progressiva parcellizzazione e
settorializzazione delle conoscenze individuali, il che obbliga a mettere in comune competenze,
conoscenze, risorse, in progetti di ricerca e intervento condivisi. La globalizzazione inoltre induce
ad interpretare in termini di interdipendenza i rapporti fra popoli e paesi a livello planetario e i
contatti sempre più frequenti fra uomini di culture ed etnie diverse, a seguito di massicce ondate
migratorie, evidenzia la necessità di affrontare i problemi della convivenza nell‟ottica del bene
comune e non delle segregazione e della sopraffazione.
Di contro, la quotidianità sembra connotata da anonimato, indifferenza, progetti di carriera; anche la
scuola riflette ed esaspera queste dinamiche sociali, alimentando un clima di competizione e
individualismo fra gli alunni.
Siamo invece convinti che per le giovani generazioni il tempo trascorso a scuola potrebbe
rappresentare una delle poche opportunità per sperimentare rapporti di tipo collaborativo, per
apprendere la flessibilità, l‟abitudine a considerare altri punti di vista, la capacità di dare e chiedere
aiuto, sostenere e sentirsi sostenuti: esperienze indispensabili per la salute e il benessere individuale
e per l‟acquisizione delle competenze sociali richieste in qualsiasi ambito lavorativo futuro.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– III Unità Didattica – Lezione 5
69
insegnate dall‟adulto con la stessa cura con cui si insegnano le abilità scolastiche, costituiscono la
componente di base più importante nel cooperative learning che si fonda sui rapporti interpersonali:
l‟apprendimento cooperativo implica una modalità di lavoro più complesso di quelle tradizionali,
perché gli alunni devono occuparsi contemporaneamente del lavoro didattico e del lavoro sulle
interazioni nel gruppo. Essi devono saper sostenere un ruolo di guida, prendere decisioni,
comunicare, creare un clima di fiducia, saper gestire i conflitti. Altre competenze di base da far
acquisire agli alunni nel lavoro preliminare all‟apprendimento cooperativo sono: l‟interdipendenza
positiva con la quale si forniscono chiari messaggi che l‟obiettivo del lavoro è arrivare ad essere
“uno per tutti e tutti per uno”, si orientano gli studenti fino a far comprendere loro che non esiste
successo individuale o del singolo al d fuori del successo collettivo. Ancora, la presa di coscienza
della doppia responsabilità: il gruppo deve essere consapevole della responsabilità collettiva per il
raggiungimento dei suoi obiettivi e, allo stesso tempo, ogni allievo deve essere individualmente
responsabile nel contribuire con la propria parte di lavoro al successo finale del gruppo. Ulteriore
competenza è rappresentata dall‟interazione costruttiva diretta: gli studenti vengono portati a
lavorare realmente insieme, aiutandosi, incoraggiandosi e lodandosi a vicenda per gli sforzi
compiuti, utilizzando le abilità specifiche individuali; nel gruppo veramente cooperativo, ogni
soggetto sa che può contare sugli altri, ha qualcuno che lo aiuta come studente e come persona e il
reciproco aiuto si snoda e si realizza durante il percorso, attraverso la spiegazione verbale delle
strategie di soluzione di problemi, la discussione dei concetti che si studiano, la condivisione delle
proprie conoscenze con quelle dei compagni. Ultima competenza essenziale da sviluppare è la
valutazione del grado di cooperazione del gruppo: i membri verificano e discutono dei progressi
compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi e l‟efficacia dei loro rapporti di lavoro.
È utile, per ogni unità di lavoro, definire in maniera analitica ogni elemento, a partire dagli obiettivi
didattici specifici, per passare a quelli sociali, dall‟attribuzione dei ruoli al materiale necessario, al
tempo previsto, alle fasi di lavoro ed, infine, alla valutazione e alla revisione degli obiettivi didattici
e sociali. È, inoltre, utile predisporre delle rubriche di valutazione con fogli di osservazione
sintetiche sia per gli insegnanti, sia per gli studenti, al fine di monitorare, in maniera schematica,
l‟andamento del lavoro.1
Il lavoro preliminare, che può sembrare faticoso e/o una perdita di tempo, risulta un costituente
essenziale per la riuscita ottimale del lavoro ma, soprattutto, per il conseguimento dell‟obiettivo
fondamentale che è quello di creare i presupposti per uno stimolo delle abilità intellettive e sociali
1
Si può trovare un esempio di spunto operativo nella rivista Difficoltà di apprendimento vol. 13 n.2 pag. 265.
70
di tutti gli allievi e per una loro piena integrazione nel gruppo, nel rispetto delle caratteristiche di
ognuno.
Ultimo punto fondamentale da considerare, nel cooperative learning, è quello relativo alla
formazione e alla composizione dei gruppi. Le dimensioni dipendono dall‟età, dalle materie di
studio, dalla disponibilità del materiale, dall‟esperienza degli studenti nel lavoro di gruppo; come
regola di massima, si deve considerare che il gruppo più è piccolo, meglio funziona. Più il gruppo è
piccolo e più è difficile, infatti, che gli studenti si sottraggano ai propri impegni e non
contribuiscano attivamente con la loro parte di lavoro; è più facile identificare le eventuali difficoltà
che gli studenti possono incontrare lavorando insieme.
Minore è il tempo a disposizione e più piccolo dovrebbe essere il gruppo. Più grande è il gruppo e
maggiormente sviluppate è necessario che siano la abilità interpersonali dei suoi membri. D‟altra
parte, si deve considerare che il gruppo più ampio consente di aumentare la ricchezza di punti di
vista “altri” e le abilità specifiche ma, siccome le complicazioni sono maggiori dei pregi, è
opportuno che il numero salga con soggetti già abituati a lavorare con tale metodologia.
L‟adulto deve usare l‟accorgimento di non lasciare completamente l‟aggregazione dei componenti
del gruppo agli stessi studenti e questo sia per garantire il numero opportuno alla situazione, sia per
garantirne l‟eterogeneità.
Altri costituenti rilevanti per la buona riuscita delle attività impostate secondo tale metodologia
riguarda l‟attribuzione dei diversi ruoli complementari e interconnessi che garantisca
l‟interdipendenza positiva e la reciprocità dello scambio, utili entrambe per facilitare e garantire
l‟integrazione di tutti. L‟insegnante, dopo aver scelto l‟argomento di cui gli studenti si dovranno
occupare, organizza i gruppi in tre fasi: nella prima suddivide gli studenti in tanti gruppi (gruppi
specializzati) per quanti sono i settori in cui vuole ripartire l‟argomento prescelto. Nella seconda
fase, gli studenti lavorano a coppie (coppie di insegnamento reciproco), sempre formate
dall‟insegnante e con studenti scelti da gruppi diversi; qui gli studenti si scambiano le informazioni
apprese nella fase precedente. Nella terza fase, gli studenti si dividono nuovamente in gruppi
(gruppi di sintesi) e analizzano tutti i settori del problema, giungendo, così, alla comprensione
complessiva e alla eventuale risoluzione.
Il metodo dello scambio è, comunque, una strategia da utilizzare con soggetti che hanno un‟età
maggiore e che abbiano almeno una minima esperienza di lavoro con tale metodologia.
Da uno studio di Rieck e Dugger Wadsworth (2000), osserviamo un diagramma riassuntivo delle tre
fasi di lavoro per esemplificare il metodo dello scambio.
