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DIDATTICA LABORATORIALE E FORMAZIONE; BAMBINI E INSEGNANTI IN

RICERCA di Luisa Zecca.


INTRODUZIONE
DITATTICA LABORATORIALE = area della pedagogia che studia le strutture e
le modalità di funzionamento dell’insegnamento e dell’apprendimento
basato sull’esperienza diretta e attiva degli studenti, sia bambini che adulti.

finalizzata all’acquisizione di saperi e di competenze attraverso il fare oltre che alla


formazione della capacità di imparare ad imparare.
In situazioni laboratoriali il corpo e la mente dei bambini e degli adulti sono immersi
nell’esplorazione degli oggetti, delle relazioni tra gli oggetti e con l’ambiente
circostante e contemporaneamente esplorano sé stessi, gli altri, i gruppi e le regole, i
valori del proprio contesto di vita.
La scuola dei laboratori può contribuire a fare in modo che i bambini non perdano la
loro naturale capacità di porre domande e di esprimersi con il corpo e con il linguaggio
delle parole in modo del tutto personale.
Contemporaneamente, l’insegnante è regista e guida e mette la propria personale
ricerca al servizio degli studenti per i quali prepara risposte non preconfezionate.

Le strategie laboratoriali prevedono scopi che non corrispondo ad obiettivi didattici di


conoscenza o di abilità, ma alla formazione di “abiti mentali”.
Prospettiva deweyana  la didattica laboratoriale è tesa alla formazione di un
modo di pensare e di comprendere i problemi della vita reale e dell’esistenza delle
persone, prima di tutto di se stessi.

Pensare alla scuola come un sistema di laboratori = vuol dire avere in mente un’idea
di formazione per l’apprendimento, inclusiva e soprattutto attenta alle differenze. In
questa visione va interpretato il concetto di competenza che guida il curricolo della
scuola dell’infanzia e primaria.

= come capacitazione Idea che ha le sue radici nel pensiero filosofo di NUSSBAUM
 fa perno sul costrutto di capacitazione degli individui e dei sottosistemi in cui
ognuno vive in associazione con altri: organizzazioni, istituzioni, territori. Lo sviluppo
umano è concepito come capacità di ogni persona di essere soggetto autonomo e di
progettare la propria vita e poterla realizzare secondo le proprie idee.

CAP. 1 PEDAGOGIA E DIDATTICA LABORATORIALE

LORIS MALAGUZZI  Ragionando intorno al dilemma insegnamento –


apprendimento, sottolinea che i risultati degli apprendimenti dei bambini non
derivano in linea diretta dai processi di insegnamento perché l’apprendimento è un
processo attivo  è l’esperienza che consente il massimo dispiegamento dell’impegno
e del profitto personale.

 scopo dell’insegnamento = produrre condizioni di apprendimento.


Il laboratorio è una delle espressioni + materiali e concrete di queste condizioni
come luogo di apprendimento dell’infanzia, si associa al concetto di cambiamento e
innovazione della scuola stessa e dei suoi corpi. Il cambiamento riguarda:
- setting
- compito dell’insegnante
- il modo di intendere l’apprendimento dei bambini.

come spazio specializzato come approccio metodologico

Il passaggio da Laboratorio alla didattica laboratoriale ha le sue origini nella filosofia


empirista e, nella seconda metà del ‘900, diventa oggetto di studio, di ricerca e
sperimentazione soprattutto nelle scuole dell’infanzia e primaria.
In particolare  ITALIA: il laboratorio diventa il simbolo di una scuola che abbandona
la visione
autoreferenziale di un unico luogo di erogazione dei saperi
superficiali a favore di
un’altra sua identità culturale.

Il laboratorio rappresenta una precisa concezione di apprendimento e di


insegnamento e del rapporto tra scuola e vita. = ambiente di apprendimento  luogo
in cui l’insegnante predispone secondo diversi livelli di strutturazione, spazi, materiali
e problematiche aperte dotando i bambini di strumenti e supporti cognitivi utili e
funzionali alla risoluzione gestibile in modo autonomo da gruppi o da singoli studenti.

Centrale  è la domanda dell’insegnante, il caso presentato vissuto come rilevante e


motivante per i bambini coinvolti perché, a differenza dei problemi in cui si chiede
l’applicazione di strategie note, si tratta di problemi che implicano la ricerca =
l’attivazione di un processo di indagine, di scoperta e di scelta di una
strategia inedita che si adatti al contesto.

 L’ottica laboratoriale presuppone che il gruppo di studenti con i propri insegnanti


costituiscano una comunità che apprende “facendo ricerca insieme” su
oggetti, concetti, problemi e sui propri processi di formazione.

RESNICK  sintetizza le differenze che caratterizzano il modo di apprendere a


scuola rispetto alle modalità
di apprendimento nei contesti informali:

1. la scuola tende a privilegiare un apprendimento individuale, mentre nei contesti


reali vi è un apprendimento che si inserisce sempre all’interno di una rete di
relazioni sociali
2. la scuola tende a privilegiare un pensiero “puro”, ideali, mentre nei contesti
esterni risulta naturale appoggiare il proprio sapere sugli strumenti e sui
materiali che il contesto in cui ci si trova ci mette a disposizione
3. la scuola coltiva prevalentemente codici linguistici scritti e orali verso la
formazione di un pensiero di tipo astratto, mentre al di fuori la mente è sempre
alle prese con contesti di realtà, oggetti e situazioni concrete che per essere
compresi richiedono l’uso di molte intelligenze ( corporea, espressiva,
naturalistica…)
4. a scuola vengono proposti apprendimenti a valenza generale, non riferiti a
contesti specifici, mentre nella realtà siamo sempre alle prese con contesti
situali, legati alle situazioni in cui ci si trova ad operare.
L’analisi di queste discontinuità è centrale pe il passaggio da una logica di
separazione ad una di integrazione tra gli apprendimenti scolastici e quelli che
hanno luogo nei contesti di realtà.

descritto da due metafore scolastico


1. metafora del muro  richiama la separazione tra sapere disciplinare
per
l’agire
Insegnamento a “Muro” tende ad essere centrato sul libro di testo come
strumento principale
attorno cui organizzare la didattica; è strutturato intorno ai contenuti e pensato
come una sequenza di attività centrate sulla scansione e lo sviluppo di essi; lo
studente è visto come riproduttore della conoscenza che richiede di essere
assimilata e riprodotta; l’insegnante viene visto come protagonista unico del
momento valutativo.

2. metafora del ponte come integrazione dei 3 saperi  riporta un lavoro didattico
sostenuto da una pluralità di elementi e strumenti da mettere in gioco nel
lavoro di apprendimento. è un lavoro didattico centrato su situazioni di realtà
che vengono problematizzate e assunte come spunto per l’attività didattico. Lo
studente = produttore della sua conoscenza, costruttore attivo del suo sapere.

 Passaggio da una visione di insegnamento all’altra declina anche un insieme di


sfide a cui l’insegnante è chiamato:

 considerare i saper come risorse da mobilitare  risorse da mettere in gioco in


rapporto ai compiti
che devono essere
affrontati. Particolare
attenzione va data all’inter – trans – disciplinare :
la complessità di un fenomeno o di un evento reale
può essere compresa attraverso uno sguardo
complesso e multi – prospettico.

 proporre esperienze in forma di situazioni – problema  centrare il lavoro


didattico su situazioni di
realtà da problematizzare.

 cambiare prospettiva nella valutazione dei feedback dei bambini durante


l’azione didattica. Cambiamento che è caratterizzato da una progettualità che
si costruisce valorizzando i saperi e le conoscenze degli allievi.  insegnante
deve mettere a fuoco un tema centrale = come osservare
e rendere visibili i processi di apprendimento, le
conoscenze e le
scoperte dei propri allievi. Si tratta per
l’insegnante di adottare
metodologie di pianificazione + flessibili, di
pensare al progetto come
una sorta di canovaccio da adattare e
definire in corso d’opera.

 la valutazione degli apprendimenti intesa come risorsa formativa, una


valutazione per l’apprendimento
 convincere gli allievi a “cambiare mestiere”, andando oltre lo stereotipo di
allievo che recepisce ciò che l’insegnante trasmette.

 La didattica per competenze: obiettivo  acquisizione di competenze


attraverso l’esperienza di situazioni complesse e problematiche.

si fonda sulle sfide appena esposte poiché coinvolge attivamente allievi e insegnanti
in percorsi di ricerca, spostando la centralità dall’insegnamento all’apprendimento 
da programma all’allievo in una relazione di circolarità.

1.1.1. L’infanzia come costrutto culturale, la qualità della relazione


come responsabilità.

Infanzia  categoria biologica


Categoria sociale = esito di una “invenzione culturale”.

POSTMAN ricostruzione storica sull’origine e l’evoluzione dell’infanzia.


XVI e XVII sec.  bambino considerato un individuo con necessità e esigenze
speciali e il bisogno di essere
separato e protetto dal mondo adulto. La prima infanzia
terminava nel momento in cui si
raggiungeva il controllo del linguaggio e, nella seconda infanzia,
andava assunto il compi
to di insegnare a leggere e a scrivere e di assumere autocontrollo
verso le forme di ragio
namento astratto, dentro a spazi e tempi costrittivi.

XVIII e XIX sec.  illuminismo e periodo dell’industrializzazione  idea di


un’istruzione da parte delle
istituzioni statali che iniziano ad assumersi la responsabilità
dell’alfabetizzazione e,
contemporaneamente, prende avvia la cultura dei diritti
dell’infanzia.
Due filosofi essenziali:
1. LOCKE  stabilì un nesso tra istituzione formale e infanzia,
proponendo un
educazione che curasse le preziose risorse del bambino
e ne coltivasse lo
sviluppo intellettuale e l’autocontrollo.

2. ROUSSEAU  teorizza il bambino come individuo importante di per


sé. La sua visione
ha modificato radicalmente il modo di concepire il
rapporto tra adulti
educatori – insegnanti e bambini- allievi nella
pedagogia dell’infanzia.

 La qualità dell’educazione dei bambini/e è da concepire in relazione anche alle


diverse immagini di infanzia che si sono succedute lungo lo sviluppo della società
occidentale e che ogni educatore e insegnante costruisce a partire dalle proprie
autobiografie infantili, dalla formazione in preparazione al divenire insegnante e
nelle pratiche professionali.

Psicologia dello sviluppo del ‘900  il bambino è al centro delle pratiche


pedagogiche, una concezione defini
ta “modernista” che intende il bambino
“unificato, reificato, esenzializ
zato al centro del mondo”.
La prospettiva postmoderna decentralizza
al contrario il bambino
raffigurandolo come esistente attraverso le
sue relazioni con gli altri e
sempre in relazione a specifici contesti.

Il sapere “scolastico” per poter diventare formativo, e ispirare modi di fare e di essere,
deve essere l’esito di una relazione intima e affettiva tra adulto e bambino, che
coopera in egual misura con l’insegnante responsabile impegnato in una negoziazione
continua e pubblica.

Prospettiva esistenzialista e fenomenologica  MORTARI  analizza il concetto


di etica in relazione al
concetto di di ricerca e pratica
educativa = una ricerca che
si fa per e con i bambini.

C’è comprensione autentica quando si allestisce una relazione autentica don l’altro e
la comprensione
dell’esperienza dell’altro implica la cura dell’altro perché si instauri un clima di
accettazione, comprensione e ascolto.

Riferimento a LEVINAS E ARISTOTELE  ETICA = teorie situazione


che conduce ad agire
secondo una retta
ragione e un’attenzione al
singolo caso
specifico, producendo una pluralità di
saperi che si
collocano ad un livello intermedio di
generalità. L’etica è
un orientamento che
incorpora nell’azione
la ricerca del bene per l’altro,
promuovendo
condizioni che facilitano il
benessere, in questo
senso l’etica della cura e
dell’azione educativa
sono molto vicine.

L’etica della cura dell’esperienza educativa e di ricerca con i bambini implica alcune
“direzionalità”:
- l’avere rispetto
- sentirsi responsabili dei bambini, concepiti come ontologicamente vulnerabili.
Questa consapevolezza genera il senso di responsabilità che porta a vigilare
su quello che si fa e si dice valutando continuamente se la qualità del proprio
agire è etica e a offrire esperienze positive.

La logica etica della professione insegnante e la centralità del tema della relazione si
accorda con diverse immagini di infanzia:
1. bambino come conoscenza  identità e riproduttore di cultura. Evoca l’idea
di tabula rasa di Locke:
il bambino va preparato per ricevere e
riprodurre conformandosi ai
saperi curricolari e precostituiti.

2. Bambino è capitale umano in vista del futuro in cui si compirà la sua


realizzazione attraverso il raggiungimento di traguardi graduali e obiettivi di
competenza per imparare ad essere flessibile e competitivo.

3. Il bambino innocente nell’Età dell’oro  bambino di Rousseau che esprime


tutta la sua fiducia nella
capacità di autoregolarsi, un
bambino da proteggere dal
mondo corrotto, violento e
oppressivo.
4. Bambino come essere naturale  un bambino dalle proprietà universali e
dalle capacità intrinseche
il cui sviluppo è visto come un
processo innato, obbediente a leggi
naturali; è un bambino astratto e
decontestualizzato, ridotto a
categorie separate e misurabili.

5. Bambino come costruttore di conoscenza, identità e cultura  da questo


punto di vista i bambini sono sia parte della famiglia, sia separata da essa.
Hanno un posto riconosciuto e indipendente nella società, con i loro diritti come
esseri umani individuali e membri a pieno titolo della società stessa.
Da questo punto di vista:
- Infanzia è un fatto biologico, ma il modo in cui viene pensata e
interpretata è socialmente determinato = l’infanzia è una costruzione
sociale sia realizzata per i bambini che dai bambini all’interno di un complesso
di relazioni sociali negoziate attivamente.
- L’infanzia come costruzione sociale è sempre contestualizzata in relazione al
tempo, allo spazio e alla cultura, e cambia a seconda del ceto sociale, del sesso
e di altre condizioni socioeconomiche.
- I bambini sono attori sociali cn potere d’intervento sul mondo e su loro stessi
- I bambini hanno una loro voce e dovrebbero essere coinvolti nella comprensione
e nell’interpretazione dell’infanzia stessa.

1.2. Spazio specializzato, ambiente di apprendimento, approccio didattico.


LABORATORIO  dal lat. laborare = rimanda all’immagine di locali attrezzati per la
produzione di tipo
artigianale, a volte annessi a negozi in cui si
eseguivano lavorazioni di
oggetti messi in vendita.

Il termine poi è passato a indicare non solo produzioni, ma anche luoghi di analisi, di
studio, di ricerca, diagnosi per la comprensione e spiegazione di fenomeni nelle
scienze sperimentali e applicate, ambienti per la progettazione architettonica e
ingegneristica.
 Nel laboratorio, in generale, si realizza attività produttiva attraverso lavoro
materiale e intellettuale.

