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La mediazione didattica

Il docente ha il compito di congiungere studenti e cultura. Questa attività è detta mediazione


didattica e si avvale di strumenti tecnici detti mediatori didattici.

Tradizionalmente il percorso didattico prevedeva tre stadi:

1. la lezione frontale

2. lo studio domestico

3. l’interrogazione

Il docente illustrava, personalizzandolo in modo più o meno efficace, il contenuto del libro
di testo, l’alunno, a casa, studiava per poter ripetere i contenuti in occasione dell’interroga-
zione. Si trattava, in buona sintesi, di uno studio mnemonico finalizzato alla ripetizione,
spesso acritica, della cultura cristallizzata sui libri di testo. Il metodo di studio basato sulla
memoria è un metodo che provoca un gran dispendio di risorse formative proprie delle di-
scipline.

Con il passare del tempo e con le acquisizioni pedagogiche intervenute nel frattempo, il fo-
cus del processo didattico-formativo è passato dai contenuti e dall’insegnamento allo stu-
dente, elevato a protagonista del processo, nonché a costruttore del proprio sapere. Lo stu-
dente deve essere aiutato in questo suo processo di costruzione, deve essere aiutato nella
scoperta autonoma di contenuti, di relazioni e delle relative implicazioni, sia legate alla di-
sciplina, sia, meglio ancora, alla risoluzione di situazioni problematiche il cui sviluppo inte-
ressi discipline diverse.

Oggi vige il modello della mediazione didattica. In questo caso il libro di testo non è più né
il principale né l’unico strumento di apprendimento. Il docente si configura come professio-
nista la cui mansione è caratterizzata dalla capacità di mediare tra il sapere esperto e lo stu-
dente in via di formazione. Il docente deve, cioè, trasformare il sapere specialistico in sapere
didatticamente attrezzato per mezzo del quale, attraverso una serie di azioni didatticamente
mirate, condurre gli alunni a compiere le operazioni necessarie per costruire la “propria”
conoscenza.

La formazione culturale è un processo lungo e complesso che consiste nel mettere in pratica
competenze, nozioni, concetti e metacompetenze, cioè le competenze di base. Il processo di
apprendimento scolastico va concepito con tali finalità e con la conseguente azione didatti-
ca. Nell’insegnamento delle varie discipline, i diversi contenuti vengono affrontati con una
o più delle seguenti strutture comunicative:

• Narrativa quando i contenuti vengono solamente presentati


• Descrittiva quando, invece, essi vengono inseriti nel rispettivo contesto di riferimento
• Argomentativa quando, infine, se ne fornisce anche una spiegazione più o meno
completa.

Per aiutare i ragazzi nel percorso di costruzione della cultura, bisogna allestire le condizioni
opportune affinché siano capaci di produrre nuove informazioni relative al tema assegnato e
di elaborarle in conoscenze. L’importante è che gli studenti possano provare a mettere in
pratica atteggiamenti cognitivi funzionali alla produzione di conoscenze.

È tempo, però, di tornare al tema principale del presente articolo: i mediatori didattici.

L’azione dell’insegnante deve consistere nella predisposizione di un campo pedagogico con
il quale lo studente entra in contatto al fine di costruire l’oggetto culturale programmato.
Non c’è relazione deterministica tra l’azione dell’insegnante e l’apprendimento del discente,
ma è necessario attivare un processo di mediazione che deve facilitare e favorire l’acquisi-
zione di contenuti e concetti. Utilizzare modalità diverse di presentazione dei contenuti co-
stituisce sicuramente uno dei numerosi tentativi che l’insegnante può realizzare per miglio-
rare le condizioni dell’apprendimento. Queste diverse modalità vengono denominate media-
tori didattici. Per mediatore didattico si intende tutto ciò che l’insegnante intenzionalmente
mette in atto per favorire l’apprendimento degli alunni. Il termine mediatore deriva dalla
loro funzione: essi si collocano tra la realtà e il soggetto per agevolarne la rappresentazione.
La facilitazione e la promozione del processo di apprendimento si realizza utilizzando, in
tutte le combinazioni possibili, quattro tipologie di mediatori didattici:

1. attivi
2. iconici
3. analogici
4. simbolici

La loro differenziazione poggia sulla maggiore o minore vicinanza alla realtà.



Sono senza dubbio quelli più vicini alla realtà. Si basano, infatti, sull’esperienza diretta. Se,
ad esempio, voglio far capire il significato di un termine, supponiamo cappello, faccio vede-
re e toccare un cappello. Secondo Elio Damiano, l’esperienza diretta non può essere annove-
rata tra i mediatori in quanto non ci sarebbe mediazione tra la realtà esterna e il soggetto in
apprendimento. Bisogna notare, però, che la scelta del soggetto e quella del contesto costi-
tuisce di per sé una mediazione. Esistono, infatti, molte forme di cappello e l’indossarne uno
o l’altro, ed in quale ambiente, assume significati diversi. Un esempio di mediatore attivo è
rappresentato dall’esperimento che si realizza in laboratorio. Il limite di tale tipologia di
mediatore è che richiede tempi lunghi di esecuzione, ma ha il vantaggio del contatto fisico
con il reale e della densità emotiva che si viene a produrre.

Se ci allontaniamo un poco dalla realtà, troviamo i mediatori iconici. Essi si basano sulla
rappresentazione del linguaggio grafico e spaziale e sono costituiti da segni, foto, carte geo-
grafiche, mappe concettuali e mentali, modellini e plastici, ma anche da immagini in movi-
mento quali film e videotape. Il vantaggio di tali mediatori risiede nella loro capacità di og-
gettivazione, cioè la capacità di rappresentare un’esperienza come un oggetto esterno al
soggetto. Il loro limite è la bassa capacità di generalizzazione.