71
In sintesi
GRUPPI SPECIALIZZATI
GRUPPI DI SINTESI
A,I,O,U B,G,N,T C,H,M,V D,K,P,S
E,J,Q,W F,L,R,X
72
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– III Unità Didattica – Lezione 6
73
aiuta a stare bene, l‟intervento sarà irrimediabilmente destinato a risultare fallimentare. Nei
programmi strutturati, sono, in genere, presenti diverse attività finalizzate al conseguimento di
obiettivi specifici ad iniziare dalla stimolazione verso il dialogo interiore. Lo sviluppo del dialogo
interiore fa parte del normale sviluppo di crescita (è possibile osservare come i bambini, soprattutto
molto piccoli, parlano a se stessi anche mentre giocano e non solo in situazioni di conflittualità) e,
fin dalla sua comparsa, esso assume un ruolo fondamentale nel dirigere le reazioni emotive del
bambino. Attraverso il dialogo interno che, comunque, viene esternalizzato (anche se con
l‟avanzare dell‟età sempre meno) è possibile cogliere elementi importanti delle modalità di pensiero
ricorrenti ed individuare quelle problematiche sulle quali intervenire. È, quindi, importante agire per
sollecitare il bambino a non perdere il suo dialogo interiore ed attivarsi per orientarlo verso pensieri
positivi poiché è lo strumento che elabora una propria visione degli eventi ed è essenziale per
trasformare i pensieri negativi in altri più razionali che consentono di minimizzare gli eventi
sfavorevoli. È opportuno che l‟adulto, diventi, inoltre, consapevole del proprio modo di interagire e
di comunicare in presenza dello studente poiché molti modi di pensare vengono assimilati
ascoltando ciò che dicono gli adulti: frasi ricorrenti usate da insegnanti o genitori diventano parte
dell‟ “ideologia mentale” che il minore, poi, utilizzerà nelle situazioni attivanti. Tale meccanismo
può risultare nocivo se egli viene esposto a modelli intrisi di spontaneità se non di irrazionalità; al
contrario, può risultare utile all‟adulto che coscientemente utilizza messaggi che aiutano il bambino
a sviluppare un atteggiamento positivo di fronte alle difficoltà. L‟educazione socio-affettiva non
vuole essere un programma che modella le emozioni del bambino secondo schemi imposti
dall‟adulto, bensì un processo di apprendimento che conduce all‟autoregolazione delle proprie
emozioni. Naturalmente, non verranno eliminate le emozioni spiacevoli nella vita del soggetto, né
sarebbe educativo porsi tale obiettivo, ma il fine resta quello di ridurne la frequenza, l‟intensità e gli
effetti ottimizzando le abilità per incrementare le emozioni piacevoli. Tali programmi possono
essere utilizzati a partire dalla scuola dell‟infanzia fino a quella secondaria; naturalmente, gli
insegnamenti andranno impartiti utilizzando contenuti e linguaggi adeguati all‟età: alcuni vocaboli
andranno adattati e, anche se perdono la funzione tecnica della terminologia, l‟importante è la
trasmissione delle abilità. Uno dei principali ostacoli alla messa in atto degli interventi nelle aree
socio- affettive, soprattutto per i bambini più piccoli, è stato costituito dall‟adesione alle teorie
psicopedagogiche delle fasi evolutive rigidamente predeterminate. L‟età attorno ai 5 anni veniva
considerata a carattere fortemente egocentrico e, pertanto, non in grado di recepire insegnamenti
che portano alla cooperazione e al riconoscimento degli altri come entità psicologiche. Recenti studi
e risultati di esperienze concrete messe in atto in diverse realtà scolastiche, hanno dimostrato,
invece, che anche un bambino piccolo ha in sé delle potenzialità per acquisire i fondamenti dei
74
comportamenti ritenuti tipici di una età evolutiva successiva. La capacità di cooperare è un‟abilità
che può essere appresa anche in bimbi molto piccoli con tutti i vantaggi della prevenzione e della
formazione in tenera età di apprendimenti utili nell‟arco dell‟intera vita e dei suoi molteplici
contesti.
Compito successivo è quello di agevolare la consapevolezza del bambino nel riconoscimento delle
proprie emozioni; saper assegnare loro un nome ed essere in grado di comunicarle agli altri. Spesso,
infatti, non solo i bambini ma anche soggetti più grandi, ricorrono ad una stessa parola per indicare
stati d‟animo diversi. Ad esempio, il termine “nervoso” viene utilizzato in situazioni molteplici che
variano da “stati d‟ansia” a situazioni di “rabbia”. Con attività ludiche, si muove il bambino verso il
riconoscimento degli stati d‟animo, ad esempio, attraverso la lettura dei tratti del volto e si potenzia
tale competenza con vari interventi che abbinano le figure ai termini che identificano le emozioni.
Si lavora, inoltre, per sviluppare la capacità di discernere il grado effettivamente problematico o
meno di alcune emozioni negative; ad esempio, viene esposto in classe un cartellone che
rappresenta un “termometro delle emozioni” dove gli alunni potranno segnare di volta in volta la
situazione, l‟emozione e il livello di attivazione. Questo serve per rendere immediatamente visibile
se la situazione è realmente problematica o se, al contrario, il livello di emozione è troppo alto
rispetto all‟evento; consente al soggetto di valutare individualmente la propria situazione ma anche
di confrontarsi con soluzioni alternative provenienti da altri modi di pensare.
Una volta che si diventa consapevoli delle proprie emozioni è importante comprendere come queste
si sono formate, rendersi conto che sono influenzate dalla mente cioè dal proprio modo di pensare.
Questa consapevolezza attribuirà alla persona maggiore fiducia in sé stessa e nelle risorse personali,
facendola sentire meno in balìa degli eventi esterni. Capire quali sono i pensieri che provocano stati
d‟animo spiacevoli offrirà maggiore possibilità di sviluppare modalità di “difesa” ed incrementare
azioni che aiutino ad affrontare in modo costruttivo le situazioni problematiche.
Una delle maggiori cause nello scarso rendimento scolastico è la tendenza ad arrendersi, una bassa
tolleranza alla frustrazione che porta a scegliere solo le attività facili o tende a farsi percepire
altamente inadeguati nel momento in cui non si dimostra la capacità totale. I programmi educativi
devono, dunque, aiutare a superare situazioni che determinano ansia da prestazione, situazioni di
evitamento, bassa autostima e la tendenza ad attribuirsi valutazioni globali negative per i propri
insuccessi. Essi, inoltre, come già accennato, si dimostrano utili per indirizzare alla collaborazione
anziché alla competizione; infatti, un eccesso di competitività influenza pesantemente molti
comportamenti irrazionali o, comunque, inadeguati e deleteri in un contesto scolastico.
L‟inserimento, nella didattica, dei programmi di educazione razionale-emotiva si pone l‟obiettivo
immediato di creare presupposti per il benessere in classe e l‟applicabilità di metodologie basate
75
sulla cooperazione tra tutti i soggetti interagenti, ma ha anche l‟obiettivo più a lungo termine di
rendere l‟alunno in grado di interiorizzare le tecniche apprese per, poi, applicarle nella vita di ogni
giorno, al fine di risolverne i problemi e le difficoltà, tendendo al benessere globale.
76
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– III Unità Didattica – Bibliografia
77
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– IV Unità Didattica – Lezione 1
UNITÀ DIDATTICA:
“AMBIENTE È VITA”
ECOLOGIA URBANA
78
edifici e strade, fornendo ai ragazzi l’opportunità di confrontare le proprie percezioni con quelle
degli altri. Sono questi i primi passi nel tentare di generare quel senso di appartenenza necessaria a
chi si impegna nella conoscenza e nel miglioramento del proprio ambiente.
Lo spazio “vissuto” rende necessario passare da una visione superficiale e ingenua dell’ambiente,
alla capacità di acquisire strumenti di analisi e di interpretazione della ricerca ambientale,
cominciando con lo svolgere delle attività in classe, nello spazio intorno alla scuola e nel quartiere.
Le modalità attraverso cui vengono svolte tali attività non presentano difficoltà di applicazione, né
di reperimento dei materiali necessari. L’U.A. prende l’avvio dall’indispensabile necessità di
effettuare studi, ricerche ed esplorazioni spazio-temporali sul quartiere/città (nel contesto del POF)
in cui la scuola diventa, sul territorio, punto essenziale di riferimento socio-culturale di promozione
e di produzione della conoscenza e formazione della personalità dei ragazzi.
Il “quartiere”, nelle diverse articolazioni e nei diversi aspetti, rappresenta l’ambiente-stimolo in cui
l’allievo dovrà operare come protagonista in attività che lo dovranno portare gradualmente non solo
a conoscere i meccanismi della società in cui vive ma, soprattutto, a relazionarsi con se stesso e con
gli altri, in un rapporto ricco di valori postivi, troppo spesso, ignorati o sopiti.
E’ indubbio che una prima ricerca sullo “spazio abitativo” e sulle caratteristiche urbane più in
generale del quartiere (attività economico-sociali, spazi verdi, trasporti e la mobilità, rete viaria,
strutture sportive, ecc.) attraverso anche una raccolta iconografica e fotografica e l’allestimento di
una mostra e la preparazione di un “foglio informativo” sulle attività svolte, può rappresentare un
obiettivo raggiungibile solo attraverso itinerari curriculari e trasversali nei diversi Consigli di
Classe.
ITINERARIO METODOLOGICO-DIDATTICO
Prerequisiti:
1) conoscenza del significato dei principali termini geografici;
2) capacità di osservazione ed esplorazione;
3) conoscenza ed interpretazione dei simboli cartografici;
4) lateralizzazione e laterità;
5) conoscenza dei concetti topologici;
6)…
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Obiettivi cognitivi
1) Conoscere l’insieme spaziale del quartiere:
capacità di segnare sulla carta topografica i limiti dell’ambiente preso in considerazione;
capacità di segnare sulla carta i percorsi conosciuti, segnando le strade percorse;
abitualmente e considerando anche la segnaletica e il codice della strada;
capacità di individuare sulla topografia gli elementi più significativi del tessuto
viario ed architettonico del quartiere;
capacità di predisporre un questionario da sottoporre a persone (esperti, tecnici, figu-
re professionali delle amministrazioni pubbliche, ecc).
2) Saper analizzare e “ricostruire” il quartiere:
capacità di riconoscere, durante la ricerca sul campo, gli elementi osservati sulla carta;
capacità di progettare un percorso alternativo casa-scuola;
capacità di produrre un itinerario finalizzato alla conoscenza e all’esplorazione del quartiere
nel contesto delle interrelazioni con i quartieri limitrofi, con il centro della città con la
campagna.
Metodologia
Laboratoriale, Cooperative learning, Ricerca-Azione.
80
alla cartina preparata a scuola, produce materiale iconografico, effettua fotografie che
svilupperà eventualmente poi a scuola nel laboratorio fotografico, effettua interviste a persone
ed esperti che rivestono un ruolo economico o sociale nel quartiere;
7) prepara, con i compagni, cartelloni, manifesti, depliants, itinerari motivati, “fogli informativi”
sull’esperienza effettuata.