Che significato assume nelle pratiche scolastiche?


Laboratorio = spazio fisico e sociale attrezzato, “specializzato” rispetto ad
altri spazi educativi, costituito da arredi e materiali che diano al bambino la
possibilità di fare esperienze caratterizzate dalla prevalenza di alcuni
linguaggi e tecniche.

Si configura come un contesto culturale, un ambiente di apprendimento


costruttivista in cui centrali sono:
- Mediatori didattici
- Linguaggio che favorisce l’organizzazione del pensiero.
Contesto di condivisione in cui
l’azione, l’osservazione, la descrizione, la formulazione
di ipotesi e la verifica sono oggetto di scambio
e confronto con l’adulto e tra bambini.
BORGHI - individua 3 possibili livelli-tipo che definiscono diverse metodologie
di laboratorio a scuola:
1. Laboratorio come cassetta degli attrezzi: dà rilievo ai materiali, le tecniche e gli
strumenti usati e
alla logica produttiva. Gli
strumento servono a produrre
altri oggetti e a trasformare la
materia attraverso e abilità
finalizzate ad uno scopo.

2. Laboratorio come spazio di progetto: riguarda la progettualità intenzionale e


finalizzata, le condizioni
che promuovono lo svolgersi della
attività e dei percorsi
garantendo interazione e
comunicazione tra soggetti e con gli
oggetti.

3. Laboratorio come bottega d’arte: riguarda l’invenzione e la creazione da parte


dei bambini, centrali
le dimensioni del gioco e della fantasia.
Da questo punto di vista
organizzativo, i laboratori possono essere
interni alle scuole, esterni
alle scuole, sul territorio, “in valigia”. È un laboratorio
itinerante
che contiene gli strumenti per la ricerca
sul campo e per la
documentazione nell’immediato dei
risultati ottenuti.

Il laboratorio è uno spazio attrezzato in cui si svolge un’attività centrata su


un certo oggetto culturale.

 Tale def. permette di identificare delle “categorie” fondative rispetto alla prassi:

Oggettualità  il laboratorio è sempre “laboratorio di..” ed è caratterizzato da


una specificità
oggettuale e culturale riferibile ad ambiti disciplinari.
Centrale è il tema della trasposizone  concetto elaborato
da CHEVALLARD implica la
possibilità di
stabilire relazioni tra “sapere
esperto”, “sapere
da insegnare” e “sapere
insegnato”.

L’insegnamento di una qualche disciplina presuppone una sorta


di trasposizione, di
rielaborazione da un sapere che ha una forma scientifica, ad un
sapere la cui forma lo
rende adatto ad essere insegnato. Una trasformazione che rende
possibile la
conoscenza possibilmente a tutti. Si tratta di scegliere concetti e
oggetti rilevanti e
di proporli alla sperimentazione dei bambini, non solo per essere
“scoperti”, ma anche
per dare luogo ad una riflessione metodologica in merito.

Spazialità  il laboratorio può essere definito come uno spazio “fisico” e “sociale”
attrezzato, teatro delle
attività che vi si svolgono. Il laboratorio dilata le dinamiche della
socializzazione in modo +
ampio di quelle che si possono fruire nell’aula – madre.

L’attività  l’etimologia stessa del termine laboratorio rinvia ad un “lavoro” attivo,


ad una prassi.
Predomina l’apprendimento attivo = l’apprendere “facendo”, nella
relazione con i pari e con
l’insegnante. L’apprendimento dall’esperienza è una componente
necessaria della formazione

Il laboratorio può essere descritto attraverso 5 aggettivi:

- Scientifico: il modello dei laboratori si fonda sul principio che i fatti insieme alla
teoria, producono
generalizzazioni e categorizzazioni teoriche. Il sistema di
congetture a priori si verifica
tramite osservazioni e manipolazioni (dell’esperienza, dell’azione)

- Motivazionale : i laboratori valorizzano i bisogni – interessi dell’allievo


- Sperimentale: i laboratori introducono nella scuola uno stile sperimentale: il
criterio di trasferibilità
e la pratica del plurale. La didattica pluralista si oppone a
metodologie
mono-procedurali che predispongono setting cognitivi iper-
formalizzati.

- Cognitivo: i laboratori sono titolati di un triangolo cognitivo chiamato ri-


produzione,
ri-costruzione e re-invenzione delle conoscenze.
- Investigativo: i laboratori aprono le porte a una scuola che fa ricerca: la classe
è la sede della micro-
ricerca.

Finalità pedagogica e didattica di questa modalità  interdisciplinarità =


punta diritto all’acquisizione di competenze cognitive e “fanta-cognitive”.
Def.

capacità di elaborazione capacità di intuizione occasione


cognitiva attraverso la quale si
scoperta invenzione possono
identificare e padroneggiare i
metodo trasfigurazione. saperi
“canonici” dell’istruzione, si possono
smontare e rimontare le conoscenze acquisite
e produrre nuovi nuclei generativi.

 Laboratorio concettualizzato come:


- Uno spazio fisico strutturato ad hoc
- Un metodo per insegnare e d apprendere, integrato pienamente nel + ampio
spettro della attività curricolari. Lo sguardo ampio consente di vere di curricolo
come un sistema di saperi che considera gli effetti complessivi della formazione
scolastica. La proposta laboratoriale consiste proprio nell’effettiva
riorganizzazione dell’offerta formativa, che prevede anche la progettazione ex
novo degli ambienti scolastici, in modo che possano orientare ad un
apprendimento realizzato nel rispetto degli stili e dei tempi di ciascun bambino.

FIORETTI - distingue diversi modelli di laboratorio a seconda dei diversi livelli di


apprendimento:

- proto-apprendimento (apprendimento uno) = come apprendimento di singoli


eventi; si tratta di
provare e sbagliare per
poter apprendere dai propri
errori.

- deutero – apprendimento (apprendimento due) = apprendere ad apprendere 


il processo di
autocorrezione degli
errori riguarda la selezione
dell’insieme di
alternative entro il quale è
possibile sbagliare.

Vengono individuati due curricolo:


Curricolo I = relativo a conoscenze e abilità conseguibili nel breve e medio periodo
Curricolo II = dedicato alla formazione di competenze e abitudini mentali raggiungibili
nel medio e lungo
termine.

Dalla relazione dei due diversi livelli logici del curricolo con tipologie di esperienza,
immediata e relativa, si generano due modelli laboratoriali:

1. il laboratorio per le conoscenze = al centro vi è l’allievo e non i programmi


di studio e la strategia
usata è quella del learning by doing e del
coinvolgimento attivo.

2. Il laboratorio per le competenze = sempre secondo la teoria dell’imparare


facendo, si realizzano
concretamente abilità e
competenze.

Nel passaggio dal Laboratorio come luogo all’approccio laboratoriale  due


dimensioni centrali:
 Dimensione interazionale  si qualifica come relazione di ascolto attivo,
autentico e reciproco
nella duplice direzione dell’attenzione
all’individualità e al gruppo. La
didattica laboratoriale, come luogo di
costruzione della
conoscenza condivisa, rende possibili
aggregazioni di studenti secondo i
loro livelli di sviluppo e di apprendimento: il
formatore favorisce in tutti
i modi i processi della ricerca e della riscoperta,
organizzando attività
educative e didattiche. In laboratorio gli
insegnanti sperimentano un
approccio operativo fondato sul principio di
coinvolgimento personale
e di cura degli altri. L’approccio
laboratoriale trova fondamenti teorici in
Cooperative Learning  si basa su alcuni principi
fondamentali:
+ l’interdipendenza positiva tra i membri di
un gruppo  il successo del
gruppo è vincolato al successo di tutti i
membri e, di conseguenza, il
fallimento decreta l’insuccesso del gruppo.
+ la responsabilità individuale  ogni
membro del gruppo deve essere
consapevole del fatto che la sua parte di
lavoro è necessaria al gruppo
per completare il compito e che si deve
assumere la responsabilità.
+ l’interazione diretta costruttiva  gli
studenti, lavorando insieme,
interagiscono e cercano di sostenersi a
vicenda.

 Dimensione della ricerca creativa promuove processi creativi di de-


strutturazione e ri-composi-
zione in forme inedite delle proprie
conoscenze.

Processi creativi = insieme dei processi di risoluzione di problemi che hanno


origine dalle connessio-
ni e dai richiami originali tra elementi diversi, allo scopo di
produrre strategie e
soluzioni innovative.
Creatività spesso fatta coincidere con il “pensiero divergente” caratterizzato
da originalità di idee, fluidità concettuale, capacità di riorganizzare in maniera
originale elementi intellettualmente a disposizione del soggetto per produrre
diverse risposte a uno stesso quesito.

Condizioni essenziale per promuovere processi creativi:

1. la presenza di materiali differenziati che implichino differenti possibilità di


uso: i prodotti (artefatti, manufatti) possono essere definiti creativi sulla
base del concetto di novità riferita al singolo o ad un gruppo di persone.

2. La possibilità di esplorare, sperimentare e riflettere in tempi rilassati.


Lasciare uno spazio congruo per sedimentare e ricombinare pensieri sia una
condizione essenziale per promuovere associazioni di tipo creativo.

3. Ruolo degli adulti  devono essere in grado di predisporre un ambiente


adeguato, che offra una pluralità di esperienze, di esplorazioni a partire da
compiti complessi e aperti, e capace di garantire un sostegno emotivo tale
da permettere la scoperta.

 L’approccio laboratoriale favorirebbe il pensiero creativo – divergente poiché il


bambino è invitato a scoprire, mettere in gioco la sua curiosità, a cercare soluzioni
ai problemi che emergono e a seguire i propri interessi senza una tempistica
rigida, ma secondo le proprie inclinazioni. In questo clima produttivo ma non
incalzante la creatività è incentivata ed emerge spontaneamente.
1.2.1. L’eredità di DEWEY e l’apprendimento riflessivo

Def. laboratorio = il luogo in cui può essere promossa un’educazione


sia intellettuale che pratica
che permette al bambino di acquisire conoscenza attraverso la
sperimentazione diretta, attraverso il confronto con gli altri e la
riflessione individuale.

CENTRO della pedagogia di Dewey  è il concetto di “esperienza” = scambio


attivo e trasformativo tra soggetti e natura. L’esperienza per essere formativa
deve avere alcune caratteristiche:

- essere in continuità con le esperienze precedenti


- superare la frammentazione tra saperi e con la realtà
- prevedere l’interazione tra individuo e ambiente di vita.
L’esperienza è influenzata dalle condizioni materiali e culturali della comunità. 
Dewey concepisce l’esperienza come una forma di coinvolgimento nella
realtà, nei suoi aspetti sociali, culturali e nel suo divenire storico.

La struttura dell’esperienza ha un carattere sostanzialmente interattivo. Elemento


distintivo dell’esperienza è la continuità, che rende possibile il riconoscimento di
elementi di connessione distanti nello spazio e nel tempo. L’esperienza non è
procedere per tentativi ed errori che sfuggono le cause e conseguenze.

DEWEY distingue fra:

 Esperienza immediata  senza riflessione critica e dialettica è “cieca ed


impulsiva”, non porta
apprendimenti significativi e consapevoli.
 Esperienza riflessiva  la riflessione consiste nell’azione e nella decisione.
Una persona riflessiva
regola i suoi atti esterni nel modo + sperimentale
possibile. Le conseguenze
delle sue azioni costituiscono un problema
inducendolo ad esaminare + a
fondo le cause da cui probabilmente dipendono,
specialmente quelle che
giacciono nei suoi abiti e nei suoi desideri.

 La riflessione è un processo creativo di attribuzione di significato;


costruisce la trama che rende possibile la continuità dell’insegnamento.

L’atto della riflessività viene distinto in 5 fasi:


1. Suggestioni  tendenza di fronte ad un problema pratico ad agire direttamente;
tale tendenza
prende la forma di un’idea o di una suggestione anticipatoria.
2. Intellettualizzazione  solo un’osservazione + attenta delle condizioni di
difficoltà consente all’azio-
ne di arrestarsi. L’elemento intellettuale consiste in
ciò che noi facciamo con
la suggestione iniziale
3. Ipotesi  successivamente l’azione intellettuale allarga la suggestione e diviene
ipotesi = una supposi
zione ben precisa.
4. Ragionamento  amplia le conoscenze e Dewey lo collega alle conoscenza che
un sogg già possiede
e alla possibilità di comunicarle ad altri. il ragionamento
aiuta a scoprire termini
nuovi e connette elementi che al pensare suggestivo e
intellettuale apparivano
contradditori e in conflitto.
5. Il controllo dell’ipotesi mediante valutazione diretta, per provare
sperimentalmente o verificare l’idea congetturale.
Le fasi indicate non si susseguono secondo un ordine stabilito e hanno un andamento
ricorsivo  il pensiero riflessivo comporta uno sguardo al passato e al futuro,
promuovendo un abito procedurale.

DEWEY  Esperienza è sia il punto d’avvio per l’elaborazione di una teoria,


sia il punto di arrivo, la vera validazione di una teoria dell’educazione
presuppone infatti il confronto criticamente condotto con l’esperienza.

1.2.2. Imparare “per” problemi e l’approccio IBSE

Caratteristica della didattica laboratoriale  partire da problemi complessi e da


fenomeni “osservabili”
piuttosto che dall’illustrazione o
esposizione di contenuti e
concetti.
concezione classica  Problem – Based – Learning = è l’apprendimento che
scaturisce da un processo di
analisi, comprensione e risoluzione di un problema.
Nasce come risposta critica all’insegnamento tradizionale
in campo medico, che si
Dimostrava essere non particolarmente efficace nella
preparazione degli studenti di
medicina alla risoluzione di problemi reali di diversa natura
in ambiente clinico.

Contestualizza l’apprendimento degli studenti all’interno di


problemi concreti
appartenenti alla vita reale. Un metodo che mette lo
studenti al centro del proprio
processo di apprendimento. Il ruolo dello studente cambia:
obiettivo = impegnarlo
attivamente facendolo lavorare sui contenuti
attraverso un’analisi basata sulle
esperienze personali, per giungere alla risoluzione del
problema attraverso le
conoscenze acquisite. In questo contesto, il concetto
tradizionale di classe in cui
l’insegnante spiega e gli alunni ascoltano deve essere reso
+ flessibile, in modo tale
da permettere allo studente di approfondire le proprie idee.