Ancora più distanti dalla realtà troviamo i mediatori analogici: drammatizzazioni, simula-
zioni, giochi di ruolo. Tali mediatori cercano di rifarsi alla possibilità di apprendimento insi-
te nel gioco e nella simulazione. Si tratta di attività di gruppo in cui i partecipanti ricreano
particolari situazioni e interpretano i vari personaggi. Per il già citato Damiano, tutti i me-
diatori hanno la funzione di essere “segni” della realtà alla quale rimandano. La simulazio-
ne, per esempio, è un’esperienza che rappresenta un’esperienza. Il vantaggio dei mediatori
analogici sta sicuramente nell’elevata motivazione e comprensione della complessità che
(ri)producono. Il tasso di realismo presente nei giochi di ruolo è sicuramente maggiore di
altre forme tradizionali di insegnamento, ma bisogna stare attenti per evitare il rischio di
confondere la rappresentazione con la realtà.

Sono quelli più distanti dalla realtà. Essi sono rappresentati da lettere, numeri e simboli di-
versi per rappresentare delle variabili e le loro relazioni. Essi permettono il massimo grado
di generalizzazione. I problemi maggiori connessi a tali mediatori sono quello di poggiare,
spesso, su conoscenze e competenze non possedute dai discenti. Inoltre, la distanza dalla
realtà potrebbe implicare la mancata comprensione di contenuti e concetti fermandosi ad
una mera registrazione del dato. Un esempio di tali mediatori è la lezione frontale che in
termini di risultati di apprendimento è uno degli approcci meno efficaci, in special modo per
il ruolo passivo che assegna a chi ascolta. Al contrario, in termini di tempo è quello più eco-
nomico, per cui risulta essere molto preferito dai docenti.

La tecnica migliore è quella che prevede l’utilizzo integrato di tutti i mediatori didattici se-
condo un percorso non lineare, bensì reticolare, utilizzando tutti quelli reputati necessari
dall’attivo al simbolico e viceversa.

La caratteristica che accomuna tutti i mediatori è un richiamo, peculiare per ognuno di essi,
della realtà, anche se nessuno è sufficiente per comprenderla a pieno. Il ricorso a modalità
alternative di presentazione dei contenuti è un’operazione necessaria per l’insegnamento di
tutte le discipline e per tutti gli alunni, in quanto rende il clima della classe meno monotono
e rispetta maggiormente gli stili cognitivi di ciascuno. Esso diventa assolutamente indi-
spensabile se all’interno della classe sono presenti alunni con particolari esigenze.

Jerome Bruner sosteneva che l’apprendimento non spontaneo, ovvero conseguente all’inse-
gnamento, ha in più rispetto a quello spontaneo la riflessione su quanto si è esperito al fine
di prenderne coscienza (Bruner, 1999).

Allo stesso modo, Elio Damiano sostiene che non è attraverso l’esperienza in sé che si co-
nosce, quanto attraverso la riflessione sull’azione, mediante la presa di coscienza di quanto
è apporto dovuto al soggetto ed ai suoi schemi e quanto all’ambiente e alle sue caratteristi-
che (Damiano, 1999).

Un’attenzione specifica va riservata agli alunni con particolari esigenze educative, in parti-
colare con gli alunni portatori di diverse abilità. Le modalità di intervento che hanno trovato
maggiore consenso in tale contesto sono:

intervento in classe sia in situazione di lavoro diretto con l’alunno sia a distanza. In questo
secondo caso si cerca di evitare o disincentivare la dipendenza dell’alunno e stimolare mo-
menti di lavoro autonomo.

Interventi individuali anche esternamente alla classe, finalizzati agli obiettivi connessi al-
l’acquisizione di strumentalità scolastiche o allo sviluppo dell’autonomia, che necessitano di
attenzione e concentrazione difficili da ottenere in una situazione con numerose presenze.

intervento in piccolo gruppo l’alunno portatore di diversa abilità viene affiancato da due o
tre compagni e tale gruppo è finalizzato ad attività da svolgere, ovviamente, insieme. L’utili-
tà dell’insegnamento mediato da pari con studenti aventi capacità ed interessi diversi è stata
dimostrata da innumerevoli ricerche. In questo caso gli studenti rivestono il ruolo di facili-
tatori dell’apprendimento dei compagni. L’insegnamento mediato dai pari costituisce un ot-
timo modo per coinvolgere attivamente gli studenti stessi nel loro apprendimento, cosa che
spesso, con le modalità tradizionali e soprattutto nel caso degli alunni diversamente abili,
non accade.

I tipi di insegnamento mediati da pari più noti e maggiormente utilizzati sono:

il cooperative Learning che è centrato su gruppi di lavoro eterogenei, sull’effettiva interdi-


pendenza dei ruoli e sull’uguaglianza di opportunità di successo per tutti. Il contesto educa-
tivo che viene a stabilirsi è di tipo collaborativo, appunto, e non competitivo.

Il tutoring che consiste nell’affidare ad un alunno specifiche responsabilità di tipo educativo


e didattico e che viene, quindi, ad assumerne il ruolo di tutor.

Il peer teaching che consiste nell’affidare la realizzazione di compiti a studenti che presen-
tano lo stesso livello di capacità cognitive. Gli alunni vengono divisi in piccoli gruppi e cia-
scun gruppo discuterà fino ad arrivare alla formulazione di una ipotesi che confronterà con
le ipotesi degli altri gruppi. In un tempo successivo si riscriveranno le ipotesi che saranno
state confermate dopo una discussione tra i gruppi.

Il lavoro di gruppo ha molta valenza nella competenza civica e sociale dell’aiutare gli altri.
Imparare ad aiutare gli altri è una componente molto rilevante nella formazione e può avere
molti vantaggi.

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