Mezzi e strumenti
Bussola, mappa e carta topografica del quartiere, strumenti per il disegno, guide e monografie sulla
città (ed eventualmente sul quartiere), macchina fotografica, videoregistratore.
Verifiche
Test, relazioni, i prodotti realizzati.
I possibili prodotti
Allestimento di una mostra che presenti il quartiere sotto i diversi aspetti (verde pubblico,
elementi storico-architettonici, viabilità antica e moderna, ecc.);
“Caccia al tesoro” sul quartiere;
Pubblicazione di un pieghevole/manuale/guida, ipertesto sul quartiere ;
Cartelloni, plastici, plance pubbliciarie, calendari, videocassette;
Realizzazione di pagine WEB (Internet) da inserire nel sito scolastico alla voce
“ecosportello”.
81
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– IV Unità Didattica – Lezione 2
BIOLOGIA
Vita d’Acqua
Oggi, parlare d'acqua equivale a parlare di tre realtà fondamentali, strettamente correlate:
a. il diritto alla vita;
b. il bene comune;
c. la democrazia.
L'acqua, elemento chiave del mondo vivente, non è, pertanto, solo una risorsa primaria per la vita di
ogni essere umano e per l'intero pianeta, quanto, soprattutto, uno degli snodi centrali della vita
politica, economica, sociale e culturale nel tempo della globalizzazione.
Quasi un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso all’acqua potabile in quantità necessaria
alla sopravvivenza; più di due miliardi non dispongono di servizi sanitari adeguati e la mancanza di
acqua igienicamente affidabile determina, ogni giorno, la morte di almeno 30.000 persone.
Il Contratto Mondiale sull’Acqua, lanciato nell’anno 1998, si basa sul principio che l’acqua, bene
indispensabile alla vita stessa, deve essere considerata un bene comune, patrimonio di tutta
l’umanità e, quindi, la sua gestione deve entrare nella sfera del diritto, non affidata alle leggi del
mercato. Affermare che l’acqua è un diritto universale, infatti, implica riconoscere che la
collettività ha la responsabilità di garantire a tutti, a prescindere da ogni variabile sociale o dalle
capacità e meriti di ciascuno, l’accesso a questo prezioso bene.
Affrontare percorsi didattico-educativi su questa complessa problematica diventa, pertanto, un
impegno imprescindibile dell’educatore per affrontare il tema del diritto all’acqua, intesa come
fonte di vita e bene inalienabile dell’uomo.
Se i quantitativi totali di acqua presente sulla Terra sono pressoché costanti, le quantità d’acqua allo
stato liquido (oceani, laghi, fiumi, zone umide), gassoso (vapore acqueo) e solido (ghiacciai e
calotte polari) sono in equilibrio dinamico. I continui scambi avvengono grazie all’energia del
calore del sole e alla gravità terrestre. L’acqua evapora dai bacini, dal terreno, dalle foglie dei
vegetali, e sotto forma di gas viene trasportata nell’aria. Quando la temperatura si abbassa
82
repentinamente a causa di un cambiamento di pressione, il vapore condensa passando dallo stato
gassoso a quello liquido. L’acqua diviene pioggia (o grandine, o neve) e ritorna sulla crosta
terrestre, raggiungendo direttamente i bacini idrici o il terreno, da dove verrà convogliata, anche per
via sotterranea, nei fiumi e nei mari. Il ciclo appena descritto può avvenire su scale temporali e
spaziali diverse. L’evaporazione è un fenomeno che accade nei grandi bacini degli oceani cosi come
nella pozzanghera sotto casa e il vapore acqueo derivante in entrambi i casi può condensare sotto
forma di pioggia nelle vicinanze, ma anche a grandi distanze. L’acqua che precipita potrà
raggiungere immediatamente l’oceano o potrà anche rimanere per centinaia di anni imprigionata
nelle profondità terrestri, se la pioggia incontra un terreno permeabile. L’accumulo delle acque nel
sottosuolo è regolato dalla permeabilità del terreno, diversa a seconda della sua costituzione in
sabbia, ghiaia e argilla. La distribuzione dell’acqua è regolata da due forze opposte: la gravità e la
capillarità. La prima consente all’acqua di filtrare verso il basso attraverso la porosità del terreno e
gli interstizi delle rocce fino ad incontrare strati impermeabili compatti e argillosi, dove si formano
giacimenti che scorrono come lenti fiumi sotterranei (le cosiddette falde freatiche). Anche la
capillarità regola la distribuzione dell’acqua e il reticolo idrografico, ma in senso opposto alla forza
di gravità, permettendo all’acqua sotterranea di risalire in superficie e di mantenere gli strati
intermedi del terreno tra falda e crosta abbastanza umidi. In media le precipitazioni e l’evaporazione
annue sugli oceani equivalgono rispettivamente a 1.120 e 1.250 millimetri, con un bilancio netto
negativo di meno 130 millimetri. Questo scompenso viene controbilanciato dalla “situazione
terrestre” dove accade il contrario: le precipitazioni ammontano a 720 millimetri e l’evaporazione a
410 millimetri. Naturalmente, questo scambio terra-oceano non è immediato, e localmente si
verificano fluttuazioni anche notevoli dalle medie sopra descritte, con conseguenze a volte
drammatiche come siccità prolungate o alluvioni devastanti.
Le raccolte d’acqua si distribuiscono su tutto il pianeta, anche dove meno ci si aspetta di incontrarle.
Ad esempio, nella zona occidentale del Sahara sono presenti diversi bacini sotterranei che si sono
formati in passato, quando il clima era diverso e le quantità di precipitazioni maggiori.
L’uomo ha saputo sfruttare le acque sotterranee meno profonde grazie a trivellazioni sempre più
sofisticate: in certe zone i prelievi sono stati così cospicui da abbassare il livello delle falde,
lasciando asciutti i pozzi e senz’acqua le aree e le popolazioni che se ne servivano. Un esempio è
quello della Sicilia, dove, per far fronte agli aumenti dei consumi, dai pozzi di due metri di diametro
scavati a profondità di decine di metri si è passati, gradualmente, a pozzi trivellati che raggiungono
profondità superiori ai 250 metri. Inoltre, dai settecento pozzi presenti nel 1960, si è passati agli
oltre millecento dei primi anni '90, con prelievi aumentati del 50 % (da 52 milioni di m3/anno a 120
milioni di m3/anno) determinando un abbassamento medio delle falde di 70 metri.
83
Aspetti didattico-pedagogici ed educativi
Si tratta di una emergenza ambientale, in quanto la vita sulla terra dipende dall’acqua
ed una cattiva gestione delle risorse idriche del pianeta compromette gli equilibri
ecologici e la qualità della vita.
L’acqua è un tema di cui tutti hanno esperienza diretta in quanto esseri viventi.
Consente una problematizzazione da diversi punti di vista: dal vicino (il proprio
territorio...) al lontano (altre realtà, il Sud del mondo...), dall’individuale (io) al sociale
(gli altri).
Favorisce collegamenti didattici trasversali essendo presente in modo esplicito e
implicito in molte parti dei curricoli delle varie aree disciplinari: storico-geografica,
scientifica, letteraria, artistica.
Stimola la presa di coscienza individuale e collettiva della necessità di modificare i
comportamenti attraverso l’acquisizione del concetto di risorsa limitata, da cui
consegue la necessità di educare i propri comportamenti a un consumo responsabile.
Si possono individuare diversi percorsi didattici come: “Noi e l’acqua”, “L’acqua intorno a noi”,
“L’acqua lontano da noi”, “L’acqua e i popoli”; “L’acqua e gli organismi viventi” …
Obiettivi
a. Saper indagare a livello personale e collettivo il valore materiale della risorsa acqua.
b. Conoscere gli elementi che caratterizzano l’acqua: aspetti tecnico-scientifici, storico-artistici
ed espressivi (movimenti, colori, suoni), forme di presenza dell’acqua in diversi ambienti e
situazioni.
c. Saper analizzare come, nella storia, l’acqua ha condizionato lo sviluppo delle diverse
popolazioni, plasmandone caratteri sociali e culturali influenzandone lo stile di vita
quotidiana, usanze e tradizioni.
Contenuti
a. Osservazione scientifica del legame tra acqua organismi.
b. L’acqua come elemento di forte pressione selettiva sugli organismi animali e vegetali in
genere.
c. L’acqua negli organismi animali e vegetali.
d. Gli adattamenti degli organismi agli ambienti ricchi o poveri di acqua (strutture
morfologiche, tane, abitudini ...).
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e. Indici di Sviluppo Umano e loro correlazione con la disponibilità di acqua potabile.
f. Importanza strategica del controllo delle risorse idriche, nelle politiche internazionali. Il ruolo
dell’acqua nelle relazioni internazionali.
g. Uso responsabile ed ecosostenibile dell’acqua e qualità della vita.
h. Legame tra acqua e salute, benessere fisico, pulizia, benessere sociale e conoscenza delle
principali malattie associate all’acqua e le strategie di prevenzione sanitaria.