Le caratteristiche tipiche dell’approccio PBL:


- È basato sul problema che viene presentato dall’insegnante all’inizio del
processo di apprendimento = i contenuti e le competenze che devono essere
appresi sono organizzati attorno al problema e che gli studenti iniziano ad
apprendere simulazioni di problemi autentici.
- È auto – diretto perché gli studenti decidono individualmente e
collaborativamente cosa necessitano imparare al fine di affrontare il problema
proposto e generano di conseguenza i proprio processi di apprendimento
- È auto – riflessivo perché gli studenti monitorano il loro apprendimento e
comprendono come modificare le proprie strategie
- L’insegnante ha ruolo d facilitatore = aiuta e supporta il processo di
ragionamento, facilita il lavoro dei gruppi e le dinamiche interpersonali, senza
mai fornire informazioni dirette per la risoluzione del problema

Le fasi che compongono il PBL:


1. Presentazione del problema da parte dell’insegnante
2. Analisi e discussione: da parte degli studenti usando le risorse a loro
disposizione. Gli studenti analizza
no il problema e individuano quali ulteriori info sono
necessarie per acquisire
conoscenze e comprendere in modo adeguato il
problema
3. Ricerca e approfondimento: attraverso l’autoapprendimento, gli studenti
recuperano e studiano il
materiale ritenuto utile alla comprensione del
problema
4. Elaborazione di soluzioni: dopo aver rivisitato il problema alla luce delle nuove
informazioni raccolte,
gli studenti elaborano una soluzione condivisa
5. Presentazione e riflessione: le soluzioni vengono presentate al resto della classe
e al tutor che facilita
la riflessione cognitiva e metacognitiva degli
studenti, invitandoli a
riflettere sulle strategie, azioni intraprese.
6. Valutazione: le conoscenze acquisite, le abilità proprie del domino di
applicazione e le abilità di problem – solving sono sottoposte a valutazione
formativa.

Quali sono le caratteristiche principali di un problema?


Problema
Studenti 3 elementi chiave del Problem – Based – Learning
Insegnante-tutor

Jonassen distingue fra:


- Problemi ben definiti (well – structured)  i problemi + comuni che gli studenti
sono abituati a
risolvere in ambito scolastico e
universitario. Essi
richiedono l’applicazione di un
numero limitato di
concetti già conosciuti e
studiati in un dominio ristretto
o di regole e procedure
algoritmiche da applicare in
esercizi; hanno uno stato
iniziale ben definito, una
specifica soluzione o obiettivo
da raggiungere, e una
precisa serie di operazioni da
svolgere per poterlo
risolvere.

- Problemi mal definiti ( ill – structured)  i problemi che incontrano


frequentemente nella vita di tutti
giorni e in ambito lavorativo.
Presentano un insieme di
possibili soluzioni non
necessariamente provenienti da un
singolo ambito.

Il problema dovrà essere:


- Autentico
- Ill-structured
- Interdisciplinare
- Aperto =deve lasciare spazio a + soluzioni
- Complesso, per fare in modo che tutti i componenti del team prendano parte
alla sfida e alla costruzione di soluzione
- Integrato con le conoscenze tipiche dell’argomento oggetto di analisi.
Il livello di difficoltà di un problema deve essere adeguato alla preparazione e alle
conoscenze dello studente, che sarà così in grado di risolverlo. Al contrario, un livello
di difficoltà inappropriato può eccedere il potenziale di apprendimento dello studente
e contribuire al fallimento dell’approccio didattico. Ci si riconduce  alla nozione di
VYGOTSKIJ di zona di sviluppo prossimale = distanza tra il livello attuale di
sviluppo, determinato dalla capacità di risolvere problemi in modo
autonomo, ed il livello di sviluppo potenziale, determinato dalla capacità di
risolvere problemi con la guida di un adulto o con la collaborazione di parti
+ competenti.

PBL  una particolare forma o sottoinsieme del Inquiry – Based – Learning (IBL)

= forma di apprendimento stimolato da una serie di domande o compiti. Tecnica


usata per la realizzazione di indagini e piccole ricerche che possono essere realizzate
dai bambini stessi in diversi campi d’esperienza.
Finalità di questo approccio =sviluppo di una buona capacità di analisi, di
interrogazione, di induzione e di deduzione alla capacità di formulazione e verifica di
ipotesi.

Fasi del modello IBL:


1. Presentazione del problema da parte dell’insegnante, che ne spiega le regole e
le procedure di indagini
2. Raccolta dati e verifica delle condizioni da parte dello studente, ponendo
all’insegnante delle domande che prevedono come risposte: SI o NO
3. Raccolta dati- sperimentazione: grazie alle conoscenze acquisite, gli studenti
esplorano la situazione cambiando alcuni aspetti della stessa, formulano teorie
o ipotesi effettuano prove per verificarle.
4. Formulazione della spiegazione del fenomeno
5. Analisi del processo di indagine: gli studenti riflettono sulla ricerca svolta,
individuando le domande che si sono rilevate + utili e le modalità di ricerca +
produttive con lo scopo di acquisire consapevolezza su come migliorare la
strategia applicata.

L’insegnante non spiega il fenomeno e l’indagine del problema spetta agli studenti
che usano le domande formulate all’insegnante. Il ruolo dell’insegnante  guida =
aiutare gli studenti e assisterli nella eventuale formulazione di domande e poste non
correttamente.

In didattica delle scienze si paral di IBSE = INQUIRY – BASED – SCIENCE


EDUCATION

Promuove la partecipazione attiva degli studenti alla didattica, la costruzione


collettiva delle conoscenze e l’apprendimento di competenze mediante l’interazione
con situazioni reali o realistiche. I bambini sviluppano competenze formulando ipotesi
esplicative, progettando autonomamente esperimenti, e attivando varie capacità
legate al ragionamento scientifico.

Esempio  esperienze laboratoriali che coinvolgono robot a uso didattico per


l’apprendimento di competenze disciplinari (non necessariamente limitate all’area
tecnologica) e trasversali (connesse al ragionamento astratto, al pensiero scientifico,
alla soluzione di problemi, al lavoro di gruppo).
La metodologia didattica IBSE si basa sulla curiosità attiva degli alunni ed è quindi
necessario trovare dei punti di contatto tra le conoscenze, abilità e competenze che si
vuole che gli studenti apprendano e il loro vissuto, il contesto in cui vivono ed in
generale quelli che sono i loro interessi.
Dopo aver stimolato la loro curiosità, il ruolo dell’insegnante sarà quello di far
emergere la capacità di predizione (“cosa succederebbe se…?”) e di investigazione
(“come potreste fare per dimostrare che…?”). Esattamente come nel metodo
scientifico, dopo aver stimolato gli alunni a esprimere una serie di domande
sull’argomento desiderato, l’insegnante e gli alunni collaboreranno del definire una
serie di possibili esperimenti, attività e ricerche da eseguire per rispondere in maniera
scientificamente accurata alle domande emerse in classe. L’insegnante avrà infine il
compito di spingere gli alunni a interpretare i dati ottenuti (“cosa avete scoperto
facendo…?”), guidandoli nell’argomentare le conoscenze a cui sono pervenuti.
In questo modo il metodo IBSE può essere in grado di stimolare al
massimo ogni studente
compresi quelli che possiedono particolari talenti o ad avere
bisogni educativi speciali.
Ha una natura student – centered  sarà impossibile per l’insegnante preparare nel
dettaglio ogni proposta, sarà importantissimo predisporre tutta una serie di possibili
attività da suggerire agli alunni come possibili fonti di risposte alle loro domande.
Svolge un ruolo di tutor  attività di
toutoring, che via via diminuisce nel tempo, man mano che
gli studenti affinano le loro capacità di azione e pensiero.

Uno dei principali problemi dell’approccio IBSE  difficoltà di valutare:


- l’acquisizione di competenze come la responsabilizzazione dello
studente o le capacità manuali con i voti numerici.
- Basarsi su parametri standardizzati della valutazione, in quanto la
valutazione di questo tipo di attività è quasi obbligatoriamente student –
referenced = derivata + dal processo fatto dallo
studente che
dall’aderenza a dei
criteri
misurabili numericamente.

 Per avere una valutazione che sia valida = trasparente e comprensibile sia agli
studenti che alle loro famiglie, appare necessario trovare metodi alternativi anche
al fine di presentare la valutazione come parte del percorso di apprendimento.

Quali sono gli scopi principali della valutazione?

1. Sostenere gli studenti che stanno imparando


2. Scoprire cosa abbiamo imparato in un determinato momento.

Due finalità diverse: una formativa, l’altra sommativa.  ha lo scopo di riassumere e


riportare cosa è stato
imparato in un
determinato momento e perciò
è anche chiamata
“valutazione dell’apprendimento”
ha lo scopo di facilitare l’apprendimento
e per questo motivo è chiamata
“valutazione per l’apprendimento”.
Essa richiede l’uso di strumento qualitativi di
documentazione di processi (osservazioni,
trascrizioni di conversazioni e discussioni,
fotografie, video…)
La valutazione diventa un processo dialogico di autovalutazione e co-valutazione tra
studenti e insegnanti attraverso un costante interrogarsi su:

- Cosa sembra succedere?


- Qual è il motivo per cui…? è necessario far comprendere ai bambini
che si richiede una
- Perché succede questo? risposta ragionata, non rapida e
immediata.
- Cosa potrebbe succedere se?

Obiettivo comune della valutazione e dell’approccio IBSE  gli studenti


diventino via via + abili nel
prend
ere parte alle decisioni sulla qualità
del loro lavoro e si sviluppino una loro comprensione
dei processi coinvolti nell’apprendimento.

CAP. 2 ORIENTAMENTI PER LA PRATICA PEDAGOGICO – DIDATTICA


2.1. Il laboratorio a scuola: dai Programmi alle Indicazioni Nazionali.

La lettura critica dei documenti d’indirizzo per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo
obbligatorio permette di osservare l’evoluzione del concetto di laboratorio.

Programmi didattici per la scuola primaria (1985)  richiama la necessità di


svolgere “esperienze pratiche
abituali” in spazi appositamente adibiti a laboratorio o nelle
aule trasformate.
 Laboratorio = luogo che permette di fare esperienze
attraverso la proposta di compiti ingaggianti grazie ai
quali i bambini contribuiscono ai sistematizzare le
proprie conoscenze.

Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali (1991)

Richiamo al lavoro in piccolo gruppo, che può essere adeguatamente accolto in spazi
dedicati, i laboratori.
Questo per rispondere alle esigenze specifiche delle età e per rispondere ai bisogni,
anche individuali, dei bambini.
Il laboratorio viene concettualizzato come un ambiente particolarmente coerente con
le finalità della scuola dell’infanzia, vale a dire la maturazione dell’identità, la
conquista dell’autonomia e lo sviluppo della competenza.

Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati (2004)  vengono


presentati spazi selettivi per le
attività di piccolo gruppo di differente tipologia,
in risposta ai bisogni espressi dai bambini.

Indicazioni per il curricolo (2007)  si abbandona una visione di laboratorio come


uno spazio di esperienza
e si comincia a parlarne come di una modalità e un dispositivo di apprendimento
Realizzare percorsi in forma di laboratorio, per favorire l’operatività e
allo stesso tempo il dialogo e la riflessione su quello che si fa.
Il laboratorio coinvolge gli alunni nel pensare – realizzare – valutare attività vissute in
modo condiviso e partecipato con gli altri. La laboratorialità è intesa come
approccio multi –prospettico del sapere per valorizzare la significatività dei
processi che vi si svolgono.

Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia per primo ciclo
di istruzione (2012)

Ribadiscono il ruolo del laboratorio nella promozione del circolo virtuoso


progettare – fare – riflettere – valutare- riprogettare in una dimensione collettiva e
partecipata in spazi interni ed esterni della scuola con particolare attenzione per il
territorio.

2.2. Progettare e valutare esperienze laboratoriali: ricerche –azioni nella


scuola dell’infanzia e primaria.

Nelle scienze sperimentali i laboratori sono luoghi in cui fenomeni naturali o artificiali
vengono studiati in modo controllato e sistematico ( = in cui si tiene conto di tutti i
parametri possibili che potrebbero influenzare i risultati) attraverso esperimenti che
mettono alla prova modelli teorici attraverso un continuo confronto tra idee, che
forniscono una base per la spiegazione dei fenomeni, e i dati. L’esperimento risponde
ad alcune caratteristiche essenziali:
- Riproducibilità lo scienziato ripete molte volte l’esperimento e controlla
se lo stesso risultato
- Rilevanza. si riproduce o meno.

VS I laboratori didattici assumono tutt’altro significato:

- Sono dispositivi di formazione


- Hanno strutture spaziali e materiali diversificate, alla portata di mano di chi sta
imparando, ma, al contempo, hanno lo scopo di attivare chi vi prende parte.

Sono ambiti di ricerca degli e per gli allievi, su fenomeni, aspetti, concetti ed
anche sui propri processi di apprendimento.

I laboratori didattici delle scienze nelle scuole primarie e dell’infanzia sono luoghi di
esplorazioni o di prime sperimentazioni semplici

Si tratta di sperimentazione diretta attraverso esperimenti già strutturati anche con


l’uso di oggetti molto semplici e noti che possono facilitare l’apprendimento di
particolari concetti o che stimolano competenze trasversali di osservazione,
spiegazione, previsione dei fenomeni naturali. Tali attività hanno tuttavia spesso un
carattere prevalentemente dimostrativo e il fenomeno proposto può essere
manipolabile dai bambini se i materiali usati non sono pericolosi e se la manipolazione
ha effetti a breve o medio termine  se si possono fare poche prove. I bambini
avranno quindi poche occasioni per manipolare con le proprie mani il sistema.
Le esperienze di IBSE  prevedono un ribaltamento: non vengono date istruzioni per
l’esecuzione di esperimenti, ma viene posto un problema complesso al quale in gruppi
viene chiesto di dare soluzioni e di verificarne l’efficacia.

Gli studi che seguono presentano percorsi di ricerca – azione condotti nella scuola
dell’infanzia e nella scuola primaria con lo scopo di rendere evidenti i processi di
insegnamento e apprendimento che si sviluppano in situazioni didattiche con
approccio laboratoriale.

2.2.1. Laboratori creativi nella


scuola dell’infanzia: uno studio di caso.

 Rierca condotta da Alessandra Panzeri  tesi di laurea

 Oggetto di ricerca: identità personale di ciascun bambino  che si origina e si


sviluppa in un processo
dinamico e complesso che
connette la
dimensione
personale (biologica e
temperamentale) e quella sociale
(interazionale e culturale).
La consapevolezza dei tratti che ci contraddistinguono e ci differenziano dagli altri,
richiede la capacità dell’individuo di diventare oggetto a se stesso; ciò avviene tramite
l’evoluzione del linguaggio, il decentramento socio-cognitivo, l’affinamento nell’uso
dei linguaggi e tecniche tramite cui esprimersi.

l’identità è sociale e culturalmente determinata perché nasce


dall’interazione e dalla comunicazione con gli altri e dalla capacità di
immedesimarsi negli altri e di assumere la prospettiva altrui; è unica e
individuale nel proprio modo di ricreare e manipolare gli oggetti del mondo.

 Obiettivo: favorire la formazione consapevole dell’identità dei bambini. Lo


scopo condiviso è quello di lasciare una traccia di sé oltre la dimensione tempo,
in una proiezione nel futuro e per i compagni + piccoli che resteranno.

