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Francesco Fiorazzo

Attività 5: I tre "saperi" scelti dal testo di Paulo Freire


I "saperi" a mio avviso più rilevanti per il "mestiere" di educatore sono:

1. non c’è insegnamento senza apprendimento

Educare è un processo che mette in gioco due soggettività all’interno di un percorso condiviso
grazie al quale vi è un arricchimento reciproco in termini di acquisizione di contenuti, competenze,
prospettive di costruzione del mondo che permettano di conoscerlo per modificarlo (dimensione
intrinsecamente politica dell’educazione). Freire afferma con forza che “insegnare non è trasferire
conoscenza ma creare le condizioni di possibilità per costruirla o produrla”. Questa prospettiva
implica l’opposizione ad una concezione dell’esperienza formativa come rapporto fra un soggetto
che forma ed un oggetto che è formato sulla base di un trasferimento di contenuti: se il focus
dell’insegnamento è “creare le condizioni di possibilità per costruire conoscenza” è evidente infatti
come i contenuti del sapere sistematico, seppur fondamentali, non possono costituire l’unico
nucleo attorno al quale costruire un’esperienza autentica di formazione.
Nel processo educativo è fondamentale il riferimento al ruolo attivo di colui che è formato (il suo
empowerment educativo), che deve poter disporre degli strumenti cognitivi, organizzativi,
euristici, averne il controllo per “diventare formatore nell’atto di essere formato”; d’altra parte
anche chi forma è inserito in un processo in divenire grazie al quale ha la possibilità di ri-formarsi
nell’atto stesso di formare. Ciò ha a che fare con le dimensioni democratiche e metafisiche
dell’insegnamento, che trascendono e superano una concezione meramente grammaticale del
verbo insegnare come verbo transitivo-relativo (insegnare qualcosa a qualcuno), forma logica che
può suggerire l’idea illusoria di un insegnamento potenzialmente svincolato dalla dimensione dell’
apprendimento: al contrario, all’interno della ricostruzione genealogica di Freire, è
l’apprendimento come processo storico-sociale che ha creato le condizioni di possibilità stesse
dell’insegnamento ed è solo tenendo presente questa dimensione metafisico/sociale che la pratica
dell’insegnare/apprendere diventa esperienza totale, ricorsiva, che esprime la sua portata
rivoluzionaria ispirando dinamiche di emancipazione e sovvertimento di rigide categorie
esistenziali. In questo senso, la conoscenza è autentica nella misura in cui contribuisce a creare
identità personali e sociali libere, aperte e critiche e fornisce gli strumenti per agire nel mondo con
consapevolezza, modificando lo status quo.
All’interno della dimensione educativa in cui opero, cerco di stimolare un apprendimento attivo
attraverso il peer support: questa strategia, in quanto permette a chi viene formato di
sperimentarsi nella pratica dell’insegnamento, non solo favorisce il consolidamento dei contenuti
e delle competenze ma aumenta l’autostima e l’autoefficacia e innesca dinamiche relazionali
mature e partecipate.