Metodologie
Ricerca/azione, Laboratoriale, Cooperative Learning;
Verifiche
Test, ipertesti, pannelli didattici esplicativi del percorso.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– IV Unità Didattica – Lezione 3
METEREOLOGIA
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meteo”; come usare dati osservati per formulare ipotesi di previsione meteo a breve termine (24/36
ore).
Competenze disciplinari
Sapere utilizzare in modo corretto la terminologia specifica;
Sapere esporre, elaborare e sintetizzare in modo chiaro e lineare i concetti legati alla
meteorologia assimilati;
Sapere codificare e decodificare i concetti ed i contenuti tecnico-scientifici;
Sapere organizzare, sistemare e relazionare il lavoro svolto;
Saper utilizzare in modo corretto gli strumenti di misura dei parametri meteorologici;
Sapere osservare e analizzare un fenomeno meteorologico;
Saper leggere le carte del tempo elaborate e trasmesse dai centri meteorologici regionali.
Obiettivi
Stimolare la capacità di osservazione;
Stimolare la capacità di cogliere analogie e differenza, relazioni causa-effetto;
Sviluppare la capacità di formulare ipotesi per interpretare un fenomeno naturale;
Sviluppare la capacità di elaborare soluzioni a situazioni problematiche;
Saper costruire e usare semplici oggetti e/o strumenti di misura;
Imparare a decodificare la realtà dal punto di vista scientifico e ambientale.
Contenuti
La meteorologia antica e moderna;
L’atmosfera e la sua struttura;
I fenomeni atmosferici;
La classificazione di eventi e manifestazioni meteorologiche (es.: nubi, venti,
precipitazioni…);
Le carte e i grafici meteo;
I principali strumenti meteorologici e loro uso (termometro, termometro massima/minima,
barometro, pluviometro, igrometro, anemometro, …);
Aspetti storico-culturali e tecnologici dell’aquilone;
Costruzione di aquiloni;
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Costruzione di semplici strumenti meteo e di una capannina meteo;
Manifestazione scolastica di aquiloni.
L’atmosfera
atmosfera troposfera
temperatura
primordiale
stratosfera umidità
idrosfera
esosfera tempo
litosfera meteorologico
clima
Prerequisiti
Conoscenze scolastiche di base sulle caratteristiche geologiche della Terra, sui principali fenomeni
atmosferici e di astronomia.
Metodologie
Ricerca/azione, Laboratoriale, Cooperative Learning.
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Materiali e Strumenti
Carte sinottiche, strumenti a apparecchiature meteo (termometro, termometro massima/minima,
barometro, pluviometro, igrometro, anemometro, …); vetreria di laboratorio; schede di rilevazione
dati ambientali; schede sul principio di funzionamento degli strumenti di laboratorio; strumenti ed
attrezzature di laboratorio fisico, chimico e tecnologico; strumenti di misura; audiovisivi;
postazione computer multimediale con collegamento ad Internet; materiale di cancelleria.
Per la realizzazione di aquiloni: Carta velina (o altra carta adatta “povera” e di recupero), colla,
strisce di canna o bacchette di legno, filo di corda o nylon.
Prodotti
Aquiloni, capannina meteo con gli strumenti realizzati dagli allievi;
Verifiche
Test, ipertesti, schede operative e schede di verifica, pannelli didattici esplicativi del percorso.
89
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– IV Unità Didattica – Lezione 4
SCIENZE
La sostenibilità ambientale sul tema dei rifiuti è, in assoluto, centrale nella nostra società
che interseca questioni gravi e urgenti di ordine ambientale, igienico-sanitario e socio-
economico.
In particolare, le attività di raccolta differenziata dei materiali (carta, vetro, metalli, …) legata ad
una “filiera” produttiva che valorizzi le risorse del territorio (es.: sviluppo e valorizzazione
sostenibile di molte aree artigianali e industriali) connessa alla riduzione degli sprechi, al riuso dei
materiali, al loro impiego diretto e indiretto in nuovi cicli produttivi, rappresenta un’azione
fondamentale anche nella formazione didattico-educativa e professionale delle nuove generazioni.
Possiamo affrontare questa complessa problematica, prendendo ad esempio la frazione “umida” del
rifiuto (detta “organica”) che, sfruttando il processo naturale della sua decomposizione biologica,
rende disponibile un prodotto, il “compost”, chiamato anche “ammendante”. Questo prodotto è di
grande interesse economico per le attività produttive nei settori agricoli, forestali, floro-vivaistici e
del “restauro” ambientale di aree degradate molto utile per il miglioramento della struttura fisica dei
terreni, nella preparazione di nuovi impianti agendo anche sulla fertilità dei campi, facilitando
l’attecchimento e lo sviluppo delle piante.
Questo settore registra, in moltissime zone del nostro Paese, un forte ritardo, anche a causa di
deludenti e fallimentari strategie politico-amministrative attivate in passato. Le difficoltà legate al
trattamento di frazione umida ed alla produzione di questo utilissimo materiale sono legate a
molteplici aspetti:
scarsi risultati in termini di “Raccolta Differenziata”, raggiunti, anche a causa delle
problematiche connesse con questo servizio, soprattutto nel periodo estivo;
assenza e/o carenza generalizzata di impianti;
azioni di sensibilizzazione e informazione limitate e inefficaci;
difficoltà nel reperire le frazioni ligneo-cellulosiche che agiscano da “strutturante” nella
composizione delle cosiddette “matrici compostabili”;
90
conseguente difficoltà ad aprire un mercato in grado di assorbire il “compost” prodotto.
La sfida di produrre “compost” di qualità partendo dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani,
raccolta separatamente (“a monte” e “a valle”) della filiera, potrebbe essere facilmente vinta, in
tantissime zone del nostro Paese che vantano una vocazione agro-alimentare di prim’ordine.
È importante, quindi, stimolare l’interesse degli studenti, attraverso specifici itinerari educativo-
didattici, cominciando con lo stimolare il dibattito sulle possibilità di gestione del compostaggio.
Tale pratica risulta economicamente ed ecologicamente vantaggiosa quando viene praticata nelle
immediate vicinanze del luogo di produzione degli scarti; inoltre, può essere svolta sia a livello
domestico (nel giardino di casa), sia a livello di quartiere o di piccolo Comune (per mezzo di
“piazzole” di compostaggio o l’utilizzo di “compostiere” domestiche di costo molto contenuto),
senza grandi impianti e notevoli investimenti, contribuendo, tra l’altro, ad una notevole diminuzione
dei RSU, con un ritorno economico e di immagine che andrà a vantaggio di tutta la comunità.
Il primo passo è la conoscenza diretta dei materiali che costituiscono, appunto, la frazione “umida”
dei rifiuti, attraverso una serie di attività (ad es.: misurazione analitica del peso e del volume dei
suoi diversi componenti) .
91
acqua.
Periodo. L'autunno è la stagione più comoda che permette di seguire la maturazione del
composto nell'arco di tutto l'anno scolastico, articolando tempi ed attività secondo una
scansione dettata dalla programmazione didattica.
Tempo di “maturazione”. A seconda del periodo di “maturazione”, distinguiamo tre tipi di
“compost”:
a) “COMPOST FRESCO”, dopo 2-3 mesi. I resti organici, come le foglie, sono ancora
riconoscibili anche se hanno assunto una colorazione marrone, omogenea. Presenta il
più alto contenuto di sostanze nutritive per le piante, ma è sconsigliato per la semina.
b) “COMPOST PRONTO”, dopo 4-8 mesi. Si riconosce per le tinte più scure e la maggior
omogeneità granulometrica, dovuta all’azione dei bioriduttori, come i lombrichi.
c) “COMPOST MATURO”, dopo 12-20 mesi. La sostanza organica è perfettamente stabilizzata;
può essere usato come terriccio, al posto, ad esempio, della torba.
Procedimento
Per coinvolgere anche gli altri studenti e richiedere il loro contributo, si può innanzitutto ideare uno
slogan o un logo da mettere in evidenza all’interno della scuola.
E' possibile predisporre il compostaggio, scegliendo il metodo che più si addice alla disponibilità di
materiale da compostare. E’ possibile scegliere tra:
CUMULO CONTINUO. Non avendo a disposizione tutta la materia organica per completare il
cumulo in una sola volta, è possibile depositare a strati i materiali, poco inclinati su un
fianco del cumulo stesso, che aumenterà col tempo. Bisogna coprire la superficie esposta
con del materiale filtrante, come paglia o juta.
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CUMULO "CLASSICO". Raccolto il materiale in un accumulo primario, nelle vicinanze della zona
di allestimento, depositando gli scarti da cucina in un bidone richiudibile (meglio se
un’apposita “compostiera” in materiale plastico facilmente reperibile e dal costo molto
contenuto) ma ben areato.
Precauzioni
Ai fini didattici, è importante che l’attività venga portata a termine correttamente nei tempi
necessari di maturazione del compost, prendendo le necessarie precauzioni come quella di evitare la
marcescenza dei materiali, effettuare i dovuti rivoltamenti e intervenendo in caso di temporali o
gelate.
Obiettivi
Sviluppo/potenziamento delle capacità di progettazione, capacità di osservazione, analisi,
giudizio;
Sviluppo/potenziamento delle capacità di cogliere il rapporto causa-effetto (attraverso le fasi
di un ciclo di trasformazione);
Applicazione del metodo scientifico della ricerca, con sviluppo/potenziamento delle capacità
ad operare con rigore e sistematicità in relazione ai traguardi prefissati;
Comprendere il valore sociale ed economico della raccolta differenziata;
Comprendere l’importanza del riciclaggio dei materiali.