 Disegno di ricerca: ricerca – azione

 Strumenti e tecniche di rilevamento dati:


a) la ricerca ha previsto l’allestimento di laboratori creativi: sono stati
progettati atelier1 in cui tramite l’uso di codici espressivi i bambini hanno
dato forma alle proprie identità. Le tecniche usate negli atelier creativi
hanno portato i bambini a sperimentare di sé attraverso linguaggi e codici
differenti: il disegno, la scultura, la fotografia.
b) Osservazione “carta e matita” dei comportamenti nelle situazioni didattiche

1
Def. = spazi specifici destinati all’educazione artistica, in cui prevalgono i linguaggi grafico-pittorici,
plastici, visuali, teatrali e dove s’insegnano tecniche al fine di elaborazioni personali o dello studio della
storia dell’arte.
c) Colloqui in profondità con i bambini avvenuti dopo aver dedicato del tempo
alla conoscenza tra ricercatore-insegnante/studente e la classe.
d) Interviste individuali registrati, trascritti e
confrontati tra loro.
e) Dialogo tra studente – insegnante e bambini.

 Campionamento: 15 bambini di età di 5 anni di una scuola dell’infanzia.

 Analisi e raccolta dei dati:


Le descrizioni spontanee che i bambini facevano all’adulto dei propri disegni
mostrano come la presentazione di sé passa attraverso alcuni dettagli
osservabili.
Molto spesso nell’auto ritratto viene usato lo specchio  ritenuto da parte degli
insegnanti uno strumento imprescindibile, fondamentale per fare tecnicamente
il proprio ritratto nella forma della “copia dal vero”, sia perché la nostra
identità, in qualche misura si forma attraverso il rapporto con l’immagine che
abbiamo di noi.
Inizialmente  bambino è per se stesso un oggetto nuovo; + tardi quando ha
imparato a conoscersi, inizia a possedere un vago senso dell’io e tramite
successive astrazioni arriva a costruire un concetto di io + consapevole. La
contemplazione della propria immagine riflessa in uno specchio sostiene i
progressi dell’intelligenza e della coscienza dell’io.

Alcuni colloqui sono stati condivisi con l’intero gruppo dando luogo a
conversazioni in cui la presa di consapevolezza dell’identità di ogni singolo
membro nascesse anche dall’ascolto dell’altro.

 Il percorso ha preso avvio dalla richiesta ai bambini di portare a casa una foto
che lo ritraesse e di parlarne in gruppo.

Hanno descritto la fotografia ampliando il racconto con informazioni che


riguardano il momento antecedente o successivo o allo scatto, hanno cercato di
contestualizzare l’intera narrazione. I bambini hanno attinto alle loro esperienze, ai
loro vissuti e si sono raccontati riordinando e riproponendo le memorie che
risiedevano in loro.

 I bambini parlano di attività che svolgono con i famigliari  in queste occasioni


ritrovano spazi unici,
nei quali il rapporto bambino – genitore sembra consolidarsi, assumere
maggiore importanza. Il bambino racconta ciò che ama fare al di fuori del
contesto scolastico  è come se queste due dimensioni (scolastico e familiare)
si connettessero e divenissero inseparabili.
I bambini si mostrano consapevoli se hanno occasione di mettere in parola
impressioni e pensieri su di sé e sul proprio modo di rappresentarsi.

 Attraverso domande guida  è stato chiesto ai bambini di ripensare agli anni


trascorsi alla scuola
dell’infanzia.
Sono stati costantemente ricordati facendo riferimento alle relazioni che
gradualmente si sono create ed evolute. La proposta delle varie attività e la necessità
di confrontarsi con i diversi linguaggi espressivi hanno portato i bambini a
concentrarsi maggiormente sulle proprie e altrui abilità

Sono emerse consapevolezze sulle proprie intelligenze, sui proprio talenti e le proprie
propensioni.

 Risultati:
La pluralità di linguaggi può portare i bambini a:
- Sviluppare capacità di problem –solving, a comprendere che i problemi possono
avere + soluzioni e che ogni domanda può avere + di una risposta
- Pensare “con” e “attraverso” i materiali, i linguaggi proposti, rendendoli
consapevoli del fatto che attraverso strumenti pensati sia possibile trasformare
le idee in realtà
- Sviluppare le proprie capacità comunicative
- Permettere di mettersi alla prova in situazioni nuove e di sperimentare il più
ampio spettro di sensazioni possibili.
La documentazione raccolta ha fatto emergere ricordi di eventi e narrazioni che
danno evidenza del senso di sé, della cognizione del tempo che scorre, della
padronanza del linguaggio che permette di ricostruire il ricordo.
La studentessa-insegnante racconta di una graduale ri-scoperta dei bambini che
richiede impegno, cognitivo e relazionale e la disponibilità al rischio di entrare in
contatto con valori, giudizi, opinioni contraddistinti dalla diversità e talvolta
dall’opposizione.

2.2.2. Valutare processi di problem –solving: due strategie a confronto.

 Ricerca-azione condotta dalla dott.ssa Maria Chiara Spinello  tesi di


laurea SFP
 Obiettivi:
1. Individuare le cause degli errori in tipiche verifiche di geometri in una classe
primaria
2. Co-valutare situazioni-problema sul concetto di area.

 Campionamento: IV classe primaria di 23 bambini in provincia di Monza


Brianza.

 Quadro teorico di riferimento:
VAN HIELE; anni ’50  elaborò un modello per spiegare i livelli di sviluppo del
pensiero geometrico:
- Livello 0 o visivo: i bambini riconoscono figure come entità globali, ma non le
specifiche proprietà
- Livello 1 o descrittivo-analitico: i bambini iniziano a riconoscere le figure di
base alle loro proprietà,
ma non sanno spiegare le interrelazioni tra
le figure e proprietà.
- Livello 2 o delle deduzioni informali: i bambini cominciano a stabilire
relazioni tra le figure dal pun-
to di vista logico (es. il quadrato è un
rettangolo speciale xkè
ha tutte le proprietà del rettangolo)
- Livello 3 o deduttivo: viene usata la deduzione per stabilire relazioni tra
assiomi, definizioni, teore-
mi e dimostrazioni.
- Livello 4 o rigore geometrico: gli studenti sono in grado di confrontare
diversi sistemi di assiomi. La
geometria rappresentata in modo astratto
con un alto grado di rigor

Didattica della Geometria  sono state condotte molte ricerche; tra i precursori 
PIAGET in particolare attorno agli anni ’30 iniziarono a occuparsi delle costruzioni
concettuali della geometria.
Oggetto di ricerca: alcuni ostacoli concettuali alla comprensione del concetto di
superficie (cambi di dimensione, le unità di misura in relazione con le unità di
grandezza…)
Studi di Medici, Marchetti vengono evidenziate le pre-concezioni e i processi spontanei
che allievi tra i 9 e 11 anni atttivano quando devono rispovere situazioni problmatiche
con area e perimentro.
gli studi suggeriscono di intraprendere un percorso verso la comprensione dei
concetti di area e perimetro e solo successivamente sulla misurazione.

 La ricerca:

1° FASE  il gruppo di ricerca costituito da un’insegnante tutor accogliente,


l’insegnante tutor
supervisore universitario, la studentessa – insegnante e il
ricercatore accademico
 condivisione un framework teorico sulla didattica di
matematica e della geometria
confrontandola con le Indicazioni Nazionali

I bambini stanno “facendo matematica” in modo tradizionale  gli aspetti di


misurazione dei perimetri e delle aree sono il contenuto essenziale delle
proposte didattiche dell’insegnante.
1. Classica prova di verifica a risposte multiple di cui una solo corretta, in
cui ai bambini era richiesto di riconoscere le regole necessarie al calcolo
delle misure e di applicarle.
2. Successivamente insieme agli allievi, analisi degli errori commessi nelle
procedure di calcolo di perimetri
 Riflessione sui problemi tornando ai ragionamenti messi in atto nel cercare le
soluzioni durante la verifica.

3. Interviste realizzate che hanno consentito la verbalizzazione dei pensieri


sui propri processi di ragionamento messi in atto nel cercare la risposta. Le
interviste sono ste trascritte e analizzate.

 Una prima revisione degli errori ha permesso di individuare il modo in cui i


bambini si approcciano al testo di un quesito e di ripensare alla didattica della
geometria così come viene insegnata dall’insegnante tutor accogliente.
Il modo di insegnare il perimetro nella classe in cui si è svolta l’indagine è quello
tipico:
1. Definizione del concetto
2. Si mostra graficamente il concetto usando diverse figure
3. Si istruisce sulla procedure di calcolo per la misurazione
4. Si sottopongono esercizi.

Sono sorte due domande:


1. Quali sono le cause degli errori dei bambini?
2. Quale è il livello di comprensione del testo dei problemi della verifica?
La fase di monitoraggio durante tutto lo svolgimento del compito consiste nella
capacità di porsi domande, correggere, controllare la propria attenzione, attraverso
“processi che permettono ai soggetti di dialogare tacitamente con se stessi,
accompagnando guidando e controllando appunto in modo consapevole l’esecuzione
del compito”.

2° FASE  Scopo: la comprensione dei processi di ragionamento dei bambini e le


cause degli errori tramite
un’intervista che ne sollecitasse l’esplicitazione. I dialoghi trascritti sono
stati analizzati usando le
categorie di comprensione del problema.
Dalle interviste con i bambini sula verifica dei problemi sul perimetro sono emersi
diversi temi:

- Differenze di stile nel problem – solving: ogni alunni si avvia alla soluzione dei
problemi con modalità
proprie. Qualcuno rilegge il testo,
guarda il disegno se è
presente, scrive accanto dati
ritrovati nel testo, esegue
i calcoli; qualcun altro osserva un
dato alla volta, preferisce
fare da se i disegni

- Le qualità delle immagini presenti nel testo del problema è una variante
rilevabile: un disegno chiaro aiuta a mettere in relazione le informazioni in uno
schema percettivo e mentale. Alcuni alunni hanno trovato scomodo lavorare con
i disegni già proposti, per questo motivo hanno preferito disegnare da sé i
poligoni, altri si sono basati solo sulla comprensione del testo, altri hanno
guardato l’immagine rappresentata.

- Gli ostacoli cognitivi incidono sulla motivazione ad apprendere: i problemi +


difficili minano la motivazione dell’alunno nel proseguimento del compito. Alcuni
bambini hanno ammesso di sentire di “perdere tempo” nello stare a lungo sugli
stessi esercizi. Per questo motivo hanno risposto ugualmente scegliendo una
delle risposte tra quelle date nella scheda, oppure tralasciando il problema.

- Assenza del processo di monitoraggio 2: dall’analisi è emerso che questo


processo è stato poco, se non per nulla, messo in atto.

- Qualità dell’ascolto nella valutazione formativa: per poter dialogare insieme e


avviare una riflessione è importate che gli alunni non si sentano giudicati per gli
errori commessi, ma sentano ascoltati e accolti i loro pensieri. Con questa
modalità è possibile avviare un momento di riflessione critica sul proprio
operato.

Le prime analisi sull’approccio dei bambini alla comprensione die problemi e sui
loro errori portano la studentessa- insegnante a verificare l’interesse sul
compito di verifica come strumento per conoscere in che modo i bambini stanno
rielaborando le loro conoscenze in merito.

2° prova di valutazione: prevede l’invenzione, a coppie o a piccoli gruppi, di


disegni con l’inserimento di figure geometriche.
 Costruzione di una tabella che confronta le due prove di valutazione:
1. La prima identificata come verifica della capacità di applicazione di regole e
procedure
2. La seconda come valutazione delle conoscenze di geometria tramite una
situazione-problema.

Scopo di entrambe le prove  stimolare gli studenti all’uso delle formule geometriche.
Ciò che cambia è il contesto  nel secondo caso, il contesto è ludico: è un gioco
di squadre, gli alunni hanno il compito di disegnare alcuni poligono a scelta tra un
ventaglio stabilito, trovare il loro perimetro nel minor tempo possibile e presentare il
problema perché venga risolto da un altro gruppo.

2
Monitoraggio = consiste nel contro progressivo lungo tutto lo svolgimento del compito e la capacità di
domandarsi, correggersi e controllare in modo consapevole l’esecuzione.
 Termine attività  i bambini hanno partecipato a FOCUS – GROUP  è stato
chiesto di riflettere sul proprio percorso con lo scopo di attuare un’autoanalisi e
prendere consapevolezza del proprio processo di apprendimento.
 Risultati
La verifica a risposte multiple e la sfida sono state attività differenti di valutazione
degli apprendimenti.
La prima  obiettivo: verificare la capacità di applicare le conoscenze e le abilità
dei bambini nel misurare i perimetri di alcuni poligoni
La seconda obiettivo: cogliere i ragionamenti degli alunni durante il processo di
problem – solving di gruppo.
Nel primo caso i bambini hanno lavorato soprattutto:
- Comprensione del testo del problema
- Memorizzazione delle formule geometriche
- Comprensione delle relazioni tra i dati e la rappresentazione
- Riconoscimento della tipologia di problema

Secondo caso i bambini dovevano ricavare i dati dal disegno, gli alunni si sono
concentrati sulla misurazione del perimetro attivando processi di monitoraggio
durante tutto lo svolgimento del compito. Gli studenti hanno affrontato le attività
ponendosi domande, controllando le loro ipotesi, aiutandosi a prendere coscienza
di quello che stavano facendo.
 La capacità di osservare i processi di apprendimento e quella di dialogare
con i bambini sono punti fermi e imprescindibili per una didattica
laboratoriale che fonda i propri assunti a partire da un’analisi multifocale
della pratica didattica.

CAP. 3 LABORATORI PER LO SVILUPPO PROFESSIONALE DELL’INSEGNANTE P.


81
3.1. Quale ruolo per l’insegnante- educatore?
Una domanda di fondo in cui si sono trovate a confrontarsi le comunità professionali e
quelle scientifiche:
“quale insegnate formiamo e per quale scuola?”

Documenti ordinamentali “prescrivono” un’idea di educazione dei bambini in virtù di


una specifica analisi della società contemporanea e lo fanno in ragione del dettato
costituzionale.

L’esperienza maturata nei corsi di Scienze della Formazione Primaria (SFP) e le


ricerche in questo ambito hanno contribuito alla costituzione di un patrimonio di
conoscenza che può rappresentare un punto di riferimento sia per i percorsi di
formazione durante l’anno di prova, sia per la formazione in servzio.
I corsi di SFP propongono un modello integrato in cui la formazione sulle discipline è
costantemente accompagnata dal Tirocinio nelle scuole e da Laboratori Pedagogico
Didattici  modello complesso che rispecchia la multi-dimensionalità delle
competenze necessarie al ruolo dell’insegnante.

In formazione si prepara all’essere garante delle uguali opportunità di apprendimento


per ciascun bambino e al divenire esperto della gestione della relazione con gli allievi,
costruttore di ambienti di apprendimento in cui declinare campi di esperienza o saperi
già formalizzati.