2. insegnare esige la convinzione che il cambiamento è possibile

I modelli educativi originano da presupposti epistemici associati ad una certa visione della realtà.
L’idea del sapere a cui aderisce Freire considera il mondo come un complesso sistema di relazioni
e rapporti di forza costantemente in divenire (“il mondo non è, il mondo è in divenire”) in cui gli
eventi non si susseguono secondo processi causa-effetto lineari di natura deterministica, che si
sviluppano indipendentemente dalle decisioni degli individui o dei gruppi sociali. Il determinismo è
quindi rifiutato in virtù dell’adesione ad un’idea di futuro come problema e non come
inesorabilità, ad un’idea della storia come possibilità: conoscere, in quest’ottica, implica un
rapporto dialettico fra una soggettività e una oggettività che non si esaurisce nella constatazione di
ciò che accade, ma si apre alla possibilità di intervenire in modo partecipativo, non neutrale agli
avvenimenti del mondo, per decidere, scegliere, “rompere”, cambiare le cose . Il sapere non può
dunque essere svincolato da una dimensione etica e politica proprio in quanto contribuisce alla
costruzione della nostra identità e alla continua ri-definizione del nostro rapporto con il mondo. In
questo senso, si comprende come per Freire la coscienza della nostra presenza al mondo è
immediatamente connessa alla responsabilità di costruire questa presenza, responsabilità delle
azioni nel mondo, responsabilità di promuovere cambiamenti e di promuovere nelle persone che
si affidano alla nostra cura la convinzione che il cambiamento è possibile.
Nella pratica professionale quotidiana, mi capita spesso di sperimentare come la speranza di un
cambiamento, all’interno di progetti educativi finalizzati all’acquisizione di competenze lavorative,
sia un potente catalizzatore di motivazioni che rendono più probabile il raggiungimento degli
obiettivi: se la persona in situazione di fragilità è consapevole che ci sono dei margini per
aumentare lo spazio del proprio capability set, per assumere un ruolo attivo all’interno del
contesto sociale, per essere ri-conosciuti come cittadini, il suo impegno e la sua partecipazione
aumentano. Educare al cambiamento è strettamente correlato alla promozione di modelli
educativi e culturali che si oppongono a rigide interpretazioni individuali o mediche della disabilità
che legano causalmente l’avere una menomazione alla presenza di un deficit: generalmente
queste interpretazioni sono associate ad interventi che, prediligendo approcci assistenziali a quelli
educativi, finiscono per cristallizzare e trattenere le risorse delle persone, disincentivandone
l’empowerment e l’autodeterminazione. La persona disabile che invece ha prospettive di
cambiamento ha meno probabilità di sentirsi definita dalla propria disabilità o da modelli sociali
che rappresentano una certa idea di disabilità perché è consapevole di poter raggiungere degli
obiettivi, è motivata a lavorare per conquistare una posizione, sa di poter utilizzare le proprie
risorse per costruire un progetto di vita.

3. insegnare esige che si afferri la realtà

Mi piace molto il gioco di parole utilizzato da Freire per connettere con forza evocativa i verbi
aprender (apprendere, imparare) e apreender (impossessarsi, far proprio, afferrare in senso
filosofico). Questa sovrapposizione semantica rimanda ad una interpretazione della conoscenza
che si allontana dalla memorizzazione meccanica dell’oggetto per abbracciare una concezione
creativa: imparare non è adattarsi alla realtà, quanto piuttosto trasformarla per intervenire su di
essa. Tale aspetto definisce un tratto peculiare dell’educabilità dell’essere umano: prendendo le
mosse da un atteggiamento epistemologicamente curioso, l’uomo utilizza risorse anche creative
per costruire modelli di rappresentazione della realtà. Il mondo, all’interno dei processi
conoscitivi, è quindi indagato all’interno di un permanente movimento di ricerca che, non
esaurendosi nella semplice constatazione della realtà, si apre al rischio di modificarla. Ogni pratica
educativa quindi, se da una parte prevede certamente “l’uso di metodi, di tecniche, di materiali”
dall’altra implica “in funzione del suo carattere direttivo, oggettivo, sogni, utopie, idee”.
Il riferimento al carattere direttivo della pratica educativa credo sia illuminante per chi lavora
come educatore: nella nostra professione è fondamentale essere consapevoli del proprio ruolo di
tutor del cambiamento, della resilienza, decisi a stimolare le persone che accompagnamo verso
obiettivi emancipativi a farsi carico del diritto a “scegliere, rompere, decidere”. In ottica di ri-
costruzione della realtà finalizzata al cambiamento entrano in gioco le risorse creative: uno dei
nostri compiti è anche quello di sfruttare le esperienze positive di feedback e i vissuti di
autoefficacia sperimentati da persone in situazione di fragilità nell’ambito di percorsi educativi per
ridefinire i contorni del loro rapporto con il contesto sociale di appartenenza, con la comunità e
raccogliere preziosi elementi per ri-narrare la loro storia di vita. La ricostruzione creativa della
propria identità fornisce alla persona lo spazio di possibilità per rompere il nesso di causalità
lineare fra sofferenza e infelicità e ri-connettersi con quella parte di sé che si è persa.

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