Metodologie
Ricerca/azione, Laboratoriale, Cooperative Learning;
Verifiche
Test, ipertesti, pannelli didattici esplicativi del percorso.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– IV Unità Didattica – Lezione 5
SCIENZE
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cogliere le strutture e il funzionamento degli ecosistemi contestualizzandoli sul territorio;
promuovere un senso di responsabilità nei confronti della gestione delle risorse e, in genere,
dell’impatto umano sull’ambiente;
favorire la formazione di una sensibilità ecologica e promuovere, quindi, il rispetto verso la
natura ma anche verso il patrimonio storico-artistico e culturale;
contribuire, tramite metodologie didattiche specifiche (es.: cooperative learning, ricerca-
azione, …) alla socializzazione e alla formazione del cittadino.
Questo “fare” scuola “fuori” dalla scuola implica il coinvolgimento di diverse aree disciplinari
attribuendo unità, concretezza e operatività al sapere scolastico, non rinunciando al senso della
scoperta e della conquista personale, prendendo come riferimento la famosa massima orientale
“Sento e dimentico, vedo e ricordo, faccio e comprendo”. Alla base di questo percorso didattico, vi
è la convinzione che “camminando” si può vedere di più, conoscere di più, imparare di più; con la
gratificazione di una conoscenza non imposta e subita, ma ricercata attivamente ed in modo
coinvolgente tale da generare anche sentimenti di appartenenza alla natura, al proprio territorio ed al
loro rispetto e valorizzazione.
Se, ad esempio, si affronta la conoscenza dell’ambiente naturale sul campo, il primo impegno
didattico-educativo è quello di fornire agli studenti gli strumenti adatti – utilizzando, ad esempio,
materiale audiovisivo specifico - per “vedere” e cogliere gli elementi più significativi dell’area da
esplorare e da “scoprire”. Esempi:
- breve excursus sugli aspetti storici-geografici, paesaggistici e naturalistici del territorio;
- analisi di cartografie, storiche e attuali, evidenziando le trasformazioni antropiche e le
diverse tecniche di rappresentazione grafica;
- studio preparatorio su testi, manuali, ecc. adatti all’età degli studenti;
- analisi cartografica, con l’utilizzo di piante e mappe, del percorso che si effettuerà durante
l’uscita sul campo;
- preparazione di materiali e strumenti per attività laboratoriali sul campo.
L’uscita, quindi, costituirà il momento fondamentale per una sorta di “ritrasferimento” delle
conoscenze acquisite a scuola con quelle che si “conquisteranno”, immergendosi nell’ambiente. Se,
in aula, vengono fornite le indicazioni di base e i riferimenti cartografici, in ambiente, si
ricercheranno le corrispondenze fra simbologia cartografica e realtà, nonché, per esempio, fra
nozioni tratte dai testi studiati e la struttura reale dell’ecosistema oggetto di studio.
Durante le attività sul campo, i ragazzi vengono stimolati a cogliere le diverse relazioni come, per
esempio, quella esistente fra la natura del suolo e la vegetazione presente, a riconoscere le principali
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essenze vegetali, ad individuare elementi naturali ed altri, frutto di attività umane, a riconoscere le
connessioni funzionali fra le parti dell’ecosistema e tra questo ed altri eventualmente presenti.
Una volta rientrati a scuola, si procederà alla sistemazione, rielaborazione e interpretazione dei dati
raccolti, perseguendo diversi obiettivi come, per esempio, saper sistemare le conoscenze acquisite e
tradurle in abilità operative (es.: realizzazione di plastici, brochure, ipertesti).
Per facilitare l’acquisizione di nuove conoscenze, è importante:
l’atteggiamento dell’insegnante, che non fornisce risposte dirette ma lascia che siano gli
studenti a ricercarle accogliendo tutte le spiegazioni che vengono avanzate, senza
“sanzionare” quelle apparentemente “stupide”, valorizzando e stimolando il loro esame
critico e, soprattutto, riproponendo continuamente la dinamica della riflessione;
istituire un clima di lavoro sereno tale da consentire a tutti di esplicitare le proprie idee e
promovendo il lavoro di gruppo (es.: cooperative learning).
Obiettivi
Conoscere aspetti del mondo naturale del territorio generalmente poco conosciuti dai ragazzi
e approfondirne le problematiche;
Conoscere e riconoscere elementi della natura (es.: specie animali e vegetali in un dato
ambiente, habitat, nicchie ecologiche);
Saper valutare anche se in maniera non esauriente gli effetti dell’impatto dovuto alle attività
antropiche su tale ambiente;
Conoscere l’evoluzione storica, su base bibliografica e cartografica passata e presente, del
territorio studiato, dal punto di vista storico-geografico, paesaggistico e naturalistico;
Comprendere l’importanza e il valore di un’area naturale protetta o meno;
Saper individuare i motivi (e gli scopi) della conservazione “attiva” dell’ambiente naturale
protetto.
Attività
Esplorazione degli ambienti naturali più caratteristici dell’area di studio;
Progettazione di: “sentieri-natura”, “percorsi-vita”, “bacheche e steccati per l’area naturale”,
“festa dell’albero”, “gemellaggi” con altre scuole (o classi) anche per stimolare forme di
turismo scolastico di qualità, ecc.;
Attività di ricerca sul campo, in laboratorio, a casa e a scuola;
Promozione e valorizzazione del territorio naturale: produzione di materiali cartacei e
multimediali per la divulgazione e l’informazione ai visitatori, ecc.
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I possibili “prodotti”
Allestimento di una mostra che presenti l’area naturale sotto i diversi aspetti. Es.: flora,
fauna, paesaggio naturale e rurale, ecc.;
Allestimento di un “sentiero natura” a scuola;
Realizzazione di una pubblicazione di un pieghevole/manuale/guida/Cd-rom ipertesto
sull’area studiata visto dai ragazzi;
Cartelloni, plastici, calendari, ...
Metodologie
Ricerca/azione, Laboratoriale, Cooperative Learning.
Verifiche
Test, ipertesti, pannelli didattici esplicativi del percorso.
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Pedagogia dei processi formativi e didattici
– IV Unità Didattica – Lezione 6
MATEMATICA
Le difficoltà di calcolo
Un numero considerevole di studenti della scuola italiana presenta problemi di apprendimento, che
incidono in modo rilevante sul rendimento delle varie discipline, causando spesso una condizione di
vero e proprio “disadattamento scolastico”. La qualità ma anche la quantità di questi apprendimenti
richiede, fin dalle prime classi, un’efficienza ottimale di gran parte delle funzioni cognitive:
percezione, memoria, elaborazione delle informazioni, abilità nei processi associativi (come, ad
esempio, l’apprendimento dei nomi dei numeri), fino a compiti che richiedono un grande numero di
processi di elaborazione (come la lettura e comprensione di un testo).
Spesso, molte altre difficoltà accompagnano i disturbi dell’apprendimento quali sintomi minori e
non sempre evidenziabili a scuola, come incertezza linguistiche, spaziale, temporali, motorie.
A volte, i soggetti interessati fanno fatica ad imparare a leggere l’orologio o ad allacciarsi le scarpe
o ad eccellere in qualche sport che richiede coordinazione. Possono avere difficoltà nello stimare
distanze tra due luoghi o a ricordare parole in sequenza.
I disturbi aritmetici sono stati meno studiati di quelli della lettura, e le conoscenze sugli antecedenti,
sul decorso, sui correlati e sull’esito sono molto limitate. Tuttavia, sembra che gli studenti con
questi disturbi tendano ad avere capacità uditivo-percettive nella norma, mentre le capacità
visuopercettive e visuospaziali risultano compromesse.
I soggetti con difficoltà logico-matematiche sono diventati solo recentemente oggetto di studio
accurato e di ricerca. Lo studente con difficoltà specifiche in ambito matematico risulta, spesso,
disattento, disorganizzato, inesatto nelle procedure di lavoro, con tendenza ad evitare le proprie
responsabilità e a non portare a termine gli incarichi che gli vengono assegnati. Inoltre, è stato
notato che possono essere anche presenti difficoltà nelle interazioni sociali.
Le difficoltà di matematica possono manifestarsi sia nel sistema di calcolo, con errori o lentezze nel
procedimento, sia nelle attività cognitive sottostanti, quali ragionamento, soluzione di problemi, che
necessitano anche di operazioni di calcolo. Le difficoltà aritmetiche che possono verificarsi sono
varie e tra esse sono incluse:
un’ incapacità a comprendere i concetti alla base di particolari operazioni aritmetiche;
98
una mancanza di comprensione dei termini o dei segni matematici;
il mancato riconoscimento dei simboli numerici;
la difficoltà ad attuare le manipolazioni aritmetiche standard;
la difficoltà di comprendere quali dati sono pertinenti al problema aritmetico in esame;
la difficoltà ad allineare correttamente i numeri o a inserire decimali o simboli durante i
calcoli;
la difettosa organizzazione spaziale dei calcoli aritmetici;
l’incapacità di apprendere in modo soddisfacente le tabelle della moltiplicazione.