Analisi delle culture che si costruiscono attorno alla figure dell’insegnante da tre
prospettive:
1. Analisi dei maestri descrivendo i profili insegnanti che emergono nella
letteratura, con un’attenzione alle diverse immagini che si sono succedute nel
tempo
2. Analisi del ruolo e le funzioni dell’insegnante d’infanzia e di primaria negli
Ordinamenti Nazionali dagli anni ’80 a oggi
3. Analisi del tema dello sviluppo dell’identità professionale nella letteratura
recente.

L’immagine del maestro “regista” risale alla pedagogia rousseauiana  pone


al centro del processo formativo la relazione tra bambino e adulto.
Emilio di Rousseau  adulto regista di una serie di accorgimenti che conducono
gradualmente l0allievo alla conoscenza e alla scoperta autonoma di sé e del mondo.

Si afferma con Rousseau una concezione nuova dell’infanzia a cui si riconoscono


caratteristiche specifiche e una contemporanea denuncia dell’educazione autoritaria
delle scuole del tempo. L’insegnante non induce a riprodurre conoscenza precostruita,
ma promuove l’attitudine a sfidare le difficoltà e le resistenze che qualunque
apprendimento comporta e concepisce l’errore come punto di partenza per ricostruire
i processi sottesi e riconfigurare il problema o compito rispetto a come era stato
precedentemente definito.
 Il maestro è colui che avvina l’allievo ai saperi, è in ascolto dei bisogni e
degli interessi, rispettanone i ritmi e proponendogli esperienze
coinvolgenti e concrete.

Movimenti attivisti del ‘900 e “scuole nuove”  centrale la problematica della


relazione.

Il maestro diviene un facilitatore o una guida che predispone contesti di


apprendimento in cui centrale o una guida che predispone contesti di apprendimento
in cui centrale è il clima positivo di socializzazione, come nell’esperienza di MARIA
MONTESSORI in Italia, in cui si sollecita la relazione tra bambini, la capacità di gioco
e lavoro collaborativo nella prospettiva dell’autonomia.
Di tutt’altra posizione la visione ai primi del ‘900 dei neoidealisti italiani
PER GENTILE  la relazione tra insegnante e allievo si risolve nell’unità dello spirito,
in un processo di identificazione totalizzante in cui si sancisce la superiorità spirituale
del primo.
 figura del maestro “spirituale” e dotato di vocazione materna.

Nel periodo del dopoguerra e per tutto il ‘900  l’agire pedagogico didattico dei
maestri è orientato ai
processi di apprendimento
dell’allievo e risente delle
esperienze e teorizzazioni
dell’attivismo pedagogico.
Di tale movimento attivista fanno parte prospettive molto differenti tra loro:
- prospettiva scientista = preoccupata di individuare procedure standard per il
lavoro scolastico
- prospettiva romantica = fautrice del naturale sviluppo creativo dei bambini
- prospettiva radicale = promotrice di un’idea di educazione rivoluzionaria e
trasformatrice della società in senso democratico.

Il movimento attivista è una prospettiva riformatore = di rottura con la scuola


tradizionale.

Opera centrale è quella di DEWEY e l’esperienza della Scuola Laboratorio di


Chicago
Essenziale il concetto di esperienza e di cambiamento nell’interazione tra il soggetto e
il mondo, che diventa laboratorio di esperienze e di sperimentazioni. Al centro del
processo formativo vi è il soggetto, che attraverso processi di scoperta viene guidato
dall’insegnante al metodo d’indagine della riflessività.
I valori intrinseci al metodo dell’esperienza sono:
- l’apertura mentale
- la responsabilità
- l’autogoverno dell’apprendimento.

 Negli approcci che la letteratura definisce process oriented  il maestro è


dunque “nascosto” e la sua azione è indiretta, perché centrale è l’agire dei
bambini.

Centralità sulla figura dell’insegnante - emerge invece nei modelli “orientati


al prodotto” e all’efficacia dell’istruzione, che si possono inquadrare tra gli anni
’60 e prima metà degli anni ’80.

si sviluppano teorie dell’istruzione neo-comportamentiste e cognitiviste


oggetto di indagine = i percorsi programmati di cui sia visibile l’out-put
d’apprendimento. L’insegnante è qui ingegnere della didattica o esecutore di
programmi predefiniti.
Una terza classe di modelli può essere definita orientata al “contesto” o ecologica
e sistematico costruttivista degli approcci costruttivisti e socio-costruttivisti.

l’insegnante è mediatore, integrato in una rete di relazioni situate tra


oggetti, soggetti, saperi di chi impara e di chi insegna. La relazione di mediazione
assume una prospettiva stripolare insegnate-allievo-oggetti  rappresenta in
un triangolo con alla base studente e insegnante e al vertice il sapere. La
relazione tra i 3 poli posture:
1. La postura “insegnare” denota il rapporto tra l’insegnante e il sapere
2. La postura “formare” indica la relazione tra insegnanti e allievi
3. La postura “apprendere” si riferisce alla relazione tra allievi e saperi.
 L’insegnante è mediatore sia della relazione educativa sia della relazione
tra allievi e con i saperi
Il rapporto tra maestro e allievo viene concepito come asimmetrico, l’insegnante è
in posizione di responsabilità e di potere = la possibilità di educare e di mediare
integrando la dimensione cognitiva, emotiva e sociale.

La ricerca sulla mediazione ha tra le diverse matrici teorico concettuali di


sfondo: gli studi Vygotskij e di psicologia culturale di Bruner e gli studi di
psicopedagogia della comunicazione.

3.1.1. Dall’insegnante “trasmissivo” al professionista “riflessivo”

Nella letteratura anglofona convivono modelli contrapposti relativi al profilo del “buon
insegnante”:
 il soggetto carismatico= è qualcuno che possiede intrinseche doti e disposizioni
personali, piuttosto
che essere formato a competenze e abilità
specifiche. Si tratta di attitudini
e qualità non misurabili, quali l’entusiasmo, la
capacità di prendersi cura,
l’affettività, il coinvolgimento, l’empatia. Essi sono
potenziali oggetti di
riflessione della pratica e dell’immaginario sotteso al
modo di pensare ed
essere insegnante.

 il soggetto competente = persona formata per l’apprendimento di competenze


specifiche.
Competenze = un insieme di indicazioni da
problematizzare, non come
elenco prescrittivo di comportamenti e
modi di agire.
critiche mosse al concetto di competenza inteso come “ culto”
( per cui si suppone che una competenza possa essere mostrata e dimostrata
seguendo modelli comportamentisti) in quanto ritenuto fortemente de-
professionalizzante per gli insegnati visti come applicatori ed esecutori di
modelli di comportamento.
Distinzione tra:
- Avere competenze = disporre di risorse per agire
- Essere competenti = comporta la mobilitazione delle competenze nel contesto.
 il professionista è colui capace di agire con pertinenza in una situazione
particolare, ma comprende perché e come agisce. Possiede una doppia
comprensione: quella della situazione in cui interviene e quella del
proprio modo di intervenire.
Essere insegnante competente = avere la consapevolezza
dell’articolazione e della problematicità del ruolo.

 il pratico riflessivo = l’insegnante professionista acquisisce contenuti che


afferiscono a campi
d’esperienza e aree disciplinari, e metodi didattici per
poter mettere in atto un
processo di alfabetizzazione culturale, possiede una
competenza educativa
per costruire buone relazioni educative e una
competenza critica riguardo al
ruolo.
I ragionamenti pratici di un insegnante riflessivo consiste nel prendere decisioni
in situazioni specifiche, considerando le qualità del caso e maturando in modo
analitico e critico la capacità di valutare le risposte utili rispetto agli obiettivi
educativi. Tale processo richiede azioni riflessive sull’esperienza della pratica.

 L’insegnante è chi riflette sulle proprie pratiche in classe e non si limita


dunque all’operatività e alla progettualità della pratica, ma si sottopone
ad un costante tentativo di ricomporre e comprendere il significato e il
senso delle proprie azioni in uno sforzo di continuo miglioramento.

3.1.2. Il profilo dell’insegnante degli Ordinamenti nazionali dagli anni ’80


ad oggi.

Tema dell’identità della figura dell’insegnante  affrontato attraverso una


rilettura degli Ordinamenti, che normano il progetto formativo delle scuole
dell’infanzia e primarie italiane, delle quali si mette in luce il cambiamento che, dagli
anni ’80 ad oggi, è intervenuto nel delineare il ruolo dei maestri. Le Indicazioni
Nazionali sono un punto di riferimento e costituiscono i “fondamenti” che orientano
l’agire degli insegnanti.

Le commissioni  costituite da esperti, funzionari del Ministero e rappresentazioni


degli Insegnamenti.

Hanno visto un graduale superamento della settorializzazione delle esperienze


didattiche e hanno assunto il carattere di un documento professionale e
professionalizzante, piuttosto che di strumento rigidamente normativo, che ha aperto
luoghi di riflessione e dibattito nella scuola. Negli ultimi trent’anni il progetto
formativo della scuola dei bambini è stato riformato 4 volte  ad ogni cambio di
governo
1. 1985 (scuola elementare)
2. 1991 (scuola dell’infanzia)
3. 2004
4. 2007 e 2012
I programmi dell’85  profonda svolta culturale e hanno riformato in modo radicale il
quadro di riferimento dei processi di alfabetizzazione di base. In particolare segnano il
passaggio dal “pre-disciplinare” al “disciplinare” introducendo il concetto di “ambito
disciplinare”

I programmi del ’91  cambiamento da una scuola dell’assistenza e del gioco ad una
scuola in senso compiuto.

Le riforme del decennio tra il 1996 e il 2006 creano le premesse per un’impostazione
unitaria della scuola, rafforzando negli anni il tema della continuità tra i diversi ordini.

Tali documenti esprimono una ricerca di equilibrio


tra l’autonomia degli insegnanti nel declinare in
modo contestualizzato il proprio progetto di scuola
e l’impianto generale destinato a tutte.

 Gli insegnanti nella Scuola Primaria

Finalità dei Programmi dell’85  riguardava l’alfabetizzazione di base:


i contenuti disciplinari si articolano, aumentano e vengono date specifiche indicazioni
metodologico-didattiche. L’emanazione del documento è stata accompagnata da un
forte investimento nella formazione degli insegnanti.

Lo sfondo teorico si riferisce alla programmazione lineare per gli obiettivi e unità
didattiche  il testo insiste sull’uguaglianza dei progetti, da fondare sulla conoscenza
delle capacità e delle esperienze pregresse dei bambini.
Viene introdotto inoltre il tema della valutazione delle performances e dei processi,
raccogliendo in maniera sistematica con prove oggettive e altre forme di registrazione
proprie dell’esperienza didattica meno formalizzata  una raccolta continuativa di
info sullo sviluppo di conoscenza e di abilità.

L’insegnante conosce e sa usare una modalità di progettazione flessibile e molto


monitorata attraverso osservazioni e la documentazione dei processi; conoscerà una
pluralità di metodi di insegnamento e li applicherà a seconda della propria valutazione
dei livelli degli alunni.  preparazione nelle didattiche disciplinari molto articolata per
poter essere usata in modo competente. L’idea di un insegnante professionista
inizia ad emergere secondo la logica di esperto di tecniche e procedure
codificate dalle scienze didattiche.

Di metodologie e di saperti da agire con rigore, in grado di misurare i


percorsi intrapresi e gli apprendimenti acquisiti che orientano a formare
l’alunno nella progressiva conquista della sua autonomia di giudizio, di
scelte e di assunzione di impegni.

Piani di Studio Personalizzati del 2004  le scelte metodologiche e didattiche


spettano alla libertà degli
Insegnanti professionisti.
Il documento non esprime un’ottica pedagogica, ma presenta un linguaggio
“ministeriale” e burocratico. Introduce però uno strumento importante per
l’insegnante  il Portfolio = raccolta di documentazione
sul percorso educativo e didattico
di ogni bambino, con annotazioni
dei docenti, genitori e dei
bambini.
Novità  introduzione del coinvolgimento del bambino
nella realizzazione del Portfolio.

strumento flessibile e aperto che consente di rendere conto e di fare memoria dei
percorsi formativi, sia dal punto di vista dei prodotti che dei processi.
Teoria di fondo al Portfolio come strumento valutativo  studi sull’alternative
assessment = approccio
americano
sviluppato negli anni ’80.

Propone strumenti alternativi al test, perché orientati


a valutare in modo dinamico e pluridimensionale le
performances degli studenti.
Portfolio  essere uno strumento che promuove all’autovalutazione dell’alunno, la
valutazione dialogica con l’insegnante e in generale la possibilità di documentare i
processi consentendo una riflessione a posteriori e in itinere.

Indicazioni per il Curricolo del 2007  il linguaggio si modifica e assume toni


talvolta lirici e romantici
L’insegnante torna ad essere “maestro di vita” = modello etico e comportamentale
per i suoi allievi.
Centrali sono l’idea di bambino come persona e la cura dei legami cooperativi fra i
suoi componenti; la scuola è luogo fondamentale per l’educazione dell’uomo nella sua
unicità. È evidente il riferimento critico al documento precedente, centrato sulla
dimensione cognitiva e di formazione ai sapere o alle competenze.
Compito della scuola = educare istruendo le nuove generazioni  ciò è impossibile
senza accettare la sfida dell’individuazione di un senso dentro la trasmissione delle
competenze, dei saperi e delle abilità.

Introduzione  riconosciuta la complessità del ruolo, dei limiti del lavoro educativo. Si
parla del rischio di burnout degli insenanti.

= concetto che si sviluppa nell’ambito degli studi sulle professioni socio-sanitarie e


indica una condizione di affaticamento o frustrazione dovuto a “svuotamento
emotivo” e “depersonalizzazione”, con assunzione di atteggiamenti di ostilità,
distacco, cinismo nei confronti dei diversi attori sociali delle situazioni in cui si opera,
ridotta autostima e senso di inadeguatezza al compito di professioni ad alto impatto
relazionale.

Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012  ripreso tema del rischio di
frammentazione delle esperien
ze e dei saperi dei bambini.

Compito della scuola = proporsi come guida che mette al centro la persona allo scopo
di fornire chiavi di
comprensione della realtà e di se stesso.

A questo scopo, il bisogno di conoscenze degli studenti non si soddisfa con il semplice
accumulo di info in vari campi, ma solo con il pieno dominio dei singoli ambiti
disciplinar e, contemporaneamente, con l’elaborazione delle loro molteplici
connessioni  alleanza tra le diverse discipline!!!
Nel documento si delinea un profilo dell’insegnante come colui che è attento
alle dimensioni relazionali, valorizzando l’unicità e la singolarità
dell’identità di ogni studente e usando metodologie per favorire potenzialità
e autonomia nei bambini.

Centralità della persona  ruolo chiave nello sviluppo di competenze.