Tra le possibili cause responsabili di tale difficoltà sono state individuate:
inadeguate modalità di insegnamento;
aree centrali specifiche danneggiate;
deficit specifici percettivi, mnestici, attentivi, strategici;
carente sviluppo delle competenze metacognitive.
Oltre a tali fattori, rivestono un ruolo importante anche gli aspetti emotivo-motivazionali,
responsabili di molti vissuti negativi nei confronti di questa disciplina. Tra le diverse aree di
apprendimento scolastico, quella della matematica è cruciale per l’influenza che esercita sullo
sviluppo di un atteggiamento e di una generale sensazione di competenza di sé.
L’esame delle cause dell’insuccesso in matematica è possibile grazie all’individuazione di quattro
modelli fondamentali: il primo enfatizza cause di natura prettamente neurologica; il secondo fa
riferimento ai processi psicologici implicati nei processi di calcolo e di risoluzione dei problemi; il
terzo di tipo ambientale, suggerisce di ricercare le cause dell’insuccesso, considerando sopratutto le
condizioni esterne al soggetto e il quarto, infine, definibile ti tipo multidimensionale preferisce non
sottovalutare né le variabili ascrivibili alla persona, né quelle proprie del suo ambiente educativo di
appartenenza.
Cause neuropsicologiche
Secondo alcuni ricercatori, alla base delle disabilità, vi sarebbero aree cerebrali specifiche
danneggiate che, in molti casi, persisterebbero anche con l’avanzare dell’età del soggetto. I soggetti
con disturbi di apprendimento imparerebbero in modo qualitativamente diverso dai coetanei a causa
della loro incapacità di organizzare, integrare e sintetizzare le informazioni.
Tutto ciò sarebbe dovuto a sottostanti disfunzioni cerebrali. Gli studi su pazienti che, in seguito a un
danno cerebrale, soffrivano di acalculia, cioè presentavano una difficoltà specifica nell’esecuzione
dei calcoli e nell’elaborazione di quantità numeriche, avevano fatto sospettare che il lobo parietale
avesse un ruolo specifico in questa abilità.
99
Questa ipotesi è stata confermata da recenti studi di neuroimmagine funzionale basati su tecniche,
come la risonanza magnetica funzionale, che permettono di visualizzare quali zone del cervello si
attivano durante l’esecuzione di un determinato compito. Una recente metanalisi degli studi di
neuroimmagine dimostra che due regioni del lobo parietale, il solco intraparietale e la porzione
superiore del lobulo parietale posteriore si attivano selettivamente in tutti i compiti che richiedono
la manipolazione di quantità e, in particolare, durante l’esecuzione di tutte quelle operazioni
aritmetiche che richiedono l’accesso a rappresentazioni numeriche di quantità e il confronto di
grandezza fra i numeri. I soggetti con lesioni nelle zone parieto-occipitali dell’emisfero sinistro,
quando sono impegnati in una serie di operazioni aritmetiche a difficoltà crescente, cessano di
fornire risposte corrette molto prima di quanto ci si potrebbe attendere in base al livello di istruzione
posseduto.
Cause psicologiche
Vi sono numerosi contributi che sostengono l’esistenza, alla base dei disturbi di apprendimento in
matematica, di cause di tipo prettamente psicologico enfatizzando, di volta in volta, la centralità di
svariati processi cognitivi come quelli di memoria, o quelli visuo-percettivi, psicomotori e così via.
Altri considerano anche tematiche psicologiche non cognitive come quelle motivazionali ed
emozionali e relazionali.
Cause psicopedagogiche
Sono numerosi coloro che collegano le difficoltà dell’apprendimento della matematica a cause
ascrivibili al comportamento dei docenti. Hoy, nel 1988, ha indicato una serie di responsabilità
psicopedagogiche:
1) alcune pratiche educative tendono a far in modo che il soggetto si senta incapace come quando
si raggruppano alunni con difficoltà diverse scegliendo i materiali didattici pensando al livello
più basso di padronanza presente nel gruppo;
2) l’ uso esagerato di rinforzi estrinseci. Sarebbe preferibile il ricorso ad altri tipi di feedback come
quelli sottolineanti la relazione tra impegno e riuscita nel compito che avrebbero l’effetto di
accrescere il senso di autodeterminazione e l’aspettativa;
100
3) la particolare struttura della disciplina e alle scelte didattiche degli operatori scolastici.
Sembrerebbe che la cosiddetta “didattica moderna” sia poco idonea per i soggetti con difficoltà
a causa di:
a) vocabolario e linguaggio propri della matematica moderna che aggraverebbe i
problemi dei soggetti con difficoltà di apprendimento che si caratterizzano per il loro
linguaggio scarsamente sviluppato.
b) programmi che non sottolineano a sufficienza l’importanza dell’esercizio e della
reiterazione mentre i soggetti con difficoltà di apprendimento necessitano di periodi
di fissazione più lunghi di quelli sufficienti per i loro coetanei;
c) ricorso ad una quantità maggiore di simboli che richiedono grosse capacità di
astrazione;
d) operatori non sufficientemente formati in relazione ai nuovi contenuti e alle strategie
didattiche necessarie;
e) eliminazione di gran parte dei genitori come <<partner>> dell’insegnante. I
genitori, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno familiarità con la nuova
matematica e non sono quindi in grado di sostenere adeguatamente i figli.
Cause multidimensionali
Secondo Coplin e Morgan (1988) la prospettiva multidimensionale permette di ampliare
notevolmente il campo di variabili considerate. Secondo gli autori sarebbe possibile
l’individuazione di un continuum che si estenderebbe da due sottotipi fondamentali:
il sottotipo mediazionale che includerebbe difficoltà altamente specifiche aventi una
eziologia prevalentemente organica;
il sottotipo di produzione che raccoglierebbe le difficoltà ascrivibili soprattutto al ricorso a
strategie inefficaci, a scarsa motivazione, e a inadeguatezze dell’insegnamento e a
deprivazione socio- culturale.
Altri fattori quali, ad esempio, ritardo mentale, stili cognitivi, deficit attentivi, disturbi
comportamentali, ecc., possono essere associati sia ai sottotipi mediazionali che a quelli di
produzione.
101
Pedagogia dei processi formativi e didattici
– IV Unità Didattica – Bibliografia
AA.VV., Fare per capire, idee per l’educazione ambientale, WWF Italia, Novatiporom, Roma
1999.
M. Bertacci, Scienze. Ricerca sul curricolo e innovazione didattica, Bologna-Napoli, USR Emilia-
G. Bologna, Manuale della sostenibilità, Idee, concetti, nuove discipline capaci di futuro, Ed.
A. Dalla Venezia et al, Camminare… pedalare … guidare… muoversi sicuri! – Dossier sulla
moderazione del traffico, EcoIstituto del Veneto Alex Langer, Federazione Italiana Amici della
E. Falchetti, S. Caravita, Per un’ecologia dell’educazione ambientale, Scholé futuro, Torino 2005.
F. La Cecla, Storie (naturali) per i bambini di strada e di città, Quaderni di Ed. Ambientale, WWF
M. Moretuzzo, A. Tosolini, D. Zoletto (a cura di), L’acqua come cittadinanza attiva. Democrazia e
R. Petrella, Il Manifesto dell’acqua. Il diritto alla vita per tutti, EGA-Edizioni Gruppo Abele,
Torino 2001.
L. Ray, …Più tempo e spazio ai bambini, Istituto degli Innocenti, Unicef, Firenze 1992.
G. Sacchi (a cura di), Laboratori. Ricerca sul curricolo e innovazione didattica, Bologna-Napoli,
102
R. Vismara, M. Grosso, M. Centemero (a cura di), Compost ed energia da biorifiuti - Le nuove
filiere ecosostenibili dei trattamenti biologici dei rifiuti, Hoepli, Milano 2009.
103
Pedagogia dei processi formativi e didattici
Glossario
104
presenta, nel più breve tempo possibile. Internet e gli strumenti della telematica consentono di
sfruttare al massimo le potenzialità dell’apprendimento cooperativo.
Cooperative Learning: il Cooperative Learning è prima ancora che un metodo didattico un ampio
movimento educativo che pone attenzione alla integrazione tra gli studenti per la realizzazione di
obiettivi sia di tipo educativo che didattico.
In quanto metodo il Cooperative Learning ha le seguenti specifiche caratteristiche:
a. interdipendeza positiva
b. interazione faccia a faccia
c. insegnamento diretto delle abilità sociali
105
d. lavoro in piccoli gruppi eterogenei
c. revisione e valutazione individuale e di gruppo.
I principali studiosi del Cooperative Learning sono: Johnson e Johnson; Svlavin; Kagan; Sharan,
Cohen.
Deduzione: il rapporto per il quale una conclusione deriva da una o più premesse.
FAD (Formazione a Distanza): la formazione a distanza può essere di diversi tipi: di tipo
tradizionale, come un corso per corrispondenza; di seconda generazione, che prevede l’ausilio di
sussidi multimediali, come le videocassette o i cd-rom; di terza generazione, basata sull’uso delle
tecnologie telematiche e della rete. L'ISFOL definisce la FAD come "una strategia formativa che
106
consente di partecipare ad un insieme di attività formative strutturate in modo da favorire una
modalità di apprendimento autonomo e personalizzato, discontinuo nel tempo e nello spazio".