L’insegnante è mediatore delle esperienze dei bambini e dei saperi da porsi in
continua relazione alle famiglie e ai servizi del territorio.
Strumenti a disposizione dei docenti:
- Lavoro di gruppo
- Responsabilità nella cura della documentazione e della valutazione
- Formazione intensa come aggiornamento e partecipazione a ricerche.

Gli insegnanti della scuola dell’infanzia.

La complessità e le funzioni multidimensionali dell’insegnante erano già apparse nei


documenti istituzionali in particolare nei Nuovi Ordinamento del ’91 per la scuola
dell’infanzia.

Emergono le competenze, maturate nella formazione iniziale in


servizio, che le insegnanti mettono in campo ogni giorno nel loro lavoro. Sono i
“compiti di regia” per creare ambienti accoglienti delle diversità, dei diversi aspetti
della persona del bambino/i.
Si citano precise indicazioni sulla gestione della comunicazione con i bambini “come la
riformulazione, l’intervento a specchio e la focalizzazione dell’attenzione” per
sostenere le competenze comunicative e metacomunicative dei bambini.
Strumento principale per l’azione professionale  osservazione sistematica appresa
ed esercitata
attraverso specifici itinerari
formativi e un’attenta
documentazione degli
eventi educativi per valutare le
esigenze del bambini.
≠ concezione della professionalità docente  Indicazioni Nazionali per i Piani
Personalizzati delle Attività
Educative nelle Scuole
dell’Infanzia e della Scuola Primaria
del 2004.

Non si danno indicazioni pratiche di ordine formativo, didattico, psicopedagogico,


metodologico, ma lascia totale libertà ai docenti di interrogarsi su come in classe o in
sezione tradurre queste indicazioni  possiamo leggerle come riconoscimento della
libertà intellettuale dei professionisti nella scuola.
Con insistenza si sottolinea la dimensione del singolo  rispetto al quale ogni
obiettivo, ogni attività, ogni
proposta, deve essere
declinata nel rispetto delle
sue capacità
complessive.

Emerge un ritratto di insegnante intraprendente che sa mettersi in gioco nel


costruire un clima relazionale positivo con il bambino, una professionalità
qualificata da nuovi termini:
- Simpatia
- Affettività ≠ dal profilo visto precedentemente definito di alta
complessità e di
- Giocosità grande responsabilità, che richiede la padronanza
di specifiche
competenze culturali, pedagogiche, psicologiche,
metodologiche e didatti
che.

Indicazioni per Il Curricolo del 2007  si ritorna in continuità, sia dal punto di
vista della cornice pedagogi
ca di riferimento che come impianto di
documento.

Documento unico per infanzia e primaria  accanto alla responsabilità di essere


maestri di vita, esempio
per i propri allievi, il documento
pone attenzione anche ai
possibili difficoltà che l’insegnante
può incontrare nel proprio
ruolo (vedi bournout sopra).

Il ruolo dell’insegnante si carica di ulteriori valenze:


- È un insegnante competente nelle “pedagogie attive e delle relazioni che si
manifesta nella capacità degli insegnanti di dare ascolto e attenzione a ciascun
bambino, nella cura dell’ambiente, dei gesti.
- È un insegnante che sa e deve documentare, dove la documentazione è intesa
come processo che produce tracce, memoria e riflessione.
 è un promotore di uno stile educativo basato:
- sull’ascolto attivo
- sull’osservazione dei processi che avvengono in sezione
- sull’interventi indiretto di regia che sostiene la partecipazione dei bambini e la
cooperazione nella costruzione della conoscenza.

Ritorna una figura di professionalità a tutto


tondo.

Documento che viene rimaneggiato e approfondito nelle ultime Indicazioni


Nazionali del 2012

L’insegnante deve:
-curare la dimensione del gruppo
classe
- dedicare attenzione alla promozione dei legami
cooperativi
- valorizzare una logica interculturale
nelle relazioni e le identità
con radici culturali.

Lo stile educativo dei docenti si ispira a criteri di:


 “interazione partecipata”
 “mediazione comunicativa”.

 Nasce un profilo professionale di complessità pedagogica, costituito da una


formazione iniziale e continua, che unisce il rapporto tra cultura e i saperi con la
riflessione costante sulla pratica, emerge un insegnante riflessivo e regista, che
media i linguaggi conoscitivi del bambino con il contesto di significato nel quale
esso vive, fatto di spazi, tempi, modalità comunicative, routine, compagni.

3.2. Formarsi nel Laboratori Pedagogico-Didattici.

Anni ’80  molti programmi per la formazione degli insegnanti furono criticati per il
fatto di non aver
compreso la connessione con la pratica, di offrire corsi incoerenti e poco
chiari riguardo alla
concezione di insegnamento e apprendimento.

Stati Uniti  prende avvio una riforma della teacher education  x riprogettare
percorsi + coerenti e che
Interagissero i corsi tra loro e le clinical experiences con i corsi.

Da questa prospettiva diventare insegnate = pensare attraverso categorie


pedagogiche, ragionare intorno ai dilemmi dell’educazione, assumere un
atteggiamento investigando sui problemi, costruire progetti a partire dall’osservazione
e dall’ascolto degli allievi e dei loro personali modi di apprendere.
Si viene a costruire un curricolo a spirale  consente di tornare + volte sui
concetti chiave in modo
sempre + approfondito e da più
punti di vista.
La formazione experienced-based  approccio ampiamento sperimentato e
utilizzato in contesti europei, americani e australiani si basa sull’assunto di
apprendere dalla pratica. La competenza professionale si costruisce come riflessione
sull’esperienza e attraverso l’interazione con gli altri.
La teoria deriva dalle riflessioni che i futuri insegnanti fanno sulle loro esperienza
d’insegnamento/apprendimento.
La professionalizzazione e la costruzione di saperi professionali  obiettivi
raggiungibili solo attraverso percorsi che fin dalla formazione iniziale abbiano come
fulcro d’indagine la pratica diretta dell’insegnamento.

I Laboratori di SFP sono stati progettati con finalità di connetter le esperienze fatte
durante il percorso.

Gli studenti iniziano a connettere la conoscenza teoria con la dimensione della pratica
degli insegnamenti, possono essere condotti dai docenti, ricercatori, insegnanti o
esperti e prevedono la presenza di piccoli numeri di studenti.

2010 nuova normativa  conferma la presenza del Laboratorio, ma ne modifica lo


statuto:
da dispositivo che integra l’area dei saperi pedagogici cn quelli disciplinari e con il
tirocinio, a dispositivo integrato ai Corsi.

In Laboratorio si perviene a forme di conoscenza alternativa, rispetto alla conoscenza


scolastica tradizionale, che riguarda il spere che si costruisce attraverso l’azione, in
vista dell’azione e a seguito di essa.
Le osservazioni in classe e le prove sul terreno non hanno alcun valore formativo se
poi non vengono poste a analisi e riflessioni con colleghi, alunni e altri operatori dei
sistema.
 Laboratorio  luogo di produzione di una “conoscenza pratica” in vista
dell’azione e a seguito dell’azione (progettuale e autoriflessiva).
L’esperienza non basta di per sé, occorre ricostruirla
epistemologicamente.

DALLE FRATTE  cerca di legittimare la funzione di vera e propria struttura


costitutiva della formazione universitaria a carattere professionalizzante.

Assume il laboratorio come la sede + alta di sintesi di “teoria-pratica-teoria”, in cui la


teoria viene riproposta come ambito critico – convulsivo della dialettica “teoria-
pratica” (insegnamenti-tirocinio) e dunque come teoria della pratica.
 1° momento di formazione professionale universitaria: si costituisce nell’ambito
degli insegnamenti
Luogo deputato all’analisi disciplinare dell’identità professionale.
2° momento della formazione professionale: ha luogo nell’ambito del tirocinio 
rappresentato dall’imma-
gine de “l’università che entra nei
contesti professionali”
proponendosi di realizzare l’analisi della
dimensione pratica
dell’identità professionale.

3° momento: il processo di formazione si realizza nel laboratorio  momento di


raccordo tra analisi discipli
nare e professionale dei
profili curricolari mediante la
riflessione sull’identità
professionale.
 Laboratorio = luogo strategico di mediazione e raccordo tra le attività di
aula e le attività di tirocinio, come dispositivo per la formazione di saperi
pratici.

La modalità privilegiata per capire la pratica  RIFLESSIVITÁ

Dimensione in cui la professionalità è in continua evoluzione. È un orientamento


bidirezionale che viaggia dalla teoria alla pratica e viceversa, in un’attività che usa
saperi dichiarati e procedurali, in cui l’azione è il risultato di una riflessione.

Durante il laboratorio, incentrato sulla pratica, riflessiva, le pratiche si fanno idee, le


esperienze diventano concetti, le conoscenze si strutturano in teorie e in saperi la
conoscenza che si costruisce in laboratorio è esplicita, costruita in vista dell’azione.

Alcune caratteristiche principale del sapere pratico:


 Unicità = individua elementi che sono propri di quella situazione e non di altre
 Intellegibilità = ricerca collegamenti e significati tra il maggior numero di
elementi rispetto alla
situazione data
 È a posteriori = xkè è riferito all’azione avvenuta, è riflessiva
 È narrativo = inserisce in un contesto spazio-temporale ed è estremamente
legato al bisogno di
comunicare
 Valutatività e orientatività = è in grado di stimare rispetto ai significati
individuati quale sia la
miglior azione da intraprendere.

 Esperienzialità = parte dall’esperienza del soggetto e produce conoscenza.


Laboratorio si basa:
 Sviluppo delle capacità di osservazione:

osservazione si intende:
a) Saper osservare l’azione nel suo svolgimento lo
studente impara ad
b) Sviluppare la capacità osservativa della propria e altrui pratica
osservare quando prende

coscienza di sé in quanto
osservatore dei propri rapporti
con la situazione e attraverso il
confronto con le osservazioni dei
colleghi, svela ciò che nella sua
storia personale

 Sviluppo delle capacità di analisi della pratica.  come la capacità di scomporre


le caratteristiche
della pratica agita per
far emergere conflitti,
decisioni, schemi di
azioni che permetto di
comprenderne il senso.

 Sviluppo delle capacità di argomentare la pratica  come approfondire le


proprie dinamiche
Metacognitive e
consente di assumere
Un’apertura
intersoggettiva e dialogica di
Accettazione
dell’altto.

 Laboratorio = luogo della riflessione sull’azione in quanto permette di


cogliere aspetti che lo svolgimento dell’azione maschera, oggettivando la
situazione vissuta, la maniera in cui si è agito, assumendo il proprio
comportamento criticamente e conferire ulteriori significati a posteriori
tramite il confronto con gli altri. Inoltre è da intendere come una
struttura protetta in cui lo studente “produce pensiero a partire
dall’azione”.

3.2.1. Identità e sviluppo professionale dell’insegnante


il tema della costruzione dell’identità professionale degli insegnanti ha acquisito
nell’ultimo decennio una valenza centrale nella ricerca sulla formazione.
Lavoro di HOLLAND, SKINNER e altri  sono sintetizzate due differenti linee di
teorizzazione del costrutto
di identità:
1. Identità come risposta alle domande esistenziali: chi sono? Quale è il mio
ruolo della società?
2. Identità come concetto in divenire  ha un’impronta socio-antropologica,
fa capo alle idee di
MEAD

Pone l’accento sulla formazione dell’Io


attraverso il quotidiano
confronto con l’Altro = altre persone, altre
tipologie sociali.

Contributo fondamentale alla definizione dell’identità meadiana  studi di


VYGGOTSKIJ
Centro della costruzione dell’identità  il comportamento, le mediazioni
semiotiche e una fine analisi psicologica, che gli individui mettono in campo
nella relazione, x arrivare a co-progettare con l’altro modelli di identità da
interpretare nella società.

Da questi presupposti si sviluppa il concetto di comportamento inaspettato e la


riflessione su come al costruzione di identità diverse sia alla base di radicali
cambiamenti nella società.
 Le precedenti riflessioni assumono grande importanza nel momento in cui si
affronta il concetto di identità all’interno della nostra società quale quello
dell’insegnante.

Il passaggio dal mondo accademico a quello del lavoro è stato oggetto di numerosi
studi.
Alcuni autori sostengono che la costruzione dell’identità professionale parta da un
processo di interpretazione e reinterpretazione dell’esperienza e che l’ambito
accademico da un lato e il mondo del lavoro dall’altro possano rappresentare due
mondi nei quali agire tale esperienza.

Tra formazione e professionalità si viene a creare un nesso dal momento che


la seconda si struttura anche attraverso percorsi formativi e in divenire la
professionalità esplicita bisogni e dimensioni che vanno ad integrare la formazione
stessa.

L’identità professionale costruita attraverso percorsi formativi è tuttavia anche


fortemente legata ai concetti o immagini di sé  influenza fortemente le idee
degli insegnanti riguardo all’insegnamento e
all’apprendimento, il loro percorso professionale, i
loro atteggiamenti nei
confronti della formazione e dell’insegnamento
stesso. Le esperienze di vita
in diversi contesti portano i futuri insegnanti
a sviluppare una propria identità
come insegnanti.
Identità definita pregressa  condizionerà qualsiasi esperienza di training e
rimarrà un fulcro per la
definizione della propria identità in ambito
professionale

vi sono precisi elementi che determinano e influenzano la costruzione delle


caratteristiche individuali:
- I contesti familiari
- Gli altri significativi
- L’apprendistato a scuola
- Gli episodi scolastici partendo da questi presupposti è chiaro
come il futuro insegnante
- Le politiche dell’istruzione abbia già delineato, talvolta in giovane età, i
confini di quella che
può essere definita “metafora di sé
come insegnante”

è necessaria una consapevolezza del formatore di queste dinamiche.

Lavoro di BEIJAARD, MEIJER E VERLOOP  rappresenta un fondamentale stato


delle ricerche su tema dell’
Identità professionale. Viene
codificata la molteplicità delle
interazioni della locuzione
nell’ambito delle modalità di
approccio al suo significato:

- L’identità professionale riflette le immagini di sé come insegnanti; queste sono


un fattore che condiziona fortemente le modalità di insegnamento e la
predisposizione al cambiamento
- L’identità professionale si riferisce al ruolo dell’insegnante nella società, a volte
collegata con altri concetti come quelli di riflessione e/o autovalutazione.
- L’identità professionale è il riflesso del proprio modo di essere professionale e
personale, in base alla propria esperienza e al proprio background.

L’identità professionale è l’incontro tra persona e contesto  non esiste


un’identità professionale
assoluta,
derivante dall’assunzione di
conoscenze e
disposizioni prescritte.
Ogni
insegnante attiverà le proprie
conoscenze e
costruirà i propri i propri
strumenti di
lavoro a seconda del contesto
in cui si trova
ad operare, creando così il
proprio modus
operandi.
L’identità professionale dell’insegnante emerge raccontando, condividendo
e cercando legittimazione alla propria esperienza.

Ancora una volta viene sottolineata l’i portanza dell’esperienza pregressa nella
costruzione dell’identità professionale e la conseguente necessità di far emergere tale
esperienza in fase di formazione.

Di particolare efficacia  la tecnica dell’autopresentazione: la potenzialità della


ricerca narrativa per raggiungere consapevolezza del peso che le personali
esperienze, credenze e valori, assumono durante la propria attività professionale.

3.2.2. Esperienza, riflessione e apprendimento trasformativo in


MEZIROW

APPRENDIMENTO = estensione della nostra abilità di rendere esplicito,


schematizzare, rendere proprio, validare, e agire in riferimento a qualche
aspetto del nostro coinvolgimento con l’ambiente, le altre persone e noi
stessi.

Ruolo centrale nel processo di apprendimento  interpretazione dell’esperienza, x cui


l’apprendimento può
essere inteso come l’uso di
interpretazioni precedenti per
costruire nuove o riviste
interpretazioni e come guida per
azioni future.

In questo approccio fioco un ruolo chiave il processo di transfer. MEZIROW 


nella sua impostazione, parta di “prospettiva di significato” = la struttura dei
presupposti entro la quale la nostra esperienza pregressa assimila e
trasforma la nuova esperienza.
L’apprendimento è visto come un processo interpretativo dialetto mediante il quale
interagiamo con oggetti e eventi, guidati da un insieme di attese già presenti. 
Usiamo le attese già presenti per spiegare e costruire ciò che percepiamo essere la
natura di un aspetto dell’esperienza che fino ad allora manca di chiarezza.
TUTTAVIA  in un apprendimento trasformativo reinterpretiamo un’esperienza
passata attraverso un nuovo sistema d’attese, dandole così un nuovo significato e una
nuova prospettiva.

MEZIROW  precisa 4 forme di apprendimento adulto che implicano un processo


di transfer:
1. l’apprendimento attraverso gli schemi interpretativi già posseduti 
che possono essere differenzia ti ed elaborati per adattarsi alla nuova
esperienza, oppure possono essere utilizzati immediatamente senza bisogno di
alcun adattamento.
2. L’apprendimento come formazione di uno nuovo schema interpretativo
 la creazione di nuovi significati che siano sufficientemente consistenti e
compatibili con le prospettive di senso già esistenti

3. L’apprendimento che avviene attraverso la trasformazione di schemi di


significato
Implica una riflessione attenta circa le qualità delle assunzioni o presupposizioni
sulle quali si basano. I nostri specifici punti di vista e particolari convinzioni si
manifestano poco funzionali o del tutto inadeguati di fronte a una nuova
situazione o esperienza.

4. L’apprendimento che si ha quando la trasformazione riguarda + in


profondità la prospettiva stessa di significato = si diventa consapevoli,
attraverso la riflessione e la critica della natura erronea dei presupposti sui quali
si basa una distorta o incompleta prospettiva di significato e, a partire da questa
consapevolezza, ci si impegna nel trasformare tale prospettiva attraverso una
riorganizzazione dei significati.

In tutte le forme di apprendimento è presente un’attività di soluzione di problemi


anche se di natura diversa a seconda del dominio di apprendimento.
MEZIROW  distingue fra:
 Razionalità e interesse tecnico  il procedimento risolutivo è basato su processi
di pensiero di
natura ipotetico-deduttiva: formulazione
d’ipotetici corsi
d’azione, anticipazione delle lor
conseguenze, attuazione di
quelli + plausibili e verifica dei risultati
ottenuti

 Razionalità e l’interesse pratico o comunicativo  sono coinvolti processi che si


basano sul
consenso: giudizi
provvisori aperti a nuove
argomentazioni e
testimonianze e a nuovi
paradigmi di
comprensione.
Nella prospettiva trasformativa la riflessione è il processo con cui si valutano
criticamente:
-il contenuto
- il processo
- le promesse dei nostri sforzi finalizzati ad interpretare un’esperienza e a darvi
significato.
L’autore distingue tra:
 Azione non riflessiva  avviene in modo non deliberato e consapevole ed è
relativa alle azioni
abituali o meditate. Ci si riferisce ad apprendimenti
e ricordi progressivi
che vengono generalizzati per pianificare azioni
future.
 Azione riflessiva  la riflessione va oltre la consapevolezza di quanto stiamo
vivendo e della
Consapevolezza stessa, implica la critica su come
percepiamo, pensiamo,
giudichiamo, sentiamo e agiamo.
Gli oggetti della riflessioni possono essere i contenuti, i
processi e le premesse.
Riflettere sulle nostre premesse = prendere in oggetto le
ragioni del pensare
e dell’agire in determinati modi. La riflessione sulle
premesse genera
apprendimento trasformativo per poter riorientare l’azione
 porta a delle
prospettive di significato meglio formulate, + inclusive,
permeabili.
Riflettere sul contenuto o sui processi può diventare
elemento essenziale per
l’azione meditata, modificando gli schemi di significato.

3.2.3. I laboratori nella formazione iniziale degli insegnanti: il caso di


Milano Bicocca
Il sapere generato in laboratorio si differenzia dalla conoscenza cui si perviene
mediante l’azione in larga misura tacita, implicita.
I laboratori  scopo = fondere conoscenze dichiarative e procedurali trasformandole
in competenze intelligenti, dotate di un profilo “riflessivo”:
a livello cognitivo  laboratorio = si caratterizza per un clima investigativa, per
l’attenzione assegnata alla ricerca centrata sulla congettura e sulla scoperta, centrata
sull’osservazione dei contesti problematici, sull’identificazione delle variabili
determinanti e sull’organizzazioni di procedure utili a verificare la validità delle
congetture. Il laboratorio favorisce la continua riformulazione delle conoscenze e dei
problemi e sollecita alla ricerca di nuove soluzioni. Opera collegamenti tra “quanto
sapere”, “come sapere” e “xkè”.
I laboratori diventano creatori di un metodo euristico  in cui si allineano
intelligenza e fantasia allo scopo di imparare a pensare e imparare a creare.
Laboratorio  importanza alla ricerca interdisciplinare = permette di
individuare i nuclei concettuali intorno ai quali costruire ponti di natura
trasversale, consentendo di padroneggiare una pluralità di punti di vista.
la valorizzazione della centralità che i laboratori assegnano alla dimensione
esperienziale non implica che la dimensione teorica venga sottovalutata ANZI in
quanto spazio didattico specializzato, il laboratorio rivendica un suo proprio
dispositivo teorico che contrassegna l’identità didattica del laboratorio come “luogo
della pratica”.
Dimensione relazionale  il laboratorio sostiene la promozione e lo sviluppo delle
molteplici occasioni per valorizzare la socializzazione e il reciproco sostegno. Si
presenta come spazio privilegiato di una modalità di lavoro collaborativo e di aiuto
reciproco.
Attività di laboratorio  organizzate attorno al dialogo, al confronto, alla discussione,
al comune riconoscimento delle norme che regolano la vita sociale della comunità di
lavoro.

Tutto ciò porta i soggetti a riflettere sulle proprie azioni e trovare risposte adattive, in
relazioni alle sollecitazioni provenienti dal contesto che li circonda.
 OBIETTIVO DEI LABORATORI: trasmettere una metodologia di lavoro e un
atteggiamento, più che conoscenze specifiche. Infatti è proprio durante i
laboratori che lo studente comincia a misurarsi con la propria
professione, inizia a chiedersi come sarà il suo stile e come trattare i
saperi nei campi di esperienza o nelle aree disciplinari.

Studio sul campo di tipo qualitativo


 Realizzato nel 2012-2013 presso SFP dell’UNIMIB
 Obiettivo: analizzare i Laboratori Pedagogico-didattici (LPD) dal punto di vista
dei docenti e degli
Studenti.
 Campionamento: 12 docenti e 24 studenti.  16 laureandi o neolaureati + 8
ex studenti che
insegnano da almeno
5 anni. La scelta degli studenti
ha seguito due criteri:
1. Avere concluso il percorso dei 12
laboratori
previsti
2. Rappresentare diverse tipologie di
studenti.
Referenti di diverse aree disciplinari: Dei 16 studenti:
psico-pedagogica 8 -  indirizzo
insegnamento per l’infanzia
matematico-scientifica 8  indirizzo
insegnamento per Primaria
storico-geografica 4  seguito il Major
Scientifico
motoria-artistica-musicale 4  seguito Major
Linguistico.
compongono l’intero gruppo di Referenti di LPD

 Strumenti: interviste e registrazioni


 Indagine: si è svolta in due fasi:
FASE 1  Finalizzata a conoscere il progetto del LPD dal punto di vista dei
docenti formatori:
come sono strutturati, quali sono le finalità a cui mirano, i diversi approcci alla
didattica disciplinare cui si ispirano e quali immagini e d’infanzia e di
insegnamento sottendono.

FASE 2  Finalizzata a conoscere il punto di vista sui LPD di studenti e


insegnanti e ex studenti.

Dalle partole dei docenti emergono studentesse inizialmente in difficoltà, per i


primi anni, nel relazionarsi ai docenti, nel mostrare dubbi, incertezze,
nell’esprimersi, con una bassa preparazione culturale, capacità di pensiero
critico, di problematizzazione.

Il laboratorio è uno spazio di sperimentazione, in cui agli studenti è chiesto di


mettersi in gioco e di mettersi alla prova affinché l’esperienza sia significativa e
produca cambiamento, seppur dentro una cornice “protetta” e artificiale.

Tema del gioco  emerge spesso nelle parole dei docenti.

Evoca uno spazio protetto contraddistinto dalla dialettica tra regole e libertà; un
luogo in cui le azioni s’inscrivono all’interno di una cornice meta-comunicativa
specifica che implica piacere, divertimento e serietà nello stesso tempo.

VS Laboratorio non è una situazione di vero gioco, ma un luogo di simulazione


di didattica di ricerca scientifica. Nei LPD “giocando” e sperimentandosi si ha
modo di conoscere e comprendere intuizioni, precomprensioni o teorie
implicite. Apprendere dall’esperienza aprirebbe secondo i docenti un canale di
conoscenza, mobilitando azioni e pensieri, riflessioni. Si tratta di essere presenti
in modo attivo e riflessivo con un atteggiamento di dialogo e di ricerca che
smuova prospettive di significato acquisite nella propria storia di formazione
personale. In Laboratorio si dovrebbero attivare i processi di partecipazione
guidata  in cui gli individui gestiscono i propri ruoli e quelli degli
altri, strutturano situazioni in cui osservano, costruiscono e
trasformano pratiche.

Condizioni essenziali perché il fare sia esperienza  RIFLESSIONE =


processo in cui “si valutano criticamente il contenuto, il processo o le
premesse dei nostri sforzi finalizzati a interpretare un’esperienza e a darvi
significato.
Garantisce significatività all’agire ed è guidata, sollecitata dai conduttori che ne
attribuiscono un alto valore formativo.

OTTICA DI MEZIROW  l’azione mediata non implica riflessione xkè manca di


un’intenzionale analisi degli
apprendimenti pregressi e di un esame deliberato
dell’esperienza.
1. La riflessione sul processo implica sia la consapevolezza sia la
critica di come
percepiamo, pensiamo, giudichiamo, sentiamo e agiamo
2. La riflessione sulle premesse chiede una critica delle nostre
ragioni, una revisione delle nostre prospettive.
La riflessione sui contenuti e sui processi rappresenta il
cambiamento dei nostri schemi di significato.

Dalle interviste si possono individuare 3 tipi di riflessione:


1. Riflessione profonda su di sé  sui propri processi mentali di ragionamento
2. Riflessione sui contenuti dell’esperienza  sui metodi, sulle ragioni di una
proposta, sui materiali
usati
3. Riflessione sui cambiamenti attivati dall’esperienza

Didattica laboratoriale e didattica disciplinare


Apprendimenti “mnemonici” che riducono e banalizzano i saperi, svuotano di senso
agli occhi de bambini l’esperienza scolastica. In quest’ottica i bambini sembrano
sconosciuti agli occhi degli insegnanti, che limitano l’azione didattica alla scelta dei
contenuti da imparare non coinvolgendoli e non coinvolgendosi in un processo. A
scuola si impara senza capire i significati e i processi attraversati per pervenire a
quelle conoscenze. I bambini sono tenuti all’oscuro di ciò che gli si insegna e delle
ragioni delle esperienze scolastiche.

Per quanto le discipline rappresentino settori di conoscenza, il laboratorio ne


rappresenta una forma connettiva, in cui si apre la possibilità di costruzione di una
conoscenza complessa inter e trans disciplinare.
Nel fare esperienza diretta delle cose e del mondo possono sorgere domande a cui un
unico settore disciplinare non può rispondere.

L’esperienza percettiva e corporea è caratterizzata da olismo, in termini di


globalità delle dimensioni soggettive e intersoggettive che coinvolge.
Il laboratorio sembrerebbe essere il luogo ideale per costruire conoscenze da un
punto di vista interdisciplinare e transdisciplinare, ma i docenti affermano che
nei fatti è stato molto difficile riuscire a realizzare progetti in tale direzione.
Dalla ricerca emerge  APPROCCIO SOCCIO-COSTRUTTIVISTA
ALL’APPRENDIMENTO-INSEGNAMENTO

Si distacca dalla didattica


tradizionale.
 Fare capire le cose soprattutto facendo delle sperimentazioni, i bambini
sono bravissimi, basta che tui gli dia tempo e poi partono…

Quale immagine di insegnante corrisponde a questa idea di bambino?


 INSEGNANTE SENSIBILE, IN ASCOLTO, CHE OFFRE STRUMENTI PER
RAGIONARE E CHE INSEGNA A FARE E A FARSI DOMANDE, CHE FA
RIFLETTERE.

Egli deve creare le condizioni perché si faccia un’esperienza tale per cui il
bambino possa arrivare a raggiungere l’apprendimento con le sue
modalità e i suoi adattamenti e comportamenti

Un insegnante ascolto, regista e mediatore per apprendimenti autonomi


e personalizzati.

L’identità del laboratorio dal punto di vista di studenti al termine del


percorso e di ex-studenti.

I laboratori sono pensati dagli studenti come occasioni in cui sperimentare un nuovo
modo di essere studenti universitari. È infatti chiesto un livello di partecipazione
elevato e di relazionarsi con i conduttori e con il sapere in modo attivo.  implica una
prima decostruzione nel loro immaginario di studente universitario e di
approccio dei saperi.

Interessanti per cominciare ad entrare nella capacità del pensiero che c’era dietro
alla facoltà
Sono soprattutto gli ex studenti a trovare i nessi tra laboratori, corsi e tirocini e
sottolineano che questa capacità è emersa col tempo. Il tema della interdisciplinarità
rimane invece + un ideale che non un effettiva pratica, come per i docenti.