Il Vademecum del Ministero del Lavoro per la gestione ed il controllo delle attività di formazione
professionale cofinanziate dal Fondo Sociale Europeo, dà la seguente definizione di Formazione a
distanza: "La Formazione a Distanza (FaD) è rappresentata da ogni forma di istruzione che utilizzi
tecnologie tradizionali (posta, dispense) o innovative (trasmissioni radio, Tv, satellite, fibre ottiche,
cavo telefonico, ecc.) o di package didattico (audiocassette, videocassette con ausilio di dispense,
Cd-rom, ecc.) atte a far giungere il messaggio 'a distanza' tra docente e discente”.
Formazione: la Formazione è una azione complessa, motivata ed intenzionata, in virtù della quale
si producono effetti di apprendimento su dei soggetti nell’ambito di una situazione, generalmente di
tipo lavorativo, che si viene, in ragione di ciò, a modificare.
Questa definizione tuttavia soddisfa solo parzialmente le molte accezioni annesse al termine. Il
quale è usato, in taluni contesti, come sinonimo di educazione, ovvero, in altri, come il complesso
delle azioni e dei fatti educativi che riguardano la dimensione dell’esercizio delle professioni
ovvero, ancora, per designare attività di addestramento, aggiornamento e perfezionamento erogate
nei confronti di soggetti che necessitano di esse per entrare nel mondo del lavoro o per permanervi.
Probabilmente per cogliere la specificità del termine “formazione” è indispensabile riuscire a
distinguerlo da altri termini contigui: “educare”, “istruire”, “insegnare”, “animare”. Formare
significa trasmettere delle cognizioni e nel contempo modellare un certo comportamento, attraverso
l’esercizio e il fare. Attraverso la formazione si ottengono delle modificazioni strutturali della
dimensione cognitiva ed emotiva del soggetto. Accanto a questa definizione bisogna mettere quella
per la quale formazione è bagaglio di conoscenze teoriche e pratiche indispensabili per l’esercizio di
una professione o di un ruolo.
La formazione, intesa come modificazione profonda della struttura cognitiva ed emotiva del
soggetto, è vicina alla nozione di Bildung, che prevedeva lo sviluppo interiore delle capacità umane
nella prospettiva della unitarietà della cultura e della integrazione della persona. Tale nozione, come
si sa, è diventata obsoleta a causa della crisi degli universalismi etici e culturali del Novecento. La
formazione si trova a dover fare oggi i conti con la complessità del sociale e la molteplicità dei
valori umani, con le istanze di flessibilità, competitività ed efficienza che caratterizzano il lavoro
nella fase della post-modernità.
La formazione appare disponibile a sperimentare nuove modalità di insegnamento/apprendimento
orientate al compito, nonché ad avvalersi di metodologie “non direttive” che tengono conto delle
dimensioni relazionali sottese all’apprendimento e del desiderio di espressione dei singoli,
107
impegnati in processi di acquisizione delle conoscenze. Tende a superare la separazione tra luoghi
formativi e luoghi sociali. Piuttosto che sospendere i soggetti dagli usuali luoghi di lavoro e di vita
per inserirli in contesti formativi pensati ad hoc, preferisce esperienze cognitive che si realizzano
“in situazione”: tali sono le tecniche di problem finding, come l’Action Learning, o le comunità di
pratica, che vogliono valorizzare l’esperienza degli individui e dei gruppi, le loro capacità
costruttive di conoscenza. In tale ottica ci si pone la questione di come fare dell’apprendimento
un’esperienza integrata con la vita dei soggetti, grazie al costituirsi di una attitudine alla riflessività
e una disponibilità al cambiamento, stimolate da specifici momenti formativi ricorrenti, a carattere
intensivo, capaci di rimotivare i soggetti e di offrire loro nuove opportunità di conoscenza.
Rispetto alla pedagogia e alla didattica scolastiche, la formazione sembra accettare la sfida posta
dagli attuali assetti socio-economici, che, avendo necessità di un apprendimento continuo, quale
fattore intrinseco di sviluppo dinamico dei processi produttivi, sotto la spinta della concorrenza dei
mercati divenuti globali, spingono verso il superamento della separazione fra sapere e fare, fra
momento della costituzione delle conoscenze (istituzioni formative) e momento di applicazione
delle stesse (lavoro). La formazione dà per acquisito il superamento dell’aula quale luogo di
realizzazione degli apprendimenti, della lezione quale strumento per veicolare il sapere, assume
come importanti gli apprendimenti che si realizzano per le vie non-formali e informali. Essa appare
disponibile a concepire le proprie azioni come integrate agli obiettivi gestionali della qualità totale,
del miglioramento continuo, dello sviluppo organizzativo. Pertanto la formazione appare
configurarsi come azione di stimolo e supporto di processi di apprendimento che si sviluppano
all’interno dei processi produttivi, in una prospettiva di sviluppo del potenziale dei soggetti. La
formazione aspira ad innescare reali processi trasformativi, che incidano sui processi di
soggettivazione, avendo essa l’esigenza di distinguersi da interventi di natura differente, che hanno
carattere comunicativo, informativo, di marketing, ecc. Il formatore ha per scopo quello di produrre,
attraverso opportune azioni, sempre maggiore integrazione dell’identità dei soggetti che
apprendono, affinché si verifichi un miglioramento della qualità della loro vita. Nella formazione
c’è inevitabilmente un qualcosa che eccede il dispositivo tecnico-professionale messo in atto. È
importante l’individualizzazione dell’intervento formativo.
Mirando ad assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del
curricolo, l’attività di insegnamento deve essere disponibile a pensarsi diversificata nei percorsi
formativi, in ragione delle specificità e dei talenti di ogni discente. Ma l’individualizzazione può
andare oltre e farsi personalizzazione. In questo caso non solo si intende garantire a tutti la
padronanza delle competenze fondamentali, ma anche si mira a garantire ad ogni studente una
propria forma di eccellenza cognitiva, partendo dal presupposto che esistono stili cognitivi
108
differenti, che l’intelligenza non è una, ma sono molte, ecc. Si può dire allora che
l’individualizzazione fissa degli obiettivi comuni per tutti e si studia il modo di farli raggiungere da
parte di ciascuno mediante percorsi differenziati, mentre la personalizzazione individua l’obiettivo
più idoneo per ciascuno (pluralità di percorsi formativi indirizzati verso destinazioni differenti).
«Aiutare ogni studente a sviluppare una propria forma di talento è probabilmente un obiettivo
altrettanto importante di quello di garantire a tutti la padronanza delle competenze fondamentali»1.
Innatismo: la dottrina secondo la quale esistono nell’uomo conoscenze o principi pratici innati,
cioè non acquisiti con l’esperienza o dall’esperienza, ed anteriori ad essa. Il modello di ogni
innatismo è la dottrina platonica dell’anamnesi: «Poiché l’anima è immortale ed è nata molte volte
ed ha visto ogni cosa, sia qui che nell’Ade, non c’è niente che essa non abbia appreso: sicché non fa
meraviglia che possa ricordare, sia intorno alla virtù sia intorno ad altre cose, ciò che prima
sapeva»2, ma la forma con cui l’innatismo è passato nella tradizione filosofica è stata data ad esso
dagli Stoici. Essi ammettevano come criterio della verità l’anticipazione che è la nozione naturale
dell’universale. Descartes e Leibniz danno all’innatismo un significato nuovo. Per Descartes alcune
idee sono innate come «capacità di pensare e di comprendere le essenze vere, immutabili ed eterne
delle cose»3. E Leibniz similmente considerava innate le verità che si rivelano immediatamente tali
al lume naturale, senza aver bisogno di altra verifica.
Intelligenza: non esiste una definizione univoca, ogni definizione risente dell’orientamento di
pensiero che la formula. Schematicamente le varie definizioni possono essere suddivise nei seguenti
gruppi: a. definizioni generali, in cui l’intelligenza è vista come quel processo che consente
all’uomo o all’animale dotato di struttura cerebrale evoluta di risolvere nuovi problemi che
implicano una ristrutturazione del rapporto di adattamento con l’ambiente; b, definizioni specifiche,
che considerano l’intelligenza come un insieme di processi mentali specificatamente umani che
investono il ragionamento logico; c. definizioni operative, nate dalla difficoltà di approdare a una
definizione univoca di intelligenza, per cui si preferisce sottoporre alcuni aspetti a determinati test
la cui soluzione definisce di volta in volta il comportamento intelligente.
Interazione: azione o influenza reciproca tra due variabili nel corso della quale ciascuna subisce
una modificazione per effetto dell’altra. Si può avere:
1
M. BALDACCI, Individualizzazione, in G. CERINI , M. SPINOSI (a cura di), Voci della scuola, Tecnodid, Napoli 2003.
2
Platone, Menone, 81c.
3
Lettre à Mersenne, 16-VI-1641.
109
- Interazione statica:in relazione ai piani di ricerca statica della varianza, dove si misura
l’effetto di variabili indipendenti rispetto alla variabile dipendente,
- Interazione sociale tra due soggetti, ciascuno dei quali modifica i propri comportamenti in
rapporto a quelli dell’altro, anticipandoli o rispondendovi.