Per gli studenti del vecchio ordinamento  evidente il nesso tra LPD e Tirocinio =
luogo in cui potersi
sperimentare nelle pratiche apprese
in Laboratorio.
la focalizzazione, nelle parole degli studenti, è centrata sulla dimensione della
strumentalità e della praticalità. Gli aspetti di metodologia didattica, imparati
ascoltando e studiando i testi, si spostano sul piano della possibilità di realizzazione,
di concretizzazione pratica.

 In genere tutti riconoscono ai LPD una doppia valenza:


1. Si imparano meglio le teorie
2. Si imparano le metodologie.
Le teorie si “toccano con mano” e quello che si studia nei corsi e sui libri prende la
forma e si concretizza.

La concretezza si gioca su due piani:


- “toccare concetti” e contenuti disciplinari facendone esperienza
- Sperimentare situazioni didattiche in previsione del tirocinio e dell’attività
professionale

Vengono ritenuti utile le esperienze che contribuiscono a sviluppare schemi di possibili


pratiche  “spunti”
I LPD sono stati utili e interessanti in quanto offrono repertori di attività e percorsi
potenzialmente sperimentabili con i bambini.
Si tratta di spunti da rielaborare, da adattare al contesto.
Nel ricordare l’esperienza dei Laboratori, tutti gli studenti intervistati fanno una prima
distinzione tra:
 LPD TEORICI = poco utili  in cui i conduttori non usano metodologie attive e
sono molto simili a
lezioni anche di tipo dialogato. La figura del conduttore è simile
a quella del docente
dei corsi che prevalentemente dà informazioni e trasmette
contenuti.

 LPD PRATICI = molto utili  sono quelli che vengono + ricordati dagli studenti.
Nei laboratori, essi
sono i protagonisti della loro esperienza. A essi viene chiesto di
“mettersi in gioco” =
partecipare, agire, esprimere i propri dubbi e le proprie
opinioni. Uno sforzo che
modifica, ma che produce soddisfazione delle riuscita, dell’aver
creato,realizzato
costruito qualcosa.

Tutti gli intervistati individuano un formato comune, delle fasi del Laboratorio,
indipendentemente dalle aree e dai luoghi in cui si svolgono:
1. Presentazione del gruppo  la richiesta di esprimere aspettative e motivazioni
che hanno indotto
gli studenti a scegliere quel laboratorio
2. Uso di metodi attivi  osservazioni sperimentali, video-osservazioni, discussioni,
brainstorming,
analisi di casi, lavori di gruppo
3. Alternanza della pratica a discussioni per condividere, o riflessioni a posteriori e,
talvolta, a qualche spiegazione riferita alle teorie di fondo.

Dalle partole degli intervistati in tutti i laboratori il momento del fare è alternato o
integrato con momenti del “pensare”.
La riflessione si focalizza su diversi oggetti di analisi
- Contenuti
- Esperienza nella sua dimensione processuale (cosa abbiamo fatto e come)
- Sui processi cognitivi, emotivi e di apprendimento.

È continua e di gruppo, accompagna l’intero percorso e fa emergere i cambiamenti


che man mano gli studenti vanno maturando. Alla relazione finale è destinata la
riflessione individuale.

Molti studenti evidenziano poca abitudine al lavoro di gruppo e la necessità che si crei
un buon clima per poter “mettersi in gioco”. In molti casi stare insieme in laboratorio
= conoscersi in modo approfondito e fare gruppo  occasione per costruire amicizie e
senso di appartenenza. La capacità di confrontarsi, di modificare le proprie idee, di
contribuire ad un progetto condiviso è ritenuta componente essenziale nella
formazione e vengono evidenziate 3 dimensioni:
1. Dimensione responsabilità = riguarda la capacità di concepire se stessi come
persone in relazione ad
altri
2. Dimensione della crescita psicologica personale = soprattutto dal punto di vista
della gestione delle
proprie emozioni
3. Dimensione della competenza professionale = capacità di lavorare in gruppoi.

Gruppo  dimensione di arricchimento personale dato dal confronto con conoscenze


e esperienze diverse.
Nelle interviste è evidenziato come valore aggiunto dell’esperienza gruppale il fatto di
oltrepassare l’aula, per una visita a un museo, o per fare esperienza dei fenomeni
della natura  sono inoltre tali esperienza quelle ricordate in modo + vivido e
ritenute + significative.

 Risultati della ricerca  cambiamenti che gli intervistati ritengono di aver


acquisito dalla frequentazione dei LPD.

Quali apprendimenti in Laboratorio?


 Sentirsi + sicuri
 Porsi domande
 Cambiare prospettiva sulla disciplina
 Cercare una relazione d’ascolto.

I laboratori sono luoghi privilegiati e protetti, che aiutano a comprendere saperi utili
da insegnare e saperi utili per insegnare, avvicinando gli studenti alla possibilità di
immaginarsi nel proprio futuro professionale in modo + realistico.

Flessibilità aggettivi che qualificano gli apprendimenti avvenuti in


laboratorio e che determinano
Apertura mentale cambiamenti di prospettive.

I laboratori valutati utili e efficaci  prodotto cambiamenti di prospettiva sia sul


sapere disciplinare, sia sulla
trasformazione del personale rapporto con la
materia, sia alla possibilità
di insegnarla in modo diverso, perché
diventi + accessibile, comprensi
bile e appassionante.
Gli studenti descrivono e analizzano lo stile di conduzione e i metodi di insegnamento
proposti, la modalità di gestione delle relazioni individuali e con il gruppo, la chiarezza
del compito e delle consegne, l’articolazione e strutturazione del percorso, ma anche
una certa disposizione, atteggiamento nell’affrontare complessivamente il laboratorio.

Sono diverse le immagini d’insegnanti che emergono in laboratorio:


 Trasmettitori freddi
 Esecutori
 Coloro che sanno stare nella relazione con il bambino.

In opposizione si profilano l’insegnante socio –costruttivista = insegna ad


apprendere dall’esperienza, in continua ricerca assieme ai bambini, agli
adulti e alle comunità scientifiche. Centrale è quindi l’aspetto della
continua evoluzione professionale, come abito mentale idoneo alla
comprensione e risoluzione dei problemi che la pratica educativa
comporta.

Gi studenti confermano che i LPD possono effettivamente contribuire alla


formazione di un insegnante socio-costruttivista e riflessivo se condotti in modo
coerente a questa immagine.

3.2.4. Laboratori con tecnologie robotiche: una ricerca


collaborativa tra scuola e università.

Studio di caso realizzato in 3 scuole secondarie di primo grado che aderiscono alla
rete Amicorobot e da + di 20 anni realizzano laboratori di robotica educativa.

Ricerca  collective case study : sono stati studiati 3 casi


contemporaneamente su cui è stata attivata una
procedura di analisi comparativa.

 Campionamento: 3 professori da seguire durante i loro laboratori di robotica


educativa, assumendo
ciascuno di questi laboratori come singolo caso di studi

 Domanda e obiettivo di ricerca: gli insegnanti e i ricercatori hanno


individuato alcune questioni
rilevanti da indagare: il modo di gestire
i laboratori, lo stile di
conduzione, le differenze strutturali del
laboratorio

 Obiettivo: individuare se possono essere identificate diverse tipologie di


laboratorio in cui si usano
tecnologie robotiche.

 Strumenti e raccolta dei dati: osservazioni partecipanti, interviste, analisi di


video.

Laboratorio del Laboratorio della Laboratorio del


prof. M. Prof.ssa S. Prof. D.
Alunni I suoi alunni del Alunni di classe Alunni di classe 3
corso H, seconda e prime miste, + di miste, circa 15
terza, circa 20 25 ragazzi ragazzi
ragazzi
Tempi 2 ore di laboratorio 2 ore di laboratorio 2 ore di laboratorio
Spazi Aula di tecnologia, Aula di informatica Aula di robotica,
usata solo dal prof usata solo per i
M. con il corso H laboratori di
robotica.
Tipo di laboratorio Inserito nelle Extracurricolare, Curricolare e
attività didattiche opzionale dedicato opzionale
della sezione solo alle prime
Modalità di accesso Iscrizione Gli alunni scelgono Iscrizione al tempo
all’indirizzo se iscriversi o prolungato della
Archimede della meno scuola
scuola
Continuità I laboratori È possibile I laboratori sono
vengono svolti tutti accedere ai assicurati tutti e tre
i 3 anni e durante laboratori solo alle gli anni e in
entrambi i classi prime e solo entrambi i
quadrimestri nel secondo quadrimestri
quadrimestre
Valutazione Sommativa, Formativa, Formativa,
presente nella presente nella presente nella
scheda scheda scheda
quadrimestrale. quadrimestrale. quadrimestrale.

Confronto tra contesti

Dall’analisi del contesto organizzativo (criteri d’accesso, orari, spazi, tipologia di


gruppo) emergono alcune differenze:

 ˃ strutturazione del laboratorio del prof. M


 Un laboratorio destrutturato della prof.ssa S.
 Un laboratorio semi-strutturato del prof. D.
Il livello di strutturazione indica:
- Il grado di pianificazione da parte dell’insegnante dei contenuti e delle proposte;
- La numerosità delle pratiche attive e passive.

Dopo questa prima comprensione del contenuto, è stato possibile definire alcune
caratteristiche e confrontarle tra loro  Si è passati a concentrarsi sul tema
d’interesse degli insegnanti: stile di condizione del laboratorio, ponendo
l’accento sull’interazione verbale.
 Lo stile di conduzione di laboratorio dei 3 professori è stato osservato prendendo
in esame le interazioni comunicative.
L’esame delle interazioni  confrontato con gli obiettivi esplicitati dagli stessi
insegnanti che guidano l’azione e la decisione in situazione.
Gli scopi influenzano il modo di condurre l’attività e le interazioni in atto

HP  IL MODO DI ESSERE E DI COMPORTARSI DELL’INSEGNANTE,


LE MODALITA DI INTERAZIONE
NELLE CLASSI E CON I SINGOLI ALLIEVI, LE STRATEGIE
FORMATIVE CHE PRIVILEGIA,
CONTRIBUISCONO A CREARE IL CLIMA DI UNA CLASSE,
CHE INCIDE PESANTEMENTE SULLO
STESSO APPRENDIMENTO DEGLI ALLIEVI, SULLA
MOTIVAZIONE.

Per arrivare all’emersione e alla def degli stili di conduzione di ogni insegnante, è
stato necessario un lavoro di codifica del materiale raccolto.
Obiettivo  mettere in evidenza lo stile di conduzione e si è scelto di
analizzare:
- Le interazioni verbali = domande poste e risposte date in seguito a una
domanda da parte dei ragazzi
- Il modo di dare indicazioni o consigli e il linguaggio usato
- Le reazioni degli studenti alle indicazioni date all’insegnante
- Le reazioni rispetto all’insorgere di un problema dopo l’intervento
dell’insegnante
- L’orientamento di feedback dell’insegnante nella risoluzione di problemi da
parte degli studenti

Il materiale raccolto è costituito da 10 ore di video riprese in classe.

Il primo lavoro di trascrizione ha consentito l’individuazione di alcune categorie che


sono state poi riscontrate anche nell’analisi delle interviste e dalle interazioni durante
il laboratorio:

- Intervento di gruppo, dopo una richiesta


- Intervento sul gruppo, senza richiesta
- Intervento sull’intera classe prime categorie su cui si è
confrontati durante la
- Domande poste ai ragazzi visione dei video insieme agli
insegnanti. In una
- Risposte date ai ragazzi seconda fase, sono state
numerate le occorrenze
delle categorie.

Nell’interpretazione dei risultati delle codifiche sono emersi 3 stili di conduzione


diversi  3 def. di contesti ≠

1. Stile direttivo  del prof. M. volto a lasciare spazio di sperimentazione +


limitato agli alunni. Non c’è
grande differenza tra lezione normale e laboratorio, xkè
l’apprendimento della
disciplina rimane cmq il fine principale. Il laboratorio così
strutturato richiede da
parte del prof una maggiore attenzione agli apprendimenti
e all’aspetto
quindi + disciplinare, lasciando in secondo piano la
possibilità di sperimentarsi.

2. Lo stile volto alla stimolazione creativa dei ragazzi  della prof.ssa S.


Viene proposto come un
laboratorio in cui sperimentarsi, in cui provare a in cui è
sollecitata la
risoluzione creativa dei problemi. Essendo un laboratorio
fuori dalle attività
curriculari, sono meno rilevanti gli apprendimenti
disciplinari.
3. Stile che facilita il lavoro dei ragazzi nella progettazione  incitandoli al
dialogo tra loro e a
provare da soli, senza indicazioni precise da parte del docente. È un contesto in
cui sperimentare le competenze acquisite nei precedenti laboratori di robotica e
in cui i ragazzi stessi devono mettersi in gioco.

Confrontando i risultati e le prime interpretazioni di questi si fa largo una prima


teoria:
le interazioni in classe sono state esaminate anche prendendo i considerazione
alcuni aspetti rilevanti:
 Concetto di contratto didattico proposto da LEONI  permette di leggere ciò
che accade nel contesto scolastico riconoscendo 3 poli in relazione tra loro:
insegnante, alunno e l’oggetto dell’attività di apprendimento  R.B.

DEF. si riferisce a tutte quelle regole, spesso implicite, che guidano i


comportamenti di alunni e insegnanti a scuola durante l’attività e ai
compiti che l’insegnante propone riguardo un determinato oggetto di
sapere.

 Bisogna infatti riconoscere il peso non indifferente delle regole implicite


e delle rappresentazioni personali di una situazione, che influenzano il
modo in cui si intende ciò che accade e la possibilità di apprendere.

Una delle caratteristiche del contratto didattico  asimmetria della


relazione tra alunni e insegnanti.

Nel cosidetto tur-taking l’insegnante “governa” il turno della parola dicendo quando,
chi e per quanto tempo la persona può parlare e cosi facendo orienta i pensieri a certi
contenuti e dall’altro lato, comunica messaggi di valore e giudizi di relazione tra sé. È
evidente che le interazione del prof. M abbiano in maggioranza una funzione di
conduzione, egli, infatti, dirige l’attività dando anche delle indicazioni precise.
VS nelle interazione del prof. D. e della prof.ssa S.  + facile individuare una
facilitazione, in quanto ciò che viene condiviso con la classe ha lo scopo di mettere in
comune problemi o strategie per affrontarli.

INFINE  Dall’incrocio con i dati raccolti sullo stile di conduzione, sulle concezioni del
laboratorio degli insegnanti e da qualche intervista agli studenti sono state individuate
3 strategie comunicative:
1. una strategia per applicare quanto appreso  laboratorio come attività
attraverso cui mettere in
pratica quanto appreso e
dimostrare di averlo appreso
2. una strategia per stimolare la creatività dei bambini  un contesto in cui
è lecito sbagliare e procedere per prove di errori. Secondo questo approccio la
peer education  efficace
3. una strategie interdisciplinare di cooperative learning per la
comprensione e risoluzione di problemi, apprendere collaborando.
Oltre ai diversi livelli di direttività  3 contratti didattici differenti:

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