- Interazione simbolica, è l’aspetto del comportamento umano sul quale G. H. Mead basò la
sua teoria secondo cui l’uomo si distingue dagli animali per l’infinità di significati simbolici
che è in grado di apprendere e di immagazzinare vedendosi come è visto dagli altri.
Linguaggio: in generale l’uso dei segni intersoggettivi. Per intersoggettivi si intendono i segni che
rendono possibile la comunicazione. Per uso si intende: 1. la possibilità di scelta (istituzione,
mutazione, correzione) dei segni, 2. la possibilità di combinazione di tali segni in modi limitati e
ripetibili. La lingua è da intendere come un insieme organizzato di segni linguistici. La distinzione
tra lingua e linguaggio è stata fatta prevalere da Saussure che ha definito la lingua come “insieme
delle abitudini linguistiche che permettono ad un soggetto di comprendere e di farsi comprendere”.
Maieutica: l’arte della levatrice alla quale Socrate, nel Teeteto platonico, paragona il suo
insegnamento, in quanto consiste nel portare alla luce le conoscenze che si formano nella mente dei
suoi allievi.
Mentoring: attività di supporto allo sviluppo professionale degli individui inseriti in un contesto
produttivo. Il mentor si occupa della crescita professionale di un’altra persona (mentee),
responsabile della sua produttività lavorativa. Gli strumenti telematici consentono di personalizzare
l’attività di mentoring rispetto alle esigenze specifiche dei discenti. Un metodo è una struttura
formale costituita da una ordinata sequenza di atti che dà luogo ad un intervento formativo. In
quanto tale esso aspira alla chiarezza, alla ripetibilità, anche attraverso opportuni correttivi in
dipendenza dei contesti. Esso risponde alle esigenze di rendere universalizzabile l’azione didattica,
nel quadro di una professionalità docente, che si sostanzia anche della conoscenza di procedure
tecnico-metodologiche.
Il metodo, correttamente inteso, funziona come summa di elementi criteriali, che debbono essere
assunti nel quadro di una adeguata consapevolezza delle concrete situazioni operative dell’agire
didattico. Un metodo è la formalizzazione dell’azione, esso aspetta di essere riattualizzato, dal
concreto agire didattico, per divenire nuovamente operativo e fecondo. In caso contrario diventa
110
irrigidimento della processualità della azione didattica, sua meccanicizzazione, impoverimento della
esperienza formativa.
Secondo Pellerey caratteristiche del metodo didattico sono: significatività, motivazione, direzione,
continuità, ricorsività, integrazione4.
Il metodo è sempre riconducibile ad uno scenario ideologico, dal momento che non esiste tecnica
che non faccia riferimento a fini i quali trascendo quelli immanenti della tecnica stessa: «è da
scartare l’ipotesi di una ‘irrelevanza’ formativa e dunque ideologica e, di conseguenza, politica, di
qualsiasi concreta operazione didattica»5.
Ogni metodo fa riferimento ad «una visione globale della realtà e dell’uomo in particolare”: è in
base a tale riferimento che è possibile “giudicare la validità di determinati obiettivi e dei processi
che vi conducono»6. Ciò ovviamente non significa che il metodo debba essere desunto con
procedura deduttivistica da una “filosofia”, laddove ciò accadesse verrebbe inficiata la natura
autonoma della didattica e della sua teorizzazione.
Segnale fisico
4
Cfr. M. PELLEREY, Principi di metodo didattico, in “Orientamenti Pedagogici”, XXVI/1979/1, pp. 88-102.
5
B.M. BELLERATE, Ideologia e didattica. Caratterizzazioni storico-geografiche, in E. BECCHI (a cura di), Teoria della
didattica, Editori Riuniti, Roma, 1978, pp. 89-109
6
Ivi, p. 106.
111
Traduzione sensoriale Memoria sensoriale Riconoscimento percettivo
Memoria di lavoro Memoria a lungo termine
112
rievocare il ricordo di posti e persone e, presumibilmente, avete la consapevolezza che quei ricordi
“resteranno lì per sempre”: nella memoria a lungo termine, appunto.
Modello: il modello è rappresentazione semplificata o analogica della realtà. Esso condivide alcune
caratteristiche strutturali della realtà modellizzata. Il termine “modello” appare segnato dai caratteri
della polisemia, stratificazione e polifunzionalità. La letteratura scientifica attesta la non univocità
di definizione e di funzione del concetto. Brezinkam ha individuato almeno quindici differenti
accezioni dell’uso del termine in pedagogia7. Si va dal modello come rappresentazione astratta,
schematizzazione della realtà, ai fini di una sua descrizione, comprensione e spiegazione al modello
come entità cognitiva che si colloca in una posizione intermedia tra l’ideale e il reale, l’astratto ed il
concreto, il generale ed il particolare, passando per una differenziata serie di significazioni. Utile
appare la definizione di Fieri8, il quale categorizza i modelli didattici in tre grandi famiglie:
- tipologie (modelli descrittivi);
- algoritmi (modelli prescrittivi);
- simulazioni (modelli predittivi).
7
Cfr. W. BREZINKA “Modelli” nelle teorie dell’educazione. Un contributo al chiarimento del concetto, in G. DALLE
FRATTE (a cura di), Teoria dei modelli in pedagogia, F.p.S.m., Trento 1984.
8
Cfr. M. FIERLI, Le didattiche formalizzate, in R. TITONE (a cura di), Questioni di Tecnologia Didattica, La Scuola,
Brescia, 1975.
113
Modelli per progetto: secondo la sociologia delle organizzazione sono quattro i fondamentali
modelli organizzativi delle imprese: funzionale, divisionale, per progetto e per matrice. Il modello
per progetto è un modello che prevede elasticità strategica.
Motivazione: le motivazioni sono i moventi del comportamento, consci e inconsci. Per quanto
riguarda l’apprendimento si suole distinguere una motivazione intrinseca da una motivazione
estrinseca: la motivazione intrinseca è sorretta dal bisogno di conoscere ed apprendere, dal bisogno
di sentirsi competenti ed efficaci, dal piacere che deriva dal controllo e dalla realizzazione del
compito; la motivazione estrinseca è costituita dal rinforzo che viene dato al soggetto dall'esterno
per aumentare, mantenere o ridurre la frequenza di un dato comportamento. Variabili della
motivazione estrinseca sono: l'autorità della persona che rinforza e la fiducia che l'allievo ripone in
questa fiducia. Costituiscono motivazioni estrinseche nel caso degli apprendimenti il bisogno di
realizzazione personale, il bisogno di approvazione.
114
Problem solving: secondo Ausubel si possono distinguere due tipi principali di approcci nella
soluzione dei problemi: l’approccio per prova ed errore e l’approccio per insight. Nel problem
solving per insight il soggetto o traspone un principio precedentemente appreso ad una nuova
situazione, che presenta caratteri di analogia di quella con questa (transfer) oppure procede ad una
ristrutturazione cognitiva, grazie alla quale l’esperienza precedente viene integrata sì da dar luogo
ad una nuova configurazione più funzionale alla soluzione della nuova situazione problematica.
Progetto: il progetto può essere definito come «un’impresa complessa, unica e di durata
determinata, rivolta al raggiungimento di un obiettivo chiaro e predefinito mediante un processo
continuo di pianificazione e controllo di risorse differenziate e con vincoli interdipendenti di costi-
tempi-qualità»9.
- È in altre parole l’anticipazione delle possibilità, cioè qualsiasi previsione, predizione,
predisposizione, piano, ordinamento nonché il modo d’essere o d’agire che è proprio di chi
fa ricorso a possibilità. In questo senso nella filosofia esistenzialistica il progetto è il modo
d’essere costitutivo dell’uomo, o come dice Heidegger, che per primo ha introdotto la
nozione, è la sua “costituzione ontologico-esistenziale”(M. HEIDEGGER, Essere e Tempo,
Utet, Torino 1969, § 37).
Riferimenti identitari: l’identità è coscienza di sé, consapevolezza del proprio esistere individuale
e sociale. In psicologia con questo termine si intende l’identità personale, ossia il senso del proprio
essere continuo attraverso il tempo e distinto, come entità, da tutte le altre. Per i filosofi J. Locke e
D. Hume l’identità è un meccanismo psicologico che ha il suo fondamento non in una entità
sostanziale che noi chiameremmo Io, ma nella relazione che la memoria instaura tra le impressioni
continuamente mutevoli, e tra il presente e il passato. Da questo punto di vista l’identità non è un
dato, ma una costruzione della memoria. Questa riflessione filosofica è stata sostanzialmente
accolta dalla psicologia, che parla di identità e crisi di identità in ordine alla solidità o alla fragilità
di questa costruzione. In virtù di essa l’individuo si sente parte di un gruppo, interprete singolare dei
suoi lavori. Identità, perciò, è senso dell’appartenenza.
Tutoring: attività di orientamento e di assistenza agli allievi, svolta da una persona (tutor) che
interagisce con loro per via telematica mediante e-mail o newsgroup
9
F. CAPPA, Progetto senza Soggetto, in ID., a cura di, Intenzionalità e progetto, Franco Angeli, Milano 2007, p. 199.
115